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Conferenza Stampa di presentazione del Messaggio del Santo Padre Francesco per la Quaresima 2023, 17.02.2023


Intervento dell’Em.mo Card. Michael Czerny, S.I.

Intervento del Rev. Don Walter Magnoni

Intervento della Dott.ssa Sandra Sarti

Alle ore 11.30 di questa mattina, ha avuto luogo in diretta streaming dalla Sala Stampa della Santa Sede, Sala San Pio X, Via dell’Ospedale 1, la Conferenza Stampa di presentazione del Messaggio del Santo Padre Francesco per la Quaresima 2023 sul tema “Ascesi quaresimale, itinerario sinodale”.

Sono intervenuti: l’Em.mo Card. Michael Czerny, S.I., Prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale; il Rev. Don Walter Magnoni, Responsabile della comunità pastorale Madonna di Lourdes in Lecco e Docente di Etica Sociale nella la Facoltà di Economia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e la Dott.ssa Sandra Sarti, Presidente di Aiuto alla Chiesa che Soffre Italia.

Ne riportiamo di seguito gli interventi:

Intervento dell’Em.mo Card. Michael Czerny, S.I.

Testo in lingua inglese

Traduzione in lingua italiana

Testo in lingua inglese

We rarely connect Lent and beauty, but this is what Pope Francis invites us to do in the message that we present today. He draws attention to the mountain on which Jesus offers three of his disciples a very bright moment, which will have to sustain their journey. Here, there are two challenges to common sense.

First: that beauty comes from change, or rather from the effort to think again. In biblical language: from conversion.

Second: that beauty is a collective experience, intimate yes, but not private. In ecclesial language, it is a synodal experience. So, when we work on ourselves in Lent -- an ascesis -- we yearn for the light to increase, the joy to increase. We hope for light in change and collective joy.

It Is customary for the Pope’s Lenten message to contain a charitable element: that is, it directs the prayer and fasting of believers in the direction of an improvement of the world. Saint Paul VI said: in the direction of integral human development. The Gospel image of the Transfiguration helps us this year to interpret this orientation in a more radical way.

We are distressed by dramatic events. The pandemic situation is still uncertain. The war in Ukraine does not seem to end and is only one among dozens of others, the one that reveals that the whole world is exposed to destruction. In addition, terribly destructive earthquakes remind us of all the natural catastrophes of a creation that seems to cry out, because it groans and suffers (cfr. Rm 8). A primitive idea of divinity would suggest sacrifices and penances to appease the forces that harm us. This is not the Lent of Christians, who rather confess Christ as the light of the world and are oriented to him.

At the end of the last century, Cardinal Carlo Maria Martini chose the passage of the Transfiguration to respond to Dostoevsky’s question: “What beauty will save the world?” And he observed: “In the disciples who climb the mountain, carrying in their hearts all the anxieties and burdens that agitate their personal and collective history, it is possible to read the questions that are in us about the meaning of time, the demand for meaning that comes from the anguish produced by violence and all tragedies.”

In this year’s message, Francis brings this observation even closer by employing what Saint Ignatius called the "composition of place", that is, the exercise of the imagination that makes us identify with the situation being described. The Pope writes: “During any strenuous mountain trek, we must keep our eyes firmly fixed on the path; yet the panorama that opens up at the end amazes

us and rewards us by its grandeur.” Thus, we feel the surprise of the Transfiguration: “The divine beauty of this vision was incomparably superior to any effort that the disciples might have made in climbing Tabor.”

Assuredly, this leads us to think of the labours of all who suffer and live their lives as an excessively harsh ascent. And we might ask ourselves if it is not our indifference that makes their journey harder. The Church wants to help remove obstacles and the burdens that hinder human development, life in abundance.

Another theme this year, which Pope Francis refers to explicitly, is the effort to be a synodal Church. Or rather the effort to become one: it is like a long climb. The Pope writes: “So too, the synodal process may often seem arduous, and at times we may become discouraged. Yet what awaits us at the end is undoubtedly something wondrous and amazing, which will help us to understand better God’s will and our mission in the service of his kingdom.”

We must therefore grasp that the change of mentality -- conversion -- and the communal nature of human life are blessed labours, on which depends “something wonderful and surprising” for this broken world. If we want a Lent of charity, if we believe that prayer and fasting have real effects on the world, we must broaden the idea of almsgiving to something larger, namely the biblical idea of restitution. Just as the synodal journey renews God’s word among all the baptized and within the local Churches, so too must the lived Gospel restore joy and hope to all humanity. Joy and hope, Gaudium et spes: it is the movement of the Second Vatican Council, an uphill journey that Francis urges us not to abandon. The path is the mission. And the mission is charity, which calls into question an organization of the world and of the Church that may seem unchangeable, but is changeable, because it is the outcome of decisions, of freedom.

Conversion, joy, hope. The Dicastery for Promoting Integral Human Development, starting today, will relaunch the contents of this message week after week. We wish to offer the Churches of the whole world our diverse and very practical assistance to embrace the Lenten proposal of Pope Francis and live their own Transfiguration.

Thank you!

[00301-EN.01] [Original text: English]

Traduzione in lingua italiana

Raramente colleghiamo Quaresima e bellezza, ma è ciò che Papa Francesco ci invita a fare nel messaggio che presentiamo oggi. Egli richiama l'attenzione al monte sul quale Gesù offre a tre dei suoi discepoli un momento molto luminoso, che dovrà sostenere il loro cammino.

Qui ci sono due sfide al senso comune.

La prima: che la bellezza proceda dal cambiamento, o meglio dalla fatica di ripensare se stessi Nel linguaggio biblico: dalla conversione.

Secondo: che la bellezza sia un'esperienza collettiva, intima sì, ma non privata. Nel linguaggio ecclesiale, sia un'esperienza sinodale. Così, quando lavoriamo su noi stessi in Quaresima – sperimentando un’ascesi - desideriamo che la luce aumenti, che la gioia aumenti. Speriamo nella luce del cambiamento e nella gioia collettiva.

È consuetudine che il messaggio quaresimale del Papa contenga un richiamo alla carità: Francesco esorta i credenti a vivere la preghiera e il digiuno in direzione di un miglioramento del mondo. San Paolo VI diceva: in direzione di uno sviluppo umano integrale. L'immagine evangelica della Trasfigurazione ci aiuta quest'anno a interpretare questo orientamento in modo più radicale.

Siamo angosciati da eventi drammatici. La situazione che ha fatto seguito alla pandemia è ancora incerta. La guerra in Ucraina non sembra volgere al termine ed è solo una tra decine di altre, forse tra tutte quella che rivela in modo più evidente quanto il mondo intero sia esposto al pericolo della distruzione. Inoltre, il devastante terremoto in Turchia e in Siria ci ricorda le numerose catastrofi naturali di una creazione che sembra gridare, che geme e soffre (cf. Rm 8). Un’idea primitiva di divinità suggerirebbe di ricorrere a sacrifici e penitenze per placare le forze che ci danneggiano. Non è questa la Quaresima dei cristiani, che piuttosto confessano Cristo come luce del mondo e a lui si orientano.

Alla fine del secolo scorso, il cardinale Carlo Maria Martini scelse il brano della Trasfigurazione per rispondere alla domanda di Dostoevskij: "Quale bellezza salverà il mondo?". E osservava: «Nei discepoli che salgono al monte, portando nel loro cuore tutte le inquietudini e le pesantezze che agitano la loro storia personale e collettiva, è possibile leggere le domande che sono in noi sul senso del tempo, la richiesta di significato che viene dalle angosce prodotte dalla violenza e da tutte le tragedie».

Nel messaggio di quest'anno, Francesco si approssima a queste considerazioni, ricorrendo a quella che Sant'Ignazio chiamava la "composizione di luogo", cioè l'esercizio dell'immaginazione che ci fa identificare con la situazione descritta. Scrive il Papa: «Come in ogni impegnativa escursione in montagna: salendo bisogna tenere lo sguardo ben fisso al sentiero; ma il panorama che si spalanca alla fine sorprende e ripaga per la sua meraviglia». Così, sentiamo la sorpresa della Trasfigurazione: «La divina bellezza di questa visione fu incomparabilmente superiore a qualsiasi fatica che i discepoli potessero aver fatto nel salire sul Tabor».

Certo, questo ci porta a pensare alle fatiche di tutti coloro che soffrono e vivono la loro vita come una salita troppo aspra. E potremmo chiederci se non sia la nostra indifferenza a rendere più duro il loro cammino. La Chiesa vuole aiutare a rimuovere gli ostacoli e i pesi che impediscono lo sviluppo umano, la vita in abbondanza.

Un altro tema di quest'anno, a cui Papa Francesco fa esplicito riferimento, è la fatica di essere Chiesa sinodale. O meglio, la fatica di diventarlo: è come una lunga salita. Scrive il Papa: «Anche il processo sinodale appare spesso arduo e a volte ci potremmo scoraggiare. Ma quello che ci attende al termine è senz’altro qualcosa di meraviglioso e sorprendente, che ci aiuterà a comprendere meglio la volontà di Dio e la nostra missione al servizio del suo Regno».

Dobbiamo quindi comprendere che il cambiamento di mentalità - la conversione - e la natura comunitaria della vita umana sono fatiche benedette, da cui dipende "qualcosa di meraviglioso e sorprendente" per questo mondo a pezzi. Se vogliamo una Quaresima di carità, se crediamo che preghiera e digiuno abbiano effetti reali sul mondo, dobbiamo allargare l'idea di elemosina a qualcosa di più grande, cioè all'idea biblica di restituzione. Come il cammino sinodale rende presente la Parola di Dio tra tutti i battezzati e all'interno delle Chiese locali, così il Vangelo vissuto restituisce gioia e speranza a tutta l'umanità. Gioia e speranza, Gaudium et spes: è il movimento del Concilio Vaticano II, un cammino in salita che Francesco ci esorta a non abbandonare. Il cammino è la missione. E la missione è la carità, che mette in discussione un'organizzazione del mondo e della Chiesa che può sembrare immodificabile, ma è mutevole, perché è frutto di decisioni, di libertà.

Conversione, gioia, speranza. Il Dicastero per la Promozione dello Sviluppo Umano Integrale, a partire da oggi, rilancerà di settimana in settimana i contenuti di questo messaggio. Desideriamo offrire alle Chiese di tutto il mondo il nostro aiuto, diversificato e molto concreto, per abbracciare la proposta quaresimale di Papa Francesco e vivere ciascuno la propria Trasfigurazione.

Grazie!

[00301-IT.01] [Testo originale: Inglese]

Intervento del Rev. Don Walter Magnoni

Ho letto il Messaggio del Papa per la Quaresima e mi sono immaginato le volte che Gesù saliva sui monti, per pregare nel silenzio della notte, per raccontare alla gente chi è davvero l’uomo beato, l’uomo felice e per trasfigurarsi e mostrare in anticipo – a Pietro, Giacomo e Giovanni – la gloria della Pasqua.

Ho pensato a quante volte nella mia vita mi sono preso del tempo per salire sui monti, che da sempre amo, per cercare pace, per godermi la bellezza del creato e per lodare il Dio della vita.

Quando ero ancora ragazzo, credo avessi 13 o 14 anni, fu proprio l’esperienza della montagna a farmi dire con convinzione, per la prima volta: “Ma allora Dio esiste!”.

Sono cresciuto in una famiglia che fin da piccolo mi ha educato alla fede cattolica, ma col tempo nascevano in me tante domande e avevo dubbi su Dio e la sua esistenza.

Così quel giorno, mentre con i miei amici dell’oratorio camminavo per quei monti, ebbi come un’illuminazione. Ero un ragazzino senza grandi interessi, al dì là del calcio. Ma quella visione fu una bellezza che mi conquistò. I monti che avevo di fronte a me mi raccontavano di un’immensità, e la loro bellezza mi rimandò alla mano creatrice di Dio.

La montagna da quel giorno è sempre stata un luogo spirituale, un’esperienza di bellezza che mi dona energia e voglia di raccontare a tutti come nel silenzio dei monti sia più facile “sentire Dio”. I fiori e le pietre, le sorgenti d’acqua e i ghiacciai continuano a incantarmi.

Scrive il Papa: “Come in ogni impegnativa escursione in montagna: salendo bisogna tenere lo sguardo ben fisso sul sentiero; ma il panorama che si spalanca alla fine sorprende e ripaga per la sua meraviglia”. Vorrei sottoscrivere queste parole e dire come davvero interpretano il mio sentire. Aggiungo un particolare: la montagna ci racconta anche la nostra sete di Dio. Anche Gesù sul monte del Calvario sperimenta la sete. La montagna, soprattutto quando la salita è faticosa e nelle giornate più calde, fa venir sete e non sempre abbiamo con noi acqua a sufficienza per saziare la nostra fede. Così ogni volta penso alla nostra “sete di Dio” e mi tornano alla mente le parole di José Tolentino Mendonça: “La fede non risolve la nostra sete. Spesso la intensifica, la porta allo scoperto e, in talune circostanze, la rende persino più drammatica. Ma la fede ci aiuta a vedere nella sete una forma di cammino e di preghiera”.

Mi piace molto il collegamento che il Pontefice fa tra cammino quaresimale e sinodalità. È un camminare insieme come discepoli dell’unico Maestro.

A tal proposito vorrei raccontare un’iniziativa che ho promosso da quando, circa un anno e mezzo fa, sono stato chiamato a fare il parroco di tre parrocchie nella città di Lecco. Vivo in un territorio magnifico tra il lago e i monti. È la terra da cui Alessandro Manzoni ha preso spunto per scrivere il famoso romanzo “I promessi sposi”.

Quando sono arrivato mi sono trovato di fronte una comunità segnata dall’esperienza del Covid. I più fragili non si fidavano ancora a venire in Chiesa. Tutti indossavano la mascherina e non era facile incontrarsi. Eppure sentivo che nell’aria c’era un forte bisogno di tornare a stare insieme. Così ho lanciato l’iniziativa della “Domenica in montagna” e l’ho presentata come una proposta di sinodalità. In effetti, “sinodo” è etimologicamente un “camminare insieme”. Ogni mese dopo la messa domenicale partiamo a piedi per una delle tante mete che si possono raggiungere. Non è necessario iscriversi, basta venire a messa già pronti per il cammino. Non usiamo macchine o altri mezzi per avvicinarci ai monti, anche perché siamo davvero ai piedi delle montagne. Piccoli e grandi camminano insieme. Giunti alla meta condividiamo il pasto. È bello vedere che c’è sempre qualcuno che offre agli altri qualcosa che ha cucinato. I ragazzi mangiano sempre in modo veloce e poi giocano all’aperto. Gli adulti parlano tra loro. Ci sono persone arrivate da poco in parrocchia che hanno l’opportunità di conoscere quelli che già vivono da sempre su quel territorio. Poi, prima di scendere, leggiamo insieme il discorso della Montagna di Mt 5 e ogni volta qualcuno racconta perché ama una delle beatitudini narrate da Gesù. La preghiera del Padre nostro chiude questo momento comunitario.

Mi rendo conto che è qualcosa di molto semplice, ma vedo come le persone che partecipano sentono che anche questo “camminare insieme” aiuta a costruire passi di comunità.

La cosa bella è che anche qualcuno non di Lecco mi inizia a telefonare per unirsi e vivere con noi queste “domeniche in montagna”. Camminare, pregare e condividere il cibo in semplicità favorisce la crescita dei legami e mostra la possibilità di andare leggeri per le strade della vita.

Nella Laudato si’ scrive il Papa: “Camminiamo cantando! Che le nostre lotte e la nostra preoccupazione per questo pianeta non ci tolgano la gioia della speranza” (LS 244).

[00302-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Intervento della Dott.ssa Sandra Sarti

Ringrazio Sua Eminenza il Cardinale Michael Czerny, Prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, per il cortese invito a partecipare a questa conferenza stampa di presentazione del Messaggio di Quaresima 2023 di Papa Francesco.

L’episodio del Vangelo scelto dal Santo Padre, e che costituisce oggetto di riflessione, è quello della Trasfigurazione avvenuta sul Monte Tabor, il Monte Santo il cui nome è Gebel et-Tur ovvero la Montagna. Il Monte, nella cultura antica, era il luogo della condizione divina. Su quel Monte sono salita, anni fa, sotto la guida del mio sacerdote, insieme alla mia comunità parrocchiale, dopo un lungo periodo che a livello personale e familiare era stato estremamente pesante e nel quale il mio dolore e la mia impotenza si erano spesso mescolati con la rabbia. Proprio sul Tabor, “in disparte”, in silenzio, seduta tra le foglie di un ramo basso di un albero, ho meditato sul senso di questo Vangelo. E l’abbandono alla preghiera in quel silenzio medicamentoso mi ha ridato luce e speranza. Salire sul Monte mi ha consentito di percepire l’abbraccio del Signore e di lasciare andar via la rabbia che era dentro di me. La mia anima scese allora rinvigorita, purificata e leggera e, ancor oggi, quando ne ha bisogno, risale sulle ali veloci del ricordo e torna lì, sul Tabor, per ritrovare quel silenzio che è conditio sine qua non per la ricerca di Dio e per ascoltare Gesù che ci parla.

Ma al di là di questo mio personalissimo vissuto, oggi sono qui anche in qualità di Presidente della Sezione italiana della Fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), organizzazione che dal 1947 è a fianco dei cristiani perseguitati, e desidero testimoniare come il lavoro che nel nostro istituto svolgiamo si vada a coniugare con l’indicazione offertaci dal Sommo Pontefice di percorrere due sentieri per salire sul Monte insieme a Gesù.

Il primo sentiero è quello indicato dalla Voce di Dio che irrompe dalla Nube – che simboleggia lo Spirito Santo - dicendo: “Questi è il mio figlio prediletto nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo!”. Questo termine “ascoltatelo” è la strada Maestra che ci viene indicata. Ascoltate Lui che è mio Figlio, dice il Padre, e con ciò intende indicare che tutti noi fedeli dobbiamo ascoltare Gesù e lo dobbiamo ascoltare anche quando parla della Croce perché la sofferenza non può non far parte della vita di ogni uomo.

Papa Francesco afferma anche che il Signore «…. ci parla nei fratelli, soprattutto nei volti e nelle storie di coloro che hanno bisogno di aiuto». Ebbene, questo non solo è il sentiero che la comunità di Aiuto alla Chiesa che Soffre percorre sin dalla sua fondazione ma, anzi, è il suo prioritario obiettivo: quello di aiutare i fratelli nella fede che soffrono.

Per ACS “i volti e le storie di coloro che hanno bisogno di aiuto” sono anche quelli dei circa 416 milioni di cristiani che vivono nelle 26 nazioni del mondo in cui ancora è attivo il fenomeno della persecuzione. E sono anche le voci dei 5,2 miliardi di persone che in ben tre quarti del mondo

vivono la negazione del fondamentale diritto alla libertà religiosa e subiscono le conseguenze della sua violazione.

Privare qualsiasi fedele della possibilità di manifestare il proprio credo e della possibilità di esercitare il proprio culto, vuol dire esercitare una violenza sulla sua anima e violare uno dei diritti umani fondamentali.

Il bisogno d’aiuto dei nostri fratelli nella fede, la sofferenza a cui sono sottoposti solo perché cristiani, esiste e condiziona dolorosamente le loro vite. Molti rischiano la vita per partecipare ad una Messa, altri non possono parteciparvi affatto. Papa Francesco non ha mai mancato di denunciare ripetutamente questo dramma. Per questo motivo Aiuto alla Chiesa che Soffre, realizza, grazie alla raccolta fondi, circa 5.000 progetti annui in quasi 140 nazioni ed impiega risorse per denunciare l’indifferenza che circonda il dramma della violazione della libertà religiosa. In questi ultimi giorni poi, i volti e le voci che gridano aiuto e che reclamano il nostro più attento ascolto sono quelle che emergono dalle rovine del devastante sisma che ha colpito la Turchia e la Siria.

Il Santo Padre ha inoltre indicato un secondo sentiero da percorrere, quello di «non rifugiarsi in una religiosità fatta di eventi straordinari, di esperienze suggestive, per paura di affrontare la realtà con le sue fatiche quotidiane, le sue durezze e le sue contraddizioni».

Il Vangelo ci insegna che non si può restare nella tenda ma che, ascoltando la parola di Gesù, occorre piuttosto abbracciare le proprie pene, come fa Lui con la Croce, e affrontare le fatiche quotidiane sostenendo anche quelle altrui perché il cammino che ci viene indicato è un cammino comune, di vicinanza, di solidarietà e di condivisione.

Anche in questa direzione ACS procede, sorretta dall’esempio dei benefattori che donano per aiutare fratelli che non conoscono e che non incontreranno mai e, allo stesso tempo, grazie al senso di condivisione riusciamo a far sentire ai cristiani che soffrono quella vicinanza e quel sostegno che rinnova la loro speranza e nutre il loro coraggio.

Con tutto il nostro impegno personale e professionale, nella consapevolezza che “la Croce salva”, rinnoviamo ogni giorno la comunione con la nostra Chiesa e perseveriamo nel tentativo di mettere in pratica l’insegnamento con cui il Santo Padre ci invita a percorrere quei due sentieri nei quali ogni nostro passo si deve tradurre in azioni cristiane da compiere insieme.

Grazie per la Vostra attenzione.

[00303-IT.01] [Testo originale: Italiano]

 

[B0138-XX.02]