Cerimonia di benvenuto in Sud Sudan presso l’Aeroporto Internazionale di Giuba
Visita di cortesia al Presidente e ai Vice Presidenti della Repubblica del Sud Sudan presso il Palazzo Presidenziale
Incontro con le Autorità, la Società Civile e il Corpo Diplomatico presso il giardino del Palazzo Presidenziale di Giuba
Cerimonia di benvenuto in Sud Sudan presso l’Aeroporto Internazionale di Giuba
Al Suo arrivo all’Aeroporto Internazionale di Giuba, il Santo Padre Francesco è stato accolto dal Presidente della Repubblica del Sud Sudan, S.E. il Sig. Salva Kiir Mayardit. Due bambini in abito tradizionale gli hanno offertto dei fiori. Quindi, dopo la Guardia d’Onore e l’esecuzione degli inni, il Papa e il Presidente della Repubblica si sono diretti verso la Vip Lounge dell’Aeroporto dove ha avuto luogo la presentazione delle Delegazioni e dove si sono intrattenuti per un breve incontro.
Al termine il Santo Padre si è trasferito in auto al Palazzo Presidenziale per la visita di cortesia al Presidente della Repubblica compiuta insieme all’Arcivescovo di Canterbury, Sua Grazia Justin Welby, e al Moderatore dell’Assemblea Generale della Chiesa di Scozia, il Pastore Iain Greenshields.
[00200-IT.02]
Visita di cortesia al Presidente e ai Vice Presidenti della Repubblica del Sud Sudan presso il Palazzo Presidenziale
Questo pomeriggio il Santo Padre Francesco si è recato in visita di cortesia al Presidente della Repubblica del Sud Sudan, S.E. il Sig. Salva Kiir Mayardit.
Al Suo arrivo, il Papa è stato accolto insieme all’Arcivescovo di Canterbury, Sua Grazia Justin Welby, e al Moderatore dell’Assemblea Generale della Chiesa di Scozia, il Pastore Iain Greenshields, dal Presidente della Repubblica all’ingresso del Palazzo Presidenziale. Quindi, dopo la foto e la firma del Libro d’Onore, il Santo Padre e il Presidente della Repubblica hanno raggiunto lo Studio del Presidente ove ha avuto luogo l’incontro privato.
Parallelamente, nell’adiacente Board Room, si sono riuniti i Vice Presidenti della Repubblica insieme al Cardinale Segretario di Stato, Pietro Parolin; al Prefetto del Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, Em.mo Card. Kurt Koch; al Sostituto per gli Affari Generali della Segreteria di Stato S.E. Mons. Edgar Peña Parra; al Segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni Internazionali, S.E. Mons. Paul Richard Gallagher, al Nunzio Apostolico, S.E. Mons. Hubertus Matheus Maria van Megen; all’Arcivescovo di Canterbury, Sua Grazia Justin Welb; e al Moderatore dell’Assemblea Generale della Chiesa di Scozia, il Pastore Iain Greenshields.
Al termine dell’incontro privato, dopo la foto ufficiale, lo scambio dei doni e la presentazione della famiglia, il Santo Padre e il Presidente della Repubblica hanno raggiunto la Board Room del Palazzo Presidenziale dove si sono uniti ai presenti per l’incontro con i Vice Presidenti, S.E. il Signor Riek Machar Teny Dhurgo (SPLM-IO), S.E. il Signor James Wani Igga (SPLM), S.E. il Signor Taban Deng Gai (SPLM-IO), S.E. la Signora Rebecca Nyandeng Garang De Mabior, moglie di John Garang, e S.E. il Signor Hussein Abdelbagi (South Sudan Opposition Alliance).
Al termine, il Papa si è recato presso il giardino del Palazzo Presidenziale per l’incontro con le Autorità, la Società Civile e il Corpo Diplomatico.
[00201-IT.02]
Incontro con le Autorità, la Società Civile e il Corpo Diplomatico presso il giardino del Palazzo Presidenziale di Giuba
Discorso del Santo Padre
Traduzione in lingua francese
Traduzione in lingua inglese
Traduzione in lingua tedesca
Traduzione in lingua spagnola
Traduzione in lingua portoghese
Traduzione in lingua polacca
Traduzione in lingua araba
Alle ore 17.45 (16.45 ora di Roma), il Santo Padre Francesco ha incontrato le Autorità politiche e religiose, i Rappresentanti della Società Civile e il Corpo Diplomatico presso il giardino del Palazzo Presidenziale.
Dopo il discorso introduttivo del Presidente della Repubblica, S.E. il Sig. Salva Kiir Mayardit, il Papa ha pronunciato il Suo discorso.
Al termine, l’Arcivescovo di Canterbury, Sua Grazia Justin Welby, e il Moderatore dell’Assemblea Generale della Chiesa di Scozia, il Pastore Iain Greenshields, hanno preso la parola.
Quindi, dopo essersi congedato dal Presidente della Repubblica, il Santo Padre si è trasferito in auto alla Nunziatura Apostolica di Giuba dove all’ingresso è stato accolto dal personale della Nunziatura. Quindi ha cenato in privato.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha pronunciato nel corso dell’incontro con le Autorità, la Società Civile e il Corpo Diplomatico:
Discorso del Santo Padre
Signor Presidente della Repubblica,
Signori Vice-Presidenti,
illustri Membri del Governo e del Corpo diplomatico,
distinte Autorità religiose,
insigni Rappresentanti della società civile e del mondo della cultura,
Signore e Signori!
Grazie, Signor Presidente, per le sue parole. Sono lieto di essere in questa terra che porto nel cuore. La ringrazio, Signor Presidente, per l’accoglienza che mi ha rivolto. Saluto cordialmente ciascuno di voi e, attraverso di voi, tutte le donne e gli uomini che popolano questo giovane e caro Paese. Vengo come pellegrino di riconciliazione, con il sogno di accompagnarvi nel vostro cammino di pace, un cammino tortuoso ma non più rimandabile. Non sono giunto qui da solo, perché nella pace, come nella vita, si cammina insieme. Eccomi dunque a voi con due fratelli, l’Arcivescovo di Canterbury e il Moderatore dell’Assemblea generale della Chiesa di Scozia, che ringrazio per quanto ci diranno. Insieme, tendendovi la mano, ci presentiamo a voi e a questo popolo nel nome di Gesù Cristo, Principe della pace.
Abbiamo infatti intrapreso questo pellegrinaggio ecumenico di pace dopo aver ascoltato il grido di un intero popolo che, con grande dignità, piange per la violenza che soffre, per la perenne mancanza di sicurezza, per la povertà che lo colpisce e per i disastri naturali che infieriscono. Anni di guerre e conflitti non sembrano conoscere fine e pure recentemente, persino ieri, si sono verificati aspri scontri, mentre i processi di riconciliazione sembrano paralizzati e le promesse di pace restano incompiute. Questa estenuante sofferenza non sia vana; la pazienza e i sacrifici del popolo sud sudanese, di questa gente giovane, umile e coraggiosa, interpellino tutti e, come semi che nella terra danno vita alla pianta, vedano sbocciare germogli di pace che portino frutto. Fratelli e sorelle, è l’ora della pace!
Frutti e vegetazione qui abbondano, grazie al grande fiume che attraversa il Paese. Quanto l’antico storico Erodoto diceva dell’Egitto, ossia che è un “dono del Nilo”, vale anche per il Sud Sudan. Davvero, come qui si dice, questa è una “terra della grande abbondanza”. Vorrei dunque lasciarmi trasportare dall’immagine del grande fiume che attraversa questo Paese recente ma dalla storia antica. Nei secoli gli esploratori si sono inoltrati nel territorio in cui ci troviamo per risalire il Nilo Bianco alla ricerca delle sorgenti del fiume più lungo del mondo. Proprio dalla ricerca delle sorgenti del vivere comune vorrei incominciare il mio percorso con voi. Perché questa terra, che abbonda di tanti beni nel sottosuolo, ma soprattutto nei cuori e nelle menti dei suoi abitanti, oggi ha bisogno di essere nuovamente dissetata da sorgenti fresche e vitali.
Distinte Autorità, siete voi queste sorgenti, le sorgenti che irrigano la convivenza comune, i padri e le madri di questo Paese fanciullo. Voi siete chiamati a rigenerare la vita sociale, come fonti limpide di prosperità e di pace, perché di questo hanno bisogno i figli del Sud Sudan: hanno bisogno di padri, non di padroni; di passi stabili di sviluppo, non di continue cadute. Gli anni successivi alla nascita del Paese, segnati da un’infanzia ferita, lascino il posto a una crescita pacifica: è l’ora. Illustri Autorità, i vostri “figli” e la storia stessa vi ricorderanno se avrete fatto del bene a questa popolazione, che vi è stata affidata per servirla. Le generazioni future onoreranno o cancelleranno la memoria dei vostri nomi in base a quanto fate ora perché, come il fiume lascia le sorgenti per avviare il suo corso, così il corso della storia lascerà indietro i nemici della pace e darà lustro a chi opera per la pace: infatti, come insegna la Scrittura, “l’uomo di pace avrà una discendenza” (cfr Sal 37,37).
La violenza, invece, fa regredire il corso della storia. Lo stesso Erodoto ne rilevava gli sconvolgimenti generazionali, notando come in guerra non sono più i figli a seppellire i padri, ma i padri a seppellire i figli (cfr Storie, I,87). Affinché questa terra non si riduca a un cimitero, ma torni a essere un giardino fiorente, vi prego, con tutto il cuore, di accogliere una parola semplice: non mia, ma di Cristo. Egli la pronunciò proprio in un giardino, nel Getsemani, quando, di fronte a un suo discepolo che aveva sfoderato la spada, disse: «Basta!» (Lc 22,51). Signor Presidente, Signori Vice-Presidenti, in nome di Dio, del Dio che insieme abbiamo pregato a Roma, del Dio mite e umile di cuore (cfr Mt 11,29) nel quale tanta gente di questo caro Paese crede, è l’ora di dire basta, senza “se” e senza “ma”: basta sangue versato, basta conflitti, basta violenze e accuse reciproche su chi le commette, basta lasciare il popolo assetato di pace. Basta distruzione, è l’ora della costruzione! Si getti alle spalle il tempo della guerra e sorga un tempo di pace! E su questo, Signor Presidente, mi viene al cuore quel colloquio notturno che anni fa abbiamo avuto in Uganda: la sua volontà di pace era lì... Andiamo avanti su questo!
Torniamo alle sorgenti del fiume, all’acqua che simboleggia la vita. Alle fonti di questo Paese c’è un’altra parola, che designa il corso intrapreso dal popolo sud sudanese il 9 luglio 2011: Repubblica. Ma che cosa vuol dire essere una res publica? Significa riconoscersi come realtà pubblica, affermare, cioè, che lo Stato è di tutti; e dunque che chi, al suo interno, ricopre responsabilità maggiori, presiedendolo o governandolo, non può che porsi al servizio del bene comune. Ecco lo scopo del potere: servire la comunità. La tentazione sempre in agguato è invece di servirsene per i propri interessi. Non basta perciò chiamarsi Repubblica, occorre esserlo, a partire dai beni primari: le abbondanti risorse con cui Dio ha benedetto questa terra non siano riservate a pochi, ma appannaggio di tutti, e ai piani di ripresa economica corrispondano progetti per un’equa distribuzione delle ricchezze.
Fondamentale, per la vita di una Repubblica, è lo sviluppo democratico. Esso tutela la benefica distinzione dei poteri, così che, ad esempio, chi amministra la giustizia possa esercitarla senza condizionamenti da parte di chi legifera o governa. La democrazia presuppone, inoltre, il rispetto dei diritti umani, custoditi dalla legge e dalla sua applicazione, e in particolare la libertà di esprimere le proprie idee. Occorre infatti ricordare che senza giustizia non c’è pace (cfr S. Giovanni Paolo II, Messaggio per la celebrazione della XXXV Giornata Mondiale della Pace, 1° gennaio 2002), ma anche che senza libertà non c’è giustizia. Va perciò data a ogni cittadina e cittadino la possibilità di disporre del dono unico e irripetibile dell’esistenza con i mezzi adeguati a realizzarlo: come scriveva Papa Giovanni, «ogni essere umano ha il diritto all’esistenza, all’integrità fisica, ai mezzi indispensabili e sufficienti per un dignitoso tenore di vita» (S. Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris, 6).
Il fiume Nilo, lasciate le sorgenti, dopo aver attraversato alcune zone scoscese che creano cascate e rapide, una volta entrato nella pianura sud sudanese, proprio nei pressi di Giuba diventa navigabile, per poi addentrarsi in zone più paludose. Analogamente, auspico che il tragitto di pace della Repubblica non proceda ad alti e bassi, ma, a partire da questa capitale, diventi percorribile, senza rimanere impaludato nell’inerzia. Amici, è tempo di passare dalle parole ai fatti. È tempo di voltare pagina, è il tempo dell’impegno per una trasformazione urgente e necessaria. Il processo di pace e di riconciliazione domanda un nuovo sussulto. Ci si intenda e si porti avanti l’Accordo di pace, come anche la Road Map! In un mondo segnato da divisioni e conflitti, questo Paese ospita un pellegrinaggio ecumenico di pace, che costituisce una rarità; rappresenti un cambio di passo, l’occasione, per il Sud Sudan, di ricominciare a navigare in acque tranquille, riprendendo il dialogo, senza doppiezze e opportunismi. Sia per tutti un’occasione per rilanciare la speranza, non solo per il governo, per tutti: ciascun cittadino possa comprendere che non è più tempo di lasciarsi trasportare dalle acque malsane dell’odio, del tribalismo, del regionalismo e delle differenze etniche. Fratelli e sorelle, è tempo di navigare insieme verso il futuro! Insieme. Questa parola non va dimenticata: insieme.
Il percorso del grande fiume ci aiuta ancora, suggerendoci la modalità. Nel suo prosieguo, presso il lago No si unisce a un altro fiume, dando vita a quello che viene chiamato Nilo Bianco. La limpida chiarezza delle acque scaturisce dunque dall’incontro. Questa è la via, fratelli e sorelle: rispettarsi, conoscersi, dialogare. Perché, se dietro ogni violenza ci sono rabbia e rancore, e dietro a ogni rabbia e rancore c’è la memoria non risanata di ferite, umiliazioni e torti, la direzione per uscire da ciò è solo quella dell’incontro, la cultura dell’incontro: accogliere gli altri come fratelli e dare loro spazio, anche sapendo fare dei passi indietro. Questo atteggiamento, essenziale per i processi di pace, è indispensabile anche per lo sviluppo coeso della società. E per passare dall’inciviltà dello scontro alla civiltà dell’incontro è decisivo il ruolo che possono e vogliono svolgere i giovani. Siano perciò assicurati loro spazi liberi di incontro per ritrovarsi e dibattere; e possano prendere in mano, senza paura, il futuro che a loro appartiene! Vengano coinvolte maggiormente, anche nei processi politici e decisionali, pure le donne, le madri che sanno come si genera e si custodisce la vita. Nei loro riguardi ci sia rispetto, perché chi commette violenza contro una donna la commette contro Dio, che da una donna ha preso la carne.
Cristo, il Verbo incarnato, ci ha insegnato che più ci si fa piccoli, dando spazio agli altri e accogliendo ogni prossimo come fratello, più si diventa grandi agli occhi del Signore. La giovane storia di questo Paese, dilaniato da scontri etnici, ha necessità di ritrovare la mistica dell’incontro, la grazia dell’insieme. C’è bisogno di guardare al di là dei gruppi e delle differenze per camminare come un unico popolo, nel quale, come accade al Nilo, i vari affluenti apportano ricchezze. Fu proprio attraverso il fiume che i primi missionari, più di un secolo fa, approdarono a questi lidi; alla loro presenza si è aggiunta nel tempo quella di tanti operatori umanitari: tutti vorrei ringraziare per la preziosa opera che svolgono. Penso però anche ai missionari che purtroppo trovano la morte mentre seminano la vita. Non dimentichiamoli e non ci si dimentichi di garantire a loro e agli operatori umanitari la necessaria sicurezza, e alle loro opere di bene i necessari sostegni, affinché il fiume del bene continui a scorrere.
Un grande fiume, tuttavia, può a volte esondare e provocare disastri. In questa terra lo hanno purtroppo sperimentato le tante vittime di inondazioni, alle quali esprimo la mia vicinanza, appellandomi perché non siano fatti loro mancare opportuni aiuti. Le calamità naturali raccontano un creato ferito e sconquassato, che da fonte di vita può tramutarsi in minaccia di morte. Occorre prendersene cura, con uno sguardo lungimirante, rivolto alle generazioni future. Penso, in particolare, alla necessità di combattere la deforestazione causata dall’avidità del guadagno.
Per prevenire le esondazioni di un fiume è necessario mantenerne pulito il letto. Fuor di metafora, la pulizia di cui il corso della vita sociale abbisogna è la lotta alla corruzione. Giri iniqui di denaro, trame nascoste per arricchirsi, affari clientelari, mancanza di trasparenza: ecco il fondale inquinato della società umana, che fa mancare le risorse necessarie a ciò che più serve. Anzitutto a contrastare la povertà, che costituisce il terreno fertile nel quale si radicano odi, divisioni e violenza. L’urgenza di un Paese civile è prendersi cura dei suoi cittadini, in particolare dei più fragili e disagiati. Penso soprattutto ai milioni di sfollati che qui dimorano: quanti hanno dovuto lasciare casa e si trovano relegati ai margini della vita in seguito a scontri e spostamenti forzati!
Affinché le acque di vita non si tramutino in pericoli di morte è fondamentale dotare un fiume di argini adeguati. Vale lo stesso per la convivenza umana. Anzitutto va arginato l’arrivo di armi che, nonostante i divieti, continuano a giungere in tanti Paesi della zona e anche in Sud Sudan: qui c’è bisogno di molte cose, ma non certo di ulteriori strumenti di morte. Altri argini sono imprescindibili per garantire il corso della vita sociale: mi riferisco allo sviluppo di adeguate politiche sanitarie, al bisogno di infrastrutture vitali e, in modo speciale, al ruolo primario dell’alfabetismo e dell’istruzione, unica via perché i figli di questa terra prendano in mano il loro futuro. Essi, come tutti i bambini di questo Continente e del mondo, hanno il diritto di crescere tenendo in mano quaderni e giocattoli, non strumenti di lavoro e armi.
Il Nilo Bianco, infine, lascia il Sud Sudan, attraversa altri Stati, s’incontra con il Nilo Azzurro e giunge al mare: il fiume non conosce confini, ma congiunge territori. Similmente, per raggiungere uno sviluppo adeguato è essenziale, oggi più che mai, coltivare relazioni positive con altri Paesi, a cominciare da quelli circostanti. Penso anche al prezioso contributo della Comunità internazionale nei riguardi di questo Paese: esprimo riconoscenza per l’impegno volto a favorirne la riconciliazione e lo sviluppo. Sono convinto che, per apportare proficui contributi, sia indispensabile la reale comprensione delle dinamiche e dei problemi sociali. Non basta osservarli e denunciarli dall’esterno; occorre coinvolgersi, con pazienza e determinazione e, più in generale, resistere alla tentazione di imporre modelli prestabiliti ma estranei alla realtà locale. Come disse San Giovanni Paolo II trent’anni fa in Sudan: «Devono essere trovate delle soluzioni africane ai problemi africani» (Appello alla Cerimonia di benvenuto, 10 febbraio 1993).
Signor Presidente, distinte Autorità, seguendo il percorso del Nilo ho voluto inoltrarmi nel cammino di questo Paese tanto giovane quanto caro. So che alcune mie espressioni possono essere state franche e dirette, ma vi prego di credere che ciò nasce dall’affetto e dalla preoccupazione con cui seguo le vostre vicende, insieme ai fratelli con i quali sono venuto qui, pellegrino di pace. Desideriamo offrire di cuore la nostra preghiera e il nostro sostegno affinché il Sud Sudan si riconcili e cambi rotta, perché il suo corso vitale non sia più impedito dall’alluvione della violenza, ostacolato dalle paludi della corruzione e vanificato dallo straripamento della povertà. Il Signore del cielo, che ama questa terra, le doni un tempo nuovo di pace e di prosperità: Dio benedica la Repubblica del Sudan del Sud! Grazie.
[00168-IT.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
Monsieur le Président de la République,
Messieurs les Vice-Présidents,
Membres illustres du Gouvernement et du Corps diplomatique,
Autorités religieuses distinguées,
Représentants insignes de la société civile et du monde de la culture,
Mesdames et Messieurs!
Merci, Monsieur le Président pour vos paroles. Je suis heureux d’être sur cette terre que je porte dans mon cœur. Je vous remercie, Monsieur le Président, pour l’accueil que vous m’avez réservé. Je salue cordialement chacun de vous et, à travers vous, toutes les femmes et les hommes qui peuplent ce jeune et cher pays. Je viens comme pèlerin de réconciliation, avec le rêve de vous accompagner sur votre chemin de paix, un chemin tortueux mais qui ne peut plus être reporté. Je ne suis pas venu seul, parce que dans la paix, comme dans la vie, on marche ensemble. Je suis donc chez vous avec deux frères, l’Archevêque de Canterbury et le Modérateur de l’Assemblée générale de l’Église d’Écosse, que je remercie pour ce qu’ils nous diront. Ensemble, nous nous présentons à vous et à ce peuple au nom de Jésus-Christ, Prince de la paix.
Nous avons en effet entrepris ce pèlerinage œcuménique de paix après avoir écouté le cri de tout un peuple qui, avec grande dignité, pleure à cause de la violence qu’il subit, du perpétuel manque de sécurité, de la pauvreté qui le frappe et des catastrophes naturelles qui sévissent. Les années de guerres et de conflits ne semblent pas connaître de fin et même, récemment, hier, de durs affrontements ont eu lieu alors que les processus de réconciliation semblent paralysés et que les promesses de paix restent inaccomplies. Que cette souffrance épuisante ne soit pas vaine. Que la patience et les sacrifices du peuple sud-soudanais, de cette population jeune, humble et courageuse, nous interpellent tous. Qu’ils voient éclore des germes de paix qui portent du fruit, tels des semences qui en terre donnent vie à la plante. Frères et sœurs, l’heure de la paix est venue!
Les fruits et la végétation abondent ici, grâce au grand fleuve qui traverse le pays. Ce que l’historien de l’antiquité Hérodote disait de l’Égypte, qu’elle un “don du Nil”, vaut aussi pour le Soudan du Sud., Comme on le dit ici, cette terre est vraiment une “terre de grande abondance”. Je voudrais donc me laisser porter par l’image du grand fleuve qui traverse ce pays récent mais à l’histoire ancienne. Au cours des siècles, les explorateurs se sont introduits sur le territoire où nous sommes pour remonter le Nil Blanc à la recherche des sources du fleuve le plus long du monde. C’est par la recherche des sources du vivre ensemble que je voudrais commencer mon parcours avec vous. Parce que cette terre, qui regorge de tant de biens dans le sous-sol, mais surtout dans les cœurs et les esprits de ses habitants, a aujourd’hui besoin d’être à nouveau désaltérée par des sources fraîches et vitales.
Autorités distinguées, c’est vous qui êtes ces sources, les sources qui irriguent la cohabitation, les pères et les mères de ce jeune pays. Vous êtes appelées à régénérer la vie sociale, comme des sources limpides de prospérité et de paix, car c’est de cela dont ont besoin les fils du Soudan du Sud: ils ont besoin de pères, non de maîtres; d’étapes stables de développement, non de chutes continuelles. Les années qui ont suivi la naissance du pays, marquées par une enfance blessée, doivent laisser place à une croissance pacifique: le moment est venu. Illustres Autorités, vos “enfants” et l’histoire elle-même se rappelleront de vous dans la mesure où vous aurez fait du bien à cette population qui vous a été confiée pour la servir. Les générations futures honoreront ou effaceront la mémoire de vos noms en fonction de ce que vous faites maintenant parce que, comme le fleuve quitte ses sources pour commencer son cours, le cours de l’histoire laissera derrière les ennemis de la paix et donnera de l’éclat à ceux qui œuvrent pour la paix. En effet, comme l’enseigne l’Écriture, «un avenir est promis aux pacifiques» (cf. Ps 37, 37).
La violence, au contraire, fait reculer le cours de l’histoire. Le même Hérodote en relevait les bouleversements générationnels, notant qu’en guerre ce ne sont plus les enfants qui enterrent les pères, mais les pères qui enterrent les enfants (cf. Histoires, I, 87). Je vous prie, de tout cœur d’accueillir une parole simplepour que cette terre ne se réduise pas à un cimetière, mais redevienne un jardin florissant. Non pas la mienne, mais celle du Christ. Il l’a prononça dans un jardin, à Gethsémani, lorsque, voyant l’un de ses disciples qui avait dégainé l’épée, il dit: «Assez!» (Lc 22, 51). Monsieur le Président, Messieurs les Vice-Présidents, au nom de Dieu, du Dieu qu’ensemble nous avons prié à Rome, du Dieu doux et humble de cœur (cf. Mt 11, 29) en qui tant de personnes de ce cher pays croient, il est temps de dire assez, sans “si” et sans “mais”: assez de sang versé, assez de conflits, assez de violences et d’accusations réciproques sur ceux qui les commettent, assez d’abandonner le peuple assoiffé de paix. Assez de destructions, c’est l’heure de la construction! Que le temps de la guerre soit rejeté et que se lève un temps de paix! À à ce propos, Monsieur le Président, je porte dans mon cœur cette rencontre nocturne que nous avons eue il y a plusieurs années en Ouganda: votre volonté de paix était là… progressons là-dessus.
Revenons aux sources du fleuve, à l’eau qui symbolise la vie. Aux sources de ce pays il y a un autre mot qui désigne le parcours entrepris par le peuple sud-soudanais le 9 juillet 2011: République. Mais que signifie être une res publica? Cela signifie se reconnaître comme une réalité publique, affirmer que l’État est pour tous; et donc que ceux qui, en son sein, assument des responsabilités majeures, le présidant ou le gouvernant, ne peuvent que se mettre au service du bien commun. Voilà le but du pouvoir: servir la communauté. La tentation qui guette toujours est de s’en servir pour ses propres intérêts. Il ne suffit donc pas de s’appeler République, il faut l’être, à partir des biens primaires: que les ressources abondantes avec lesquelles Dieu a béni cette terre ne soient pas réservées à quelques-uns, mais l’apanage de tous, et que des projets de répartition équitable des richesses correspondent aux plans de relance économique.
Le développement démocratique est fondamental pour la vie d’une République. Il protège la distinction bénéfique des pouvoirs, de sorte que, par exemple, celui qui administre la justice puisse l’exercer sans conditionnement de la part de celui qui légifère ou gouverne. La démocratie suppose également le respect des droits humains, protégés par la loi et son application, et en particulier la liberté d’exprimer ses idées. Il faut en effet rappeler que sans justice il n’y a pas de paix (cf. saint Jean-Paul II, Message pour la célébration de la 35ème Journée Mondiale de la Paix, 1er janvier 2002), mais aussi que sans liberté il n’y a pas de justice. Il faut donc donner à toute citoyenne et tout citoyen la possibilité de disposer du don unique et irremplaçable de l’existence avec les moyens appropriés pour le réaliser: comme l’écrivait le Pape Jean, «tout être humain a droit à la vie, à l'intégrité physique et aux moyens nécessaires et suffisants pour une existence décente» (saint Jean XXIII, Lett. enc. Pacem in terris, n. 11).
Le Nil, après avoir quitté ses sources, traversé des zones accidentées créant des cascades et des rapides, et une fois entré dans la plaine sud-soudanaise, à proximité de Djouba, il devient navigable, pour ensuite pénétrer dans des zones plus marécageuses. Par analogie, j’espère que le chemin de paix de la République ne progressera pas avec des hauts et des bas, mais, qu’à partir de cette capitale, il deviendra praticable, sans rester enlisé dans l’inertie. Chers amis, il est temps de passer des paroles aux faits. Il est temps de tourner la page, le temps est venu de l’engagement pour une transformation urgente et nécessaire. Le processus de paix et de réconciliation demande un nouveau sursaut. Que l’on s’entende et que l’on face avancer l’Accord de paix, ainsi que la Feuille de route! Dans un monde marqué par les divisions et les conflits, ce pays accueille un pèlerinage œcuménique de paix, qui constitue une rareté; qu’il marque un changement de rythme, qu’il soit l’occasion, pour le Soudan du Sud, de recommencer à naviguer sur des eaux tranquilles, en reprenant le dialogue, sans duplicités ni opportunismes. Qu’il soit pour tous une occasion de relancer l’espérance, pas seulement pour le Gouvernement, mais pour tous : que chaque citoyen comprenne que ce n’est plus le moment de se laisser emporter par les eaux insalubres de la haine, du tribalisme, du régionalisme et des différences ethniques. Frères et sœurs, le temps est venu de naviguer ensemble vers l’avenir! Ensemble. Ce mot ne doit pas être oublié: ensemble.
Le parcours du grand fleuve nous aide encore, en nous suggérant la manière. Dans son cours, près du lac No il rejoint un autre fleuve, donnant vie à ce qu’on appelle le Nil Blanc. La clarté limpide des eaux jaillit donc de la rencontre. Telle est la voie, frères et soeurs: se respecter, se connaître, dialoguer. Car, si derrière toute violence il y a de la colère et de la rancœur - et derrière toute colère et rancœur il y a le souvenir non guérie de blessures, d’humiliations et d’offenses - la seule direction pour en sortir est celle de la rencontre, la culture de la rencontre: accueillir les autres comme des frères et leur donner de l’espace, y compris en sachant faire des concessions. Cette attitude, essentielle pour les processus de paix, est également indispensable pour le développement homogène de la société. Et pour passer de l’incivilité de l’affrontement à la civilité de la rencontre, le rôle que les jeunes peuvent et veulent jouer est décisif. Que des espaces libres de rencontre pour se retrouver et débattre leurs soient donc assurés; et qu’ils puissent prendre en main, sans crainte, l’avenir qui leur appartient! Que les femmes, les mères qui savent comment l’on donne et conserve la vie, soient également davantage impliquées dans les processus politiques et décisionnels. Qu’il y ait du respect à leur égard, car celui qui commet une violence contre une femme la commet contre Dieu, qui d’une femme a pris chair.
Le Christ, le Verbe incarné, nous a enseigné que plus on se fait petit, en donnant de l’espace aux autres et en accueillant le prochain comme un frère, plus on devient grand aux yeux du Seigneur. La jeune histoire de ce pays déchiré par des affrontements ethniques, a besoin de retrouver la mystique de la rencontre, la grâce du fait d’être ensemble. Il faut regarder au-delà des groupes et des différences pour marcher comme un seul peuple, dans lequel, comme pour le Nil, les différents affluents apportent des richesses. Ce fut précisément à par le fleuve que les premiers missionnaires, il y a plus d’un siècle, arrivèrent sur ces rivages; à leur présence s’est ajouta au fil du temps celle de nombre de travailleurs humanitaires. Je voudrais tous les remercier pour le travail précieux qu’ils font. Mais je pense aussi aux missionnaires qui, malheureusement, trouvent la mort en semant la vie. Ne les oublions pas et n’oublions pas de leur garantir, ainsi qu’aux travailleurs humanitaires, la sécurité, ainsi que les soutiens nécessaires à leurs œuvres pour que le fleuve du bien continue à couler.
Un grand fleuve, cependant, peut parfois déborder et provoquer des catastrophes. Sur cette terre, les nombreuses victimes d’inondations l’ont malheureusement expérimenté, auxquelles j’exprime ma proximité, en demandant qu’elles ne soient pas privées d’aides appropriées. Les catastrophes naturelles révèlent une création blessée et chamboulée, qui, source de vie peut se transformer en menace de mort. Il faut en prendre soin avec un regard clairvoyant, tourné vers les générations futures. Je pense en particulier à la nécessité de lutter contre la déforestation causée par l’avidité du gain.
Pour éviter les inondations d’un fleuve, il est nécessaire de garder son lit propre. Par métaphore, le nettoyage dont le cours de la vie sociale a besoin est la lutte contre la corruption. Circuits financiers injustes, intrigues cachées pour s’enrichir, affaires clientélistes, manque de transparence: voilà le fond pollué de la société humaine, qui fait manquer les ressources nécessaires à ceux qui en ont le plus besoin. Il faut d’abord combattre la pauvreté, qui constitue le terrain fertile dans lequel s’enracinent les haines, les divisions et la violence. L’urgence d’un pays civilisé est de prendre soin de ses citoyens, en particulier des plus fragiles et des plus défavorisés. Je pense surtout aux millions de personnes déplacées qui habitent ici: combien ont dû quitter leur maison et se trouvent reléguées en marge de la vie à la suite d’affrontements et de déplacements forcés!
Pour que les eaux de vie ne se transforment pas en dangers de mort, il est essentiel de doter un fleuve de digues adéquates. Il en va de même pour la coexistence humaine. Il faut en premier lieu endiguer l’arrivée d’armes qui, malgré les interdictions, continuent d’arriver dans de nombreux pays de la zone, y compris au Soudan du Sud. Beaucoup de choses sont nécessaires ici, mais certainement pas d’instruments de mort supplémentaires. D’autres digues sont indispensables pour garantir le cours de la vie sociale: je fais référence au développement de politiques de santé adéquates, au besoin d’infrastructures vitales et, en particulier, au rôle primordial de l’alphabétisation et de l’éducation, seule voie pour que les enfants de cette terre prennent leur avenir en main. Comme tous les enfants de ce continent et du monde, ils ont le droit de grandir avec en main des cahiers et des jouets, pas des instruments de travail ni des armes.
Le Nil Blanc, enfin, quitte le Soudan du Sud, traverse d’autres États, il rencontre le Nil Bleu et arrive à la mer: le fleuve ne connaît pas de frontières, mais il relie des territoires. De même, pour atteindre un développement convenable, il est essentiel, aujourd’hui plus que jamais, de cultiver des relations positives avec d’autres pays, à commencer par ceux qui sont autour. Je pense également à la précieuse contribution de la Communauté internationale à l’égard de ce pays: j’exprime ma reconnaissance pour l’engagement visant à en favoriser la réconciliation et le développement. Je suis convaincu que, pour apporter des contributions fructueuses, la compréhension réelle des dynamiques et des problèmes sociaux est indispensable. Il ne suffit pas de les observer et de les dénoncer de l’extérieur. Il faut s’impliquer, avec patience et détermination et, plus généralement, résister à la tentation d’imposer des modèles préétablis et étrangers à la réalité locale. Comme le disait saint Jean-Paul II, il y a trente ans, au Soudan: «Des solutions africaines doivent être trouvées aux problèmes africains» (Appel à la Cérémonie de bienvenue, 10 février 1993).
Monsieur le Président, distinguées Autorités, en suivant le cours du Nil, j’ai voulu m’introduire dans le cheminement de ce pays qui m’est cher autant qu’il est jeune. Je sais que certaines de mes expressions peuvent avoir été franches et directes, mais je vous prie de croire que cela naît de l’affection et de la préoccupation avec lesquelles je suis vos vicissitudes, avec les frères avec lesquels je suis venu ici, pèlerin de paix. Nous désirons offrir de tout cœur notre prière et notre soutien afin que le Soudan du Sud se réconcilie et change de cap, pour que son cours vital ne soit plus empêché par l’inondation de la violence, entravé par les marais de la corruption et anéanti par le débordement de la pauvreté. Que le Seigneur du ciel, qui aime cette terre, lui donne un temps nouveau de paix et de prospérité: que Dieu bénisse la République du Soudan du Sud! Merci.
[00168-FR.02] [Texte original: Italien]
Traduzione in lingua inglese
Mr President,
Honourable Vice-Presidents,
Honourable Members of Government and the Diplomatic Corps,
Eminent Religious and Civil Authorities,
Distinguished Representatives of Civil Society and the World of Culture,
Ladies and Gentlemen,
Thank you, Mr President, for your kind words. I am pleased to be in this country, which has a special place in my heart. I am grateful to you, Mr President, for your welcome, and I offer a cordial greeting to each of you, and through you, to all the men and women living in this young and beloved country. I have come here as a pilgrim of reconciliation, in the hope of accompanying you on your journey of peace. It is a circuitous journey, yet one that can no longer be postponed. Nor am I here by myself, for in peace as in life, we all journey together. So I have come with two brothers, the Archbishop of Canterbury and the Moderator of the General Assembly of the Church of Scotland, whom I thank for all that they will say to us. Together, stretching out our hands, we present ourselves to you and to this people in the name of Jesus Christ, the Prince of Peace.
We undertook this ecumenical pilgrimage of peace after hearing the plea of an entire people that, with great dignity, weeps for the violence it endures, its persistent lack of security, its poverty and the natural disasters that it has experienced. Years of war and conflict seem never to end and recently, even yesterday, there have been bitter clashes. At the same time, the process of reconciliation seems stagnant and the promise of peace unfulfilled. May this protracted suffering not be in vain; may the patience and the sacrifices of the South Sudanese, this young, humble and courageous people, challenge everyone and, like the seeds sown in the soil that give life to plants, allow peace to blossom and bear fruit. Brothers and sisters, it is time for peace!
Fruits and vegetation abound here, thanks to the great river that passes through the country. What the ancient historian Herodotus said of Egypt, namely, that it can be called a “gift of the Nile” also applies to South Sudan. Truly, as you are wont to say, this is a “land of great abundance”. I would like to take up the image of this great river that crosses the country, a young nation but one with an ancient history. Over the centuries, explorers have ventured into this region to go up the White Nile in search of the sources of the longest river in the world. It is precisely from the search for the sources of our life together that I would like to begin my journey with you. This land, which abounds in so many riches, in its soil but above all in the hearts and minds of its people, nowadays needs to be watered anew by fresh and life-giving springs.
You, distinguished leaders, are these springs: the springs that water the life of the community, the fathers and mothers of this young country. You are called to renew the life of society as pure sources of prosperity and peace, so greatly needed for the sons and daughters of South Sudan. They need fathers, not overlords; they need steady steps towards development, not constant collapses. May the time that followed the birth of the country, its painful childhood, lead to a peaceful maturity: it is time. Dear authorities, those “sons and daughters”, and history itself, will remember you if you work for the benefit of this people that you have been called to serve. Future generations will either venerate your names or cancel their memory, based on what you now do. For just as the Nile leaves its sources to begin its course, so the course of history will leave behind the enemies of peace and bring renown to those who are true peacemakers. Indeed, as Scripture tell us, “there is posterity for the man of peace” (cf. Ps 37:37).
Violence, on the other hand, turns back the course of history. Herodotus himself spoke of the intergenerational disruption brought on by war, when children no longer bury their parents, but parents bury their children (cf. Histories, I, 87). In order that this land may not turn into a cemetery, but become once more a luxuriant garden, I beg you, with all my heart, to accept four simple words: not my words, but those of Christ. He himself spoke them in a garden, in Gethsemane, when, to a disciple of his who had drawn a sword, he cried: “No more of this!” (Lk 22:51). Dear President and Vice-Presidents, in the name of God, of the God to whom we prayed together in Rome, of the God who is gentle and humble in heart (cf. Mt 11:29), the God in whom so many people of this beloved country believe, now is the time to say “No more of this”, without “ifs” or “buts”. No more bloodshed, no more conflicts, no more violence and mutual recriminations about who is responsible for it, no more leaving your people athirst for peace. No more destruction: it is time to build! Leave the time of war behind and let a time of peace dawn! And in this regard, Mr. President, I remember that evening conversation we had years ago in Uganda: your desire for peace was there... Let us move forward on this!
Let us think again of the sources of the river, to those waters that symbolize life. The sources of this country, and the course undertaken by the South Sudanese people on 9 July 2011, call to mind another word: Republic. Yet what does it mean to be a Republic, a res publica? It means seeing yourselves as truly “public”, “of the people”; it is to declare that the state belongs to everyone; and consequently those entrusted with greater responsibilities, presiding over and governing it, have the duty to place themselves at the service of the common good. That is the purpose of power: to serve the community. Yet there is always a temptation to use power for our own advantage. So it is not enough simply to be called a Republic; it is necessary to be one, starting with the primary goods. The abundant resources with which God has blessed this land should not be restricted to a few, but recognized as the legacy of all, and plans for economic recovery should coincide with proposals for an equitable distribution of wealth.
The growth of a sound democracy is essential to the life of a Republic. It preserves the healthy distinction of powers in such a way that, for example, those who administer justice can do so without interference from those who legislate or govern. In addition, democracy presupposes respect for human rights, upheld by law and the application of law, particularly the right to the freedom of self-expression. It should be kept in mind that there is no peace without justice (cf. SAINT JOHN PAUL II, Message for the Celebration of the World Day of Peace, 1 January 2002), but also that there is no justice without freedom. Every citizen, therefore, should be enabled to make the most of the unique and unrepeatable gift of his or her life, and be provided with suitable means of doing so. In the words of Pope John XXIII: “Every human being has the right to life, to bodily integrity and to the means necessary for the proper development of life” (Pacem in Terris, 11).
The Nile, leaving its sources, and passing through some uneven terrain that creates waterfalls and rapids, enters the South Sudanese plain and, near Juba, becomes navigable, before entering more boggy areas. In a similar way, I trust that the Republic’s path to peace will not proceed unevenly, but, starting from this capital, will take a course that can be navigated and not be bogged down by inertia. Dear friends, it is time to move from words to deeds. It is time to turn the page: it is the time for commitment to an urgent and much-needed transformation. The process of peace and reconciliation requires a new start. May an understanding be reached and progress be made in moving forward with the Peace Accord and the Road Map! In a world scarred by divisions and conflict, this country is hosting an ecumenical pilgrimage of peace, which is something rare; it represents a change of direction, an opportunity for South Sudan to resume sailing in calm waters, taking up dialogue, without duplicity and opportunism. May it be for everyone an occasion to revive hope, not only for the government, but for everyone. Let each citizen understand that the time has come to stop being carried along by the tainted waters of hatred, tribalism, regionalism and ethnic differences. Brothers and sisters, it is time to sail together towards the future! Together. We must not forget this word: together.
The course of the great river can also suggest a way to move forward. Along its way, the Nile joins another river at Lake No, forming the so-called White Nile. It’s transparently clear waters, then, arise from an encounter. Dear brothers and sisters, this is the path to take: to respect one another, to get to know one another and to engage in dialogue. Behind every form of violence, there is anger and resentment, and behind every form of anger and resentment, there is the unhealed memory of wounds, humiliations and wrongs. It follows that the only way to break free of these is through encounter, the culture of encounter: by accepting others as our brothers and sisters and making room for them, even if it means taking a step backwards. This attitude, which is essential for any peace process, is also indispensable for the cohesive development of society. In the passage from the barbarity of confrontation to a culture of vital encounter, young people have a decisive role to play. Consequently, they should be provided with open spaces of encounter for meeting and discussion. May they fearlessly take hold of the future which is theirs! Then too, women, mothers who know how life is generated and safeguarded, need to be increasingly involved in political life and decision-making processes. Women need to be respected, for anyone who commits an act of violence towards a woman commits it towards God, who took flesh from a woman.
Christ, the Word incarnate, taught us that the more we make ourselves little, by making room for others and by welcoming every neighbour as a brother or sister, the greater we become in the eyes of the Lord. The young history of this country, torn by ethnic clashes, needs to discover the mystique of encounter, the grace of the whole. There is a need to look beyond groups and differences in order to journey as one people, which, as in the Nile, is enriched by the contribution of its various tributaries. It was precisely by the river that, more than a century ago, the first missionaries came to these shores, followed over time by many humanitarian workers. I want to thank all of them for the valuable work they do. At the same time, I think of those missionaries who, sad to say, encounter death while sowing life. Let us not forget them and let us not forget to ensure for them and for humanitarian workers the security and support they need for their charitable works, so that the river of goodness may continue to flow.
A great river, however, can at times overflow and cause disasters. Tragically, this has been the experience of the many victims of floods in this country. I express my closeness to them, and appeal that they not lack the help they need. Natural disasters tell the tale of a nature that is battered and wounded, and from being a source of life, can turn into a deadly menace. We need the foresight to care for creation, for the sake of future generations. I think, in particular, of the need to combat the deforestation caused by profiteering.
To prevent a river from flooding, its bed has to be kept clean. Leaving behind the metaphor, the cleaning needed by the flow of life in society is represented by the battle against corruption. The inequitable distribution of funds, secret schemes to get rich, patronage deals, lack of transparency: all these pollute the riverbed of human society; they divert resources from the very things most needed. Before all else, there is a need to combat poverty, which serves as the fertile soil in which hatred, divisions and violence take root. The pressing need of any civilized country is to care for its citizens, especially the most vulnerable and the disadvantaged. Here I think especially of the millions of displaced persons who live here: how many people have had to flee their homes, and now find themselves consigned to the margins of life as a result of conflicts and forced displacement!
For its life-giving waters not to turn into a deadly source of danger, it is essential that the course of a river be controlled by suitable embankments. The same is true for human coexistence. Above all, there is a need to control the flow of weapons that, despite bans, continue to arrive in many countries in the area, including South Sudan: many things are needed here, but surely not more instruments of death! Other forms of embankment are essential in order to control the healthy flow of social life. Here, I would mention the development of suitable healthcare policies, the need for vital infrastructures and especially the primary goal of promoting literacy and education, the only way that the children of this land will be able take their future into their own hands. Like all the children of this continent and of the world, they have the right to grow up holding in their hands notebooks and toys, not weapons and tools for labour.
Finally, the White Nile leaves South Sudan, passes through other countries, joins the Blue Nile and then flows into the sea. Rivers know no borders; they connect different territories. In a similar way, in order to achieve a suitable development, it is essential, now more than ever, to foster positive relationships with other countries, starting with those in the area. Here, I think too of the precious contribution made by the international community to this country, and I express my gratitude for the efforts made to promote reconciliation and development. I am convinced that, for those contributions to be fruitful, a genuine understanding of social processes and problems is essential. It is not enough to analyze and report on them from afar; there is a need to be directly involved, with patience and determination and, more generally, to resist the temptation to impose pre-established models alien to local realities. As Saint John Paul II said thirty years ago in Sudan: “African solutions must be found to African problems” (Address at the Welcome Ceremony, 10 February 1993).
Mr President, distinguished authorities, in tracing the course of the Nile, I wanted to venture along the path of this country, as young as it is beloved. I realize that some of what I have had to say may appear blunt and direct, but please, know that this arises from the affection and concern with which I follow the life of your country, together with my brothers with whom I have come here as a pilgrim of peace. We wish to offer you our heartfelt prayers and our support, so that South Sudan can experience reconciliation and a change of direction. May its vital course no longer be overwhelmed by the flood of violence, mired in the swamps of corruption and blocked by the inundation of poverty. May the Lord of heaven, who loves this land, grant it a new season of peace and prosperity. God bless the Republic of South Sudan! Thank you.
[00168-EN.02] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua tedesca
Herr Präsident der Republik,
Herren Vizepräsidenten,
hochverehrte Mitglieder der Regierung und des diplomatischen Corps,
sehr verehrte religiöse Autoritäten,
sehr geehrte Vertreter der Zivilgesellschaft und aus dem Bereich der Kultur,
meine Damen und Herren!
Danke, Herr Präsident, für ihre Worte. Ich bin glücklich, in diesem Land zu sein, das ich in meinem Herzen trage. Ich danke ihnen, Herr Präsident für den Empfang, den sie mir bereitet haben. Ich grüße jeden Einzelnen von euch und, durch euch, alle Frauen und Männer ganz herzlich, die dieses junge und liebenswerte Land bevölkern. Ich komme als Pilger der Versöhnung, mit dem Traum, euch auf eurem Weg des Friedens zu begleiten, einem gewundenen Weg, der aber nicht länger aufgeschoben werden kann. Ich bin nicht allein hierhergekommen, denn im Frieden sind wir wie auch im Leben gemeinsam unterwegs. Ich bin also mit zwei Brüdern bei euch, dem Erzbischof von Canterbury und dem Moderator der Generalversammlung der Kirche von Schottland, denen ich für das danke, was sie uns sagen werden. Gemeinsam reichen wir euch die Hand und kommen im Namen Jesu Christi, des Friedensfürsten, zu euch und zu diesem Volk.
Wir haben diese ökumenische Pilgerreise des Friedens nämlich unternommen, nachdem wir den Schrei eines ganzen Volkes gehört haben, das mit großer Würde die Gewalt beklagt, die es erleidet, den ständigen Mangel an Sicherheit, die Armut, von der es betroffen ist, und die Naturkatastrophen, die wüten. Jahre der Kriege und Konflikte scheinen kein Ende zu nehmen, und auch in jüngster Zeit, ja selbst gestern, ist es zu erbitterten Zusammenstößen gekommen, während die Versöhnungsprozesse gelähmt zu sein scheinen und Friedensversprechen unerfüllt bleiben. Möge dieses zermürbende Leiden nicht vergeblich sein. Mögen die Geduld und die Opfer des südsudanesischen Volkes, dieser jungen, demütigen und mutigen Menschen, alle herausfordern und mögen sie – gleich den Samen, die in der Erde einer Pflanze Leben geben – Triebe des Friedens sehen, die Früchte tragen. Brüder und Schwestern, es ist die Stunde des Friedens!
Dank des großen Flusses, der das Land durchquert, gibt es hier reichlich Früchte und Vegetation. Was der antike Historiker Herodot über Ägypten sagte, nämlich dass es ein „Geschenk des Nils“ ist, gilt auch für den Südsudan. Wahrlich, dies ist, wie es hier heißt, ein „Land des großen Überflusses“. Deshalb möchte ich mich von dem Bild des großen Flusses, der dieses junge Land mit uralter Geschichte durchquert, leiten lassen. Im Laufe der Jahrhunderte sind Entdecker in das Land, in dem wir uns befinden, vorgedrungen, um den Weißen Nil auf der Suche nach den Quellen des längsten Flusses der Welt hinaufzufahren. Und eben mit der Suche nach den Quellen des Zusammenlebens möchte ich meine Reise mit euch beginnen. Denn der Durst dieses Landes, das unter der Erdoberfläche, vor allem aber in den Herzen und Köpfen seiner Bewohnerinnen und Bewohner Güter im Überfluss hat, muss heute wieder neu aus frischen, lebendigen Quellen gestillt werden.
Sehr verehrte Verantwortungsträger, ihr seid diese Quellen, die Quellen, die das gemeinsame Zusammenleben bewässern, die Väter und Mütter dieses jungen Landes. Ihr seid aufgerufen, das gesellschaftliche Leben zu erneuern, als klare Quellen des Wohlstands und des Friedens, denn das ist es, was die Kinder des Südsudan brauchen: Sie brauchen Väter, nicht Herren; stabile Entwicklungsschritte, nicht ständige Rückfälle. Die Jahre nach der Geburt des Landes, die von einer verletzten Kindheit geprägt waren, mögen einem friedlichen Wachstum Platz machen: Es ist die Stunde. Verehrte Verantwortungsträger, eure „Kinder“ und die Geschichte selbst werden sich an euch erinnern, wenn ihr dieser Bevölkerung, die euch anvertraut wurde, damit ihr ihr dient, Gutes getan habt. Die künftigen Generationen werden die Erinnerung an eure Namen auf der Grundlage dessen, was ihr jetzt tut, ehren oder auslöschen, denn so wie der Fluss seine Quellen hinter sich lässt, um seinen Lauf zu beginnen, so wird der Lauf der Geschichte die Feinde des Friedens zurücklassen und denen Glanz verleihen, die sich für den Frieden einsetzen: Denn, wie die Heilige Schrift lehrt, »Zukunft hat der Mensch des Friedens« (Ps 37,37).
Gewalt hingegen wirft den Lauf der Geschichte zurück. Herodot schon bemerkte die Generationenumkehrung als er feststellte, dass im Krieg nicht mehr die Söhne die Väter begraben, sondern die Väter die Söhne (vgl. Historien, I,87). Damit dieses Land nicht zu einem Friedhof verkommt, sondern wieder zu einem blühenden Garten wird, bitte ich euch von ganzem Herzen, ein einfaches Wort anzunehmen: nicht von mir, sondern von Christus. Er sprach es ebenso in einem Garten, im Garten Getsemani, als er zu einem seiner Jünger, der sein Schwert gezückt hatte, sagte: »Nicht weiter!« (Lk 22,51). Herr Präsident, meine Herren Vizepräsidenten, im Namen Gottes – des Gottes, zu dem wir gemeinsam in Rom gebetet haben, des sanftmütigen und demütigen Gottes (vgl. Mt 11,29), an den so viele Menschen in diesem geliebten Land glauben – ist es an der Zeit „nicht weiter“ zu sagen, ohne „wenn“ und „aber“: Nicht weiter mit dem Blutvergießen, nicht weiter mit den Konflikten, nicht weiter mit der Gewalttätigkeit und den gegenseitigen Anklagen und Schuldzuweisungen, lasst das Volk nicht weiter nach Frieden dürsten. Nicht weiter mit der Zerstörung, es ist die Stunde des Aufbauens! Lassen wir die Zeit des Krieges hinter uns und eine Zeit des Friedens heraufziehen! Und diesbezüglich, Herr Präsident, erinnere ich mich an jenes Gespräch in der Nacht, das wir vor Jahren in Uganda hatten: Ihr Wille zum Frieden war da … Gehen wir weiter in diese Richtung!
Kehren wir zu den Quellen des Flusses zurück, zum Wasser, das das Leben symbolisiert. An den Quellen dieses Landes gibt es ein weiteres Wort, das den Kurs bezeichnet, den das südsudanesische Volk am 9. Juli 2011 eingeschlagen hat: Republik. Aber was bedeutet es, eine res publica zu sein? Es bedeutet, sich selbst als öffentliche Wirklichkeit zu betrachten, also zu sagen, dass der Staat allen gehört und dass daher diejenigen, die größere Verantwortung für ihn tragen, indem sie ihm vorstehen oder ihn regieren, nicht umhinkönnen, sich in den Dienst des Gemeinwohls zu stellen. Das ist der Zweck der Macht: der Gemeinschaft zu dienen. Die immer lauernde Versuchung besteht jedoch darin, sich ihrer zugunsten der eigenen Interessen zu bedienen. Es reicht daher nicht aus, sich nur Republik zu nennen, man muss es auch sein, angefangen bei den Grundgütern: Die üppigen Ressourcen, mit denen Gott diese Erde gesegnet hat, dürfen nicht einigen wenigen vorbehalten sein, sondern müssen allen zugutekommen, und den Plänen für den wirtschaftlichen Aufschwung müssen Pläne für eine gerechte Verteilung des Reichtums entsprechen.
Für das Leben einer Republik ist die demokratische Entwicklung von grundlegender Bedeutung. Sie sichert die heilsame Gewaltenteilung, so dass beispielsweise diejenigen, die Recht sprechen, es unabhängig von denen tun können, die Gesetze erlassen oder regieren. Demokratie setzt zudem die Achtung der Menschenrechte, die durch das Gesetz und dessen Anwendung geschützt werden, und insbesondere die Meinungsfreiheit voraus. In der Tat muss daran erinnert werden, dass es ohne Gerechtigkeit keinen Frieden gibt (vgl. hl. Johannes Paul II., Botschaft zur Feier des XXXV. Weltfriedenstages, 1. Januar 2002), aber auch, dass es ohne Freiheit keine Gerechtigkeit gibt. Deshalb muss jeder Bürgerin und jedem Bürger die Möglichkeit gegeben werden, über das einzigartige und unwiederholbare Geschenk des Lebens mit den für seine Verwirklichung angemessenen Mitteln zu verfügen. Papst Johannes schrieb einmal, »dass der Mensch das Recht auf Leben hat, auf die Unversehrtheit des Leibes sowie auf die geeigneten Mittel zu angemessener Lebensführung« (hl. Johannes XXIII., Enzyklika Pacem in Terris, 6).
Nachdem der Fluss Nil seine Quelle hinter sich gelassen hat, durchquert er einige schroffe Gebiete, die Wasserfälle und Stromschnellen bilden. Sobald er in die südsudanesische Ebene eintritt, wird er in der Nähe von Juba schiffbar und gelangt dann in sumpfigere Gebiete. Ebenso hoffe ich, dass der Weg der Republik zum Frieden nicht in Höhen und Tiefen verläuft, sondern von dieser Hauptstadt aus befahrbar wird, ohne in Trägheit zu versumpfen. Freunde, es ist an der Zeit, den Worten Taten folgen zu lassen. Es ist an der Zeit, das Blatt zu wenden, es ist an der Zeit, sich für einen dringenden und notwendigen Wandel einzusetzen. Der Friedens- und Versöhnungsprozess braucht einen neuen Ruck. Man muss sich einig werden und das Friedensabkommen voranbringen – ebenso wie eine entsprechende Strategie! In einer Welt, die von Spaltungen und Konflikten geprägt ist, hat dieses Land eine ökumenische Friedenswallfahrt zu Gast, was eine Seltenheit ist. Möge sie einen Tempowechsel darstellen, eine Gelegenheit für den Südsudan, wieder in ruhigen Gewässern zu fahren und den Dialog ohne Doppelzüngigkeit und Opportunismus wiederaufzunehmen. Möge es für alle eine Gelegenheit sein, die Hoffnung wieder zu beleben, nicht nur für die Regierung, sondern für alle: Möge jeder Bürger verstehen, dass man sich nicht noch länger von den ungesunden Wassern des Hasses, des Tribalismus, des Regionalismus und der ethnischen Unterschiede treiben lassen darf. Brüder und Schwestern, es ist an der Zeit, gemeinsam in die Zukunft aufzubrechen! Gemeinsam. Dieses Wort darf nicht vergessen werden: gemeinsam.
Der Verlauf des großen Flusses hilft uns wieder und schlägt uns die Art und Weise vor. In seinem weiteren Lauf vereint er sich in der Nähe des No-Sees mit einem anderen Fluss und bildet so das, was Weißer Nil genannt wird. Die reine Klarheit des Wassers kommt also aus der Begegnung. Das ist der Weg, Brüder und Schwestern: sich respektieren, sich kennenlernen, in den Dialog treten. Denn wenn sich hinter jeder Gewalt Wut und Groll befinden, und hinter jeder Wut und jedem Groll die ungeheilte Erinnerung an Wunden, Demütigungen und Unrecht stehen, dann ist der einzige Ausweg daraus nur jener der Begegnung, die Kultur der Begegnung: Die anderen als Geschwister anzunehmen und ihnen Raum zu geben, auch indem man einen Schritt zurück zu machen vermag. Diese Haltung, die für Friedensprozesse wesentlich ist, ist auch für eine solide Entwicklung der Gesellschaft unerlässlich. Und um von der Unzivilisiertheit der Konfrontation zu einer Kultur der Begegnung zu gelangen, ist die Rolle entscheidend, die junge Menschen spielen können und wollen. Deshalb sollten sie über Freiräume verfügen können, wo sie sich treffen und debattieren können. Sie sollten die Zukunft, die ihnen gehört, ohne Angst selbst in die Hand nehmen können! Die Frauen, die Mütter, die wissen, wie Leben hervorgebracht und behütet wird, sollten ebenfalls stärker einbezogen werden, auch in politische Entscheidungsprozesse. Ihnen muss Respekt entgegengebracht werden, denn wer einer Frau Gewalt antut, tut dies Gott an, der von einer Frau Fleisch angenommen hat.
Christus, das fleischgewordene Wort, hat uns gelehrt, dass wir in den Augen des Herrn umso größer werden, je mehr wir uns selbst klein machen, indem wir anderen Raum geben und unsere Nächsten wie Geschwister annehmen. Die junge Geschichte dieses Landes, das von ethnischen Konflikten zerfleischt ist, muss das Geheimnis der Begegnung, die Gnade des Zusammenseins wiederentdecken. Es ist notwendig, über Gruppen und Unterschiede hinauszusehen, um als ein Volk unterwegs zu sein, in das, wie beim Nil, die verschiedenen Zuflüsse ihren Reichtum einbringen können. Es war gerade dieser Fluss, über den die ersten Missionare vor mehr als einem Jahrhundert hier ankamen. Zu ihrer Anwesenheit kam im Laufe der Zeit eine starke Präsenz vieler Mitarbeiter von Hilfsorganisationen: Ich möchte allen für die wertvolle Arbeit danken, die sie leisten. Ich denke aber auch an die Missionare, die leider den Tod finden, während sie Leben säen. Vergessen wir sie nicht und man vergesse auch nicht, ihnen und den Mitarbeitern der Hilfsorganisationen die nötige Sicherheit zu garantieren, und ihren guten Werken die notwendige Unterstützung, damit der Fluss des Guten weiter fließt.
Ein großer Fluss kann jedoch manchmal über die Ufer treten und Katastrophen verursachen. Das haben in diesem Land leider die vielen Opfer von Überschwemmungen erfahren, denen ich meine Nähe bekunde; und ich rufe dazu auf, es ihnen nicht an angemessener Hilfe fehlen zu lassen. Die Naturkatastrophen erzählen von einer verwundeten und zerstörten Schöpfung, die von einer Lebensquelle zu einer tödlichen Bedrohung werden kann. Es ist notwendig, sich um sie zu kümmern, mit einem weitsichtigen Blick auf zukünftige Generationen hin. Ich denke dabei insbesondere an die Notwendigkeit, die durch Profitgier verursachte Abholzung von Wäldern zu bekämpfen.
Damit ein Fluss nicht über die Ufer tritt, muss sein Bett sauber gehalten werden. Nicht metaphorisch gesprochen ist die Reinigung, die der Lauf des gesellschaftlichen Lebens benötigt, der Kampf gegen die Korruption. Unlautere Geldgeschäfte, versteckte Intrigen, um sich zu bereichern, klientelistische Machenschaften, mangelnde Transparenz: Das ist der verseuchte Boden der menschlichen Gesellschaft, der die nötigen Mittel für das Notwendige fehlen lässt. In erster Linie um die Armut zu bekämpfen, die der Nährboden ist, in dem sich Hass, Spaltung und Gewalt verwurzeln. Die vordringliche Aufgabe eines zivilisierten Landes ist es, sich um seine Bürger zu kümmern, insbesondere um die Schwächsten und die Benachteiligten. Ich denke vor allem an die Millionen von Vertriebenen, die sich hier aufhalten: Wie viele mussten ihre Häuser verlassen und finden sich in Folge von Zusammenstößen und Zwangsvertreibung am Rande des Lebens wieder!
Damit die Gewässer des Lebens nicht zu Gefahren des Todes werden, ist es wichtig, einen Fluss mit angemessenen Uferbefestigungen auszustatten. Das Gleiche gilt für das menschliche Zusammenleben. Zuallererst muss die Ankunft von Waffen eingedämmt werden, die trotz der Verbote weiterhin in viele Länder der Region und auch in den Südsudan gelangen: Hier wird vieles gebraucht, aber sicher keine zusätzlichen Todesinstrumente. Weitere Dämme sind unerlässlich, um den Verlauf des gesellschaftlichen Lebens zu gewährleisten: Ich denke dabei an die Entwicklung einer angemessenen Gesundheitspolitik, an die Notwendigkeit lebenswichtiger Infrastruktur und insbesondere an die vorrangige Rolle von Alphabetisierung und Bildung, den einzigen Weg, damit die Kinder dieses Landes ihre Zukunft selbst in die Hand nehmen können. Sie haben, wie alle Kinder dieses Kontinents und der Welt, das Recht, mit Heften und Spielzeug in den Händen aufzuwachsen und nicht mit Arbeitswerkzeugen und Waffen.
Schließlich verlässt der Weiße Nil den Südsudan, durchquert andere Staaten, trifft auf den Blauen Nil und erreicht das Meer: der Fluss kennt keine Grenzen, sondern verbindet Gebiete. Gleichermaßen ist es für eine angemessene Entwicklung heute wesentlicher denn je, positive Beziehungen zu anderen Ländern zu pflegen, angefangen bei den Nachbarländern. Ich denke auch an den wertvollen Beitrag der internationalen Gemeinschaft für dieses Land: Ich drücke meine Anerkennung für die Anstrengung aus, die zur Förderung von Versöhnung und Entwicklung unternommen wird. Ich bin davon überzeugt, dass ein echtes Verständnis der sozialen Entwicklungen und Probleme unabdingbar ist, um fruchtbare Beiträge zu leisten. Es genügt nicht, die Probleme von außen zu beobachten und anzuprangern. Man muss sich mit Geduld und Entschlossenheit einbringen und ganz allgemein der Versuchung widerstehen, vorgefertigte Modelle aufzuoktroyieren, die den örtlichen Gegebenheiten fremd sind. Wie der heilige Johannes Paul II. vor dreißig Jahren im Sudan sagte: »Es müssen afrikanische Lösungen für afrikanische Probleme gefunden werden« (Appell bei der Willkommenszeremonie, 10. Februar 1993).
Herr Präsident, sehr verehrte Verantwortungsträger, ich habe mich auf den Weg in dieses so junge wie liebenswerte Land begeben wollen, indem ich dem Verlauf des Nils gefolgt bin. Ich weiß, dass einige meiner Äußerungen wohl recht offen und direkt gewesen sind, aber ich bitte euch, mir zu glauben, dass dies aus der Zuneigung und der Sorge entspringt, mit der ich eure Angelegenheiten verfolge, zusammen mit den Brüdern, mit denen ich als Pilger des Friedens hierhergekommen bin. Wir möchten von ganzem Herzen unser Gebet und unsere Unterstützung anbieten, damit der Südsudan sich versöhnt und seinen Kurs ändert, sodass sein Lebensstrom nicht länger von Gewalt überschwemmt, von Sümpfen der Korruption behindert und durch eine Flut von Armut zunichtegemacht wird. Möge der Herr des Himmels, der dieses Land liebt, ihm eine neue Zeit des Friedens und des Wohlstands schenken: Gott segne die Republik Südsudan! Danke.
[00168-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]
Traduzione in lingua spagnola
Señor Presidente de la República,
señores Vicepresidentes,
ilustres Miembros del Gobierno y del Cuerpo diplomático,
distinguidas Autoridades religiosas,
insignes Representantes de la sociedad civil y del mundo de la cultura,
señoras y señores:
Gracias, señor Presidente, por sus palabras. Me alegra estar en esta tierra que llevo en el corazón. Le agradezco, señor Presidente, la bienvenida que me ha dirigido. Saludo cordialmente a cada uno de ustedes y, a través de ustedes, a todas las mujeres y a los hombres que habitan en este joven y querido país. Vengo como peregrino de reconciliación, con el sueño de acompañarles en su camino de paz, un camino tortuoso, pero que ya no puede ser postergado. No he llego solo, porque en la paz, como en la vida, se camina juntos. Me encuentro ante ustedes con dos hermanos, el Arzobispo de Canterbury y el Moderador de la Asamblea general de la Iglesia de Escocia, a los que agradezco lo que nos dirán. Juntos, tendiéndoles la mano, nos presentamos a ustedes y a este pueblo en el nombre de Jesucristo, Príncipe de la paz.
Nos hemos embarcado en esta peregrinación ecuménica de paz después de haber escuchado el grito de todo un pueblo que, con gran dignidad, llora por la violencia que sufre, por la constante inseguridad, por la pobreza que lo golpea y por los desastres naturales que lo atormentan. Son años de guerras y conflictos que parecen no tener fin, también recientemente, incluso ayer, se han verificado violentos enfrentamientos, mientras que los procesos de reconciliación y las promesas de paz permanecen incumplidas. Que este sufrimiento extenuante no sea en vano; que la paciencia y los sacrificios del pueblo sursudanés, de esta gente joven, humilde y valiente, interpelen a todos y, que como semillas que en la tierra dan vida a la planta, vean nacer brotes de paz que den fruto. Hermanos y hermanas, es la hora de la paz.
Aquí abundan los frutos y la vegetación gracias al gran río que atraviesa el país. Lo que el antiguo historiador Heródoto decía de Egipto, es decir, que era un “don del Nilo”, vale también para Sudán del Sur. Verdaderamente, como se dice aquí, esta es una “tierra de gran abundancia”. Quisiera por tanto dejarme transportar por la imagen del gran río que atraviesa este país reciente, pero con una historia antigua. Durante siglos los exploradores se han adentrado en el territorio en que nos encontramos para remontar el Nilo Blanco en búsqueda de las fuentes del río más largo del mundo. Quisiera comenzar mi itinerario con ustedes partiendo precisamente de la búsqueda de las fuentes de nuestra convivencia. Porque esta tierra, que abunda de muchos bienes en el subsuelo, pero, sobre todo, en los corazones y en las mentes de sus habitantes, hoy necesita volver a apagar su sed en fuentes frescas y vitales.
Distinguidas autoridades, ustedes son esas fuentes, las fuentes que riegan la convivencia común, los padres y las madres de este país niño. Ustedes están llamados a regenerar la vida social, como fuentes límpidas de prosperidad y de paz, porque esto es lo que necesitan los hijos de Sudán del Sur: necesitan padres, no patrones; pasos decididos hacia el desarrollo, no continuas caídas. Ya es hora de que los años sucesivos al nacimiento del país, marcados por una infancia herida, dejen paso a un crecimiento pacífico. Ilustres autoridades, vuestros “hijos” y la historia misma les recordarán si hacen el bien a esta población, que les has sido confiada para servirla. Las generaciones futuras honrarán o borrarán la memoria de sus nombres en base a cuanto ustedes hagan ahora, porque, así como el río deja las fuentes para comenzar su curso, también el curso de la historia dejará atrás a los enemigos de la paz y dará renombre a quienes trabajaron por la paz. En efecto, lo enseña la Escritura, «el que busca la paz tendrá una descendencia» (Sal 37,37).
La violencia, sin embargo, hace retroceder el curso de la historia. El mismo Heródoto mostraba el trastorno generacional, señalando cómo en la guerra no son los hijos quienes entierran a los padres, sino los padres los que entierran a los hijos (cf. Historias I,87). Para que esta tierra no quede reducida a un cementerio, sino que vuelva a ser un jardín floreciente, les ruego, de todo corazón, que acojan una palabra sencilla, que no es mía, sino de Cristo. Él la pronunció precisamente en un jardín, en el Getsemaní, cuando, ante el discípulo que había desenvainado la espada, dijo: «Basta» (Lc 22,51). Señor Presidente, señores Vicepresidentes, en nombre de Dios, del Dios al que juntos rezamos en Roma; del Dios manso y humilde de corazón (cf. Mt 11,29), en el que mucha gente de vuestro país cree, ha llegado la hora de decir basta, sin condiciones y sin “peros”. Basta ya de sangre derramada, basta de conflictos, basta de agresiones y acusaciones recíprocas sobre quien haya sido culpable, basta de dejar al pueblo sediento de paz. Basta de destrucción, es la hora de la construcción. Hay que dejar atrás el tiempo de la guerra y propiciar un tiempo de paz. Y sobre esto, señor Presidente, me viene al corazón ese coloquio nocturno que hace tantos años tuvimos en Uganda. Su voluntad de paz estaba allí. Sigamos adelante con esto.
Volvamos a las fuentes del río, al agua que simboliza la vida. En las fuentes de este país encontramos otra palabra, que designa el curso emprendido por el pueblo sursudanés el 9 de julio de 2011: República. Pero, ¿qué quiere decir ser una res publica? Significa reconocerse como realidad pública, es decir, afirmar que el Estado es de todos; y, por tanto, que quien, en su seno, asume responsabilidades mayores, presidiéndolo o gobernándolo, está obligado a ponerse al servicio del bien común. Este es el propósito de la autoridad: servir a la comunidad. La tentación que está siempre al acecho es servirse de ella para alcanzar los propios intereses. No basta por tanto llamarse República; es necesario serlo, a partir de los bienes primarios. Que los abundantes recursos, con los que Dios ha bendecido esta tierra, no se reserven a unos pocos, sino que sean prerrogativa de todos, y que los planes de reactivación económica se correspondan con proyectos dirigidos a una ecua distribución de las riquezas.
Para la vida de la República es fundamental el desarrollo democrático. Este tutela la benéfica distribución de los poderes públicos, de modo que, por ejemplo, quien administra la justicia pueda ejercitarla sin condicionamientos por parte de quien legisla o gobierna. La democracia presupone, además, el respeto de los derechos humanos, custodiados por la ley y por su aplicación, y específicamente presupone la libertad de expresar las propias ideas. En efecto, es necesario recordar que no hay paz sin justicia (cf. S. Juan Pablo II, Mensaje para la celebración de la XXXV Jornada Mundial de la Paz, 1 enero 2002), pero también que no hay justicia sin libertad. Por tanto, se debe conceder a cada ciudadano y ciudadana la posibilidad de disponer del don único e irrepetible de la existencia con los medios adecuados para realizarlo. Como escribía el Papa Juan, el hombre tiene «derecho a la existencia, a la integridad corporal, a los medios necesarios para un decoroso nivel de vida» (S. Juan XIII, Carta enc. Pacem in terris, 11).
El río Nilo, dejando las fuentes, después de haber atravesado algunas zonas escarpadas que crean cascadas y rápidos, una vez que entra en la llanura sursudanesa, precisamente en los alrededores de Yuba, se hace navegable, para después adentrarse en zonas más pantanosas. Análogamente, espero que el itinerario de paz de la República no proceda entre altos y bajos, sino que, desde esta capital, se vuelva transitable, sin quedarse empantanado en la inercia. Amigos, es tiempo de pasar de las palabras a los hechos. Es tiempo de pasar página; es tiempo de compromiso en favor de una transformación que es urgente y necesaria. El proceso de paz y de reconciliación requiere un nuevo impulso. Que se entienda y se lleve adelante el acuerdo de paz, así como la hoja de ruta. En un mundo marcado por las divisiones y los conflictos, este país acoge una peregrinación ecuménica de paz, que constituye una rareza; ojalá represente un cambio de marcha, la ocasión para que Sudán del Sur vuelva a navegar por aguas tranquilas, reanudando el diálogo sin falsedades y oportunismos. Que sea para todos una ocasión para relanzar la esperanza, no sólo para el gobierno, sino para todos; que cada ciudadano pueda comprender que ya no es tiempo de dejarse llevar por las aguas malsanas del odio, del tribalismo, del regionalismo y de las diferencias étnicas. Hermanos y hermanas, es tiempo de navegar juntos hacia el futuro, juntos. Esta palabra no se debe olvidar: juntos.
El cauce del gran río nos sigue ayudando, sugiriéndonos la modalidad. En su recorrido, junto al lago No se une a otro río, dando vida al denominado Nilo Blanco. La límpida claridad de las aguas brota, por tanto, del encuentro. Este es el camino, hermanos y hermanas: respetarse, conocerse y dialogar. Porque, si detrás de cada agresión hay rabia y rencor, y detrás de cada rabia y rencor está el recuerdo de heridas, humillaciones y errores que no se han sanado, la única ruta para salir de ahí es el encuentro, la cultura del encuentro: acoger a los demás como hermanos y darles su espacio, incluso sabiendo dar un paso atrás. Esta actitud, esencial para los procesos de paz, es indispensable también para el desarrollo cohesionado de la sociedad. Y para pasar de la barbarie del enfrentamiento al civismo del encuentro es decisivo el papel que pueden y quieren realizar los jóvenes. Que se les aseguren por ello espacios de libertad y de encuentro donde reunirse y debatir; y donde puedan hacerse cargo, sin miedo, del futuro que les pertenece. Que se involucre más, incluso en los procesos políticos y decisionales, también a las mujeres, las madres, que saben cómo se genera y se conserva la vida. Que haya respeto hacia ellas, porque quien comete violencia contra una mujer, la comete contra Dios, que de una mujer tomó la carne.
Cristo, el Verbo encarnado, nos ha enseñado que cuanto más pequeños nos hacemos, dando espacio a los demás y acogiendo a cada prójimo como a un hermano, más grandes somos a los ojos del Señor. La joven historia de este país, desgarrado por los enfrentamientos étnicos, necesita reencontrar la mística del encuentro, la gracia de la comunidad. Es necesario mirar más allá de los grupos y de las diferencias para caminar como un único pueblo, en el que, como sucede en el Nilo, los distintos afluentes traigan riquezas. Fue precisamente a través del río que los primeros misioneros, hace más de un siglo, llegaron a estas costas; a ellos se unieron con el tiempo muchos cooperantes. A todos ellos quisiera agradecerles la hermosa obra que realizan. Pero también pienso en los misioneros, que lamentablemente encuentran la muerte mientras siembran la vida. No los olvidemos y no dejemos de garantizarles a ellos y a los cooperantes la necesaria seguridad; ni de respaldar sus obras de bien con los apoyos necesarios, de modo que el río del bien siga fluyendo.
Con todo, un gran río puede a veces desbordarse y provocar desastres. En esta tierra, lamentablemente, lo han experimentado muchas víctimas de inundaciones, a las que expreso mi cercanía, invitando a que no se les prive de las ayudas oportunas. Las calamidades naturales recuerdan una creación herida y destrozada, que de ser fuente de vida puede convertirse en amenaza de muerte. Es necesario hacerse cargo, con una mirada amplia, que tenga en el punto de mira a las generaciones futuras. Pienso, en particular, en la necesidad de combatir la deforestación causada por el afán de conseguir más ganancias.
Para prevenir los desbordamientos de un río es necesario mantener limpio su lecho. Dejando de lado la metáfora, la limpieza que el curso de la vida social necesita es la lucha contra la corrupción. Tráficos inicuos de dinero, tramas ocultas para enriquecerse, negocios clientelares, falta de transparencia: este es el fondo contaminado de la sociedad humana, que impide que los recursos necesarios lleguen donde es más necesario; en primer lugar, para combatir la pobreza, que constituye el terreno fértil en el que se enraízan odios, divisiones y violencia. La urgencia de un país civilizado es hacerse cargo de sus ciudadanos, en particular de los más frágiles y desfavorecidos. Pienso sobre todo en los millones de desplazados que viven aquí. Cuántos de ellos han tenido que dejar su casa y se encuentran relegados en los márgenes de la vida luego de enfrentamientos y migraciones forzadas.
Con el fin de que las aguas de vida no se transformen en peligros de muerte es fundamental dotar a un río de diques adecuados. Esto vale también para la convivencia humana. En primer lugar, debe detenerse el tráfico de armas que, a pesar de las prohibiciones, continúan llegando a muchos países de la zona y también a Sudán del Sur. Aquí se necesitan muchas cosas, pero ciertamente no hay ninguna necesidad de más instrumentos de muerte. Otros diques son imprescindibles para garantizar el curso de la vida social; me refiero al desarrollo de adecuadas políticas sanitarias; a la necesidad de infraestructuras vitales; y, de modo especial, al papel primordial de la alfabetización y de la instrucción, único camino para que los hijos de esta tierra tomen las riendas de su futuro. Ellos, como todos los niños de este continente y del mundo, tienen derecho a crecer teniendo en sus manos cuadernos y juguetes, y no herramientas de trabajo y armas.
El Nilo Blanco, finalmente, deja Sudán de Sur, atraviesa otros estados, se encuentra con el Nilo Azul y llega al mar. El río no conoce fronteras, sino que une territorios. De modo similar, para alcanzar un desarrollo adecuado es esencial, hoy más que nunca, cultivar las relaciones positivas con otros países, comenzando por los circundantes. Pienso también en la preciosa contribución de la comunidad internacional en lo que respecta a este país. Expreso mi reconocimiento por el esfuerzo dirigido a favorecer la reconciliación y el desarrollo del mismo. Estoy convencido de que, para aportar subsidios provechosos, es indispensable una comprensión real de las dinámicas y de los problemas sociales. No basta observarlos y denunciarlos desde el exterior; es necesario implicarse, con paciencia y determinación y, más en general, resistir la tentación de imponer modelos prestablecidos que, por el contrario, son extraños a la realidad local. Como dijo san Juan Pablo II hace treinta años en Sudán: «Hay que hallar soluciones africanas para los problemas africanos» (Discurso durante la Ceremonia de bienvenida, 10 febrero 1993).
Señor Presidente, distinguidas Autoridades, siguiendo el itinerario del Nilo he querido adentrarme en el camino de este país que es tan joven como querido. Sé que algunas de mis expresiones pueden haber sido francas y directas, pero les ruego que crean que esto nace del afecto y de la preocupación con la que sigo vuestras vicisitudes, junto a los hermanos con los que he venido hoy aquí, peregrino de paz. Deseamos ofrecerles de corazón nuestra plegaria y nuestro respaldo para que Sudán del Sur se reconcilie y cambie de ruta; para que su curso vital no se detenga ante el aluvión de la violencia, obstaculizado por los cenagales de la corrupción ni frustrado por el desbordamiento de la pobreza. El Señor del cielo, que ama esta tierra, le conceda un nuevo tiempo de paz y de prosperidad. Que Dios bendiga la República de Sudán del Sur. Gracias.
[00168-ES.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua portoghese
Senhor Presidente da República,
Senhores Vice-Presidentes,
Ilustres Membros do Governo e do Corpo Diplomático,
Distintas Autoridades religiosas,
Insignes Representantes da sociedade civil e do mundo da cultura,
Senhoras e Senhores!
Obrigado, Senhor Presidente, pelas suas palavras! Sinto-me feliz por estar nesta terra que trago no coração. Agradeço-lhe, Senhor Presidente, o acolhimento que me reservou. Saúdo cordialmente cada um dos presentes e, em vós, a todas as mulheres e homens que povoam este jovem e querido país. Venho como peregrino de reconciliação, com o sonho de vos acompanhar no vosso caminho de paz: caminho tortuoso, mas inadiável. Não cheguei aqui sozinho, porque na paz, como na vida, caminha-se juntos; por isso eis-me aqui acompanhado por dois irmãos: o Arcebispo de Cantuária e o Moderador da Assembleia Geral da Igreja da Escócia, a quem agradeço tudo o que nos dirão. Juntos, apresentamo-nos em nome de Jesus Cristo, Príncipe da Paz, estendendo as mãos a cada um de vós e a este povo.
De facto, empreendemos esta peregrinação ecuménica de paz depois de ter escutado o clamor dum povo inteiro que, com grande dignidade, chora pela violência que padece, pela perene falta de segurança, pela pobreza que o aflige e pelos desastres naturais que assolam. Estes anos de guerras e conflitos parecem não ter fim, e ainda recentemente – até mesmo ontem – se verificaram duros confrontos, enquanto os processos de reconciliação parecem paralisados e as promessas de paz permanecem por cumprir. Que não seja em vão este sofrimento extenuante; que a paciência e os sacrifícios do povo sul-sudanês, desta gente jovem, humilde e corajosa, interpelem a todos e, como sementes que, enterradas, dão vida à planta, vejam desabrochar rebentos de paz que produzam fruto. Irmãos e irmãs, é a hora da paz!
Frutos e vegetação abundam aqui, graças ao grande rio que atravessa o país. Aquilo que o antigo historiador Heródoto dizia do Egito – é um «dom do Nilo» – vale também para o Sudão do Sul. Verdadeiramente esta, como aqui se diz, é a «terra da grande abundância». Quero, pois, deixar-me levar pela imagem do grande rio que atravessa este país, recente mas com uma história antiga. Ao longo dos séculos, os exploradores penetraram neste território onde nos encontramos, para subir o Nilo Branco à procura das nascentes do rio mais comprido do mundo. E é precisamente a partir da busca das fontes da convivência que pretendo começar o meu percurso convosco. Com efeito esta terra, que abunda de tantos bens quer no subsolo quer sobretudo nos corações e nas mentes dos seus habitantes, hoje precisa de ser novamente dessedentada por fontes frescas e vitais.
Distintas Autoridades, vós sois estas fontes, as fontes que irrigam a convivência geral, os pais e as mães deste país-menino. Vós sois chamados a regenerar a vida social, como fontes transparentes de prosperidade e de paz, pois é disto que necessitam os filhos do Sudão do Sul: necessitam de pais, não patrões; de passos firmes de desenvolvimento, não quedas contínuas... Os anos que se seguiram ao nascimento do país, marcados por uma meninice ferida, deem lugar a um crescimento pacífico: é hora! Ilustres Autoridades, os vossos «filhos» e a própria história hão de recordar-vos pelo bem que tiverdes feito a esta população, que vos foi confiada para a servirdes. As gerações futuras honrarão ou apagarão a memória dos vossos nomes com base naquilo que agora fizerdes, pois, assim como o rio deixa as nascentes para começar o seu curso, assim também o curso da história deixará para trás os inimigos da paz e nobilitará quem trabalha pela paz. De facto, como ensina a Escritura, «o homem de paz terá descendência» (cf. Sal 37, 37).
Ao contrário, a violência faz retroceder o curso da história. O mesmo Heródoto destacava os transtornos geracionais, observando como, na guerra, já não são os filhos que sepultam os pais, mas os pais que enterram os filhos (cf. Storie, I, 87). Para que esta terra não se reduza a um cemitério, mas volte a ser um jardim florido, peço-vos, de todo o coração, que acolhais uma palavra simples: não minha, mas de Cristo. E pronunciou-a precisamente num jardim – no Getsémani –quando, à vista de um dos seus discípulos que desembainhara a espada, disse: «Basta!» (Lc 22, 51). Senhor Presidente, Senhores Vice-Presidentes, em nome de Deus, do Deus a Quem rezamos juntos em Roma, do Deus manso e humilde de coração (cf. Mt 11, 29) em Quem tanta gente deste querido país acredita, é a hora de dizer basta… sem «se» nem «mas»: basta de sangue derramado, basta de conflitos, basta de violências e recíprocas acusações sobre quem as comete, basta de deixar à mingua de paz este povo dela sedento. Basta de destruição; é a hora de construir! Deixe-se para trás o tempo da guerra e surja um tempo de paz! A propósito, Senhor Presidente, trago no coração aquele colóquio noturno que tivemos, há alguns anos, no Uganda: palpava-se a sua vontade de paz... Prossigamos com isso!
Voltemos às nascentes do rio, à água que simboliza a vida. Nas fontes deste país, há outra palavra que designa o rumo empreendido pelo povo sul-sudanês em 9 de julho de 2011: República. Mas que significa ser uma res publica? Significa reconhecer-se como realidade pública, isto é, afirmar que o Estado é de todos; e consequentemente quem, dentro dele, detém maiores responsabilidades, presidindo-o ou governando-o, não pode deixar de pôr-se ao serviço do bem comum. Esta é a finalidade do poder: servir a comunidade. A tentação que está sempre à espreita é, pelo contrário, servir-se dele para os próprios interesses. Por isso não basta chamar-se República; é preciso sê-lo, a começar pelos bens primários: os abundantes recursos com que Deus abençoou esta terra não sejam reservados a poucos, mas regalia de todos; e, aos planos de retoma económica, correspondam projetos para uma distribuição equitativa das riquezas.
Para a vida duma República, é fundamental o desenvolvimento democrático. Este defende uma benéfica distinção dos poderes, de modo que, por exemplo, quem administra a justiça possa exercê-la sem condicionamentos por parte de quem legisla ou governa. Além disso, a democracia pressupõe o respeito dos direitos humanos, e em particular a liberdade de exprimir as próprias ideias, devendo aqueles ser salvaguardados pela lei e sua aplicação. De facto, é preciso lembrar-nos que, sem justiça, não há paz (cf. S. João Paulo II, Mensagem para a celebração do XXXV Dia Mundial da Paz, 01/I/2002), mas, também sem liberdade, não há justiça. Por isso há de ser dada a cada cidadã e cidadão a possibilidade de dispor do dom único e irrepetível que é a existência, com os meios adequados para a realizar. Como escreveu o Papa João XXIII, «o ser humano tem direito à existência, à integridade física, aos recursos correspondentes a um digno padrão de vida» (Carta Enc. Pacem in terris, 11).
O rio Nilo deixa as nascentes e, depois de passar por algumas encostas íngremes que criam cascatas e rápidos, entra na planície sul-sudanesa, bem perto de Juba, tornando-se navegável para adiante se embrenhar em zonas mais pantanosas. De maneira análoga almejo que o trajeto de paz da República não proceda com altos e baixos, mas, a partir desta capital, possa avançar sem cair empantanado na inércia. Amigos, é tempo de passar das palavras aos atos. É tempo de virar página; é o tempo do empenho em prol duma transformação urgente e necessária. O processo de paz e reconciliação exige um novo salto. Deem-se as mãos para levar a bom termo o Acordo de paz, bem como o seu Roteiro. Num mundo marcado por divisões e conflitos, este país acolhe uma peregrinação ecuménica de paz, que constitui uma raridade; que isto represente uma mudança de ritmo, a ocasião para o Sudão do Sul recomeçar a navegar em águas tranquilas, retomando o diálogo sem fingimentos nem oportunismos. Seja para todos uma ocasião para relançar a esperança: não só para o Governo, mas para todos. Possa cada cidadão compreender que já não é tempo de se deixar levar pelas águas insalubres do ódio, do tribalismo, do regionalismo e das diferenças étnicas. Irmãos e irmãs, é tempo de navegar juntos rumo ao futuro! Sim, «juntos»… Não se deve esquecer esta palavra: «juntos»!
O percurso do grande rio pode ainda ajudar-nos, sugerindo a modalidade. Avançando ele, ao chegar ao lago No une-se a outro rio, dando vida ao chamado Nilo Branco. A claridade límpida das águas brota do encontro. Este é o caminho, irmãos e irmãs: respeitar-se, conhecer-se, dialogar. Com efeito, se por trás de cada violência há ira e rancor, e por trás de cada ira e rancor há a memória não curada de feridas, humilhações e injustiças, a única direção a tomar para se sair disso só pode ser o encontro, a cultura do encontro: acolher os outros como irmãos e dar-lhes espaço, inclusive sabendo recuar alguns passos. Esta atitude, essencial para os processos de paz, é indispensável também para o desenvolvimento coeso da sociedade. E passar da incivilidade do conflito à civilidade do encontro decisivo é o papel que podem e querem desempenhar os jovens. Por conseguinte, sejam-lhes assegurados espaços livres de encontro para se juntarem e discutirem; e possam tomar nas suas mãos, sem medo, o futuro que lhes pertence. Sejam mais envolvidas mesmo nos processos políticos e decisórios também as mulheres, as mães que sabem como se gera e guarda a vida. Haja respeito por elas, porque quem comete violência contra uma mulher, comete-a contra Deus, que encarnou de uma mulher.
Cristo, o Verbo encarnado, ensinou-nos que, quanto mais pequenos nos fazemos dando espaço aos outros e acolhendo todo o próximo como irmão, tanto maiores nos tornamos aos olhos do Senhor. A jovem história deste país, dilacerado por conflitos étnicos, tem necessidade de voltar a encontrar a mística do encontro, a graça do conjunto. Precisa de olhar mais além dos grupos e das diferenças, para caminhar como um único povo, para o qual, à semelhança do Nilo, os vários «afluentes» trazem riqueza. Foi precisamente através do rio que os primeiros missionários, há mais de um século, desembarcaram nestas praias; à sua presença, veio juntar-se ao longo dos anos a de muitos agentes humanitários: a todos, quero agradecer pela preciosa obra que realizam. Mas penso também nos missionários que, infelizmente, encontram a morte enquanto semeiam a vida. Não os esqueçamos! E não esqueçamos também de garantir a eles e aos agentes humanitários a devida segurança e, às suas benfazejas atividades, a ajuda necessária, para que continue a singrar o rio do bem.
Todavia, às vezes um grande rio pode transbordar e provocar desastres. Nesta terra, infelizmente, experimentaram-no as numerosas vítimas de inundações, às quais expresso a minha solidariedade, fazendo apelo para que não lhes deixem faltar a devida ajuda. As calamidades naturais falam duma criação ferida e arruinada que, de fonte de vida, pode converter-se em ameaça de morte. Precisamos de cuidar dela, com um olhar clarividente a pensar nas gerações futuras. Penso, em particular, na necessidade de combater a desflorestação causada pela ganância do lucro.
Para se prevenir os transbordamentos dum rio, é necessário manter limpo o seu leito. Metáfora aparte, a limpeza de que precisa o curso da vida social é o combate à corrupção. Iníquos circuitos de dinheiro, enredos ocultos para se enriquecer, negócios clientelares, falta de transparência: este é o fundal poluído da sociedade humana, que faz faltar os recursos necessários àquilo para que mais servem, a começar pelo combate à pobreza, que constitui o terreno fértil onde se enraízam ódios, divisões e violência. A urgência dum país civilizado é cuidar dos seus cidadãos, particularmente dos mais frágeis e desfavorecidos. Penso sobretudo nos milhões de deslocados que aqui vivem: quantos tiveram de abandonar a sua casa encontrando-se relegados à margem da vida na sequência de confrontos e deslocações forçadas!
Para que as águas de vida não se transformem em perigo de morte, é fundamental dotar um rio de diques apropriados. O mesmo vale para a convivência humana. Em primeiro lugar há que impedir a chegada de armas que, não obstante todas as proibições, continuam a surgir em muitos países da área, incluindo o Sudão do Sul: aqui há necessidade certamente de muitas coisas, mas não de mais instrumentos de morte. Outros diques são imprescindíveis para garantir o curso da vida social: refiro-me ao desenvolvimento de políticas de saúde adequadas, à necessidade de infraestruturas vitais e, de modo especial, ao papel primário do alfabetismo e da instrução, única via para que os filhos desta terra tomem nas próprias mãos o seu futuro. Eles, como todas as crianças deste continente e do mundo, têm o direito de crescer tendo na mão cadernos e brinquedos, não ferramentas de trabalho e armas.
Por fim, o Nilo Branco deixa o Sudão do Sul, atravessa outros Estados, encontra-se com o Nilo Azul e chega ao mar: o rio não conhece fronteiras, mas une territórios. De modo semelhante, para se alcançar um desenvolvimento adequado, é essencial, hoje mais do que nunca, cultivar relações positivas com outros países, a começar pelos vizinhos. Penso também no precioso contributo prestado pela Comunidade Internacional a este país: exprimo-lhe reconhecimento pelo empenho tendente a favorecer a sua reconciliação e desenvolvimento. Estou convencido de que, para se trazer contribuições proveitosas, é indispensável uma efetiva compreensão das dinâmicas e dos problemas sociais. Não basta observá-los e denunciá-los de fora; é preciso envolver-se com paciência e determinação, e em geral resistir à tentação de impor modelos pré-estabelecidos, mas estranhos à realidade local. Como disse São João Paulo II há trinta anos, no Sudão, «devem-se encontrar soluções africanas para os problemas africanos» (Discurso na cerimónia de acolhimento, Cartum, 10/II/1993).
Senhor Presidente, distintas Autoridades, seguindo o percurso do Nilo, quis adentrar-me no caminho deste país tão jovem e tão querido. Sei que algumas minhas expressões podem ter sido ousadas e diretas, mas peço-vos para acreditardes que isto nasce da estima e preocupação com que acompanho as vossas vicissitudes, juntamente com os irmãos que me acompanharam até aqui, peregrino de paz. Desejamos sinceramente oferecer a nossa oração e o nosso apoio para que o Sudão do Sul se reconcilie e mude de rumo, a fim de que o seu curso vital deixe de ser impedido pelas cheias da violência, obstaculizado pelos pântanos da corrupção e malogrado pelo transbordamento da pobreza. O Senhor do Céu, que ama esta terra, conceda-lhe um tempo novo de paz e prosperidade. Deus abençoe a República do Sudão do Sul. Obrigado!
[00168-PO.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua polacca
Panie Prezydencie Republiki,
Panowie Wiceprezydenci,
Szanowni Członkowie Rządu i Korpusu Dyplomatycznego,
Dostojni Przedstawiciele władz religijnych,
Znamienici Przedstawiciele społeczeństwa obywatelskiego i świata kultury,
Panie i Panowie!
Panie Prezydencie, dziękuję za pańskie słowa. Cieszę się, że jestem na tej ziemi, którą noszę w sercu. Dziękuję panu, panie Prezydencie, za przyjęcie mi zgotowane. Serdecznie pozdrawiam każdego z was, a za waszym pośrednictwem wszystkie kobiety i wszystkich mężczyzn, którzy zamieszkują ten młody i umiłowany kraj. Przybywam jako pielgrzym pojednania, marząc o tym, by wam towarzyszyć w waszej drodze do pokoju, drodze trudnej, ale której nie można już opóźniać. Nie przybyłem tutaj sam, bo drogą pokoju, podobnie jak w życiu, podąża się razem. Jestem więc u was z dwoma braćmi, arcybiskupem Canterbury i moderatorem Zgromadzenia Ogólnego Kościoła Szkocji, którym dziękuję za to, co nam powiedzą. Razem, wyciągając ku wam rękę, stajemy przed wami i przed tym ludem w imię Jezusa Chrystusa, Księcia Pokoju.
Podjęliśmy bowiem tę ekumeniczną pielgrzymkę pokoju, usłyszawszy krzyk całego ludu, który z wielką godnością bardzo cierpi z powodu doświadczanej przemocy, nieustannego braku bezpieczeństwa, dotykającego go ubóstwa i srogich klęsk żywiołowych. Trwające latami wojny i konflikty zdają się nie mieć końca, a nawet ostatnio doszło do ostrych starć, nawet wczoraj, podczas gdy procesy pojednania wydają się zahamowane, a obietnice pokoju pozostają niespełnione. Oby to wycieńczające cierpienie nie było próżne; oby cierpliwość i poświęcenie narodu południowosudańskiego, tych młodych, pokornych i odważnych ludzi, przemawiały do wszystkich i, niczym ziarna w ziemi, dające życie roślinie, zrodziły zalążki pokoju, które zaowocują. Bracia i siostry, czas na pokój!
Owoce i roślinność są tu obfite dzięki wielkiej rzece, która przepływa przez ten kraj. To, co starożytny historyk Herodot powiedział o Egipcie, że jest on „darem Nilu”, odnosi się również do Sudanu Południowego. Istotnie, jak zwykło się tu mówić, jest to „ziemia wielkiej obfitości”. Dlatego chciałbym zainspirować się obrazem tej wielkiej rzeki, przepływającej przez ten kraj, który, choć istnieje od niedawna, ma starożytną historię. Przez wieki odkrywcy zapuszczali się na tereny, na których się znajdujemy, by wędrować w górę Nilu Białego w poszukiwaniu źródeł najdłuższej rzeki świata. Właśnie od poszukiwania źródeł wspólnego życia chciałbym rozpocząć moją podróż z wami. Bowiem ta ziemia, która ma tak obfite dobra w swym podłożu, a przede wszystkim w sercach i umysłach jej mieszkańców, potrzebuje być dziś na nowo nawodniona przez świeże, żywotne źródła.
Dostojni przedstawiciele władz, wy jesteście tymi źródłami, źródłami, które nawadniają wspólne życie, ojcami i matkami tego młodziutkiego kraju. Jesteście powołani do odrodzenia życia społecznego, niczym przejrzyste źródła dobrobytu i pokoju, bo tego potrzebują dzieci Sudanu Południowego; potrzebują ojców, a nie panów; stabilnych postępów w rozwoju, a nie ciągłych upadków. Oby lata, które nastąpiły po narodzinach tego kraju, naznaczone zranionym dzieciństwem, ustąpiły miejsca pokojowemu rozwojowi: najwyższa na to pora. Szanowni przedstawiciele władz, wasze „dzieci” i sama historia zapamiętają was, jeśli będziecie czynić dobro tej ludności, która została wam powierzona, byście jej służyli. Przyszłe pokolenia będą czciły wasze imiona lub zatrą pamięć o nich, w zależności od tego, co czynicie obecnie, bo tak jak rzeka opuszcza swoje źródła, by rozpocząć swój bieg, tak bieg historii pozostawi za sobą wrogów pokoju, a uhonoruje tych, którzy działają na rzecz pokoju, bowiem, jak uczy Pismo Święte: „kto zaprowadza pokój, zostawi potomstwo” (por. Ps 37, 37).
Przemoc natomiast cofa bieg historii. Wspomniany już Herodot zwracał uwagę na jej pokoleniowe przewroty, zauważając, że na wojnie już nie synowie grzebią ojców, lecz ojcowie grzebią synów (por. Dzieje, I, 87). Aby ta ziemia nie przemieniła się w cmentarz, ale stała się znów kwitnącym ogrodem, proszę was z całego serca, abyście przyjęli proste słowo – nie moje, lecz Chrystusa. Wypowiedział je właśnie w ogrodzie, w Getsemani, gdy do jednego ze swoich uczniów, który wyciągnął miecz, powiedział: „Dosyć!” (Łk 22, 51). Panie prezydencie, panowie wiceprezydenci, w imię Boga, Boga, do którego wspólnie modliliśmy się w Rzymie, Boga cichego i pokornego sercem (por. Mt 11, 29), w którego wierzy tak wielu mieszkańców tego umiłowanego kraju, pora powiedzieć „dość”, bez: „jeśli” i bez „ale” – dość przelewania krwi, dość konfliktów, dość przemocy i wzajemnych oskarżeń co do tego, kto się jej dopuszcza, dość pozostawiania ludzi spragnionych pokoju. Dość niszczenia, pora budować! Pozostawmy za sobą czas wojny i niech nastanie czas pokoju! I w tej kwestii, panie prezydencie, przypomina mi się ta nocna rozmowa, którą odbyliśmy przed laty w Ugandzie: była w niej pańska wola pokoju... Uczyńmy w tej sprawie krok naprzód!
Wróćmy do źródeł rzeki, do wody, która symbolizuje życie. U początków tego kraju jest jeszcze jedno słowo, które wyznacza kurs obrany przez mieszkańców Sudanu Południowego 9 lipca 2011 r.: Republika. Ale co znaczy bycie res publica? Oznacza uznanie się za rzeczywistość publiczną, czyli stwierdzenie, że państwo należy do wszystkich; a zatem, że ci, którzy pełnią w nim bardziej odpowiedzialne funkcje, przewodnicząc mu i nim rządząc, muszą oddać się na służbę dobra wspólnego. Taki jest cel władzy – służyć wspólnocie. Zawsze natomiast czai się pokusa posługiwania się nią dla własnych interesów. Nie wystarczy zatem nazywać się Republiką, trzeba nią być, zaczynając od dóbr podstawowych – obfite zasoby, którymi Bóg obdarzył tę ziemię, nie powinny być zarezerwowane dla nielicznych, lecz stanowić dobro wszystkich, a planom naprawy gospodarczej powinny towarzyszyć plany sprawiedliwego podziału bogactw.
Fundamentalne znaczenie dla życia republiki ma rozwój demokratyczny. Chroni on korzystny rozdział władz, tak aby na przykład ci, którzy wymierzają sprawiedliwość, mogli czynić to bez uwarunkowania przez tych, którzy ustanawiają prawa lub rządzą. Demokracja zakłada ponadto poszanowanie praw człowieka, strzeżonych przez prawo i jego stosowanie, a w szczególności wolność wyrażania swoich poglądów. Trzeba bowiem pamiętać, że bez sprawiedliwości nie ma pokoju (por. Św. Jan Paweł II, Orędzie na XXXV Światowy Dzień Pokoju, 1 stycznia 2002 r.), ale także, że bez wolności nie ma sprawiedliwości. Dlatego każda obywatelka i każdy obywatel musi mieć możliwość dysponowania wyjątkowym i niepowtarzalnym darem życia wraz z odpowiednimi środkami do jego realizacji; jak pisał Papież Jan XXIII, „każdy człowiek ma prawo do życia, do nienaruszalności ciała, do posiadania środków potrzebnych do zapewnienia sobie odpowiedniego poziomu życia” (Św. Jan XXIII, Enc. Pacem in terris, 6).
Rzeka Nil po opuszczeniu swoich źródeł, po przepłynięciu przez pewne obszary urwiste, które tworzą kaskady i bystrza, wpływa na równinę Sudanu Południowego i właśnie w pobliżu Dżuby staje się żeglowna, po czym wpływa na bardziej bagniste obszary. Odwołując się do tego obrazu, wyrażam nadzieję, że proces pokojowy Republiki nie będzie przebiegał drogą wzlotów i upadków, ale poczynając od tej stolicy, stanie się możliwy do wprowadzenia w życie, nie ugrzęźnie w inercji. Przyjaciele, nadszedł czas, aby przejść od słów do czynów. Nadszedł czas, aby rozpocząć nowy rozdział, czas, by zaangażować się w pilną i konieczną transformację. Proces pokoju i pojednania wymaga nowego zrywu. Niech dojdzie do uzgodnień i niech będą realizowane porozumienia pokojowe, a także tzw. „Road Map”! W świecie naznaczonym podziałami i konfliktami ten kraj gości ekumeniczną pielgrzymkę pokoju, która jest rzadkością. Niech to będzie zmiana biegu, okazja dla Sudanu Południowego do wznowienia żeglugi na spokojnych wodach, do wznowienia dialogu, bez dwuznaczności i oportunizmu. Niech będzie to dla wszystkich okazja do rozbudzenia na nowo nadziei, nie tylko dla rządu, dla wszystkich: aby każdy obywatel zrozumiał, że nie czas już dać się ponosić niezdrowym wodom nienawiści, trybalizmu, regionalizmu i różnic etnicznych. Bracia i siostry, czas żeglować razem ku przyszłości! Razem. Nie wolno zapomnieć o tym słowie: razem.
Bieg wielkiej rzeki znów nam pomaga, podpowiadając drogę. Kontynuując swój bieg, w pobliżu jeziora No łączy się ona z inną rzeką, dając początek temu, co nazywane jest Nilem Białym. Krystalicznie przejrzyste wody wypływają więc ze spotkania. Taka jest bracia i siostry droga: szanowanie się nawzajem, poznawanie się, prowadzenie dialogu. Bo jeśli za każdą przemocą kryje się gniew i uraza, a za każdym gniewem i urazą kryje się niezaleczona pamięć o ranach, upokorzeniach i krzywdach, to drogą do wyjścia z tego jest tylko spotkanie, kultura spotkania: zaakceptowanie innych jako braci i danie im przestrzeni, potrafiąc też uczynić kilka kroków wstecz. Taka postawa, niezbędna dla procesów pokojowych, jest konieczna również dla spójnego rozwoju społeczeństwa. Aby przejść od barbarzyństwa konfliktu do cywilizacji spotkania, decydująca jest rola, jaką mogą i pragną odegrać ludzie młodzi. Niech zatem zostaną im zapewnione wolne przestrzenie spotkania, żeby mogli się spotykać i dyskutować; i aby mogli wziąć w ręce, bez obaw, przyszłość, która do nich należy! Niech w większym stopniu będą angażowane, również w procesy polityczne i decyzyjne, także kobiety, matki, które wiedzą, jak się rodzi życie i jak się go strzeże. Niech będą darzone szacunkiem, bo kto dopuszcza się przemocy wobec kobiety, dopuszcza się jej wobec Boga, który z niewiasty przyjął ciało.
Chrystus, Słowo wcielone, nauczył nas, że im bardziej się umniejszamy, dając przestrzeń innym i przyjmując każdego bliźniego jak brata, tym więksi stajemy się w oczach Pana. Młoda historia tego kraju, rozdartego konfliktami etnicznymi, musi na nowo odkryć mistykę spotkania, łaskę wspólnoty. Trzeba patrzeć poza grupy i różnice, aby podążać jako jeden lud, w którym, na podobieństwo Nilu, różne dopływy przynoszą bogactwo. To właśnie rzeką ponad sto lat temu dotarli do tych brzegów pierwsi misjonarze; z czasem do nich dołączyło wielu pracowników organizacji humanitarnych; chciałbym im wszystkim podziękować za ich cenną działalność. Myślę jednak także o misjonarzach, którzy, niestety, znajdują śmierć, podczas gdy sieją życie. Nie zapominajmy o nich i nie zapominajmy o zapewnieniu im i pracownikom organizacji humanitarnych niezbędnego bezpieczeństwa, a ich dobroczynnym dziełom niezbędnego wsparcia, aby rzeka dobra płynęła nadal.
Wielka rzeka może jednak czasem wystąpić z brzegów i spowodować katastrofy. Na tej ziemi doświadczyły tego, niestety, liczne ofiary powodzi, którym składam wyrazy współczucia i apeluję, by nie były pozbawione odpowiedniej pomocy. Klęski żywiołowe mówią o zranionym i zdruzgotanym stworzeniu, które ze źródła życia może zamienić się w groźbę śmierci. Trzeba o nie się troszczyć, patrząc dalekowzrocznie na przyszłe pokolenia. Myślę w szczególności o potrzebie walki z wylesianiem, spowodowanym chciwością zysku.
Aby zapobiec wylewom rzeki, konieczne jest utrzymywanie jej koryta w czystości. Trzeba jasno powiedzieć, że czystość, której potrzebuje bieg życia społecznego, to walka z korupcją. Nieuczciwe obroty pieniędzmi, ukryte intrygi w celu wzbogacenia się, układy nepotyzmu, brak przejrzystości – oto zanieczyszczone podłoże ludzkiego społeczeństwa, które powoduje brak środków na to, co najbardziej potrzebne. Przede wszystkim na zwalczanie ubóstwa, które jest urodzajnym terenem dla zakorzeniania się nienawiści, podziałów i przemocy. Pilną potrzebą cywilizowanego kraju jest zadbanie o swoich obywateli, zwłaszcza tych najsłabszych i pokrzywdzonych. Myślę przede wszystkim o milionach przebywających tu przesiedleńców – jakże wielu musiało opuścić dom i znalazło się na marginesie życia w następstwie starć i przymusowych przemieszczeń!
Aby wody życia nie zamieniły się w niebezpieczeństwo śmierci, konieczne jest wyposażenie rzeki w odpowiednie obwałowania. To samo dotyczy ludzkiego współistnienia. Przede wszystkim należy powstrzymać napływ broni, która pomimo zakazów nadal dociera do wielu krajów w tym regionie, a także do Sudanu Południowego; potrzeba tutaj wielu rzeczy, ale z pewnością nie kolejnych narzędzi śmierci. Niezbędne są inne obwałowania, aby zapewnić bieg życia społecznego. Mam na myśli rozwój odpowiedniej polityki zdrowotnej, potrzebę stworzenia niezbędnej dla życia infrastruktury oraz, w sposób szczególny, podstawową rolę alfabetyzacji i nauczania. Jest to jedyny sposób, aby dzieci tej ziemi mogły wziąć swoją przyszłość we własne ręce. Jak wszystkie dzieci tego kontynentu i całego świata, mają one prawo dorastać, trzymając w rękach zeszyty i zabawki, a nie narzędzia pracy i broń.
Wreszcie Nil Biały opuszcza Sudan Południowy, przepływa przez inne państwa, spotyka się z Nilem Błękitnym i dociera do morza – rzeka nie zna granic, ale łączy terytoria. Podobnie, dla osiągnięcia odpowiedniego rozwoju niezbędne jest, dziś bardziej niż kiedykolwiek, pielęgnowanie pozytywnych relacji z innymi krajami, począwszy od krajów sąsiadujących. Myślę również o cennym wkładzie wspólnoty międzynarodowej na rzecz tego kraju; wyrażam wdzięczność za wysiłki na rzecz jego pojednania i rozwoju. Jestem przekonany, że aby wnieść owocny wkład, niezbędne jest prawdziwe zrozumienie dynamiki i problemów społecznych. Nie wystarczy obserwować je i piętnować z zewnątrz; trzeba się zaangażować, z cierpliwością i determinacją, a ogólniej, oprzeć się pokusie narzucania z góry ustalonych wzorców, które są obce lokalnej rzeczywistości. Jak powiedział św. Jan Paweł II trzydzieści lat temu w Sudanie: „Trzeba znaleźć afrykańskie rozwiązania dla afrykańskich problemów” (Przemówienie podczas uroczystości powitalnej, 10 lutego 1993 r.).
Panie prezydencie, dostojni przedstawiciele władz, podążając za biegiem Nilu, pragnąłem zagłębić się w drogę tego kraju, młodego i umiłowanego. Wiem, że niektóre z moich wypowiedzi były może śmiałe i bezpośrednie, ale proszę, wierzcie, że wynika to z miłości i troski, z jakimi śledzę wasze sprawy, wraz z braćmi, z którymi tu przybyłem jako pielgrzym pokoju. Pragniemy całym sercem ofiarować naszą modlitwę i wsparcie, aby Sudan Południowy mógł się pojednać i zmienić kurs, aby bieg jego życia nie był już dłużej hamowany przez zalew przemocy, utrudniany przez bagna korupcji i udaremniany przez nadmiar ubóstwa. Niech Pan nieba, który miłuje tę ziemię, obdarzy ją nowym czasem pokoju i dobrobytu. Niech Bóg błogosławi Republikę Sudanu Południowego! Dziękuję!
[00168-PL.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua araba
الزيارة الرسوليّة إلى جنوب السّودان
كلمة قداسة البابا فرنسيس
في اللقاء مع السُّلُطات وممثّلي المجتمع المدنيّ والسّلك الدبلوماسيّ
في القصر الرّئاسي في جوبا
الجمعة 3 شباط/فبراير 2023
السّيّد رئيس الجمهوريّة،
السّادة نوَّاب رئيس الجمهوريّة،
أعضاء الحكومة والسّلك الدبلوماسيّ المحترمين،
السُّلُطات الدينيّة المحترمين،
ممثّلي المجتمع المدنيّ وعالم الثّقافة المحترمين،
سيداتي، سادتي،
يُسعدني أن أكون في هذه الأرض التي أحملها في قلبي. أشكركم، سيادة الرّئيس، على كلمات التّرحيب التي وجّهتموها إلَيّ. أحيّي كلّ واحدٍ منكم، ومن خلالكم، جميع النّساء والرّجال الذين يسكنون هذا البلد الشّاب والعزيز. أتيت حاجَّ مُصالحة، أحمل حُلمًا: أن أرافقكم في مسيرتكم نحو السّلام، إنّها مسيرة مُتعرِّجة صعبة، ولكن لا يمكن بعد تأجيلها. لم آتِ إلى هنا وحدي، لأنّنا، في السّلام، كما في الحياة، نسير معًا. لذلك، أتيت إليكم مع أخَوَين، هُما: رئيس أساقفة كانتربري ورئيس الجمعيّة العامّة لكنيسة اسكتلندا، اللذَين أشكرهما على ما سيقولانه لنا. ونحن معًا، نمدُّ أيدينا إليكم، ونقدّم أنفسنا لكم ولهذا الشّعب باسم يسوع المسيح، رئيس السّلام.
في الواقع، بدأنا هذه الرحلة، رحلة حجّ مسكونيّة من أجل السّلام، بعد أن سمعنا صرخة شعب بأكمله يبكي، وبكرامة كبيرة، بسبب العنف الذي يعاني منه، وانعدام الأمن الدّائم، والفقر الذي يصيبه، والكوارث الطبيعيّة التي تعصف به. سنوات من الحروب والصّراعات التي تبدو أنّها لا تعرف النّهاية، وفي الآونة الأخيرة كانت هناك اشتباكات مريرة، بينما تبدو عمليّات المصالحة مشلولة ووعود السّلام غير محقَّقة. لا تذهَبْ سُدًى هذه المعاناة المُرهقة، وصبرُ وتضحيات شعب جنوب السّودان، وهؤلاء النّاس الشّباب، والمتواضعين والشّجعان: تضحياتهم تخاطب الجميع. ليَرَ هذا البلدَ براعم السّلام تُزهر وتؤتي ثمارها، مثل البذار التي تعطي الحياة للنّبات في الأرض. أيّها الإخوة والأخوات، حان وقت السّلام!
تكثر هنا الفاكهة والنّباتات بفضل النّهر الكبير الذي يعبر البلد. ما قاله المؤرّخ القديم هيرودوتُس عن مِصر، أيْ إنّها ”عطيّة نهر النّيل“، ينطبق أيضًا على جنوب السّودان. حقًا، كما يقال هنا، هذه الأرض هي ”أرض الخيرات والوفرة الكبيرة“. لذلك، أودّ أن أسمح لنفسي أن أسير مع صورة النّهر الكبير الذي يعبر هذا البلد الحديث، وذا التّاريخ العريق. عبر العصور، تقدّم المستكشفون في الأرض التي فيها نحن متواجدون الآن، لكي يصعدوا النّيل الأبيض بحثًا عن ينابيع أطول نهر في العالم. ومن البحث عن ينابيع الحياة المشتركة بالتّحديد، أودّ أن أبدأ مسيرتي معكم. لأنّ هذه الأرض، التي تزخر بخيرات كثيرة تحت الأرض، لكن خصوصًا في قلوب وعقول سكّانها، هي بحاجة اليوم إلى ينابيع فيها نضارة وحياة، تُروِي عطشها من جديد.
أصحاب السيادة، السُّلطات المحترمين، أنتم هذه الينابيع، الينابيع التي تروي الحياة المشتركة، أنتم آباء وأمّهات هذا البلد الفَتِيّ. أنتم مدعوّون إلى أن تجدّدوا الحياة الاجتماعيّة، بكونكم ينابيع الازدهار والسّلام الصافية، لأنّ ما يحتاجه أبناء جنوب السّودان هو: آباء لا أسياد، وخطوات تطوّر ثابتة، لا تعثرات مستمّرة. لتتبدَّلْ السّنوات التي تَلَت ولادة البلد، والتي تميّزت بطفولة مجروحة، ولتترك المجال لنموٍّ سلميّ. السُّلطات الموقرة، سيتذكّركم ”أبناؤكم“ والتّاريخ نفسه إن كنتم قد عَمِلتُم الخَير لهذا الشّعب، الذي أُوكِلَ إليكم لتخدموه. ستكرّمكم الأجيال القادمة أو ستمحو ذكرى أسمائكم، بناءً على ما تصنعونه الآن، لأنّه، مثل النهر الذي يترك منابِعَه لكي يسير في مجراه، كذلك مجرى التّاريخ سيترك وراءه أعداء السّلام وسيرفع عاليًا الذين يصنعون السّلام: في الواقع، يعلّم الكتاب المقدّس أيضًا أنَّ " لِلمُسالِمِ ذُرِّيَّةً باقِيَة" (راجع سفر المزامير 37، 37).
وأمّا العنف فيعيد مجرى التّاريخ إلى الوراء. لاحظ هيرودوتس نفسه الاضطرابات بين الأجيال، وأشار إلى أنّه في الحرب، ليس الأبناء هم الذين يدفنون آباءهم، بل الآباء هم الذين يدفنون أبناءهم (راجع التّاريخ، 1، 87). حتّى لا تصير هذه الأرض مقبرة، بل تعود لتكون حديقة مزدهرة، أطلب منكم، ومن كلّ قلبي، أن تقبلوا كلمة بسيطة: وليست كلمتي، بل هي كلمة المسيح. قالها بالتّحديد في بُستان، في الجسمانيّة، عندما واجه تلميذه الذي استلّ سيفه وقال له: "كفى!" (لوقا 22، 51). السّيّد الرّئيس، والسّادة نوَّاب الرّئيس، باسم الله، الذي صلّينا إليه معًا في روما، الإله الوديع والمتواضع القلب (راجع متّى 11، 29) الذي يؤمن به أناسٌ كثيرون في هذا البلد العزيز، حان الوقت لكي نقول كفى، من دون ”إذا“ ومن دون ”لكن“: كفى سفكٌ للدّماء، كفى صراعات، وكفى عنف واتّهامات متبادلة لمن يرتكبونها، وكفى أن نترك الشّعب متعطّشًا إلى السّلام. كفى دمار، قد حان وقت البِناء! لنُلقِ خلفنا زمن الحرب ولِيُشرق زمن السّلام! وفي هذا الصدد، السّيّد الرّئيس، تلك المحادثة الليلية التي أجريناها منذ سنوات في أوغندا تعود إلى قلبي: إرادتك من أجل السّلام كانت هناك... لنستمرّ في هذا!
ولنعد إلى ينابيع النّهر، وإلى الماء الذي يرمز إلى الحياة. في ينابيع هذا البلد، توجد كلمة أخرى، تدل على المسيرة التي بدأها شعب جنوب السّودان في 9 تمّوز/يوليو 2011، وهي: الجمهوريّة. ولكن، ماذا يعني أن نكون جمهوريّة؟ يعني أن نعترف بأنّنا جمهور، بأنّنا واقع عامٌّ للجمهور، أيْ، أن نؤكّد على أنّ الدّولة هي للجميع، ومن ثَمّ، الذي يحمل فيها مسؤوليّات كبرى، فيترأسها أو يحكمها، لا يمكنه إلّا أن يضع نفسه في خدمة الخير العام. هذا هو هدف السُّلطة: أن تخدم الجماعة. بينما، التّجربة المتربّصة دائمًا هي أن نستخدم السُّلطة من أجل مصالحنا الخاصّة. لذلك، لا يكفي أن ندعو أنفسنا جمهوريّة، بل علينا أن نكون جمهوريّة، بدءًا من الخيرات الأوليّة، وهي: ألّا تكون الموارد الوافرة التي بها بارك الله هذه الأرض محصورة في أيدي عدد قليل، بل هي من نصيب الجميع، وفي خِطَط الانتعاش الاقتصادي لتُوضَعْ مشاريع من أجل توزيعٍ عادلٍ للثّروات.
التّطوّر الدّيمقراطيّ هو أساسيّ من أجل حياة الجمهوريّة. إنّه يحمي التّمييز المُفيد بين السّلطات، بحيث يستطيع، مثلًا، من يُدير القضاء، أن يمارسه من دون شروطٍ أو ضغوط مِن قِبَل من يُشَرِّع أو يحكم. تفترض الدّيمقراطيّة أيضًا احترام حقوق الإنسان، التي يحميها القانون وتطبيقه، وخصوصًا لضمان حريّة التّعبير عن الرّأي. في الواقع، علينا أن نتذكّر أنّه من دون العدل لا يوجد سلام (راجع القدّيس يوحنّا بولس الثّاني، رسالة في مناسبة اليوم العالمي الخامس والثّلاثين للسّلام، 1 كانون الثّاني/يناير 2002)، ولكن أيضًا، من دون الحريّة لا يوجد عدل. لذلك، يجب أن نعطي كلّ مواطن ومواطِنة الإمكانيّة في أن يستغلّوا عطيّة وجودهم الفريد والذي لا شبيه له، بالوسائل المناسبة لتحقيقه: كما كتب البابا يوحنّا، "كلّ إنسان له الحقّ في الوجود، والسّلامة الجسديّة، والوسائل اللازمة والكافية من أجل حياة كريمة" (القدّيس يوحنّا الثّالث والعشرون، الرّسالة العامّة، السّلام على الأرض، 6).
نهر النّيل، بعد أن ترك الينابيع، وعَبَرَ بعض المناطق شديدة الانحدار التي كوَّنَت الشلّالات والمنحدرات المائية السّريعة، وعندما دخل سهل جنوب السّودان، وبالقرب من جوبا بالتّحديد، صار صالحًا للإبحار، ثمّ دخل في مناطق مليئة بالمستنقعات. وبالمِثِل، أتمنّى ألّا يسير مسار الجمهوريّة نحو السّلام صعودًا وهبوطًا، بل، انطلاقًا من هذه العاصمة، أن يبقى جاريًا، ولا يقَعَ في مستنقع الخمول. أيّها الأصدقاء، حان الوقت لأن ننتقل من الأقوال إلى الأفعال. حان الوقت لأن نطوي صفحة الماضي، وحان الوقت لأن نلتزم من أجل تحوّل مستعجل وضروريّ. تتطلّب عمليّة السّلام والمصالحة هزّةً جديدة. لنفهم بعضنا بعضًا ولنستمرّ في اتفاقيّة السّلام، كما وأيضًا في خارطة الطّريق. في عالم يتميّز بالانقسامات والنّزاعات، يستضيف هذا البلد رحلة حجٍّ مسكونيّة للسّلام، وهو أمرٌ نادرُ الحدوث. ليكن هذا الحجّ دافعًا إلى تغييرٍ في المسيرة، وفرصة لجنوب السّودان لأن يبدأ من جديد بالإبحار في المياه الهادئة، ويستأنف الحوار، دون ازدواجيّة وانتهازيّة. لتكن هذه فرصة للجميع لإحياء الرّجاء، ليس فقط للحكومة، بل للجميع: ليدرك كلّ مواطن أنّ هذا الوقت لم يعد وقتًا نقبل فيه أن ننجرف في مياه الكراهية الضّارة، والقبليّة، والإقليمية، والاختلافات العرقيّة، بل حان الوقت لأن نُبْحِر معًا نحو المستقبل! معًا. يجب ألّا ننسى هذه الكلمة: معًا.
يساعدنا مسار النّهر الكبير مرّة أخرى، ويُلهِمُنا الطّريقة. في متابعة مجراه، نحو بحيرة ”نو“، ينضمّ إلى نهر آخر، ويبدأ ما يسمّى بالنّيل الأبيض. إذّاك، من اللقاء، ينشأ لمعان المياه الصّافية. هذه هي الطّريقة: أن نحترم بعضنا بعضًا، ونعرف بعضنا بعضًا، ونتحاور. لأنّه، إن كان وراء كلّ عنفٍ غضبٌ واستياء، ووراء كلّ غضبٍ واستياء ذكرى جراحٍ لم تلتَئم، وإهانات وأخطاء، فالاتّجاه من أجل الخروج من ذلك هو فقط اللِقاء، ثقافة اللقاء: أن نستقبل الآخرين إخوةً لنا ونعطيهم مجالًا، وأن نعرف أيضًا كيف نتراجع عن مواقفنا. هذا الموقف الأساسيّ لعمليّات السّلام، لا غنى عنه أيضًا من أجل التّنمية المتماسكة للمجتمع. ولكي ننتقل من وحشيّة المصادمات إلى حضارة اللِقاء الحاسمة، هذا هو الدّور الذي يمكن للشّباب أن يقوموا به، ويريدون أن يقوموا به. لذلك، لنؤمّن لهم مساحات لقاءٍ حُرّة، لكي يجتمعوا ويتناقشوا، فيمكنهم أن يأخذوا بأيديهم، بلا خوف، المستقبل الذي هو مستقبلهم! لِيُشرَكُوا بشكلٍ أكبر، في العمليّات السياسيّة واتّخاذ القرارات، والنّساء أيضًا، والأمّهات اللّواتي يعرفْنَ كيف تُولد الحياة وكيف تكون حمايتها. ولتعامَل النساء باحترام، لأنّ من يمارس العنف ضدّ امرأة، يمارسه ضدّ الله، الذي تجسّد من امرأة.
علّمنا السّيّد المسيح، الكلمة المتجسّد، أنّه كلّما أصبحنا صِغارًا، وأعطينا مساحة للآخرين، واستقبلنا كلّ آخرٍ أخًا لنا، صرنا كبارًا في عيني الله. يحتاج تاريخ هذا البلد الشّاب، الذي مزّقته الاشتباكات العرقيّة، إلى إعادة اكتشاف سِحْرِ اللِقاء، وإلى نعمة التّواجد معًا. نحن بحاجة إلى أن ننظر إلى ما هو أبعد من المجموعات والاختلافات، لكي نسير مثل شعبٍ واحد، مثل نهر النيل، الذي يتكوَّن بغنى روافده المختلفة. عن طريق النّهر بالتّحديد وصلَ المرسلون الأوائل على هذه الشّواطئ، منذ أكثر من قرن. وانضّم إليهم، مع الوقت، الكثير من العاملين في المجال الإنسانيّ: أودّ أن أشكرهم جميعًا على العمل الثّمين الذي يقومون به. ومع ذلك، أفكّر أيضًا في المُرسلِين، الذين للأسف يَلقون الموت، وهم يزرعون الحياة. لا ننسَهم ولا ننسَ أن نضمنَ لهم وللعاملين في المجال الإنسانيّ الأمن اللّازم، ولأعمالهم الخيريّة الدعم اللازم، حتّى يستمّر نهر الخير في التدفّق.
مع ذلك، يمكن في بعض الأحيان أن يفيض النّهر الكبير ويسبّب الكوارث. في هذه الأرض، للأسف، اختبر ذلك الكثيرون من ضحايا الفيضانات، الذين أعبِّر لهم عن قربي منهم، وأناشد حتّى لا تنقصَهُم المساعدات الكافية. تروي الكوارث الطبيعيّة عن خليقة جريحة وممزّقة، هي أصلًا مصدر حياة، ثم تبدَّلت وصار مصدر موت. علينا أن نعتني بها، وببعد نظر، مُوَجَّه نحو الأجيال القادمة. أفكّر، خصوصًا، في ضرورة مكافحة إبادة الغابات التي يسبّبها جشع الرّبح.
لكي نمنع فيضان النّهر، من الضّروري أن نحافظ على مجراه نظيفًا. من دون استعارات، النّظافة التي يحتاج إليها مسار الحياة الاجتماعيّة هي محاربة الفساد. تحويلاتٌ مالية فاسدة، ومؤامرات خفيّة لتحقيق الثّراء، وصفقات المحسوبيّة، ونقص في الشّفافيّة: هذا هو القاع الملوَّث في المجتمع البشريّ الملوّث، الذي يحرمنا من الموارد اللّازمة التي نحن بأمسّ الحاجة إليها. وأوّلًا محاربة الفقر، الذي يشكّل الأرض الخصبة التي فيها تتجذّر الكراهية والانقسامات والعنف. الأمر المُلِحّ في بلد متحضّر هو أن يعتني بمواطنيه، وخاصّة الأضعفين والمحرومين. أفكّر خصوصًا في ملايين المشرّدين الذين يعيشون هنا: كم هُم الذين اضطروا إلى أن يتركوا بيوتهم ووجدوا أنفسهم مُبعَدين على هامش الحياة، بعد الاشتباكات والتّهجير القسري!
حتّى لا تتحوّل مياه الحياة إلى خطر موت، أمرٌ أساسيّ أن نجهّز النّهر بالسّدود المناسبة. الأمر نفسه ينطبق على العيش الإنسانيّ معًا. أوّلًا، يجب أن نوقف وصول الأسلحة التي تستمرّ بالوصول إلى بلدان كثيرة في المنطقة وأيضًا إلى جنوب السّودان، على الرّغم من الحظر: نحن بحاجة إلى أمورٍ كثيرة هنا، ولكن بالتّأكيد لسنا بحاجة إلى مزيد من أدوات الموت. تُعتبر السّدود الأخرى أساسيّة لضمان مسار الحياة الاجتماعيّة: أفكّر في تطوير سياساتٍ صحيّةٍ مناسبة، والحاجة إلى البُنى التّحتيّة الضّرورية للحياة، وبطريقة خاصّة، في الدّور الرّئيسي لمحو الأميّة، ولضمان التّعليم، وهو الطّريق الوحيد لكي يأخذ أبناء هذه الأرض مستقبلهم بأيديهم. هم، مثل كلّ أطفال هذه القارّة والعالم، لهم الحقّ في أن ينموا وهم يحملون دفاتر وألعابًا في أيديهم، لا أدوات عمل وأسلحة.
أخيرًا، يترك النّيل الأبيض جنوب السّودان، ويعبر ولايات أخرى، ويلتقي بالنّيل الأزرق ويصل إلى البحر: لا يعرف النّهر حدودًا، ولكنّه يربط بين الأراضي. وبالمِثِل، لكي نصل إلى تنمية ملائمة، أمرٌ أساسيّ اليوم، أكثر من أيّ وقتٍ مضى، أن ننمّي علاقات إيجابيّة مع البلدان الأخرى، بدءًا من البلدان المُجاورة. أفكّر أيضًا في المساهمة الثّمينة للمجتمع الدّولي لهذا البلد: أعبّر عن شكري للالتزام الذي يهدف إلى تعزيز المصالحة والتّنمية. أنا على يقين بأنّ فَهمَنا الحقيقيّ للديناميكيّات والمشاكل الاجتماعيّة لا غِنَى عنه، من أجل تقديم مساهمات مفيدة. لا يكفي أن نراقبها ونُدينها من الخارج، بل يجب أن نشارك، وبصبر وتصميم، وبشكل أعمّ، أن نقاوم تجربة فَرض نماذج محدّدة وغريبة عن الواقع المحلّي. كما قال القدّيس يوحنّا بولس الثّاني قبل ثلاثين سنة في السّودان: "يجب إيجاد حلول أفريقيّة للمشكلات الأفريقيّة" (نداء في حفل الاستقبال، 10 شباط/فبراير 1993).
السّيّد الرّئيس، والسُّلطات المحترمين، من خلال اتّباعي لمسار مجرى نهر النّيل، أردتُ أن أتتبع أيضًا مسيرة هذا البلد الشّاب والعزيز. أعلم أنّ بعض عِباراتي كانت صريحة ومباشرة، لكن أرجو أن تصدّقوا أنّها كانت نابعة من مودّتي واهتمامي اللذَين بهما أتابع أحداثكم، مع الإخوة الذين أتيت معهم إلى هنا، حاجَّ سلام. نريد بكلّ قلبنا أن نقدّم لكم صلواتنا ودعمنا، حتّى يتصالح جنوب السّودان ويغيّر مساره، وكي لا يُعيق فيضان العنف بعد الآن مجرى الحياة فيه، الذي يُعرقلُه مستنقعات الفساد ويحبطه طوفان الفقر. لِيَمنَح رَبُّ السّماء، الذي يحبّ هذه الأرض، وقتًا جديدًا من السّلام والازدهار: ليبارك الله جمهوريّة جنوب السّودان! شكرًا.
[00168-AR.02] [Testo originale: Italiano]
[B0103-XX.02]