Incontro con le vittime della violenza nell’Est del Paese presso la Nunziatura Apostolica di Kinshasa
Discorso del Santo Padre
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Questo pomeriggio, alle ore 16.30, il Santo Padre Francesco ha incontrato le vittime della violenza nell’Est del Paese nel salone della Nunziatura Apostolica di Kinshasa.
Dopo il canto iniziale e le testimonianze di una vittima di Butembo-Beniu, di una vittima di Goma, di una vittima di Bunia e di una vittima di Bukavu e Uvira, il Papa ha pronunciato il Suo discorso.
Al termine, prima della benedizione finale, è stato recitato l’impegno a perdonare da parte delle vittime presenti.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Santo Padre ha pronunciato nel corso dell’incontro:
Discorso del Santo Padre
Cari fratelli e sorelle!
Grazie. Grazie per il coraggio di queste testimonianze. Davanti alla violenza disumana che avete visto con i vostri occhi e provato sulla vostra pelle si resta scioccati. C’è solo da piangere, senza parole, rimanendo in silenzio. Bunia, Beni-Butembo, Goma, Masisi, Rutshuru, Bukavu, Uvira, luoghi che i media internazionali non menzionano quasi mai: qui e altrove tanti fratelli e sorelle nostri, figli della stessa umanità, vengono presi in ostaggio dall’arbitrarietà del più forte, da chi tiene in mano le armi più potenti, armi che continuano a circolare. Il mio cuore è oggi nell’Est di questo immenso Paese, che non avrà pace finché essa non sarà raggiunta lì, nella sua parte orientale.
A voi, cari abitanti dell’Est, voglio dire: vi sono vicino. Le vostre lacrime sono le mie lacrime, il vostro dolore è il mio dolore. A ogni famiglia in lutto o sfollata a causa di villaggi bruciati e altri crimini di guerra, ai sopravvissuti alle violenze sessuali, a ogni bambino e adulto ferito, dico: sono con voi, vorrei portarvi la carezza di Dio. Il suo sguardo tenero e compassionevole si posa su di voi. Mentre i violenti vi trattano come oggetti, il Padre che è nei cieli vede la vostra dignità e dice a ciascuno di voi: «Tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e ti amo» (Is 43,4). Fratelli e sorelle, la Chiesa è e sarà sempre dalla vostra parte. Dio vi ama, non si è scordato di voi, ma pure gli uomini si ricordino di voi!
È in nome suo che, insieme alle vittime e a chi s’impegna per la pace, la giustizia e la fraternità, condanno le violenze armate, i massacri, gli stupri, la distruzione e l’occupazione di villaggi, il saccheggio di campi e di bestiame che continuano a essere perpetrati nella Repubblica Democratica del Congo. E pure il sanguinoso, illegale sfruttamento della ricchezza di questo Paese, così come i tentativi di frammentarlo per poterlo gestire. Riempie di sdegno sapere che l’insicurezza, la violenza e la guerra che tragicamente colpiscono tanta gente sono vergognosamente alimentate non solo da forze esterne, ma anche dall’interno, per trarne interessi e vantaggi. Mi rivolgo al Padre che è nei cieli, il quale ci vuole tutti fratelli e sorelle in terra: umilmente abbasso il capo e, con il dolore nel cuore, gli chiedo perdono per la violenza dell’uomo sull’uomo. Padre, abbi pietà di noi. Consola le vittime e coloro che soffrono. Converti i cuori di chi compie crudeli atrocità, che gettano infamia sull’umanità intera! E apri gli occhi a coloro che li chiudono o si girano dall’altra parte davanti a questi abomini.
Si tratta di conflitti che costringono milioni di persone a lasciare le proprie case, provocano gravissime violazioni dei diritti umani, disintegrano il tessuto socio-economico, causano ferite difficili da rimarginare. Sono lotte di parte in cui si intrecciano dinamiche etniche, territoriali e di gruppo; conflitti che hanno a che fare con la proprietà terriera, con l’assenza o la debolezza delle istituzioni, odi in cui si infiltra la blasfemia della violenza in nome di un falso dio. Ma è, soprattutto, la guerra scatenata da un’insaziabile avidità di materie prime e di denaro, che alimenta un’economia armata, la quale esige instabilità e corruzione. Che scandalo e che ipocrisia: la gente viene violentata e uccisa mentre gli affari che provocano violenze e morte continuano a prosperare!
Rivolgo un vibrante appello a tutte le persone, a tutte le entità, interne ed esterne, che tirano i fili della guerra nella Repubblica Democratica del Congo, depredandola, flagellandola e destabilizzandola. Vi arricchite attraverso lo sfruttamento illegale dei beni di questo Paese e il cruento sacrificio di vittime innocenti. Ascoltate il grido del loro sangue (cfr Gen 4,10), prestate orecchio alla voce di Dio, che vi chiama alla conversione, e a quella della vostra coscienza: fate tacere le armi, mettete fine alla guerra. Basta! Basta arricchirsi sulla pelle dei più deboli, basta arricchirsi con risorse e soldi sporchi di sangue!
Cari fratelli e sorelle, e noi che cosa possiamo fare? Da dove cominciare? Come agire per promuovere la pace? Vorrei umilmente proporvi di ripartire da due “no” e da due “sì”.
Anzitutto no alla violenza, sempre e comunque, senza “se” e senza “ma”. No alla violenza! Amare la propria gente non significa nutrire odio nei riguardi degli altri. Anzi, voler bene al proprio Paese significa rifiutare di lasciarsi coinvolgere da quanti incitano a ricorrere alla forza. È un tragico inganno: l’odio e la violenza non sono mai accettabili, mai giustificabili, mai tollerabili, a maggior ragione per chi è cristiano. L’odio genera solo altro odio e la violenza altra violenza. Un “no” chiaro e forte va poi detto a chi propaga in nome di Dio questa violenza, questo odio. Cari Congolesi, non lasciatevi sedurre da persone o gruppi che incitano alla violenza in suo nome. Dio è Dio della pace e non della guerra. Predicare l’odio è una bestemmia, e l’odio sempre corrode il cuore dell’uomo. Infatti, chi vive di violenza non vive mai bene: pensa di salvarsi la vita e invece viene inghiottito in un gorgo di male che, portandolo a combattere i fratelli e le sorelle con cui è cresciuto e ha vissuto per anni, lo uccide dentro.
Ma per dire davvero “no” alla violenza non basta evitare atti violenti; occorre estirpare le radici della violenza: penso all’avidità, all’invidia e, soprattutto, al rancore. Mentre mi inchino con rispetto davanti alla sofferenza patita da tanti, vorrei chiedere a tutti di comportarsi come ci avete suggerito voi, testimoni coraggiosi, che avete il coraggio di disarmare il cuore. Lo chiedo a tutti in nome di Gesù, che ha perdonato chi gli ha trafitto i polsi e i piedi con i chiodi, attaccandolo a una croce: vi prego di disarmare il cuore. Ciò non vuol dire smettere di indignarsi di fronte al male e non denunciarlo, questo è doveroso! Nemmeno significa impunità e condono delle atrocità, andando avanti come se nulla fosse. Quello che ci è chiesto, in nome della pace, in nome del Dio della pace, è smilitarizzare il cuore: togliere il veleno, rigettare l’astio, disinnescare l’avidità, cancellare il risentimento; dire “no” a tutto ciò sembra rendere deboli, ma in realtà rende liberi, perché dà pace. Sì, la pace nasce dai cuori, da cuori liberi dal rancore.
C’è poi un secondo “no” da dire: no alla rassegnazione. La pace chiede di combattere lo scoraggiamento, lo sconforto e la sfiducia che portano a credere che sia meglio diffidare di tutti, vivere separati e distanti piuttosto che tendersi la mano e camminare insieme. Ancora, in nome di Dio, rinnovo l’invito perché quanti vivono nella Repubblica Democratica del Congo non si lascino cadere le braccia, ma si impegnino per costruire un futuro migliore. Un avvenire di pace non pioverà dal cielo, ma potrà arrivare se si sgombreranno dai cuori il fatalismo rassegnato e la paura di mettersi in gioco con gli altri. Un futuro diverso verrà se sarà di tutti e non di qualcuno, se sarà per tutti e non contro qualcuno. Un avvenire nuovo verrà se l’altro, tutsi o hutu che sia, non sarà più un avversario o un nemico, ma un fratello e una sorella nel cui cuore bisogna credere che c’è, pur nascosto, lo stesso desiderio di pace. Anche nell’Est la pace è possibile! Crediamoci! Lavoriamoci, senza delegare il cambiamento!
Non si può costruire l’avvenire restando chiusi nei propri interessi particolari, ripiegati nei propri gruppi, nelle proprie etnie e nei propri clan. Un adagio swahili insegna: «jirani ni ndugu» [il vicino è un fratello]; quindi, fratello, sorella, tutti i tuoi vicini sono tuoi fratelli, siano essi burundesi, ugandesi o ruandesi. Siamo tutti fratelli, perché figli dello stesso Padre: così ci insegna la fede cristiana, professata da gran parte della popolazione. Allora, si alzi lo sguardo al Cielo e non si rimanga prigionieri del timore: il male che ciascuno ha sofferto ha bisogno di essere convertito in bene per tutti; lo sconforto che paralizza ceda il passo a un rinnovato ardore, a una lotta indomita per la pace, a coraggiosi propositi di fraternità, alla bellezza di gridare insieme mai più: mai più violenza, mai più rancore, mai più rassegnazione!
Ed eccoci finalmente ai due “sì” per la pace. Anzitutto, sì alla riconciliazione. Amici, è meraviglioso quanto state per fare. Volete impegnarvi a perdonarvi a vicenda e a ripudiare le guerre e i conflitti per risolvere le distanze e le differenze. E volete farlo pregando insieme, tra poco, stretti attorno all’albero della Croce, sotto il quale, con grande coraggio, desiderate deporre i segni delle violenze che avete visto e subito: uniformi, machete, martelli, asce, coltelli... Anche la croce era uno strumento di dolore e di morte, il più terribile ai tempi di Gesù, ma, attraversato dal suo amore, è diventato strumento universale di riconciliazione, albero di vita.
Vorrei dirvi: siate anche voi alberi di vita. Fate come gli alberi, che assorbono inquinamento e restituiscono ossigeno. O, come dice un proverbio: “Nella vita fai come la palma: riceve sassi, restituisce datteri”. Questa è profezia cristiana: rispondere al male con il bene, all’odio con l’amore, alla divisione con la riconciliazione. La fede porta con sé una nuova idea di giustizia, che non si accontenta di punire e rinuncia a vendicare, ma vuole riconciliare, disinnescare nuovi conflitti, estinguere l’astio, perdonare. E tutto questo è più potente del male. Sapete perché? Perché trasforma la realtà da dentro invece che distruggerla da fuori. Solo così si sconfigge il male, proprio come ha fatto Gesù sull’albero della croce, facendosene carico e trasformandolo con il suo amore. Così il dolore si è tramutato in speranza. Amici, solo il perdono apre le porte al domani, perché apre le porte a una giustizia nuova, senza dimenticare, scardina il circolo vizioso della vendetta. Riconciliarsi è generare il domani: è credere nel futuro anziché restare ancorati al passato; è scommettere sulla pace anziché rassegnarsi alla guerra; è evadere dalla prigione delle proprie ragioni per aprirsi agli altri e assaporare insieme la libertà.
Poi l’ultimo “sì”, decisivo: sì alla speranza. Se può rappresentare la riconciliazione come un albero, come una palma che dà frutto, la speranza è l’acqua che la rende florida. Questa speranza ha una sorgente e questa sorgente ha un nome, che voglio proclamare qui insieme a voi: Gesù! Gesù: con Lui il male non ha più l’ultima parola sulla vita; con Lui, che ha fatto di un sepolcro, capolinea del tragitto umano, l’inizio di una storia nuova, si aprono sempre nuove possibilità. Con Lui ogni tomba può trasformarsi in una culla, ogni calvario in un giardino pasquale. Con Gesù nasce e rinasce la speranza: per chi ha subito il male e persino per chi lo ha commesso. Fratelli e sorelle dell’Est del Paese, questa speranza è per voi, ne avete diritto. Ma è anche un diritto da conquistare. Come? Seminandola ogni giorno, con pazienza. Torno all’immagine della palma. Un proverbio dice: «Quando mangi la noce, vedi la palma, ma chi l’ha piantata è tornato alla terra molto tempo fa». In altre parole, per conquistare i frutti sperati, bisogna lavorare con lo stesso spirito dei piantatori di palme, pensando alle generazioni future e non ai risultati immediati. Seminare il bene fa bene: libera dalla logica angusta del guadagno personale e regala a ogni giorno il suo perché: porta nella vita il respiro della gratuità e ci rende più simili a Dio, seminatore paziente che sparge speranza senza stancarsi mai.
Oggi ringrazio e benedico tutti i seminatori di pace che operano nel Paese: le persone e le istituzioni che si prodigano nell’aiuto e nella lotta per le vittime della violenza, dello sfruttamento e dei disastri naturali, le donne e gli uomini che vengono qui animati dal desiderio di promuovere la dignità della gente. Alcuni hanno perso la vita mentre servivano la pace, come l’ambasciatore Luca Attanasio, il carabiniere Vittorio Iacovacci e l’autista Mustapha Milambo, assassinati due anni fa nell’Est del Paese. Erano seminatori di speranza e il loro sacrificio non andrà perduto.
Fratelli, sorelle, figli e figlie dell’Ituri, del Nord e del Sud Kivu, vi sono vicino, vi abbraccio e benedico tutti voi. Benedico ogni bambino, adulto, anziano, ogni persona ferita dalla violenza nella Repubblica Democratica del Congo, in particolare ogni donna e ogni madre. E prego perché la donna, ogni donna, sia rispettata, protetta, valorizzata: commettere violenza nei confronti di una donna e di una madre è farla a Dio stesso, che da una donna, da una madre, ha preso la condizione umana. Gesù, nostro fratello, Dio della riconciliazione che ha piantato l’albero di vita della croce nel cuore delle tenebre del peccato e della sofferenza, Gesù, Dio della speranza che crede in voi, nel vostro Paese e nel vostro futuro, benedica tutti voi e vi consoli; riversi la sua pace nei vostri cuori, nelle vostre famiglie e sull’intera Repubblica Democratica del Congo. Grazie!
[00163-IT.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
Chers frères et sœurs!
Merci. Merci pour le courage de ces témoignages. Face à la violence inhumaine que vous avez vue de vos yeux et éprouvée dans votre chair, on reste sous le choc. Il n’y a qu’à pleurer, sans paroles, en restant en silence. Bunia, Beni-Butembo, Goma, Masisi, Rutshuru, Bukavu, Uvira, des lieux que les médias internationaux ne mentionnent presque jamais: ici et ailleurs, beaucoup de nos frères et sœurs, enfants de la même humanité, sont pris en otage par l’arbitraire du plus fort, par celui qui tient en main les armes les plus puissantes, des armes qui continuent à circuler. Mon cœur se rend aujourd’hui dans l’Est de cet immense pays, qui n’aura pas de paix tant qu’elle ne sera pas obtenue là, dans sa partie orientale.
À vous, chers habitants de l’Est, je veux vous dire: je suis proche de vous. Vos larmes sont mes larmes, votre souffrance est ma souffrance. À chaque famille en deuil ou déplacée en raison des villages brûlés et d’autres crimes de guerre, aux survivants des violences sexuelles, à chaque enfant et adulte blessé, je dis: je suis avec vous, je veux vous apporter la caresse de Dieu. Son regard tendre et compatissant se pose sur vous. Alors que les violents vous traitent comme des objets, le Père qui est aux cieux voit votre dignité et il dit à chacun de vous: «Tu as du prix à mes yeux, tu as de la valeur et je t’aime» (Is 43, 4). Frères et sœurs, l’Église est et sera toujours de votre côté. Dieu vous aime, il ne vous a pas oubliés. Puissent les hommes aussi se souvenir de vous!
C’est en son nom, avec les victimes et ceux qui s’engagent pour la paix, la justice et la fraternité, que je condamne les violences armées, les massacres, les viols, la destruction et l’occupation des villages, le pillage des champs et du bétail qui continuent d’être perpétrés en République Démocratique du Congo. Et aussi l’exploitation, sanglante et illégale, de la richesse de ce pays, ainsi que les tentatives de partition dans le but de pouvoir le gérer. Cela remplit d’indignation le fait que l’insécurité, la violence et la guerre qui frappent tragiquement tant de personnes sont honteusement alimentées, non seulement par des forces extérieures, mais aussi de l’intérieur, pour en tirer des intérêts et des avantages. Je m’adresse au Père qui est aux cieux, qui nous veut tous frères et sœurs sur la terre. J’incline humblement la tête et, la douleur dans le cœur, je lui demande pardon pour la violence de l’homme sur l’homme. Père, aie pitié de nous. Console les victimes et ceux qui souffrent. Convertis les cœurs de ceux qui commettent de cruelles atrocités qui jettent la honte sur l’humanité tout entière! Et ouvre les yeux de ceux qui les ferment ou qui se détournent devant ces abominations.
Il s’agit de conflits qui forcent des millions de personnes à quitter leurs maisons, qui provoquent de très graves violations des droits de l’homme, qui désintègrent le tissu socio-économique, qui causent des blessures difficiles à guérir. Ce sont des luttes partisanes où s’entremêlent des dynamiques ethniques, territoriales et de groupe; des conflits qui ont affaire avec la propriété foncière, l’absence ou la faiblesse des institutions, les haines où le blasphème de la violence au nom d’un faux dieu s’infiltre. Mais c’est surtout une guerre déchainée par une insatiable avidité de matières premières et d’argent, qui alimente une économie armée laquelle exige instabilité et corruption. Quel scandale et quelle hypocrisie: les personnes sont violées et tuées alors que les affaires qui provoquent violences et morts continuent à prospérer!
J’adresse un vibrant appel à toutes les personnes, à toutes les entités internes et externes qui tirent les ficelles de la guerre en République Démocratique du Congo, en la pillant, en la flagellant et en la déstabilisant. Vous vous enrichissez par l’exploitation illégale des biens de ce pays et le sacrifice cruel de victimes innocentes. Entendez le cri de leur sang (cf. Gn 4, 10), prêtez l’oreille à la voix de Dieu qui vous appelle à la conversion, et à celle de votre conscience: faites taire les armes, mettez fin à la guerre. Cela suffit! Cela suffit de s’enrichir sur le dos des plus faibles, cela suffit de s’enrichir avec des ressources et de l’argent entachés de sang!
Chers frères et sœurs, et nous, que pouvons-nous faire? Par où commencer? Comment agir pour promouvoir la paix? Je voudrais humblement vous proposer de repartir de deux “non” et de deux “oui”.
Tout d’abord, non à la violence, toujours et, en tout cas, sans “si” et sans “mais”. Non à la violence! Aimer son peuple c’est ne pas nourrir de haine envers les autres. Au contraire, aimer son pays c’est refuser de se laisser entraîner par ceux qui incitent à recourir à la force. C’est un tragiquemensonge : la haine et la violence, à plus forte raison pour ceux qui sont chrétiens, ne sont jamais acceptables, jamais justifiables, jamais tolérables. La haine engendre seulement davantage de haine et la violence davantage de violence. Un “non” clair et fort doit ensuite être dit à ceux qui propagent au nom de Dieu cette violence, cette haine. Chers Congolais, ne vous laissez pas séduire par les personnes ou les groupes qui incitent à la violence en son nom. Dieu est le Dieu de la paix et non de la guerre. Prêcher la haine est un blasphème. Et la haine ronge toujours le cœur de l’homme. Celui qui vit de violence, en effet, ne vit jamais bien: il pense sauver sa vie mais il est emporté dans un tourbillon de mal qui, en l’amenant à combattre les frères et sœurs avec lesquels il a grandi et vécu pendant des années, le tue à l’intérieur.
Mais pour dire vraiment “non” à la violence, il ne suffit pas d’éviter les actes violents. Il faut extirper les racines de la violence: je pense à l’avidité, à l’envie, et surtout à la rancœur. Alors que je m’incline avec respect devant la souffrance endurée par beaucoup, je voudrais demander à chacun de se comporter de la manière que vous nous avez suggérée, vous, témoins courageux qui avez le courage de désarmer votre cœur. Je le demande à tous, au nom de Jésus qui a pardonné à ceux qui lui ont transpercé les poignets et les pieds avec les clous pour le fixer à une croix: je vous prie de désarmer votre cœur. Cela ne veut pas dire cesser de s’indigner devant le mal et ne pas le dénoncer ; ceci est un devoir! Cela ne signifie pas non plus l’impunité et l’annulation des atrocités, en allant comme si de rien n’était. Ce qui nous est demandé, au nom de la paix, au nom du Dieu de la paix, c’est de démilitariser le cœur: ôter le poison, rejeter la haine, désamorcer l’avidité, effacer le ressentiment. Dire “non” à tout cela semblerait être de la faiblesse; mais en réalité cela rend libre, parce que cela donne la paix. Oui, la paix naît des cœurs, des cœurs libérés de la rancœur.
Il y a ensuite un deuxième “non” à dire: non à la résignation. La paix demande de combattre le découragement, la morosité et la méfiance qui conduisent à croire qu’il vaut mieux se méfier de tout le monde, vivre séparés et éloignés plutôt que de se tendre la main et marcher ensemble. Encore une fois, au nom de Dieu, je renouvelle l’invitation pour que ceux qui vivent en République Démocratique du Congo ne baissent pas les bras, mais s’engagent pour construire un avenir meilleur. Un avenir de paix ne tombera pas du ciel; il pourra advenir si les cœurs sont débarrassés du fatalisme résigné et de la peur de s’impliquer avec les autres. Un avenir différent adviendra s’il vient de tous et non de quelques-uns, s’il est pour tous et non contre qui que ce soit. Un avenir nouveau adviendra si l’autre, qu’il soit tutsi ou hutu, n’est plus un adversaire ou un ennemi, mais un frère et une sœur dans les cœurs duquel il faut croire que se trouve, caché, le même désir de paix. Dans l’Est aussi, la paix est possible! Croyons-y! Travaillons-y sans renvoyer le changement !
On ne peut pas construire l’avenir en restant enfermé dans ses intérêts particuliers, replié dans ses groupes, dans ses ethnies et dans ses clans. Un adage swahili enseigne: «jirani ni ndugu» [le voisin est un frère]. Frère, sœur, tous tes voisins sont tes frères, qu’ils soient Burundais, Ougandais ou Rwandais. Nous sommes tous frères, parce que fils du même Père. Ainsi nous l’enseigne la foi chrétienne, professée par une grande partie de la population. Alors, levons le regard vers le Ciel et ne restons pas prisonniers de la crainte: le mal que chacun a souffert doit être converti en bien pour tous. Que le découragement qui paralyse cède la place à une ardeur renouvelée, à une lutte intrépide pour la paix, à des intentions courageuses de fraternité, à la beauté de crier ensemble plus jamais: plus jamais de violence, plus jamais de rancœur, plus jamais de résignation!
Et nous voici enfin aux deux “oui” pour la paix. Avant tout, oui à la réconciliation. Chers amis, ce que vous allez faire est merveilleux. Vous voulez vous engager à vous pardonner mutuellement et à répudier les guerres et les conflits pour résoudre les distances et les différences. Et vous voulez le faire en priant ensemble, dans un instant, serrés autour de l’arbre de la Croix sous lequel, avec grand courage, vous voulez déposer les signes des violences que vous avez vues et subies: uniformes, machettes, marteaux, haches, couteaux... La croix aussi était un instrument de souffrance et de mort, le plus terrible au temps de Jésus, mais, traversé par son amour, il est devenu un instrument universel de réconciliation, un arbre de vie.
Je voudrais vous dire: soyez, vous aussi, des arbres de vie. Faites comme les arbres qui absorbent la pollution et qui restituent l’oxygène. Ou bien, comme le dit un proverbe: “Dans la vie, fais comme le palmier: il reçoit des pierres, il rend des dattes”. Telle est la prophétie chrétienne: répondre au mal par le bien, à la haine par l’amour, à la division par la réconciliation. La foi porte en elle une idée nouvelle de justice qui ne se contente pas de punir et renonce à venger, mais qui veut réconcilier, désamorcer de nouveaux conflits, éteindre la haine, pardonner. Et tout cela est plus fort que le mal. Savez-vous pourquoi? Parce qu’elle transforme la réalité de l’intérieur plutôt qu’elle ne la détruit de l’extérieur. C’est ainsi seulement que l’on vainc le mal, tout comme Jésus l’a fait sur l’arbre de la croix, s’en chargeant et le transformant par son amour. La souffrance s’est ainsi transformée en espérance. Chers amis, seul le pardon ouvre les portes à demain, car il ouvre les portes à une justice nouvelle, sans oublier, défait le cercle vicieux de la vengeance. Se réconcilier, c’est engendrer demain: c’est croire en l’avenir plutôt que rester ancré dans le passé; c’est miser sur la paix plutôt que se résigner à la guerre; c’est s’évader de la prison de ses bonnes raisons pour s’ouvrir aux autres et goûter ensemble la liberté.
Ensuite le dernier “oui”, décisif: oui à l’espérance. Si la réconciliation peut être représentée comme un arbre, comme un palmier qui donne du fruit, l’espérance est l’eau qui le rend florissant. Cette espérance a une source et cette source a un nom, que je veux proclamer ici avec vous: Jésus! Jésus! Avec Lui, le mal n’a plus le dernier mot sur la vie; avec Lui, qui a fait d’un sépulcre - terminus de l’itinéraire humain - le début d’une histoire nouvelle, de nouvelles possibilités s’ouvrent toujours. Avec Lui, chaque tombe peut se transformer en un berceau, chaque calvaire en un jardin pascal. Avec Jésus l’espérancenaît et renaît : pour celui qui a subi le mal et aussi pour celui qui l’a commis. Frères et sœurs de l’Est du pays, cette espérance est pour vous, vous y avez droit. Mais c’est aussi un droit à conquérir. Comment? En la semant chaque jour, avec patience. Je reviens à l’image du palmier. Un proverbe dit: «Quand tu manges la noix, tu vois le palmier, mais celui qui l’a planté est retourné à la terre depuis longtemps». En d’autres termes, pour conquérir les fruits espérés, il faut travailler dans le même esprit que les planteurs de palmiers, en pensant aux générations futures et non aux résultats immédiats. Semer le bien fait du bien: cela libère de la logique étroite du gain personnel et offre à chaque journée son pourquoi. Cela met dans la vie le souffle de la gratuité et nous rend davantage semblables à Dieu, semeur patient qui répand l’espérance sans jamais se lasser.
Aujourd’hui, je remercie et je bénis tous les semeurs de paix qui œuvrent dans le pays: les personnes et les institutions qui se dépensent dans l’aide et dans la lutte en faveur des victimes de la violence, de l’exploitation et des catastrophes naturelles; les femmes et les hommes qui sont ici animés par le désir de promouvoir la dignité des personnes. Certains ont perdu la vie alors qu’ils servaient la paix, comme l’Ambassadeur Luca Attanasio, le Gendarme Vittorio Iacovacci et le chauffeur Mustapha Milambo, assassinés il y a deux ans dans l’Est du pays. Ils étaient des semeurs d’espérance et leur sacrifice ne sera pas perdu.
Frères et sœurs, fils et filles de l’Ituri, du Nord et du Sud Kivu, je suis proche de vous, je vous étreins et je vous bénis tous. Je bénis chaque enfant, adulte, personne âgée, chaque personne blessée par la violence en République Démocratique du Congo, en particulier chaque femme et chaque mère. Et je prie pour que la femme, toute femme, soit respectée, protégée et valorisée: commettre une violence sur une femme et sur une mère, c’est la faire à Dieu lui-même, qui, d’une femme, d’une mère, a pris la condition humaine. Que Jésus, notre frère, Dieu de la réconciliation qui a planté l’arbre de vie de la croix au cœur des ténèbres du péché et de la souffrance, Jésus, Dieu de l’espérance qui croit en vous, en votre pays et en votre avenir, qu’il bénisse vous tous et vous console. Qu’il répande sa paix dans vos cœurs, dans vos familles et dans toute la République Démocratique du Congo. Merci!
[00163-FR.02] [Texte original: Italien]
Traduzione in lingua inglese
Dear brothers and sisters,
Thank. Thank you for your courage in offering these testimonies. We continue to be shocked to hear of the inhumane violence that you have seen with your eyes and personally experienced. We can only weep in silence, for we are left without words. Bunia, Beni-Butembo, Goma, Masisi, Rutshuru, Bukavu, Uvira: these are places that the international media hardly ever mention. In those places, and elsewhere, so many of our brothers and sisters, sons and daughters of our one human family, have been held hostage to the whims of the powerful, those with the most potent weapons, weapons that continue to circulate. Today my heart is in the east of this immense country, which will have no peace until peace reigns there, in its eastern part.
To you, dear inhabitants of the East, I want to say: I am close to you. Your tears are my tears; your pain is my pain. To every family that grieves or is displaced by the burning of villages and other war crimes, to the survivors of sexual violence and to every injured child and adult, I say: I am with you; I want to bring you God’s caress. He gazes upon you with tenderness and compassion. While the violent treat you as pawns, our heavenly Father sees your dignity, and to each of you he says: “You are precious in my sight, and honoured, and I love you” (Is 43:4). Brothers and sisters, the Church is and will always be on your side. God loves you; he has not forgotten you. But men and women should remember you too!
It is in God’s name that, together with the victims and all those who work for peace, justice and fraternity, I condemn the armed violence, the massacres, the rapes, the destruction and occupation of villages, and the looting of fields and cattle that continue to be perpetrated in the Democratic Republic of the Congo. As well as the murderous, illegal exploitation of the wealth of this country, and the attempts to fragment the country in order to control it. It causes indignation to know that the insecurity, violence and war that tragically affect so many people are disgracefully fueled not only by outside forces, but also from within, for the sake of pursuing private interests and advantage. I turn to our Father in heaven, who wants us all to be brothers and sisters on the earth: I humbly bow my head and, with pain in my heart, ask him to forgive the violence of man against man. Father, have mercy on us! Console the victims and those who suffer. May he convert the hearts of those who carry out brutal atrocities, which bring shame upon all humanity! And may he open the eyes of those who refuse to see these abominations or walk away from them.
These conflicts force millions of people to leave their homes, cause very serious violations of human rights, break down the socio-economic fabric of a nation, and inflict wounds that are difficult to heal. They are polarizing struggles in which ethnic, territorial and group dynamics intertwine; conflicts that have to do with land ownership, with the absence or weakness of institutions, and with animosity and hatred marked by the blasphemy of violence in the name of a false god. Yet it is, above all, a war unleashed by an insatiable greed for raw materials and money that fuels a weaponized economy and requires instability and corruption. What a scandal and what hypocrisy, as people are being raped and killed, while the commerce that causes this violence and death continues to flourish!
I make a heartfelt appeal to all the people, to all the internal and external organizations that orchestrate war in the Democratic Republic of the Congo in order to plunder, scourge and destabilize the country. You are enriching yourselves through the illegal exploitation of this country’s goods and through the brutal sacrifice of innocent victims. Listen to the cry of their blood (cf. Gen 4:10), open your ears to the voice of God, who calls you to conversion, and to the voice of your conscience: put away your weapons, put an end to war. Enough! Stop getting rich at the cost of the poor, stop getting rich from resources and money stained with blood!
Dear brothers and sisters, what can we do? Where can we start? How should we act in order to promote peace? I would humbly propose starting again with two ways of saying “no” and two ways of saying “yes”.
First, to say no to violence, always and everywhere, with no “ifs” or “buts”. No to violence! Loving one’s own people does not mean harbouring hatred for others. On the contrary, loving our own country means refusing to get involved with those who foment violence. The use of hatred and violence is a tragic lie; hatred and violence are never acceptable, never justifiable, never tolerable, all the more so for Christians. Hate merely breeds further hate and violence further violence. We must say a clear and strong “no” to all those who seek to perpetrate violence and hate in God’s name. Beloved Congolese people, do not let yourselves be seduced by individuals or groups that incite violence in his name, for God is a God of peace, not of war. Preaching hate is a form of blasphemy, and hatred always corrupts human hearts. Indeed, those who live by violence never live well; they think they are saving their lives, yet they become engulfed in a maelstrom of evil that leads them to fight their brothers and sisters with whom they grew up and lived for years, and ends up killing them inside.
To say “no” to violence, however, it is not enough to avoid acts of violence. We also need to eliminate the roots of violence: greed, envy and, above all, resentment. As I bow in respect before the suffering endured by so many, I would like to ask everyone to behave as you, our courageous witnesses have suggested to us, have done and have the courage to disarm the heart. In the name of Jesus, who forgave those who pierced his hands and feet with nails, hanging him upon a cross, I ask everyone: please disarm your heart. This does not mean we should stop being indignant in the face of evil or denouncing it; no, this is our duty! Nor does it mean granting immunity or condoning atrocities, carrying on as if nothing had happened. What is asked of us, in the name of peace, in the name of the God of peace, is to demilitarize our hearts; to remove all venom, reject hatred, defuse greed, erase bitterness. Saying “no” to all these things may seem like weakness, yet in fact it sets us free, for it gives us peace. Yes, peace is born of hearts set free from resentment.
Now we turn to our second “no”: saying no to resignation. Peace calls us to combat the discouragement, despondency and distrust that lead us to think that we are better off distrusting others, living apart and far away, rather than offering a helping hand and walking together. Again, in the name of God, I once more invite all those living in the Democratic Republic of the Congo not to give up but to commit themselves to building a better future. While a future of peace will not rain down from heaven, it can come about if we remove from our hearts all fatalism and resignation, all fear of involvement with others. A different future will come about if it is for all and not just for a few, if it is for and not against others. A new future will come about if we see others, whether Tutsi or Hutu, no longer as adversaries or enemies, but as brothers and sisters, and if we believe that in their hearts, however hidden, they cherish the same desire for peace. Even in the East, peace is possible! Let us believe this! Let us work for it, without delegating it to others!
The future cannot be built by remaining closed in on our particular interests, or within our own ethnic groups or families. A Swahili saying teaches us: “jirani ni ndugu” [our neighbour is a brother or sister]. Dear brothers and sisters, all your neighbours, then, are your sisters and brothers, whether they be Burundian, Ugandan or Rwandan. All of us are brothers and sisters because all of us are children of the same Father. That is the teaching of the Christian faith professed by a large part of the population. Raise your eyes to God, then, and do not remain prisoners of fear, for the evil that everyone has endured needs to be converted into good for all. May the discouragement that disables us give way to a renewed ardour, to a courageous struggle for peace, to fearless projects favouring fraternity, to the beauty of crying out together, never again! Never again violence, never again resentment, never again resignation!
And so, we come to the two ways of saying “yes” for peace. First, yes to reconciliation. Dear friends, what you are about to do is something marvellous. You desire to commit yourselves to forgiving one another and to rejecting war and conflict as a means of resolving differences. And you wish to do so by soon praying together, gathered around the tree of the Cross, under which, with great courage, you wish to place the signs of all the violence you have seen and suffered: uniforms, machetes, hammers, axes, knives... The cross was itself an instrument of torture and death, the most terrible in use at the time of Jesus, yet, transformed by his love, it has become a universal means of reconciliation, a tree of life.
To all of you, I would like to say: Be trees of life! Be like those trees that absorb pollution and give back oxygen. Or, as a proverb says: “In life, do as the palm tree does: it receives stones, it gives back dates”. Indeed, Christian prophecy means responding to evil with good, to hatred with love, to division with reconciliation. Faith brings with it a new concept of justice, which is not content to punish and rejects revenge, wishing instead to bring reconciliation, to defuse new conflicts, to eliminate resentment and to offer forgiveness. All these things are more powerful than evil. Do you know why? Because they transform reality from within, instead of destroying it from without. Only in this way can we defeat evil, as Jesus did on the tree of the cross, by taking it upon himself and transforming it by his love. In this way, pain turned into hope. Dear friends, only forgiveness can open the door to the future, for it opens the door to a new justice that, without ever forgetting, puts an end to the vicious cycle of revenge. To be reconciled is to create a new day. It is to believe in the future rather than to stay anchored in the past; it is to wager on peace rather than resigning oneself to war; and it is to escape from the prison walls of our own way of seeing things, in order be open to others and together with them, to taste freedom.
Finally, the decisive “yes”: yes to hope. If we think of reconciliation as a tree, a fruitful palm tree, then hope is the water that makes that tree flourish. This hope has a wellspring, and that wellspring has a name, which I wish to proclaim together with you: Jesus! With Jesus, evil no longer has the last word over life; with Jesus, who made the grave, the last stop on our human journey, the beginning of a new history, new possibilities constantly crop up. With Jesus, every tomb can become a cradle, every Calvary an Easter garden. With Jesus, hope is born and constantly reborn: for those who have endured evil, and even those who perpetrated it. Brothers and sisters of the east of the country, this hope is meant for you, and you have a right to it. Yet it is also a right to be earned. How? By patiently sowing peace day after day. Let me return to the image of the palm tree. As a proverb says: “When you eat the date, you see the palm tree, even though the one who planted it has long since returned to the earth”. In other words, to attain the fruits for which you hope, you must work in the same spirit as those who planted the palm trees, looking to future generations and not to immediate results. To sow goodness is good for us: it sets us free from narrow concern for personal gain and gives us a reason for living each day: it seasons our lives with liberality and it makes us more and more like God, the patient sower who tirelessly sows seeds of hope.
Today, I think of, and I bless, all the sowers of peace who work in this country: the individuals and institutions that are generous in providing aid and in responding to the victims of violence, exploitation and natural disasters, the men and women who come here motivated by a desire to advance people’s dignity. Some have lost their lives in the service of peace, like Ambassador Luca Attanasio, his military escort Vittorio Iacovacci and his driver Mustapha Milambo, who were killed together with him two years ago in the east of the country. They were sowers of hope and their sacrifice will not be lost.
Brothers and sisters, sons and daughters of Ituri, and of North and South Kivu, I am close to you; I embrace you and I bless all of you. I bless every child, adult, elderly person, all those wounded by the violence in the Democratic Republic of the Congo, and in particular every woman and every mother. And I pray that women, every woman, maybe respected, protected and esteemed. Violence against women and mothers is violence against God himself, who from a woman, from a mother, took on our human condition. May Jesus, our brother, the God of reconciliation who planted the tree of life of the cross in the heart of the darkness of sin and suffering, Jesus, the God of hope who believes in you, in your country and in your future, bless and comfort all of you. May he pour out his peace into your hearts, your families and upon the entire Democratic Republic of the Congo. Thank you!
[00163-EN.02] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua tedesca
Liebe Brüder und Schwestern!
Vielen Dank! Danke für den Mut dieser Zeugnisse. Angesichts der unmenschlichen Gewalt, die ihr mit eigenen Augen gesehen und an eurer eigenen Haut erfahren habt, ist man entsetzt; es bleibt nur das Weinen, ohne Worte, und das Schweigen. Bunia, Beni-Butembo, Goma, Masisi, Rutshuru, Bukavu, Uvira, Orte, die in den internationalen Medien kaum Erwähnung finden: Hier und anderswo werden viele unserer Brüder und Schwestern, Kinder derselben Menschheit, von der Willkür der Stärkeren in Geiselhaft genommen, von denen, die die stärksten Waffen in Händen halten, Waffen, die weiterhin im Umlauf sind. Mein Herz ist heute im Osten dieses riesigen Landes, das keinen Frieden finden wird, bevor er nicht dort, in seinem östlichen Teil, erreicht ist.
Euch, liebe Bewohner des Ostens, möchte ich sagen: Ich bin euch nahe. Eure Tränen sind meine Tränen, euer Schmerz ist mein Schmerz. Jeder wegen niedergebrannten Dörfern und anderen Kriegsverbrechen trauernden oder vertriebenen Familie, den Überlebenden sexueller Gewalt, jedem verletzten Kind und Erwachsenen sage ich: Ich bin bei euch, ich möchte euch die liebevolle Nähe Gottes bringen. Sein zärtlicher und mitfühlender Blick ruht auf euch. Während die Gewalttätigen euch wie Objekte behandeln, sieht der Vater im Himmel eure Würde und sagt zu einem jeden von euch: „Du bist in meinen Augen teuer und wertvoll und ich liebe dich“ (vgl. Jes 43,4). Brüder und Schwestern, die Kirche ist und wird immer auf eurer Seite sein. Gott liebt, er hat euch nicht vergessen, aber auch die Menschen sollen sich an euch erinnern!
In seinem Namen verurteile ich gemeinsam mit den Opfern und denjenigen, die sich für Frieden, Gerechtigkeit und Geschwisterlichkeit einsetzen, die bewaffnete Gewalt, die Massaker, die Vergewaltigungen, die Zerstörung und Besetzung von Dörfern, die Plünderung von Feldern und Viehbeständen, die in der Demokratischen Republik Kongo weiterhin verübt werden. Und auch die blutige, illegale Ausbeutung des Reichtums dieses Landes sowie die Versuche, es zu zerstückeln, um es zu kontrollieren. Es erfüllt einen mit Empörung, wenn man weiß, dass die Unsicherheit, die Gewalt und der Krieg, von denen so viele Menschen auf tragische Weise betroffen sind, nicht nur von äußeren Kräften auf schändliche Weise geschürt werden, sondern auch von innen, um daraus Nutzen und Vorteile zu ziehen. Ich wende mich an den Vater im Himmel, der will, dass wir alle auf der Erde Brüder und Schwestern sind: Ich beuge demütig mein Haupt und bitte ihn mit Trauer im Herzen um Vergebung für die Gewalt des Menschen gegen den Menschen. Vater, hab Erbarmen mit uns. Tröste die Opfer und diejenigen, die leiden. Bekehr die Herzen derer, die unmenschliche Gräueltaten begehen, die Schande über die ganze Menschheit bringen! Und öffne denen die Augen, die sie vor diesen Gräueln verschließen oder sich davon abwenden.
Es sind Konflikte, die Millionen von Menschen zwingen, ihre Häuser zu verlassen, die schwerste Menschenrechtsverletzungen verursachen, das sozioökonomische Gefüge zerstören und Wunden verursachen, die nur schwer zu heilen sind. Es sind Parteikämpfe, in denen sich ethnische, territoriale und gruppenbezogene Dynamiken miteinander verflechten; Konflikte, die mit Landbesitz zu tun haben, mit dem Fehlen oder der Schwäche von Institutionen, Hass, in den sich die Gotteslästerung der Gewalt im Namen eines falschen Gottes einschleicht. Aber es ist vor allem ein Krieg, der durch eine unersättliche Gier nach Rohstoffen und Geld entfesselt wird, die eine Kriegswirtschaft antreibt, die nach Instabilität und Korruption verlangt. Was für ein Skandal und was für eine Heuchelei: Menschen werden vergewaltigt und getötet, während die Geschäfte, die Gewalt und Tod verursachen, weiter gedeihen!
Ich richte einen eindringlichen Appell an alle Menschen, an alle internen und externen Kräfte, die die Fäden des Krieges in der Demokratischen Republik Kongo ziehen und das Land ausplündern, geißeln und destabilisieren. Ihr bereichert euch durch die illegale Ausbeutung der Güter dieses Landes und die blutige Opferung von unschuldigen Menschen. Hört auf den Schrei ihres Blutes (vgl. Gen 4,10), achtet auf die Stimme Gottes, der euch zur Umkehr aufruft, und auf die eures Gewissens: Bringt die Waffen zum Schweigen, bereitet dem Krieg ein Ende. Es reicht! Keine Bereicherung mehr zum Schaden der Schwächsten, keine Bereicherung mehr mit Ressourcen und Geld, die mit Blut besudelt sind!
Liebe Brüder und Schwestern, und wir, was können wir tun? Wo sollen wir anfangen? Wie können wir handeln, um den Frieden zu fördern? In Demut möchte ich euch vorschlagen, dass wir von zwei „Neins“ und von zwei „Jas“ ausgehen.
Vor allem Nein zur Gewalt, immer und in jedem Fall, ohne „wenn“ und „aber“. Nein zur Gewalt! Das eigene Volk zu lieben, bedeutet nicht, anderen gegenüber Hass zu hegen. Im Gegenteil, sein Land zu lieben bedeutet, sich nicht von denen anstecken zu lassen, die zur Gewaltanwendung auffordern. Es ist eine tragische Täuschung: Hass und Gewalt sind niemals akzeptabel, niemals zu rechtfertigen, niemals zu tolerieren, erst recht nicht für die, die Christen sind. Hass erzeugt nur weiteren Hass und Gewalt weitere Gewalt. Ein klares und starkes „Nein“ muss dann zu denen gesagt werden, die diese Gewalt, diesen Hass im Namen Gottes verbreiten. Liebe Kongolesen, lasst euch nicht von Menschen oder Gruppen verführen, die in seinem Namen zu Gewalt aufrufen. Gott ist ein Gott des Friedens und nicht des Krieges. Hass zu predigen ist eine Gotteslästerung und der Hass zersetzt immer das Herz des Menschen. Tatsächlich lebt derjenige niemals gut, der von Gewalt lebt: Er denkt, dass er sein Leben rettet und wird stattdessen von einem Strudel des Bösen verschlungen, der ihn in seinem Inneren tötet, indem er ihn dazu treibt, seine Brüder und Schwestern zu bekämpfen, mit denen er aufgewachsen ist und jahrelang zusammengelebt hat.
Um aber wirklich „Nein“ zur Gewalt zu sagen, reicht es nicht aus, gewalttätige Handlungen zu vermeiden; es müssen die Wurzeln der Gewalt ausgerissen werden: Ich denke da an die Gier, an den Neid und vor allem an den Groll. Während ich mich mit Respekt vor dem Leid verneige, das viele ertragen haben, möchte ich alle bitten, sich so zu verhalten, wie ihr es vorgeschlagen habt, ihr mutigen Zeugen, die ihr den Mut habt, das Herz zu entwaffnen. Ich bitte euch alle im Namen Jesu, der denen vergeben hat, die seine Handgelenke und Füße mit Nägeln durchbohrt und ihn an ein Kreuz geschlagen haben: Ich bitte euch, das Herz zu entwaffnen. Das bedeutet nicht, aufzuhören, sich angesichts des Bösen zu empören oder es nicht anzuprangern, das ist eine Pflicht! Es bedeutet auch keine Straffreiheit und keinen Straferlass für Gräueltaten, indem man so weitermacht, als ob nichts wäre. Was im Namen des Friedens, im Namen des Gottes des Friedens, von uns verlangt wird, ist das Herz zu entmilitarisieren: Das Gift zu entfernen, den Groll abzulegen, die Gier zu entschärfen, das Ressentiment auszulöschen; zu all dem „Nein“ zu sagen, scheint schwach zu machen, aber in Wirklichkeit macht es frei, weil es Frieden gibt. Ja, Friede kommt aus den Herzen, aus Herzen, die frei von Groll sind.
Dann ist noch ein zweites „Nein“ zu sagen: Nein zur Resignation. Der Friede verlangt es, Entmutigung, Mutlosigkeit und Misstrauen zu bekämpfen, die dazu führen, dass man glaubt, es sei besser, allen zu misstrauen, getrennt und distanziert zu leben, statt sich die Hand zu reichen und gemeinsam unterwegs zu sein. Im Namen Gottes erneuere ich noch einmal meinen Aufruf an all diejenigen, die in der Demokratischen Republik Kongo leben, ihre Arme nicht sinken zu lassen, sondern sich für den Aufbau einer besseren Zukunft einzusetzen. Eine Zukunft in Frieden wird nicht vom Himmel fallen, aber sie kann kommen, wenn man resignierten Fatalismus und die Angst, sich auf andere einzulassen, aus den Herzen verbannt. Eine andere Zukunft wird es geben, wenn sie allen gehört und nicht nur einigen, wenn sie für alle und nicht gegen einige ist. Es wird eine neue Zukunft geben, wenn der andere, egal ob Tutsi oder Hutu, nicht länger Gegner oder Feind ist, sondern ein Bruder und eine Schwester, denen man zutrauen muss, dass in ihrem Herzen, wenn auch versteckt, derselbe Wunsch nach Frieden vorhanden ist. Auch im Osten ist Friede möglich! Glauben wir daran! Lasst uns daran arbeiten, ohne den Wandel zu delegieren!
Man kann die Zukunft nicht aufbauen, wenn man in den eigenen Partikularinteressen verharrt, sich in die eigenen Gruppierungen, Ethnien und Clans zurückzieht. Ein Suaheli-Sprichwort lehrt: „jirani ni ndugu“ [der Nachbar ist ein Bruder]; deshalb, Bruder, Schwester, sind alle deine Nachbarn deine Geschwister, egal ob sie Burundier, Ugander oder Ruander sind. Wir sind alle Geschwister, weil wir Kinder desselben Vaters sind: Das lehrt uns der christliche Glaube, zu dem sich ein großer Teil der Bevölkerung bekennt. Deshalb soll sich der Blick zum Himmel erheben und dürfen wir nicht Gefangene der Angst bleiben: Das Böse, das ein jeder erlitten hat, muss in Gutes für alle verwandelt zu werden; die lähmende Entmutigung muss einem neuen Eifer weichen, einem unbeugsamen Kampf für den Frieden, mutigen Plänen der Geschwisterlichkeit und dem schönen gemeinsamen Ruf: Nie wieder: Nie wieder Gewalt, nie wieder Groll, nie wieder Resignation!
Und jetzt kommen wir endlich zu den beiden „Jas“ für den Frieden. Zunächst einmal: Ja zur Versöhnung. Liebe Freunde, es ist wunderbar, was ihr vorhabt. Ihr wollt euch dazu verpflichten, euch gegenseitig zu verzeihen und Kriege und Konflikte abzulehnen, um Entfernungen und Unterschiede zu überwinden. Und ihr wollt das tun, indem ihr nachher gemeinsam um den Kreuzesbaum versammelt betet, zu dessen Füßen ihr mit großem Mut die Zeichen der Gewalt ablegen wollt, die ihr gesehen und erlitten habt: Uniformen, Macheten, Hämmer, Äxte, Messer... Auch das Kreuz war ein Instrument des Leidens und des Todes, das schrecklichste zur Zeit Jesu, aber durchdrungen von seiner Liebe ist es zu einem universalen Mittel der Versöhnung geworden, zu einem Lebensbaum.
Ich möchte euch sagen: Seid auch ihr Lebensbäume. Macht es wie die Bäume, die Schadstoffe absorbieren und Sauerstoff zurückgeben. Oder wie ein Sprichwort sagt: „Sei im Leben wie die Palme: Sie bekommt Steine und gibt Datteln zurück“. Das ist christliche Prophetie: Auf das Böse mit Gutem antworten, auf den Hass mit Liebe, auf die Spaltung mit Versöhnung. Der Glaube bringt eine neue Vorstellung von Gerechtigkeit mit sich, die sich nicht mit Bestrafung begnügt und auf Rache verzichtet, sondern versöhnen, neue Konflikte entschärfen, Groll auslöschen und vergeben will. Und all dies ist mächtiger als das Böse. Wisst ihr, warum? Weil es die Wirklichkeit von innen heraus verändert, anstatt sie von außen zu zerstören. Nur so wird das Böse besiegt, so wie es Jesus am Kreuzesbaum tat, indem er ihn auf sich nahm und mit seiner Liebe verwandelte. So hat sich der Schmerz in Hoffnung verwandelt. Freunde, nur die Vergebung öffnet die Tür zum Morgen, weil sie die Türen zu einer neuen Gerechtigkeit öffnet, die den Teufelskreis der Rache durchbricht, ohne zu vergessen. Sich zu versöhnen bedeutet, das Morgen zu schaffen: Es bedeutet, an die Zukunft zu glauben, statt in der Vergangenheit verankert zu bleiben; es bedeutet, auf den Frieden zu setzen, statt sich mit dem Krieg abzufinden; es bedeutet, aus dem Gefängnis der eigenen Logik auszubrechen, um sich für andere zu öffnen und gemeinsam die Freiheit zu kosten.
Dann das letzte, entscheidende „Ja“: Das Ja zur Hoffnung. Wenn man die Versöhnung als einen Baum darstellen kann, wie eine Palme, die Früchte trägt, dann ist die Hoffnung das Wasser, das sie gedeihen lässt. Diese Hoffnung hat eine Quelle und diese Quelle hat einen Namen, den ich hier mit euch gemeinsam ausrufen möchte: Jesus! Jesus: Mit ihm hat das Böse nicht mehr das letzte Wort über das Leben; mit ihm, der aus einem Grab, dem Endpunkt der menschlichen Reise, den Anfang einer neuen Geschichte gemacht hat, eröffnen sich immer neue Möglichkeiten. Mit ihm kann sich jedes Grab in eine Wiege und jeder Kalvarienberg in einen Ostergarten verwandeln. Mit Jesus wird die Hoffnung geboren und wiedergeboren: für die, die Böses erlitten haben und sogar für die, die es begangen haben. Brüder und Schwestern aus dem Osten des Landes, diese Hoffnung ist für euch bestimmt, ihr habt ein Recht darauf. Aber es ist auch ein Recht, das erkämpft werden muss. Wie? Indem man sie jeden Tag geduldig aussät. Ich kehre zum Bild der Palme zurück. Ein Sprichwort sagt: „Wenn du die Nuss isst, siehst du die Palme, aber der, der sie gepflanzt hat, ist längst zur Erde zurückgekehrt.“ Mit anderen Worten: Um die gewünschten Früchte zu erzielen, muss man im gleichen Geist wie die Palmenpflanzer arbeiten, indem man an die zukünftigen Generationen denkt und nicht an die unmittelbaren Ergebnisse. Das Gute zu säen tut gut: Es befreit uns von der kurzsichtigen Logik des persönlichen Gewinns und verleiht jedem Tag einen Sinn. Es bringt den Atem der Unentgeltlichkeit in unser Leben und macht uns Gott ähnlicher, dem geduldigen Sämann, der Hoffnung streut, ohne jemals müde zu werden.
Heute danke ich allen Friedensstiftern, die im Land arbeiten, und segne sie: Die Menschen und Institutionen, die ihr Möglichstes tun, um den Opfern der Gewalt, der Ausbeutung und der Naturkatastrophen zu helfen und für sie zu kämpfen, die Frauen und Männer, die hierherkommen, beseelt von dem Wunsch, die Würde der Menschen zu fördern. Einige haben ihr Leben verloren, während sie dem Frieden dienten, wie Botschafter Luca Attanasio, der Carabiniere Vittorio Iacovacci und der Fahrer Mustapha Milambo, die vor zwei Jahren im Osten des Landes ermordet wurden. Sie waren Sämänner der Hoffnung und ihr Opfer wird nicht umsonst gewesen sein.
Brüder, Schwestern, Söhne und Töchter von Ituri, von Nord- und von Süd-Kivu, ich bin euch nahe, ich umarme euch und segne euch alle. Ich segne jedes Kind, jeden Erwachsenen, jeden älteren Menschen, jede Person, die durch Gewalt in der Demokratischen Republik Kongo verwundet wurde, besonders jede Frau und jede Mutter. Und ich bete dafür, dass die Frau, jede Frau, respektiert, geschützt und wertgeschätzt wird: Gewalt einer Frau und einer Mutter gegenüber auszuüben, bedeutet, sie Gott selbst anzutun, der das Menschsein von einer Frau, von einer Mutter angenommen hat. Möge Jesus euch alle segnen und trösten, unser Bruder, der Gott der Versöhnung, der den Lebensbaum des Kreuzes mitten in die Dunkelheit der Sünde und des Leidens gepflanzt hat, Jesus, der Gott der Hoffnung, der an euch, an euer Land und an eure Zukunft glaubt; möge er seinen Frieden in eure Herzen, in eure Familien und über die gesamte Demokratische Republik Kongo ausgießen. Danke!
[00163-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]
Traduzione in lingua spagnola
Queridos hermanos y hermanas:
Gracias. Gracias por la valentía de estos testimonios. Ante la violencia inhumana que han visto con sus ojos y experimentado en su propia carne, nos quedamos impresionados. Sólo cabe llorar, permaneciendo en silencio. Bunia, Beni-Butembo, Goma, Masisi, Rutshuru, Bukavu, Uvira, lugares que los medios de comunicación internacionales no mencionan casi nunca; aquí y en otros sitios, muchos de nuestros hermanos y hermanas, hijos de la misma humanidad, son tomados como rehenes por la arbitrariedad del más fuerte, por el que posee las armas más potentes, armas que siguen circulando. Mi corazón está hoy en el oriente de este inmenso país, que no tendrá paz hasta que la paz no haya llegado allí, a la zona oriental.
Queridos habitantes del este, quiero decirles que estoy cerca de ustedes. Sus lágrimas son mis lágrimas, su dolor es mi dolor. A cada familia en luto o desplazada a causa de poblaciones incendiadas y otros crímenes de guerra, a los sobrevivientes de agresiones sexuales, a cada niño y adulto herido, les digo: estoy con ustedes, quisiera traerles la caricia de Dios. Su mirada tierna y compasiva se posa sobre ustedes. Mientras los violentos los tratan como objetos, el Padre que está en los cielos mira su dignidad y le dice a cada uno: «Tú eres de gran precio a mis ojos, porque eres valioso, y yo te amo» (Is 43,4). Hermanos y hermanas, la Iglesia está y estará siempre de vuestra parte. Dios los ama, no se ha olvidado de ustedes, ¡pero que también los hombres se acuerden de ustedes!
En su nombre, junto a las víctimas y a quienes se comprometen por la paz, la justicia y la fraternidad, condeno la violencia armada, las masacres, los abusos, la destrucción y la ocupación de las aldeas, el saqueo de campos y ganado, que se siguen perpetrando en la República Democrática del Congo. Y también la explotación sangrienta e ilegal de la riqueza de este país, así como los intentos por fragmentarlo para poderlo controlar. Causa vergüenza e indigna saber que la inseguridad, la violencia y la guerra que golpean trágicamente a tanta gente, son alimentadas no sólo por fuerzas externas, sino también internas, por intereses y para obtener ventajas. Me dirijo al Padre que está en los cielos, que quiere que todos en la tierra seamos hermanos y hermanas. Inclino la cabeza humildemente y, con dolor en el corazón, le pido perdón por la violencia del hombre contra el hombre. Padre, ten piedad de nosotros. Consuela a las víctimas y a los que sufren. Convierte los corazones de los que cometen crueles atrocidades, que deshonran a toda la humanidad. Y abre los ojos de aquellos que los cierran o miran para otro lado ante estas abominaciones.
Se trata de conflictos que obligan a millones de personas a dejar sus casas, que provocan gravísimas violaciones de los derechos humanos, que desintegran el tejido socio-económico, que causan heridas difíciles de sanar. Son luchas en las que se entrecruzan dinámicas étnicas, territoriales y de grupos; conflictos que tienen que ver con la propiedad de la tierra; con la ausencia o la debilidad de las instituciones; con odios en los que se introduce la blasfemia de la violencia en nombre de un dios falso. Pero, sobre todo, es la guerra desatada por una insaciable avidez de materias primas y de dinero, que alimenta una economía armada, la cual exige inestabilidad y corrupción. Qué escándalo y qué hipocresía: la gente es agredida y asesinada, mientras los negocios que causan violencia y muerte siguen prosperando.
Dirijo un vehemente llamado a todas las personas, a todas las entidades, internas y externas, que manejan los hilos de la guerra en la República Democrática del Congo, depredándola, flagelándola y desestabilizándola. Ustedes se están enriqueciendo por medio de la explotación ilegal de los bienes de este país y el sacrificio cruento de víctimas inocentes. Escuchen el grito de su sangre (cf. Gn 4,10), presten atención a la voz de Dios, que los llama a la conversión y escuchen la voz de su conciencia: hagan callar las armas, pongan fin a la guerra. ¡Basta! ¡Basta de enriquecerse a costa de los más débiles, basta de enriquecerse con recursos y dinero manchado de sangre!
Queridos hermanos y hermanas, y nosotros, ¿qué podemos hacer? ¿Por dónde comenzar? ¿Cómo actuar para promover la paz? Quisiera humildemente proponerles comenzar de nuevo con dos “no” y dos “sí”.
En primer lugar, no a la violencia, siempre y en cualquier caso, sin condiciones y sin “peros”. ¡No a la violencia! Amar a la propia gente no significa alimentar el odio hacia los demás. Al contrario, querer al propio país supone negarse a ceder ante los que incitan al uso de la fuerza. Es un engaño trágico: el odio y la violencia nunca son aceptables, nunca son justificables, nunca son tolerables, con mayor razón para los cristianos. El odio sólo genera más odio y la violencia, más violencia. Un “no” claro y fuerte también debe decirse a quienes propagan en nombre de Dios esta violencia, este odio. Queridos congoleses, no se dejen seducir por personas o grupos que incitan a la violencia en su nombre. Dios es Dios de la paz y no de la guerra. Predicar el odio es una blasfemia, y el odio siempre corroe el corazón del hombre. El que vive de la violencia, en efecto, nunca vive bien; piensa que salva su vida y, en cambio, es devorado por un torbellino de mal que, llevándolo a combatir a los hermanos y a las hermanas con los que ha crecido y vivido durante años, lo mata por dentro.
Pero para decir verdaderamente “no” a la violencia no es suficiente evitar actos violentos; es necesario extirpar las raíces de la violencia. Pienso en la codicia, en la envidia y, sobre todo, en el rencor. Mientras me inclino con respeto ante el sufrimiento que tantos han padecido, quisiera pedirles a todos que se comporten como nos han sugerido ustedes, testigos valerosos, que tienen la fuerza de desarmar el corazón. Lo pido a todos en nombre de Jesús, que perdonó a quienes le traspasaron las manos y los pies con los clavos, sujetándolo a una cruz; les ruego que desarmen el corazón. Eso no quiere decir dejar de indignarse frente al mal y no denunciarlo, ¡esto es un deber! Tampoco significa impunidad y condonación de las atrocidades, siguiendo adelante como si nada pasara. Lo que se nos pide, en nombre de la paz, en nombre del Dios de la paz, es desmilitarizar el corazón, quitarle el veneno, rechazar el odio, aplacar la avaricia, eliminar el resentimiento. Decir “no” a todo eso pareciera que nos hace débiles, pero en realidad nos hace libres, porque nos da paz. Sí, la paz nace de los corazones, de corazones libres de rencor.
También hay que decir un segundo “no”: no a la resignación. La paz requiere combatir el desaliento, el malestar y la desconfianza, que llevan a creer que es mejor recelar de todos, vivir separados y distantes, en vez de darse la mano y caminar juntos. Nuevamente, en nombre de Dios, reitero la invitación para que cuantos viven en la República Democrática del Congo no bajen los brazos, sino que se esfuercen por construir un mundo mejor. Un futuro de paz no caerá del cielo, pero será posible si se destierra de los corazones el fatalismo resignado y el miedo de involucrarse con los demás. Un futuro diferente llegará, si es para todos y no para algunos, si es en favor de todos y no contra algunos. Un futuro nuevo llegará, si el otro, sea tutsi o hutu, ya no es más un adversario o un enemigo, sino un hermano y una hermana en cuyo corazón es necesario creer que existe, aun escondido, el mismo deseo de paz. ¡También en el este la paz es posible! ¡Creámoslo! Trabajemos por ello, sin delegar el cambio.
El futuro no se puede construir quedándose encerrados en los propios intereses particulares, replegados en los propios grupos, etnias y clanes. Un dicho suajili enseña: «jirani ni ndugu» [el vecino es un hermano]; por tanto, hermano, hermana, todos tus vecinos son tus hermanos, sean burundeses, ugandeses o ruandeses. Somos todos hermanos, porque somos hijos del mismo Padre; así nos enseña la fe cristiana, que profesa gran parte de la población. Entonces, elevemos la mirada al cielo y no permanezcamos prisioneros del temor. El mal que cada uno ha sufrido necesita ser transformado en bien para todos; que el desánimo que paraliza ceda el paso a un ardor renovado, a una lucha indómita por la paz, a valientes propósitos de fraternidad, a la belleza de gritar juntos nunca más: nunca más violencia, nunca más rencor, nunca más resignación.
Y he aquí finalmente los dos “sí” para la paz. Ante todo, sí a la reconciliación. Amigos, es maravilloso lo que están por hacer. Quieren comprometerse y perdonarse mutuamente, y repudiar las guerras y los conflictos para resolver las distancias y las diferencias. Y quieren hacerlo orando juntos, dentro de unos momentos, unidos alrededor del árbol de la cruz, bajo el cual, con gran valentía, desean deponer los signos de la violencia que han visto y sufrido: uniformes, machetes, martillos, hachas, cuchillos. También la cruz era un instrumento de dolor y de muerte, el más terrible en los tiempos de Jesús, pero, atravesado por su amor, se convirtió en instrumento universal de reconciliación, en árbol de vida.
Quisiera decirles: sean también ustedes árboles de vida. Hagan como los árboles, que absorben contaminación y devuelven oxígeno. O, como dice un proverbio: “En la vida haz como la palmera: recibe piedras, entrega dátiles”. Esta es la profecía cristiana: responder al mal con el bien, al odio con el amor, a la división con la reconciliación. La fe lleva consigo una nueva idea de justicia, que no se conforma con castigar y renunciar a la venganza, sino que quiere reconciliar, desactivar nuevos conflictos, extinguir el odio, perdonar. Y todo esto es más poderoso que el mal. ¿Saben por qué? Porque transforma la realidad desde dentro en vez de destruirla desde fuera. Sólo así se derrota el mal, precisamente como hizo Jesús en el árbol de la cruz, tomándolo sobre sí y transformándolo con su amor. De ese modo, el dolor se convirtió en esperanza. Amigos, sólo el perdón abre las puertas al mañana, porque abre las puertas a una justicia nueva que, sin olvidar, rompe el círculo vicioso de la venganza. Reconciliarse significa generar el mañana, creer en el futuro en vez de quedarse anclados en el pasado, apostar por la paz en lugar de resignarse a la guerra, huir de la prisión de las propias razones para abrirse a los demás y disfrutar juntos la libertad.
Finalmente, el último “sí”, decisivo: sí a la esperanza. Si se representase la reconciliación como un árbol, como una palmera que da frutos, la esperanza sería el agua que la hace fecunda. Esta esperanza tiene una fuente y esta fuente tiene un nombre, que quiero proclamar aquí con ustedes: ¡Jesús! Jesús: con Él, el mal ya no tiene la última palabra sobre la vida; con Él, que ha hecho de un sepulcro —final del trayecto humano—, el inicio de una historia nueva, siempre se abren nuevas posibilidades. Con Él, cada tumba puede transformarse en una cuna, cada calvario en un jardín pascual. Con Jesús nace y renace la esperanza; para quien ha sufrido el mal e, incluso, para quien lo ha cometido. Hermanos y hermanas del oriente del país, esta esperanza es para ustedes, tienen derecho a ella. Pero también es un derecho que debe ser conquistado. ¿Cómo? Sembrándola cada día, con paciencia. Vuelvo a la imagen de la palmera. Un refrán dice: «Cuando comes el coco, ves la palmera, pero el que la plantó volvió a la tierra hace mucho tiempo». En otras palabras, para conquistar los frutos esperados es necesario trabajar con el mismo espíritu de los que plantan palmeras, pensando en las generaciones futuras y no en los resultados inmediatos. Sembrar el bien hace bien, libera de la lógica estrecha del beneficio personal y regala a cada día su razón; aporta a la vida el aliento de la gratuidad y nos asemeja a Dios, sembrador paciente que esparce esperanza sin cansarse nunca.
Hoy agradezco y bendigo a todos los sembradores de paz que trabajan en el país; a las personas y a las instituciones que se prodigan en la ayuda y la lucha por las víctimas de la violencia, la explotación y los desastres naturales; a las mujeres y los hombres que están aquí animados por el deseo de promover la dignidad de la gente. Algunos perdieron la vida mientras servían a la paz, como el embajador Luca Attanasio, el guardia Vittorio Iacovacci y el conductor Mustapha Milambo, asesinados hace dos años en el este del país. Eran sembradores de esperanza y su sacrificio no se perderá.
Hermanos, hermanas, hijos e hijas de Ituri, de Kivu del Norte y del Sur, estoy con ustedes, los abrazo y los bendigo a todos. Bendigo a cada niño, adulto, anciano, a cada persona herida por la violencia en la República Democrática del Congo, en particular a cada mujer y a cada madre. Y rezo para que la mujer, toda mujer, sea respetada, protegida, valorada. Agredir a una mujer y a una madre es hacérselo a Dios mismo, que tomó de una mujer la condición humana, de una madre. Que Jesús, nuestro hermano, Dios de la reconciliación que plantó el árbol de la vida de la cruz en el corazón de las tinieblas del pecado y del sufrimiento, Jesús, Dios de la esperanza que cree en ustedes, en su país y en su futuro, bendiga a todos ustedes y los consuele; que derrame la paz en sus corazones, en sus familias y en toda la República Democrática del Congo. Gracias.
[00163-ES.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua portoghese
Queridos irmãos e irmãs,
Obrigado! Obrigado pela coragem destes testemunhos. Perante a violência desumana que vistes com os vossos olhos e experimentastes na própria pele, fica-se chocado. Só nos resta chorar, sem palavras, permanecendo em silêncio. Bunia, Beni-Butembo, Goma, Masisi, Rutshuru, Bukavu, Uvira… são lugares que os meios de comunicação internacionais quase nunca mencionam: lá e noutros lugares, tantos irmãos e irmãs nossos, filhos da mesma humanidade, são reféns da arbitrariedade do mais forte, de quem tem na mão as armas mais potentes, armas que continuam a circular. O meu coração está hoje no Leste deste imenso país, que não terá paz enquanto esta não for alcançada lá, na sua parte oriental.
A vós, queridos habitantes do Leste, quero dizer: estou unido convosco. As vossas lágrimas são as minhas lágrimas, a vossa dor é a minha dor. A cada família enlutada ou desalojada por causa de aldeias incendiadas e outros crimes de guerra, aos sobreviventes das violências sexuais, a cada criança e adulto ferido, digo: estou convosco, quero trazer-vos a carícia de Deus. O seu olhar terno e compassivo pousa sobre vós. Enquanto os violentos vos tratam como objetos, o Pai que está nos Céus vê a vossa dignidade e diz a cada um de vós: «És precioso aos meus olhos, estimo-te e amo-te» (Is 43, 4). Irmãos e irmãs, a Igreja está e estará sempre da vossa parte. Deus ama-vos, não Se esqueceu de vós; oxalá se recordem de vós também os homens!
Em nome d’Ele e juntamente com as vítimas e quantos se empenham pela paz, a justiça e a fraternidade, condeno as violências das armas, os massacres, os estupros, a destruição e ocupação de aldeias, a pilhagem de campos e de gado que continuam a ser perpetrados na República Democrática do Congo; e também a exploração sangrenta e ilegal da riqueza deste país, bem como as tentativas de dividi-lo para o poder controlar. Enche de indignação saber que a insegurança, a violência e a guerra que tragicamente atingem tantas pessoas são, vergonhosamente, alimentadas não só por forças externas mas também de dentro, para daí tirarem proveito e vantagem. Volto-me para o Pai que está nos Céus e nos quer ver a todos como irmãos e irmãs na terra, humildemente inclino a cabeça e, com a tristeza no coração, peço-Lhe perdão pela violência do homem sobre o homem: Pai, tende piedade de nós! Consolai as vítimas e quantos sofrem. Convertei os corações de quem pratica tão cruéis atrocidades, que envergonham toda a humanidade. E abri os olhos àqueles que propositadamente os fecham ou passam ao largo para não ver estas abominações.
Trata-se de conflitos que obrigam milhões de pessoas a abandonar suas casas, provocam gravíssimas violações dos direitos humanos, desintegram o tecido socioeconómico, causam feridas difíceis de cicatrizar. São lutas de parte nas quais se entrelaçam dinâmicas étnicas, territoriais e de grupo; conflitos que têm a ver com a posse da terra, a ausência ou debilidade das instituições, ódios nos quais se infiltra, em nome dum falso deus, a blasfémia da violência. Mas é, sobretudo, a guerra desencadeada por uma insaciável ganância de matérias-primas e de dinheiro, que alimenta uma economia de guerra que exige instabilidade e corrupção. Que escândalo, que hipocrisia: as pessoas são estupradas e assassinadas, enquanto os negócios que provocam violências e mortes continuam a prosperar!
Dirijo um sentido apelo a todas as pessoas, a todas as entidades, internas e externas, que movem os cordelinhos da guerra na República Democrática do Congo, saqueando-a, flagelando-a e desestabilizando-a. Enriqueceis-vos mediante a exploração ilegal dos bens deste país e o sacrifício cruento de vítimas inocentes. Escutai o grito do seu sangue (cf. Gn 4, 10), prestai ouvidos à voz de Deus, que vos chama à conversão, e à voz da vossa consciência: fazei silenciar as armas, acabai com a guerra. Basta! Basta de se enriquecer na pele dos mais frágeis, basta de se enriquecer com recursos e dinheiro manchados de sangue!
Queridos irmãos e irmãs, e nós que podemos fazer? Donde começar? Como agir para promover a paz? Quero humildemente propor-vos que se recomece de dois «nãos» e dois «sins».
Antes de mais nada, não à violência, sempre e em todo o caso, sem «se» nem «mas». Não à violência! Amar o próprio povo não significa nutrir ódio contra os outros. Pelo contrário, amar o próprio país significa recusar a envolver-se com quantos incitam ao uso da força. É um trágico engano: o ódio e a violência nunca são aceitáveis, nunca são justificáveis, nunca são toleráveis… e, com maior força de razão, nunca o são para quem é cristão. O ódio só gera mais ódio, e violência outra violência. Então há que dizer um claro e forte «não» a quem os propaga em nome de Deus esta violência, este ódio. Queridos congoleses, não vos deixeis seduzir por pessoas ou grupos que incitam à violência em nome de Deus. Deus é Deus da paz, e não da guerra. Pregar o ódio é uma blasfémia e o ódio sempre corrói o coração do homem. De facto, quem vive de violência, nunca vive bem: pensa salvar a própria vida e, em vez disso, acaba engolido numa voragem de maldade que, levando-o a combater os irmãos e irmãs com quem cresceu e viveu durante anos, o mata por dentro.
Mas, para se dizer verdadeiramente «não» à violência, não basta evitar atos violentos; é preciso extirpar as raízes da violência: penso na ganância, na inveja e, sobretudo, no rancor. Ao mesmo tempo que me curvo respeitosamente diante dos sofrimentos suportados por tantos, quero pedir a todos que se comportem como nos sugeristes vós testemunhas corajosas, ou seja, que tenham a coragem de desarmar o coração. Peço-o a todos em nome de Jesus, que perdoou a quem Lhe trespassou com pregos os pulsos e os pés, prendendo-O a uma cruz: peço-vos para desarmar o coração. Isto não quer dizer deixar de se indignar perante o mal e não o denunciar… é forçoso fazê-lo! Tampouco significa impunidade e remissão das atrocidades, continuando para diante como se nada tivesse acontecido. O que nos é pedido, em nome da paz, em nome do Deus da paz, é desmilitarizar o coração: tirar o veneno, rejeitar o ódio, desativar a ganância, cancelar o ressentimento; dizer «não» a tudo isso parece fazer-nos débeis, mas na realidade torna-nos livres, porque dá paz. Sim, a paz nasce dos corações, dos corações libertos do rancor.
Há depois um segundo «não» que devemos dizer: não à resignação. A paz pede para se combater o desânimo, o desalento e a desconfiança que nos levam a crer que é melhor suspeitar de todos, é melhor viver separados e afastados do que dar as mãos e caminhar juntos. Mais uma vez, em nome de Deus, renovo o convite a quantos vivem na República Democrática do Congo para que não desistam, mas se empenhem por construir um futuro melhor. Um futuro de paz não vai cair do céu, mas poderá chegar se se eliminarem dos corações o fatalismo resignado e o medo de se envolver com os outros. Um futuro diferente virá se for de todos e não de um, se for para todos e não contra alguém. Um futuro novo virá se o outro, seja ele tutsi ou hutu, deixar de ser um adversário ou um inimigo, passando a ser um irmão e uma irmã em cujo coração (assim é preciso acreditar) existe, embora oculto, o mesmo desejo de paz. Também no Leste, a paz é possível! Acreditemos nisto e trabalhemos sem delegar para outro a mudança!
Não se pode construir o futuro, permanecendo fechados nos próprios interesses particulares, retraídos nos próprios grupos, etnias e clãs. Assim o ensina um provérbio suaíli: «jirani ni ndugu – o vizinho é um irmão»; por conseguinte, irmão, irmã, todos os teus vizinhos são teus irmãos, seja ele burúndio, ugandês ou ruandês. Somos todos irmãos, porque filhos do mesmo Pai: assim nos ensina a fé cristã, professada por grande parte da população. Então levante-se o olhar para o Céu e não se fique prisioneiro do medo: o mal que cada um sofreu precisa de ser convertido em bem para todos; o desalento que paralisa dê lugar a um renovado ardor, a uma luta indómita pela paz, a propósitos corajosos de fraternidade, à beleza de gritar juntos nunca mais… nunca mais violência, nunca mais rancor, nunca mais resignação!
E eis-nos, finalmente, aos dois «sins» pela paz. Em primeiro lugar, sim à reconciliação. Amigos, é maravilhoso aquilo que estais prestes a fazer. Quereis assumir o compromisso de vos perdoardes mutuamente e de repudiardes as guerras e os conflitos para solucionar as distâncias e as diferenças. E decidistes fazê-lo, daqui a pouco, rezando juntos, reunidos ao redor da árvore da Cruz, sob a qual, com grande coragem, desejais depor os sinais das violências que vistes e sofrestes: uniformes, catanas, martelos, machados, facas... Também a cruz era um instrumento de sofrimento e de morte, o mais terrível no tempo de Jesus, mas, atravessada pelo seu amor, tornou-se instrumento universal de reconciliação, árvore de vida.
Quero dizer-vos: sede também vós árvores de vida. Fazei como as árvores, que absorvem ar poluído e devolvem oxigénio. Ou, segundo um provérbio, «na vida faz como a palmeira que recebe pedras e devolve tâmaras». Esta é profecia cristã: responder ao mal com o bem, ao ódio com o amor, à divisão com a reconciliação. A fé traz consigo uma nova ideia de justiça, que não se contenta com punir, mas renuncia à vingança, quer reconciliar, impedir novos conflitos, extinguir o ódio, perdoar. E tudo isso é mais forte do que o mal. Sabeis porquê? Porque transforma a realidade a partir de dentro, em vez de a destruir de fora. Só assim se derrota o mal, como fez Jesus na árvore da cruz, assumindo-o e transformando-o com o seu amor. Assim a dor transformou-se em esperança. Amigos, só o perdão abre as portas ao amanhã, porque abre as portas a uma nova justiça que, sem esquecer, desintegra o círculo vicioso da vingança. Reconciliar-se é gerar o amanhã: é crer no futuro em vez de ficar ancorados no passado; é apostar na paz em vez de se resignar com a guerra; é escapar da prisão das próprias razões para se abrir aos outros e saborear, juntos, a liberdade.
Depois o último «sim», decisivo: sim à esperança. Se é possível representar a reconciliação como uma árvore, como uma palmeira que dá fruto, a esperança é a água que a torna mimosa. Esta esperança tem uma fonte, e esta fonte tem um nome, que quero proclamar aqui juntamente convosco: Jesus! Jesus: com Ele, o mal já não tem a última palavra sobre a vida; com Ele, que, dum túmulo – estação final do trajeto humano – fez o início duma nova história, abrem-se sempre novas possibilidades. Com Ele, cada túmulo pode transformar-se num berço, cada calvário num jardim pascal. Com Jesus, nasce e renasce a esperança: para quem sofreu o mal e até para quem o cometeu. Irmãos e irmãs do Leste do país, esta esperança é para vós; tendes direito a ela. Mas é um direito que também deve ser conquistado. Como? Semeando-a cada dia, com paciência. Volto à imagem da palmeira. Diz um provérbio: «Quando comes a tâmara, vês a palmeira, mas quem a plantou, há muito tempo que voltou à terra». Por outras palavras, para se obter os frutos esperados, é preciso trabalhar com o mesmo espírito dos plantadores de palmeiras, pensando nas gerações futuras e não nos resultados imediatos. Semear o bem faz-nos bem: liberta da lógica estreita do ganho pessoal e dá de prenda a cada dia o seu porquê; traz à vida o respiro da gratuidade e torna-nos mais semelhantes a Deus, semeador paciente que irradia esperança sem nunca Se cansar.
Hoje agradeço e abençoo a todos os semeadores de paz que trabalham no país: as pessoas e as instituições que se prodigalizam na ajuda e na luta pelas vítimas da violência, da exploração e das calamidades naturais, as mulheres e os homens que vêm aqui animados pelo desejo de promover a dignidade das pessoas. Alguns perderam a vida enquanto serviam a paz, como o Embaixador Luca Attanasio, o polícia Vittorio Iacovacci e o condutor Mustapha Milambo assassinados há dois anos no Leste do país. Eram semeadores de esperança; o seu sacrifício não será esquecido.
Irmãos, irmãs, filhos e filhas do Itúrio, do Kivu do Norte e do Sul, estou unido convosco, abraço-vos e abençoo a todos. Abençoo cada criança, adulto, idoso, cada pessoa ferida pela violência na República Democrática do Congo, em particular cada mulher e cada mãe. E rezo para que a mulher, toda a mulher seja respeitada, protegida e valorizada: cometer violência contra uma mulher e uma mãe é fazê-lo ao próprio Deus, que assumiu a condição humana de uma mulher, de uma mãe. Jesus, nosso irmão, Deus da reconciliação que plantou a árvore de vida que é a cruz no coração das trevas do pecado e do sofrimento, Jesus, Deus da esperança que acredita em vós, no vosso país e no vosso futuro, abençoe a todos vós e vos console; derrame a sua paz nos vossos corações, nas vossas famílias e em toda a República Democrática do Congo. Obrigado!
[00163-PO.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua polacca
Drodzy bracia i siostry!
Dziękuję. Dziękuję za odwagę tych świadectw. Na myśl o nieludzkiej przemocy, którą widzieliście na własne oczy i której doświadczyliście na własnej skórze, doznaje się wstrząsu. Pozostaje tylko płacz, bez słów, milczenie. Bunia, Beni-Butembo, Goma, Masisi, Rutshuru, Bukavu, Uvira to miejsca, o których międzynarodowe media prawie nigdy nie wspominają; tam i gdzie indziej wielu naszych braci i sióstr, dzieci tej samej rodziny ludzkiej, jest zakładnikami samowoli najsilniejszych, tych, którzy mają w ręku najpotężniejszą broń, broń, która wciąż jest w obiegu. Moje serce jest dziś na wschodzie tego ogromnego kraju, który nie zazna pokoju, dopóki nie zostanie on osiągnięty tam, w jego wschodniej części.
Wam, drodzy mieszkańcy wschodu, chcę powiedzieć: jestem blisko was. Wasze łzy są moimi łzami, wasze cierpienie jest moim cierpieniem. Każdej rodzinie, pogrążonej w żałobie lub przesiedlonej z powodu spalonych wiosek i innych zbrodni wojennych, osobom, które padły ofiarą przemocy seksualnej, każdemu zranionemu dziecku i dorosłemu mówię: jestem z wami, pragnę przynieść wam pocieszenie Boga. Jego czułe i współczujące spojrzenie spoczywa na was. Podczas gdy uciekający się do przemocy traktują was jak przedmioty, Ojciec, który jest w niebie, widzi waszą godność i mówi do każdego z was: „Ponieważ drogi jesteś w moich oczach, nabrałeś wartości i Ja cię miłuję” (Iz 43, 4). Bracia i siostry, Kościół jest i zawsze będzie po waszej stronie. Bóg was miłuje i nie zapomniał o was, ale pamiętają też o was ludzie!
To w Jego imię, wraz z ofiarami i osobami działającymi na rzecz pokoju, sprawiedliwości i braterstwa, potępiam przemoc zbrojną, masakry, gwałty, niszczenie i okupację wiosek, plądrowanie pól i kradzież zwierząt gospodarskich, nadal zdarzające się w Demokratycznej Republice Konga. A także krwawą, nielegalną eksploatację bogactwa tego kraju, podobnie jak próby jego rozbicia, aby móc nim administrować. Oburzeniem napełnia świadomość, że brak bezpieczeństwa, przemoc i wojna, które tragicznie dotykają tak wielu ludzi, są haniebnie podsycane nie tylko przez siły zewnętrzne, ale także od wewnątrz, w celu czerpania interesów i korzyści. Zwracam się do Ojca, który jest w niebie, który chce, abyśmy wszyscy byli braćmi i siostrami na ziemi; pokornie pochylam głowę i z bólem w sercu proszę Go o przebaczenie przemocy człowieka wobec człowieka. Ojcze, zmiłuj się nad nami. Pociesz ofiary i tych, którzy cierpią. Nawróć serca tych, którzy dopuszczają się brutalnych okrucieństw, przynoszących hańbę całej ludzkości! I otwórz oczy tym, którzy je zamykają lub odwracają się w drugą stronę w obliczu tych obrzydliwości.
Są to konflikty, które zmuszają miliony ludzi do opuszczenia swoich domów, powodują bardzo poważne łamanie praw człowieka, dezintegrują tkankę społeczno-gospodarczą, powodują trudne do wyleczenia rany. Są to walki partykularne, w których splata się dynamika etniczna, terytorialna i grupowa; konflikty związane z własnością ziemi, z brakiem lub słabością instytucji, z nienawiścią, przenikniętą bluźnierstwem przemocy w imię fałszywego boga. Ale jest to przede wszystkim wojna rozpętana przez nienasyconą żądzę surowców i pieniędzy, która napędza zmilitaryzowaną gospodarkę, wymagającą niestabilności i korupcji. Jaki to skandal i co za hipokryzja: ludzie są gwałceni i zabijani, a interesy, które powodują przemoc i śmierć, nadal się rozwijają!
Zwracam się z gorącym apelem do wszystkich ludzi, do wszystkich podmiotów, wewnętrznych i zewnętrznych, którzy pociągają za sznurki wojny w Demokratycznej Republice Konga, plądrując ją, dręcząc i destabilizując. Wzbogacacie się poprzez nielegalną eksploatację dóbr tego kraju i krwawą ofiarę niewinnych osób. Usłyszcie wołanie ich krwi (por. Rdz 4, 10), posłuchajcie głosu Boga, który wzywa was do nawrócenia, i głosu waszego sumienia: uciszcie broń, połóżcie kres wojnie. Dość! Koniec ze wzbogacaniem się kosztem najsłabszych, koniec ze wzbogacaniem się zasobami i pieniędzmi splamionymi krwią!
Drodzy bracia i siostry, co my możemy zrobić? Od czego zacząć? Jak możemy działać na rzecz pokoju? Chciałbym pokornie wam zaproponować rozpoczęcie od dwóch „nie” i dwóch „tak”.
Przede wszystkim nie wobec przemocy, zawsze i w każdym przypadku, bez „jeśli” i bez „ale”. Nie wobec przemocy! Miłość do własnego ludu nie oznacza żywienia nienawiści do innych. Wręcz przeciwnie, miłość do swojego kraju oznacza niezgodę na uleganie tym, którzy nakłaniają do używania siły. Jest to tragiczne oszustwo: nienawiść i przemoc są absolutnie niedopuszczalne, nigdy nie można ich usprawiedliwić, nigdy nie można ich tolerować, a tym bardziej w przypadku tych, którzy są chrześcijanami. Nienawiść rodzi jedynie dalszą nienawiść, a przemoc kolejną przemoc. Trzeba zatem powiedzieć jasne i mocne „nie” tym, którzy propagują w imię Boga tę przemoc, tę nienawiść. Drodzy Kongijczycy, nie dajcie się zwieść ludziom lub grupom, które w Jego imieniu nawołują do przemocy. Bóg jest Bogiem pokoju, a nie wojny. Głoszenie nienawiści to bluźnierstwo, a nienawiść zawsze niszczy ludzkie serce. W istocie ci, którzy żyją przemocą, nigdy nie żyją dobrze: myślą, że ratują swoje życie, a tymczasem zostają wciągnięci w wir zła, które, skłaniając ich do walki z braćmi i siostrami, z którymi dorastali i żyli przez lata, zabija ich wewnętrznie.
Ale aby naprawdę powiedzieć „nie” przemocy, nie wystarczy unikać aktów przemocy; trzeba usunąć jej korzenie – mam na myśli chciwość, zazdrość, a przede wszystkim urazę. Z szacunkiem chyląc czoła wobec cierpienia znoszonego przez tak wielu, chciałbym prosić wszystkich o postępowanie tak, jak zaproponowaliście wy, odważni świadkowie, którzy macie odwagę rozbrajać serca. Proszę o to wszystkich, w imię Jezusa, który przebaczył tym, którzy przebili Mu gwoździami ręce i nogi, przybijając do krzyża: proszę was o rozbrojenie serc. Nie oznacza to, że mamy przestać się oburzać w obliczu zła i nie potępiać go – to jest nasz obowiązek! Nie oznacza to również bezkarności i umarzania okrucieństw, postępując jak gdyby nic się nie stało. To, czego się od nas wymaga w imię pokoju, w imię Boga pokoju, to demilitaryzacja serca: usunięcie jadu, odrzucenie nienawiści, rozładowanie chciwości, zlikwidowanie urazy; powiedzenie „nie” temu wszystkiemu, co wydaje się czynić człowieka słabym, ale w rzeczywistości czyni go wolnym, ponieważ daje pokój. Tak, pokój rodzi się z serc, z serc wolnych od niechęci.
Trzeba też powiedzieć drugie „nie”: nie co do rezygnacji. Pokój wymaga walki ze zniechęceniem, z przygnębieniem i nieufnością, które prowadzą do przekonania, że lepiej nikomu nie ufać, żyć w odosobnieniu i w oddaleniu, niż podać sobie ręce i iść razem. Raz jeszcze, w imię Boga, ponawiam mój apel do mieszkańców Demokratycznej Republiki Konga, by nie opuszczali rąk, ale angażowali się w budowanie lepszej przyszłości. Przyszłość pokojowa nie spadnie z nieba, ale może nastać, jeśli z serc zostanie usunięty pełen rezygnacji fatalizm i lęk przed angażowaniem się wspólnie z innymi. Inna przyszłość nadejdzie, jeśli będzie przyszłością wszystkich, a nie tylko niektórych, jeśli będzie dla wszystkich, a nie przeciwko komuś. Nowa przyszłość nadejdzie, jeśli drugi, czy to Tutsi, czy Hutu, nie będzie już przeciwnikiem czy wrogiem, lecz bratem i siostrą, w którego sercu – w co należy wierzyć – jest to samo pragnienie pokoju, nawet jeśli pozostaje ukryte. Także na wschodzie pokój jest możliwy! Uwierzmy w to! Pracujmy nad tym, nie powierzając zmiany innym!
Nie można budować przyszłości, pozostając zamkniętym we własnych interesach partykularnych, zamkniętym w swojej grupie, wspólnocie etnicznej i plemieniu. Przysłowie suahili uczy: „jirani ni ndugu” [sąsiad jest bratem]; dlatego, bracie, siostro, wszyscy twoi sąsiedzi są twoimi braćmi, czy są to Burundyjczycy, Ugandyjczycy czy Rwandyjczycy. Wszyscy jesteśmy braćmi, ponieważ jesteśmy dziećmi tego samego Ojca: tego uczy nas wiara chrześcijańska, wyznawana przez znaczną część ludności. Podnieśmy więc oczy ku niebu i nie pozostawajmy więźniami lęku: zło, którego każdy doznał, trzeba zamienić na dobro dla wszystkich; przygnębienie, które paraliżuje, niech ustąpi miejsca odnowionemu zapałowi, niezłomnej walce o pokój, odważnym postanowieniom braterstwa, pięknu wspólnego wołania nigdy więcej: nigdy więcej przemocy, nigdy więcej niechęci, nigdy więcej rezygnacji!
I tu wreszcie dochodzimy do dwóch „tak” dla pokoju. Po pierwsze, tak wobec pojednania. Przyjaciele, wspaniałe jest to, co zamierzacie uczynić. Chcecie się zobowiązać, po obu stronach, do przebaczenia sobie nawzajem i do wyrzeczenia się wojen i konfliktów, aby zniwelować dystanse i różnice. A uczynicie to za chwilę, modląc się razem, zgromadzeni wokół drzewa krzyża, pod którym z wielką odwagą chcecie złożyć znaki przemocy, którą widzieliście i której doznaliście: mundury, maczety, młoty, siekiery, noże... Również krzyż był narzędziem cierpienia i śmierci, najstraszliwszym w czasach Jezusa, ale przeniknięty Jego miłością, stał się powszechnym narzędziem pojednania, drzewem życia.
Chciałbym wam powiedzieć: bądźcie także i wy drzewami życia. Bądźcie podobni do drzew, które pochłaniają zanieczyszczenia i wydzielają tlen. Albo, jak mówi przysłowie: „W życiu bądź jak palma – przyjmuje kamienie, zwraca daktyle”. Oto proroctwo chrześcijańskie: odpowiadanie na zło dobrem, na nienawiść miłością, na podziały pojednaniem. Wiara przynosi ze sobą nową ideę sprawiedliwości, która nie zadowala się karą i wyrzeka się zemsty, a pragnie pojednania, rozładowania nowych konfliktów, wygaszenia niechęci, przebaczenia. A wszystko to jest potężniejsze od zła. Wiecie dlaczego? Bo przekształca rzeczywistość od wewnątrz, zamiast niszczyć ją od zewnątrz. Tylko w ten sposób można pokonać zło, tak jak uczynił to Jezus na drzewie krzyża, biorąc je na siebie i przemieniając swoją miłością. W ten sposób cierpienie przekształciło się w nadzieję. Przyjaciele, jedynie przebaczenie otwiera drzwi prowadzące do jutra, ponieważ otwiera drzwi do nowej sprawiedliwości, bez zapominania, przerywa błędny krąg zemsty. Pojednanie to rodzenie jutra: to wiara w przyszłość zamiast tkwienia zakotwiczonym w przeszłości; to stawianie na pokój zamiast pogodzenia się z wojną; to uwolnienie się z więzienia własnych racji, aby otworzyć się na innych i wspólnie smakować wolność.
Wreszcie ostatnie i decydujące „tak” to tak dla nadziei. Jeśli pojednanie można przedstawić jako drzewo, jako palmę, która przynosi owoce, to nadzieja jest wodą, dzięki której owa palma kwitnie. Ta nadzieja ma źródło, a to źródło ma imię, które chcę tu razem z wami głosić: Jezus! Jezus – dzięki Niemu zło nie ma już ostatniego słowa na temat życia; dzięki Niemu, który uczynił z grobu, końca ludzkiej drogi, początek nowej historii, otwierają się wciąż nowe możliwości. Dzięki Niemu każdy grób może się zamienić w kołyskę, każda kalwaria w ogród paschalny. Z Jezusem rodzi się i odradza nadzieja – dla tych, którzy doznali zła, a nawet dla tych, którzy je popełnili. Bracia i siostry ze wschodu kraju, ta nadzieja jest dla was, macie do niej prawo. Ale jest to również prawo, które trzeba zdobyć. Jak? Siejąc ją każdego dnia cierpliwie. Wracam do obrazu palmy. Przysłowie mówi: „Kiedy jesz orzech, widzisz palmę, ale ten, kto ją zasadził, dawno temu powrócił do ziemi”. Innymi słowy, aby osiągnąć pożądane owoce, trzeba pracować w tym samym duchu co plantatorzy palm, myśląc o przyszłych pokoleniach, a nie o natychmiastowych rezultatach. Sianie dobra niesie z sobą dobro – wyzwala z ciasnej logiki osobistego zysku i daje każdemu dniu jego uzasadnienie – wnosi w nasze życie tchnienie bezinteresowności i upodabnia nas do Boga, cierpliwego siewcy, który niestrudzenie rozsiewa nadzieję.
Dziękuję dziś i błogosławię wszystkim siewcom pokoju, którzy pracują w tym kraju – osobom i instytucjom, które angażują się w pomoc i walkę na rzecz ofiar przemocy, wyzysku i klęsk żywiołowych. Błogosławię kobiety i mężczyzn, którzy przybywają tutaj, ożywiani pragnieniem promowania godności ludzkiej. Niektórzy stracili życie, służąc pokojowi, jak ambasador Luca Attanasio, karabinier Vittorio Iacovacci i kierowca Mustapha Milambo, którzy zostali zabici dwa lata temu na wschodzie kraju. Byli siewcami nadziei i ich ofiara nie pójdzie na marne.
Bracia, siostry, synowie i córki Ituri, Kiwu Północnego i Południowego, jestem z wami, obejmuję was i błogosławię was wszystkich. Błogosławię każde dziecko, każdego dorosłego, każdą osobę starszą, każdego człowieka zranionego przez przemoc w Demokratycznej Republice Konga, a szczególnie każdą kobietę i każdą matkę. I modlę się, aby kobieta, każda kobieta, była szanowana, chroniona i doceniana. Dopuszczanie się przemocy wobec kobiety i matki to dopuszczanie się jej wobec samego Boga, który przyjął ludzką naturę od kobiety, od matki. Niech Jezus, nasz brat, Bóg pojednania, który zasadził życiodajne drzewo krzyża pośród ciemności grzechu i cierpienia, Jezus, Bóg nadziei, który wierzy w was, w waszą ojczyznę i w waszą przyszłość, niech błogosławi was wszystkich i pociesza; niech wlewa swój pokój w wasze serca, w wasze rodziny i całą Demokratyczną Republikę Konga. Dziękuję.
[00163-PL.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua araba
الزيارة الرسوليّة إلى جمهوريّة الكونغو الديمقراطيّة
كلمة قداسة البابا فرنسيس
في اللقاء مع ضحايا شرق البلاد
في السّفارة البابويّة في كينشاسا
الأربعاء 1 شباط/فبراير 2023
أيّها الإخوة والأخوات الأعزّاء،
شكرًا لكم. شكرًا لكم على شجاعة هذه الشّهادات. يَصدُمُنا العنف اللاإنساني الذي رأيتموه بعيونكم وعانيتم منه في أجسادكم. لا توجد كلمات نقولها. إلّا البكاء، والتزام الصّمت. Bunia، Beni-Butembo، Goma، Masisi، Rutshuru، Bukavu، Uvira، أماكن لم تذكرها وسائل الإعلام الدّوليّة قط: هنا وفي أماكن أخرى، إخوتنا وأخواتنا، أبناء الإنسانيّة نفسها، يؤخذون رهائنَ لاستبداد الأقوى، الذين في أيديهم أكثر الأسلحة قوّةً، والتي يستمر انتشارها. قلبي اليوم في شرق هذا البلد الشّاسع الذي لن ينعم بالسّلام حتّى يبلغ السّلام هناك في شطره الشّرقيّ.
إليكم، سكان الشّرق الأعزّاء، أريد أن أقول: أنا قريب منكم. دموعكم دموعي، وألَمكم هو ألَمي. إلى كلّ عائلة في حِدادٍ وحزن أو حالة تشريد بسبب قُرًى أُحرِقَت وجرائم حرب أخرى، وإلى النّاجين من العنف الجنسيّ، وإلى كلّ طفل وبالغ مجروح، أقول: أنا معكم، أودّ أن أحمل إليكم حنان الله. نظرته الحنونة والرّحيمة تستقر عليكم. بينما أهل العنف يعاملونكم كأشياء، الأب الذي في السّموات يرى كرامتكم ويقول لكلّ واحد منكم: "إذ قد صِرتَ كَريمًا في عَينَيَّ، ومَجيدًا فإِنِّي أَحبَبتُكَ" (أشعيا 43، 4). أيّها الإخوة والأخوات، الكنيسة كانت وستبقى دائمًا إلى جانبكم. الله يحبّكم ولن ينساكم، ولا النّاس ينسونكم!
باسمه، ومع الضّحايا والملتزمين بالسّلام والعدل والأخوّة، أُندِّد بأعمال العنف المسلّح، والمجازر، والاغتصاب، وتدمير القرى واحتلالها، ونهب الحقول والماشية، كلّها أعمال لا تزال مستمّرة في جمهوريّة الكونغو الدّيمقراطيّة. وكذلك الاستغلال المصبوغ بالدّم، وغير المشروع لثروة هذا البلد، وكذلك محاولات تفتيته للسيطرة عليه. وإنّه ليملأ الإنسان سخطًا حين يعرف أنّ انعدام الأمن والعنف والحرب التي تضرب أناسًا كثيرين بصورة مأساويّة لا تغذيها بصورة مخجلة قوى خارجيّة فقط، بل قوى داخليّة أيضًا للحصول على مصالح وفوائد. إنّي أتوجّه إلى الآب الذي في السّموات، الذي يريدنا جميعًا، أن نكون إخوةً وأخواتٍ، على الأرض: وأحني أمامه رأسي بتواضع، وبالألم في قلبي، وأسأله المغفرة عن عنف الإنسان ضد الإنسان. أيّها الآب، ارحمنا. امنح العزاء للضّحايا والمعذَّبين. غيِّر قلوب الذين يرتكبون الفظائع الوحشيّة، ويجلبون العار للبشريّة جمعاء! وافتح عيون الذين يغلقونها أو يستديرون ويلتفتون إلى الجهة الأخرى حتّى لا يروا هذه الرّجاسات.
إنّها صراعات تَجبُر ملايين الأشخاص على ترك بيوتهم، وتتسبّب في انتهاكات خطيرة جدًا لحقوق الإنسان، وتفكّك النّسيج الاجتماعيّ والاقتصاديّ، وتسبّب جراحًا يصعب التآمها. وهي صراعات بين أطراف تتشابك فيها دوافع إثنية، وإقليميّة، وبعض الجماعات، صراعات لها صلة بملكيّة الأرض، مع غياب المؤسسات أو ضعفها، ويتغلغل فيها التّجديف الذي هو استخدام العنف باسم إله مزيّف. لكنّها، خصوصًا، الحرب التي يؤججها جشع لا يشبع للمواد الخام والمال، في خدمة اقتصاد مسلّح، يتطلّب عدم الاستقرار والفساد. يا له من شكّ وعثرة، ويا له من نفاق: الناس يُنتهَكون ويُقتَلون، بينما التّجارة التي تسبّب العنف والموت تستمّر في الازدهار!
إنّي أوجّه مناشدة شديدة إلى كلّ الأشخاص، وإلى جميع الهيئات، الداخليّة والخارجيّة، التي في يدها خيوط الحرب في جمهوريّة الكونغو الديمقراطيّة، لينهبوها ويعذِّبوها ويزعزعوا استقرارها. أنتم تغتنون باستغلال غير مشروع لخيرات هذا البلد غناكم من دماء الضّحايا البريئة. أصغوا إلى صراخ دمائهم (راجع تكوين 4، 10)، وأصغوا إلى صوت الله الذي يدعوكم إلى التّوبة، وإلى صوت ضميركم: أسكتوا أسلحتكم، وأوقفوا الحرب. يكفي! توقّفوا عن الثّراء على حساب الأضعفين، وتوقّفوا عن الثّراء بالموارد والأموال الملطّخة بالدّماء!
أيّها الإخوة والأخوات الأعزّاء، ونحن، ماذا يمكننا أن نعمل؟ من أين نبدأ؟ كيف نتصرّف لنعزّز السّلام؟ أودّ بتواضع أن أقترح عليكم أن نبدأ من جديد، فنقول ”لا“ لأمرَين، ونقول ”نَعَم“ لأمرَين.
أوّلًا، لا للعنف، دائمًا وفي كلّ الأحوال، بدون ”إذا“ وبدون ”لكن“. لا للعنف! أن تحبّ جماعتك لا يعني أن تغذيّ الكراهية تجاه الآخرين. أن تحبّ وطنك يعني أن ترفض الانخراط مع الذين يحرضّون على استخدام القوّة. إنّه خداع مأساوي: الكراهية والعنف لا يمكن قبولهما أبدًا، ولا تبريرهما أبدًا، ولا التّسامح فيهما أبدًا، وبأَوْلى حجة لمن هو مسيحيّ. الكراهية تولّد كراهية أخرى، والعنف يولّد عنفًا آخر. بعد ذلك يجب أن نقول ”لا“، واضحة وقويّة للذين ينشرون هذا العنف وهذه الكراهية باسم الله. أيّها الكونغوليّون الأعزّاء، لا تسمحوا بأن يخدعكم أشخاص أو جماعات تحرّض على العنف باسم الله. الله هو إله السّلام لا إله الحرب. أن نعظ بالكراهية هو تجديف على الله. والكراهية مفسدة دائمًا لقلب الانسان. في الواقع، الذي يعيش بالعنف لا ينعم بالحياة: يفكّر أن يخلِّص حياته ولكن تبتلعه دوامة من الشّرّ، فتحمله على محاربة الإخوة والأخوات الذين نشأ وعاش معهم مدّة سنوات، ثم تقتله من الداخل.
لكن، لكي نقول حقًّا ”لا“ للعنف لا يكفي تجنّب أعمال العنف. من الضّروري أن نقتلع جذور العنف: أفكّر في الجشع والحسد، وخاصّة، الحقد. بينما أنحني باحترام أمام الآلام التي تحمّلها الكثيرون منكم، أودّ أن أطلب من الجميع أن يتصرّفوا كما اقترحتم علينا، أنتم الشّهود الشّجعان، الذين لديكم الشّجاعة لنزع السّلاح من قلبكم. أسأل الجميع ذلك باسم يسوع، الذي غفر للذين دقوا المسامير في معصميه وقدميه، وعلّقوه على خشبة الصّليب: أرجوكم أن تنزعوا السّلاح من قلوبكم. وهذا لا يعني التوقّف عن السّخط أمام الشّرّ وعدم التّنديد به، فهذا واجبنا! كما أنّه لا يعني الإفلات من العقاب والتّغاضي عن الفظائع ثمّ متابعة الطّريق وكأنّ شيئًا لم يحدث. المطلوب منّا، باسم السّلام، وباسم إله السّلام، أن نجرّد القلب من كلّ سلاح: أن نزيل السّمّ، وننبذ الكراهية، وننزع الجشع، ونقضي على الضّغينة. أن نقول ”لا“ لكلّ هذا، يبدو أنّه يجعلنا ضعفاء، بل هذا يحرّرنا، لأنّه يمنحنا السّلام. نَعَم، السّلام يولد من القلوب، من قلوبٍ خالية من الحقد.
ثمّ هناك ”لا“ ثانية يجب أن نقولها، وهي: لا للاستسلام. يطلب منّا السّلام أن نقاتل الإحباط، والتّثبيط وانعدام الثّقة الذي يقودنا إلى الاعتقاد بأنّه من الأفضل ألّا نثق بأحد، وأن نعيش منفصلين وبعيدين عن الآخرين، بدل أن نمدّ لهم يدنا ونسير معًا. مرّة أخرى، وباسم الله، أجدّد دعوتي حتّى لا يستسلم الذين يعيشون في جمهوريّة الكونغو الديمقراطيّة، بل يلتزمون في بناء مستقبل أفضل. مستقبل السّلام لن يُمطر من السّماء، لكن يمكنه أن يأتي إن تطهّرت القلوب من الاستسلام لحتمية القدر، والخوف من التّعامل مع الآخرين. سيأتي مستقبل مختلف إن كان مستقبلًا للجميع وليس للبعض، وإن كان للجميع وليس ضدّ البعض. سيأتي مستقبل جديد، سواء كان ”توتسي“ أو ”هوتو“ (tutsi o hutu)، إن لم يعد أحدهما خصمًا أو عدوًّا لِي، بل هو أخٌ وأختٌ يجب أن نؤمن أنّ الرّغبة نفسها في السّلام توجد في قلبه، وإن كانت خفيّة. حتّى في شرق البلاد، السّلام ممكن! لنؤمن بذلك! لنعمل على ذلك، من دون أن ننتظر غيرنا ليعمله عنا!
لا يمكننا أن نبني المستقبل إن بقينا منغلقين على مصالحنا الخاصّة، منغلقين في مجموعاتنا الخاصّة، وفي إثنياتنا العرقيّة والعشائريّة الخاصّة. يقول مَثَلٌ سواحيليّ: ”الجارُ أخٌ“. لذلك، أخي، وأختي، كلّ جيرانك هم إخوتك، سواء كانوا بورونديّين أو أوغنديّين أو روانديّين. نحن كلّنا إخوة، لأنّنا أبناء للأب نفسه: هكذا يعلّمنا الإيمان المسيحيّ، الذي يؤمن به جزء كبير من السّكان. لذلك، ارفعوا نظركم إلى السّماء ولا تبقَوا أسرَى الخوف: الشّرّ الذي عانى منه كلّ واحدٍ يجب أن يتحوّل إلى خير من أجل الجميع، والإحباط الذي يشلّ، لِيُفسِحْ المجال لحماسةٍ متجدّدة، ولجهادٍ لا يُقهر من أجل السّلام، وقراراتٍ شجاعة للأخُوّة، وإلى جمال الصّرخة معًا: كفى، لا مزيد من العنف بعد الآن، ولا مزيد من الحقد، ولا مزيد من الاستسلام!
وأخيرًا أمران نقول فيهما: نَعَم، من أجل السّلام. أوّلًا، نَعَم للمُصالحة. أيّها الأصدقاء، إنّه رائعٌ الأمر الذي تريدون أن تعملوه. تريدون أن تلتزموا فتغفروا بعضكم لبعض وأن تنبذوا الحروب والصّراعات، لإزالة المسافات والخلافات. وتريدون أن تعملوا ذلك بعد قليل وأنتم تصلّون معًا، مجتمعين حول شجرة الصّليب، وتريدون أن تضعوا عندها، بشجاعة كبيرة، علامات العنف الذي رأيتموه وعانيتم منه، وهي: الثياب القتاليّة، والبلطات، والمطارق، والفؤوس، والسّكاكين... كان الصّليب أيضًا أداةً للألم والموت، بل كان أفظع أداة في زمن يسوع، وصار أداةً عالميّة للمصالحة، وشجرة حياة.
أودّ أن أقول لكم: كونوا أنتم أيضًا أشجار حياة. افعلوا مثل الأشجار، التي تمتصّ التلوّث وتُعطي الأكسجين. أو كما يقول المثل: ”في الحياة افعل مثل النّخلة: إنّها تتلقّى الحجارة، وتعطي التّمر“. هذه نبوءة مسيحيّة، وهي: أن نردّ على الشّرّ بالخير، وعلى الكراهية بالمحبّة، وعلى الانقسام بالمصالحة. يحمل الإيمان معه فكرة جديدة عن العدل، الذي لا يكتفي بالعقاب ويتخلّى عن الانتقام، بل يريد المُصالحة، وإيقاف الصّراعات الجديدة، والقضاء على الحِقِد، ويريد المغفرة. وكلّ هذه الأمور أقوى من الشّرّ. هل تعرفون لماذا؟ لأنّها تحوّل الواقع من الدّاخل بدل أن تدمّره من الخارج. بهذه الطّريقة فقط يمكننا أن نَهزِمَ الشّرّ، تمامًا كما فعل يسوع على شجرة الصّليب، حملها وحوّلها بمحبّته. هكذا تحوّل الألَم إلى أمل. أيّها الأصدقاء، المغفرة وحدها تفتح الأبواب للغد، لأنّها تفتح الأبواب أمام عدل جديد، لا ينسى، لكنّه يوقف دائرة الانتقام المغلقة. أن نتصالح يعني أن نَلِدَ الغد: يعني الإيمان بالمستقبل بدل أن نبقى راسخين في الماضي، وهو المراهنة على السّلام بدل الاستسلام للحرب، هو أن نهرب من سجن أسبابنا الخاصّة لكي ننفتح على الآخرين ونستمتع بالحريّة معًا.
آخِرُ ”نَعَم“، حاسمة، هي: نَعَم للرّجاء. إن استطعنا أن نصوّر المُصالحة مثل شجرة، ومثل نخلةٍ تُعطِي ثمرًا، فالرّجاء هو الماء الذي يجعلها تزدهر. هذا الرّجاء له ينبوع وهذا الينبوع له اسم، أريد أن أعلنه هنا معكم، وهو: يسوع! مع يسوع: لم يعد للشّرّ الكلمة الأخيرة في الحياة، ومعه، هو الذي صنع من القبر، مكان انطلاق الرّحلة البشريّة، وبداية تاريخ جديد، تنفتح دائمًا إمكانيّات جديدة. معه يمكن أن يتحوَّل كلّ قبر إلى مهد، وكلّ جلجلة إلى حديقة الفصح. مع يسوع، يولد ويولد دائمًا الرّجاء: من أجل الذين عانوا من الشّرّ، وحتّى من أجل الذين صنعوه. أيّها الإخوة والأخوات القادمون من شرق البلاد، هذا الرّجاء لكم، ولكم الحقّ فيه. لكنّه أيضًا حقٌّ يجب أن نكسبه. كيف؟ بأن نزرعه كلّ يوم، بصبر. أعود إلى صورة النّخلة. يقول المثل: ”عندما تأكل جوزة الهند، ترى النّخلة، لكن الذي زرعها رَجِعَ إلى الأرض منذ زمن طويل“. بمعنى آخر، لكي نحصل على الثّمار المرجوّة، علينا أن نعمل بروحِ زارِعِي النّخيل نفسه، ونفكّر في الأجيال القادمة وليس بالنّتائج الفوريّة. زراعة الخير تمنح الخير: إنها تحرّرنا من منطق الكسب الشّخصيّ المحدود، وتُهدِي كلّ يوم معناه: وتحمل في الحياة نسمة المجّانيّة وتجعلنا أكثر شبهًا بالله، الزّارع الصّابر الذي ينشر الرّجاء دون أن يتعب أبدًا.
اليوم أشكر وأبارك كلّ زارِعِي السّلام الذين يعملون في البلد: الأشخاص والمؤسّسات الذين يبذلون أنفسهم في المساعدة وفي الجهاد من أجل ضحايا العنف، والاستغلال والكوارث الطبيعيّة، الرّجال والنّساء الذين يأتون هنا وهم ممتلئون بالرّغبة في تعزيز كرامة النّاس. بعضهم فَقَدوا حياتهم وهم يخدمون السّلام، مثل السّفير لوقا أتاناسيو ورجل الأمن فيتوريو إياكوفاتشي والسّائق مصطفى ميلامبو، الذين قُتلوا منذ سنتَين في شرق البلاد. كانوا زارِعِي رجاء وتضحيتهم لن تضيع.
أيّها الإخوة والأخوات، وأبناء وبنات إيتوري (Ituri)، من شمال وجنوب كيفو (Kivu)، أنا قريب منكم، وأعانقكم وأبارككم جميعًا. أبارك كلّ طفل، وبالغ، ومتقدِّمٍ في السّن، وكلّ شخص أصابه العنف في جمهوريّة الكونغو الديمقراطيّة، وخاصّة كلّ امرأة وكلّ أمّ. وأصلّي حتّى تُحتَرم المرأة، كلّ امرأة، وتَتِمَّ حمايتها ويكون لها تقديرها: لأنّ ارتكاب العنف ضدّ امرأة، وأمّ، هو ارتكابه ضدّ الله نفسه، الذي أخذ طبيعتنا الإنسانيّة، من امرأة، ومن أمّ. يسوع، أخونا، وإله المصالحة، الذي زرع شجرة حياة الصّليب في قلب ظلام الخطيئة والألَم، يسوع، إله الرّجاء، الذي يؤمن بكم، وببلدكم وبمستقبلكم، ليبارككم جميعًا وليعزِّيكم، وليسكب سلامه في قلوبكم وفي عائلاتكم وعلى جمهوريّة الكونغو الديمقراطيّة كلّها. شكرًا
[00163-AR.02] [Testo originale: Italiano]
[B0094-XX.02]