Omelia del Santo Padre
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Alle ore 17.30 di oggi, nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, il Santo Padre Francesco ha presieduto la celebrazione dei Secondi Vespri della solennità della Conversione di San Paolo Apostolo, a conclusione della 56.ma Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani sul tema: «Imparate a fare il bene, cercate la giustizia» (Is 1, 17).
Hanno preso parte alla celebrazione i Rappresentanti delle altre Chiese e Comunità ecclesiali presenti a Roma.
Al termine dei Vespri, prima della benedizione apostolica, l’Em.mo Card. Kurt Koch, Prefetto del Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, ha rivolto al Santo Padre un indirizzo di saluto.
Pubblichiamo di seguito il testo dell’omelia che Papa Francesco ha pronunciato nel corso della celebrazione:
Omelia del Santo Padre
Abbiamo appena ascoltato la Parola di Dio che ha caratterizzato questa Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani. Sono parole forti, tanto forti che potrebbero sembrare inopportune mentre abbiamo la gioia di incontrarci come fratelli e sorelle in Cristo per celebrare una solenne liturgia a sua lode. Già non mancano oggi notizie tristi e preoccupanti, così che dei “rimproveri sociali” della Scrittura faremmo volentieri a meno! Eppure, se prestiamo orecchio alle inquietudini del tempo che viviamo, a maggior ragione dobbiamo interessarci di ciò che fa soffrire il Signore per cui viviamo; e se ci siamo radunati nel suo nome, non possiamo che mettere al centro la sua Parola. Essa è profetica: infatti Dio, con la voce di Isaia, ci ammonisce e ci invita al cambiamento. Ammonimento e cambiamento sono le due parole su cui vorrei proporvi alcuni spunti stasera.
1. Ammonimento. Riascoltiamo alcune parole divine: «Quando venite a presentarvi a me, […] smettete di presentare offerte inutili; […] quando stendete le mani io distolgo gli occhi da voi. Anche se moltiplicaste le preghiere, io non ascolterei» (Is 1,12.13.15). Che cosa suscita l’indignazione del Signore, al punto da richiamare con toni così sdegnati il popolo che tanto ama? Il testo ci rivela due motivi. Anzitutto, Egli biasima il fatto che nel suo tempio, nel suo nome, non si compie ciò che Lui vuole: non incenso e offerte, ma che venga soccorso l’oppresso, che sia resa giustizia all’orfano, che sia difesa la causa della vedova (cfr v. 17). Nella società del tempo del profeta, era diffusa la tendenza – purtroppo sempre attuale – di considerare benedetti da Dio i ricchi e coloro che facevano molte offerte, e disprezzare i poveri. Ma questo è fraintendere completamente il Signore. Gesù proclama beati i poveri (cfr Lc 6,20), e nella parabola del giudizio finale si identifica con gli affamati, gli assetati, i forestieri, i bisognosi, i malati, i carcerati (cfr Mt 25,35-36). Ecco dunque il primo motivo di sdegno: Dio soffre quando noi, che ci diciamo suoi fedeli, anteponiamo la nostra visione alla sua, seguiamo i giudizi della terra anziché quelli del Cielo, accontentandoci di ritualità esteriori e rimanendo indifferenti nei riguardi di coloro ai quali Egli tiene maggiormente. Dio dunque si addolora, potremmo dire, per il nostro fraintendimento indifferente.
Oltre a questo, c’è un secondo e più grave motivo che offende l’Altissimo: la violenza sacrilega. Egli dice: «Non posso sopportare delitto e solennità. […] Le vostre mani grondano sangue. […] Allontanate dai miei occhi il male delle vostre azioni» (Is 1,13.15.16). Il Signore è “irritato” per la violenza commessa verso il tempio di Dio che è l’uomo, mentre viene onorato nei templi costruiti dall’uomo! Possiamo immaginare con quanta sofferenza debba assistere a guerre e azioni violente intraprese da chi si professa cristiano. Viene in mente quell’episodio in cui un santo protestò contro l’efferatezza del re andando da lui in Quaresima a offrirgli della carne; quando il sovrano, in nome della sua religiosità, rifiutò sdegnato, l’uomo di Dio gli chiese perché avesse scrupoli a mangiare carne animale mentre non esitava a mettere a morte dei figli di Dio.
Fratelli e sorelle, questo ammonimento del Signore ci fa tanto pensare, come cristiani e come Confessioni cristiane. Vorrei ribadire che «oggi, con lo sviluppo della spiritualità e della teologia, non abbiamo scuse. Tuttavia, ci sono ancora coloro che ritengono di sentirsi incoraggiati o almeno autorizzati dalla loro fede a sostenere varie forme di nazionalismo chiuso e violento, atteggiamenti xenofobi, disprezzo e persino maltrattamenti verso coloro che sono diversi. La fede, con l’umanesimo che ispira, deve mantenere vivo un senso critico davanti a queste tendenze e aiutare a reagire rapidamente quando cominciano a insinuarsi» (Enc. Fratelli tutti, 86). Se vogliamo, sull’esempio dell’Apostolo Paolo, che la grazia di Dio in noi non sia vana (cfr 1 Cor 15,10), dobbiamo opporci alla guerra, alla violenza, all’ingiustizia ovunque s’insinuano. Il tema di questa Settimana di preghiera è stato scelto da un gruppo di fedeli del Minnesota, consapevoli delle ingiustizie perpetrate nel passato nei riguardi delle popolazioni indigene e contro gli afroamericani ai nostri giorni. Di fronte alle varie forme di disprezzo e razzismo, di fronte al fraintendimento indifferente e alla violenza sacrilega, la Parola di Dio ci ammonisce: «Imparate a fare il bene, cercate la giustizia» (Is 1,17). Non basta infatti denunciare, occorre anche rinunciare al male, passare dal male al bene. Ecco che l’ammonimento è volto al nostro cambiamento.
2. Cambiamento. Diagnosticati gli errori, il Signore chiede di rimediarvi e, per mezzo del profeta, dice: «Lavatevi, purificatevi […]. Cessate di fare il male» (v. 16). E sapendo che siamo oppressi e come paralizzati dalle troppe colpe, promette che sarà Lui a lavare i nostri peccati: «Su, venite e discutiamo – dice il Signore. Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve. Se fossero rossi come porpora, diventeranno come lana» (v. 18). Carissimi, dai nostri fraintendimenti su Dio e dalla violenza che cova dentro di noi, non siamo capaci di liberarci da soli. Senza Dio, senza la sua grazia, non guariamo dal nostro peccato. La sua grazia è la sorgente del nostro cambiamento. Ce lo ricorda la vita dell’Apostolo Paolo, che commemoriamo oggi. Da soli non ce la facciamo, ma con Dio tutto è possibile; da soli non ce la facciamo, ma insieme è possibile. Insieme, infatti, il Signore chiede ai suoi di convertirsi. La conversione – questa parola tanto ripetuta e non sempre facile da capire – è chiesta al popolo, ha una dinamica comunitaria, ecclesiale. Crediamo dunque che anche la nostra conversione ecumenica progredisce nella misura in cui ci riconosciamo bisognosi di grazia, bisognosi della stessa misericordia: riconoscendoci tutti dipendenti in tutto da Dio, ci sentiremo e saremo davvero, col suo aiuto, «una sola cosa» (Gv 17,21), fratelli sul serio.
Che bello aprirci insieme, nel segno della grazia dello Spirito, a questo cambiamento di prospettiva, riscoprendo che «tutti i fedeli sparsi per il mondo sono in comunione con gli altri nello Spirito Santo, e così – come scriveva San Giovanni Crisostomo – chi sta in Roma sa che gli Indi sono sue membra» (Lumen gentium, 13; In Io. hom. 65,1). In questo cammino di comunione, sono grato che tanti cristiani di varie comunità e tradizioni stiano accompagnando con partecipazione e interesse il percorso sinodale della Chiesa cattolica, che auspico sempre più ecumenico. Ma non dimentichiamo che camminare insieme e riconoscerci in comunione gli uni con gli altri nello Spirito Santo comporta un cambiamento, una crescita che può avvenire solo, come scriveva Benedetto XVI, «a partire dall’intimo incontro con Dio, un incontro che è diventato comunione di volontà arrivando fino a toccare il sentimento. Allora imparo a guardare quest’altra persona non più soltanto con i miei occhi e con i miei sentimenti, ma secondo la prospettiva di Gesù Cristo. Il suo amico è mio amico» (Enc. Deus caritas est, 18).
L’Apostolo Paolo ci aiuti a cambiare, a convertirci; ci ottenga un po’ del suo coraggio indomito. Perché, nel nostro cammino, è facile lavorare per il proprio gruppo anziché per il Regno di Dio, spazientirsi, smarrire la speranza di quel giorno in cui «tutti i cristiani, nell’unica celebrazione dell’Eucaristia, si troveranno riuniti in quella unità dell’unica Chiesa che Cristo fin dall’inizio donò alla sua Chiesa» (Decr. Unitatis redintegratio, 4). Ma proprio in vista di quel giorno riponiamo la nostra fiducia in Gesù, nostra Pasqua e nostra pace: mentre lo preghiamo e lo adoriamo, Egli opera. E ci conforta ciò che disse a Paolo e che possiamo sentire rivolto a ciascuno di noi: «Ti basta la mia grazia» (2 Cor 12,9).
Carissimi, ho voluto condividere in spirito fraterno questi pensieri che la Parola mi ha suscitato perché, da Dio ammoniti, per sua grazia cambiamo e cresciamo nel pregare, nel servire, nel dialogare e nel lavorare insieme verso quella piena unità che Cristo desidera. Ora vorrei ringraziarvi di cuore: esprimo la mia riconoscenza a Sua Eminenza il Metropolita Polykarpos, Rappresentante del Patriarcato Ecumenico, a Sua Grazia Ian Ernest, Rappresentante personale dell’Arcivescovo di Canterbury a Roma, e ai Rappresentanti delle altre Comunità cristiane presenti. Viva solidarietà esprimo ai membri del Consiglio Panucraino delle Chiese e delle Organizzazioni Religiose. Saluto gli studenti ortodossi e ortodossi orientali, borsisti del Comitato di Collaborazione Culturale con le Chiese Ortodosse presso il Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, e quelli dell’Istituto Ecumenico di Bossey del Consiglio Ecumenico delle Chiese. Un caro saluto, molto fraterno, anche a Frère Alois e ai fratelli di Taizé, impegnati nella preparazione della Veglia ecumenica di preghiera che precederà l’apertura della prossima sessione del Sinodo dei Vescovi. Tutti insieme camminiamo sulla via che il Signore ci ha posto innanzi, quella dell’unità.
[00148-IT.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
Nous venons d'écouter la Parole de Dieu qui a caractérisé cette Semaine de prière pour l'Unité des Chrétiens. Ce sont des paroles fortes, si fortes qu'elles pourraient sembler inappropriées alors que nous avons la joie de nous réunir en tant que frères et sœurs dans le Christ pour célébrer une liturgie solennelle à sa louange. Alors que les nouvelles tristes et inquiétantes ne manquent pas aujourd'hui, nous nous passerions volontiers des "reproches sociaux" de l'Écriture. Pourtant, si nous écoutons les inquiétudes de l'époque dans laquelle nous vivons, à plus forte raison nous devons nous intéresser à ce qui fait souffrir le Seigneur pour lequel nous vivons ; et si nous nous sommes réunis en son nom, nous ne pouvons que mettre sa Parole au centre. Celle-ci est prophétique : en effet Dieu, par la voix d'Isaïe, nous réprimande et nous invite à changer. Avertissement et changement sont les deux mots sur lesquels j'aimerais vous offrir quelques réflexions ce soir.
1. Avertissement. Écoutons encore quelques paroles divines : « Quand vous venez vous présenter devant ma face, [...] Cessez d’apporter de vaines offrandes; [...] Quand vous étendez les mains, je détourne les yeux. Vous avez beau multiplier les prières, je n’écoute pas » (Is 1, 12.13.15). Qu'est-ce qui suscite l'indignation du Seigneur, au point de reprendre sur un ton aussi indigné le peuple qu'il aime tant ? Le texte révèle deux raisons. En premier lieu, il blâme le fait que dans son temple, en son nom, ce qu'il veut n'est pas accompli : il ne veut pas d'encens ni d’offrandes, mais que l'opprimé soit aidé, que justice soit rendue à l'orphelin, que la cause de la veuve soit défendue (cf. v. 17). Dans la société de l'époque du prophète, il y avait une tendance – malheureusement toujours actuelle – à considérer les riches et ceux qui font beaucoup d'offrandes comme bénis de Dieu, et à mépriser les pauvres. Mais c'est se méprendre complètement sur le Seigneur. Jésus proclame les pauvres bienheureux (cf. Lc 6, 20), et, dans la parabole du jugement dernier, il s'identifie aux affamés, aux assoiffés, aux étrangers, aux nécessiteux, aux malades, aux prisonniers (cf. Mt 25, 35-36). Voilà donc le premier motif d'indignation : Dieu souffre quand nous, qui prétendons être ses fidèles, faisons passer notre propre vision avant la sienne, quand nous suivons les jugements de la terre plutôt que ceux du Ciel, nous contentant de rites extérieurs et restant indifférents à ceux auxquels Il tient le plus. Dieu s'afflige donc, pourrait-on dire, de notre incompréhension indifférente.
En plus de cela, il y a une deuxième raison, plus grave, qui offense le Très-Haut : la violence sacrilège. Il dit : « Je n’en peux plus de ces crimes et de ces fêtes. [...] Vos mains sont pleines de sang. [...] Ôtez de ma vue vos actions mauvaises » (Is 1,13.15.16). Le Seigneur est "irrité" par la violence commise envers le temple de Dieu qu'est l'homme, alors qu'il est honoré dans des temples construits par l'homme ! Nous pouvons imaginer avec quelle douleur il doit assister aux guerres et aux actions violentes faites par ceux qui se professent chrétiens. Vient à l’esprit l'épisode où un saint protesta contre la sauvagerie du roi qu’il allait voir pendant le Carême pour lui offrir de la viande ; lorsque le souverain, au nom de sa religiosité, refusa indigné, l'homme de Dieu lui demanda pourquoi il avait des scrupules à manger de la chair animale alors qu'il n'hésitait pas à mettre à mort les enfants de Dieu.
Frères et sœurs, cet avertissement du Seigneur nous fait réfléchir, en tant que chrétiens et en tant que Confessions chrétiennes. Je voudrais réaffirmer qu' « aujourd’hui, avec le développement de la spiritualité et de la théologie, nous n’avons plus d’excuses. Cependant, il s’en trouve encore qui semblent se sentir encouragés, ou du moins autorisés par leur foi à défendre des formes de nationalismes, fondés sur le repli sur soi et violents, des attitudes xénophobes, le mépris voire les mauvais traitements de ceux qui sont différents. La foi, de par l’humanisme qu’elle renferme, doit garder un vif sens critique face à ces tendances et aider à réagir rapidement quand elles commencent à s’infiltrer » (Enc. Fratelli tutti, n. 86). Si nous voulons, à l'exemple de l'Apôtre Paul, que la grâce de Dieu en nous ne soit pas vaine (cf. 1 Co 15, 10), nous devons nous opposer à la guerre, à la violence, à l'injustice partout où elles se glissent. Le thème de cette Semaine de prière a été choisi par un groupe de croyants du Minnesota, conscients des injustices commises contre les peuples indigènes dans le passé, et les Afro-Américains de nos jours. Face aux diverses formes de mépris et de racisme, face à l'incompréhension indifférente et à la violence sacrilège, la Parole de Dieu nous exhorte : « Apprenez à faire le bien : recherchez le droit » (Is 1, 17). Il ne suffit pas de dénoncer, il faut aussi renoncer au mal, passer du mal au bien. Ici, l'admonition vise notre changement.
2. Changement. Ayant diagnostiqué les erreurs, le Seigneur demande d'y remédier et, par l'intermédiaire du prophète, il dit : « Lavez-vous, purifiez-vous [...]. Cessez de faire le mal » (v. 16). Et sachant que nous sommes oppressés et comme paralysés par trop de fautes, il promet que c'est Lui qui lavera nos péchés : « Venez, et discutons, dit le Seigneur. Si vos péchés sont comme l’écarlate, ils deviendront aussi blancs que neige. S’ils sont rouges comme le vermillon, ils deviendront comme de la laine » (v. 18). Bien-aimés, nous ne sommes pas capables de nous libérer de nos malentendus sur Dieu et de la violence qui couve en nous. Sans Dieu, sans sa grâce, nous ne guérissons pas de notre péché. Sa grâce est la source de notre changement. La vie de l'Apôtre Paul, que nous commémorons aujourd'hui, nous le rappelle. Seuls, nous n’y arrivons pas, mais avec Dieu tout est possible ; seuls, nous n’y arrivons pas, mais ensemble, c'est possible. Ensemble, en effet, le Seigneur demande aux siens de se convertir. La conversion – ce mot tellement répété et pas toujours facile à comprendre - est demandée au peuple, elle a une dynamique communautaire, ecclésiale. Nous croyons donc que notre conversion œcuménique progresse également dans la mesure où nous nous reconnaissons en besoin de grâce, en besoin de la même miséricorde : en reconnaissant que nous dépendons tous de Dieu en tout, nous nous sentirons et serons vraiment, avec son aide, "un" (Jn 17, 21), frères sérieusement.
Comme il est beau de nous ouvrir ensemble, sous le signe de la grâce de l'Esprit, à ce changement de perspective, en redécouvrant que « tous les fidèles, dispersés à travers le monde, sont, dans l’Esprit Saint, en communion avec les autres, et, de la sorte – comme l’écrivait saint Jean Chrysostome – “celui qui réside à Rome sait que ceux des Indes sont pour lui un membre” » (Lumen gentium, n. 13 ; In Io. hom. 65, 1). Sur ce chemin de communion, je suis reconnaissant que beaucoup de chrétiens de diverses communautés et traditions accompagnent, avec participation et intérêt, le parcours synodal de l'Église catholique, que je souhaite de plus en plus œcuménique. Mais n'oublions pas que le fait de marcher ensemble et de nous reconnaître en communion les uns avec les autres dans l'Esprit Saint implique un changement, une croissance qui ne peut avoir lieu, comme l'a écrit Benoît XVI, qu' « à partir de la rencontre intime avec Dieu, une rencontre qui est devenue communion de volonté pour aller jusqu’à toucher le sentiment. J’apprends alors à regarder cette autre personne non plus seulement avec mes yeux et mes sentiments, mais selon la perspective de Jésus Christ. Son ami est mon ami » (Enc. Deus caritas est, n. 18).
Que l'Apôtre Paul nous aide à changer, à nous convertir ; qu'il nous obtienne un peu de son indomptable courage. Car, sur notre chemin, il est facile de travailler chacun pour son groupe plutôt que pour le Royaume de Dieu, de s'impatienter, de perdre l'espérance de ce jour où « se trouveront rassemblés par une célébration eucharistique unique, dans l’unité d’une seule et unique Église, tous les chrétiens. Cette unité, le Christ l’a accordée à son Église dès le commencement » (Decr. Unitatis redintegratio, n. 4). Mais c'est précisément en vue de ce jour que nous mettons notre confiance en Jésus, notre Pâque et notre paix : tandis que nous le prions et l'adorons, il agit. Et nous sommes réconfortés par ce qu'il a dit à Paul, que nous pouvons entendre adressé à chacun de nous : « Ma grâce te suffit » (2 Co 12, 9).
Chers amis, j'ai voulu partager dans un esprit fraternel ces pensées que la Parole a suscitées en moi, afin que, exhortés par Dieu, nous puissions, par sa grâce, changer et grandir dans la prière, le service, le dialogue et le travail en commun vers cette pleine unité que le Christ désire. Je voudrais maintenant vous remercier de tout cœur. J’exprime ma reconnaissance à Son Éminence le Métropolite Polykarpos, Représentant du Patriarcat œcuménique, à Sa Grâce Ian Ernest, Représentant personnel de l'Archevêque de Canterbury à Rome, et aux Représentants des autres Communautés chrétiennes présentes. J’exprime ma vive solidarité aux membres du Conseil pan-ukrainien des Églises et des Organisations religieuses. Je salue en particulier les étudiants orthodoxes et orthodoxes orientaux, boursiers du Comité pour la Collaboration Culturelle avec les Églises Orthodoxes près le Dicastère pour la Promotion de l'Unité des Chrétiens, et ceux de l'Institut Œcuménique de Bossey, du Conseil Œcuménique des Églises. Un salut chaleureux également à Frère Alois et aux frères de Taizé qui sont engagés dans la préparation de la veillée de prière œcuménique qui précédera l'ouverture de la prochaine session du Synode des évêques. Marchons tous ensemble sur le chemin que le Seigneur a mis devant nous, celui de l'unité.
[00148-FR.02] [Texte original: Italien]
Traduzione in lingua inglese
We have just heard the word of God, which has inspired this Week of Prayer for Christian Unity. Those words are forceful, so forceful in fact, that they might seem out of place as we celebrate the joy of coming together as brothers and sisters in Christ to celebrate a solemn liturgy in his praise. In these days so full of tragic and troubling news reports, we could perhaps easily dispense with such biblical condemnations of the sins of society! Yet if we are sensitive to the profound unease of the times in which we are living, we should be all the more concerned for what causes suffering to the Lord for whom we live. And since we have gathered in his name, we cannot fail to put his word at the centre of things. That word is prophetic: God, speaking in the voice of Isaiah, admonishes us and urges us to change. Admonishment and change are the two words on which I would like to reflect with you this evening.
1. Admonishment. Let us hear something of what God has to say: “When you come to appear before me…, bringing offerings is futile… When you stretch out your hands, I will hide my eyes from you; even though you make many prayers, I will not listen” (Is 1:12.13.15). What arouses the Lord’s indignation to the point that he rebukes so severely the people whom he loves so greatly? The text reveals two motives. First, he condemns the fact that in his Temple, in his name, one fails to do what he desires: not incense and offerings, but that the poor receive assistance, that justice be rendered to the orphan, that the cause of the widow be upheld (cf. v. 17). In the days of the prophet, and not only then, it was generally thought that the rich, who made great offerings and looked down upon the poor, were blessed in God’s eyes. Yet this was, and is, completely to misunderstand the Lord. It is the poor that Jesus proclaims blessed (cf. Lk 6:20), and in the parable of the final judgment he identifies himself with those who hunger and thirst, the stranger, the needy, the sick and those in prison (cf. Mt 25:35-36). This, then, is the first cause of his indignation: God suffers when we, who call ourselves his faithful ones, put our own ways of seeing things before his, when we follow the judgments of the world rather than those of heaven, when we are content with exterior rituals yet remain indifferent to those for whom he cares the most. God is grieved, we might say, by our indifference and lack of understanding.
In addition to this, there is a second and more serious motive that offends the Most High. It is sacrilegious violence. He tells us: “I cannot endure solemn assemblies with iniquity… Your hands are full of blood… Remove the evil of your doings from before my eyes” (Is 1:13.15.16). The Lord is “moved to wrath”, because of the violence done to the temple of God which is man, even while he is being glorified in the material temples we erect! We can imagine with what suffering he must witness wars and acts of violence perpetrated by those who call themselves Christians. We are reminded of the story of the holy man who protested the brutality of a king by offering him meat during the Lenten season. When the king in the name of piety indignantly refused to accept the gift, the man of God asked him why he had scruples about eating the flesh of animals, while not hesitating to sacrifice the flesh of the children of God.
Brothers and sisters, this admonition of the Lord gives us much food for thought, as individual Christians and as Christian confessions. I would like to state once again that “today, with our developed spirituality and theology, we have no excuses. Still, there are those who appear to feel encouraged or at least permitted by their faith to support varieties of narrow and violent nationalism, xenophobia and contempt, and even the mistreatment of those who are different. Faith, and the humanism it inspires, must maintain a critical sense in the face of these tendencies, and prompt an immediate response whenever they rear their head” (Fratelli Tutti, 86). If, following the example of the Apostle Paul, we desire that the grace of God in us not be in vain (cf. 1 Cor 15:10), we must be opposed to war, to violence and to injustice wherever they begin to appear. The theme of this Week of Prayer was chosen by a group of Christians from Minnesota, conscious of the injustices perpetrated in the past against native peoples and in our own day against African-Americans. Before the various forms of contempt and racism, before indifference, lack of understanding and sacrilegious violence, the word of God admonishes us: “learn to do good, seek justice” (Is 1:17). It is not enough to denounce, we need also to renounce evil, to pass from evil to good. In other words, admonishment is meant to change us.
2. Change. After diagnosing our wrongs, the Lord asks us to remedy them and, through the prophet, tells us: “Wash yourselves; make yourselves clean; cease to do evil” (v. 16). Yet knowing that we are overwhelmed and, as it were, paralyzed by our many sins, he promises that he himself will wash away our sins. “Come now, let us argue it out, says the Lord: though your sins are like scarlet, they shall be like snow; though they are red like crimson, they shall become like wool” (v. 18). Dear friends, due to our failure to understand God and the violence that lurks within us, we are incapable of setting ourselves free. Without God, without his grace, we are not healed of our sin. God’s grace is the source of our change. We see this in the life of the Apostle Paul, whom we commemorate today. By ourselves, we cannot succeed, but with God, all is possible. By ourselves, we do not succeed, but together, it is possible. For the Lord asks his disciples to be converted together. Conversion – a word that is repeated often but not always easily understood – is demanded of the people; it is communitarian and ecclesial in nature. Consequently, we also believe that our ecumenical conversion grows to the extent that we recognize our need for God’s grace, our need for his mercy. In acknowledging that we are dependent on God for everything, we will truly, with his aid, feel and “be one” (Jn 17:21). This is important, brothers and sisters.
What a beautiful thing it is to be open, together, in the grace of the Spirit, to this change of perspective. To rediscover that “all the faithful throughout the world are in communion with each other in the Holy Spirit, so that - as Saint John Chrysostom wrote – ‘those who dwell in Rome knows those in India to be part of the same body’” (Lumen Gentium, 13; In Io. Hom., 65,1). On this journey of fellowship, I am grateful that so many Christians, of various communities and traditions, are accompanying with participation and interest the synodal journey of the Catholic Church, which I trust will become increasingly ecumenical. Let us not forget that journeying together and acknowledging that we are in communion with one another in the Holy Spirit entails a change, the growth that can only take place, as Benedict XVI wrote, “on the basis of an intimate encounter with God, an encounter which has become a communion of will, even affecting my feelings. Then I learn to look on this other person not simply with my eyes and my feelings, but from the perspective of Jesus Christ. His friend is my friend” (Deus Caritas Est, 18).
May the Apostle Paul help us to change, to be converted; may he obtain for us something of his own indomitable courage. Since in the course of our journey, it is easy to work for our own group rather than for the kingdom of God, to grow impatient, to give up on the hope of that day when “all Christians will be gathered, in a common celebration of the Eucharist, into that unity of the one Church, which Christ bestowed on his Church from the beginning” (Unitatis Redintegratio, 4). Precisely in view of that day, we place our trust in Jesus, our Pasch and our peace: while we pray and worship him, he is ever at work. And we are comforted by the words of Saint Paul, which we can feel addressed to each one of us: “My grace is sufficient for you” (2 Cor 12:9).
Dear friends, in a fraternal spirit I wanted to share these thoughts that the word of God has awakened in me, so that, admonished by God, by his grace we can change and grow through praying, serving, engaging in dialogue and working together towards the full unity that Christ desires. Now I would like to offer you my heartfelt thanks. I express my gratitude to His Eminence Metropolitan Polykarpos, Representative of the Ecumenical Patriarchate, to His Grace Ian Ernest¸ Personal Representative of the Archbishop of Canterbury to Rome, and to the representatives of the other Christian communities present. I express my lively solidarity to the members of the All-Ukrainian Council of Churches and Religious Organizations. I greet in a special way the Orthodox and Oriental Orthodox students benefitting from the scholarships offered by the Committee for Cultural Collaboration with the Orthodox Churches in the Dicastery for the Promotion of Christian Unity, and those from the Ecumenical Institute of Bossey of the Ecumenical Council of Churches. My warm greeting also goes to Frère Alois and the brothers of Taizé, who are engaged in preparing for the ecumenical prayer vigil before the opening of the next session of the Synod of Bishops. All together may we journey along on the path that the Lord has placed before us, the path of unity.
[00148-EN.02] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua tedesca
Wir haben gerade das Wort Gottes gehört, das diese Gebetswoche für die Einheit der Christen geprägt hat. Es sind starke Worte, so stark, dass sie unangemessen erscheinen könnten, während wir die Freude haben, als Brüder und Schwestern in Christus zusammenzukommen, um eine feierliche Liturgie zu seinem Lob zu feiern. An traurigen und besorgniserregenden Nachrichten herrscht heute kein Mangel, so dass wir auf die „Sozialkritik“ der Schrift gerne verzichten würden! Doch wenn wir auf die Befürchtungen der Zeit, in der wir leben, achten, haben wir umso mehr Grund, uns für das zu interessieren, was den Herrn leiden lässt, für den wir leben. Und wenn wir uns in seinem Namen versammelt haben, können wir nicht umhin, sein Wort in den Mittelpunkt zu stellen. Es ist prophetisch: Gott ermahnt uns nämlich mit der Stimme Jesajas und fordert uns zur Veränderung auf. Ermahnung und Veränderung sind die beiden Worte, zu denen ich heute Abend einige Gedanken vortragen möchte.
1. Ermahnung. Hören wir uns noch einmal einige göttliche Worte an: »Wenn ihr kommt, um vor meinem Angesicht zu erscheinen, [...] Bringt mir nicht länger nutzlose Gaben; [...] Wenn ihr eure Hände ausbreitet, verhülle ich meine Augen vor euch. Wenn ihr auch noch so viel betet, ich höre es nicht« (Jes 1,12.13.15). Was erregt die Empörung des Herrn derart, dass er das Volk, das er so sehr liebt, in einem solch entrüsteten Ton zurechtweist? Der Text nennt uns zwei Gründe. Vor allem tadelt er die Tatsache, dass in seinem Tempel, in seinem Namen, nicht das getan wird, was er will: nicht Weihrauch und Opfer, sondern dass den Unterdrückten geholfen wird, dass dem Waisen Gerechtigkeit widerfährt, dass die Sache der Witwe verteidigt wird (vgl. V. 17). In der Gesellschaft zur Zeit des Propheten war die – leider immer noch aktuelle – Neigung verbreitet, die Reichen und diejenigen, die viele Opfergaben brachten, als von Gott gesegnet zu betrachten und die Armen zu verachten. Aber das bedeutet, den Herrn völlig misszuverstehen. Jesus nennt die Armen selig (vgl. Lk 6,20), und im Gleichnis vom Jüngsten Gericht identifiziert er sich mit den Hungrigen, den Durstigen, den Fremden, den Bedürftigen, den Kranken und den Gefangenen (vgl. Mt 25,35-36). Das ist also der erste Grund für die Empörung: Gott leidet, wenn wir, die wir behaupten, seine Gläubigen zu sein, unserer eigenen Sichtweise gegenüber der seinen den Vorzug geben, den Urteilen der Erde statt denen des Himmels folgen, indem wir uns mit äußeren Ritualen begnügen und denen gegenüber gleichgültig bleiben, die ihm besonders am Herzen liegen. Gott ist also, so könnten wir sagen, über unser gleichgültiges Missverstehen betrübt.
Daneben gibt es noch einen zweiten und noch schwerwiegenderen Grund, der den Allerhöchsten kränkt: die gotteslästerliche Gewalt. Er sagt: »ich ertrage nicht Frevel und Feier. [...] Eure Hände sind voller Blut. [...] Schafft mir eure bösen Taten aus den Augen!« (Jes 1,13.15.16). Der Herr ist „erbost“ über die Gewalt, die dem Tempel Gottes, der der Mensch ist, angetan wird, während er in von Menschen errichteten Tempeln verehrt wird! Wir können uns vorstellen, mit welchem Schmerz er auf die Kriege und Gewalttaten blickt, die von Menschen unternommen werden, die sich Christen nennen. Wir erinnern uns an die Episode, in der ein Heiliger gegen die Grausamkeit des Königs protestierte, indem er während der Fastenzeit zu ihm ging, um ihm Fleisch anzubieten. Als der Herrscher mit Verweis auf seine Religiosität entrüstet ablehnte, fragte ihn der Gottesmann, warum er Skrupel habe, Tierfleisch zu essen, während er nicht zögere, Kinder Gottes zu töten.
Brüder und Schwestern, diese Ermahnung des Herrn gibt uns als Christen und als christliche Konfessionen viel zu denken. Ich möchte es noch einmal betonen: »Durch die Weiterentwicklung von Spiritualität und Theologie haben wir heute keine Entschuldigung mehr. Trotzdem gibt es immer noch jene, die meinen, ihr Glaube würde sie ermutigen oder es ihnen zumindest erlauben, verschiedene Formen von engstirnigen und gewalttätigen Nationalismen zu unterstützen, von fremdenfeindlichen Einstellungen, von Verachtung und sogar Misshandlungen von Menschen, die anders sind. Der Glaube muss zusammen mit der ihm innewohnenden Menschlichkeit ein kritisches Gespür gegenüber diesen Tendenzen lebendig halten und dazu beitragen, schnell zu reagieren, wenn sie sich einzunisten beginnen« (Enzyklika Fratelli tutti, 86). Wenn wir nach dem Beispiel des Apostels Paulus wollen, dass Gottes Gnade in uns nicht vergeblich ist (vgl. 1 Kor 15,10), müssen wir uns Krieg, Gewalt und Ungerechtigkeit entgegenstellen, wo immer sie sich einschleichen. Das Thema dieser Gebetswoche ist von einer Gruppe von Gläubigen aus Minnesota gewählt worden, die sich des an den indigenen Völkern in der Vergangenheit und an den Afroamerikanern in unseren Tagen begangenen Unrechts bewusst ist. Angesichts der verschiedenen Formen von Verachtung und Rassismus, angesichts von gleichgültigem Missverstehen und frevelhafter Gewalt ermahnt uns das Wort Gottes: »Lernt, Gutes zu tun! Sucht das Recht!« (Jes 1,17). Es genügt nämlich nicht, anzuklagen, man muss auch vom Bösen ablassen, vom Bösen zum Guten übergehen. Die Ermahnung zielt also auf unsere Veränderung ab.
2. Veränderung. Nachdem der Herr die Fehler diagnostiziert hat, verlangt er, sie zu beheben und sagt durch den Propheten: »Wascht euch, reinigt euch! [...] Hört auf, Böses zu tun!« (V. 16). Und da er weiß, dass wir bedrückt und von zu viel Schuld wie gelähmt sind, verspricht er, dass er selbst unsere Sünden abwaschen wird: »Kommt doch, wir wollen miteinander rechten, spricht der Herr. Sind eure Sünden wie Scharlach, weiß wie Schnee werden sie. Sind sie rot wie Purpur, wie Wolle werden sie« (V. 18). Liebe Freunde, von unserem Missverstehen Gottes und von der Gewalt, die in uns schwelt, können wir uns nicht alleine befreien. Ohne Gott, ohne seine Gnade, genesen wir nicht von unserer Sünde. Seine Gnade ist der Ursprung unserer Verwandlung. Daran erinnert uns das Leben des Apostels Paulus, dessen wir heute gedenken. Alleine schaffen wir es nicht, aber mit Gott ist alles möglich. Alleine schaffen wir es nicht, aber gemeinsam ist es möglich. Der Herr fordert die Seinen nämlich auf, sich gemeinsam zu bekehren. Die Bekehrung – ein oft gebrauchtes und nicht immer leicht zu verstehendes Wort – wird vom Volk erbeten, sie hat eine gemeinschaftliche, eine kirchliche Dynamik. Glauben wir also daran, dass auch unsere ökumenische Bekehrung in dem Maße voranschreitet, in dem wir uns als der Gnade bedürftig, ja als der Barmherzigkeit bedürftig erkennen: Indem wir uns alle als in allem von Gott abhängig erkennen, werden wir uns mit seiner Hilfe »eins« fühlen und tatsächlich »eins« sein (Joh 17,21), ja wirklich, Brüder und Schwestern.
Wie schön ist es, wenn wir uns gemeinsam, im Zeichen der Gnade des Heiligen Geistes, für diesen Perspektivenwechsel öffnen und von neuem entdecken: »Alle über den Erdkreis hin verstreuten Gläubigen stehen mit den übrigen im Heiligen Geiste in Gemeinschaft, und so weiß – wie der heilige Johannes Chrysostomus schrieb – „der, welcher zu Rom wohnt, dass die Inder seine Glieder sind“« (Lumen gentium, 13; In Io. hom. 65,1). Auf diesem Weg der Gemeinschaft bin ich dankbar, dass so viele Christen aus verschiedenen Gemeinschaften und Traditionen den synodalen Weg der katholischen Kirche, von dem ich hoffe, dass er immer ökumenischer wird, mit Teilnahme und Interesse begleiten. Aber vergessen wir nicht, dass gemeinsam unterwegs zu sein und zu erkennen, dass wir miteinander im Heiligen Geist in Gemeinschaft stehen, eine Veränderung, ein Wachstum mit sich bringt, das, wie Benedikt XVI. schrieb, »nur möglich [ist] aus der inneren Begegnung mit Gott heraus, die Willensgemeinschaft geworden ist und bis ins Gefühl hineinreicht. Dann lerne ich, diesen anderen nicht mehr bloß mit meinen Augen und Gefühlen anzusehen, sondern aus der Perspektive Jesu Christi heraus. Sein Freund ist mein Freund« (Enzyklika Deus caritas est, 18).
Möge der Apostel Paulus uns helfen, uns zu ändern, uns zu bekehren; möge er uns etwas von seinem unbeugsamen Mut erwirken. Denn auf unserem Weg kann es leicht passieren, dass man für die eigene Gruppe statt für das Reich Gottes arbeitet, dass man ungeduldig wird und die Hoffnung auf den Tag zu verliert, an dem »alle Christen zur selben Eucharistiefeier, zur Einheit der einen und einzigen Kirche versammelt werden, die Christus seiner Kirche von Anfang an geschenkt hat« (Dekret Unitatis redintegratio, 4). Aber gerade im Hinblick auf jenen Tag setzen wir unser Vertrauen auf Jesus, der unser Ostern und unser Friede ist: Während wir zu ihm beten und ihn anbeten, wirkt er. Und es tröstet uns, was er zu Paulus gesagt hat, und was wir auf einen jeden von uns beziehen dürfen: »Meine Gnade genügt dir« (2 Kor 12,9).
Liebe Freunde, ich wollte diese Gedanken, die das Wort Gottes in mir geweckt hat, in einem geschwisterlichen Geist mit euch teilen, damit wir uns, von Gott ermahnt, durch seine Gnade verändern und im Gebet, im Dienst, im Dialog und in der Zusammenarbeit auf jene volle Einheit hin wachsen, die Christus wünscht. Ich möchte euch nun von Herzen danken: Ich sage Dank Seiner Eminenz dem Metropoliten Polykarpos, dem Vertreter des Ökumenischen Patriarchats, Seiner Gnaden Ian Ernest, dem persönlichen Vertreter des Erzbischofs von Canterbury in Rom, und den Vertretern der anderen anwesenden christlichen Gemeinschaften. Meine tief empfundene Solidarität bekunde ich den Mitgliedern des Panukrainischen Rates der Kirchen und religiösen Organisationen. Ich grüße insbesondere die orthodoxen und orientalisch-orthodoxen Studenten, Stipendiaten des Komitees für kulturelle Zusammenarbeit mit den orthodoxen Kirchen im Dikasterium für die Einheit der Christen, und jene des Ökumenischen Instituts Bossey des Ökumenischen Rates der Kirchen. Einen herzlichen Gruß richte ich auch an Frère Alois und die Brüder von Taizé, die mit der Vorbereitung der Ökumenischen Gebetsvigil betraut sind, die der Eröffnung der nächsten Bischofssynode vorausgehen wird. Wir gehen alle gemeinsam auf dem Weg, den der Herr uns gewiesen hat, auf dem Weg der Einheit.
[00148-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]
Traduzione in lingua spagnola
Acabamos de escuchar la Palabra de Dios que ha marcado esta Semana de Oración por la Unidad de los Cristianos. Son palabras fuertes, tan fuertes que podrían parecer inoportunas mientras tenemos la alegría de encontrarnos como hermanos y hermanas en Cristo para celebrar una liturgia solemne de alabanza en su honor. No faltan hoy noticias tristes y preocupantes, por lo que con gusto prescindiríamos de los "reproches sociales" de la Escritura. Y aún así, si prestamos atención a las inquietudes del tiempo en que vivimos, con mayor razón hemos de interesarnos en lo que hace sufrir al Señor, por quien vivimos. Y si nos hemos reunido en su nombre, no podemos más que poner al centro su Palabra, que es profética. En efecto, Dios, con la voz de Isaías, nos amonesta y nos invita al cambio. Amonestación y cambio son las dos palabras sobre las que quisiera proponerles algunas ideas esta tarde.
1. Amonestación. Volvamos a escuchar algunas palabras divinas: «Cuando ustedes vienen a ver mi rostro, […] no me sigan trayendo vanas ofrendas; […] cuando extienden sus manos, yo cierro los ojos; por más que multipliquen las plegarias, yo no escucho» (Is 1,12.13.15). ¿Qué es lo que suscita la indignación del Señor, al punto de reclamarle al pueblo que tanto ama con ese tono tan furioso? El texto nos revela dos motivos. En primer lugar, Él critica el hecho de que, en su templo, en su nombre, no se cumple lo que Él quiere. No quiere ni incienso ni ofrendas, sino que el oprimido sea socorrido, que se haga justicia al huérfano, que se defienda a la viuda (cf. v. 17). En la sociedad del tiempo del profeta, se había difundido la tendencia —lamentablemente siempre actual— de considerar que los bendecidos por Dios eran los ricos y aquellos que hacían muchas ofrendas, despreciando a los pobres. Pero esto es malinterpretar completamente al Señor. Jesús llama bienaventurados a los pobres (cf. Lc 6,20), y en la parábola del juicio final se identifica con los que tienen hambre, los que tienen sed, los que están de paso, los necesitados, los enfermos y los encarcelados (cf. Mt 25,35-36). Este es el primer motivo de la indignación: Dios sufre cuando nosotros, que nos decimos ser fieles suyos, anteponemos nuestra visión a la suya; seguimos los criterios de la tierra antes que los del cielo, conformándonos con la ritualidad exterior y quedándonos indiferentes delante de aquellos que más le importan a Él. Por tanto, Dios siente dolor, podríamos decir, por nuestra comprensión errónea e indiferente.
Además de esto, hay un segundo motivo, más grave, que ofende al Altísimo: la violencia sacrílega. Él dice: «¡No puedo aguantar el delito y la fiesta! […] ¡las manos de ustedes están llenas de sangre! […] ¡Aparten de mi vista la maldad de sus acciones!» (Is 1,13.15.16). El Señor está “enfadado” por la violencia cometida contra el templo de Dios que es el hombre, mientras es honrado en los templos construidos por el hombre. Podemos imaginar con cuánto sufrimiento ha de presenciar guerras y acciones violentas realizadas por quien se profesa cristiano. Viene a la mente aquel episodio en el que un santo, con el fin de protestar contra la crueldad del rey, fue a verlo durante la Cuaresma para ofrecerle carne. Cuando el soberano, en nombre de su religiosidad, la rechazó indignado, el hombre de Dios le preguntó por qué le daba escrúpulo comer carne animal, cuando en cambio no titubeaba en entregar a la muerte a hijos de Dios.
Hermanos y hermanas, esta amonestación del Señor nos hace pensar mucho, como cristianos y como confesiones cristianas. Quisiera reiterar que «hoy, con el desarrollo de la espiritualidad y de la teología, no tenemos excusas. Sin embargo, todavía hay quienes parecen sentirse alentados o al menos autorizados por su fe para sostener diversas formas de nacionalismos cerrados y violentos, actitudes xenófobas, desprecios e incluso maltratos hacia los que son diferentes. La fe, con el humanismo que encierra, debe mantener vivo un sentido crítico frente a estas tendencias, y ayudar a reaccionar rápidamente cuando comienzan a insinuarse» (Carta enc. Fratelli tutti, 86). Si queremos, a ejemplo del apóstol Pablo, que la gracia de Dios en nosotros no sea estéril (cf. 1 Co 15,10), hemos de oponernos a la guerra, a la violencia y a la injusticia en todo lugar donde se insinúen. El tema de esta semana de oración fue elegido por un grupo de fieles de Minnesota, conscientes de las injusticias cometidas en el pasado respecto a los pueblos indígenas y contra los afroamericanos en nuestros días. Frente a las diversas formas de desprecio y racismo; frente a la comprensión errónea e indiferente y a la violencia sacrílega, la Palabra de Dios nos amonesta: «¡Aprendan a hacer el bien! ¡Busquen el derecho!» (Is 1,17). En efecto, no es suficiente denunciar; es necesario también renunciar al mal, pasar del mal al bien. La amonestación, por tanto, está encaminada a nuestro cambio.
2. Cambio. Habiendo diagnosticado los errores, el Señor pide remediarlos y, por medio del profeta, dice: «¡Lávense, purifíquense! […] ¡Cesen de hacer el mal!» (v. 16). Y sabiendo que estamos oprimidos o como paralizados por tantas culpas, promete que Él lavará nuestros pecados: «Vengan y discutamos —dice el Señor—: Aunque sus pecados sean como la escarlata, se volverán blancos como la nieve; aunque sean rojos como la púrpura, serán como la lana» (v. 18). Queridos hermanos y hermanas, por nosotros mismos no somos capaces de liberarnos de nuestras malas comprensiones de Dios y de la violencia que se incuba en nuestro interior. Sin Dios, sin su gracia, no nos curamos de nuestro pecado. Su gracia es la fuente de nuestro cambio. Nos lo recuerda la vida del apóstol Pablo, que hoy recordamos. No podemos lograrlo nosotros solos, pero con Dios todo es posible; solos no podemos, pero juntos es posible. En efecto, el Señor pide a los suyos que se conviertan, juntos. La conversión —esta palabra que se repite tanto, pero que no siempre es fácil de entender— se pide al pueblo; tiene una dinámica comunitaria, eclesial. Por tanto, creamos que también nuestra conversión ecuménica avanza en la medida en que nos reconocemos necesitados de gracia; necesitados de la misma misericordia; sabiendo que todos dependemos en todo de Dios, nos sentiremos y seremos, con su ayuda, verdaderamente uno (cf. Jn 17,21), hermanos de verdad.
Qué hermoso es que juntos, en el signo de la gracia del Espíritu, nos abramos a este cambio de perspectiva, redescubriendo que «todos los fieles dispersos por el orbe comunican con los demás en el Espíritu Santo, y así —como escribió San Juan Crisóstomo—, quien habita en Roma sabe que los de la India son miembros suyos» (Lumen gentium, 13; In Io. hom. 65,1). En este camino de comunión, estoy agradecido de que tantos cristianos de varias comunidades y tradiciones estén acompañando, con participación e interés, el camino sinodal de la Iglesia católica, que deseo que sea cada vez más ecuménico. Pero no olvidemos que caminar juntos y reconocernos en comunión los unos con los otros en el Espíritu Santo implica un cambio, un crecimiento que sólo puede suceder, como escribía Benedicto XVI, «a partir del encuentro íntimo con Dios, un encuentro que se ha convertido en comunión de voluntad, llegando a implicar el sentimiento. Entonces aprendo a mirar a esta otra persona no ya sólo con mis ojos y sentimientos, sino desde la perspectiva de Jesucristo. Su amigo es mi amigo» (Carta enc. Deus caritas est, 18).
Que el apóstol Pablo nos ayude a cambiar, a convertirnos; que nos dé un poco de su valentía indómita. Porque, en nuestro camino, es fácil trabajar por el propio grupo más que por el Reino de Dios, impacientarse, perder la esperanza de que llegue aquel día en que «todos los cristianos se congreguen en una única celebración de la Eucaristía, en orden a la unidad de la una y única Iglesia, a la unidad que Cristo dio a su Iglesia desde un principio» (Decr. Unitatis redintegratio, 4). Pero justamente en vista de ese día, volvamos a poner nuestra confianza en Jesús, nuestra Pascua y nuestra paz. Mientras le rezamos y lo adoramos, Él obra. Y nos conforta lo que dijo a Pablo, y que podemos sentir dirigido a cada uno de nosotros: «Te basta mi gracia» (2 Co 12,9).
Queridos hermanos y hermanas, quise compartir, en espíritu fraterno, estos pensamientos que la Palabra me ha suscitado, para que, amonestados por Dios, por su gracia cambiemos y crezcamos en la oración, el servicio, el diálogo y el trabajo juntos hacia aquella plena unidad que Cristo desea. Ahora quisiera agradecerles de corazón, expresando mi reconocimiento a Su Eminencia, el Metropolita Policarpo, Representante del Patriarcado Ecuménico; a Su Gracia Ian Ernest, Representante personal del Arzobispo de Canterbury en Roma; y a los representantes de las demás comunidades cristianas presentes. Expreso una profunda solidaridad a los miembros del Consejo Panucraniano de las Iglesias y de las Organizaciones Religiosas. En particular, saludo a los estudiantes ortodoxos y ortodoxos orientales, a los becarios del Comité de colaboración cultural con las Iglesias Ortodoxas ante el Dicasterio para la Promoción de la Unidad de los Cristianos y a los miembros del Instituto Ecuménico de Bossey del Consejo Ecuménico de las Iglesias. También saludo cordialmente a Frère Alois y a los hermanos de Taizé, comprometidos en la preparación de la Vigilia ecuménica de oración que precederá la apertura de la próxima sesión del Sínodo de los obispos. Todos juntos caminemos por el camino que el Señor nos ha puesto delante, el de la unidad.
[00148-ES.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua portoghese
Acabamos de ouvir a Palavra de Deus que acompanhou esta Semana de Oração pela Unidade dos Cristãos. São palavras fortes, tão fortes que poderiam parecer inoportunas no meio desta alegria que temos de nos encontrar como irmãos e irmãs em Cristo para celebrar uma solene liturgia em seu louvor. Hoje, quando já não faltam notícias tristes e preocupantes, de bom grado dispensaríamos «censuras sociais» da Escritura. Mas, se prestamos ouvidos às inquietações deste tempo em que vivemos, com maior razão deveríamos interessar-nos por aquilo que faz sofrer o Senhor, por Quem vivemos; e se nos reunimos em seu nome, a única possibilidade que nos resta é colocar no centro a sua Palavra. Esta é profética: de facto Deus, pela voz de Isaías, adverte-nos, convidando à mudança. Advertência e mudança são as duas palavras à volta das quais vos quero oferecer algumas ideias nesta tarde.
1. Advertência. Voltemos a escutar algumas das palavras divinas: «Ao pisardes o meu santuário, (…) não Me ofereçais mais dons inúteis. (…) Quando levantais as vossas mãos, afasto de vós os meus olhos; podeis multiplicar as vossas preces, que Eu não as atendo» (Is 1, 12.13.15). O que é que suscita a indignação do Senhor, a ponto de censurar com tons assim indignados o povo que tanto ama? O texto revela-nos dois motivos. Em primeiro lugar, censura o facto de que aquilo que se faz em seu nome, no seu templo, não é o que Ele quer: não deseja incenso nem ofertas, mas que se socorra o oprimido, seja feita justiça ao órfão, seja defendida a causa da viúva (cf. 1, 17). Na sociedade do tempo do profeta, encontrava-se difusa a tendência – infelizmente sempre atual – de considerar abençoados por Deus os ricos e quantos faziam muitas ofertas, e desprezar os pobres. Mas isto é compreender mal o Senhor, que proclama felizes os pobres (cf. Lc 6, 20) e, na parábola do juízo final, identifica-Se com os famintos, os sedentos, os forasteiros, os necessitados, os doentes, os presos (cf. Mt 25, 35-36). Temos aqui o primeiro motivo de indignação: Deus sofre quando nós, que nos dizemos seus fiéis, antepomos a nossa visão à d’Ele, seguimos os critérios da terra em vez dos do Céu, contentando-nos com um ritualismo exterior e permanecendo indiferentes face àqueles que mais Lhe estão a peito. Assim Deus sofre, poderíamos dizer, com tal indiferença resultante do mal-entendido.
Além disso, há um segundo motivo, mais grave, que ofende o Altíssimo: a violência sacrílega. Diz Ele: «As festas e as solenidades são-Me insuportáveis. (…) É que as vossas mãos estão cheias de sangue. (…) Tirai da frente dos meus olhos a malícia das vossas ações» (Is 1, 13.15.16). O Senhor está «irritado» com a violência cometida contra o templo de Deus que é o homem, enquanto Ele é honrado nos templos construídos pelo homem. Podemos imaginar com quanto sofrimento assistirá Ele a guerras e ações violentas empreendidas por quem se professa cristão! Vem-me à mente aquele episódio em que um santo protestou contra a crueldade do rei indo ter com ele, na Quaresma, para lhe oferecer carne, uma oferta que o soberano, em nome da sua religiosidade, recusou indignado. Então o homem de Deus perguntou-lhe por que tinha escrúpulos em comer carne animal, quando não hesitava em condenar à morte filhos de Deus.
Irmãos e irmãs, esta advertência do Senhor dá-nos muito que pensar, como cristãos e como Confissões cristãs. Quero reiterar que «hoje, com o desenvolvimento da espiritualidade e da teologia, não temos desculpas. Todavia ainda há aqueles que parecem sentir-se encorajados ou pelo menos autorizados pela sua fé a defender várias formas de nacionalismo fechado e violento, atitudes xenófobas, desprezo e até maus-tratos àqueles que são diferentes. A fé, com o humanismo que inspira, deve manter vivo um sentido crítico perante estas tendências e ajudar a reagir rapidamente quando começam a insinuar-se» (Francisco, Enc. Fratelli tutti, 86). Se quisermos, a exemplo do Apóstolo Paulo, que a graça de Deus em nós não seja estéril (cf. 1 Cor 15, 10), devemos opor-nos à guerra, à violência e à injustiça onde quer que se insinuem. O tema desta Semana de Oração foi escolhido por um grupo de fiéis do Minesota, conscientes das injustiças perpetradas no passado contra as populações indígenas e, nos nosso dias, contra os afro-americanos. Frente às várias formas de desprezo e racismo, perante tal indiferença resultante do mal-entendido e a violência sacrílega, a Palavra de Deus adverte-nos: «Aprendei a fazer o bem, procurai o que é justo» (Is 1, 17). De facto, não basta denunciar, é preciso também renunciar ao mal, passar do mal ao bem. Vemos assim que a advertência tem em vista a nossa mudança.
2. Mudança. Diagnosticados os erros, o Senhor pede para lhes pormos remédio dizendo por meio do profeta: «Lavai-vos, purificai-vos (...). Cessai de fazer o mal» (1, 16). E, sabendo-nos oprimidos e como que paralisados por tantas faltas, promete que será Ele próprio a lavar os nossos pecados: «Vinde agora, entendamo-nos – diz o Senhor. Mesmo que os vossos pecados sejam como escarlate, tornar-se-ão brancos como a neve. Mesmo que sejam vermelhos como a púrpura, ficarão brancos como a lã» (1, 18). Queridos amigos, não somos capazes de nos libertar sozinhos dos nossos mal-entendidos sobre Deus nem da violência que se aninha dentro de nós. Sem Deus, sem a sua graça, não saramos do nosso pecado. A sua graça é a fonte da nossa mudança. No-lo recorda a vida do Apóstolo Paulo, cuja conversão hoje celebramos. Sozinhos não conseguimos, mas com Deus tudo é possível; sozinhos não conseguimos, mas juntos é possível. Na realidade, o Senhor pede conjuntamente aos seus para se converterem. A conversão – palavra tão repetida, mas nem sempre fácil de compreender – é pedida ao povo, tem uma dinâmica comunitária, eclesial. Por isso acreditamos que também a nossa conversão ecuménica progredirá na medida em que nos reconhecermos carecidos da graça, necessitados da mesma misericórdia: reconhecendo que todos dependemos de Deus em tudo, com a ajuda d’Ele sentir-nos-emos e seremos verdadeiramente «um só» (Jo 17, 21), seremos irmãos a sério.
É bom abrirmo-nos juntos, no sinal da graça do Espírito, a esta mudança de perspetiva, descobrindo que «todos os fiéis espalhados pelo orbe comunicam com os restantes por meio do Espírito Santo, de maneira que “aquele que vive em Roma – como escrevia S. João Crisóstomo – sabe que os indianos são membros seus”» (Conc. Ecum. Vat. II, Const. dogm. Lumen gentium, 13; cf. S. João Crisóstomo, in Johannum homiliae 65, 1). Neste caminho de comunhão, agradeço por tantos cristãos de várias comunidades e tradições estarem a acompanhar, com participação e interesse, o percurso sinodal da Igreja católica, que espero se torne cada vez mais ecuménico. Mas não esqueçamos que este caminhar juntos e reconhecer-nos em comunhão uns com os outros no Espírito Santo implica uma mudança, um crescimento que só se pode verificar, como escreveu Bento XVI, «a partir do encontro íntimo com Deus, um encontro que se tornou comunhão de vontade, chegando mesmo a tocar o sentimento. Então aprendo a ver aquela pessoa já não somente com os meus olhos e sentimentos, mas segundo a perspetiva de Jesus Cristo. O seu amigo é meu amigo» (Enc. Deus caritas est, 18).
Que o Apóstolo Paulo nos ajude a mudar, a converter-nos; nos obtenha um pouco da sua invicta coragem. Pois, no nosso caminho, é fácil pormo-nos a trabalhar para o próprio grupo em vez de o fazer pelo Reino de Deus, impacientarmo-nos, perdermos a esperança daquele dia em que «todos os cristãos se congreguem numa única celebração da Eucaristia e unidade de uma única Igreja. Esta unidade, desde o início, Cristo a concedeu à sua Igreja» (Conc. Ecum. Vat. II, Decr. Unitatis redintegratio, 4). Ora com os olhos postos precisamente naquele dia, coloquemos a nossa confiança em Jesus, nossa Páscoa e nossa paz: enquanto O invocamos e adoramos, Ele atua. E conforta-nos o que Ele disse a Paulo, podendo ouvi-lo dirigido a cada um de nós: «Basta-te a minha graça» (2 Cor 12, 9).
Queridos amigos, quis partilhar com espírito fraterno estes pensamentos suscitados em mim pela Palavra, para que, advertidos por Deus, mudemos pela sua graça e cresçamos, juntos, na oração, no serviço, no diálogo e no trabalho para aquela unidade plena que Cristo deseja. Agora quero agradecer-vos de coração… Expresso o meu reconhecimento a Sua Eminência o Metropolita Polykarpos, Representante do Patriarcado Ecuménico, a Sua Graça Ian Ernest, Representante pessoal em Roma do Arcebispo de Cantuária, e aos Representantes das outras Comunidades cristãs presentes. Exprimo viva solidariedade aos membros do Conselho Pan-Ucraniano das Igrejas e das Organizações religiosas. Saúdo os estudantes ortodoxos e ortodoxos orientais bolseiros do Comité para a Colaboração Cultural com as Igrejas Ortodoxas do Dicastério para a Promoção da Unidade dos Cristãos, e os do Instituto Ecuménico de Bossey do Conselho Ecuménico das Igrejas. Uma saudação amiga também a Frére Alois e aos irmãos de Taizé, empenhados na preparação da Vigília ecuménica de oração que precederá a abertura da próxima sessão do Sínodo dos Bispos. Caminhemos, todos juntos, pela via que o Senhor nos propôs: a da unidade.
[00148-PO.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua polacca
Dopiero co wysłuchaliśmy słowa Bożego, które charakteryzowało ten Tydzień Modlitw o Jedność Chrześcijan. Są to słowa mocne, tak mocne, że mogłyby wydawać się niestosowne w chwili, gdy przeżywamy radość spotkania jako bracia i siostry w Chrystusie, aby celebrować uroczystą liturgię ku Jego chwale. Już dziś nie brakuje smutnych i niepokojących wiadomości, tak że chętnie byśmy się obeszli bez „społecznych wyrzutów” Pisma świętego! Jeśli jednak posłuchamy niepokojów czasów, w których żyjemy, tym bardziej powinniśmy się zainteresować tym, co sprawia, iż cierpi Pan dla którego żyjemy; a jeśli zgromadziliśmy się w Jego imię, to nie możemy nie umieścić w centrum Jego słowa. Jest ono prorocze: Bóg faktycznie, głosem Izajasza, przestrzega nas i zaprasza do przemiany. Przestroga i przemiana to dwa słowa, na temat których chciałbym dziś wieczorem zaproponować wam kilka spostrzeżeń.
1. Przestroga. Posłuchajmy raz jeszcze niektórych słów Bożych: „Gdy przychodzicie, by stanąć przede Mną. [...] Zaprzestańcie składania czczych ofiar! [...] Gdy wyciągniecie ręce, odwrócę od was me oczy. Choćbyście nawet mnożyli modlitwy, Ja nie wysłucham” (Iz 1, 12.13.15). Co rozbudza oburzenie Pana, do tego stopnia, że gani w tak gniewnych tonach lud, który tak bardzo miłuje? Tekst ujawnia dwa powody. Przede wszystkim, krytykuje fakt, że w Jego świątyni, w Jego imieniu, nie spełnia się to, czego On sam pragnie: nie kadzideł i ofiar, lecz aby pomagano uciśnionym, by wymierzano sprawiedliwość sierocie, by broniono sprawy wdowy (por. w. 17). W społeczeństwie czasów proroka istniała powszechna tendencja – niestety stale aktualna – do uznawania bogatych i składających liczne ofiary za błogosławionych przez Boga, a gardzenia ubogimi. Jest to jednak całkowite niezrozumienie Pana. Jezus ogłasza ubogich błogosławionymi (por. Łk 6, 20), a w przypowieści o Sądzie Ostatecznym utożsamia się z głodnymi, spragnionymi, obcymi, potrzebującymi, chorymi, uwięzionymi (por. Mt 25, 35-36). Oto więc pierwszy powód oburzenia: Bóg cierpi, gdy my, uważający się za Jego wiernych, przedkładamy nasze wizje ponad Jego, kierujemy się raczej osądami ziemskimi niż tymi z Nieba, zadowalając się obrzędami zewnętrznymi i pozostając obojętnymi wobec tych, o których On najbardziej się troszczy. Bóg zatem smuci się, można powiedzieć, z powodu naszego niezrozumienia wynikającego z obojętności.
Oprócz tego jest jeszcze drugi i poważniejszy powód, który obraża Najwyższego: świętokradcza przemoc. Mówi: „nie znoszę uroczystych obrzędów naznaczonych grzechem. [...] Ręce wasze są pełne krwi! [...] Usuńcie sprzed mojego oblicza zło waszych niecnych czynów” (Iz 1, 13.15.16). Pan jest „rozgniewany” przemocą popełnianą wobec świątyni Boga, jaką jest człowiek, podczas gdy jest czczony w świątyniach zbudowanych przez człowieka! Możemy sobie wyobrazić, jak bardzo musi cierpieć, będąc świadkiem wojen i brutalnych działań popełnianych przez tych, którzy wyznają chrześcijaństwo. Przychodzi na myśl wydarzenie, kiedy pewien święty zaprotestował przeciwko okrucieństwu króla, udając się do niego w okresie Wielkiego Postu, żeby ofiarować mu mięso. Kiedy władca, w imię swojej religijności, z oburzeniem odmówił, mąż Boży zapytał go, dlaczego ma skrupuły przed spożywaniem mięsa zwierzęcego, podczas gdy nie waha się skazywać na śmierć dzieci Bożych.
Bracia i siostry, ta przestroga Pana daje nam wiele do myślenia, jako chrześcijanom i jako wyznaniom chrześcijańskim. Chciałbym powtórzyć, że „dziś, wraz z rozwojem duchowości i teologii, nie mamy żadnych wymówek. Wciąż jednak są tacy, którzy utrzymują, iż czują się zachęcani lub przynajmniej upoważnieni przez swoją wiarę do wspierania różnych form zamkniętego i agresywnego nacjonalizmu, postaw ksenofobicznych, pogardy, a nawet znęcania się, wobec tych, którzy są odmienni. Wiara, wraz z inspirującym ją humanizmem, musi podtrzymywać zmysł krytyczny w obliczu tych tendencji i pomóc szybko reagować, gdy zaczną do niej przenikać” (Enc. Fratelli tutti, 86). Jeśli chcemy, za przykładem apostoła Pawła, aby łaska Boża w nas nie była daremna (por. 1 Kor 15, 10), musimy sprzeciwiać się wojnie, przemocy, niesprawiedliwości, gdziekolwiek zaistnieją. Temat tego Tygodnia modlitw został wybrany przez grupę wiernych w Minnesocie, świadomych niesprawiedliwości popełnianych wobec rdzennych mieszkańców w przeszłości i wobec Afroamerykanów w naszych czasach. W obliczu różnych form pogardy i rasizmu, w obliczu obojętnego niezrozumienia i świętokradczej przemocy, Słowo Boże napomina nas: „Zaprawiajcie się w dobru! Troszczcie się o sprawiedliwość” (Iz 1, 17). Nie wystarczy potępiać, trzeba też wyrzec się zła, przejść od zła ku dobru. Tutaj napomnienie jest skierowane na naszą przemianę.
2. Przemiana. Po zdiagnozowaniu błędów Pan prosi o ich naprawienie, i przez proroka mówi: „Obmyjcie się i oczyśćcie! [...] Przestańcie czynić zło!” (w. 16). A wiedząc, że jesteśmy uciemiężeni i jakby sparaliżowani przez nazbyt wiele grzechów, obiecuje, że to On będzie tym, który zmyje nasze grzechy: „Chodźcie i spór ze Mną wiedźcie! – mówi Pan. Choćby wasze grzechy były jak szkarłat, jak śnieg wybieleją; choćby były czerwone jak purpura, staną się [białe] jak wełna” (w. 18). Umiłowani, od naszego niezrozumienia Boga i kryjącej się w nas przemocy nie jesteśmy w stanie uwolnić się o własnych siłach. Bez Boga, bez Jego łaski, nie uzdrowimy się z naszego grzechu. Jego łaska jest źródłem naszej przemiany. Przypomina nam o tym życie apostoła Pawła, którego dziś wspominamy. Sami nie możemy tego uczynić, ale u Boga wszystko jest możliwe; sami nie możemy tego uczynić, ale razem jest to możliwe. Istotnie Pan prosi swoich o nawrócenie się. Nawrócenie – to słowo bardzo powtarzane i nie zawsze łatwe do zrozumienia – wymagane od ludu, ma dynamikę wspólnotową, eklezjalną. Wierzymy zatem, że także nasze ekumeniczne nawrócenie postępuje również w takim stopniu, w jakim uznajemy siebie za potrzebujących łaski, potrzebujących tego samego miłosierdzia: uznając, że wszyscy we wszystkim zależymy od Boga, poczujemy się i będziemy naprawdę, z Jego pomocą – „jedno” (J 17, 21), naprawdę braćmi.
Jakże pięknie jest otworzyć się wspólnie, pod łaską Ducha Świętego, na tę przemianę perspektywy, odkrywając na nowo, że „wszyscy wierni, rozproszeni po świecie, mają ze sobą łączność w Duchu Świętym, i w ten sposób – jak pisał św. Jan Chryzostom – «mieszkaniec Rzymu, wie, że Hindusi są członkami tego samego, co on organizmu»” (Konst. dogmat. Lumen gentium, 13; In Io. hom. 65, 1). W tej drodze komunii jestem wdzięczny, że tak wielu chrześcijan z różnych wspólnot i tradycji aktywnie i z zainteresowaniem towarzyszy synodalnej drodze Kościoła katolickiego, która – mam nadzieję – będzie coraz bardziej ekumeniczna. Nie zapominajmy jednak, że podążanie razem i uznanie, że jesteśmy ze sobą w komunii w Duchu Świętym pociąga za sobą zmianę, wzrost, który może nastąpić tylko – jak pisał Benedykt XVI – „kiedy jej punktem wyjścia jest intymne spotkanie z Bogiem, spotkanie, które stało się zjednoczeniem woli, a które pobudza także uczucia. Właśnie wtedy uczę się patrzeć na inną osobę nie tylko jedynie moimi oczyma i poprzez moje uczucia, ale również z perspektywy Jezusa Chrystusa. Jego przyjaciel jest moim przyjacielem” (Enc. Deus caritas est, 18).
Niech apostoł Paweł pomoże nam się zmienić, nawrócić; niech nam wyjedna nieco swojej niezłomnej odwagi. Na naszej drodze bowiem łatwo jest pracować raczej dla własnej grupy niż dla Królestwa Bożego, zniecierpliwić się, stracić nadzieję na ten dzień, w którym „wszyscy chrześcijanie skupią się przez jedno sprawowanie Eucharystii w jedności jednego i jedynego Kościoła, której Chrystus od początku udzielił swojemu Kościołowi” (Dekret Unitatis redintegratio, 4). Ale właśnie w perspektywie tego dnia pokładamy naszą ufność w Jezusie, który jest naszą Paschą i naszym pokojem: podczas gdy się modlimy i oddajmy Mu cześć, On działa. I pociesza nas to, co powiedział Pawłowi, a co możemy usłyszeć jako skierowane do każdego z nas: „Wystarczy ci mojej łaski” (2 Kor 12, 9).
Najmilsi, pragnąłem podzielić się w duchu braterskim tymi myślami, które wzbudziło we mnie Słowo, abyśmy przestrzeżeni przez Boga, dzięki Jego łasce przemieniali się i wzrastali w modlitwie, służbie, dialogu i wspólnej pracy ku tej pełnej jedności, której pragnie Chrystus. Chciałbym teraz serdecznie podziękować: wyrażam wdzięczność Jego Eminencji Metropolicie Polikarpowi, przedstawicielowi Patriarchatu Ekumenicznego, Jego Ekscelencji Ianowi Ernestowi, osobistemu przedstawicielowi Arcybiskupa Canterbury w Rzymie, oraz innym obecnym przedstawicielom wspólnot chrześcijańskich. Wyrażam głęboką solidarność z członkami Wszechukraińskiej Rady Kościołów i Organizacji Religijnych. Pozdrawiam studentów prawosławnych i ortodoksyjnych wschodnich, stypendystów Komisji ds. Współpracy Kulturalnej z Kościołami Prawosławnymi przy Dykasterii ds. Popierania Jedności Chrześcijan oraz studentów z Instytutu Ekumenicznego w Bossey należącego do Ekumenicznej Rady Kościołów. Serdecznie pozdrawiam również Brata Aloisa i braci z Taizé, zaangażowanych w przygotowanie ekumenicznego czuwania modlitewnego, które poprzedzi otwarcie najbliższej sesji Synodu Biskupów. Idźmy wszyscy razem drogą, którą Pan nam wyznaczył, drogą jedności.
[00148-PL.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua araba
عظة قداسة البابا فرنسيس
في صلاة الغروب يوم عيد اهتداء القدّيس بولس
في ختام أسبوع الصّلاة من أجل وَحدة المسيحيّين
25 كانون الثاني/يناير 2023
بازيليكا القدّيس بولس خارج الأسوار
أصغينا قبل قليل إلى كلمة الله التي ميّزت أسبوع الصّلاة هذا من أجل وَحدة المسيحيّين. إنّها كلمات قويّة، وقويّة جدًّا لدرجة أنّها قد تبدو غير لائقة بينما نفرح في لقائِنا بعضِنا مع بعض، إخوةً وأخواتٍ في المسيح لكي نحتفل بليتورجيّا احتفاليّة لتسبيحهِ. لا تنقص اليوم الأخبار المُحزنة والمُقلقة، لهذا قد نَستغنِي بسرور عن ”التّنديدات الاجتماعيّة“ في الكتاب المقدّس! ومع ذلك، إن أصغينا بانتباه إلى قلق الوقت الذي نعيش فيه، فبأولى حجّة، يجب أن يزداد اهتمامنا بما يجعل الرّبّ يسوع يتألّم من الوضع الذي نعيشه. وإن اجتمعنا باسمه، لا يمكننا إلّا أن نَضَعَ كلمته في المركز. إنّها كلمة نبويّة: في الواقع، الله، بصوت أشعيا، يحذّرنا ويدعونا إلى التّغيير. التّحذير والتّغيير هما الكلمتان اللّتان حولهما أودّ أن أقدّم لكم بعض الأفكار هذا المساء.
1. التّحذير. لنستمع من جديد إلى بعض الكلمات الإلهيّة: "حينَ تَأتونَ لِتَحضُروا أَمامي، [...] لا تَعودوا تأتوني بِتَقدِمَةٍ باطِلَة، [...] فحينَ تَبسُطونَ أَيدِيَكم أَحجُبُ عَينَيَّ عنكم، وإِن أَكثَرتُم مِنَ الصَّلاةِ لا أَستَمِعُ لَكم" (أشعيا 1، 12. 13. 15). ما الذي أثار سخط الله، لدرجة أنّه دعا الشّعب الذي أحبّه كثيرًا بلهجة سخط مثل هذه؟ كشف لنا النّص عن سببَين. أوّلًا، يلوم الله شعبه على ما يحدث في هيكله، وباسمه، حيث لا يتِمّ ما يريد: لا يريد بخورًا ولا تقدِمات، بل أن يقوّموا الظّالم، ويُنصفوا اليتيم، ويحاموا عن الأرملة (راجع الآية 17). في المجتمع، في زمن النّبي، كان مُنتشرًا المَيل إلى اعتبار الأغنياء والذين يقدّمون الحسنات الكثيرة، هُم المباركين أمام الله، ولو أنّهم يحتقرون الفقراء - للأسف لا يزال هذا الأمر حاضرًا -. لكن هذا سوءُ فهمٍ كاملٍ لله. أعلن يسوع أنّ الفقراء هم المباركون (راجع لوقا 6، 20)، وفي مثل الدّينونة العُظمى ساوى نفسه بالجائعين والعِطَاش والغُرباء والمحتاجين والمرضى والسّجناء (راجع متّى 25، 35-36). هذا هو السّبب الأوّل للسّخط: الله يتألّم عندما نقدِّم رؤيتنا على رؤيته، نحن الذين نُسمّي أنفسنا مؤمنين به، ونتبع أحكام الأرض بدل أحكام السّماء، ونكتفي بالطّقوس الخارجيّة ونبقى غير مبالين بالذين يهتمّ لهم الرّبّ يسوع كثيرًا. لذلك، يمكننا أن نقول، إنّ الله يحزن من أجل سوءِ فهمنا ولامبالاتنا.
بالإضافة إلى ذلك، هناك سببٌ ثانٍ وأكثر خُطورة، الذي يُسيءُ إلى العَلِيّ، وهو: العنف والنّفاق في المقدّسات. قال الرّبّ: "لا أُطيقُ الإِثمَ والاحتِفال. […] لأَنَّ أَيدِيَكم مَمْلوءَةٌ مِنَ الدِّماء. [...] أَزيلوا شَرَّ أَعْمالِكم مِن أَمامِ عَينَيَّ" (أشعيا 1، 13. 15. 16). ”استاء“ الرّبّ من العنف الذي يتعرّض له هيكل الله، الذي هو الإنسان، بينما يكرّمونه في هياكل من صنع الإنسان! يمكننا أن نتصوّر جسامة الألم في الله عندما ينظر اليوم إلى الحروب وأعمال العنف التي يقوم بها الذين يعترفون بأنّهم مسيحيّون. يخطر ببالي تلك الحادثة التي فيها احتجّ أحد القدّيسين على وحشيّة الملك عندما ذهب إليه في زمن الصّوم وقدّمَ له لحمًا ليأكل، وعندما رفض الملك، باسم تديّنه، وبسخط، سأله رجل الله لماذا تتردّد في أكل لحوم الحيوانات بينما لم تتردّد في أن تقتل أبناء الله.
أيّها الإخوة والأخوات، تحذير الله هذا يجعلنا نفكّر كثيرًا، مسيحيّين وطوائف مسيحيّة. أودّ أن أكرّر أنّ "اليوم، مع تطوّر الرّوحانيّة واللاهوت، ليس لدينا أعذار. ومع ذلك، لا يزال هناك أشخاص يبدو أنّهم يعتقدون أنّ دينهم يسمح لهم أو يدفعهم لأن يساندوا أشكالًا مختلفة من القوميّات المغلقة والعنيفة، ومواقفَ معادية للغرباء، والازدراءَ تجاه الذين ليسوا مثلهم، وحتّى سوءَ معاملتهم. الإيمان، وروح الإنسانيّة التي يلهمها، يجب أن يحافظ على حسّ نقديّ حيّ إزاء هذه النّزعات، وأن يساعد على مقاومة سريعة عندما تبدأ بالظهور" (رسالة بابويّة عامّة، كلّنا إخوة - Fratelli tutti، 86). إن أردنا، على مثال بولس الرّسول، ألّا تذهب نعمة الله فينا سُدًى (راجع 1 قورنتس 15، 10)، علينا أن نحتجّ على الحرب، والعنف والظّلم أينما تسربت. اختَارَ موضوع أسبوع الصّلاة هذا، مجموعة من المؤمنين من مينيسوتا، الذين يذكرون المظالم التي ارتُكِبَت في الماضي في حقّ الشّعوب الأصليّة، والأمريكيّين الأفارقة في أيامنا هذه. أمام أشكال الازدراء والعنصريّة المختلفة، وأمام سوء الفهم اللامُبالي والعنف والنّفاق في المقدّسات، تحذّرنا كلمة الله، قائلة: "تَعَلَّموا الإِحسانَ والتَمِسوا الحَقّ" (أشعيا 1، 17). في الواقع، لا يكفي أن ننَدِّد، بل يجب أن أيضًا أن نتخلّى عن الشّرّ، وننتقل من الشّرّ إلى الخير. هذا هو التّحذير الموجه إلينا لنغيّر أنفسنا.
2. التّغيير. بعد تشخيص الأخطاء، يطلب الله تصحيحها، وعلى لسان النّبيّ قال: "اغتَسِلوا وتَطَهَّروا [...]. وكُفُّوا عنِ الإِساءَة" (الآية 16). بما أنّ خطايانا الكثيرة تضغط علينا، وتشلُّنا، فإنّه يَعِدُنا أنّه سيكون هو الذي سيغسل خطايانا: "تَعالَوا نَتَناقَش، يَقولُ الرَّبّ، لَو كانَت خَطاياكم كالقِرمِزِ تَبيَضُّ كالثَّلْج، ولو كانَت حَمْراءَ كالأُرجُوان تَصيرُ كالصُّوف" (الآية 18). أيّها الأعزّاء، بسبب سوء فهمِنا لله والعنف الرابض فينا، لا يمكننا أن نتحرّر وحدنا. من دون الله ومن دون نعمته لن نشفى من خطايانا. نعمته هي مصدر تغييرنا. وتُذكّرنا بذلك حياة بولس الرّسول، الذي نُحيي ذكراه اليوم. لا يمكننا أن نعمل شيئًا وحدنا، لكن مع الله كلّ شيء ممكن. لا يمكننا أن نعمل ذلك وحدنا، لكن معًا ذلك ممكن. في الواقع، طلب الرّبّ يسوع من تلاميذه أن يتوبوا معًا. التّوبة والاهتداء – هذه الكلمة التي تتردّد كثيرًا وليس من السّهل دائمًا أن نفهم معناها - مطلوب من الشّعب، لأنّ له ديناميكيّة جماعيّة وكنسيّة. لذلك نحن نؤمن أنّ توبتنا المسكونيّة تتطوّر أيضًا بالمقياس الذي به نعترف بأنّنا مُحتاجون إلى النّعمة ومُحتاجون إلى الرّحمة نفسها: وإن اعترفنا بأنّنا كلّنا نعتمد على الله في كلّ شيء، سنشعر وسنكون حقًّا، وبمساعدته، "واحِدًا" (يوحنّا 17، 21)، وإخوةً حقًّا.
كم جميلٌ أن ننفتح معًا، وفي علامة نعمة الرّوح القدس، على هذا التّغيير في وجهة النّظر، ونكتشف أنّ "كلّ المؤمنين المنتشرين في العالم يشتركون مع الآخرين في الرّوح القدس. وهكذا – كما كتب القدّيس يوحنّا الذّهبيّ الفمّ - فإنّ السّاكن في روما يعرف أنّ الهنود هم أعضاؤه" (دستور عقائدي في الكنيسة، نور الأمم، 13). في مسيرة الشّركة هذه، أشكر المسيحيّين الكثيرين من مختلف الجماعات والتّقاليد لأنّهم يرافقون المسيرة السينوديّة للكنيسة الكاثوليكيّة بمشاركة واهتمام، وأتمنّى أن يزداد دائمًا توجهها المسكونيّ. لا ننسَ أنّ السّير معًا والاعتراف بأنّنا في شركة، بعضُنا مع بعض، في الرّوح القدس يؤدّي إلى تغيير، وإلى نموّ يمكنه أن يحدث فقط، كما كتب بنديكتس السّادس عشر، "انطلاقًا من اللقاء الحميم مع الله، وهو اللقاء الذي صار شركة في الإرادة، ووصل إلى أن يمسّ الإحساس. حينئذ أتعلّم أن أنظر إلى هذا الشّخص الآخر ليس فقط بعينيّ وبأحاسيسي، بل بحسب وجهة نظر يسوع المسيح. صديقه هو صديقي" (رسالة بابويّة عامّة، الله محبّة، 18).
ليساعدنا بولس الرّسول لنتغيّر ونتوب، وليمنحنا شيئًا من شجاعته التي لا تُقهر. لأنّه في مسيرتنا، من السّهل أن نعمل من أجل مجموعتنا الخاصّة بدل أن نعمل من أجل ملكوت الله، فنفقد صبرنا، ونفقد الرّجاء في ذلك اليوم الذي فيه "سيتهيّأ لجميع المسيحيّين أن يلتقوا مُجتمعين، بإقامة الإفخارستيّا الواحدة، في وَحدةِ الكنيسة الواحدة، بالوَحدة التي منحها المسيح لكَنيسته منذ البدء" (قرار مجمعي، الحركة المسكونيّة، 4). وبانتظار ذلك اليوم، لنضع ثقتنا في يسوع، فهو فِصحُنَا وسلامُنا: وبينما نحن نصلّي ونَسجُد، هو يعمل. ويُعزّينا ما قاله لبولس والذي يمكننا أن نسمعه موجّهًا إلى كلّ واحدٍ منّا: "حَسبُكَ نِعمَتِي" (2 قورنتس 12، 9).
أيّها الأعزّاء، أردتُ أن أُشارككم بروحٍ أخويّة هذه الأفكار التي أثارتها الكلمة فِيَّ، حتّى إذا حذّرنا الله، نتغيّر وننمو بنعمته في الصّلاة، والخدمة، والحوار والعمل معًا نحو تلك الوَحدة الكاملة التي يريدها المسيح. أودّ الآن أن أشكركم من كلّ قلبي: أعبّر عن شُكري لصاحب السّيادة المتروبوليت بوليكاربوس، ممثّل البطريركيّة المسكونيّة، ولصاحب السّيادة إيان إرنست، الممثّل الشّخصي في روما لرئيس أساقفة كانتربري، ولممثّلي الطّوائف المسيحيّة الأخرى الحاضرين. أعبّر عن تضامني العميق مع أعضاء مجلس الكنائس والمنظمات الدينيّة في عموم أوكرانيا. أحيّي بشكل خاص الطّلاب الأرثوذكسيّين والأرثوذكسيّين الشّرقيّين، الذين يدرسون بمِنَح دراسيّة مُقدّمة من قبل لجنة التّعاون الثّقافي مع الكنائس الأرثوذكسيّة لدى دائرة تعزيز وَحدة المسيحيّين، وطُلّاب المعهد المسكوني في بوسّيه (Bossey) التّابع لمجلس الكنائس المسكوني. أحيّي أيضًا الأخ ألواس والإخوة في جماعة تيزيه (Taizé)، الملتزمين في التّحضير لعشيّة الصّلاة المسكونيّة التي ستسبق افتتاح الدّورة المُقبلة لسينودس الأساقفة. لِنَسِرْ معًا كلّنا على الطّريق الذي وضعه الرّبّ يسوع أمامنا، وهو طريق الوَحدة.
[00148-AR.02] [Testo originale: Italiano]
[B0074-XX.02]