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Viaggio Apostolico di Sua Santità Francesco nella Repubblica Democratica del Congo e in Sud Sudan (Pellegrinaggio Ecumenico di Pace in Sud Sudan) (31 gennaio - 5 febbraio 2023) – Preghiera Ecumenica presso il Mausoleo “John Garang”, 04.02.2023


Preghiera Ecumenica presso il Mausoleo “John Garang”

Discorso del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Questo pomeriggio, presso il Mausoleo “John Garang” di Giuba, ha avuto luogo la Preghiera Ecumenica.

Dopo il saluto liturgico e una breve introduzione del Rev. Thomas Tut Puot Mut, Presidente della South Sudan Council of Churches (SSCC), si è svolto l’Atto Penitenziale, seguito dall’Orazione, dalla Prima Lettura e dalla Lettura del Vangelo.

Quindi, dopo l’allocuzione dell’Arcivescovo di Canterbury, Sua Grazia Justin Welby, e l’introduzione del Moderatore dell’Assemblea Generale della Chiesa di Scozia, il Pastore Iain Greenshields, è stato recitato il Simbolo degli Apostoli. Ha quindi avuto luogo la preghiera d’intercessione e di misericordia per la nazione nel corso della quale ogni lettore ha versato l’acqua sugli alberi piantati in precedenza come atto di unità.

Il Santo Padre Francesco ha pronunciato poi il Suo discorso a cui è seguita la recita del Padre Nostro, la benedizione dei tre leaders religiosi e il canto finale. Secondo le autorità locali hanno partecipato alla Preghiera Ecumenica presso il Mausoleo “John Garang” oltre 50.000 persone.

Al termine, il Papa è rientrato in auto alla Nunziatura Apostolica dove ha cenato in privato.

Pubblichiamo di seguito il discorso che il Santo Padre ha pronunciato nel corso della Preghiera Ecumenica:

Discorso del Santo Padre

Signor Presidente della Repubblica,
Distinte Autorità religiose e civili,
Cari fratelli e sorelle!

Da questa terra amata e martoriata si sono appena levate al Cielo tante preghiere: voci diverse si sono unite, formando una sola voce. Insieme, come Popolo santo di Dio, abbiamo pregato per questo popolo ferito. In quanto cristiani, pregare è la prima e più importante cosa che siamo chiamati a fare per poter bene operare e avere la forza di camminare. Pregare, operare e camminare: riflettiamo su questi tre verbi.

Pregare, anzitutto. Il grande impegno delle comunità cristiane nella promozione umana, nella solidarietà e nella pace sarebbe vano senza la preghiera. Infatti, non possiamo promuovere la pace senza aver prima invocato Gesù, «Principe della pace» (Is 9,5). Ciò che facciamo per gli altri e condividiamo con gli altri è anzitutto dono gratuito che riceviamo a mani vuote da Lui: è grazia, pura grazia. Siamo cristiani perché gratuitamente amati da Cristo.

Stamani mi sono ispirato alla figura di Mosè e ora, proprio in relazione alla preghiera, vorrei rievocare un episodio decisivo per lui e per il suo popolo, avvenuto quando aveva appena iniziato ad accompagnarlo nel cammino verso la libertà. Giunti presso le rive del mar Rosso, si presenta ai suoi occhi e a quelli di tutti gli Israeliti una scena drammatica: davanti si staglia la barriera invalicabile delle acque; dietro sta sopraggiungendo l’esercito nemico, con carri e cavalli. Ciò non richiama forse i primi passi di questo Paese, assalito sia da acque di morte, come quelle delle disastrose inondazioni che l’hanno colpito, sia da una violenza bellica efferata? Ebbene, in quella situazione disperata Mosè dice al popolo: «Non abbiate paura! Siate forti e vedrete la salvezza del Signore» (Es 14,13). Ora mi chiedo: da dove veniva a Mosè una simile certezza, mentre il suo popolo continuava a lamentarsi impaurito? Questa forza gli veniva dall’ascolto del Signore (cfr vv. 2-4), che gli aveva promesso di manifestare la sua gloria. L’unione con Lui, la fiducia in Lui coltivata nella preghiera, era il segreto con il quale Mosè ha potuto accompagnare il popolo dall’oppressione alla libertà.

È così anche per noi: pregare dà la forza di andare avanti, di superare i timori, di intravedere, anche nelle oscurità, la salvezza che Dio prepara. Di più, la preghiera attira la salvezza di Dio sul popolo. La preghiera di intercessione, che caratterizzò la vita di Mosè (cfr Es 32,11-14), è quella a cui siamo tenuti soprattutto noi, Pastori del Popolo santo di Dio. Affinché il Signore della pace intervenga laddove gli uomini non riescono a costruirla, occorre la preghiera: una tenace, costante preghiera di intercessione. Fratelli, sorelle, sosteniamoci in questo: nelle nostre diverse Confessioni sentiamoci uniti tra noi, come un’unica famiglia; e sentiamoci incaricati di pregare per tutti. Nelle nostre parrocchie, chiese, assemblee di culto e di lode preghiamo assidui e concordi (cfr At 1,14) perché il Sud Sudan, come il popolo di Dio nella Scrittura, “raggiunga la terra promessa”: disponga serenamente ed equamente della terra fertile e ricca che possiede e sia colmato di quella pace promessa ma purtroppo ancora non giunta.

Proprio per la causa della pace siamo chiamati, in secondo luogo, a operare. Perché Gesù ci vuole «operatori di pace» (Mt 5,9), vuole che la sua Chiesa non sia solo segno e strumento dell’intima unione con Dio, ma anche dell’unità di tutto il genere umano (cfr Lumen gentium, 1). Cristo, infatti, come ricorda l’Apostolo Paolo, «è la nostra pace» precisamente nel senso del ristabilimento dell’unità: Egli è colui che “fa di due una cosa sola, abbattendo i muri di separazione, l’inimicizia” (cfr Ef 2,14). Ecco la pace di Dio: non solo una tregua tra i conflitti, ma una comunione fraterna, che viene dal congiungere, non dall’assorbire; dal perdonare, non dal sovrastare; dal riconciliarsi, non dall’imporsi. Talmente grande è il desiderio di pace del Cielo, che fu annunciato già al momento della nascita di Cristo: «sulla terra, pace agli uomini, che egli ama» (Lc 2,14). E tanta fu l’angoscia di Gesù per il rifiuto di questo dono che veniva a portare, che Egli pianse su Gerusalemme, dicendo: «Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, quello che porta alla pace!» (Lc 19,42).

Noi, cari fratelli e sorelle, operiamo senza stancarci per questa pace, che lo Spirito di Gesù e del Padre ci invita a costruire: una pace che integra le diversità, che promuove l’unità nella pluralità. Questa è la pace dello Spirito Santo, il quale armonizza le differenze, mentre lo spirito nemico di Dio e dell’uomo fa leva sulle diversità per dividere. Al riguardo, la Scrittura dice: «In questo si distinguono i figli di Dio dai figli del diavolo: chi non pratica la giustizia non è da Dio, e neppure lo è chi non ama il suo fratello» (1 Gv 3,10). Carissimi, chi si dice cristiano deve scegliere da che parte stare. Chi segue Cristo sceglie la pace, sempre; chi scatena guerra e violenza tradisce il Signore e rinnega il suo Vangelo. Lo stile che Gesù ci insegna è chiaro: amare tutti, in quanto tutti sono amati come figli dal Padre comune che è nei cieli. L’amore del cristiano non è solo per i vicini, ma per ognuno, perché ciascuno in Gesù è nostro prossimo, fratello e sorella, persino il nemico (cfr Mt 5,38-48); a maggior ragione quanti appartengono al nostro stesso popolo, anche se di etnia diversa. «Che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi» (Gv 15,12): questo è il comandamento di Gesù, che contraddice ogni visione tribale della religione. Che «tutti siano una sola cosa» (Gv 17,21): questa è l’accorata preghiera di Gesù al Padre per tutti noi credenti.

Adoperiamoci, fratelli e sorelle, per questa unità fraterna tra noi cristiani e aiutiamoci a far passare il messaggio della pace nella società, a diffondere lo stile di non violenza di Gesù, perché in chi si professa credente non vi sia più spazio per una cultura basata sullo spirito di vendetta; perché il Vangelo non sia solo un bel discorso religioso, ma una profezia che diventa realtà nella storia. Operiamo per questo: lavoriamo per la pace tessendo e ricucendo, mai tagliando e o strappando. Seguiamo Gesù e, dietro a Lui, muoviamo passi comuni sulla via della pace (cfr Lc 1,79).

Ecco allora il terzo verbo: dopo pregare e operare, camminare. Qui, lungo i decenni, le comunità cristiane si sono fortemente impegnate nel promuovere percorsi di riconciliazione. Io vorrei ringraziarvi per questa luminosa testimonianza di fede, nata dal riconoscere non solo a parole, ma nei fatti, che prima delle divisioni storiche c’è una realtà immutabile: siamo cristiani, siamo di Cristo. È bello che, in mezzo a tanta conflittualità, l’appartenenza cristiana non abbia mai disgregato la popolazione, ma è stata, ed è tuttora, fattore di unità. L’eredità ecumenica del Sud Sudan è un tesoro prezioso, una lode al nome di Gesù, un atto di amore alla Chiesa sua sposa, un esempio universale per il cammino di unità dei cristiani. È un’eredità che va custodita nel medesimo spirito: le divisioni ecclesiali dei secoli passati non si ripercuotano su chi viene evangelizzato, ma la semina del Vangelo contribuisca a diffondere una maggiore unità. Il tribalismo e la faziosità che alimentano le violenze nel Paese non intacchino i rapporti interconfessionali; al contrario, la testimonianza di unità dei credenti si riversi sul popolo.

In questo senso, per finire, vorrei suggerire due parole-chiave per il prosieguo del nostro cammino: memoria e impegno. Memoria: i passi che fate ricalcano le orme dei predecessori. Non abbiate timore di non esserne all’altezza, sentitevi invece sospinti da chi vi ha preparato la strada: come in una staffetta, raccoglietene il testimone per affrettare il raggiungimento del traguardo di una comunione piena e visibile. E poi impegno: si cammina verso l’unità quando l’amore è concreto, quando insieme si soccorre chi sta ai margini, chi è ferito e scartato. Voi già lo fate in tanti campi, penso in particolare a quelli della sanità, dell’istruzione, della carità: quanti aiuti urgenti e indispensabili portate alla popolazione! Grazie per questo. Continuate così: mai concorrenti, ma familiari; fratelli e sorelle che, attraverso la compassione per i sofferenti, i prediletti di Gesù, danno gloria a Dio e testimoniano la comunione che Egli ama.

Carissimi, i miei fratelli e io siamo giunti pellegrini in mezzo a voi, Popolo santo di Dio in cammino. Anche se distanti fisicamente, vi saremo sempre vicini. Ripartiamo ogni giorno dal pregare gli uni per gli altri e con gli altri, dall’operare insieme come testimoni e mediatori della pace di Gesù, dal camminare sulla stessa strada, muovendo passi concreti di carità e di unità. In tutto, amiamoci intensamente, e di vero cuore (cfr 1 Pt 1,22).

[00171-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Monsieur le Président de la République,
Autorités religieuses et civiles distinguées,
Chers frères et sœurs !

Des prières nombreuses viennent de s’élever vers le Ciel de cette terre aimée et meurtrie: des voix différentes se sont unies, formant une seule voix. Ensemble, comme Peuple saint de Dieu, nous avons prié pour ce peuple blessé. En tant que chrétiens, prier est la première et plus importante chose que nous sommes appelés à faire pour pouvoir bien agir et avoir la force de marcher. Prier, agir et marcher : réfléchissons sur ces trois verbes.

Tout d’abord, prier. Le grand engagement des communautés chrétiennes pour la promotion humaine, pour la solidarité et pour la paix serait vain sans la prière. En effet, nous ne pouvons pas promouvoir la paix sans avoir d’abord invoqué Jésus, « Prince-de-la-Paix » (Is 9, 5). Ce que nous faisons pour les autres et partageons avec les autres est avant tout un don gratuit que, les mains vides, nous recevons de Lui : c’est une grâce, une pure grâce. Nous sommes chrétiens parce que nous sommes aimés gratuitement par le Christ.

Ce matin, je me suis inspiré de la figure de Moïse et maintenant, précisément en relation avec la prière, je voudrais évoquer un épisode qui a été décisif pour lui et pour son peuple, survenu alors qu’il venait à peine de commencer de l’accompagner sur le chemin vers la liberté. Arrivés près des rives de la mer Rouge, une scène dramatique se présente à ses yeux et à ceux de tous les Israélites : devant eux se dresse la barrière infranchissable des eaux ; derrière, arrive l’armée ennemie, avec des chars et des chevaux. Cela ne rappelle-t-il pas les premiers pas de ce pays, assailli tant par les eaux de la mort, comme celles des inondations désastreuses qui l’ont frappé, que par une violence belliqueuse effroyable ? Eh bien, dans cette situation désespérée, Moïse dit au peuple : « N’ayez pas peur ! Tenez bon ! Vous allez voir aujourd’hui ce que le Seigneur va faire pour vous sauver ! » (Ex 14, 13). Alors, je me demande : d’où venait à Moïse une telle certitude, alors que son peuple continuait à se plaindre effrayé ? Cette force lui venait de l’écoute du Seigneur (cf. 2-4) qui lui avait promis de manifester sa gloire. L’union avec Lui, la confiance en Lui cultivée dans la prière, est le secret par lequel Moïse a pu accompagner le peuple de l’oppression à la liberté.

Il en est de même pour nous aussi : prier donne la force d’avancer, de surmonter les peurs, d’entrevoir, même dans les ténèbres, le salut que Dieu prépare. De plus, la prière attire le salut de Dieu sur le peuple. La prière d’intercession, qui a caractérisé la vie de Moïse (cf. Ex 32, 11-14), est celle à laquelle nous sommes tenus, nous surtout, Pasteurs du Peuple saint de Dieu. Pour que le Seigneur de la paix intervienne là où les hommes ne parviennent pas à la construire, il faut la prière : une prière tenace, d’intercession constante. Frères et sœurs, en cela, soutenons-nous: dans nos diverses Confessions religieuses, sentons-nous unis entre nous, comme une seule famille ; et sentons-nous chargés de prier pour tous. Dans nos paroisses, églises, assemblées de culte et de louange, prions assidûment et unanimement (cf. Ac 1, 14) pour que le Soudan du Sud “rejoigne la terre promise”, comme le peuple de Dieu dans les Écritures. Qu’il dispose sereinement et équitablement de la terre fertile et riche qu’il possède, et qu’il soit comblé de cette paix promise mais, malheureusement, pas encore advenue.

Nous sommes précisément appelés, en second lieu, à agir pour la cause de la paix. Car Jésus nous veut « artisans de paix » (Mt 5, 9), il veut que son Église ne soit pas seulement signe et instrument de l’union intime avec Dieu, mais aussi de l’unité de tout le genre humain (cf. Lumen gentium, n. 1). Le Christ, en effet, comme le rappelle l’Apôtre Paul, « est notre paix » précisément dans le sens du rétablissement de l’unité. Il est celui qui “des deux, fait une seule réalité, en détruisant les murs de séparation, la haine” (cf. Ep 2, 14). Voilà la paix de Dieu : non seulement une trêve entre les conflits, mais une communion fraternelle, qui vient de l’union, non de l’absorption ; du pardon, non de la domination ; de la réconciliation, non de l’imposition. Le désir de paix du Ciel est si grand qu’il a été annoncé dès la naissance du Christ : « paix sur la terre aux hommes, qu’Il aime » (Lc 2, 14). Et l’angoisse de Jésus provoquée par le refus de ce don qu’il venait apporter est si grande, qu’Il pleura sur Jérusalem, en disant : « Si toi aussi, tu avais reconnu en ce jour ce qui donne la paix ! » (Lc 19, 42).

Chers frères et sœurs, œuvrons sans nous lasser pour cette paix que l’Esprit de Jésus et du Père nous invite à construire : une paix qui intègre les diversités, qui promeut l’unité dans la pluralité. Voilà la paix de l’Esprit Saint qui harmonise les différences, tandis que l’esprit ennemi de Dieu et de l’homme s’appuie sur les différences pour diviser. À cet égard, l’Écriture dit : « Voici comment se manifestent les enfants de Dieu et les enfants du diable : quiconque ne pratique pas la justice n’est pas de Dieu, et pas davantage celui qui n’aime pas son frère » (1 Jn 3, 10). Chers amis, celui qui se dit chrétien doit choisir son camp. Celui qui suit le Christ choisit la paix, toujours ; celui qui déclenche la guerre et la violence trahit le Seigneur et renie son Évangile. Le style que Jésus nous enseigne est clair : aimer tout le monde, car tous sont aimés comme des enfants par le Père commun qui est aux cieux. L’amour du chrétien n’est pas seulement pour les proches, mais pour chacun, car chacun est notre prochain en Jésus, un frère, une sœur, même l’ennemi (cf. Mt 5, 38-48) ; et à plus forte raison ceux qui appartiennent à notre même peuple, même s’ils sont d’ethnies différentes. « Aimez-vous les uns les autres comme je vous ai aimés » (Jn 15, 12) ; tel est le commandement de Jésus qui contredit toute vision tribale de la religion. « Que tous soient un » (Jn 17, 21) : telle est la prière pressante de Jésus au Père pour nous tous croyants.

Travaillons, frères et sœurs, pour cette unité fraternelle entre nous chrétiens et aidons-nous à faire passer le message de la paix dans la société, à répandre le style de non-violence de Jésus, afin qu’il n’y ait plus de place pour une culture fondée sur l’esprit de vengeance chez ceux qui se professent croyants; afin que l’Évangile ne soit pas seulement un beau discours religieux, mais une prophétie qui devienne réalité dans l’histoire. Travaillons à cela : travaillons pour la paix en tissant et en recousant, jamais en coupant ou en déchirant. Suivons Jésus et, derrière Lui, faisons des pas communs sur le chemin de la paix (cf. Lc 1,79).

Voici alors le troisième verbe : après prier et agir, marcher. Ici, au cours des décennies, les communautés chrétiennes se sont fortement engagées dans la promotion de chemins de réconciliation. Je voudrais vous remercier pour ce témoignage lumineux de foi, né de la reconnaissance, non seulement en paroles mais dans les faits, qu’avant les divisions historiques existe une réalité immuable : nous sommes chrétiens, nous sommes du Christ. Il est beau que, au milieu de tant de conflits, l’appartenance chrétienne n’a jamais détruit la population, mais a été, et est encore, facteur d’unité. L’héritage œcuménique du Soudan du Sud est un trésor précieux, une louange au nom de Jésus, un acte d’amour à l’Église son épouse, un exemple universel pour le chemin d’unité des chrétiens. C’est un héritage qui doit être conservé dans le même esprit : les divisions ecclésiales des siècles passés ne doivent pas se répercuter pas sur ceux qui sont évangélisés, mais la semence de l’Évangile doit contribuer à répandre une plus grande unité. Que le tribalisme et le sectarisme qui alimentent les violences dans le pays n’affectent pas les relations interconfessionnelles ; au contraire, que le témoignage d’unité des croyants se reverse sur le peuple.

En ce sens, pour finir, je voudrais suggérer deux mots-clés pour la suite de notre cheminement : mémoire et engagement. Mémoire : les pas que vous faites suivent les traces de vos prédécesseurs. N’ayez pas peur de ne pas en être à la hauteur, sentez-vous au contraire poussés par ceux qui vous ont préparé la route. Comme dans un relais, prenez le témoin pour hâter la réalisation de l’objectif d’une communion pleine et visible. Et ensuite engagement : on marche vers l’unité quand l’amour est concret, quand on secourt ensemble ceux qui sont en marge, ceux qui sont blessés et rejetés. Vous le faites déjà dans de nombreux domaines, je pense en particulier à la santé, à l’instruction, à la charité : que d’aides urgentes et indispensables vous apportez à la population ! Merci pour tout cela. Continuez ainsi : jamais concurrents, mais proches ; frères et sœurs qui, par leur compassion pour les souffrants, les préférés de Jésus, rendent gloire à Dieu et témoignent de la communion qu’Il aime.

Très chers amis, mes frères et moi nous sommes venus en pèlerins parmi vous, Peuple saint de Dieu en marche. Même si nous sommes loin physiquement, nous serons toujours proches de vous. Repartons chaque jour de la prière les uns pour les autres et avec les autres, en œuvrant ensemble comme témoins et médiateurs de la paix de Jésus, en marchant sur la même route, en faisant des pas concrets de charité et d’unité. En tout, aimons-nous intensément, et de tout cœur (cf. 1 P 1, 22).

[00171-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

Mr President,
Distinguished Religious and Civil Authorities,
Dear Brothers and Sisters,

From this beloved land, wracked by violence, many prayers have now been raised to heaven. Many different voices have united to form a single voice. Together, as God’s holy people, we have prayed for this people and its suffering. As Christians, prayer is the first and most important thing we are called to do in order to work for the good and to find the strength needed to persevere on our journey. To pray, to work and to journey: let us reflect on these three verbs.

First, to pray. The great commitment of Christian communities to human development, solidarity and peace would be fruitless without prayer. Indeed, we cannot promote peace without first invoking Jesus the “Prince of Peace” (Is 9:5). Whatever we do for others and share with them is above all a freely given gift that we, in our emptyhandedness, have received from him: it is grace, pure grace. We are Christians because we have been freely loved by Jesus Christ.

This morning, I spoke of the figure of Moses, and now, precisely in connection with prayer, I would like to recall an event that was decisive for him and for his people. It occurred when he had already begun to lead the people to freedom. When they reached the shores of the Red Sea, Moses and all the Israelites found themselves at a dramatic impasse. Before them, they saw an impassable wall of water; behind them, the enemy force was closing in on them with chariots and horses. Does that not perhaps remind us of the early days of this country, caught between the waters of death, the disastrous floods that hit the country, and the brutal violence of war? Yet in that desperate situation, Moses told the people: “Fear not, stand firm, and you will see the salvation of the Lord” (Ex 14:13). I ask myself, where did Moses find this kind of certainty amid the constant fears and laments of his people? That strength came to him from listening to the Lord (cf. vv. 2-4), who had promised him that he was about to manifest his glory. Union with God, trust in him, cultivated by prayer: this was the secret of the strength that enabled Moses to lead the people from oppression to freedom.

The same holds true for us. Prayer gives us the strength to go forward, to overcome our fears, to glimpse, even in the darkness, the salvation that God is even now preparing. Moreover, prayer brings down God’s salvation upon the people. The prayer of intercession that marked the life of Moses (cf. Ex 32:11-14) is the type of prayer that we, as shepherds of God’s holy people, are especially called to practise. Prayer for the Lord of peace to intervene where men and women are powerless to bring about peace: a tenacious and constant prayer of intercession. Dear brothers and sisters, let us support one another in this effort. In the diversity of our confessions, let us feel united among ourselves, as one family, responsible to pray for everyone. In our parishes, our churches, our places of praise and worship, let us pray constantly (cf. Acts 1:14) that South Sudan, like the people of God in the Scriptures, “may come to the promised land”. Let us pray that, in a spirit of serenity, equitable provisions will be made for the use of its rich and fertile land and that the country will be crowned with the promised peace that, sadly, has yet to come.

It is precisely for peace that we are called to work. Jesus wants us to be peacemakers (cf. Mt 5:9). He wants his Church to be not only a sign and instrument of intimate union with God but also of the unity of the entire human family (cf. Lumen Gentium, 1). Indeed, as Saint Paul tells us, Christ “is our peace” precisely because he restores unity. It is he who “made both groups into one and has broken down the dividing wall, that is, the hostility between us” (cf. Eph 2:14). That is what the peace of God is: not only a truce amid conflicts, but a fraternal fellowship that comes from uniting and not absorbing; from pardoning and not overpowering; from reconciling and not imposing. So great is heaven’s desire for peace that it was proclaimed from the very moment of Christ’s birth: “on earth peace among those whom he favours” (Lk 2:14). So great was Jesus’ anguish over the refusal of this gift that he had come to bring, that he wept for Jerusalem, saying, “If you, even you, had only recognized on this day the things that make for peace!” (Lk 19:42).

Let us work tirelessly, dear brothers and sisters, for the peace that the Spirit of Jesus and the Father urges us to build: a peace that integrates diversity and promotes unity in plurality. The peace of the Holy Spirit harmonizes differences, whereas the spirit hostile to God and humanity uses diversity as a means of division. Scripture tells us that “the children of God and the children of the devil are revealed in this way: all who do not do what is right are not from God, nor are those who do not love their brothers and sisters” (1 Jn 3:10). Dear friends, those who would call themselves Christians must choose which side to take. Those who choose Christ choose peace, always; those who unleash war and violence betray the Lord and deny his Gospel. What Jesus teaches us is clear: we are to love everyone, since everyone is loved as a child of our common Father in heaven. The love of Christians is not only for those close to us, but for everyone, for in Jesus each person is our neighbour, our brother or sister – even our enemies (cf. Mt 5: 38-48). How much more true is this of those who are members of the same people, albeit belonging to different ethnic groups. “That you love one another as I have loved you” (Jn 15:12): that is Jesus’ commandment, and it contradicts every “tribal” understanding of religion. “That they may all be one” (Jn 17:21). That is Jesus’ heartfelt prayer to the Father for all of us who believe.

Let us work together, brothers and sisters, to foster this fraternal unity among ourselves as Christians, and help to bring the message of peace to society by spreading Jesus’ way of non-violence. Those who claim to be believers should have nothing more to do with a culture based on the spirit of vengeance. The Gospel must not be just a beautiful religious philosophy, but a prophecy that becomes reality in history. Let us work for peace by weaving and mending, not by cutting or tearing. Let us follow Jesus, and in following him, let us walk together on the path to peace (cf. Lk 1:79).

After the verbs to pray and to work, we come now to the third verb: to journey. In this country, Christian communities have been deeply committed to promoting processes of reconciliation. I thank you for this radiant testimony of faith born of the realization, expressed not only in words but also in deeds, that prior to any historical divisions there remains one unchanging fact, namely, that we are Christians; we belong to Christ. It is a beautiful thing that, amid situations of great conflict, those who profess the Christian faith have never fragmented the people but have been, and continue to be, a factor of unity. This ecumenical tradition of South Sudan is a precious treasure, an act of praise for the name of Jesus and an act of love for the Church his bride, an example to all for the advancement of Christian unity. It is a tradition to be cultivated in that same spirit. The ecclesial divisions of past centuries should not have any impact on those who are being evangelized, and the spread of the Gospel ought to contribute to the growth of greater unity. May the tribalism and the partisan spirit that fuel acts of violence in this country not impair relationships between the various confessions. On the contrary, may the witness of unity among believers overflow to the people as a whole.

Here, to conclude, I would like to suggest two key words to help us persevere in our journey: memory and commitment. Memory. The steps that you take follow in the footsteps of those who have gone before you. Do not fear that you will not live up to their example, but feel yourselves urged on by those who prepared the way for you. As in a relay race, take hold of their testimony and hold it tight as you run towards the goal of full and visible communion. Then, commitment. We journey towards unity when love is concrete, when we join in coming to the aid of the outcast, the wounded and the disenfranchised. You already do this in any number of areas. I think in particular of the sectors of healthcare, education and charitable outreach. How much greatly needed assistance you provide to the people! Thank you for this. Continue to assist them, never acting as competitors but as members of a family, brothers and sisters who, by their compassion for the suffering, the beloved of Jesus, give glory to God and bear witness to the fellowship he loves.

Dear friends, my brothers and I have come, together, as pilgrims to be with you, the holy people of God, on your journey. Even if distance separates us physically, we always remain close to you. Let us set out each day by praying for one another, by working together as witnesses and mediators of the peace of Jesus, and by persevering in the same journey by our practical acts of charity and unity. In all things, let us love one another constantly and from the heart (cf. 1 Pet 1:22).

[00171-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Herr Präsident der Republik,
geschätzte religiöse und zivile Verantwortungsträger,
liebe Brüder und Schwestern!

Aus diesem geliebten und leidgeprüften Land sind soeben zahlreiche Gebete zum Himmel aufgestiegen: verschiedene Stimmen haben sich zu einer Stimme vereint. Gemeinsam, als Gottes heiliges Volk, haben wir für dieses verwundete Volk gebetet. Für uns Christen ist das Gebet das Erste und Wichtigste, was wir tun können, um in rechter Weise handeln zu können und die Kraft zum Gehen zu haben. Beten, handeln und Wege-gehen: Lasst uns über diese drei Verben nachdenken.

Beten, das kommt an erster Stelle. Das große Engagement der christlichen Gemeinschaften zur Förderung des Menschen, der Solidarität und des Friedens wäre ohne das Gebet vergeblich. In der Tat können wir den Frieden nicht fördern, ohne zuvor Jesus, den »Fürst des Friedens« (Jes 9,5), anzurufen. Was wir für andere tun und mit anderen teilen, ist in erster Linie ein ungeschuldetes Geschenk, das wir mit leeren Händen von ihm erhalten: Es ist Gnade, reine Gnade. Wir sind Christen, weil wir von Christus ungeschuldet geliebt werden.

Heute Morgen habe ich mich von der Gestalt des Mose inspirieren lassen, und nun möchte ich gerade in Bezug auf das Gebet an eine entscheidende Episode für ihn und sein Volk erinnern, die sich ereignete, als er gerade begonnen hatte, es auf seinem Weg in die Freiheit zu begleiten. Am Ufer des Roten Meeres angekommen, bietet sich ihm und allen Israeliten ein dramatisches Bild: Vor ihnen befindet sich die unüberwindbare Barriere des Wassers, hinter ihnen kommt das feindliche Heer mit Wagen und Pferden näher. Erinnert dies nicht an die ersten Schritte dieses Landes, das sowohl von todbringenden Wassern wie den verheerenden Überschwemmungen heimgesucht wurde, als auch von schrecklicher Kriegsgewalt? Nun, in dieser verzweifelten Situation sagt Mose zum Volk: »Fürchtet euch nicht! Bleibt stehen und schaut zu, wie der Herr euch heute rettet« (Ex 14,13). Nun frage ich mich: Woher nahm Mose diese Gewissheit, während sein Volk weiterhin verängstigt klagte? Diese Kraft empfing er aus dem Hören auf den Herrn (vgl. V. 2-4), der ihm versprochen hatte, seine Herrlichkeit zu erweisen. Die Einheit mit ihm, das im Gebet gepflegte Vertrauen auf ihn, war das Geheimnis, wodurch Mose das Volk aus der Unterdrückung in die Freiheit führen konnte.

So ist es auch für uns: Das Gebet gibt uns die Kraft, vorwärts zu gehen, Ängste zu überwinden und selbst in der Dunkelheit das Heil zu erahnen, das Gott bereitet. Darüber hinaus lenkt das Gebet das Heil Gottes auf die Menschen. Wir, die Hirten des heiligen Gottesvolkes, sind zum Fürbittgebet, das das Leben des Mose kennzeichnete (vgl. Ex 32,11-14), besonders verpflichtet. Damit der Herr des Friedens dort eingreift, wo es den Menschen nicht gelingt, Frieden zu schaffen, bedarf es des Gebets: eines beharrlichen, beständigen Fürbittgebets. Brüder und Schwestern, unterstützen wir uns gegenseitig dabei: Fühlen wir uns in unseren verschiedenen Konfessionen untereinander eins, als eine einzige Familie; und fühlen wir uns beauftragt, für alle zu beten. Beten wir in unseren Gemeinden, Kirchen, Gottesdienst- und Lobpreisversammlungen eifrig und einmütig (vgl. Apg 1,14), dass der Südsudan wie das Volk Gottes in der Heiligen Schrift „das verheißene Land erreicht“: dass er unbeschwert und gerecht über das fruchtbare und reiche Land verfügt, das er besitzt, und von dem verheißenen aber leider noch nicht erlangten Frieden erfüllt wird.

Gerade für die Sache des Friedens sind wir zweitens aufgerufen, zu handeln. Weil Jesus will, dass wir „Friedensstifter“ sind (vgl. Mt 5,9), will er, dass seine Kirche nicht nur Zeichen und Werkzeug der innigen Einheit mit Gott sei, sondern auch der Einheit der ganzen Menschheit (vgl. Lumen gentium, 1). Christus ist nämlich, wie der Apostel Paulus sagt, »unser Friede«, und zwar genau in dem Sinne, dass er die Einheit wiederherstellt: Er ist derjenige, der „die beiden Teile vereinigt und die trennende Wand der Feindschaft in seinem Fleisch niederreißt“ (vgl. Eph 2,14). Das ist der Friede Gottes: nicht nur ein Waffenstillstand inmitten von Konflikten, sondern eine geschwisterliche Gemeinschaft, die aus der Vereinigung, nicht aus der Absorbierung entsteht; aus der Vergebung, nicht aus dem Überwältigen; durch Versöhnung und nicht durch Aufoktroyieren. Der Wunsch des Himmels nach Frieden ist so groß, dass er bereits bei der Geburt Christi verkündet wurde: »Friede auf Erden den Menschen seines Wohlgefallens« (Lk 2,14). Und so groß war bei Jesus die Angst vor einer Ablehnung dieses Geschenks, das zu bringen er gekommen war, dass er über Jerusalem weinte und sagte: »Wenn doch auch du an diesem Tag erkannt hättest, was Frieden bringt!« (Lk 19,42).

Liebe Brüder und Schwestern, wir wirken unermüdlich für diesen Frieden, den zu errichten der Geist Jesu und des Vaters uns einlädt: einen Frieden, der die Verschiedenheit integriert und die Einheit in Vielfalt fördert. Das ist der Friede des Heiligen Geistes, der die Unterschiede in Einklang bringt, während jener Geist, der der Feind Gottes und der Menschen ist, die Verschiedenheit benutzt, um zu spalten. Dazu sagt die Schrift: »Daran kann man die Kinder Gottes und die Kinder des Teufels erkennen: Jeder, der die Gerechtigkeit nicht tut und seinen Bruder nicht liebt, ist nicht aus Gott« (1 Joh 3,10). Meine Lieben, diejenigen, die sich Christen nennen, müssen sich für eine Seite entscheiden. Wer Christus nachfolgt, wählt immer den Frieden; wer Krieg und Gewalt entfesselt, verrät den Herrn und verleugnet sein Evangelium. Die Haltung, die Jesus uns lehrt, ist klar: alle Menschen zu lieben, weil alle von dem gemeinsamen Vater im Himmel als seine Kinder geliebt sind. Die Liebe des Christen gilt nicht nur dem Nächsten, sondern allen, weil in Jesus jeder unser Nächster ist, unser Bruder und unsere Schwester, selbst der Feind (vgl. Mt 5,38-48); erst recht diejenigen, die unserem eigenen Volk angehören, wenn auch einer anderen Ethnie. »Dass ihr einander liebt, so wie ich euch geliebt habe« (Joh 15,12): das ist das Gebot Jesu, das jeder tribalistischen Sichtweise der Religion widerspricht. »Alle sollen eins sein« (Joh 17,21): Das ist das innständige Gebet Jesu zum Vater für uns alle Gläubige.

Brüder und Schwestern, bemühen wir uns um diese geschwisterliche Einheit unter uns Christen, und helfen wir einander, die Botschaft des Friedens in der Gesellschaft weiterzugeben, Jesu Haltung der Gewaltlosigkeit zu verbreiten, damit in denen, die sich zum Glauben bekennen, kein Platz mehr ist für eine Kultur, die auf dem Geist der Rache beruht; damit das Evangelium nicht nur eine schöne religiöse Rede ist, sondern eine Prophetie, die in der Geschichte Wirklichkeit wird. Setzen wir uns dafür ein: Arbeiten wir für den Frieden, indem wir zusammenknüpfen und flicken, nicht aber zerschneiden oder zerreißen. Folgen wir Jesus nach und gehen mit gemeinsamen Schritten auf dem Weg des Friedens (vgl. Lk 1,79).

Hier ist also das dritte Verb: nach dem Beten und Handeln nun das Wege-gehen. Hier haben sich die christlichen Gemeinschaften im Laufe der Jahrzehnte stark für Wege der Versöhnung eingesetzt. Ich möchte euch für dieses leuchtende Zeugnis des Glaubens danken, das aus der nicht nur in Worten, sondern auch in Taten erfolgten Erkenntnis erwächst, dass es eine allen geschichtlichen Spaltungen vorausliegende unveränderliche Realität gibt: Wir sind Christen, wir gehören zu Christus. Es ist schön, dass inmitten so vieler Konflikte die christliche Zugehörigkeit die Bevölkerung nie gespalten hat, sondern ein Faktor der Einheit war und immer noch ist. Das ökumenische Erbe des Südsudan ist ein kostbarer Schatz, ein Lobpreis auf den Namen Jesu, ein Akt der Liebe zur Kirche, seiner Braut, ein universales Beispiel für den Weg der Einheit der Christen. Dies ist ein Erbe, das in demselben Geist gehütet werden muss: Die kirchlichen Spaltungen der vergangenen Jahrhunderte dürfen sich nicht negativ auf diejenigen auswirken, denen das Evangelium gebracht wird, vielmehr möge die Saat des Evangeliums dazu beitragen, eine größere Einheit zu schaffen. Das Stammesdenken und die Parteilichkeit, die die Gewalt im Land anschüren, dürfen die Beziehungen zwischen den Konfessionen nicht anstecken; im Gegenteil, das Zeugnis der Einheit der Gläubigen möge auf das ganze Volk übergehen.

In diesem Sinne möchte ich zum Schluss zwei Schlüsselbegriffe für die Fortsetzung unseres Weges vorschlagen: Erinnerung und Einsatz. Erinnerung: Die Schritte, die ihr geht, folgen den Fußspuren eurer Vorgänger. Habt keine Angst, ihnen nicht gerecht zu werden, sondern fühlt euch von denen angeschoben, die euch den Weg bereitet haben: Übernehmt wie bei einem Staffellauf den Staffelstab, damit das Ziel der vollen und sichtbaren Einheit schneller erreicht wird. Und dann der Einsatz: Man geht auf die Einheit zu, wenn die Liebe konkret ist, wenn man gemeinsam denjenigen hilft, die am Rande stehen, die verwundet und ausgegrenzt sind. Ihr tut dies bereits in so vielen Bereichen, ich denke insbesondere an das Gesundheitswesen, die Bildung und den karitativen Bereich: wie viel dringende und unverzichtbare Hilfe bringt ihr den Menschen! Ich danke euch dafür. Macht weiter so: niemals als Konkurrenten, sondern als Glieder einer Familie; als Brüder und Schwestern, die durch ihr Erbarmen mit den Leidenden, die Jesus besonders am Herzen liegen, Gott die Ehre geben und Zeugnis ablegen von der Gemeinschaft, die er liebt.

Ihr Lieben, meine Brüder und ich sind als Pilger zu euch gekommen, dem pilgernden Volk Gottes. Auch dann, wenn wir räumlich weit entfernt sind, werden wir euch doch immer nahe sein. Beginnen wir jeden Tag damit, dass wir füreinander und miteinander beten, dass wir als Zeugen und Vermittler des Friedens Jesu gemeinsam handeln, dass wir auf demselben Weg gehen, indem wir konkrete Schritte der Nächstenliebe und der Einheit unternehmen. In allem lasst uns einander sehr und von ganzem Herzen lieben (vgl. 1 Petr 1,22).

[00171-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

Señor Presidente de la República,
Distinguidas Autoridades religiosas y civiles,
Queridos hermanos y hermanas:

Desde esta tierra amada y martirizada se acaban de elevar al cielo muchas oraciones. Diversas voces se han unido, formando una sola. Juntos, como Pueblo santo de Dios, hemos rezado por este pueblo herido. Como cristianos, rezar es lo primero y más importante que estamos llamados a realizar para poder obrar bien y tener la fuerza para caminar. Rezar, obrar y caminar. Reflexionemos sobre estos tres verbos.

Ante todo, rezar. El gran esfuerzo de las comunidades cristianas en la promoción humana, en la solidaridad y en la paz sería vano sin la oración. En efecto, no podemos promover la paz sin antes haber invocado a Jesús, «Príncipe de la paz» (Is 9,5). Lo que hacemos por los demás y lo que compartimos con ellos, es primeramente un don gratuito que recibimos de Él teniendo las manos vacías. Es gracia, pura gracia. Somos cristianos porque somos amados gratuitamente por Cristo.

Esta mañana me inspiré en la figura de Moisés y ahora, justamente en relación a la oración, quisiera volver a evocar un episodio decisivo para él y para su pueblo, que aconteció cuando recién había iniciado a acompañarlo en su camino hacia la libertad. Habiendo llegado a la orilla del mar Rojo, se presenta ante él y ante todos los israelitas una escena dramática: delante aparece la barrera infranqueable de las aguas; detrás está llegando el ejército enemigo, con carros y caballos. ¿No será acaso que esto nos recuerda los primeros pasos de este país, asaltado por aguas mortales, como aquellas de las desastrosas inundaciones que lo han azotado; y por la brutal violencia bélica? Pues bien, en esa situación desesperada Moisés dice al pueblo: «¡No teman! Manténganse firmes, porque hoy mismo ustedes van a ver lo que hará el Señor para salvarlos» (Ex 14,13). Ahora me pregunto, ¿de dónde le venía a Moisés tal certeza, mientras su pueblo, atemorizado, seguía lamentándose? Esta fuerza le venía por escuchar al Señor (cf. vv. 2-4), que le había prometido manifestar su gloria. La unión con Él, la confianza en Él cultivada en la oración, era el secreto con el que Moisés pudo acompañar al pueblo, de la opresión a la libertad.

Es así también para nosotros: rezar nos da la fuerza para salir adelante; superar los temores; entrever, aun en la oscuridad, la salvación que Dios prepara. Es más, la oración atrae la salvación de Dios sobre el pueblo. La oración de intercesión, que caracterizó la vida de Moisés (cf. Ex 32,11-14), es una obligación sobre todo para nosotros, pastores del Pueblo santo de Dios. Para que el Señor de la paz intervenga ahí donde los hombres no alcanzan a construirla, es necesaria la oración; una tenaz, constante oración de intercesión. Hermanos, hermanas, apoyémonos en esto. En nuestras diversas confesiones, sintámonos unidos los unos con los otros, como una única familia; y sintámonos responsables de orar por todos. En nuestras parroquias, iglesias, asambleas de culto y de alabanza, seamos asiduos y unánimes en la oración (cf. Hch 1,14), para que Sudán del Sur, de la misma manera que el pueblo de Dios en la Escritura, “llegue a la tierra prometida”; que disponga, con tranquilidad y justicia, de la tierra fértil y rica que posee, y sea colmado de esa paz prometida, aunque, lamentablemente, no obtenida aún.

En segundo lugar, justamente en favor de la causa por la paz, estamos llamados a trabajar. Jesús quiere que “trabajemos por la paz” (cf. Mt 5,9); por eso quiere que su Iglesia no sea sólo signo e instrumento de la íntima unión con Dios, sino también de la unidad de todo el género humano (cf. Lumen gentium, 1). En efecto, Cristo, como recuerda el apóstol Pablo, «es nuestra paz», precisamente en el sentido del restablecimiento de la unidad. Él es aquél que de dos hace uno solo, «derribando el muro de enemistad que los separaba» (Ef 2,14). Esta es la paz de Dios, no sólo una tregua a los conflictos, sino una comunión fraterna, que es el resultad de conjugar, no de disolver; de perdonar, no de estar por encima; de reconciliarse, no de imponerse. Tan grande es el deseo de paz desde el cielo, que fue anunciado ya en el momento del nacimiento de Cristo: «en la tierra, paz a los hombres amados por él» (Lc 2,14). Y fue tan grande la angustia de Jesús por el rechazo de este don que vino a traer, que lloró por Jerusalén, diciendo: «¡Si tú también hubieras comprendido en este día el mensaje de paz!» (Lc 19,42).

Nosotros, queridos hermanos y hermanas, trabajemos sin cansarnos por esta paz, que el Espíritu de Jesús y del Padre nos invita a construir; una paz que integra las diversidades, que promueve la unidad en la pluralidad. Esta es la paz del Espíritu Santo, que armoniza las diferencias, mientras que el espíritu enemigo de Dios y del hombre se vale de la diversidad para dividir. A este respecto, la Escritura dice: «Los hijos de Dios y los hijos del demonio se manifiestan en esto: el que no practica la justicia no es de Dios, ni tampoco el que no ama a su hermano» (1 Jn 3,10). Queridos hermanos y hermanas, quien se dice cristiano tiene que elegir de qué parte estar. Quien sigue a Cristo elige la paz, siempre; el que desencadena guerra y violencia traiciona al Señor y reniega de su Evangelio. El estilo que Jesús nos enseña es claro: amar a todos, pues todos son amados como hijos del Padre común que está en los cielos. El amor del cristiano no es sólo para los que están cerca, sino para todos, porque cada uno en Jesús es nuestro prójimo, hermano y hermana, incluso el enemigo (cf. Mt 5,38-48). Con mayor razón, cuantos pertenecen a nuestro mismo pueblo, aunque sean de una etnia distinta. «Ámense los unos a los otros, como yo los he amado» (Jn 15,12), este es el mandamiento de Jesús, que contradice cualquier visión tribal de la religión. «Que todos sean uno» (Jn 17,21), esta es la oración ferviente de Jesús al Padre por todos nosotros, los creyentes.

Esforcémonos, hermanos y hermanas, por esta unidad fraterna entre nosotros los cristianos, y ayudémonos a transmitir el mensaje de la paz a la sociedad; a difundir el estilo de no violencia de Jesús, para que en quien se profesa creyente no haya más espacio para una cultura basada en el espíritu de venganza; para que el Evangelio no sea sólo un bonito discurso religioso, sino una profecía que se hace realidad en la historia. Pongámonos manos a la obra; trabajemos por la paz tejiendo y remendando, nunca cortando o rasgando. Sigamos a Jesús y, tras de Él, demos pasos comunes por el camino de la paz (cf. Lc 1,79).

Y ahora el tercer verbo. Después de rezar y obrar, caminar. Aquí, a lo largo de décadas, las comunidades cristianas se han comprometido fuertemente en promover itinerarios de reconciliación. Quisiera agradecerles este luminoso testimonio de fe, que nació de reconocer —no sólo de palabra, sino de obra— que antes de las divisiones históricas hay una realidad inmutable: somos cristianos, somos de Cristo. Es hermoso que, en medio de tantos conflictos, la pertenencia cristiana no haya jamás disgregado a la población, sino que ha sido, y sigue siendo, factor de unidad. La herencia ecuménica de Sudán del Sur es un tesoro precioso; una alabanza al nombre de Jesús; un acto de amor a la Iglesia, su esposa; un ejemplo universal hacia el camino de unidad de los cristianos. Es una herencia que ha de ser custodiada con el mismo espíritu. Que las divisiones eclesiales de los siglos pasados no influyan en quienes son evangelizados, sino que la semilla del Evangelio contribuya a difundir una unidad más grande. Que el tribalismo y la división en facciones, que alimentan la violencia en el país, no afecten las relaciones interconfesionales. Al contrario, que el testimonio de unidad de los creyentes repercuta en el pueblo.

En este sentido, para terminar, quisiera sugerir dos palabras clave para continuar nuestro camino: memoria y compromiso. Memoria: los pasos que ustedes dan imitan las huellas de sus predecesores. No tengan miedo de no estar a la altura; en cambio, siéntanse impulsados por aquellos que les han preparado el camino. Como en una carrera de relevos, tomen el testigo, para que de ese modo se acelere la llegada a la meta de la comunión plena y visible. Y luego el compromiso: se camina hacia la unidad cuando el amor es concreto; cuando, unidos, se socorre a quien está marginado, a quien está herido y descartado. Ustedes ya lo realizan en muchos ámbitos. Pienso en particular en la asistencia sanitaria, en la instrucción y en la caridad. Cuánta ayuda urgente e indispensable llevan a la población. Gracias por esto. Sigan así, nunca compitiendo, sino siendo como una familia; hermanos y hermanas que, por medio de la compasión por quienes sufren, los predilectos de Jesús, dan gloria a Dios y testimonian la comunión que Él desea.

Queridos hijos, mis hermanos y yo vinimos como peregrinos en medio de ustedes, Pueblo santo de Dios en camino. Aun estando distantes físicamente, permaneceremos siempre cerca de ustedes. Comencemos cada día rezando los unos por los otros, y con los otros; trabajando juntos, como testigos y mediadores de la paz de Jesús; caminando por el mismo sendero, dando pasos concretos de caridad y de unidad. En todo, amémonos profundamente y de manera sincera (cf. 1 P 1,22).

[00171-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

Senhor Presidente da República,
Distintas Autoridades religiosas e civis,
Queridos irmãos e irmãs!

Acabam de se elevar, desta amada e atribulada terra, para o Céu tantas orações: vozes diferentes uniram-se, formando uma só voz. Juntos, como Povo santo de Deus, rezamos por este povo ferido. Como cristãos, a primeira coisa – e a mais importante – que somos chamados a fazer é rezar, para podermos trabalhar bem e termos a força de caminhar. Rezar, trabalhar e caminhar: três verbos sobre os quais precisamos de refletir.

Rezar, antes de tudo. Sem a oração, seria vão o notável empenho das comunidades cristãs na promoção humana, na solidariedade e na paz. De facto, não podemos promover a paz sem antes invocar Jesus, «Príncipe da paz» (Is 9, 5). Aquilo que fazemos pelos outros e partilhamos com os outros é, primariamente, dom gratuito que as nossas mãos vazias recebem d’Ele: é graça, pura graça. Somos cristãos, porque gratuitamente amados por Cristo.

Esta manhã inspirei-me na figura de Moisés e agora, a propósito precisamente da oração, quero recordar um episódio decisivo para ele e para o seu povo, ocorrido precisamente no início do caminho rumo à liberdade. Tendo chegado às margens do Mar Vermelho, uma cena dramática se apresenta aos olhos de Moisés e de todos os israelitas: à sua frente, aparece a barreira intransponível das águas; pela retaguarda, está a chegar o exército inimigo, com carros e cavalos. Porventura isto não nos recorda os primeiros passos deste país, acometido não só pelas águas funestas das desastrosas inundações que o atingiram, mas também por uma brutal violência bélica? Então Moisés, naquela situação desesperada, diz ao povo: «Não tenhais medo. Permanecei firmes e vede a salvação que o Senhor fará» (Ex 14, 13). Eu pergunto-me: a Moisés donde lhe vinha semelhante certeza, enquanto o seu povo continuava a lamentar-se apavorado? Aquela força vinha-lhe da escuta do Senhor (cf. 14, 2-4), que lhe prometera manifestar a sua glória. A união com Deus, a confiança n’Ele cultivada na oração, foi o segredo que permitiu a Moisés acompanhar o povo da opressão à liberdade.

Dá-se o mesmo connosco: rezar dá a força para seguir em frente, superar os medos, vislumbrar, mesmo na escuridão, a salvação que Deus prepara. Além disso, a oração atrai sobre o povo a salvação de Deus. A esta oração de intercessão, que caraterizou a vida de Moisés (cf. Ex 32, 11-14), estamos obrigados sobretudo nós, Pastores do Povo santo de Deus. Para que o Senhor da paz intervenha onde os homens não conseguem construí-la, é precisa a oração: uma oração tenaz e constante de intercessão. Irmãos, irmãs, apoiemo-nos nisto: nas nossas várias Confissões, sintamo-nos unidos entre nós, como uma só família; e sintamo-nos encarregados de rezar por todos. Nas nossas paróquias, igrejas, assembleias de culto e louvor, rezemos assíduos e concordes (cf. At 1, 14) para que o Sudão do Sul, como o povo de Deus na Escritura, «alcance a terra prometida»: disponha serena e equitativamente da terra fértil e rica que possui e seja cumulado daquela paz prometida, mas que, infelizmente, ainda não chegou.

E, em segundo lugar, somos chamados a trabalhar precisamente pela causa da paz. Pois Jesus quer-nos «pacificadores» (Mt 5, 9), quer que a sua Igreja seja não só sinal e instrumento da íntima união com Deus, mas também da unidade de todo o género humano (cf. Conc. Ecum. Vat. II, Const. dogm. Lumen gentium, 1). Com efeito, como recorda o Apóstolo Paulo, Cristo «é a nossa paz» justamente no sentido do restabelecimento da unidade: foi Ele quem, «dos dois povos, fez um só e destruiu o muro de separação, a inimizade» (Ef 2, 14). Aqui está a paz de Deus: não apenas uma trégua entre os conflitos, mas uma comunhão fraterna, que brota de congregar, não de absorver; de perdoar, não de suplantar; de reconciliar-se, não de impor-se. Tão grande é o desejo de paz do Céu que foi anunciada logo no momento do nascimento de Cristo: «…paz na terra aos homens do seu agrado» (Lc 2, 14). E tão grande foi a angústia de Jesus pela rejeição deste dom, que Ele vinha trazer, que chorou sobre Jerusalém, dizendo: «Se neste dia também tu tivesses conhecido o que te pode trazer a paz!» (Lc 19, 42).

Trabalhemos incansavelmente, queridos irmãos e irmãs, por esta paz que o Espírito de Jesus e do Pai nos convida a construir: uma paz que integra as diversidades, que promove a unidade na pluralidade. Esta é a paz do Espírito Santo, que harmoniza as diferenças, ao passo que o espírito inimigo de Deus e do homem aproveita as diversidades para dividir. A propósito diz a Escritura: «Nisto é que se distinguem os filhos de Deus e os filhos do diabo: todo aquele que não pratica a justiça não é de Deus, nem aquele que não ama o seu irmão» (1 Jo 3, 10). Amigos caríssimos, quem se diz cristão deve escolher de que parte estar. Quem segue Cristo escolhe a paz, sempre; quem desencadeia guerra e violência atraiçoa o Senhor e renega o seu Evangelho. O estilo que Jesus nos ensina é claro: amar a todos, uma vez que todos são amados como filhos pelo Pai comum que está nos céus. O amor do cristão não é só para os vizinhos, mas para cada um, porque cada um em Jesus é nosso próximo, irmão e irmã – até mesmo o inimigo (cf. Mt 5, 38-48) – e, com maior força de razão, aqueles que pertencem ao nosso próprio povo, embora de etnia diferente. «Que vos ameis uns aos outros como Eu vos amei» (Jo 15, 12): este é o mandamento de Jesus, que contradiz toda a visão tribal da religião. «Que todos sejam um só» (Jo 17, 21): esta é a ardente oração de Jesus ao Pai por todos nós, crentes.

Trabalhemos, irmãos e irmãs, por esta unidade fraterna entre nós, cristãos, e ajudemo-nos a fazer passar a mensagem da paz na sociedade, a difundir o estilo de não-violência de Jesus, para que, na pessoa que se professa crente, já não haja espaço para uma cultura baseada no espírito de vingança; para que o Evangelho não seja apenas um belo discurso religioso, mas uma profecia que se torna realidade na história. Trabalhemos por isto: trabalhemos pela paz tecendo e remendando, nunca cortando ou rasgando. Sigamos Jesus e, atrás d’Ele, demos passos comuns no caminho da paz (cf. Lc 1, 79).

E chegamos assim ao terceiro verbo: depois de rezar e trabalhar, caminhar. Aqui, ao longo dos decénios, as comunidades cristãs empenharam-se fortemente na promoção de percursos de reconciliação. Quero agradecer-vos por este luminoso testemunho de fé, nascido do facto de reconhecer, não só nas palavras mas também nas obras, que, antes das divisões históricas, existe uma realidade imutável: somos cristãos, somos de Cristo. É maravilhoso que, no meio de tanto conflito, a pertença cristã nunca tenha desagregado a população, mas foi, e é ainda, fator de unidade. A herança ecuménica do Sudão do Sul é um tesouro precioso, um louvor ao nome de Jesus, um ato de amor à Igreja sua esposa, um exemplo universal para o caminho de unidade dos cristãos. É uma herança que deve ser guardada com o mesmo espírito: as divisões eclesiais dos séculos passados não se repercutam sobre quem é evangelizado, mas possa a sementeira do Evangelho contribuir para gerar maior unidade. O tribalismo e o faciosismo que alimentam as violências no país não afetem as relações interconfessionais; pelo contrário, derrame-se sobre o povo o testemunho de unidade dos crentes.

Neste sentido e para concluir, quero sugerir duas palavras-chave para a continuação do nosso caminho: memória e compromisso. Memória: os passos que dais recalcam as pegadas dos predecessores. Não tenhais medo de não estar à altura, mas senti-vos impelidos por quem vos preparou a estrada: como numa corrida com estafetas, recolhei o testemunho para apressar a conquista da meta duma comunhão plena e visível. E depois o compromisso: caminha-se para a unidade, quando o amor é concreto, quando nos damos as mãos para socorrer quem está na margem da estrada, quem é ferido e descartado. Já o fazeis em muitos campos; penso em particular nos campos da saúde, da instrução, da caridade. Como é urgente e indispensável a ajuda que levais à população! Obrigado! Continuai assim: nunca concorrentes, mas familiares; irmãos e irmãs que, através da compaixão pelos que sofrem, os prediletos de Jesus, dão glória a Deus e testemunham a comunhão que Ele ama.

Queridos amigos, os meus irmãos e eu viemos como peregrinos atá junto de vós, Povo santo de Deus em caminho. Mesmo distantes fisicamente, continuaremos sempre a estar próximos de vós. Recomecemos cada dia a partir da oração de uns pelos outros e com os outros, do trabalhar juntos como testemunhas e mediadores da paz de Jesus, do caminhar pela mesma estrada, dando passos concretos de caridade e unidade. Em tudo, amemo-nos intensamente e de coração sincero (cf. 1 Ped 1, 22).

[00171-PO.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Panie Prezydencie Republiki,
Dostojni Przedstawiciele władz religijnych i cywilnych,
Drodzy bracia i siostry!

Z tej umiłowanej i udręczonej ziemi właśnie wzniosło się do Nieba wiele modlitw: różne głosy połączyły się w jeden. Razem jako święty lud Boży, modliliśmy się za ten poraniony lud. Modlitwa jest pierwszą i najważniejszą rzeczą, do której jesteśmy powołani jako chrześcijanie, abyśmy mogli dobrze działać i mieć siłę do podążania naprzód. Modlić się, działać i podążać: zastanówmy się nad tymi trzema czasownikami.

Przede wszystkim modlić się. Wielkie zaangażowanie wspólnot chrześcijańskich w promocję człowieka, solidarność i pokój byłoby daremne bez modlitwy. Nie możemy bowiem krzewić pokoju nie wzywając wcześniej Jezusa, „Księcia Pokoju” (Iz 9, 5). To, co czynimy dla innych i czym dzielimy się z innymi, jest przede wszystkim bezinteresownym darem, który otrzymujemy od Niego mając puste ręce: jest to łaska, czysta łaska. Jesteśmy chrześcijanami, ponieważ jesteśmy bezinteresownie umiłowani przez Chrystusa.

Dzisiejszego poranka zainspirowała mnie postać Mojżesza i teraz, właśnie w związku z modlitwą, chciałbym przypomnieć wydarzenie decydujące dla niego i dla jego ludu, które miało miejsce, gdy ledwo zaczął towarzyszyć temu ludowi w drodze ku wolności. Po przybyciu na brzeg Morza Czerwonego oczom Mojżesza i wszystkich Izraelitów ukazuje się dramatyczna scena: przed nimi rozciąga się nieprzekraczalna bariera wód; za nimi zaś podąża armia nieprzyjaciela z rydwanami i końmi. Czy nie przypomina to pierwszych kroków tego kraju, atakowanego zarówno przez wody śmierci, takie jak te katastrofalne powodzie, które go nawiedziły, jak i przez ohydną przemoc wojny? Otóż w tej rozpaczliwej sytuacji Mojżesz mówi do ludu: „Nie bójcie się! Wytrwajcie, a zobaczycie wasze ocalenie” (Wj 14, 13). Stawiam sobie teraz pytanie: skąd taka pewność u Mojżesza, podczas gdy jego lud nadal narzekał przestraszony? Ta moc przychodziła do niego ze słuchania Pana (por. w. 2-4), który obiecał mu objawienie Swej chwały. Zjednoczenie z Nim, pielęgnowane w modlitwie zaufanie do Niego były sekretem, dzięki któremu Mojżesz mógł poprowadzić lud od ucisku ku wolności.

To samo dotyczy nas: modlitwa daje siłę, by iść naprzód, pokonywać lęki, dostrzegać, nawet w ciemnościach, zbawienie, które przygotowuje Bóg. Co więcej, modlitwa ściąga na lud Boże zbawienie. Modlitwa wstawiennicza, która charakteryzowała życie Mojżesza (por. Wj 32, 11-14), jest tą, do której my, pasterze świętego ludu Bożego, jesteśmy szczególnie zobowiązani. Aby Pan pokoju mógł interweniować tam, gdzie ludzie nie potrafią tego pokoju zbudować, potrzebna jest modlitwa: wytrwała, nieustanna modlitwa wstawiennicza. Bracia, siostry, wspierajmy się w tym: w naszych różnych wyznaniach poczujmy się zjednoczeni między sobą, jak jedna rodzina; i czujmy się zobowiązani do modlitwy za wszystkich. W naszych parafiach, kościołach, zgromadzeniach modlitewnych i grupach uwielbienia módlmy się wytrwale i zgodnie (por. Dz 1, 14), aby Sudan Południowy, podobnie jak lud Boży w Piśmie Świętym, „dotarł do ziemi obiecanej”: aby dysponował spokojnie i sprawiedliwie żyzną i bogatą ziemią, którą posiada, i był napełniony pokojem obiecanym, który jeszcze nie nadszedł.

Na drugim miejscu właśnie, z przyczyny pokoju jesteśmy powołani, by działać. Ponieważ Jezus chce, abyśmy byli „wprowadzającymi pokój” (Mt 5, 9), pragnie, aby Jego Kościół był nie tylko znakiem i narzędziem wewnętrznego zjednoczenia z Bogiem, ale także jedności całego rodzaju ludzkiego (por. Lumen gentium, 1). Chrystus bowiem, jak przypomina apostoł Paweł, „jest naszym pokojem” właśnie w sensie przywracania jedności: jest tym, który „czyni z dwóch jedno, kruszy mury podziału, nieprzyjaźni” (por. Ef 2, 14). To jest pokój Boży: nie tylko rozejm pomiędzy konfliktami, ale braterska komunia, która pochodzi ze zjednoczenia, a nie z wchłaniania; z przebaczania, a nie z górowania; z pojednania, a nie z narzucania. Tak wielkie jest pragnienie pokoju nieba, że zostało ono ogłoszone już w chwili narodzin Chrystusa: „na ziemi pokój ludziom Jego upodobania” (Łk 2, 14). I tak wielka była udręka Jezusa z powodu odrzucenia tego daru, który przyszedł przynieść, że zapłakał nad Jerozolimą, mówiąc: „O gdybyś i ty poznało w ten dzień to, co służy pokojowi!” (Łk 19, 42).

My, drodzy bracia i siostry, zabiegamy niestrudzenie o ten pokój, do którego budowania zaprasza nas Duch Jezusa i Ojca: pokoju, który łączy w sobie różnorodności, który krzewi jedność w wielości. Jest to pokój Ducha Świętego, który nadaje harmonię różnicom, podczas gdy duch, który jest wrogiem Boga i człowieka, wykorzystuje różnorodności, aby dzielić. W tym względzie Pismo Święte mówi: „Dzięki temu można rozpoznać dzieci Boga i dzieci diabła: każdy, kto postępuje niesprawiedliwie, nie jest z Boga, jak i ten, kto nie miłuje swego brata” (1 J 3, 10). Najmilsi, ten kto nazywa siebie chrześcijaninem, musi wybrać, po której stronie stanąć. Ten, kto idzie za Chrystusem, zawsze wybiera pokój; ten, kto rozpętuje wojnę i przemoc, zdradza Pana i wyrzeka się Jego Ewangelii. Styl, którego uczy nas Jezus, jest jasny: miłować wszystkich, ponieważ wszyscy są miłowani jako dzieci przez wspólnego Ojca, który jest w niebie. Miłość chrześcijanina nie dotyczy tylko bliskich, ale wszystkich, bo w Jezusie każdy jest naszym bliźnim, bratem i siostrą, nawet nieprzyjaciel (por. Mt 5, 38-48); tym bardziej ci, którzy należą do tego samego narodu, nawet jeśli są innego pochodzenia etnicznego. „Abyście się wzajemnie miłowali, tak jak Ja was umiłowałem” (J 15, 12): jest to przykazanie Jezusa, które przeczy wszelkim plemiennym zapatrywaniom na religię. Aby „wszyscy stanowili jedno” (J 17, 21): jest to serdeczna modlitwa Jezusa do Ojca za nas, wszystkich wierzących.

Starajmy się, bracia i siostry, o tę braterską jedność między nami, chrześcijanami, i przyczyniajmy się do rozpowszechniania w społeczeństwie orędzia pokoju, do szerzenia Jezusowego stylu niestosowania przemocy, aby w tych, którzy deklarują się jako wierzący, nie było już miejsca na kulturę opartą na duchu zemsty; aby Ewangelia nie była tylko pięknym dyskursem religijnym, ale proroctwem, które urzeczywistnia się w dziejach. Pracujmy nad tym: pracujmy dla pokoju tkając i zszywając, nigdy tnąc lub i rozdzierając. Idźmy za Jezusem i za Nim wspólnie stawiajmy kroki na drodze pokoju (por. Łk 1, 79).

Oto zatem trzeci czasownik: po modlić się i działać – podążać. Tutaj, na przestrzeni dziesięcioleci, wspólnoty chrześcijańskie mocno zaangażowały się w promowanie dróg pojednania. Chciałbym wam podziękować za to wspaniałe świadectwo wiary, zrodzone z uznania nie tylko słowami, ale i czynami, że przed podziałami historycznymi istnieje pewna niezmienna rzeczywistość: jesteśmy chrześcijanami, należymy do Chrystusa. Piękne jest to, że pośród tylu konfliktów przynależność chrześcijańska nigdy nie dzieliła ludności, ale była i nadal jest czynnikiem jednoczącym. Ekumeniczne dziedzictwo Sudanu Południowego jest cennym skarbem, pochwałą imienia Jezusa, aktem miłości Kościoła, który jest Jego oblubienicą, powszechnym przykładem na drodze jedności chrześcijan. Jest to dziedzictwo, którego należy strzec w tym samym duchu: niech podziały kościelne minionych wieków nie odbijają się na tych, których się ewangelizuje, a siew Ewangelii niech przyczynia się do szerzenia większej jedności. Niech przynależność plemienna i tworzenie frakcji, które podsycają przemoc w kraju, nie osłabiają relacji międzywyznaniowych; przeciwnie, niech świadectwo jedności wierzących oddziałuje na lud.

Dlatego też chciałbym na zakończenie zaproponować dwa słowa kluczowe dla kontynuacji naszej drogi: pamięć i zaangażowanie. Pamięć: kroki, które stawiacie, podążają śladami poprzedników. Nie obawiajcie się, że nie sprostacie tej drodze. Czujcie się natomiast wspierani przez tych, którzy przygotowali wam drogę: tak jak w sztafecie, przejmujcie pałeczkę, aby przyspieszyć osiągnięcie celu, jakim jest pełna i widzialna jedność. A następnie zaangażowanie: idzie się ku jedności, gdy miłość jest konkretna, gdy razem pomaga się tym, którzy są na marginesie, tym, którzy są zranieni i odrzuceni. Czynicie to już w wielu sektorach, myślę zwłaszcza o dziedzinie zdrowotnej, edukacji, działalności charytatywnej: ileż pilnej i niezbędnej pomocy niesiecie ludności! Dziękuję za to. Czyńcie tak nadal: nigdy jako konkurenci, ale jako członkowie rodziny; bracia i siostry, którzy przez współczucie dla cierpiących, umiłowanych przez Jezusa, oddają chwałę Bogu i dają świadectwo jedności, którą On miłuje.

Najmilsi, moi bracia i ja, jako pielgrzymi przybyliśmy do was, święty ludu Boży w drodze. Choć dalecy fizycznie, zawsze będziemy blisko was. Rozpoczynajmy każdy dzień od modlitwy jedni za drugich i wraz z innymi, od wspólnego działania jako świadkowie i pośrednicy pokoju Jezusa, od podążania tą samą drogą, podejmując konkretne kroki miłości i jedności. We wszystkim miłujmy się nawzajem intensywnie, i z prawdziwego serca (por. 1 P 1, 22).

[00171-PL.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

الزيارة الرسوليّة إلى جنوب السّودان

كلمة قداسة البابا فرنسيس

في الصّلاة المسكونيّة

في جوبا

السّبت 4 شباط/فبراير 2023

السّيّد رئيس الجمهوريّة،

السُّلُطات الدينيّة والمدنيّة المحترمين،

أيّها الإخوة والأخوات الأعزّاء،

من هذه الأرض المحبوبة والمـُعذَّبة، صعِدَتْ قبل قليل صلوات كثيرة إلى السّماء: اجتمعت أصوات مختلفة معًا، وكوَّنَتْ صوتًا واحدًا. معًا، نحن، شعب الله المقدّس، صلّينا من أجل هذا الشّعب الجريح. كمسيحيّين، الصّلاة هي أوّل وأهمّ شيء نحن مدعوّون إلى القيام به، حتّى نتمكّن من أن نعمل، ما يلزم أن نعمله، ولتكون لنا القوّة لمتابعة مسيرتنا. الصّلاة والعمل والسّير: لنفكّر في هذه الأعمال الثلاثة.

أوّلًا، الصّلاة. إنّ الالتزام الكبير للجماعات المسيحيّة في تعزيز الإنسان والتّضامن والسّلام يكون عبثًا بدون الصّلاة. في الواقع، لا يمكننا تعزيز السّلام دون أن نبتهل أوّلًا إلى يسوع "رَئيسَ السَّلام" (أشعيا 9، 5). ما نعمله للآخرين ونتشارك فيه مع الآخرين هو قبل كلّ شيء هبة مجانيّة نتلقاها منه تعالى في أيدينا الفارغة. إنّها نعمة، نعمة فقط. نحن مسيحيّون لأنّ المسيح يحبّنا مجّانًا.

صباح هذا اليوم، ألهمَتْني شخصيّة موسى، والآن، بخصوص الصّلاة، أودّ أن أذكر حادثة حاسمة حدثت معه ومع شعبه، عندما بدأ لتوِّه في مرافقته في رحلته إلى الحرّيّة. عند وصوله إلى شواطئ البحر الأحمر ظهر، أمام عينيه وعيون شعب بني إسرائيل، مشهد مأساويّ: البحر أمامه وحاجز المياه التي لا يمكن اجتيازها، وجيش العدو خلفه يقترب بالمركبات والخيول. ألّا يذكّر هذا بالخطوات الأولى لهذا البلد، الذي هاجمته مياه الموت، مياه الفيضانات الكارثيّة التي ضربته، وعنف الحرب الوحشيّة؟  في هذا الموقف اليائس، قال موسى للشعب: "لا تَخافوا، اُصمُدوا تُعايِنوا الخَلاصَ الَّذي يُجْريه الرَّبُّ اليَومَ لَكم" (خروج 14، 13). والآن أتساءل: من أين جاءته هذه القوّة، والشّعب الخائف كان مستمرًّا في شكواه؟ هذه القوّة جاءته من الإصغاء إلى الله (راجع الآيات 2-4) الذي وعده بإظهار مجده. الاتحاد بالله، والثّقة به التي كان ينميها بالصّلاة، كان السّرّ الذي استطاع به موسى أن يرافق شعبه من الظّلم إلى الحرّيّة.

كذلك الأمر لنا: الصّلاة تعطينا القوّة لنتقدَّم، ونتغلَّب على المخاوف، ونرى، حتّى في الظّلمة، الخلاص الذي يُعِدّه الله لنا. بل، الصّلاة تحمل خلاص الله إلى الشّعب. صلاة الشّفاعة، التي ميّزت حياة موسى (راجع خروج 32، 11-14)، هي التي نلتزم بها نحن بصورة خاصّة، رعاة شعب الله المقدّس. حتّى يتدخل ربُّ السّلام حيث لا يقدر الناس أن يصنعوا السّلام، يجب الصّلاة: صلاة شفاعة ثابتة ومستمرّة. أيّها الإخوة والأخوات، لِنسند بعضنا بعضًا في هذا: في كنائسنا المختلفة، لنشعر بأنّنا متّحدون فيما بيننا، عائلة واحدة. ولنشعر أنّنا مضطرون للصّلاة من أجل الجميع. في رعايانا وكنائسنا وجماعات عبادتنا وتسابيحنا، لنصلِّ مثابرين ومتفقين (راجع أعمال الرّسل 1، 14) حتّى يصل جنوب السّودان، مثل شعب الله في الكتاب المقدّس، إلى أرض الميعاد: وليتصرّف، في الهدوء والمساواة، بأرضه الخصبة والغنيّة التي يمتلكها، ولتمتلئ بالسّلام الموعود، والذي لم يأتِ بعد، للأسف.

ثانيًا، نحن مدعوّون إلى العمل من أجل قضيّة السّلام. لأنّ يسوع يريدنا أن نكون "صانعي سلام" (راجع متّى 5، 9)، فهو يريد أن تكون كنيسته ليس فقط علامة وأداة اتحاد حميم مع الله، بل أيضًا أداة وَحدة بين كلّ الجنس البشري (راجع نور الأمم، 1). يقول بولس الرّسول، إنّ المسيح "هو سلامنا"، بمعنى إعادة الوَحدة بيننا: هو الذي ”جعل من الجماعتين جماعة واحدة وهدم في جسده الحاجز الذي يفصل بينهما، أي العداوة“ (راجع أفسس 2، 14). هذا هو سلام الله: ليس فقط هدنة بين النّزاعات، بل شركة ثابتة بين إخوة، تأتي من الانضمام وليس من الاستيعاب. من المغفرة لا من السّيطرة، ومن المصالحة وليس من واحد يفرض نفسه على الآخر. رغبة السّماء في السّلام كبيرة جدًّا لدرجة أنّها أُعلنت في لحظة ميلاد المسيح: "والسَّلامُ في الأَرضِ لِلنَّاس فإِنَّهم أَهْلُ رِضاه!" (لوقا 2، 14). وكان حزن يسوع عظيمًا لرفض هذه النّعمة التي جاء يحملها، فبكى على أورشليم قائلًا: "لَيتَكِ عَرَفتِ أَنتِ أَيضًا في هٰذا اليَومِ طَريقَ السَّلام!" (لوقا 19، 42).

أيّها الإخوة والأخوات الأعزّاء، لنعمَلْ بلا كلل من أجل هذا السّلام الذي يدعونا روح يسوع والآب إلى بنائه: سلام يدمج التنوع ويعزّز الوَحدة في التّعددية. هذا هو سلام الرّوح القدّس، الذي يضع الانسجام في الاختلافات، بينما روح عدو الله والإنسان يركّز على الاختلافات ليعمِّق بيننا الانقسامات. في هذا الصدد يقول الكتاب: "ما يُمَيِّزُ أَبناءَ اللهِ مِن أَبناءِ إِبليس هو أَنَّ كُلَّ مَن لا يَعمَلُ البِرَّ لَيسَ مِنَ الله، ومِثلُه مَن لا يُحِبُّ أَخاه" (1 يوحنّا 3، 10). أيّها الأعزّاء، من يقول إنّه مسيحيّ، عليه أن يختار: على أي جانب يقف. من يتبع المسيح يختار السّلام، دائمًا. من يشنُّ الحروب والعنف يخون الرّبّ يسوع وينكر إنجيله. إنّ الأسلوب الذي يعلِّمُنا إياه يسوع واضح: أن نحبّ الجميع، لأنّ الجميع أبناء ومحبوبون لدى الله الآب الواحد الذي في السّماء. محبّة المسيحيّ ليست فقط للأقربين، بل لكلّ واحد، لأنّ كلّ واحد في يسوع هو قريبنا، وأخونا وأختنا، وعدونا أيضًا هو قريبنا (راجع متّى 5، 38-48)، وبأولى حجة الذين هم من شعبنا، ولو كانوا من أصل عرقي مختلف. "أَحِبُّوا بَعْضُكم بَعضًا كما أَحبَبتُكم" (يوحنّا 15، 12). هذه وصيّة يسوع، التي تتعارض مع كلّ نظرة قبلية للدين. "ليكونوا بِأَجمَعِهم واحِدًا" (يوحنّا 17، 21): هذه هي صلاة يسوع التي رفعها من أعماق قلبه إلى الآب من أجلنا نحن المؤمنين جميعًا.

لِنَعمَلْ، أيّها الإخوة والأخوات، من أجل هذه الوَحدة الأخويّة بيننا نحن المسيحيّين، ولنساعد بعضنا البعض لنشر رسالة السّلام في المجتمع، ونشر أسلوب يسوع في اللاعنف، حتّى لا يبقى مكان للانتقام، في الذين يعلنون أنّهم مؤمنون، حتّى لا يبقى الإنجيل كلامًا دينيًّا جميلًا، بل نبوءة، تصبح حقيقة في التّاريخ. لِنَعمَلْ من أجل هذا: لِنَعمَلْ من أجل السّلام، فنَنسِجَ ونُصلِحَ ما تمزّق، ولا يكن عملنا أبدًا تمزيقًا أو تقطيعًا. لِنَتبَعْ يسوع، ولْنَسِرْ خلفه بخطوات واحدة في طريق السّلام (راجع لوقا 1، 79).

وهذا الفعل الثّالث، الصّلاة والعمل، والسّير معًا. هنا، مدة عشرات السّنين، التزمت الجماعات المسيحيّة بقوّة بتعزيز مسارات المصالحة. أريد أن أشكركم لهذه الشّهادة المضيئة للإيمان، التي ولدت من الاعتراف ليس فقط بالكلمات، بل بالأفعال، أنّه قبل الانقسامات التّاريخيّة هناك حقيقة ثابتة: نحن مسيحيّون، نحن للمسيح. من الجميل أنّ الانتماء المسيحيّ، في وسط الصّراعات الكثيرة، لم يفكّك السّكان أبدًا، بل كان ولا يزال عاملًا للوَحدة. إنّ التّراث المسكوني لجنوب السّودان هو كنز ثمين، وتسبيح لاسم يسوع، ومحبّة للكنيسة عروسه، ومثال عالميّ لطريق الوَحدة المسيحيّة. إنّه إرث يجب الحفاظ عليه بالرّوح نفسها: الانقسامات الكنسيّة في القرون الماضيّة لا يكُنْ لها صدًى على الذين يُبشَّرون بالإنجيل، بل ليساعد بذار الإنجيل على نشر مزيد من الوَحدة. القبليّة والفئويّة التي تغذي العنف في البلاد لا يكُنْ لها أثر على العلاقات بين الديانات. على العكس، لتنعكس شهادة وَحدة المؤمنين على الشّعب كلّه.

بهذا المعنى، في الختام، أودّ أن أقترح كلمتَين أساسيتَين لاستمرار مسيرتنا: الذاكرة والالتزام. الذاكرة: الخطوات التي تتخذونها لتكُنْ على خُطى أسلافكم. لا تخافوا وتقولوا: لا نقدر، بل اشعروا في أنفسكم أنّ الذين سبقوكم هم يدفعونكم في هذه الطّريق: كما هو الحال في سباق المراحل، اجمعوا علامات كلّ مرحلة إلى أن تصلوا إلى الهدف، الذي هو شركة كاملة ومرئيّة. ثمّ الالتزام: نسير نحو الوَحدة عندما يكون الحبّ عمليًّا، وعندما نساعد بعضنا بعضًا، ولا سيّما الواقفين على الهامش والجرحى والمـُبعَدين. إنّكم تعملون هذا مِن قَبل في مجالات عديدة، أفكّر خصوصًا في الرّعاية الصّحيّة والتّعليم وأعمال المحبّة: كم من المساعدات العاجلة والضّروريّة حملتم إلى السّكان! شكرًا لكم على هذا. استمرّوا في ذلك: لا متنافسِين، بل أهلَ بيت واحد، إخوةً وأخوات، تشفقون على المتألّمين، أحباءَ يسوع، فتمجدون الله وتشهدون للشركة التي يحبّها.

أيّها الأعزّاء، أتينا إليكم، أنا وإخوتي حجَّاجًا بينكم، أنتم شعب الله المقدّس السّائرين معًا. ولو كنَّا بعيدين جسديًّا عنكم، سنكون دائمًا قريبين منكم. لنبدأ كلّ يوم بالصّلاة من أجل بعضنا البعض ومع الآخرين، وبالعمل معًا، شهودًا ووسطاء لسلام يسوع، وبالسّير على الطّريق الواحدة، وباتخاذ خطوات عمليّة في المحبّة والوَحدة. في كلّ شيء، ”لنحِبَّ بعضنا بعضًا حبًّا ثابتًا، وبقلب طاهر“ (راجع 1 بطرس 1، 22).

[00171-AR.02] [Testo originale: Italiano]

[B0108-XX.02]