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Celebrazione della Domenica delle Palme e della Passione del Signore

, 02.04.2023


Omelia del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Alle ore 10.00 di questa mattina, in Piazza San Pietro, il Santo Padre Francesco ha presieduto la solenne celebrazione liturgica della Domenica delle Palme e della Passione del Signore.

Pubblichiamo di seguito l’omelia che Papa Francesco ha pronunciato dopo la proclamazione della Passione del Signore secondo Matteo:

Omelia del Santo Padre

«Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?» (Mt 27,46). È l’invocazione che la Liturgia oggi ci ha fatto ripetere nel Salmo responsoriale (cfr Sal 22,2) ed è l’unica pronunciata sulla croce da Gesù nel Vangelo che abbiamo ascoltato. Sono dunque le parole che ci portano al cuore della passione di Cristo, al culmine delle sofferenze che ha patito per salvarci. “Perché mi hai abbandonato?”.

Le sofferenze di Gesù sono state tante, e ogni volta che ascoltiamo il racconto della passione ci entrano dentro. Sono state sofferenze del corpo: pensiamo agli schiaffi, alle percosse, alla flagellazione, alla corona di spine, alla tortura della croce. Sono state sofferenze dell’anima: il tradimento di Giuda, i rinnegamenti di Pietro, le condanne religiose e civili, lo scherno delle guardie, gli insulti sotto la croce, il rifiuto di tanti, il fallimento di tutto, l’abbandono dei discepoli. Eppure, in tutto questo dolore a Gesù restava una certezza: la vicinanza del Padre. Ma ora accade l’impensabile; prima di morire grida: «Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?». L’abbandono di Gesù.

Ecco la sofferenza più lacerante, è la sofferenza dello spirito: nell’ora più tragica Gesù prova l’abbandono da parte di Dio. Mai, prima di allora, aveva chiamato il Padre con il nome generico di Dio. Per trasmetterci la forza di quel fatto, il Vangelo riporta la frase anche in aramaico: è l’unica, tra quelle dette da Gesù in croce, che ci giunge in lingua originale. L’evento reale è l’abbassamento estremo, cioè l’abbandono di suo Padre, l’abbandono di Dio. Il Signore arriva a soffrire per amore nostro quanto per noi è difficile persino comprendere. Vede il cielo chiuso, sperimenta la frontiera amara del vivere, il naufragio dell’esistenza, il crollo di ogni certezza: grida “il perché dei perché”. “Tu, Dio, perché?”.

Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato? Il verbo “abbandonare” nella Bibbia è forte; compare in momenti di dolore estremo: in amori falliti, respinti e traditi; in figli rifiutati e abortiti; in situazioni di ripudio, vedovanza e orfananza; in matrimoni esausti, in esclusioni che privano dei legami sociali, nell’oppressione dell’ingiustizia e nella solitudine della malattia: insomma, nelle più drastiche lacerazioni dei legami. Lì, si dice questa parola: “abbandono”. Cristo ha portato questo sulla croce, caricandosi il peccato del mondo. E al culmine Egli, il Figlio unigenito e prediletto, ha provato la situazione a Lui più estranea: l’abbandono, la lontananza di Dio.

E perché è arrivato a tanto? Per noi, non c’è un’altra risposta. Per noi. Fratelli e sorelle, oggi questo non è uno spettacolo. Ognuno, ascoltando l’abbandono di Gesù, ognuno di noi si dica: per me. Questo abbandono è il prezzo che ha pagato per me. Si è fatto solidale con ognuno di noi fino al punto estremo, per essere con noi fino in fondo. Ha provato l’abbandono per non lasciarci ostaggi della desolazione e stare al nostro fianco per sempre. L’ha fatto per me, per te, perché quando io, tu o chiunque altro si vede con le spalle al muro, perso in un vicolo cieco, sprofondato nell’abisso dell’abbandono, risucchiato nel vortice dei tanti “perché” senza risposta, ci sia una speranza. Lui, per te, per me. Non è la fine, perché Gesù è stato lì e ora è con te: Lui, che ha sofferto la lontananza dell’abbandono per accogliere nel suo amore ogni nostra distanza. Perché ciascuno di noi possa dire: nelle mie cadute – ognuno di noi è caduto tante volte –, nella mia desolazione, quando mi sento tradito, o ho tradito gli altri, quando mi sento scartato o ho scartato gli altri, quando mi sento abbandonato o ho abbandonato gli altri, pensiamo che Lui è stato abbandonato, tradito, scartato. E lì troviamo Lui. Quando mi sento sbagliato e perso, quando non ce la faccio più, Lui è con me; nei miei tanti perché senza risposta, Lui è lì.

Il Signore ci salva così, dal di dentro dei nostri “perché”. Da lì dischiude la speranza che non delude. Sulla croce, infatti, mentre prova l’estremo abbandono, non si lascia andare alla disperazione – questo è il limite –, ma prega e si affida. Grida il suo “perché” con le parole di un salmo (22,2) e si consegna nelle mani del Padre, anche se lo sente lontano (cfr Lc 23,46) o non lo sente perché si trova abbandonato. Nell’abbandono si affida. Nell’abbandono continua ad amare i suoi che l’avevano lasciato solo. Nell’abbandono perdona i suoi crocifissori (v. 34). Ecco che l’abisso dei tanti nostri mali viene immerso in un amore più grande, così che ogni nostra separazione si trasforma in comunione.

Fratelli e sorelle, un amore così, tutto per noi, fino alla fine, l’amore di Gesù è capace di trasformare i nostri cuori di pietra in cuori di carne. È un amore di pietà, di tenerezza, di compassione. Lo stile di Dio è questo: vicinanza, compassione e tenerezza. Dio è così. Cristo abbandonato ci smuove a cercarlo e ad amarlo negli abbandonati. Perché in loro non ci sono solo dei bisognosi, ma c’è Lui, Gesù abbandonato, Colui che ci ha salvati scendendo fino al fondo della nostra condizione umana. È con ognuno di loro, abbandonati fino alla morte… Penso a quell’uomo cosiddetto “di strada”, tedesco, che morì sotto il colonnato, solo, abbandonato. È Gesù per ognuno di noi. Tanti hanno bisogno della nostra vicinanza, tanti abbandonati. Anch’io ho bisogno che Gesù mi accarezzi e si avvicini a me, e per questo vado a trovarlo negli abbandonati, nei soli. Egli desidera che ci prendiamo cura dei fratelli e delle sorelle che più assomigliano a Lui, a Lui nell’atto estremo del dolore e della solitudine. Oggi, cari fratelli e sorelle, sono tanti “cristi abbandonati”. Ci sono popoli interi sfruttati e lasciati a sé stessi; ci sono poveri che vivono agli incroci delle nostre strade e di cui non abbiamo il coraggio di incrociare lo sguardo; ci sono migranti che non sono più volti ma numeri; ci sono detenuti rifiutati, persone catalogate come problema. Ma ci sono anche tanti cristi abbandonati invisibili, nascosti, che vengono scartati coi guanti bianchi: bambini non nati, anziani lasciati soli – può essere tuo papà, tua mamma forse, il nonno, la nonna, abbandonati negli istituti geriatrici –, ammalati non visitati, disabili ignorati, giovani che sentono un grande vuoto dentro senza che alcuno ascolti davvero il loro grido di dolore. E non trovano altra strada se non il suicidio. Gli abbandonati di oggi. I cristi di oggi.

Gesù abbandonato ci chiede di avere occhi e cuore per gli abbandonati. Per noi, discepoli dell’Abbandonato, nessuno può essere emarginato, nessuno può essere lasciato a sé stesso; perché, ricordiamolo, le persone rifiutate ed escluse sono icone viventi di Cristo, ci ricordano il suo amore folle, il suo abbandono che ci salva da ogni solitudine e desolazione. Fratelli e sorelle, chiediamo oggi questa grazia: di saper amare Gesù abbandonato e di saper amare Gesù in ogni abbandonato, in ogni abbandonata. Chiediamo la grazia di saper vedere, di saper riconoscere il Signore che ancora grida in loro. Non permettiamo che la sua voce si perda nel silenzio assordante dell’indifferenza. Non siamo stati lasciati soli da Dio; prendiamoci cura di chi viene lasciato solo. Allora, soltanto allora, faremo nostri i desideri e i sentimenti di Colui che per noi «svuotò se stesso» (Fil 2,7). Si svuotò totalmente per noi.

[00532-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

« Mon Dieu, mon Dieu, pourquoi m'as-tu abandonné ? » (Mt 26, 46). C'est l'invocation que la liturgie d'aujourd'hui nous a fait répéter dans le Psaume responsorial (Cf. Ps 22, 2) et c'est la seule prononcée sur la croix par Jésus dans l'Évangile que nous avons entendu. Ce sont donc les paroles qui nous conduisent au cœur de la passion du Christ, au point culminant des souffrances qu'il a endurées pour nous sauver. “Pourquoi m'as-tu abandonné ?”

Les souffrances de Jésus ont été nombreuses, et chaque fois que nous écoutons le récit de la passion, elles nous pénètrent. Il y a eu les souffrances du corps : pensons aux gifles, aux coups, à la flagellation, à la couronne d'épines, jusqu'à la torture de la croix. Il y a eu les souffrances de l'âme : la trahison de Judas, les reniements de Pierre, les condamnations religieuses et civiles, les railleries des gardes, les insultes sous la croix, le rejet de beaucoup de gens, l'échec de tout, l'abandon des disciples. Pourtant, dans toute cette souffrance, il reste à Jésus une certitude : la proximité du Père. Mais voilà que l'impensable se produit : avant de mourir, il s'écrie : « Mon Dieu, mon Dieu, pourquoi m'as-tu abandonné ? ». L’abandon de Jésus.

Voici la souffrance la plus déchirante, c’est la souffrance de l'esprit : à l'heure la plus tragique, Jésus fait l'expérience de l'abandon de Dieu. Jamais auparavant il n'avait appelé le Père par le nom générique de Dieu. Pour nous transmettre la force de cet événement, l'Évangile rapporte la phrase également en araméen : c'est la seule, parmi celles prononcées par Jésus sur la croix qui nous parvient dans la langue originale. L'événement est l'abaissement extrême, c’est-à-dire l’abandon de son Père, l’abandon de Dieu. Le Seigneur vient souffrir par amour pour nous, comme il est difficile pour nous de le comprendre. Il voit le ciel fermé, il expérimente l'amère frontière de la vie, le naufrage de l'existence, l'effondrement de toute certitude : il crie "le pourquoi des pourquoi". “Toi, Dieu, pourquoi ?”

Mon Dieu, mon Dieu, pourquoi m'as-tu abandonné ? Le verbe "abandonner" dans la Bible est fort ; il apparaît dans des moments de douleur extrême : dans les amours manquées, rejetées et trahies ; dans les enfants rejetés et avortés ; dans les situations de répudiation, de veuvage et d'orphelinat ; dans les mariages épuisés, dans les exclusions qui privent des liens sociaux, dans l'oppression de l'injustice et dans la solitude de la maladie : bref, dans les lacérations les plus implacables des liens. Là, on dit ce mot : “abandon”. Le Christ a porté cela sur la croix, en prenant sur lui le péché du monde. Et au point culminant, Lui, le Fils unique et bien-aimé, fait l'expérience de la situation qui Lui était la plus étrangère : l’abandon, l'éloignement de Dieu.

Et pourquoi en est-il arrivé là ? Pour nous, il n’y a pas d’autre réponse. Pour nous. Frères et sœurs, aujourd’hui ce n’est pas un spectacle. En écoutant l’abandon de Jésus, que chacun de nous se dise : pour moi. Cet abandon est le prix qu’il a payé pour moi. Il s’est fait solidaire avec chacun de nous jusqu'à l'extrême, pour être avec nous jusqu'à la fin. Il a connu l'abandon pour ne pas nous laisser otages de la désolation et pour être à nos côtés pour toujours. Il l'a fait pour moi, pour toi, pour que lorsque moi, toi ou n'importe qui d'autre se voit le dos au mur, perdu dans une impasse, plongé dans l'abîme de l'abandon, aspiré dans le tourbillon des nombreux "pourquoi" sans réponse, il y ait une espérance. Lui, pour toi, pour moi. Ce n'est pas la fin, car Jésus est passé par là et il est maintenant avec toi : Lui qui a souffert la distance de l'abandon pour accueillir dans son amour toutes nos distances. Pour que chacun de nous puisse dire : dans mes chutes – chacun de nous est tombé plusieurs fois –, dans ma désolation, quand je me sens trahi, ou quand j’ai trahi les autres, quand je me sens rejeté ou quand j’ai rejeté les autres, quand je me sens abandonné ou quand j’ai abandonné les autres, pensons qu’Il a été abandonné, trahi, rejeté. Et là nous Le trouvons. Quand je me sens mal et perdu, quand je n’y arrive plus, Il est avec moi ; dans mes nombreux pourquoi sans réponse, Il est là.

C'est ainsi que le Seigneur nous sauve, à partir de nos "pourquoi". C'est à partir de là qu'il entrouvre l'espérance qui ne déçoit pas. En effet, sur la croix, alors qu'il ressent un extrême abandon, il ne se laisse pas aller au désespoir – c’est la limite –, mais il prie et se confie. Il crie son "pourquoi" avec les mots d'un psaume (22, 2) et s'abandonne entre les mains du Père, même s'il le sent loin (cf. Lc 23, 46) ou il ne le sent pas car il se trouve abandonné. Dans l'abandon, il se confie. Dans l'abandon, il continue à aimer les siens qui l'avaient laissé seul. Dans l’abandon, il pardonne à ceux qui l’ont crucifié (v. 34). Voilà que l'abîme de nos nombreux maux est plongé dans un amour plus grand, de sorte que toute séparation se transforme en communion.

Frères et sœurs, un tel amour total pour nous, jusqu'au bout, l’amour de Jésus est capable de transformer nos cœurs de pierre en cœurs de chair. C’est un amour de pitié, de tendresse, de compassion. Le style de Dieu est ceci : proximité, compassion et tendresse. Dieu est ainsi. Le Christ abandonné nous pousse à le chercher et à l'aimer dans les personnes abandonnées. Car en elles, il n'y a pas seulement des nécessiteux, mais il y a Lui, Jésus abandonné, Celui qui nous a sauvés en descendant au plus profond de notre condition humaine. Il est avec chacun d’eux, abandonnés jusqu’à la mort... Je pense à cet homme dit “de la rue”, allemand, qui mourut sous la colonnade, seul, abandonné. C’est Jésus pour chacun de nous. Beaucoup ont besoin de notre proximité, beaucoup sont abandonnés. J’ai aussi besoin que Jésus me caresse et s’approche de moi, et c’est pourquoi je vais le trouver dans les abandonnés, dans les personnes seules. Il veut que nous nous occupions des frères et des sœurs qui Lui ressemblent le plus, dans les situations extrêmes de douleur et de solitude. Aujourd’hui, chers frères et sœurs, il y a tant de "christs abandonnés". Des peuples entiers sont exploités et abandonnés à eux-mêmes ; des pauvres dont nous n’avons pas le courage de croiser le regard vivent aux carrefours de nos rues ; il y a des migrants qui n’ont plus de visages mais qui sont des numéros ; il y a des prisonniers qui sont rejetés, des personnes qui sont cataloguées comme un problème. Mais aussi tant de christs invisibles, cachés, abandonnés, sont rejetés avec des gants blancs : des enfants à naître, des personnes âgées laissées seules – ça peut être ton père, ta mère peut-être, le grand-père, la grand-mère, abandonnés dans les instituts gériatriques –, des malades non visités, des handicapés ignorés, des jeunes qui ressentent un grand vide intérieur sans que personne n'écoute vraiment leur cri de souffrance. Et ils ne trouvent pas d’autre voie que le suicide. Les abandonnés d’aujourd’hui. Les christs d’aujourd’hui.

Jésus abandonné nous demande d'avoir des yeux et un cœur pour les personnes abandonnées. Pour nous, disciples de l’Abandonné, personne ne peut être marginalisé, personne ne peut être laissé à lui-même ; parce que, rappelons-nous, les rejetés et les exclus sont des icônes vivantes du Christ, ils nous rappellent son amour fou, son abandon qui nous sauve de toute solitude et de toute désolation. Frères et sœurs, demandons cette grâce aujourd'hui : savoir aimer Jésus abandonné et savoir aimer Jésus dans toute personne abandonnée, dans toute personne abandonnée. Demandons la grâce de savoir regarder, de savoir reconnaître le Seigneur qui crie encore en eux. Ne laissons pas sa voix se perdre dans le silence assourdissant de l'indifférence. Dieu ne nous a pas laissés seuls ; prenons soin de ceux qui sont laissés seuls. Alors, seulement, nous ferons nôtres les désirs et les sentiments de Celui qui, pour nous, "s'est dépouillé lui-même" (Ph 2, 7). Il s’est dépouillé totalement pour nous.

[00539-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

“My God, my God, why have you forsaken me?” (Mt 27:46). This is the cry that today’s liturgy has us repeat in the responsorial psalm (cf. Ps 22:2), the only cry that Jesus makes from the cross in the Gospel we have heard. Those words bring us to the very heart of Christ’s passion, the culmination of the sufferings he endured for our salvation. “Why have you forsaken me?”.

The sufferings of Jesus were many, and whenever we listen to the account of the Passion, they pierce our hearts. There were sufferings of the body: let us think of the slaps and beatings, the flogging and the crowning with thorns, and in the end, the cruelty of the crucifixion. There were also sufferings of the soul: the betrayal of Judas, the denials of Peter, the condemnation of the religious and civil authorities, the mockery of the guards, the jeering at the foot of the cross, the rejection of the crowd, utter failure and the flight of the disciples. Yet, amid all these sorrows, Jesus remained certain of one thing: the closeness of the Father. Now, however, the unthinkable has taken place. Before dying, he cries out: “My God, my God, why have you forsaken me?” The forsakenness of Jesus.

This is the most searing of all sufferings, the suffering of the spirit. At his most tragic hour, Jesus experiences abandonment by God. Prior to that moment, he had never called the Father by his generic name, “God”. To convey the impact of this, the Gospel also reports his words in Aramaic. These are the only words of Jesus from the cross that have come down to us in the original language. The real event is the extreme abasement, being forsaken by the Father, forsaken by God. We find it hard even to grasp what great suffering he embraced out of love for us. He sees the gates of heaven close, he finds himself at the bitter edge, the shipwreck of life, the collapse of certainty. And he cries out: “Why?” A “why” that embraces every other “why” ever spoken. “Why, God?”.

“My God, my God, why have you forsaken me?” In the Bible, the word “forsake” is powerful. We hear it at moments of extreme pain: love that fails, or is rejected or betrayed; children who are rejected and aborted; situations of repudiation, the lot of widows and orphans; broken marriages, forms of social exclusion, injustice and oppression; the solitude of sickness. In a word, in the drastic severing of the bonds that unite us to others. There, this word is spoken: “abandonment”. Christ brought all of this to the cross; upon his shoulders, he bore the sins of the world. And at the supreme moment, Jesus, the only-begotten, beloved Son of the Father, experienced a situation utterly alien to his very being: abandonment, the distance of God.

Why did it have to come to this? He did it for us. There is no other answer. For us. Brothers and sisters, today this is not merely a show. Every one of us, hearing of Jesus’ abandonment, can say: for me. This abandonment is the price he paid for me. He became one with each of us in order to be completely and definitively one with us to the very end. He experienced abandonment in order not to leave us prey to despair, in order to stay at our side forever. He did this for me, for you, because whenever you or I or anyone else seems pinned to the wall, lost in a blind alley, plunged into the abyss of abandonment, sucked into a whirlwind of so many “whys” without an answer, there can still be a hope: Jesus himself, for you, for me. It is not the end, because Jesus was there and even now, he is at your side. He endured the distance of abandonment in order to take up into his love every possible distance that we can feel. So that each of us might say: in my failings, and each of us has failed many times, in my desolation, whenever I feel betrayed or betrayed others, whenever I feel cast aside or have cast aside others, whenever I feel forsaken or have abandoned others, let us think of Jesus, who was abandoned, betrayed and cast aside. There, we find him. When I feel lost and confused, when I feel that I can’t go on, he is beside me. Amid all my unanswered questions “why...?”, he is there.

That is how the Lord saves us, from within our questioning “why?” From within that questioning, he opens the horizon of hope that does not disappoint. On the cross, even as he felt utter abandonment – this is the ultimate end – Jesus refused to yield to despair; instead, he prayed and trusted. He cried out his “why?” in the words of the Psalm (22:2), and commended himself into the hands of the Father, despite how distant he felt him to be (cf. Lk 23:46) or rather, whom he did not feel, for instead he felt himself abandoned. In the hour of his abandonment, Jesus continued to trust. At the hour of abandonment, he continued to love his disciples who had fled, leaving him alone. In his abandonment he forgave those who crucified him (v. 34). Here we see the abyss of our many evils immersed in a greater love, with the result that our isolation becomes fellowship.

Brothers and sisters, a love like this, embracing us totally and to the very end, the love of Jesus, can turn our stony hearts into hearts of flesh. His is a love of mercy, tenderness and compassion. This is God’s style: closeness, compassion and tenderness. God is like this. Christ, in his abandonment, stirs us to seek him and to love him and those who are themselves abandoned. For in them we see not only people in need, but Jesus himself, abandoned: Jesus, who saved us by descending to the depths of our human condition. He is with each of them, abandoned even to death… I think of the German so-called “street person”, who died under the colonnade, alone and abandoned. He is Jesus for each of us. So many need our closeness, so many are abandoned. I too need Jesus to caress me and draw close to me, and for this reason I go to find him in the abandoned, in the lonely. He wants us to care for our brothers and sisters who resemble him most, those experiencing extreme suffering and solitude. Today, dear brothers and sisters, their numbers are legion. Entire peoples are exploited and abandoned; the poor live on our streets and we look the other way; there are migrants who are no longer faces but numbers; there are prisoners who are disowned; people written off as problems. Countless other abandoned persons are in our midst, invisible, hidden, discarded with white gloves: unborn children, the elderly who live alone: they could perhaps be your father or mother, your grandfather or grandmother, left alone in retirement homes, the sick whom no one visits, the disabled who are ignored, and the young burdened by great interior emptiness, with no one prepared to listen to their cry of pain. And they find no path other than suicide. The abandoned of our day. The “Christs” of our day.

Jesus, in his abandonment, asks us to open our eyes and hearts to all who find themselves abandoned. For us, as disciples of the “forsaken” Lord, no man, woman or child can be regarded as an outcast, no one left to himself or herself. Let us remember that the rejected and the excluded are living icons of Christ: they remind us of his reckless love, his forsakenness that delivers us from every form of loneliness and isolation. Brothers and sisters, today let us implore this grace: to love Jesus in his abandonment and to love Jesus in the abandoned all around us. Let us ask for the grace to see and acknowledge the Lord who continues to cry out in them. May we not allow his voice to go unheard amid the deafening silence of indifference. God has not left us alone; let us care, then, for those who feel alone and abandoned. Then, and only then, will we be of one mind and heart with the one who, for our sake, “emptied himself” (Phil 2:7). He emptied himself completely for us.

[00532-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

»Mein Gott, mein Gott, warum hast du mich verlassen?« (Mt 27,46). Das ist die Anrufung Gottes, die uns die Liturgie heute im Antwortpsalm hat wiederholen lassen (vgl. Ps 22,2), und es ist die einzige, die Jesus im eben gehörten Evangelium am Kreuz ausgesprochen hat. Es sind also die Worte, die uns in die Mitte der Passion Christi führen, zum Höhepunkt der Leiden, die er ertragen hat, um uns zu retten. „Warum hast du mich verlassen?“

Die Leiden Jesu waren viele und jedes Mal, wenn wir die Passionsgeschichte hören, berühren sie uns zutiefst. Es waren körperliche Leiden: denken wir an die Ohrfeigen, an die Schläge, an die Geißelung, an die Dornenkrone, an die Marter des Kreuzes. Es waren seelische Leiden: der Verrat durch Judas, die Verleugnung durch Petrus, die Verurteilungen von religiöser und weltlicher Seite, die Verspottung durch die Wachen, die Beleidigungen unter dem Kreuz, die Ablehnung durch so viele, das gänzliche Scheitern, die Verlassenheit durch die Jünger. Doch in all diesem Schmerz blieb Jesus eine Gewissheit: die Nähe des Vaters. Doch nun geschieht das Undenkbare; bevor er stirbt, schreit er: »Mein Gott, mein Gott, warum hast du mich verlassen?«. Die Verlassenheit Jesu.

Dies ist das schmerzhafteste Leiden, es ist das geistliche Leiden: In der tragischsten Stunde erlebt Jesus das Gefühl von Gott verlassen zu sein. Nie zuvor hatte er den Vater mit dem allgemeinen Namen Gott angerufen. Um uns die Wucht dieses Ereignisses zu vermitteln, gibt das Evangelium den Satz auch auf Aramäisch wieder: Dieser ist der einzige von den Sätzen, die Jesus am Kreuz gesagt hat, der uns in der Originalsprache überliefert ist. Das reale Ereignis ist die extreme Erniedrigung, also die Verlassenheit durch seinen Vater, die Verlassenheit durch Gott. Der Herr leidet aus Liebe zu uns so sehr, dass es für uns schwierig ist, es überhaupt zu begreifen. Er sieht den Himmel verschlossen, er erlebt die bittere Grenze des Lebens, den Schiffbruch der Existenz, den Zusammenbruch jeder Gewissheit: er schreit dieses „Warum“ schlechthin. „Du, Gott, warum?“

Mein Gott, mein Gott, warum hast du mich verlassen? Das Verb „verlassen“ ist in der Bibel ein starkes Wort; es taucht in Momenten extremen Schmerzes auf: bei gescheiterter, zurückgewiesener und verratener Liebe; bei verstoßenen und totgeborenen Kindern; in Situationen der Ablehnung, des Witwen- und des Waisendaseins; bei ermüdeten Ehen, beim Ausgeschlossensein von sozialen Beziehungen, bei Unterdrückung durch Ungerechtigkeit und bei Einsamkeit aufgrund von Krankheit: kurz gesagt, bei einem besonders drastischen Zerreißen von Beziehungen. Dort sagt man dieses Wort: „Verlassenheit“. Christus hat dies mitgenommen ans Kreuz, indem er die Sünde der Welt auf sich genommen hat. Und schließlich erlebte er, der eingeborene und geliebte Sohn, diese ihm absolut fremde Situation: die Verlassenheit, die Gottesferne.

Und warum ist er so weit gegangen? Für uns, es gibt keine andere Antwort. Für uns. Brüder und Schwestern, dies ist heute keine Aufführung. Wenn wir von der Verlassenheit Jesu hören, sage jeder von uns zu sich: für mich. Diese Verlassenheit ist der Preis, den er für mich bezahlt hat. Er hat sich bis zum Äußersten mit einem jeden von uns solidarisiert, um bis zum Äußersten bei uns zu sein. Er durchlebte die Verlassenheit, um uns nicht als Geiseln der Verzweiflung zurückzulassen und um für immer an unserer Seite zu bleiben. Er hat das für mich getan, für dich, damit es eine Hoffnung gibt, wenn ich, du oder irgendjemand anders erlebt, dass er mit dem Rücken zur Wand steht, dass er sich in einer Sackgasse verirrt hat, dass er in den Abgrund der Verlassenheit gestürzt ist oder in den Strudel der vielen unbeantworteten Fragen nach dem „Warum“ hineingezogen wurde. Er, für dich, für mich. Es ist nicht das Ende, denn Jesus ist dort gewesen und jetzt ist er bei dir: Er, der die Ferne der Verlassenheit erlitten hat, um in seiner Liebe all unser Fernsein aufzunehmen. Damit jeder von uns sagen kann: In meinem Hinfallen – ein jeder von uns ist viele Mal hingefallen –, in meiner Verzweiflung, wenn ich mich verraten fühle oder andere verraten habe, wenn ich mich verstoßen fühle oder andere verstoßen habe, wenn ich mich verlassen fühle oder andere verlassen habe, denken wir daran, dass er verlassen, verraten, verstoßen worden ist. Und dort finden wir ihn. Wenn ich mich verirrt und verloren fühle, wenn meine Kräfte versagen, ist er mit mir; in meinen vielen unbeantworteten Fragen nach dem „Warum“ ist er da.

So rettet uns der Herr, aus dem Inneren unserer „Warum“-Fragen. Von dort aus eröffnet er uns die Hoffnung, die nicht enttäuscht. Denn als er am Kreuz die äußerste Verlassenheit erlebt, überlässt er sich nicht der Verzweiflung – das ist die Grenze –, sondern er betet und vertraut. Er schreit sein „Warum“ mit den Worten eines Psalms (22,2) heraus und überlässt sich den Händen des Vaters, auch wenn er das Gefühl hat, dieser sei weit weg (vgl. Lk 23,46) oder ihn nicht spürt, weil er verlassen ist. In der Verlassenheit vertraut er. In der Verlassenheit liebt er weiterhin die Seinen, die ihn allein gelassen hatten. In der Verlassenheit vergibt er denen, die ihn ans Kreuz gebracht hatten (V. 34). Hier wird der Abgrund unserer vielen Bosheiten in eine größere Liebe getaucht, so dass all unsere Spaltung in Gemeinschaft verwandelt wird.

Schwestern und Brüder, eine solche Liebe, ganz für uns, bis zum Letzten, die Liebe Jesu ist in der Lage, unsere Herzen aus Stein in Herzen aus Fleisch zu verwandeln. Es ist eine Liebe des Mitleids, der Zärtlichkeit und des Mitgefühls. Der Stil Gottes ist dieser: Nähe, Zärtlichkeit, Mitgefühl. So ist Gott. Der verlassene Christus bewegt uns dazu, ihn in den Verlassenen zu suchen und zu lieben. Denn bei ihnen handelt es sich nicht allein um Bedürftige, sondern auch um ihn, den verlassenen Jesus, denjenigen, der uns gerettet hat, indem er bis in die Tiefen unseres Menschseins hinabgestiegen ist. Er ist bei einem jeden von ihnen, verlassen bis zum Tod... Ich denke an den so genannten „Mann von der Straße“, den Deutschen, der unter den Kolonnaden starb, allein, verlassen. Er ist Jesus für einen jeden von uns. So viele brauchen unsere Nähe, so viele Verlassene. Auch ich brauche Jesus, der mich streichelt und mir nahe kommt, und deshalb gehe ich zu ihm in den Verlassenen, in den Einsamen. Er möchte, dass wir uns um die Brüder und Schwestern kümmern, die ihm in seinem extremen Schmerz und in seiner Einsamkeit am ähnlichsten sind. Heute, liebe Brüder und Schwestern, gibt es so manchen „verlassenen Christus“. Es gibt ganze Völker, die ausgebeutet und sich selbst überlassen werden; es gibt arme Menschen, die an den Kreuzungen unserer Straßen leben und deren Blicken wir nicht zu begegnen wagen; es gibt Migranten, die keine Personen mehr sind, sondern Nummern; es gibt abgewiesene Gefangene, Menschen, die als Problem katalogisiert werden. Aber es gibt auch so manchen verlassenen Christus, der unsichtbar ist und versteckt und mit weißen Handschuhen aussortiert wird: ungeborene Kinder, ältere Menschen, die allein gelassen werden - es könnte dein Vater sein, deine Mutter vielleicht, der Opa, die Oma, die in Pflegeeinrichtungen verlassen worden sind –, Kranke, die nicht besucht werden, Behinderte, die ignoriert werden, junge Menschen, die eine große Leere in sich verspüren, ohne dass jemand wirklich ihren Schmerzensschrei hört. Und sie finden keinen anderen Weg als die Selbsttötung. Die Verlassenen von heute. So mancher Christus von heute.

Der verlassene Jesus fordert uns auf, Augen und ein Herz für die Verlassenen zu haben. Für uns, die Jünger des verlassenen Herrn, darf niemand ausgegrenzt und niemand sich selbst überlassen werden; denn – denken wir daran – die Abgelehnten und Ausgeschlossenen sind lebendige Bilder Christi, sie erinnern uns an seine verrückte Liebe, an seine Verlassenheit, die uns aus aller Einsamkeit und Trostlosigkeit rettet. Schwestern und Brüder, bitten wir heute um diese Gnade: Den verlassenen Jesus lieben zu können und Jesus in jedem verlassenen Menschen lieben zu können. Bitten wir um die Gnade, den Herrn sehen und erkennen zu können, der noch immer in ihnen schreit. Lassen wir nicht zu, dass sich seine Stimme in der ohrenbetäubenden Stille der Gleichgültigkeit verliert. Wir sind von Gott nicht allein gelassen worden; kümmern wir uns um jene, die allein gelassen werden. Dann, nur dann, werden wir uns die Wünsche und Gefühle dessen zu eigen machen, der sich um unseretwillen »entäußerte« (Phil 2,7). Für uns entäußerte er sich vollkommen.

[00532-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

«Dios mío, Dios mío, ¿por qué me has abandonado?» (Mt 27,46). Es la invocación que la Liturgia nos hace repetir hoy en el Salmo responsorial (cf. Sal 22,2) y es la única pronunciada en la cruz por Jesús en el Evangelio que hemos escuchado. Son, pues, las palabras que nos llevan al corazón de la pasión de Cristo, al punto culminante de los sufrimientos que padeció para salvarnos. “¿Por qué me has abandonado?”

El sufrimiento de Jesús fue grande y cada vez que escuchamos el relato de la pasión nos conmueve. Sufrió en el cuerpo: pensemos en las bofetadas, en los golpes, en la flagelación, en la corona de espinas, en el suplicio de la cruz. Sufrió en el alma: la traición de Judas, las negaciones de Pedro, las condenas religiosas y civiles, las burlas de los guardias, los insultos bajo la cruz, el rechazo de muchos, el fracaso de todo, el abandono de los discípulos. Sin embargo, en todo este dolor, a Jesús le quedaba una certeza: la cercanía del Padre. Pero ahora sucede lo impensable; antes de morir grita: «Dios mío, Dios mío, ¿por qué me has abandonado?». El abandono de Jesús.

Este es el sufrimiento más lacerante, es el sufrimiento del espíritu; en la hora más trágica, Jesús experimenta el abandono de Dios. Nunca antes había llamado al Padre con el nombre genérico de Dios. Para transmitirnos la fuerza de aquel acontecimiento, el Evangelio indica la frase también en arameo; es la única, entre las pronunciadas por Jesús en la cruz, que nos llega en la lengua original. El acontecimiento real es el abajamiento extremo, es decir, el abandono de su Padre, el abandono de Dios. El Señor llega a sufrir por amor a nosotros, lo que nos es difícil incluso de comprender. Ve el cielo cerrado, experimenta la amarga frontera del vivir, el naufragio de la existencia, el derrumbamiento de toda certeza. Grita el “por qué” de los “por qué”. “Dios mío, ¿por qué?”

Dios mío, Dios mío, ¿por qué me has abandonado? El verbo “abandonar” en la Biblia es fuerte; aparece en momentos de extremo dolor: en amores fracasados, negados y traicionados; en hijos rechazados y abortados; en situaciones de repudio, viudez y orfandad; en matrimonios agotados, en exclusiones que privan de vínculos sociales, en la opresión de la injusticia y la soledad de la enfermedad. En fin, en las más dramáticas heridas de las relaciones. Ahí se dice esta palabra: “abandono”. Cristo llevó todo ello a la cruz, tomando sobre sí el pecado del mundo. Y en el momento culminante, el Hijo unigénito y amado experimentó la situación que le era más ajena: el abandono, la lejanía de Dios.

¿Y por qué llegó a ese punto? Por nosotros, no existe otra respuesta. Por nosotros. Hermanos y hermanas, hoy esto no es un espectáculo. Que cada uno, sintiendo el abandono de Jesús, se diga a sí mismo: por mí. Este abandono es el precio que pagó por mí. Se hizo solidario con cada uno de nosotros hasta el extremo, para estar con nosotros hasta las últimas consecuencias. Experimentó el abandono para no dejarnos rehenes de la desolación y estar a nuestro lado para siempre. Lo hizo por ti, por mí, para que cuando tú, yo, o cualquiera se vea entre la espada y la pared, perdido en un callejón sin salida, sumido en el abismo del abandono, absorbido por el torbellino de los tantos “por qué” sin respuesta, pueda tener una esperanza. Él, por ti, por mí. No es el final, porque Jesús ha estado allí y está ahora contigo. Él, que sufrió el alejamiento del abandono para acoger en su amor todos nuestros distanciamientos. Para que cada uno de nosotros pueda decir: en mis caídas ―todos hemos caído tantas veces―, en mi desolación, cuando me siento traicionado o he traicionado a los demás, cuando me siento descartado o he descartado a los demás, cuando me siento y abandonado o he abandonado a los demás, pensemos que Él fue abandonado, traicionado, descartado. Y ahí lo encontramos a Él. Cuando me siento errado y perdido, cuando ya no puedo más, Él está conmigo, en mis tantos “por qué” sin respuesta, Él está ahí.

Así es como el Señor nos salva, desde el interior de nuestros “por qué”. Desde ahí despliega la esperanza que no defrauda. En la cruz, de hecho, aunque se sienta abandonado completamente, no cede a la desesperación ―este es el límite―, sino que reza y se encomienda. Grita su “por qué” con las palabras de un salmo (22,2) y se entrega en las manos del Padre, aun sintiéndolo lejano (cf. Lc 23,46) o no lo siente porque se encuentra abandonado. En el abandono se entrega. En el abandono sigue amando a los suyos que lo habían dejado solo. En el abandono perdona a los que lo crucifican (v. 34). Así es como el abismo de nuestras muchas maldades se hunde en un amor más grande, de modo que toda nuestra separación se transforma en comunión.

Hermanos y hermanas, un amor así, todo para nosotros, hasta el extremo, el amor de Jesús, es capaz de transformar nuestros corazones de piedra en corazones de carne. Es un amor de piedad, de ternura, de compasión. Este es el estilo de Dios: cercanía, compasión y ternura. Así es Dios. Cristo abandonado nos mueve a buscarlo y amarlo en los abandonados. Porque en ellos no sólo hay personas necesitadas, sino que está Él, Jesús abandonado, Aquel que nos salvó descendiendo hasta lo más profundo de nuestra condición humana. Está con cada uno de ellos, abandonados hasta la muerte. Pienso en aquel hombre alemán, indigente, que murió en la columnata de la plaza, solo, abandonado. Ese es Jesús para cada uno de nosotros. Muchos necesitan nuestra cercanía, muchos abandonados. Yo también necesito que Jesús me acaricie y se me acerque, es por eso que voy a buscarlo en los que están abandonados, solos. Él quiere que cuidemos de los hermanos y de las hermanas que más se asemejan a Él, en el momento extremo del dolor y la soledad. Hoy, queridos hermanos y hermanas, hay tantos “cristos abandonados”. Hay pueblos enteros explotados y abandonados a su suerte; hay pobres que viven en los cruces de nuestras calles, con quienes no nos atrevemos a cruzar la mirada; hay emigrantes que ya no son rostros sino números; hay presos rechazados, personas catalogadas como problema. Pero también hay tantos cristos abandonados invisibles, escondidos, que son descartados con guante blanco: niños no nacidos, ancianos que han sido dejados solos ―que tal vez pueden ser tu papá, tu mamá, tu abuelo o tu abuela, abandonados en los institutos geriátricos―, enfermos no visitados, discapacitados ignorados, jóvenes que sienten un gran vacío interior sin que nadie escuche realmente su grito de dolor. Y no encuentran otro camino más que el del suicidio. Los abandonados de hoy. Los cristos de hoy.

Jesús abandonado nos pide que tengamos ojos y corazón para los abandonados. Para nosotros, discípulos del Abandonado, nadie puede ser marginado; nadie puede ser abandonado a su suerte. Porque, recordémoslo, las personas rechazadas y excluidas son iconos vivos de Cristo. Nos recuerdan la locura de su amor, su abandono que nos salva de toda soledad y desolación. Hermanos y hermanas, pidamos hoy la gracia de saber amar a Jesús abandonado y saber amar a Jesús en cada persona abandonada. Pidamos la gracia de saber ver, de saber reconocer al Señor que sigue gritando en ellos. No dejemos que su voz se pierda en el silencio ensordecedor de la indiferencia. Dios no nos ha dejado solos; cuidemos de aquellos que han sido dejados solos. Entonces, sólo entonces, haremos nuestros los deseos y los sentimientos de Aquel que por nosotros «se anonadó a sí mismo» (Flp 2,7). Se anonadó totalmente por nosotros.

[00532-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

«Meu Deus, meu Deus, porque Me abandonaste?» (Mt 27, 46): é a invocação que a Liturgia nos fez repetir hoje no Salmo Responsorial (cf. Sal 22/21, 2), sendo também – no Evangelho que ouvimos – a única pronunciada na cruz por Jesus. Representam, pois, as palavras que nos conduzem ao coração da paixão de Cristo, ao ponto culminante dos sofrimentos que padeceu para nos salvar. «Porque Me abandonaste?».

Muitos foram os sofrimentos de Jesus e, sempre que ouvimos a narração da paixão, penetram-nos na alma. Foram sofrimentos do corpo: pensemos nas bofetadas, nas pancadas, na flagelação, na coroa de espinhos, na tortura da cruz. Foram sofrimentos da alma: a traição de Judas, as negações de Pedro, as condenações religiosa e civil, a zombaria dos guardas, os insultos ao pé da cruz, a rejeição de tantos, a falência de tudo, o abandono dos discípulos. E contudo, no meio de todo este sofrimento, restava a Jesus uma certeza: a proximidade do Pai. Mas agora acontece o impensável; antes de morrer, clama: «Meu Deus, meu Deus, porque Me abandonaste?» O abandono de Jesus.

Estamos perante o sofrimento mais dilacerante, que é o sofrimento do espírito: na hora mais trágica, Jesus experimenta o abandono por parte de Deus. Antes disto, nunca chamara o Pai pelo nome genérico de Deus. Para nos fazer sentir a intensidade daquele momento, o Evangelho apresenta a frase também em aramaico; dentre as palavras pronunciadas por Jesus na cruz, esta é a única que nos chega na língua original. O acontecimento real é o abaixamento extremo, ou seja, o abandono de seu Pai, o abandono de Deus. Aquilo que o Senhor chega a sofrer por nosso amor, até temos dificuldade de o entender. Vê o céu fechado, experimenta o viver no seu amargo limite, o naufrágio da existência, o colapso de toda a certeza: grita «o porquê dos porquês». «Tu, ó Deus, porquê?»

«Meu Deus, meu Deus, porque Me abandonaste?» Na Bíblia, o verbo «abandonar» é forte; aparece em momentos de dor extrema: em amores fracassados, rejeitados e traídos; em filhos enjeitados e abortados; em situações de repúdio, viuvez e orfandade; em casamentos gorados, em exclusões que privam dos laços sociais, na opressão da injustiça e na solidão da doença. Em suma, nas mais drásticas dilacerações dos vínculos, aplica-se esta palavra: «abandono». Cristo levou tudo isto para a cruz, ao carregar sobre Si o pecado do mundo. E, no auge, Ele – Filho unigénito e predileto – experimentou a situação mais estranha no seu caso: o abandono, a distância de Deus.

E porque foi tão longe? Por nós; não há outra resposta. Por nós. Irmãos e irmãs, isto hoje não é um espetáculo. Cada um de nós, ouvindo referir o abandono sofrido por Jesus, diga para si mesmo: por mim. Este abandono é o preço que pagou por mim. Fez-Se solidário com cada um de nós até ao ponto extremo, para estar connosco até ao fim. Experimentou o abandono para não nos deixar reféns da desolação e permanecer ao nosso lado para sempre. Fê-lo por mim, por ti, para que, quando eu, tu ou qualquer outro se vir encurralado à parede, perdido num beco sem saída, precipitado no abismo do abandono, sorvido no redemoinho de tantos «porquês» sem resposta, saibamos que há uma esperança: Ele, uma esperança para ti, para mim. Não é o fim, porque Jesus esteve ali e agora está contigo: Ele que sofreu a distância causada pelo abandono para acolher no seu amor todas as nossas distâncias. A fim de que possa cada um de nós dizer: nas minhas quedas (cada um de nós caiu tantas vezes!), na minha desolação, quando me sinto traído ou traí os outros, quando me sinto descartado ou descarto os outros, quando me sinto abandonado ou abandonei os outros, pensemos que Ele foi abandonado, traído, descartado. Nisto encontramo-Lo a Ele. Quando me sinto transviado e perdido, quando não aguento mais, Ele está comigo; nos meus tantos porquês sem resposta, Ele está neles.

É assim que o Senhor nos salva: a partir de dentro dos nossos «porquês». De lá, descerra a esperança que não desilude. De facto, na cruz, enquanto experimenta o abandono extremo, não Se deixa cair no desespero – este é o limite –, mas reza e entrega-Se: grita o seu «porquê» com as palavras de um Salmo (22/21, 2) e entrega-Se nas mãos do Pai, embora O sinta distante (cf. Lc 23, 46) ou nem O sinta sequer, porque Se encontra abandonado. No abandono, entrega-Se. No abandono, continua a amar os Seus que O deixaram sozinho. No abandono, perdoa aos que O crucificaram (cf. Lc 23, 34). E assim o abismo dos nossos inúmeros males é imerso num amor maior, de tal modo que cada uma das nossas separações se transforma em comunhão.

Irmãos e irmãs, um amor assim como o de Jesus, que dá tudo por nós, até ao fim, é capaz de transformar os nossos corações de pedra em corações de carne. É um amor de piedade, ternura e compaixão. Este é o estilo de Deus: proximidade, compaixão e ternura. Deus é assim. Cristo, abandonado, impele-nos a procurá-Lo e a amá-Lo nos abandonados. Porque neles, não temos apenas necessitados, mas temo-Lo a Ele, Jesus Abandonado, Aquele que nos salvou descendo até ao fundo da nossa condição humana. Ele está com cada um deles, abandonados até à morte... Penso naquele homem dito «vadio por estrada», alemão, que morreu sob a colunata, sozinho, abandonado. É Jesus para cada um de nós. Muitos precisam da nossa proximidade, tantos abandonados. Também eu preciso que Jesus me acaricie e Se aproxime de mim, e, para isso, vou encontrá-Lo nos abandonados, nas pessoas sozinhas. Ele deseja que cuidemos dos irmãos e irmãs que mais se parecem com Ele, com Ele no ato extremo do sofrimento e da solidão. Hoje, queridos irmãos e irmãs, há tantos «cristos abandonados». Há povos inteiros explorados e deixados à própria sorte; há pobres que vivem nas encruzilhadas das nossas estradas e cujo olhar não temos a coragem de fixar; há migrantes, que já não são rostos, mas números; há reclusos rejeitados, pessoas catalogadas como problema. Mas há também muitos cristos abandonados invisíveis, escondidos, que são descartados de forma «elegante»: crianças nascituras, idosos deixados sozinhos – podem porventura ser o teu pai, a tua mãe, o avô, a avó, abandonados nos lares de terceira idade –, doentes não visitados, pessoas portadoras de deficiência ignoradas, jovens que sentem dentro um grande vazio sem que ninguém escute verdadeiramente o seu grito de dor. E não encontram outra estrada senão o suicídio. Os abandonados de hoje. Os cristos de hoje.

Jesus abandonado pede-nos para termos olhos e coração para os abandonados. Para nós, discípulos do Abandonado, ninguém pode ser marginalizado, ninguém pode ser deixado a si mesmo; porque – recordemo-lo – as pessoas rejeitadas e excluídas são ícones vivos de Cristo, recordam-nos o seu amor louco, o seu abandono que nos salva de toda a solidão e desolação. Irmãos e irmãs, peçamos hoje esta graça: saber amar Jesus abandonado e saber amar Jesus em cada abandonado, em cada abandonada. Peçamos a graça de saber ver, saber reconhecer o Senhor que continua a clamar neles. Não permitamos que a sua voz se perca no silêncio ensurdecedor da indiferença. Não fomos deixados sozinhos por Deus; cuidemos de quem é deixado só. Então, só então, faremos nossos os desejos e os sentimentos d’Aquele que por nós «Se esvaziou a Si mesmo» (Flp 2, 7). Esvaziou-se totalmente por nós.

[00532-PO.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

„Boże mój, Boże mój, czemuś Mnie opuścił?” (Mt 27, 46). To wołanie, które powtarzamy w dzisiejszej liturgii w psalmie responsoryjnym (por. Ps 22, 2), jest jedynym wypowiedzianym przez Jezusa na krzyżu, według Ewangelii, której wysłuchaliśmy. Są to zatem słowa, które wprowadzają nas w istotę męki Chrystusa, w kulminację cierpień, które znosił On, aby nas zbawić. „Czemuś Mnie opuścił?”.

Wiele było cierpień Jezusa, i za każdym razem, gdy słuchamy opisu Męki Pańskiej, przenikają one do naszego wnętrza. Były cierpienia ciała: pomyślmy o policzkowaniu, o biciu, o biczowaniu, o koronie cierniowej, o męce krzyża. Były cierpienia duszy: zdrada Judasza, zaparcia się Piotra, wyroki, zarówno religijne, jak i świeckie, szyderstwa strażników, obelgi pod krzyżem, odrzucenie przez wiele osób, totalna klęska, opuszczenie przez uczniów. Jednak w całym tym cierpieniu, Jezusowi pozostawała jedna pewność: bliskość Ojca. Teraz jednak dzieje się coś niewyobrażalnego; przed śmiercią woła On: „Boże mój, Boże mój, czemuś Mnie opuścił?”. Opuszczenie Jezusa.

Oto najbardziej rozdzierające cierpienie, jest to cierpienie ducha: w najbardziej tragicznej godzinie Jezus doświadcza opuszczenia przez Boga. Nigdy wcześniej nie nazwał Ojca ogólnym imieniem „Bóg”. Aby przekazać nam siłę tego faktu, Ewangelia przytacza to zdanie również w języku aramejskim. To jedyne spośród wypowiedzianych przez Jezusa na krzyżu, które dociera do nas w języku oryginalnym. Realnym wydarzeniem jest skrajne uniżenie, to znaczy opuszczenie przez Ojca, opuszczenie przez Boga. Pan cierpi tak bardzo z miłości do nas, że trudno nam to nawet pojąć. Widzi zamknięte niebo, doświadcza gorzkiej granicy życia, egzystencjalnej katastrofy, załamania się wszelkiej pewności; wykrzykuje najważniejsze ze wszystkich „dlaczego?”. „Ty, Boże, dlaczego?”.

Boże mój, Boże mój, czemuś Mnie opuścił? Czasownik „opuścić” ma w Biblii mocny wydźwięk. Pojawia się w chwilach skrajnego cierpienia – w kontekście miłości zawiedzionych, odrzuconych i zdradzonych; w odniesieniu do odrzuconych i abortowanych dzieci; w sytuacjach odtrącenia, wdowieństwa i osierocenia; w wycieńczonych małżeństwach, w wykluczeniach, które pozbawiają więzi społecznych, w ucisku niesprawiedliwości i w samotności choroby; krótko mówiąc, w przypadkach najdrastyczniejszego zerwania więzi. Wtedy, wypowiada się to słowo: „opuszczenie”. Chrystus wziął to na krzyż, biorąc na siebie grzech świata. A w momencie kulminacyjnym On sam, jednorodzony i umiłowany Syn, doświadczył sytuacji najbardziej Mu obcej – opuszczenia, oddalenia Boga.

Dlaczego posunął się tak daleko? Dla nas, nie ma innej odpowiedzi. Dla nas. Bracia i siostry, dziś nie mamy do czynienia z przedstawieniem. Każdy, słysząc o opuszczeniu Jezusa, każdy z nas niech powie do siebie: dla mnie. To opuszczenie jest ceną, którą zapłacił za mnie. Stał się solidarny z każdym z nas aż po kres, aby całkowicie być z nami. Doświadczył opuszczenia, aby nie pozostawić nas zakładnikami rozpaczy i aby na zawsze być u naszego boku. Uczynił to dla mnie, dla ciebie, aby istniała nadzieja, kiedy ja, ty czy ktokolwiek inny znajdzie się przyciśniętym plecami do muru, zagubionym w ślepym zaułku, pogrążonym w otchłani opuszczenia, wciągniętym w wir wielu „dlaczego” bez odpowiedzi. On dla mnie, dla ciebie. To nie jest koniec, bo Jezus był tam, a teraz jest z tobą: On, który przecierpiał dystans porzucenia, aby w swojej miłości przyjąć każde nasze oddalenie. Aby każdy z nas mógł powiedzieć: w moich upadkach – każdy z nas upadł wiele razy – w mojej rozpaczy, kiedy czuję się zdradzony lub gdy zdradziłem innych, kiedy czuję się odrzucony lub odrzuciłem innych, kiedy czuję się opuszczony lub opuściłem innych, pomyślmy, że On został opuszczony, zdradzony, odrzucony. I tam Go znajdujemy. Kiedy czuję się zagubiony i popełniłem błąd, kiedy nie mogę już sobie poradzić, On jest ze mną; w moich wielu „dlaczego” bez odpowiedzi, On w nich jest.

Pan zbawia nas w ten sposób, wychodząc od naszych pytań: „dlaczego?”. Wychodząc od nich, odsłania nam nadzieję, która nie zawodzi. Istotnie, doświadczając skrajnego opuszczenia na krzyżu, nie ulega rozpaczy – to jest granica – lecz się modli i powierza się. Wykrzykuje swoje „czemu?” słowami Psalmu (22, 2) i oddaje się w ręce Ojca, choć czuje, że jest On daleko (por. Łk 23, 46), albo nie czuje Go, bo znajduje się w opuszczeniu. Zawierza się w opuszczeniu. W opuszczeniu nie przestaje miłować swoich, którzy zostawili Go samego. W opuszczeniu przebacza tym, którzy Go ukrzyżowali (w. 34). Oto otchłań naszego ogromnego zła zostaje zanurzona w jeszcze większej miłości, tak że wszelkie nasze oddzielenie przekształca się w komunię.

Bracia i siostry, taka miłość, cała dla nas, aż do końca, miłość Jezusa, zdolna jest przekształcić nasze serca z kamienia w serca z ciała. Jest to miłość litości, czułości, współczucia. Taki jest styl Boga: bliskość, współczucie i czułość. Taki jest Bóg. Opuszczony Chrystus motywuje nas, abyśmy Go szukali i miłowali w opuszczonych. W nich bowiem są nie tylko potrzebujący, ale jest On, opuszczony Jezus, Ten, który nas zbawił, zstępując w głąb naszej ludzkiej kondycji. Jest z każdym z nich, opuszczonych aż do śmierci... Myślę o tym człowieku, tak zwanym „z ulicy”, Niemcu, który umarł pod kolumnadą, sam, opuszczony. On jest Jezusem dla każdego z nas. Tak wielu potrzebuje naszej bliskości, tak wielu opuszczonych. Ja też potrzebuję, aby Jezus okazywał mi czułość i zbliżał się do mnie, dlatego idę, aby Go znaleźć w opuszczonych, samotnych.

Pragnie On, abyśmy troszczyli się o braci i siostry, którzy są do Niego najbardziej podobni, do Niego, w momencie skrajnego cierpienia i osamotnienia. Dzisiaj, drodzy bracia i siostry jest bardzo wielu „opuszczonych chrystusów”. Całe narody są wyzyskiwane i pozostawiane same sobie; są ubodzy, którzy żyją na skrzyżowaniach naszych dróg, a z którymi nie mamy odwagi wymienić spojrzenia; są migranci, którzy dla nas nie mają już twarzy, ale są numerami; są odrzuceni więźniowie, osoby skatalogowane jako problem. Ale jest też wielu opuszczonych, niewidzialnych, ukrytych „chrystusów”, których odrzuca się w białych rękawiczkach: to nienarodzone dzieci, starcy pozostawieni w osamotnieniu – może to być twój tata, twoja mama może, dziadek, babcia, porzuceni w zakładach geriatrycznych – chorzy, których nikt nie odwiedza, niepełnosprawni, którzy są lekceważeni, ludzie młodzi, którzy odczuwają wielką wewnętrzną pustkę, a których krzyku cierpienia nikt tak naprawdę nie słucha. I którzy nie znajdują innej drogi niż samobójstwo. Dzisiejsi porzuceni. Dzisiejsi chrystusi.

Opuszczony Jezus prosi nas, abyśmy mieli oczy i serca otwarte na opuszczonych. Dla nas, uczniów Opuszczonego, nikt nie może pozostać na marginesie, nikt nie może być pozostawiony samemu sobie; ponieważ, pamiętajmy o tym, że odrzuceni i wykluczeni są żywymi ikonami Chrystusa, przypominają nam o Jego szalonej miłości, o Jego opuszczeniu, które wybawia nas od wszelkiej samotności i rozpaczy. Bracia i siostry, prośmy dziś o tę łaskę: abyśmy umieli kochać Jezusa opuszczonego i umieli miłować Go w każdym opuszczonym, w każdej opuszczonej. Prośmy o łaskę, byśmy potrafili dostrzegać i potrafili rozpoznawać Pana, który w nich wciąż woła. Nie pozwólmy, by Jego głos zaginął w ogłuszającej ciszy obojętności. My nie zostaliśmy pozostawieni przez Boga sami; zatroszczmy się o tych, którzy są pozostawieni sami. Wtedy, tylko wtedy uczynimy własnymi pragnienia i uczucia Tego, który dla nas „ogołocił samego siebie” (Flp 2, 7). Ogołocił się całkowicie dla nas.

[00532-PL.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

عظة قداسة البابا فرنسيس

في القدّاس الإلهيّ

في أحد الشّعانين

الأحد 2 نيسان/أبريل 2023

ساحة القدّيس بطرس

"إلهي، إلهي لِماذا تَرَكْتَنِي؟" (متّى 27، 46). إنّه ابتهال، تدعونا الليتورجيّا اليوم لنكرّره في مزمور الرّدّة (راجع المزمور 22، 2)، وهو الابتهال الوحيد الذي تلفَّظ به يسوع على الصّليب في الإنجيل الذي سمعناه. وهي كلمات تقودنا إلى قلب آلام المسيح، وإلى قمّة العذاب الذي تحمّله ليخلّصنا.

آلام يسوع كثيرة، وفي كلّ مرّة نصغي إلى رواية الآلام، فإنّها تنفذ في نفوسنا. كانت آلامًا جسديّة: لنفكّر في الصّفعة، والضّربات، والجَلد وإكليل الشّوك، وأخيرًا عذاب الصّليب. وعذابات في النّفس: خيانة يهوذا، وإنكار بطرس، وإدانات دينيّة ومدنيّة، وسخرية الحرّاس، وإهانات عند الصّليب، ورَفْض الكثيرين، وفَشَل كلّ شيء، وخذلان التّلاميذ. ومع ذلك، في كلّ هذا العذاب، بقي أمرٌ واحدٌ أكيد ليسوع وهو: قُرب الآب منه. ولكن الآن حَدَثَ ما لا يُمكن تصوّره. قبل أن يموت صَرَخَ قائلًا: "إلهي، إلهي لِماذا تَرَكْتَنِي؟".

هذا هو الألَم الأشدّ، وهو ألَم الرّوح: قمّة المأساة أنّ يسوع يشعر بأنّ الله قد خذله. قبل هذه المرّة، لم يَدْعُ إطلاقًا الآب بالاسم العام ”الله“. ولكي يعبِّر الإنجيل عن قوّة ذلك الحدث، ذكر الجملة التي قالها يسوع، باللغة الآرامية: (إِيلي إِيلي لَمَّا شَبَقْتاني). إنّها الكلمات الوحيدة، من بين الكلمات التي قالها يسوع على الصّليب، التي وصلت إلينا باللغة الأصليّة. فالحدث الحقيقيّ هو الانحدار الذي بلغ أقصى الحدود. أي خذلان أبيه له، خذلان الله. جاء الرّبّ يسوع يتألّم لشدّة حبّه لنا، وإنّه ليصعب علينا حتّى أن نفهم ذلك. رأى السّماء مُغلقة، واختبر حدود الحياة المُرَّة، وغَرَقَ سفينةِ الحياة، وانهيار كلّ يَقين: وصَرَخَ ”سؤال الأسئلة: لماذا؟“. ”أنت، يا الله، لماذا؟“.

إلهي، إلهي لِماذا تَرَكْتَنِي؟ الفعل ”ترك“ له معنى قويّ في الكتاب المقدّس. استُخدِم في لحظات الألَم الشّديد: في حالات الحبّ الفاشل والمقابَل بالرفض والخيانة، وفي حالات رفض وإجهاض الأبناء، وفي حالات الطّلاق والتّرمُّل والتيتُّم، وفي الزواجات المنهَكة، وفي حالات الإقصاء التي تمنع الرّوابط الاجتماعيّة، وفي المظالم وفي العُزلة النّاجمة عن المرض: باختصار، في أشدّ حالات التّمزّق في العلاقات. حَمَلَ المسيح هذا على الصّليب، إذ أخذ على عاتقه خطيئة العالم. والقمّة، هو الابن الوحيد والحبيب، اختبر أكثر المواقف غرابة بالنّسبة له: اختبر الخذلان والبُعد عن الله.

لماذا وصل إلى هذا الحدّ؟ من أجلنا، لا يوجد جواب آخر. من أجلنا. أيّها الإخوة والأخوات، هذا ليس مشهدًا اليوم. كلّ واحد منّا، عندما يصغي إلى حدث خذلان يسوع، سيقول: من أجلي. هذا الخذلان هو الثّمن الذي دفعه يسوع من أجلي. تضامنَ مع كلّ واحد منا إلى أقصى حدّ، ليكون معنا حتّى النّهاية. اختبر الخذلان لكي لا يتركنا رَهائن الكآبة ولكي يبقى إلى جانبنا دائمًا. صنع يسوع ذلك من أجلي، ومن أجلك، حتّى إذا كنتُ أنا، أو أنت، أو أيّ أحد، في مأزق، ظَهرُه إلى الحائط، وتائهًا في طريق مسدود، وغارقًا في هاوية الخذلان، ومُنهَكًا في دوّامة الأسئلة الكثيرة والتي لا جواب لها، بقي له رجاء. هذه ليست النّهاية، لأنّ يسوع كان في مثل حالتك، وهو الآن معك: هو الذي تألّم بسبب البُعد والخذلان لكي يستقبل في حبّه كلّ مسافة وبعد. ولكي يستطيع كلّ واحدٍ منّا أن يقول: في سقطاتي، وفي كآبتي، وعندما أشعر بالخيانة وبالإقصاء والخذلان، سأجدك هناك. وعندما أشعر بأنّني أخطأت وأنّني ضائع، وعندما لا أستطيع أن أتقدّم بعد، فهو معي؛ وأمام أسئلتي الكثيرة ”لماذا؟“ والتي لا جواب لها، إنّه موجود هناك.

هكذا يخلّصنا الرّبّ يسوع، من داخل أسئلتنا ”لماذا؟“. من هناك يظهر الرّجاء. على الصّليب، واجه يسوع الخذلان الشّديد، ولم يَيأس، بل صلّى وكان واثِقًا. صَرَخَ سؤاله ”لماذا؟“ بكلمات المزمور (22، 2) وسَلَّمَ نفسه بين يَدَي الآب، ولو شعر أنّه بعيد (راجع لوقا 23، 46). في وسط الخذلان سلّم أمره لله. ليس هذا فقط: بل في الخذلان استمرّ في محبّة تلاميذه الذين تركوه وحده، وغَفَرَ لصالبيه (الآية 34). هاوية الشّرّ فينا غمرها بحبٍّ أكبر، فصار كلّ انفصال فينا تواصلًا.

أيّها الإخوة والأخوات، حبٌ مثل هذا، كلّه لنا، حتّى النّهاية، يمكن أن يبدّل قلبنا الذي من حَجَرِ إلى قلب من لحم. إنّه حبّ الرّحمة والحنان والرّأفة. المسيح المتروك يدفعنا إلى أن نبحث عنه وأن نحبّه في المتروكين. لأنّهم ليسوا فقط هم المحتاجين، بل يسوع فيهم، هو المتروك، وهو الذي خلّصنا بانحداره إلى أعماق حالتنا البشريّة. يريدنا أن نعتني بالإخوة والأخوات الأكثر شبهًا به، وفي أقصى درجات الألَم والوَحدة. يوجد اليوم عديدون هم ”المسيح المتروك“. هناك شعوب كاملة مستغلّة ومتروكة لحالها. هناك فقراء يعيشون على مفترقات طرقنا وليس لدينا الشّجاعة بأن يلتقي نظرنا بنظرهم، ومهاجرون لم يعودوا وجوهًا تُعرَف، بل صاروا أرقامًا، وهناك سجناء مرفوضون، ومصّنفون أنّهم ”مشاكل“. وهناك أيضًا كثيرون هم مسيح متروك، غير مرئيّين، ومخفيّون مُبعَدون بأيدٍ ناعمة لطيفة: أطفال لم يولدوا، وكبار متروكون وحدهم، ومرضى لا يزورهم أحد، ومعاقون يتجاهلهم الجميع، وشباب يشعرون بفراغ كبير في داخلهم، ولا أحد يستمع إلى صراخهم وألمهم.

يسوع المتروك يطلب منّا أن يكون لدينا عيون وقلب للمتروكين. لنا، نحن تلاميذ يسوع المتروك، لا أحد يمكن أن يكون مهمّشًا، ولا أحد يمكن أن يُترك لحاله. لنتذكّر أنّ الأشخاص المرفوضين والمستبعدين هم أيقونة حيّة للمسيح، ويذكّروننا بحبّه المجنون، وبخذلانه الذي خلّصنا من كلّ عزلة وبؤس. أيّها الإخوة والأخوات، لنطلب اليوم هذه النّعمة: أن نعرف كيف نحبّ يسوع المتروك، وأن نعرف كيف نحبّه في كلّ متروك. لنطلب النّعمة لنعرف أن نرى الرّبّ يسوع ونعرفه هو الذي لا يزال يصرخ فيهم. لا ندع صوته يضيع في صمت اللامبالاة المدويّ. لم يتركنا الله وحدنا. لنعتنِ نحن بالذين تُركوا وحدهم. إذّاك، وإذّاك فقط، نجعل رغباتنا ومشاعرَنا، مثل رغباتِ ومشاعر الذي من أجلنا "تَجَرَّدَ مِن ذاتِه" (فيلبي 2، 7).

[00532-AR.02] [Testo originale: Italiano]

 

[B0244-XX.02]