Omelia del Santo Padre
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Nel pomeriggio di oggi - Mercoledì delle Ceneri, giorno di inizio della Quaresima – ha avuto luogo una celebrazione nella forma delle «Stazioni» romane.
Alle ore 16.30, nella chiesa di Sant’Anselmo all’Aventino, si è tenuto un momento di preghiera, cui ha fatto seguito la processione penitenziale verso la Basilica di Santa Sabina. Alla processione hanno preso parte i Cardinali, gli Arcivescovi, i Vescovi, i Monaci Benedettini di Sant’Anselmo, i Padri Domenicani di Santa Sabina ed alcuni fedeli.
Al termine della processione, nella Basilica di Santa Sabina, il Santo Padre Francesco ha presieduto la celebrazione della Santa Messa con il Rito di benedizione e di imposizione delle ceneri.
Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa ha pronunciato dopo la proclamazione del Santo Vangelo:
Omelia in lingua italiana
«Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!» (2 Cor 6,2). Questa espressione dell’Apostolo Paolo ci aiuta ad entrare nello spirito del tempo quaresimale. La Quaresima è infatti il tempo favorevole per ritornare all’essenziale, per spogliarci di ciò che ci appesantisce, per riconciliarci con Dio, per ravvivare il fuoco dello Spirito Santo che abita nascosto tra le ceneri della nostra fragile umanità. Ritornare all’essenziale. È il tempo di grazia per mettere in pratica quello che il Signore ci ha chiesto nel primo versetto della Parola che abbiamo ascoltato: «Ritornate a me con tutto il cuore» (Gl 2,12). Ritornare all’essenziale, che è il Signore.
Il rito delle ceneri ci introduce in questo cammino di ritorno e ci rivolge due inviti: ritornare alla verità di noi stessi e ritornare a Dio e ai fratelli.
Anzitutto, ritornare alla verità di noi stessi. Le ceneri ci ricordano chi siamo e da dove veniamo, ci riconducono alla verità fondamentale della vita: soltanto il Signore è Dio e noi siamo opera delle sue mani. Questa è la nostra verità. Noi abbiamo la vita mentre Lui è la vita. È Lui il Creatore, mentre noi siamo fragile argilla che dalle sue mani viene plasmata. Noi veniamo dalla terra e abbiamo bisogno del Cielo, di Lui; con Dio risorgeremo dalle nostre ceneri, ma senza di Lui siamo polvere. E mentre con umiltà chiniamo il capo per ricevere le ceneri, riportiamo allora alla memoria del cuore questa verità: siamo del Signore, apparteniamo a Lui. Egli, infatti, «plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita» (Gen 2,7): esistiamo, cioè, perché Lui ha soffiato il respiro della vita in noi. E, come Padre tenero e misericordioso, vive anche Lui la Quaresima, perché ci desidera, ci attende, aspetta il nostro ritorno. E sempre ci incoraggia a non disperare, anche quando cadiamo nella polvere della nostra fragilità e del nostro peccato, perché «Egli sa bene di che siamo plasmati, ricorda che noi siamo polvere» (Sal 103,14). Riascoltiamo questo: Egli ricorda che siamo polvere. Dio lo sa; noi, invece, spesso lo dimentichiamo, pensando di essere autosufficienti, forti, invincibili senza di Lui; usiamo dei maquillage per crederci migliori di quelli che siamo: siamo polvere.
La Quaresima è dunque il tempo per ricordarci chi è il Creatore e chi la creatura, per proclamare che solo Dio è il Signore, per spogliarci della pretesa di bastare a noi stessi e della smania di metterci al centro, di essere i primi della classe, di pensare che con le nostre sole capacità possiamo essere protagonisti della vita e trasformare il mondo che ci circonda. Questo è il tempo favorevole per convertirci, per cambiare sguardo anzitutto su noi stessi, per guardarci dentro: quante distrazioni e superficialità ci distolgono da ciò che conta, quante volte ci focalizziamo sulle nostre voglie o su quello che ci manca, allontanandoci dal centro del cuore, scordando di abbracciare il senso del nostro essere al mondo. La Quaresima è un tempo di verità per far cadere le maschere che indossiamo ogni giorno per apparire perfetti agli occhi del mondo; per lottare, come ci ha detto Gesù nel Vangelo, contro le falsità e l’ipocrisia: non quelle degli altri, le nostre: guardarle in faccia e lottare.
C’è però un secondo passo: le ceneri ci invitano anche a ritornare a Dio e ai fratelli. Infatti, se ritorniamo alla verità di ciò che siamo e ci rendiamo conto che il nostro io non basta a sé stesso, allora scopriamo di esistere solo grazie alle relazioni: quella originaria con il Signore e quelle vitali con gli altri. Così, la cenere che oggi riceviamo sul capo ci dice che ogni presunzione di autosufficienza è falsa e che idolatrare l’io è distruttivo e ci chiude nella gabbia della solitudine: guardarsi allo specchio immaginando di essere perfetti, immaginando di essere al centro del mondo. La nostra vita, invece, è anzitutto una relazione: l’abbiamo ricevuta da Dio e dai nostri genitori, e sempre possiamo rinnovarla e rigenerarla grazie al Signore e a coloro che Egli ci mette accanto. La Quaresima è il tempo favorevole per ravvivare le nostre relazioni con Dio e con gli altri: per aprirci nel silenzio alla preghiera e uscire dalla fortezza del nostro io chiuso, per spezzare le catene dell’individualismo e dell’isolamento e riscoprire, attraverso l’incontro e l’ascolto, chi ci cammina accanto ogni giorno, e reimparare ad amarlo come fratello o sorella.
Fratelli e sorelle, come realizzare tutto ciò? Per compiere questo cammino – ritornare alla verità di noi stessi, ritornare a Dio e agli altri – siamo invitati a percorrere tre grandi vie: l’elemosina, la preghiera e il digiuno. Sono le vie classiche: non ci vogliono novità in questa strada. Gesù l’ha detto, è chiaro: l’elemosina, la preghiera e il digiuno. E non si tratta di riti esteriori, ma di gesti che devono esprimere un rinnovamento del cuore. L’elemosina non è un gesto rapido per pulirsi la coscienza, per bilanciare un po’ lo squilibrio interiore, ma è un toccare con le proprie mani e con le proprie lacrime le sofferenze dei poveri; la preghiera non è ritualità, ma dialogo di verità e amore con il Padre; e il digiuno non è un semplice fioretto, ma un gesto forte per ricordare al nostro cuore ciò che conta e ciò che passa. Quello di Gesù è un «ammonimento che conserva anche per noi la sua salutare validità: ai gesti esteriori deve sempre corrispondere la sincerità dell’animo e la coerenza delle opere. A che serve infatti lacerarsi le vesti, se il cuore rimane lontano dal Signore, cioè dal bene e dalla giustizia?» (Benedetto XVI, Omelia mercoledì delle Ceneri, 1° marzo 2006). Troppe volte, invece, i nostri gesti e riti non toccano la vita, non fanno verità; magari li compiamo solo per farci ammirare dagli altri, per ricevere l’applauso, per prenderci il merito. Ricordiamoci questo: nella vita personale, come nella vita della Chiesa, non contano l’esteriorità, i giudizi umani e il gradimento del mondo; conta solo lo sguardo di Dio, che vi legge l’amore e la verità.
Se ci poniamo umilmente sotto il suo sguardo, allora l’elemosina, la preghiera e il digiuno non rimangono gesti esteriori, ma esprimono chi siamo veramente: figli di Dio e fratelli tra noi. L’elemosina, la carità, manifesterà la nostra compassione per chi è nel bisogno, ci aiuterà a ritornare agli altri; la preghiera darà voce al nostro intimo desiderio di incontrare il Padre, facendoci ritornare a Lui; il digiuno sarà la palestra spirituale per rinunciare con gioia a ciò che è superfluo e ci appesantisce, per diventare interiormente più liberi e ritornare alla verità di noi stessi. Incontro con il Padre, libertà interiore, compassione.
Cari fratelli e sorelle, chiniamo il capo, riceviamo le ceneri, rendiamo leggero il cuore. Mettiamoci in cammino nella carità: ci sono dati quaranta giorni favorevoli per ricordarci che il mondo non va rinchiuso nei confini angusti dei nostri bisogni personali e riscoprire la gioia non nelle cose da accumulare, ma nella cura di chi si trova nel bisogno e nell’afflizione. Mettiamoci in cammino nella preghiera: ci sono dati quaranta giorni favorevoli per ridare a Dio il primato nella vita, per rimetterci a dialogare con Lui con tutto il cuore, non nei ritagli di tempo. Mettiamoci in cammino nel digiuno: ci sono dati quaranta giorni favorevoli per ritrovarci, per arginare la dittatura delle agende sempre piene di cose da fare, le pretese di un ego sempre più superficiale e ingombrante, e scegliere ciò che conta.
Fratelli e sorelle, non disperdiamo la grazia di questo tempo santo: fissiamo il Crocifisso e camminiamo, rispondiamo con generosità ai richiami forti della Quaresima. E al termine del tragitto incontreremo con più gioia il Signore della vita, incontreremo Lui, l’unico che ci farà risorgere dalle nostre ceneri.
[00336-IT.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
«Voici maintenant le moment favorable, le voici maintenant le jour du salut !» (2 Co 6, 2). Cette phrase, de l'Apôtre Paul nous aide à entrer dans l'esprit du temps du Carême. Le Carême est, en effet, le temps favorable pour revenir à l'essentiel, pour nous dépouiller de ce qui nous encombre, pour nous réconcilier avec Dieu, pour rallumer le feu de l'Esprit Saint qui demeure caché dans les cendres de notre fragile humanité. Revenir à l'essentiel. C'est le temps de grâce pour mettre en pratique ce que le Seigneur nous a demandé dans le premier verset de la Parole que nous venons d’écouter: «Revenez à moi de tout votre cœur» (Jl 2, 12). Revenir à l'essentiel qui est le Seigneur
Le rite des cendres nous introduit sur ce chemin de retour et nous adresse deux invitations : revenir à la vérité sur nous-mêmes et revenir à Dieu et à nos frères.
Tout d'abord, revenir à la vérité sur nous-mêmes. Les cendres nous rappellent qui sommes-nous et d'où venons-nous, elles nous ramènent à la vérité fondamentale de la vie : seul le Seigneur est Dieu et nous sommes l'œuvre de ses mains. C’est notre vérité. Nous avons la vie alors que Lui, il est la vie. C’est Lui le Créateur, tandis que nous sommes de l'argile fragile qui est modelée par ses mains. Nous venons de la terre et avons besoin du Ciel, de Lui ; avec Dieu nous renaîtrons de nos cendres, mais sans Lui nous sommes poussière. ET alors que nous inclinons humblement la tête pour recevoir les cendres, ayons donc à cœur cette vérité : nous sommes du Seigneur, nous Lui appartenons. En effet, Il «modela l’homme avec la poussière tirée du sol ; il insuffla dans ses narines le souffle de vie» (Gn 2, 7) : nous existons, parce qu'Il a insufflé en nous le souffle de vie. Et, en tant que Père tendre et miséricordieux, Il vit aussi le Carême, parce qu'Il nous désire, nous attend, attend notre retour. Et Il nous encourage toujours à ne pas désespérer, même lorsque nous tombons dans la poussière de notre fragilité et de notre péché, car «Il sait de quoi nous sommes pétris, il se souvient que nous sommes poussière» (Ps 103, 14). Réécoutons ceci : Il se souvient que nous sommes poussière. Dieu le sait ; nous par contre, nous l'oublions souvent, pensant que nous sommes autosuffisants, forts, invincibles sans Lui; nous utilisons des maquillages pour nous croire meilleurs de ce que nous sommes: nous sommes poussière.
Le Carême est donc le temps de nous rappeler qui est le Créateur et qui est la créature, de proclamer que Dieu seul est Seigneur, de nous dépouiller de la prétention de nous suffire à nous-mêmes et de la soif de nous mettre au centre, à être les premiers de la classe, à penser qu'avec nos seules capacités nous pouvons être les protagonistes de la vie et transformer le monde qui nous entoure. C'est le temps favorable pour nous convertir, pour changer de regard avant tout sur nous-mêmes, pour regarder à l'intérieur de nous-mêmes : combien de distractions et de superficialités nous détournent de ce qui compte, combien de fois nous nous concentrons sur nos envies ou sur ce qui nous manque, nous éloignant du centre de notre cœur, oubliant d'embrasser le sens de notre être dans le monde. Le Carême est un temps de vérité pour faire tomber les masques que nous portons chaque jour pour paraître parfaits aux yeux du monde ; pour lutter, comme Jésus nous l'a dit dans l'Évangile, contre le mensonge et l'hypocrisie : pas ceux des autres, les nôtres: les regarder en face et lutter.
Il y a cependant une deuxième étape : les cendres nous invitent également à revenir à Dieu et à nos frères. En effet, si nous revenons à la vérité de ce que nous sommes et que nous nous rendons compte que notre moi ne se suffit pas à lui-même, nous découvrons alors que nous n'existons qu'à travers les relations : la relation originelle avec le Seigneur et les relations vitales avec les autres. Ainsi, les cendres que nous recevons aujourd’hui sur nos têtes nous disent que toute présomption d'autosuffisance est fausse et que l'idolâtrie du moi est destructrice et nous enferme dans la prison de la solitude: se regarder dans le miroir en imaginant être parfait, en imaginant être au centre du monde. Notre vie, par contre, est avant tout une relation : nous l'avons reçue de Dieu et de nos parents, et nous pouvons toujours la renouveler et la régénérer grâce au Seigneur et à ceux qu'il place à nos côtés. Le Carême est le temps favorable pour revitaliser nos relations avec Dieu et avec les autres : pour nous ouvrir dans le silence à la prière et sortir de la forteresse de notre ego fermé, pour briser les chaînes de l'individualisme et de l’isolement et redécouvrir, à travers la rencontre et l'écoute, ceux qui marchent chaque jour à nos côtés, et réapprendre à les aimer comme des frères ou sœurs.
Frères et sœurs, comment réaliser tout cela ? Pour accomplir ce parcours – pour revenir à la vérité sur nous-mêmes, pour revenir à Dieu et aux autres – nous sommes invités à parcourir trois grandes voies : l'aumône, la prière et le jeûne. Ce sont les voies classiques: il ne faut pas de nouveautés sur cette route. Jésus l’a dit, c’est clair: l’aumône, la prière et le jeûne. Et il ne s'agit pas de rites extérieurs, mais de gestes qui doivent exprimer un renouvellement du cœur. L'aumône n'est pas un geste rapide pour se donner bonne conscience, pour équilibrer un peu le déséquilibre intérieur, mais c’est le fait de toucher de ses mains et de ses larmes la souffrance des pauvres ; la prière n'est pas un rituel, mais un dialogue de vérité et d'amour avec le Père ; et le jeûne n'est pas un simple renoncement, mais un geste fort pour rappeler à notre cœur ce qui compte et ce qui passe. La mise en garde de Jésus est un «avertissement qui conserve sa valeur salutaire également pour nous: aux gestes extérieurs doit toujours correspondre la sincérité de l'âme et la cohérence des œuvres. À quoi sert en effet - se demande l'auteur inspiré - de déchirer ses vêtements, si le cœur demeure éloigné du Seigneur, c'est-à-dire du bien et de la justice?» (Benoît XVI, Homélie Mercredi des Cendres, 1er mars 2006). Cependant, trop souvent nos gestes et nos rituels ne touchent pas la vie, ils ne sont pas vrais ; peut-être les accomplissons-nous uniquement pour être admirés des autres, pour recevoir des applaudissements, pour nous attribuer des mérites. Rappelons-nous ceci : dans la vie personnelle, comme dans la vie de l'Église, les apparences extérieures, les jugements humains et le goût du monde ne comptent pas ; seul compte le regard de Dieu qui y lit l'amour et la vérité.
Si nous nous mettons humblement sous son regard, alors l'aumône, la prière et le jeûne ne restent pas des gestes extérieurs, mais expriment ce que nous sommes vraiment : des enfants de Dieu et des frères entre nous. L'aumône, c’est-à-dire la charité, manifestera notre compassion envers ceux qui sont dans le besoin, nous aidera à revenir vers les autres ; la prière donnera voix à notre désir intime de rencontrer le Père, en nous faisant revenir vers Lui ; le jeûne sera le gymnase spirituel pour renoncer joyeusement à ce qui est superflu et qui nous encombre, pour devenir intérieurement plus libres et revenir à la vérité sur nous-mêmes. Rencontre avec le Père, liberté intérieure, compassion.
Chers frères et sœurs, inclinons la tête, recevons les cendres, rendons notre cœur léger. Mettons-nous en route dans la charité : quarante jours favorables nous sont donnés pour nous rappeler que le monde ne doit pas être enfermé dans les limites étroites de nos besoins personnels, et pour redécouvrir la joie non pas dans les choses à accumuler, mais dans l'attention aux personnes dans le besoin et dans l'affliction. Mettons-nous en route dans la prière : quarante jours favorables nous sont donnés pour redonner à Dieu la primauté dans nos vies, pour nous remettre à dialoguer avec lui de tout cœur, et non occasionnellement. Mettons-nous en route dans le jeûne : quarante jours favorables nous sont donnés pour nous retrouver, pour limiter la dictature des agendas toujours pleins de choses à faire, des prétentions d'un ego toujours plus superficiel et encombrant, et choisir ce qui compte.
Frères et sœurs, ne perdons pas la grâce de ce temps saint : fixons le Crucifix et marchons, répondons avec générosité aux appels forts du Carême. Et au bout du chemin, nous rencontrerons avec une plus grande joie le Seigneur de la vie, nous le rencontrerons, le seul qui nous fera renaître de nos cendres.
[00336-FR.02] [Texte original: Italien]
Traduzione in lingua inglese
“Behold, now is the favourable time; behold, now is the day of salvation!” (2 Cor 6:2). With these words, the Apostle Paul helps us enter into the spirit of the Lenten season. Lent is indeed the “favourable time” to return to what is essential, to divest ourselves of all that weighs us down, to be reconciled with God, and to rekindle the fire of the Holy Spirit hidden beneath the ashes of our frail humanity. Return to what is essential. It is the season of grace when we put into practice what the Lord asks of us at the beginning of today’s first reading: “Return to me with all your heart” (Jl 2:12). Return to what is essential: it is the Lord.
The rite of the imposition of ashes serves as the beginning of this return journey. It exhorts us to do two things: to return to the truth about ourselves and to return to God and to our brothers and sisters.
First, to return to the truth about ourselves. The ashes remind us who we are and whence we come. They bring us back to the essential truth of our lives: the Lord alone is God and we are the work of his hands. That is the truth of who we are. We have life, whereas God is life. He is the Creator, while we are the fragile clay fashioned by his hands. We come from the earth and we need heaven; we need him. With God, we will rise from our ashes, but without him, we are dust. As we humbly bow our heads to receive the ashes, we are reminded of this truth: we are the Lord’s; we belong to him. For God “formed man from the dust of the ground, and breathed into his nostrils the breath of life” (Gen 2:7); we exist because he breathed into us the breath of life. As a tender and merciful Father, God too experiences Lent, since he is concerned for us; he waits for us; he awaits our return. And he constantly urges us not to despair, even when we lie fallen in the dust of our weakness and sin, for “he knows how we were made; he remembers that we are dust” (Ps 103:14). Let us listen to those words again: He remembers that we are dust. God knows this; yet we often forget it, and think that we are self-sufficient, strong and invincible without him. We put on maquillage and think we are better than we really are. We are dust.
Lent, then, is the time to remind ourselves who is the Creator and who is the creature. The time to proclaim that God alone is Lord, to drop the pretense of being self-sufficient and the need to put ourselves at the centre of things, to be the top of the class, to think that by our own abilities we can succeed in life and transform the world around us. Now is the favourable time to be converted, to stop looking at ourselves and to start looking into ourselves. How many distractions and trifles distract us from the things that really count! How often do we get caught up in our own wants and needs, lose sight of the heart of the matter, and fail to embrace the true meaning of our lives in this world! Lent is a time of truth, a time to drop the masks we put on each day to appear perfect in the eyes of the world. It is a time, as Jesus said in the Gospel, to reject lies and hypocrisy: not those of others, but of ourselves: We look them in the eye and resist them.
Yet there is a second step: the ashes invite us also to return to God and to our brothers and sisters. Once we return to the truth about ourselves and remind ourselves that we are not self-sufficient, we realize that we exist only through relationships: our primordial relationship with the Lord and our vital relationships with others. The ashes we receive this evening tell us that every presumption of self-sufficiency is false and that self-idolatry is destructive, imprisoning us in isolation and loneliness: we look in the mirror and believe that we are perfect, the centre of the world. Life is instead a relationship: we receive it from God and from our parents, and we can always revive and renew it thanks to the Lord and to those he puts at our side. Lent, then, is a season of grace when we can rebuild our relationship with God and with others, opening our hearts in the silence of prayer and emerging from the fortress of our self-sufficiency. Lent is the favourable time when we can break the chains of our individualism and isolation, and rediscover, through encounter and listening, our companions along the journey of each day. And to learn once more to love them as brothers and sisters.
How can we do this? To make this journey, to return to the truth about ourselves and to return to God and to others, we are urged to take three great paths: almsgiving, prayer and fasting. These are the traditional ways, and there is no need for novelty. Jesus said it clearly: almsgiving, prayer and fasting. It is not about mere external rites, these must be actions expressing the renewal of our hearts. Almsgiving is not a hasty gesture performed to ease our conscience, to compensate for our interior imbalance; rather, it is a way of touching the sufferings of the poor with our own hands and heart. Prayer is not a ritual, but a truthful and loving dialogue with the Father. Fasting is not a quaint devotion, but a powerful gesture to remind ourselves what truly matters and what is merely ephemeral. Jesus gives “advice that still retains its salutary value for us: external gestures must always be matched by a sincere heart and consistent behaviour. Indeed, what use is it to tear our garments if our hearts remain distant from the Lord, that is, from goodness and justice?” (BENEDICT XVI, Homily for Ash Wednesday, 1 March 2006). All too often, our gestures and rites have no impact on our lives; they remain superficial. Perhaps we perform them only to gain the admiration or esteem of others. Let us remember this: in our personal life, as in the life of the Church, outward displays, human judgments and the world’s approval count for nothing; the only thing that truly matters is the truth and love that God himself sees.
If we stand humbly before his gaze, then almsgiving, prayer and fasting will not simply remain outward displays, but will express what we truly are: children of God, brothers and sisters of one another. Almsgiving, charity, will be a sign of our compassion toward those in need, and help us to return to others. Prayer will give voice to our profound desire to encounter the Father, and will bring us back to him. Fasting will be the spiritual training ground where we joyfully renounce the superfluous things that weigh us down, grow in interior freedom and return to the truth about ourselves. Encounter with the Father, interior freedom, compassion.
Dear brothers and sisters, let us bow our heads, receive the ashes, and lighten our hearts. Let us set out on the path of charity. We have been given forty days, a “favourable time” to remind ourselves that the world is bigger than our narrow personal needs, and to rediscover the joy, not of accumulating material goods, but of caring for those who are poor and afflicted. Let us set out, then, on the path of prayer and use these forty days to restore God’s primacy in our lives and to dialogue with him from the heart, and not only in spare moments. Let us set out on the path of fasting and use these forty days to take stock of ourselves, to free ourselves from the dictatorship of full schedules, crowded agendas and superficial needs, and choose the things that truly matter.
Brothers and sisters, let us not neglect the grace of this holy season, but fix our gaze on the cross and set out, responding generously to the powerful promptings of Lent. At the end of the journey, we will encounter with greater joy the Lord of life, we will meet him, who alone can raise us up from our ashes.
[00336-EN.02] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua tedesca
«Siehe, jetzt ist sie da, die Zeit der Gnade; siehe, jetzt ist er da, der Tag der Rettung« (2 Kor 6,2). Mit dieser Aussage hilft uns der Apostel Paulus, in den Geist der Fastenzeit einzutreten. Die Fastenzeit ist in der Tat eine günstige Zeit, um sich auf das Wesentliche zu besinnen, um uns von dem zu befreien, was uns belastet, um uns mit Gott zu versöhnen, um das Feuer des Heiligen Geistes neu zu entfachen, das verborgen unter der Asche unseres schwachen Menschseins liegt. Sich auf das Wesentliche besinnen. Es ist eine Zeit der Gnade, um in die Tat umzusetzen, was der Herr im ersten Vers des Wortes, das wir gehört haben, von uns verlangt: »Kehrt um zu mir von ganzem Herzen« (Joël 2,12). Sich auf das Wesentliche besinnen, das ist der Herr.
Gerade der Ritus der Auflegung des Aschenkreuzes führt uns in diesen Weg der Umkehr ein und richtet zwei Aufforderungen an uns: zur Wahrheit über uns selbst zurückzukehren und zu Gott und unseren Brüdern und Schwestern zurückzukehren.
An erster Stelle: zur Wahrheit über uns selbst zurückkehren. Die Asche erinnert uns daran, wer wir sind und woher wir kommen, sie führt uns zurück zur grundlegenden Wahrheit des Lebens: Nur der Herr ist Gott und wir sind das Werk seiner Hände. Das ist unsere Wahrheit. Wir haben das Leben, während er das Leben ist. Er ist der Schöpfer, während wir zerbrechlicher Ton sind, der von seinen Händen geformt wird. Wir kommen von der Erde und brauchen den Himmel, Ihn; mit Gott erheben wir uns aus unserer Asche, ohne ihn aber sind wir Staub. Und wenn wir das Haupt in Demut neigen, um die Asche zu empfangen, wollen wir uns diese Wahrheit im Herzen einprägen: Wir sind des Herrn, wir gehören zu ihm. Denn er formte »den Menschen, Staub vom Erdboden, und blies in seine Nase den Lebensatem« (Gen 2,7): Wir existieren also, weil er uns den Lebensatem eingehaucht hat. Und als liebevoller und barmherziger Vater lebt auch er die Fastenzeit, weil er sich nach uns sehnt, auf uns wartet, unsere Rückkehr erwartet. Und er ermutigt uns immer wieder, nicht zu verzweifeln, auch wenn wir in den Staub unserer Zerbrechlichkeit und Sünde fallen, »denn er weiß, was wir für Gebilde sind, er bedenkt, dass wir Staub sind« (Ps 103,14). Hören wir das noch einmal: Er bedenkt, dass wir Staub sind. Gott weiß es; wir hingegen vergessen es oft, weil wir denken, dass wir uns selbst genügen, dass wir stark und unbesiegbar ohne ihn sind; wir verwenden Schminke, damit wir uns für besser halten als wir sind: Wir sind Staub.
Die Fastenzeit ist also eine Zeit, in der wir uns daran erinnern, wer der Schöpfer und wer das Geschöpf ist, in der wir verkünden, dass Gott allein der Herr ist, in der wir uns von der Anmaßung befreien, uns selbst zu genügen, und von dem Drang, uns selbst in den Mittelpunkt zu stellen, die Klassenbesten zu sein, zu glauben, dass wir allein mit unseren Fähigkeiten Hauptakteure des Lebens sein und die Welt um uns herum verändern können. Dies ist eine günstige Zeit, um umzukehren, um vor allem den Blick auf uns selbst zu verändern, um in unser Inneres zu schauen: Wie viel Zerstreuung und Oberflächlichkeit lenken uns von dem ab, was wichtig ist, wie oft konzentrieren wir uns auf das, worauf wir Lust haben, oder auf das, was uns fehlt, und entfernen uns so von der Mitte unseres Herzens. Dabei vergessen wir, den Sinn unseres Daseins auf der Welt zu erfassen. Die Fastenzeit ist eine Zeit der Wahrheit, damit wir die Masken fallen zu lassen, die wir jeden Tag tragen, um in den Augen der Welt vollkommen zu erscheinen; um, wie Jesus im Evangelium sagt, gegen Falschheit und Heuchelei zu kämpfen: nicht die der anderen, sondern unsere eigene: Ihnen ins Gesicht sehen und kämpfen.
Es gibt jedoch noch einen zweiten Schritt: Die Asche lädt uns auch dazu ein, zu Gott und zu unseren Brüdern und Schwestern zurückzukehren. Wenn wir nämlich zur Wahrheit dessen, was wir sind, zurückkehren und erkennen, dass unser Ich sich selbst nicht genügt, dann entdecken wir, dass wir nur dank unserer Beziehungen existieren: der Urbeziehung zum Herrn und der lebenswichtigen Beziehungen zu den Anderen. Die Asche, die heute Abend auf unser Haupt gestreut wird, sagt uns also, dass jede Anmaßung der Selbstgenügsamkeit falsch ist und dass die Vergötterung des eigenen Ichs zerstörerisch ist und uns in den Käfig der Einsamkeit sperrt: Sich im Spiegel zu betrachten und sich vorzustellen perfekt zu sein, sich vorzustellen der Mittelpunkt der Welt zu sein. Unser Leben ist hingegen in erster Linie eine Beziehung: Wir haben es von Gott und von unseren Eltern erhalten und können es dank des Herrn und der Menschen, die er uns zur Seite stellt, immer wieder erneuern und regenerieren. Die Fastenzeit ist eine günstige Zeit, um unsere Beziehungen zu Gott und zu den anderen neu zu beleben: um uns in der Stille dem Gebet zu öffnen und aus der Festung unseres verschlossenen Ichs herauszutreten, um die Ketten des Individualismus und der Vereinsamung zu sprengen und durch Begegnung und Zuhören diejenigen wiederzuentdecken, die jeden Tag neben uns gehen, und um zu lernen, sie wieder als Brüder und Schwestern zu lieben.
Brüder und Schwestern, wie können wir all dies umsetzen? Um diesen Weg zu bewältigen – zurückzukehren zur Wahrheit über uns selbst, zurückzukehren zu Gott und zu den Anderen – sind wir eingeladen, drei bedeutende Straßen zu beschreiten: Almosen, Gebet und Fasten. Das sind die klassischen Wege: Auf dieser Straße bedarf es keiner Neuigkeiten. Jesus hat es gesagt, es ist klar: Almosen, Gebet und Fasten. Und dies sind keine äußerlichen Riten, sondern Gesten, die Ausdruck einer Erneuerung des Herzens sein müssen. Das Almosen ist keine schnelle Tat, um das Gewissen zu beruhigen, um das innere Ungleichgewicht ein wenig auszugleichen, sondern es bedeutet, mit den eigenen Händen und den eigenen Tränen mit dem Leid der Armen in Berührung zu kommen; das Gebet ist kein Ritual, sondern ein Dialog der Wahrheit und der Liebe mit dem Vater; und das Fasten ist nicht ein einfacher Verzicht, sondern eine starke Geste, die unser Herz an das erinnert, was zählt und was vergeht. Es ist Jesu »Mahnung, die auch für uns ihre heilsame Gültigkeit behält: Den äußeren Gesten muss immer die Aufrichtigkeit des Herzens und die Folgerichtigkeit der Werke entsprechen. Was nützt es denn, […] die Kleider zu zerreißen, wenn das Herz fern vom Herrn ist, das heißt vom Guten und von der Gerechtigkeit?« (Benedikt XVI., Predigt am Aschermittwoch, 1. März 2006). Doch allzu oft berühren unsere Gesten und Rituale das Leben nicht, sie sind unwahr; vielleicht führen wir sie nur aus, um von anderen bewundert zu werden, um Beifall zu erhalten, um Anerkennung zu bekommen. Denken wir daran: Im persönlichen Leben wie im Leben der Kirche zählen nicht Äußerlichkeiten, menschliche Urteile und das Wohlgefallen der Welt, sondern allein der Blick Gottes, der die Liebe und die Wahrheit darin erkennt.
Wenn wir uns demütig unter seinen Blick stellen, dann bleiben Almosen, Gebet und Fasten nicht äußerliche Gesten, sondern drücken aus, wer wir wirklich sind: Kinder Gottes und Geschwister untereinander. Das Almosen, die Nächstenliebe, wird unser Mitgefühl für die Bedürftigen bekunden und uns helfen, zu den Anderen zurückzukehren; das Gebet wird unserem innigen Verlangen nach der Begegnung mit dem Vater Ausdruck verleihen und uns zu ihm zurückkehren lassen; das Fasten wird die geistliche Übungsstätte sein, um freudig auf das zu verzichten, was überflüssig ist und uns belastet, um innerlich freier zu werden und zur Wahrheit unser selbst zurückzukehren. Begegnung mit dem Vater, innere Freiheit, Mitgefühl.
Liebe Brüder und Schwestern, neigen wir unser Haupt, empfangen wir die Asche, erleichtern wir unsere Herzen. Machen wir uns auf den Weg der Nächstenliebe: Uns sind vierzig günstige Tage geschenkt, um uns daran zu erinnern, dass die Welt nicht in den engen Grenzen unserer persönlichen Bedürfnisse eingeschlossen werden darf, und um die Freude nicht im Anhäufen von Dingen, sondern in der Fürsorge für die Bedürftigen und Bedrängten wiederzuentdecken. Machen wir uns im Gebet auf den Weg: Uns sind vierzig günstige Tage geschenkt, um Gott wieder den Vorrang in unserem Leben zu geben, um mit ihm wieder in Dialog zu treten – von ganzem Herzen und nicht nur in der Zeit, die uns gerade übrigbleibt. Machen wir uns auf den Weg des Fastens: Uns sind vierzig günstige Tage geschenkt, um uns selbst neu zu entdecken, um die Diktatur der immer vollen Terminkalender, der der Erledigungen, der Ansprüche eines immer oberflächlicheren und sperrigeren Egos zu bremsen und das zu wählen, was zählt.
Brüder und Schwestern, lassen wir uns die Gnade dieser heiligen Zeit nicht entgehen: Schauen wir auf den Gekreuzigten und gehen wir diesen Weg, antworten wir großherzig auf die starken Aufrufe der Fastenzeit. Und am Ende des Weges werden wir mit größerer Freude dem Herrn des Lebens begegnen, wir werden Ihm begegnen, dem Einzigen, der uns aus unserer Asche auferstehen lassen wird.
[00336-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]
Traduzione in lingua spagnola
«Este es el tiempo favorable, este es el día de la salvación» (2 Co 6,2). Con esta expresión, el apóstol Pablo nos ayuda a entrar en el espíritu del tiempo cuaresmal. La Cuaresma ciertamente es el tiempo favorable para volver a lo esencial, para despojarnos de lo que nos pesa, para reconciliarnos con Dios, para reavivar el fuego del Espíritu Santo que habita escondido entre las cenizas de nuestra frágil humanidad. Volver a lo esencial. Es el tiempo de gracia para llevar a cabo lo que el Señor nos ha pedido en el primer versículo de la Palabra que hemos escuchado: «Vuelvan a mí de todo corazón» (Jl 2,12). Volver a lo esencial, que es el Señor.
El rito de la ceniza nos introduce en este camino de regreso, nos invita a volver a lo que realmente somos y a volver a Dios y a los hermanos.
En primer lugar, volver a lo que realmente somos. La ceniza nos recuerda quiénes somos y de dónde venimos, nos reconduce a la verdad fundamental de la vida: sólo el Señor es Dios y nosotros somos obra de sus manos. Esta es nuestra verdad. Nosotros tenemos la vida mientras que Él es la vida. Él es el Creador, mientras nosotros somos frágil arcilla que se moldea en sus manos. Nosotros venimos de la tierra y necesitamos del Cielo, de Él. Con Dios resurgiremos de nuestras cenizas, pero sin Él somos polvo. Y mientras inclinamos la cabeza, con humildad, para recibir las cenizas, traigamos a la memoria del corazón esta verdad: somos del Señor, le pertenecemos. Él, en verdad, «modeló al hombre con arcilla del suelo y sopló en su nariz un aliento de vida» (Gn 2,7), es decir, existimos porque Él ha exhalado el aliento de la vida en nosotros. Y, como Padre tierno y misericordioso, Él también vive la Cuaresma, porque nos desea, nos espera, aguarda nuestro regreso. Y siempre nos anima a no desesperar, incluso cuando caemos en el polvo de nuestra fragilidad y de nuestro pecado, porque «Él conoce de qué estamos hechos, sabe muy bien que no somos más que polvo» (Sal 103,14). Escuchémoslo de nuevo: Él sabe muy bien que no somos más que polvo. Dios lo sabe. Nosotros, sin embargo, muchas veces lo olvidamos, pensando que somos autosuficientes, fuertes, invencibles sin Él; usamos maquillaje para creernos mejores de lo que somos. Somos polvo.
La Cuaresma es por tanto el tiempo para que recordemos quién es el Creador y quién la criatura; para proclamar que sólo Dios es el Señor; para desnudarnos de la pretensión de bastarnos a nosotros mismos y del afán de ponernos en el centro, de ser los primeros de la clase, de pensar que sólo con nuestras capacidades podemos ser protagonistas de la vida y trasformar el mundo que nos rodea. Este es el tiempo favorable para convertirnos, para cambiar la mirada antes que nada sobre nosotros mismos, para vernos por dentro. Cuántas distracciones y superficialidades nos apartan de lo que es importante. Cuántas veces nos centramos en nuestros deseos o en lo que nos falta, alejándonos del centro del corazón, olvidándonos de abrazar el sentido de nuestro ser en el mundo. La Cuaresma es un tiempo de verdad para quitarnos las máscaras que llevamos cada día aparentando ser perfectos a los ojos del mundo; para luchar, como nos ha dicho Jesús en el Evangelio, contra la falsedad y la hipocresía. No las de los demás, sino las nuestras; mirarlas a la cara y luchar.
Pero hay también un segundo paso: la ceniza nos invita a volver a Dios y a los hermanos. De hecho, si volvemos a la verdad de lo que somos y nos damos cuenta de que nuestro yo no es autosuficiente, entonces descubrimos que existimos gracias a las relaciones, tanto la originaria con el Señor como las vitales con los demás. Así, la ceniza que hoy recibimos en la cabeza nos dice que cada presunción de autosuficiencia es falsa y que idolatrar el yo es destructivo y nos encierra en la jaula de la soledad; mirarse al espejo imaginando ser perfectos, imaginando ser el centro del mundo. Nuestra vida, sin embargo, es sobre todo una relación; la hemos recibido de Dios y de nuestros padres, y siempre podemos renovarla y regenerarla gracias al Señor y a aquellos que Él ha puesto junto a nosotros. La Cuaresma es el tiempo favorable para reavivar nuestras relaciones con Dios y con los demás; para abrirnos en el silencio a la oración y a salir del baluarte de nuestro yo cerrado; para romper las cadenas del individualismo y del aislamiento y redescubrir, a través del encuentro y la escucha, quién es el que camina a nuestro lado cada día, y volver a aprender a amarlo como hermano o hermana.
Hermanos y hermanas, ¿cómo realizar todo esto? Para completar este camino —volver a lo que realmente somos y volver a Dios y a los demás— se nos invita a recorrer tres grandes vías: la limosna, la oración y el ayuno. Son las vías clásicas, no se necesitan novedades en este camino. Lo dijo Jesús y está claro: la limosna, la oración y el ayuno. Y no se trata de ritos exteriores, sino de gestos que deben expresar una renovación del corazón. La limosna no es un gesto rápido para limpiarse la conciencia, para compensar un poco el desequilibrio interior, sino que es un tocar con las propias manos y con las propias lágrimas los sufrimientos de los pobres; la oración no es ritualidad, sino diálogo de verdad y amor con el Padre; y el ayuno no es un simple sacrificio, sino un gesto fuerte para recordarle a nuestro corazón qué es lo que permanece y qué es lo pasajero. Jesús nos hace «una advertencia que conserva también para nosotros su validez saludable: a los gestos exteriores debe corresponder siempre la sinceridad del alma y la coherencia de las obras. En efecto, ¿de qué sirve […] rasgarse las vestiduras, si el corazón sigue lejos del Señor, es decir, del bien y de la justicia?» (Benedicto XVI, Homilía miércoles de ceniza, 1 marzo 2006). Muchas veces, sin embargo, nuestros gestos y ritos no tocan la vida, no son auténticos, quizás los hacemos sólo para que los demás nos admiren, para recibir el aplauso, para atribuirnos el crédito. Recordemos que en la vida personal, como en la vida de la Iglesia, lo que cuenta no es lo exterior, los juicios humanos y el aprecio del mundo; sino sólo la mirada de Dios, que lee el amor y la verdad.
Si nos ponemos humildemente bajo su mirada, entonces la limosna, la oración y el ayuno no se quedan en gestos exteriores, sino que expresan quiénes somos verdaderamente: hijos de Dios y hermanos entre nosotros. La limosna, la caridad, manifestará nuestra compasión con quien está necesitado, nos ayudará a volver a los demás; la oración dará voz a nuestro íntimo deseo de encontrar al Padre, haciéndonos volver a Él; el ayuno será una gimnasia espiritual para renunciar con alegría a lo que es superfluo y nos sobrecarga, para ser interiormente más libres y volver a lo que realmente somos. Encuentro con el Padre, libertad interior, compasión.
Queridos hermanos y hermanas, inclinemos la cabeza, recibamos la ceniza, aligeremos el corazón. Pongámonos en camino por medio de la caridad: nos han dado cuarenta días favorables para recordarnos que el mundo no se cierra en los estrechos límites de nuestras necesidades personales y para redescubrir la alegría, no en las cosas que se acumulan, sino en el cuidado de aquellos que se encuentran en la necesidad y en la aflicción. Pongámonos en camino por medio de la oración: se nos otorgan cuarenta días favorables para dar a Dios la primacía de nuestra vida, para volver a dialogar con Él de todo corazón, no en ratos perdidos. Pongámonos en camino por medio del ayuno: se nos ofrecen cuarenta días favorables para reencontrarnos, para frenar la dictadura de las agendas siempre llenas de cosas por hacer; de las pretensiones de un ego cada vez más superficial y engorroso; y de elegir lo que de verdad importa.
Hermanos y hermanas, no desperdiciemos la gracia de este tiempo santo. Fijemos nuestra mirada en el Crucificado y caminemos. Respondamos con generosidad a las llamadas fuertes de la Cuaresma. Y al final del trayecto encontraremos con más alegría al Señor de la vida; lo encontraremos a Él, al único que nos hará resurgir de nuestras cenizas.
[00336-ES.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua portoghese
«É este o tempo favorável, é este o dia da salvação» (2 Cor 6, 2). Com esta frase, o apóstolo Paulo ajuda-nos a entrar no espírito do tempo quaresmal. De facto, a Quaresma é o tempo favorável para regressar ao essencial, despojar-nos daquilo que nos sobrecarrega, para nos reconciliarmos com Deus, para reacender o fogo do Espírito Santo que habita escondido por entre as cinzas da nossa frágil humanidade. Regressar ao essencial. É um tempo de graça para pôr em prática aquilo que o Senhor nos pediu no primeiro versículo da Palavra que ouvimos: «Convertei-vos a Mim de todo o coração» (Jl 2, 12). Regressar ao essencial, que é o Senhor.
É precisamente o rito das cinzas que nos introduz neste caminho de regresso, fazendo-nos dois convites: regressar à verdade de nós mesmos e regressar a Deus e aos irmãos.
Antes de mais nada, regressar à verdade de nós mesmos. As cinzas recordam-nos quem somos e donde vimos, reconduzem-nos à verdade fundamental da vida: só o Senhor é Deus e nós somos obra das suas mãos. Esta é a verdade de nós mesmos. Temos a vida, enquanto Ele é a vida. Ele é o Criador, enquanto nós somos barro frágil que é plasmado pelas suas mãos. Vimos da terra e precisamos do Céu, d’Ele; com Deus, ressurgiremos das nossas cinzas, mas, sem Ele, somos pó. E enquanto humildemente inclinamos a cabeça para receber as cinzas, tragamos à memória do coração esta verdade: somos do Senhor, a Ele pertencemos. Com efeito, Ele «formou o homem do pó da terra e insuflou-lhe pelas narinas o sopro da vida» (Gn 2, 7), isto é, existimos porque Ele insuflou em nós a respiração vital. E, como Pai terno e misericordioso que é, vive também Ele a Quaresma, porque sente desejo de nós, espera-nos, aguarda o nosso regresso. E não cessa de nos encorajar a que não desesperemos, mesmo quando caímos no pó da nossa fragilidade e do nosso pecado, porque «Ele sabe de que somos formados, não Se esquece de que somos pó da terra» (Sl 103, 14). Deixai que vo-lo repita: Ele não Se esquece de que somos pó da terra. Deus sabe-o, ao passo que nós, muitas vezes nos esquecemos disso, pensando que somos autossuficientes, fortes, invencíveis sem Ele; recorremos a maquilhagens para nos julgarmos melhores do que somos: somos pó.
Por isso a Quaresma é o tempo para nos lembrarmos quem é o Criador e quem é a criatura, para proclamar que só Deus é o Senhor, para nos despojarmos da pretensão de nos bastarmos a nós mesmos e da mania de nos colocar no centro, ser o primeiro da turma, pensar que podemos, meramente com as nossas capacidades, ser protagonistas da vida e transformar o mundo que nos rodeia. Este é o tempo favorável para nos convertermos, começando por mudar a visão que temos de nós mesmos no nosso íntimo: quantas desatenções e superficialidades nos distraem daquilo que conta, quantas vezes nos concentramos nos nossos gostos ou naquilo de que carecemos, distanciando-nos do centro do coração, esquecendo-nos de abraçar o sentido da nossa presença no mundo. A Quaresma é um tempo de verdade, para fazer cair as máscaras que pomos todos os dias a fim de aparecer perfeitos aos olhos do mundo; para lutar – como nos disse Jesus no Evangelho – contra as falsidades e a hipocrisia: não as dos outros, mas as nossas. Olhá-las de frente e lutar.
Existe, porém, um segundo passo a dar: as cinzas convidam-nos também a regressar a Deus e aos irmãos. De facto, se voltamos à verdade daquilo que somos e nos consciencializamos de que o nosso eu não se basta a si mesmo, então descobrimos que existimos apenas graças às relações: a relação primordial com o Senhor e as relações da vida com os outros. Assim, a cinza que recebemos sobre a cabeça, nesta tarde, diz-nos que toda a presunção de autossuficiência é falsa e que idolatrar o eu é opção destrutiva, fecha-nos na jaula da solidão: ver-se ao espelho, imaginando que somos perfeitos, imaginando que estamos no centro do mundo. Ao contrário, a nossa vida é primariamente uma relação: recebemo-la de Deus e dos nossos pais, e sempre a podemos renovar e regenerar, graças ao Senhor e àqueles que Ele coloca ao nosso lado. A Quaresma é o tempo propício para reavivar as nossas relações com Deus e com os outros: abrir-nos no silêncio à oração e sairmos da fortaleza que é o nosso eu fechado, quebrar as cadeias do individualismo e do isolamento e voltar a descobrir, através do encontro e da escuta, a pessoa que caminha diariamente ao nosso lado e aprender novamente a amá-la como irmão ou irmã.
Irmãos e irmãs, como se pode realizar tudo isto? Para realizar este caminho – voltar à verdade de nós mesmos, voltar a Deus e aos outros –, somos convidados a percorrer três grandes sendas: a esmola, a oração e o jejum. São as vias clássicas: não são precisas novidades nesta estrada. Jesus disse-o, está claro: a esmola, a oração e o jejum. E não se trata de ritos exteriores, mas de comportamentos que devem expressar uma renovação do coração. A esmola não é um gesto, cumprido rapidamente, para deixar a consciência limpa, para equilibrar um pouco o desequilíbrio interior, mas é um tocar, com as próprias mãos e as próprias lágrimas, os sofrimentos dos pobres; a oração não é mero ritual, mas diálogo de verdade e amor com o Pai; e o jejum não é um simples sacrifício, mas uma atitude forte para lembrar ao nosso coração aquilo que conta e, ao contrário, o que passa. A admoestação de Jesus é uma «advertência que conserva também para nós a sua salutar validade: aos gestos exteriores deve corresponder sempre a sinceridade da alma e a coerência das obras. De facto, para que serve (…) rasgar as vestes, se o coração permanece distante do Senhor, isto é, do bem e da justiça?» (Bento XVI, Homilia na Quarta-feira de Cinzas, 01/III/2006). Demasiadas vezes, porém, os nossos gestos e ritos não tocam a vida, não são verdadeiros; fazemo-los talvez apenas para ser admirados pelos outros, receber aplausos, acumular méritos. Recordemo-nos disto: na vida pessoal, como aliás na vida da Igreja, não contam a exterioridade, os juízos humanos e a aprovação do mundo; conta apenas o olhar de Deus, que nela lê o amor e a verdade.
Se nos colocamos humildemente sob o seu olhar, então a esmola, a oração e o jejum não se reduzem a gestos exteriores, mas exprimem quem realmente somos: filhos de Deus e irmãos entre nós. A esmola, a caridade, manifestará a nossa compaixão por quem passa necessidade, ajudar-nos-á a voltar para os outros; a oração dará voz ao nosso desejo íntimo de encontrar o Pai, fazendo-nos voltar para Ele; o jejum será o ginásio espiritual onde treinamos para renunciar com alegria ao que é supérfluo e nos sobrecarrega, a fim de nos tornarmos interiormente mais livres e voltarmos à verdade de nós mesmos. Encontro com o Pai, liberdade interior, compaixão.
Queridos irmãos e irmãs, inclinemos a cabeça, recebamos as cinzas, tornemos leve o coração. Encaminhemo-nos na caridade: foram-nos dados quarenta dias favoráveis para nos lembrar que o mundo não deve ser encerrado nos limites estreitos das nossas necessidades pessoais e para voltar a descobrir a alegria, não nas coisas a acumular, mas no cuidado de quem está mergulhado nas necessidades e aflições. Encaminhemo-nos na oração: foram-nos dados quarenta dias favoráveis para devolver a Deus o primado na vida, voltando a dialogar com Ele de todo o coração, e não apenas nos momentos de folga. Encaminhemo-nos no jejum: foram-nos dados quarenta dias favoráveis para nos reencontrarmos, para contornar a ditadura das agendas sempre cheias, das coisas a fazer, das pretensões dum eu pessoal cada vez mais superficial e embaraçoso, e escolher aquilo que conta.
Irmãos e irmãs, não desperdicemos a graça deste tempo sagrado: fixemos o olhar em Jesus crucificado e caminhemos respondendo generosamente aos fortes apelos da Quaresma. E no final do percurso, encontraremos com maior alegria o Senhor da vida, encontrá-lo-emos a Ele, o único que nos fará ressurgir das nossas cinzas.
[00336-PO.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua polacca
„Oto teraz czas upragniony, oto teraz dzień zbawienia” (2 Kor 6, 2). Tym zdaniem apostoł Paweł pomaga nam wejść w ducha okresu wielkopostnego. Wielki Post rzeczywiście sprzyja temu, żeby powrócić do spraw zasadniczych, aby ogołocić się z tego, co nas obciąża, aby pojednać się z Bogiem, aby na nowo rozpalić ogień Ducha Świętego, który mieszka ukryty pośród popiołów naszego kruchego człowieczeństwa. Powrócić do spraw zasadniczych. Jest to czas łaski, aby wprowadzić w życie to, o co Pan prosił nas w pierwszym wersecie usłyszanego słowa: „Nawróćcie się do Mnie całym swym sercem” (Jl 2, 12). Powrócić do spraw zasadniczych, którą jest Pan.
Właśnie obrzęd posypania głów popiołem wprowadza nas w tę drogę powrotu i kieruje do nas dwie zachęty: powrócić do prawdy o nas samych oraz powrócić do Boga i do braci.
Po pierwsze, powrócić do prawdy o mas samych. Popiół przypomina nam, kim jesteśmy i skąd pochodzimy, prowadzi nas z powrotem do podstawowej prawdy o życiu: tylko Pan jest Bogiem, a my jesteśmy dziełem Jego rąk. Taka jest prawda o nas. My mamy życie, podczas gdy On jest życiem. On jest Stwórcą, podczas gdy my jesteśmy kruchą gliną, kształtowaną Jego rękoma. Pochodzimy z ziemi i potrzebujemy nieba, Jego; z Bogiem zmartwychwstaniemy z naszych popiołów, ale bez Niego jesteśmy prochem. Pochylając z pokorą głowy, by przyjąć popiół, przywołajmy następnie w pamięci naszych serc tę prawdę: jesteśmy Pana, należymy do Niego. On bowiem „ulepił człowieka z prochu ziemi i tchnął w jego nozdrza tchnienie życia” (Rdz 2, 7). To znaczy, że istniejemy, ponieważ On tchnął w nas tchnienie życia. I jako czuły i miłosierny Ojciec, On również przeżywa Wielki Post, ponieważ nas pragnie, czeka na nas, oczekuje naszego powrotu. I zawsze nas zachęca, abyśmy nie rozpaczali, nawet gdy upadamy w proch naszej słabości i grzechu, ponieważ „On wie, z czego jesteśmy utworzeni, pamięta, że jesteśmy prochem” (Ps 103, 14). Usłyszmy to jeszcze raz: pamięta, że jesteśmy prochem. Bóg to wie; natomiast my często o tym zapominamy, myśląc, że bez Niego jesteśmy samowystarczalni, silni, niezwyciężeni; używamy makijażu, aby uwierzyć, że jesteśmy lepsi niż jesteśmy: jesteśmy pyłem.
Wielki Post jest zatem czasem przypominania sobie, kto jest Stwórcą, a kto stworzeniem, aby obwieścić, że tylko Bóg jest Panem, czasem wyzbycia się żądania samowystarczalności i obsesji do stawiania siebie w centrum, do bycia prymusem, do myślenia, że wyłącznie dzięki naszym zdolnościom możemy być bohaterami życia i przemieniać otaczający nas świat. To czas sprzyjający, byśmy się nawrócili, abyśmy zmienili spojrzenie przede wszystkim na siebie, abyśmy uświadomili sobie: jak wiele rozproszeń i powierzchowności odciąga nas od tego, co istotne, jak wiele razy skupiamy się na naszych zachciankach lub na tym, czego nam brakuje, oddalając się od centrum naszego serca, zapominając o istocie sensu naszego bycia w świecie. Wielki Post jest czasem prawdy, aby zrzucić maski, które nosimy na co dzień, chcąc wydawać się doskonałymi w oczach świata; aby walczyć, jak powiedział nam Jezus w Ewangelii, z fałszem i obłudą: nie innych, ale naszymi: spojrzeć im w twarz i walczyć.
Jest jednak drugi krok: popiół zaprasza nas również, byśmy powrócili do Boga i do braci. Jeśli bowiem powracamy do prawdy o tym, kim jesteśmy i zdajemy sobie sprawę, że nasze „ja” nie wystarcza samo w sobie, to odkrywamy, że istniejemy tylko poprzez relacje: pierwotną relację z Panem i życiodajne relacje z innymi. Tak więc popiół, który otrzymujemy na nasze głowy tego wieczoru, mówi nam, że każde żądanie samowystarczalności jest fałszywe i że bałwochwalstwo własnego „ja” jest destrukcyjne i zamyka nas w klatce samotności: patrząc w lustro, wyobrażając sobie, że jesteśmy idealni, wyobrażając sobie, że jesteśmy w centrum świata. Natomiast nasze życie jest przede wszystkim relacją: otrzymaliśmy je od Boga i od naszych rodziców, i możemy zawsze je odnawiać i regenerować dzięki Panu i tym, których stawia obok nas. Wielki Post jest okresem sprzyjającym ożywieniu naszej relacji z Bogiem i z innymi: aby otworzyć się w milczeniu na modlitwę i wyjść z twierdzy naszego zamkniętego „ja”, zerwać łańcuchy indywidualizmu i izolacji, i odkryć na nowo, poprzez spotkanie i słuchanie tych, którzy codziennie idą obok nas, i nauczyć się miłować ich na nowo jako brata lub siostrę.
Bracia i siostry, jak można to osiągnąć? Aby odbyć tę drogę – powrotu do prawdy o sobie, powrotu do Boga i do innych – jesteśmy zachęceni do przejścia trzech wielkich dróg: jałmużny, modlitwy i postu. To są klasyczne drogi: na tej drodze nie ma nic nowego do zrobienia. Tak powiedział Jezus, to jest jasne: jałmużna, modlitwa i post. I nie chodzi o obrzędy zewnętrzne, ale o gesty, które muszą wyrażać odnowę serca. Jałmużna nie jest szybkim gestem dla oczyszczenia sumienia, aby zrównoważyć trochę naszą wewnętrzną nierównowagę, ale jest dotknięciem własnymi rękami i łzami cierpienia ubogich; modlitwa nie jest obrzędowością, lecz dialogiem prawdy i miłości z Ojcem; a post nie jest zwykłym dobrym uczynkiem, ale wymownym gestem przypominającym naszemu sercu, co się liczy, a co przemija. Jezusowe „napomnienie zachowuje także dla nas swoją zbawienną moc: zewnętrznym gestom musi zawsze odpowiadać szczerość ducha i konsekwencja w działaniu. Po cóż bowiem rozdzierać szaty, jeśli serce pozostaje dalekie od Pana, a zatem od dobra i sprawiedliwości?” (Benedykt XVI, Homilia w Środę Popielcową, 1 marca 2006). Zbyt często jednak nasze gesty i obrzędy nie dotykają życia, nie czynią prawdy. Być może dokonujemy ich tylko po to, aby być podziwianym przez innych, aby zyskać aplauz, aby przypisać sobie zasługi. Pamiętajmy, że w życiu osobistym, podobnie jak w życiu Kościoła, nie liczą się zewnętrzne pozory, ludzkie oceny i sympatia świata; liczy się tylko spojrzenie Boga, który odczytuje w nim miłość i prawdę.
Jeśli pokornie stawiamy się pod Jego spojrzeniem, to jałmużna, modlitwa i post nie pozostają gestami zewnętrznymi, lecz wyrażają to, kim jesteśmy naprawdę: dziećmi Bożymi i braćmi między sobą. Jałmużna, dobroczynność, będzie przejawem naszego współczucia dla potrzebujących, pomagając nam powrócić do innych; modlitwa da wyraz naszemu wewnętrznemu pragnieniu spotkania z Ojcem, powodując, że do Niego powrócimy; post będzie duchową siłownią, aby radośnie wyrzec się tego, co zbędne i co nas obciąża, aby stać się wewnętrznie bardziej wolnymi i powrócić do prawdy o sobie. Spotkanie z Ojcem, wewnętrzna wolność, współczucie.
Drodzy bracia i siostry, pochylmy głowy, przyjmijmy popiół, uczyńmy nasze serca lekkimi. Wyruszmy w drogę z miłością: dano nam czterdzieści sprzyjających dni, abyśmy przypomnieli sobie, że świat nie powinien być zamknięty w ciasnych granicach naszych potrzeb osobistych, i abyśmy na nowo odkryli radość nie w rzeczach, które można zgromadzić, ale w trosce o tych, którzy są w potrzebie i utrapieniu. Wyruszmy w drogę z modlitwą: mamy czterdzieści dogodnych dni, aby na nowo dać Bogu prymat w naszym życiu, aby wejść w dialog z Nim całym sercem, a nie w krótkich chwilach. Wyruszmy w drogę z postem: mamy czterdzieści sprzyjających dni, aby odnaleźć siebie, okiełznać dyktaturę wiecznie wypełnionych terminarzy, spraw do załatwienia, roszczeń coraz bardziej powierzchownego i uciążliwego „ego”, i wybrać to, co się liczy.
Bracia i siostry, nie zmarnujmy łaski tego świętego okresu: wpatrujmy się w krucyfiks i chodźmy, odpowiadajmy szczodrze na mocne wezwania Wielkiego Postu. I na końcu tej podróży spotkamy z większą radością Pana życia, spotkamy Go, jedynego, który sprawi, że powstaniemy z naszych popiołów.
[00336-PL.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua araba
عظة قداسة البابا فرنسيس
في القدّاس الإلهي
في أربعاء الرّماد
22 شباط/فبراير 2023
بازيليكا القدّيسة سابينا
"فهاهُوَذا الآنَ وَقتُ القَبولِ الحَسَن، وهاهُوَذا الآنَ يَومُ الخَلاص" (2 قورنتس 6، 2) بهذه الجملة يساعدنا بولس الرّسول لأن ندخل في روح زمن الصّيام. في الواقع، الزّمن الأربعينيّ هو الزّمن المناسب لكي نرجع إلى ما هو أساسيّ، ونَتَجرّد ممّا يُثقل كاهلنا، ونتصالح مع الله، ونُحيي نار الرّوح القدس التي تسكن مختبئة مع رماد إنسانيّتنا الضّعيفة. لنرجع إلى الأمور الأساسيّة. إنّه زمن النّعمة لكي نعمل ما طلبه منّا الرّبّ يسوع في الآيّة الأولى من الكلمة التي سمعناها: "ارجِعوا إِلَيَّ بِكُلِّ قُلوبِكم" (يوئيل 2، 12). لنرجع إلى ما هو أساسيّ، الذي هو الرّبّ يسوع.
رتبة الرّماد تُدخلنا في مسيرة العودة هذه وتوجّه إلينا دعوتَين: العودة إلى حقيقة أنفسنا والعودة إلى الله وإلى إخوتنا.
أوّلًا، العودة إلى حقيقة أنفسنا. الرّماد يذكّرنا من نحن ومِن أين جِئنا، ويُعيدنا إلى حقيقة الحياة الأساسيّة: الرّبّ وحده هو الله ونحن صُنعُ يديه. هذه هي حقيقتنا. نحن فينا الحياة، بينما هو الحياة. هو الخالق، بينما نحن طِين ضعيف جبلتنا يداه. نحن جِئنا من الأرض ونحتاج إلى السّماء، نحتاج إليه. ومع الله سنقوم من رمادنا، ومن دونه نحن غُبار. وبينما نحني رؤوسنا بتواضع لنقبل الرّماد، لِنُعِد إلى ذاكرة قلوبنا هذه الحقيقة: نحن منه وله. هو "جَبَلَ الإِنسانَ تُرابًا مِنَ الأَرض ونَفَخَ في أَنفِه نَسَمَةَ حَياة، فصارَ الإِنسانُ نَفْسًا حَيَّة" (تكوين 2، 7): فنحن موجودون لأنّه نفخ فينا نفخة الحياة. وهو، أبًا حنونًا ورحيمًا، يعيش هو أيضًا الزّمن الأربعينيّ، لأنّه يحبّنا، وينتظرنا، وينتظر عودتنا. ويشجّعنا دائمًا على ألّا نيأس، حتّى عندما نسقط في غُبار ضعفنا وخطيئتنا، لأنّه "عالِمٌ بِجِبلَتِنا، وذاكِرٌ أَنَّنا تُراب" (المزامير 103، 14). لنصغِ من جديد إلى هذه الجملة: هو ذاكِرٌ أَنَّنا تُراب. الله يعلَم ذلك. بينما نحن، غالبًا ننسى ذلك، ونفكّر أنّنا نكفي ذاتنا، وأنّنا أقوياء، ولا نُقهَر، ومِن دونه. ونستخدم مساحيق تجميل لكي نعتقد بأنّنا أفضل ممّا نحن عليه: نحن غُبار.
لذلك، الزّمن الأربعينيّ هو الزّمن لكي نتذكّر من هو الخالق ومن هو المخلوق، ولنُعلن أنّ الله فقط هو الرّبّ، ولنتجرّد من الادّعاء أنّنا نكفي أنفسنا، ومن هوس الرّغبة في أن نضع أنفسنا في المركز، وأن نكون الأوائل في الصّف، ونعتقد أنّنا بقدراتنا وحدها يمكننا أن نصنع الحياة، وأن نبدّل العالم من حولنا. هذا هو الزّمن المناسب لكي نَتُوب، ولكي نغيّر نظرتنا أوّلًا إلى أنفسنا، لكي ننظر إلى داخلنا: فنرى كم مِنَ المُلهِيات والأمور السطحيّة تُشتّت انتباهنا عما هو مهِمّ، وكم مرّة نركّز أنفسنا على رغباتنا أو على ما ينقصنا، ونبتعد عن مركز القلب، وننسى قبول معنى حياتنا في العالم. الزّمن الأربعينيّ هو زمن الحقيقة لكي نُسقِط الأقنعة التي نرتديها كلّ يوم، لنظهر بشكل مثاليّ في عيون العالم، ولكي نكافح، كما قال لنا يسوع في الإنجيل، ضدّ الزّور والنّفاق: ليس ضدّ زُور ونفاق الآخرين، بل ضدّ الزُّور والنّفاق في أنفسنا: لننظر إليهم مباشرة ولنُكافحهم.
ثمّ، هناك خطوة ثانية: الرّماد يدعونا أيضًا إلى أن نرجع إلى الله وإلى إخوتنا. في الواقع، إن رجعنا إلى حقيقة من نحن وأدركنا أنّنا لا نكفي نَفسَنا بأنفسِنا، سنكتشف أنّنا موجودون فقط بفضل العلاقات: العلاقة الأصليّة مع الرّبّ يسوع والعلاقات الحيويّة مع الآخرين. وهكذا، الرّماد الذي نقبله على رؤوسنا هذا المساء، يقول لنا إنَّ أيَّ ادعاء بالاكتفاء الذّاتي هو خطأ، وأنّ عبادة الذات هي مدمّرة وتُغلق علينا في قفص العزلة: ننظر إلى أنفسنا في المرآة ونتخيّل بأنّنا مثاليّون، ونتخيّل بأنّنا في وسط العالم. حياتنا، عكس ذلك، هي أوّلًا علاقة: نِلناها من الله ومن والدينا، ويمكننا أن نجدّدها دائمًا ونعيد خلقها بنعمة الرّبّ يسوع وبفضل الذين يضعهم بجانبنا. الزّمن الأربعينيّ هو الزّمن المناسب لكي نُحيي علاقاتنا مع الله ومع الآخرين: لكي ننفتح على الصّلاة في صمت ونخرج من قلعة ذاتنا المُغلقة، ونكسر قيود الفرديّة والانعزال ونكتشف من جديد، من خلال اللقاء والإصغاء، إلى مَن يسير بجانبنا كلّ يوم، ونتعلّم من جديد أن نحبّه مثل أخٍ أو أُخت.
أيّها الإخوة والأخوات، كيف نحقّق كلّ ذلك؟ لكي نُكمل هذه المسيرة – أن نرجع إلى حقيقة أنفسنا، ونرجع إلى الله والآخرين - نحن مدعوّون إلى أن نسلُك ثلاث طرقٍ واسعة: الصَّدَقَة والصّلاة والصّوم. إنّها الطّرق الكلاسيكيّة: ولا حاجة لما هو جديد في هذه الطّريق. يسوع قال ذلك، وهو واضح: الصَّدَقَة والصّلاة والصّوم. وكلّ ذلك ليس طقوسًا خارجيّة، بل هي أعمال يجب أن تُعبّر عن تجديد القلب. الصَّدَقَة ليست عملًا مستعجلًا لكي نَغسِل ضميرنا، ونُوازن قليلًا عدم اتّزاننا الدّاخلي، بل هي أن نلمس بأيدينا وبدموعنا آلام الفقراء. والصّلاة ليست طقسًا، بل هي حوارُ حقيقةٍ ومحبّةٍ مع الآب. والصّيام ليس مجرّد عمل تقوي، بل هو عمل يذكّر قلبنا ما هو المهمّ وما الذي يزول. تحذير يسوع له معناه وقيمته لنا اليوم أيضًا: يجب أن تتَّفق الأعمال الخارجيّة دائمًا مع صِدْقِ الرّوح والانسجام بين الأعمال. ما الفائدة حقًّا من أن نمزّق ثيابنا، إن بقي قلبنا بعيدًا عن الرّبّ يسوع، أي عن الخير والعدل؟" (بندكتس السّادس عشر، عظة أربعاء الرّماد، 1 آذار/مارس 2006). في كثير من الأحيان، أعمالنا وطقوسنا لا تمسّ الحياة، وليس فيها حقيقة. بل ربما نصنعها فقط لكي ننال إعجاب الآخرين، ونتلقّى التّصفيق، وننال الاستحقاق. لنتذكّر هذا الأمر: في الحياة الشّخصيّة، كما في حياة الكنيسة، لا تهمّ الأمور الخارجيّة والأحكام البشريّة واستحسان العالم، بل ما يهمّ هو فقط نظرة الله الذي ينظر إلى المحبّة والحقيقة.
إن وضعنا أنفسنا بتواضع تحت نظره تعالَى، إذاك لا تبقى الصَّدَقَة والصّلاة والصّوم أعمالًا خارجيّة، بل تُعبّر عن مَن نحن حقًّا: أنّنا أبناءٌ لله وإخوةٌ في ما بيننا. الصَّدَقَة وأعمال المحبّة ستُظهرَان شفقتنا ورأفتنا لِمَن هو في حاجة، وستساعداننا لنرجع إلى الآخرين. والصّلاة ستُظهر رغبتنا الحميمة في أن نلتقي بالآب، وستجعلنا نرجع إليه. وسيكون الصّيام مكان تدريب روحيّ لكي نتخلّى بفرح عمّا هو غير ضروري ويُثقِل كاهلنا، فتزداد حرّيتنا من الدّاخل ونرجع إلى حقيقة أنفسنا. لقاء مع الآب، وحرّيّة داخليّة وشفقة ورأفة.
أيّها الإخوة والأخوات الأعزّاء، لِنَحْنِ رُؤوسَنا، ولْنَقبَلْ الرّماد، ولْنُخَفِّفْ عن قلوبنا. لِنَدخُلْ في مسيرة المحبّة: أُعطي لنا أربعون يومًا، وقتًا مناسبًا، يُذكّرنا أنّه يجب ألّا نَحصُر العالم في حدودِ احتياجاتنا الشّخصيّة الضيّقة، وألّا نعيد اكتشاف الفرح في تكديس الأشياء، بل في رعايتنا للمحتاجين والذين هُم في مِحنة. ولْنَدخُلْ في مسيرة الصّلاة: أُعطي لنا أربعون يومًا، وقتًا مناسبًا، لكي نُعيد إلى الله الأوّليّة في الحياة، ولكي ندخل في حوار معه بكلّ قلبنا، وليس فقط في بعض الأوقات المتبقية. ولْنَدخُلْ في مسيرة الصّيام: أُعطي لنا أربعون يومًا، وقتًا مناسبًا، لكي نجد أنفسنا من جديد، ولكي نُوقِف دكتاتوريّة الأجندات المُمتلئة دائمًا، والأمور التي علينا أن نفعلها، وادّعاءاتنا الشّخصيّة التي أصبحت دائمًا أكثر سطحيّة وإرهاقًا، حتّى نَختَار ما يهمّ.
أيّها الإخوة والأخوات، لا نَهدُر نعمة هذا الزّمن المقدّس: لِنثبّت نظرنا في المصلوب ولْنَسِر، ولْنُجِبْ بسخاء على نداءات الزّمن الأربعينيّ القويّة. وفي نهاية الرّحلة سنلتقي بفرح أكبر مع ربّ الحياة، سنلتقي به، هو الوحيد الذي سيجعلنا نقوم من رمادنا من جديد.
[00336-AR.02] [Testo originale: Italiano]
[B0154-XX.02]