Messaggio del Santo Padre
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Pubblichiamo di seguito il Messaggio del Santo Padre per la 57ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali che quest’anno si celebra, in molti Paesi, il 21 maggio 2023 sul tema: Parlare col cuore. “Secondo verità nella carità” (Ef 4,15):
Messaggio del Santo Padre
Cari fratelli e sorelle!
Dopo aver riflettuto, negli anni scorsi, sui verbi “andare e vedere” e “ascoltare” come condizione per una buona comunicazione, vorrei con questo Messaggio per la LVII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali soffermarmi sul “parlare con il cuore”. È il cuore che ci ha mosso ad andare, vedere e ascoltare ed è il cuore che ci muove a una comunicazione aperta e accogliente. Dopo esserci allenati nell’ascolto, che richiede attesa e pazienza, nonché la rinuncia ad affermare in modo pregiudiziale il nostro punto di vista, possiamo entrare nella dinamica del dialogo e della condivisione, che è appunto quella del comunicare cordialmente. Una volta ascoltato l’altro con cuore puro, riusciremo anche a parlare seguendo la verità nell'amore (cfr Ef 4,15). Non dobbiamo temere di proclamare la verità, anche se a volte scomoda, ma di farlo senza carità, senza cuore. Perché «il programma del cristiano – come scrisse Benedetto XVI – è “un cuore che vede”»[1]. Un cuore che con il suo palpito rivela la verità del nostro essere e che per questo va ascoltato. Questo porta chi ascolta a sintonizzarsi sulla stessa lunghezza d’onda, al punto da arrivare a sentire nel proprio cuore anche il palpito dell’altro. Allora può avvenire il miracolo dell’incontro, che ci fa guardare gli uni gli altri con compassione, accogliendo le reciproche fragilità con rispetto, anziché giudicare per sentito dire e seminare discordia e divisioni.
Gesù ci avverte che ogni albero si riconosce dal suo frutto (cfr Lc 6,44): «L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda» (v. 45). Per questo, per poter comunicare secondo verità nella carità, occorre purificare il proprio cuore. Solo ascoltando e parlando con il cuore puro possiamo vedere oltre l’apparenza e superare il rumore indistinto che, anche nel campo dell’informazione, non ci aiuta a discernere nella complessità del mondo in cui viviamo. L’appello a parlare con il cuore interpella radicalmente il nostro tempo, così propenso all’indifferenza e all’indignazione, a volte anche sulla base della disinformazione, che falsifica e strumentalizza la verità.
Comunicare cordialmente
Comunicare cordialmente vuol dire che chi ci legge o ci ascolta viene portato a cogliere la nostra partecipazione alle gioie e alle paure, alle speranze e alle sofferenze delle donne e degli uomini del nostro tempo. Chi parla così vuole bene all’altro perché lo ha a cuore e ne custodisce la libertà, senza violarla. Possiamo vedere questo stile nel misterioso Viandante che dialoga con i discepoli diretti a Emmaus dopo la tragedia consumatasi sul Golgota. Ad essi Gesù risorto parla con il cuore, accompagnando con rispetto il cammino del loro dolore, proponendosi e non imponendosi, aprendo loro con amore la mente alla comprensione del senso più profondo dell’accaduto. Essi infatti possono esclamare con gioia che il cuore ardeva loro nel petto mentre Lui conversava lungo il cammino e spiegava loro le Scritture (cfr Lc 24,32).
In un periodo storico segnato da polarizzazioni e contrapposizioni – da cui purtroppo anche la comunità ecclesiale non è immune – l’impegno per una comunicazione “dal cuore e dalle braccia aperte” non riguarda esclusivamente gli operatori dell’informazione, ma è responsabilità di ciascuno. Tutti siamo chiamati a cercare e a dire la verità e a farlo con carità. Noi cristiani, in particolare, siamo continuamente esortati a custodire la lingua dal male (cfr Sal 34,14), poiché, come insegna la Scrittura, con la stessa possiamo benedire il Signore e maledire gli uomini fatti a somiglianza di Dio (cfr Gc 3,9). Dalla nostra bocca non dovrebbero uscire parole cattive, «ma piuttosto parole buone che possano servire per un’opportuna edificazione, giovando a quelli che ascoltano» (Ef 4,29).
A volte il parlare amabile apre una breccia perfino nei cuori più induriti. Ne abbiamo traccia anche nella letteratura. Penso a quella pagina memorabile del cap. XXI dei Promessi Sposi in cui Lucia parla con il cuore all’Innominato sino a che questi, disarmato e tormentato da una benefica crisi interiore, cede alla forza gentile dell’amore. Ne facciamo esperienza nella convivenza civica dove la gentilezza non è solo questione di “galateo”, ma un vero e proprio antidoto alla crudeltà, che purtroppo può avvelenare i cuori e intossicare le relazioni. Ne abbiamo bisogno nell’ambito dei media, perché la comunicazione non fomenti un livore che esaspera, genera rabbia e porta allo scontro, ma aiuti le persone a riflettere pacatamente, a decifrare, con spirito critico e sempre rispettoso, la realtà in cui vivono.
La comunicazione da cuore a cuore: “Basta amare bene per dire bene”
Uno degli esempi più luminosi e ancora oggi affascinanti del “parlare con il cuore” è rappresentato da San Francesco di Sales, Dottore della Chiesa, a cui ho recentemente dedicato la Lettera Apostolica Totum amoris est, a 400 anni dalla sua morte. Accanto a questo importante anniversario, mi piace ricordarne in tale circostanza un altro che ricorre in questo 2023: il centenario della sua proclamazione a patrono dei giornalisti cattolici da parte di Pio XI con l’Enciclica Rerum omnium perturbationem. Intelletto brillante, scrittore fecondo, teologo di grande spessore, Francesco di Sales fu vescovo di Ginevra all’inizio del XVII secolo, in anni difficili, contrassegnati da dispute accese con i calvinisti. Il suo atteggiamento mite, la sua umanità, la disposizione a dialogare pazientemente con tutti e specialmente con chi lo contrastava lo resero un testimone straordinario dell’amore misericordioso di Dio. Di lui si poteva dire che «una bocca amabile moltiplica gli amici, una lingua affabile le buone relazioni» (Sir 6,5). Del resto, una delle sue affermazioni più celebri, «il cuore parla al cuore», ha ispirato generazioni di fedeli, tra cui San John Henry Newman che la scelse come motto, Cor ad cor loquitur. «Basta amare bene per dire bene», era uno dei suoi convincimenti. Esso dimostra come per lui la comunicazione non dovesse mai ridursi a un artificio, a – diremmo oggi – una strategia di marketing, ma fosse il riflesso dell’animo, la superficie visibile di un nucleo d’amore invisibile agli occhi. Per San Francesco di Sales è proprio «nel cuore e attraverso il cuore che si compie quel sottile e intenso processo unitario in virtù del quale l’uomo riconosce Dio»[2]. “Amando bene” San Francesco riuscì a comunicare con il sordomuto Martino, diventandone amico; perciò viene ricordato anche come protettore delle persone con disabilità comunicative.
È a partire da questo “criterio dell’amore” che, attraverso i suoi scritti e la sua testimonianza di vita, il santo vescovo di Ginevra ci ricorda che “siamo ciò che comunichiamo”. Lezione oggi controcorrente in un tempo nel quale, come sperimentiamo in particolare nei social network, la comunicazione viene sovente strumentalizzata affinché il mondo ci veda come noi desidereremmo essere e non per quello che siamo. San Francesco di Sales disseminò numerose copie dei suoi scritti nella comunità ginevrina. Tale intuizione “giornalistica” gli valse una fama che superò rapidamente il perimetro della sua diocesi e perdura ancora ai nostri giorni. I suoi scritti, ha osservato San Paolo VI, suscitano una lettura «sommamente piacevole, istruttiva, stimolante»[3]. Se guardiamo oggi al panorama della comunicazione, non sono proprio queste le caratteristiche che un articolo, un reportage, un servizio radiotelevisivo o un post sui social dovrebbero soddisfare? Gli operatori della comunicazione possano sentirsi ispirati da questo santo della tenerezza, ricercando e raccontando la verità con coraggio e libertà, ma respingendo la tentazione di usare espressioni eclatanti e aggressive.
Parlare con il cuore nel processo sinodale
Come ho avuto modo di sottolineare, «anche nella Chiesa c’è tanto bisogno di ascoltare e di ascoltarci. È il dono più prezioso e generativo che possiamo offrire gli uni agli altri»[4]. Da un ascolto senza pregiudizi, attento e disponibile, nasce un parlare secondo lo stile di Dio, nutrito di vicinanza, compassione e tenerezza. Abbiamo un urgente bisogno nella Chiesa di una comunicazione che accenda i cuori, che sia balsamo sulle ferite e faccia luce sul cammino dei fratelli e delle sorelle. Sogno una comunicazione ecclesiale che sappia lasciarsi guidare dallo Spirito Santo, gentile e al contempo profetica, che sappia trovare nuove forme e modalità per il meraviglioso annuncio che è chiamata a portare nel terzo millennio. Una comunicazione che metta al centro la relazione con Dio e con il prossimo, specialmente il più bisognoso, e che sappia accendere il fuoco della fede piuttosto che preservare le ceneri di un’identità autoreferenziale. Una comunicazione le cui basi siano l’umiltà nell’ascoltare e la parresia nel parlare, che non separi mai la verità dalla carità.
Disarmare gli animi promuovendo un linguaggio di pace
«Una lingua dolce spezza le ossa» dice il libro dei Proverbi (25,15). Parlare con il cuore è oggi quanto mai necessario per promuovere una cultura di pace laddove c’è la guerra; per aprire sentieri che permettano il dialogo e la riconciliazione laddove imperversano l’odio e l’inimicizia. Nel drammatico contesto di conflitto globale che stiamo vivendo è urgente affermare una comunicazione non ostile. È necessario vincere «l’abitudine di screditare rapidamente l’avversario, attribuendogli epiteti umilianti, invece di affrontare un dialogo aperto e rispettoso»[5]. Abbiamo bisogno di comunicatori disponibili a dialogare, coinvolti nel favorire un disarmo integrale e impegnati a smontare la psicosi bellica che si annida nei nostri cuori, come profeticamente esortava San Giovanni XXIII nell’Enciclica Pacem in terris: «La vera pace si può costruire soltanto nella vicendevole fiducia» (n. 61). Una fiducia che ha bisogno di comunicatori non arroccati, ma audaci e creativi, pronti a rischiare per trovare un terreno comune dove incontrarsi. Come 60 anni fa, anche ora viviamo un’ora buia nella quale l’umanità teme un’escalation bellica che va frenata quanto prima anche a livello comunicativo. Si rimane atterriti nell’ascoltare con quanta facilità vengono pronunciate parole che invocano la distruzione di popoli e territori. Parole che purtroppo si tramutano spesso in azioni belliche di efferata violenza. Ecco perché va rifiutata ogni retorica bellicistica, così come ogni forma propagandistica che manipola la verità, deturpandola per finalità ideologiche. Va invece promossa, a tutti i livelli, una comunicazione che aiuti a creare le condizioni per risolvere le controversie tra i popoli.
In quanto cristiani, sappiamo che è proprio grazie alla conversione del cuore che si decide il destino della pace, poiché il virus della guerra proviene dall’interno del cuore umano[6]. Dal cuore scaturiscono le parole giuste per diradare le ombre di un mondo chiuso e diviso ed edificare una civiltà migliore di quella che abbiamo ricevuto. È uno sforzo richiesto a ciascuno di noi, ma che richiama in particolare il senso di responsabilità degli operatori della comunicazione, affinché svolgano la propria professione come una missione.
Il Signore Gesù, Parola pura che sgorga dal cuore del Padre, ci aiuti a rendere la nostra comunicazione libera, pulita e cordiale.
Il Signore Gesù, Parola che si è fatta carne, ci aiuti a metterci in ascolto del palpito dei cuori, per riscoprirci fratelli e sorelle, e disarmare l’ostilità che divide.
Il Signore Gesù, Parola di verità e di amore, ci aiuti a dire la verità nella carità, per sentirci custodi gli uni degli altri.
Roma, San Giovanni in Laterano, 24 gennaio 2023, memoria di San Francesco di Sales.
FRANCESCO
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[1] Lett. enc. Deus caritas est, 31.
[2] Lett. Ap. Totum amoris est (28 dicembre 2022)
[3] Epistola Apostolica Sabaudiae gemma, nel IV Centenario dalla nascita di San Francesco di Sales, dottore della Chiesa (29 gennaio 1967).
[4] Messaggio per la LVI Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali (24 gennaio 2022).
[5] Lett. enc. Fratelli tutti (3 ottobre 2020), 201.
[6] Cfr Messaggio per la 56ª Giornata Mondiale della Pace, 1° gennaio 2023.
[00125-IT.01] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
Parler avec le cœur.
«Selon la vérité, dans la charité» (Ep 4, 15)
Chers frères et sœurs !
Après avoir réfléchi, les années précédentes, sur les verbes " aller et voir " et " écouter " comme conditions d'une bonne communication, je voudrais, avec ce message pour la 57ème Journée Mondiale des Communications, m'arrêter sur "parler avec le cœur". C'est le cœur qui nous a poussé à aller, voir et écouter, et c'est le cœur qui nous pousse à une communication ouverte et accueillante. Après nous être formés à l'écoute, qui demande attente et patience, ainsi que le renoncement à affirmer au préalable notre point de vue, nous pouvons entrer dans la dynamique du dialogue et du partage, qui est précisément celle du fait de communiquer cordialement. Une fois que nous aurons écouté l'autre avec un cœur pur, nous réussirons également à parler selon la vérité dans l'amour (cf. Ep 4, 15). Nous devons avoir peur non pas de proclamer la vérité, même si elle est parfois inconfortable, mais de le faire sans charité, sans cœur. Parce que « le programme du chrétien - comme l'a écrit Benoît XVI - est "un cœur qui voit" »[1]. Un cœur qui, par ses pulsations, révèle la vérité de notre être et qui, pour cette raison, doit être écouté. Cela incite celui qui écoute à se mettre sur la même longueur d'onde, au point de pouvoir sentir dans son propre cœur les pulsations de l'autre. Alors le miracle de la rencontre peut se produire, qui nous amène à nous regarder les uns les autres avec compassion, accueillant avec respect les fragilités de chacun, plutôt que de juger par ouï-dire et de semer la discorde et les divisions.
Jésus nous avertit que tout arbre se reconnaît à ses fruits (cf. Lc 6, 44) : « L’homme bon tire le bien du trésor de son cœur qui est bon ; et l’homme mauvais tire le mal de son cœur qui est mauvais : car ce que dit la bouche, c’est ce qui déborde du cœur » (v. 45). Par conséquent, pour pouvoir communiquer selon la vérité dans la charité, l’on doit purifier son propre cœur. Ce n'est qu'en écoutant et en parlant avec un cœur pur que nous pouvons voir au-delà des apparences et surmonter le bruit indistinct qui, également dans le domaine de l'information, ne nous aide pas à discerner dans la complexité du monde où nous vivons. L'appel à parler avec le cœur interpelle radicalement notre temps, tellement enclin à l'indifférence et à l'indignation, parfois même sur la base de la désinformation qui falsifie et instrumentalise la vérité.
Communiquer cordialement
Communiquer cordialement signifie que celui qui nous lit ou nous écoute est amené à saisir notre participation aux joies et aux craintes, aux espoirs et aux souffrances des femmes et des hommes de notre temps. Celui qui parle ainsi aime l'autre parce qu'il se soucie de lui et veille sur sa liberté, sans la violer. Nous pouvons voir ce style dans le mystérieux Voyageur qui converse avec les disciples sur le chemin d'Emmaüs après la tragédie advenue sur le Golgotha. Jésus ressuscité leur parle avec le cœur, accompagnant respectueusement le chemin de leur douleur, se proposant plutôt que s'imposant, leur ouvrant avec amour l’esprit à la compréhension du sens plus profond de ce qui est arrivé. En effet, ils peuvent s'exclamer avec joie que leur cœur brûlait intérieurement tandis qu'Il conversait en chemin et leur expliquait les Écritures (cf. Lc 24, 32).
Dans une période de l'histoire marquée par des polarisations et contrapositions - dont, malheureusement, la communauté ecclésiale n'est pas exempte - l'engagement pour une communication "à cœur et à bras ouverts" ne concerne pas seulement les professionnels de l'information, mais est une responsabilité de tout un chacun. Nous sommes tous appelés à rechercher et à dire la vérité, et à le faire avec charité. Nous chrétiens, en particulier, sommes continuellement exhortés à garder notre langue du mal (cf. Ps 34, 14), puisque, comme l'enseigne l'Écriture, avec elle nous pouvons aussi bien bénir le Seigneur et maudire les hommes créés à l’image de Dieu (cf. Jc 3, 9). De notre bouche ne devraient pas sortir de paroles mauvaises, « mais plutôt une parole bonne et constructive, profitable à ceux qui écoutent » (Ep 4, 29).
Parfois, un discours aimable ouvre une brèche dans les cœurs les plus endurcis. Nous en trouvons également des traces dans la littérature. Je pense à cette page mémorable du chapitre 21 du roman Les Fiancés (Promessi Sposi) où Lucia parle avec son cœur à l'Inconnu jusqu'à ce que celui-ci, désarmé et tourmenté par une crise intérieure salutaire, cède à la douce force de l'amour. Nous en faisons l’expérience dans la coexistence civique, où la gentillesse n'est pas seulement une question de “bonnes manières”, mais un véritable antidote à la cruauté, qui malheureusement peut empoisonner les cœurs et envenimer les relations. Nous en avons besoin dans les médias, afin que la communication ne nourrisse pas un ressentiment qui exaspère, génère de la colère et mène à la confrontation, mais qu’elle aide les gens à réfléchir calmement, à décrypter, avec un esprit critique et toujours respectueux, la réalité dans laquelle ils vivent.
La communication de cœur à cœur : "Il suffit d’aimer bien pour bien s’exprimer".
L'un des exemples les plus lumineux et les plus fascinants du "parler avec le cœur" est celui de saint François de Sales, Docteur de l'Église, à qui j'ai récemment dédié la lettre apostolique Totum amoris est, 400 ans après sa mort. Parallèlement à cet important anniversaire, il me plaît de rappeler en la circonstance un autre anniversaire en cette année 2023 : le centenaire de sa proclamation comme patron des journalistes catholiques par Pie XI avec l'Encyclique Rerum omnium perturbationem. Intellectuel brillant, écrivain prolifique, théologien d'une grande profondeur, François de Sales est évêque de Genève au début du XVIIe siècle, dans des années difficiles marquées par de vives disputes avec les calvinistes. Sa douceur, son humanité, sa disposition à dialoguer patiemment avec tout le monde et surtout avec ceux qui s'opposaient à lui, firent de lui un témoin extraordinaire de l'amour miséricordieux de Dieu. On pouvait dire de lui que « la parole agréable attire de nombreux amis, le langage aimable attire de nombreuses gentillesses » (Sir 6,5). D’ailleurs, l'une de ses déclarations les plus célèbres, "le cœur parle au cœur", a inspiré des générations de fidèles, dont saint John Henry Newman qui en a fait sa devise, Cor ad cor loquitur : « Il suffit de bien aimer pour bien s’exprimer », était l'une de ses convictions. Cela montre comment, pour lui, la communication ne doit jamais être réduite à un artifice, à - nous dirions aujourd'hui - une stratégie de marketing, mais doit être le reflet de l'âme, la surface visible d'un noyau d'amour invisible aux yeux. Pour saint François de Sales, c'est précisément « dans le cœur et par le cœur que s’accomplit ce processus d’unification subtil et intense en vertu duquel l’homme reconnaît Dieu ».[2] En "aimant bien", saint François est parvenu à communiquer avec le sourd-muet Martin, devenant son ami ; c'est pourquoi on se souvient aussi de lui comme protecteur des personnes souffrant de handicap de communication.
C'est à partir de ce "critère de l'amour" que, par ses écrits et son témoignage de vie, le saint évêque de Genève nous rappelle que "nous sommes ce que nous communiquons". Une leçon qui va à contre-courant aujourd'hui, à une époque où, comme nous le vivons notamment sur les réseaux sociaux, la communication est souvent instrumentalisée pour que le monde nous voie comme nous voudrions être et non comme nous sommes. Saint François de Sales diffusa de nombreux exemplaires de ses écrits dans la communauté genevoise. Cette intuition "journalistique" lui valut une réputation qui rapidement dépassa le périmètre de son diocèse et qui perdure encore de nos jours. Ses écrits, comme l'a fait remarquer saint Paul VI, constituent « une lecture extrêmement agréable, instructive et stimulante »[3]. Si l'on observe le paysage de la communication aujourd'hui, ne s'agit-il pas précisément des caractéristiques auxquelles doit satisfaire un article, un reportage, une émission de radio ou de télévision ou un post sur les réseaux sociaux ? Puissent donc les professionnels de la communication se laisser inspirer par ce saint de la tendresse, en recherchant et en racontant la vérité avec courage et liberté, tout en rejetant la tentation d'utiliser des expressions percutantes et agressives.
Parler avec le cœur dans le processus synodal
Comme je l'ai souligné, « même dans l'Église, il y a un grand besoin d'écouter et de s'écouter. C'est le don le plus précieux et le plus généreux que nous pouvons offrir les uns les autres ».[4] D'une écoute sans préjugés, attentive et disponible, naît une "prise de parole" selon le style de Dieu, nourrie de proximité, de compassion et de tendresse. Nous avons un besoin urgent dans l'Église d'une communication qui embrase les cœurs, qui soit un baume sur les blessures et qui éclaire le chemin de nos frères et sœurs. Je rêve d'une communication ecclésiale qui sache se laisser guider par l'Esprit Saint, douce et en même temps prophétique, qui sache trouver de nouvelles formes et modalités pour la merveilleuse annonce qu'elle est appelée à porter dans le troisième millénaire. Une communication qui mette au centre la relation avec Dieu et le prochain, en particulier les plus démunis, et qui sache allumer le feu de la foi plutôt que préserver les cendres d'une identité autoréférentielle. Une communication dont les fondements sont l'humilité dans l'écoute et la parresia dans le parler, qui ne sépare jamais la vérité de la charité.
Désarmer les esprits en promouvant un langage de paix
« Une langue délicate peut broyer un os » dit le livre des Proverbes (25,15). Parler avec le cœur est plus que jamais nécessaire aujourd'hui pour promouvoir une culture de la paix là où il y a la guerre ; pour ouvrir des sentiers qui permettent le dialogue et la réconciliation là où la haine et l'inimitié font rage. Dans le contexte dramatique de conflit mondial que nous connaissons, il est urgent d'affirmer une communication qui ne soit pas hostile. Il est nécessaire de surmonter « l'habitude de disqualifier instantanément l’adversaire en lui appliquant des épithètes humiliantes, en lieu et place d’un dialogue ouvert et respectueux ».[5] Nous avons besoin de communicateurs disposés au dialogue, impliqués dans la promotion du désarmement intégral et engagés à dissiper la psychose de la guerre qui se niche dans nos cœurs, comme l’exhortait prophétiquement saint Jean XXIII dans l'encyclique Pacem in Terris : « La vraie paix ne peut s'édifier que dans la confiance mutuelle » (n. 61). Une confiance qui a besoin de communicateurs qui ne soient pas retranchés, mais audacieux et créatifs, prêts à prendre des risques pour trouver un terrain d'entente où se rencontrer. Comme il y a 60 ans, nous vivons aujourd'hui une heure sombre où l'humanité craint une escalade de la guerre, qu'il faut endiguer au plus vite, y compris au niveau de la communication. On est consterné d'entendre avec quelle facilité sont prononcés des paroles appelant à la destruction de peuples et de territoires. Des propos qui, malheureusement, se transforment souvent en actions guerrières d'une violence féroce. C'est pourquoi toute rhétorique belliqueuse doit être rejetée, de même que toute forme de propagande qui manipule la vérité, la défigurant à des fins idéologiques. Au contraire, il faut promouvoir à tous les niveaux une communication qui aide à créer les conditions pour résoudre les conflits entre les peuples.
En tant que chrétiens, nous savons que c'est vraiment grâce à la conversion du cœur que se décide le sort de la paix, puisque le virus de la guerre vient de l'intérieur du cœur humain.[6] Du cœur jaillissent les paroles justes pour dissiper les ombres d'un monde fermé et divisé et construire une civilisation meilleure que celle que nous avons reçue. Il s'agit d'un effort demandé à chacun d'entre nous, mais qui exige tout particulièrement un sens des responsabilités de la part des professionnels de la communication, pour qu’ils exercent leur profession comme une mission.
Que le Seigneur Jésus, Parole pure jaillissant du cœur du Père, nous aide à rendre notre communication libre, limpide et cordiale.
Que le Seigneur Jésus, Verbe fait chair, nous aide à nous mettre à l'écoute de la pulsation des cœurs, à nous redécouvrir frères et sœurs, et à désarmer l'hostilité qui divise.
Que le Seigneur Jésus, Parole de vérité et d'amour, nous aide à dire la vérité dans la charité, afin de nous sentir gardiens les uns des autres.
Rome, St Jean de Latran, 24 janvier 2023, mémoire de St François de Sales.
FRANÇOIS
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[1] Let. enc. Deus caritas est, n. 31.
[2] Let. Apost. Totum amoris est (28 décembre 2022).
[3] Lettre Apostolique Sabaudiae gemma, à l'occasion du quatrième centenaire de la naissance de saint François de Sales, Docteur de l'Église (29 janvier 1967).
[4] Message pour la LVIe Journée Mondiale des Communications Sociales (24 janvier 2022).
[5] Let. enc. Fratelli tutti (3 octobre 2020), n. 201.
[6] Cf. Message pour la 56ème Journée Mondiale de la Paix, 1er janvier 2023.
[00125-FR.01] [Texte original: Italien]
Traduzione in lingua inglese
Speaking with the heart.
“The truth in love” (Eph 4:15)
Dear Brothers and Sisters,
After having reflected in past years on the verbs “to go and see” and “to listen” as conditions for good communication, with this Message for the LVII World Day of Social Communications, I would like to focus on “speaking with the heart”. It is the heart that spurred us to go, to see and to listen, and it is the heart that moves us towards an open and welcoming way of communicating. Once we have practised listening, which demands waiting and patience, as well as foregoing the assertion of our point of view in a prejudicial way, we can enter into the dynamic of dialogue and sharing, which is precisely that of communicating in a cordial way. After listening to the other with a pure heart, we will also be able to speak following the truth in love (cf. Eph 4:15). We should not be afraid of proclaiming the truth, even if it is at times uncomfortable, but of doing so without charity, without heart. Because “the Christian’s programme” — as Benedict XVI wrote — “is ‘a heart which sees’”.[1] A heart that reveals the truth of our being with its beat and that, for this reason, should be listened to. This leads those who listen to attune themselves to the same wave length, to the point of being able to hear within their heart also the heartbeat of the other. Then the miracle of encounter can take place, which makes us look at one another with compassion, welcoming our mutual frailties with respect rather than judging by hearsay and sowing discord and division.
Jesus warns us that every tree is known by its fruit (cf. Lk 6:44): “The good man out of the good treasure of his heart produces good, and the evil man out of his evil treasure produces evil; for out of the abundance of the heart his mouth speaks” (v. 45). This is why, in order to communicate truth with charity, it is necessary to purify one’s heart. Only by listening and speaking with a pure heart can we see beyond appearances and overcome the vague din which, also in the field of information, does not help us discern in the complicated world in which we live. The call to speak with the heart radically challenges the times in which we are living, which are so inclined towards indifference and indignation, at times even on the basis of disinformation which falsifies and exploits the truth.
Communicating cordially
Communicating in a cordial manner means that those who read or listen to us are led to welcome our participation in the joys, fears, hopes and suffering of the women and men of our time. Those who speak in this way love the other because they care and protect their freedom without violating it. We can see this style in the mysterious wayfarer who dialogues with the disciples headed to Emmaus, after the tragedy that took place at Golgotha. The Risen Jesus speaks to them with the heart, accompanying the journey of their suffering with respect, proposing himself and not imposing himself, lovingly opening their minds to understand the profound meaning of what had happened. Indeed, they can joyfully exclaim that their hearts burned within them as he spoke to them on the road and explained the Scriptures to them (cf. Lk 24:32).
In a historical period marked by polarizations and contrasts — to which unfortunately not even the ecclesial community is immune — the commitment to communicating “with open heart and arms” does not pertain exclusively to those in the field of communications; it is everyone’s responsibility. We are all called to seek and to speak the truth and to do so with charity. We Christians in particular are continually urged to keep our tongue from evil (cf. Ps 34:13), because as Scripture teaches us, with the same tongue we can bless the Lord and curse men and women who were made in the likeness of God (cf. Jas 3:9). No evil word should come from our mouths, but rather “only such as is good for edifying, as fits the occasion, that it may impart grace to those who hear” (Eph 4:29).
Sometimes friendly conversations can open a breach even in the most hardened of hearts. We also have evidence of this in literature. I am thinking of that memorable page in Chapter XXI of The Betrothed in which Lucia speaks with the heart to the Innominato [the Unnamed] until he, disarmed and afflicted by a healthy inner crisis, gives in to the gentle strength of love. We experience this in society, where kindness is not only a question of “etiquette” but a genuine antidote to cruelty, which unfortunately can poison hearts and make relationships toxic. We need it in the field of media, so that communication does not foment acrimony that exasperates, creates rage and leads to clashes, but helps people peacefully reflect and interpret with a critical yet always respectful spirit, the reality in which they live.
Communicating heart to heart: “In order to speak well, it is enough to love well”
One of the brightest and still fascinating examples of “speaking with the heart” is offered by Saint Francis de Sales, a Doctor of the Church, whom I wrote about in the Apostolic Letter, Totum Amoris Est, 400 years after his death. In addition to this important anniversary, I would like to mention another anniversary that takes place in 2023: the centenary of his proclamation as patron of Catholic journalists by Pius XI with the Encyclical, Rerum Omnium Perturbationem. A brilliant intellectual, fruitful writer and profound theologian, Francis de Sales was Bishop of Geneva at the beginning of the XVII century during difficult years marked by heated disputes with Calvinists. His meek attitude, humanity and willingness to dialogue patiently with everyone, especially with those who disagreed with him, made him an extraordinary witness of God’s merciful love. One could say about him: “A pleasant voice multiplies friends, and a gracious tongue multiplies courtesies” (Sir 6:5). After all, one of his most famous statements, “heart speaks to heart”, inspired generations of faithful, among them Saint John Henry Newman, who chose it as his motto, Cor ad cor loquitur. One of his convictions was, “In order to speak well, it is enough to love well”. It shows that for him communication should never be reduced to something artificial, to a marketing strategy, as we might say nowadays, but is rather a reflection of the soul, the visible surface of a nucleus of love that is invisible to the eye. For Saint Francis de Sales, precisely “in the heart and through the heart, there comes about a subtle, intense and unifying process in which we come to know God”.[2] By “loving well”, Saint Francis succeeded in communicating with Martin, the deaf-mute, becoming his friend. This is why he is also known as the protector of people with impairments in communicating.
It is from this “criterion of love” that, through his writings and witness of life, the saintly Bishop of Geneva reminds us that “we are what we communicate”. This goes against the grain today, at a time when — as we experience especially on social media — communication is often exploited so that the world may see us as we would like to be and not as we are. Saint Francis de Sales disseminated many copies of his writings among the Geneva community. This “journalistic” intuition earned him a reputation that quickly went beyond the confines of his diocese and still endures to this day. His writings, Saint Paul VI observed, provide for a “highly enjoyable, instructive and moving” reading.[3] If we look today at the field of communications, are these not precisely the characteristics that an article, a report, a television or radio programme or a social media post should include? May people who work in communications feel inspired by this saint of tenderness, seeking and telling the truth with courage and freedom and rejecting the temptation to use sensational and combative expressions.
Speaking with the heart in the synodal process
As I have emphasised, “In the Church, too, there is a great need to listen to and to hear one another. It is the most precious and life-giving gift we can offer each other”.[4] Listening without prejudice, attentively and openly, gives rise to speaking according to God’s style, nurtured by closeness, compassion and tenderness. We have a pressing need in the Church for communication that kindles hearts, that is balm on wounds and that shines light on the journey of our brothers and sisters. I dream of an ecclesial communication that knows how to let itself be guided by the Holy Spirit, gentle and at the same time, prophetic, that knows how to find new ways and means for the wonderful proclamation it is called to deliver in the third millennium. A communication which puts the relationship with God and one’s neighbour, especially the neediest, at the centre and which knows how to light the fire of faith rather than preserve the ashes of a self-referential identity. A form of communication founded on humility in listening and parrhesia in speaking, which never separates truth from charity.
Disarming souls by promoting a language of peace
“A soft tongue will break a bone”, says the book of Proverbs (25:15). Today more than ever, speaking with the heart is essential to foster a culture of peace in places where there is war; to open paths that allow for dialogue and reconciliation in places where hatred and enmity rage. In the dramatic context of the global conflict we are experiencing, it is urgent to maintain a form of communication that is not hostile. It is necessary to overcome the tendency to “discredit and insult opponents from the outset [rather] than to open a respectful dialogue”.[5] We need communicators who are open to dialogue, engaged in promoting integral disarmament and committed to undoing the belligerent psychosis that nests in our hearts, as Saint John XXIII prophetically urged in the Encyclical Pacem In Terris: “True peace can only be built in mutual trust” (No. 113). A trust which has no need of sheltered or closed communicators but bold and creative ones who are ready to take risks to find common ground on which to meet. As was the case sixty years ago, we are now also living in a dark hour in which humanity fears an escalation of war that must be stopped as soon as possible, also at the level of communication. It is terrifying to hear how easily words calling for the destruction of people and territories are spoken. Words, unfortunately, that often turn into warlike actions of heinous violence. This is why all belligerent rhetoric must be rejected, as well as every form of propaganda that manipulates the truth, disfiguring it for ideological ends. Instead, what must be promoted is a form of communication that helps create the conditions to resolve controversies between peoples.
As Christians, we know that the destiny of peace is decided by conversion of hearts, since the virus of war comes from within the human heart.[6] From the heart come the right words to dispel the shadows of a closed and divided world and to build a civilization which is better than the one we have received. Each of us is asked to engage in this effort, but it is one that especially appeals to the sense of responsibility of those working in the field of communications so that they may carry out their profession as a mission.
May the Lord Jesus, the pure Word poured out from the heart of the Father, help us to make our communication clear, open and heartfelt.
May the Lord Jesus, the Word made flesh, help us listen to the beating of hearts, to rediscover ourselves as brothers and sisters, and to disarm the hostility that divides.
May the Lord Jesus, the Word of truth and love, help us speak the truth in charity, so that we may feel like protectors of one another.
Rome, Saint John Lateran, 24 January 2023, Memorial of Saint Francis de Sales.
FRANCIS
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[1] Encyclical Letter Deus Caritas Est (25 December 2005), 31.
[2] Apostolic Letter Totum Amoris Est (28 December 2022).
[3] Cf. Apostolic Epistle Sabaudiae Gemma, on the IV Centennial of the Birth of Saint Francis de Sales, Doctor of the Church (29 January 1967).
[4] Message for the LVI World Day of Social Communications (24 January 2021).
[5] Encyclical Letter Fratelli Tutti (3 October 2020), 201.
[6] Cf. Message for the 56th World Day of Peace (1 January 2023).
[00125-EN.01] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua tedesca
Mit dem Herzen sprechen.
„Von der Liebe geleitet, die Wahrheit bezeugen“ (Eph 4,15)
Liebe Brüder und Schwestern!
Nachdem wir in den vergangenen Jahren über die Verben „hingehen und sehen“ und „zuhören“ als Voraussetzungen für eine gute Kommunikation nachgedacht haben, möchte ich in dieser Botschaft zum LVII. Welttag der sozialen Kommunikationsmittel das „Sprechen mit dem Herzen“ thematisieren. Es ist das Herz, das uns dazu bewegt, hinzugehen, zu sehen und zuzuhören, und es ist das Herz, das uns zu einer offenen und einladenden Kommunikation bewegt. Nachdem wir uns im Zuhören geübt haben, was Warten und Geduld sowie den Verzicht auf eine vorurteilsbehaftete Behauptung unseres Standpunkts erfordert, können wir in die Dynamik des Dialogs und des Austauschs eintreten, die gerade darin besteht, herzlich zu kommunizieren. Wenn wir dem anderen mit reinem Herzen zugehört haben, werden wir auch in der Lage sein, die Wahrheit in Liebe zu sagen (vgl. Eph 4,15). Wir brauchen uns nicht uns davor zu fürchten, die Wahrheit zu verkünden, auch wenn sie manchmal unbequem ist, sondern davor, dies ohne Nächstenliebe zu tun, ohne Herz. Denn »das Programm des Christen ist – wie Benedikt XVI. schrieb – das „sehende Herz“«[1]. Ein Herz, das mit seinem Pochen die Wahrheit unseres Seins offenbart und deshalb gehört werden sollte. Das führt dazu, dass sich der Zuhörende auf dieselbe Wellenlänge einstellt, so dass er im eigenen Herzen auch das Schlagen des anderen spüren kann. Dann kann das Wunder der Begegnung geschehen, das uns dazu bringt, aufeinander mit Mitgefühl zu schauen und die Schwächen des anderen mit Respekt zu betrachten, anstatt nach dem Hörensagen zu urteilen und Zwietracht und Spaltungen zu säen.
Jesus gibt uns zu Bedenken, dass jeder Baum an seinen Früchten zu erkennen ist (vgl. Lk 6,44): »Der gute Mensch bringt aus dem guten Schatz seines Herzens das Gute hervor und der böse Mensch bringt aus dem bösen das Böse hervor. Denn wovon das Herz überfließt, davon spricht sein Mund« (V. 45). Um in der Lage zu sein, wahrheitsgemäß in Liebe zu kommunizieren, muss das eigene Herz gereinigt werden. Nur wenn wir mit reinem Herzen zuhören und sprechen, können wir über den Schein hinaussehen und das vage Rauschen überwinden, das uns, auch im Bereich der Information, nicht dabei hilft, in der Komplexität der Welt, in der wir leben, Unterscheidungen zu treffen. Der Aufruf, mit dem Herzen zu sprechen, ist eine radikale Herausforderung für unsere Zeit, die so sehr zu Gleichgültigkeit wie zu Empörung neigt, manchmal auch auf der Grundlage von Desinformation, die die Wahrheit verfälscht und instrumentalisiert.
Herzlich kommunizieren
Eine herzliche Kommunikation bedeutet, dass diejenigen, die uns lesen oder zuhören, unsere Anteilnahme an den Freuden und Ängsten, Hoffnungen und Leiden der Frauen und Männer unserer Zeit nachvollziehen können. Wer so spricht, liebt den anderen, weil er oder sie sich um ihn oder sie sorgt und seine Freiheit schützt, ohne sie zu verletzen. Wir können diesen Stil bei dem geheimnisvollen Wanderer erkennen, der sich nach der Tragödie auf Golgota mit den Jüngern auf ihrem Weg nach Emmaus unterhält. Der auferstandene Jesus spricht zu ihnen mit dem Herzen, er begleitet respektvoll den Weg ihres Schmerzes, er bietet sich an, statt sich aufzudrängen, und öffnet ihnen liebevoll den Blick für den tieferen Sinn des Geschehenen. Tatsächlich können sie hinterher voll Freude ausrufen, dass ihnen das Herz in der Brust brannte, als er sich mit ihnen auf dem Weg unterhielt und ihnen die Schriften erklärte (vgl. Lk 24,32).
In einer Zeit der Geschichte, die von Polarisierungen und Gegensätzen geprägt ist – wovor leider auch die kirchliche Gemeinschaft nicht gefeit ist –, betrifft die Verpflichtung zu einer Kommunikation „mit offenem Herzen und offenen Armen“ nicht nur diejenigen, die im Bereich der Information arbeiten, sondern liegt in der Verantwortung eines jeden. Wir alle sind dazu aufgerufen, die Wahrheit zu suchen und zu sagen, und zwar in Liebe. Gerade wir Christen werden immer wieder ermahnt, unsere Zunge vor dem Bösen zu hüten (vgl. Ps 34,14), denn mit ihr können wir, wie die Schrift lehrt, im gleichen Augenblick den Herrn preisen und die Menschen, die doch nach dem Bild und Gleichnis Gottes geschaffen sind, verfluchen (vgl. Jak 3,9). Ein böses Wort sollte nicht aus unserem Mund kommen, »sondern nur ein gutes, das den, der es braucht, auferbaut und denen, die es hören, Nutzen bringt!« (Eph 4,29).
Manchmal öffnet ein liebevolles Wort selbst in den verhärtetsten Herzen eine Bresche. Auch in der Literatur finden wir Spuren davon. Ich denke an jene denkwürdige Seite in Kapitel XXI der Promessi Sposi (Die Verlobten), in der Lucia mit ihrem Herzen zum Ungenannten spricht, bis dieser, entwaffnet und bewegt von einer heilsamen inneren Krise, der sanften Macht der Liebe nachgibt. Wir erleben sie im bürgerlichen Zusammenleben, wo Freundlichkeit nicht nur eine Frage der „Etikette“ ist, sondern ein echtes, richtiggehendes Gegenmittel zur Grausamkeit, die leider die Herzen und die Beziehungen vergiften kann. Wir brauchen sie in den Medien, damit die Kommunikation nicht eine die Gemüter erregende Missgunst schürt und zu Wut und Konfrontation führt, sondern den Menschen hilft, in Ruhe nachzudenken und die Realität, in der sie leben, kritisch und stets respektvoll zu erschließen.
Kommunikation von Herz zu Herz: „Es genügt, richtig zu lieben, um gut zu sprechen“
Eines der leuchtendsten und auch heute noch faszinierenden Beispiele für das „Sprechen mit dem Herzen“ ist der heilige Kirchenlehrer Franz von Sales, dem ich kürzlich, 400 Jahre nach seinem Tod, das Apostolische Schreiben Totum amoris est gewidmet habe. Neben diesem wichtigen Jahrestag möchte ich bei dieser Gelegenheit an einen weiteren erinnern, der in dieses Jahr 2023 fällt: den hundertsten Jahrestag seiner Proklamation zum Patron der katholischen Journalisten durch Pius XI. mit der Enzyklika Rerum omnium perturbationem. Franz von Sales, ein brillanter Intellektueller, produktiver Schriftsteller und tiefgründiger Theologe, war zu Beginn des 17. Jahrhunderts Bischof von Genf – in schwierigen Jahren, die von heftigen Auseinandersetzungen mit den Calvinisten geprägt waren. Seine milde Haltung, seine Menschlichkeit, seine Bereitschaft zum geduldigen Dialog mit allen und besonders mit denen, die sich ihm widersetzten, machten ihn zu einem außergewöhnlichen Zeugen der barmherzigen Liebe Gottes. Man könnte von ihm sagen: »Eine süße Rede vermehrt Freunde und eine redegewandte Zunge vermehrt, was willkommen ist« (Sir 6,5). Eine seiner berühmtesten Aussagen, »das Herz spricht zum Herzen«, hat Generationen von Gläubigen inspiriert, darunter auch den heiligen John Henry Newman, der sie zu seinem Motto Cor ad cor loquitur machte. »Es genügt, richtig zu lieben, um gut zu sprechen«, war eine seiner Überzeugungen. Das zeigt, dass Kommunikation aus seiner Sicht niemals auf einen Kunstgriff, auf eine – wie wir heute sagen würden – Marketingstrategie reduziert werden darf, sondern dass sie der Spiegel der Seele ist, die sichtbare Oberfläche eines für die Augen unsichtbaren Kerns der Liebe. Für den heiligen Franz von Sales findet gerade »im Herzen und durch das Herz jener feine und intensive Prozess statt, durch den der Mensch Gott erkennt«.[2] Indem er „richtig liebte“, konnte der heilige Franz sich mit dem taubstummen Martin verständigen und zu seinem Freund werden; daher gilt er auch als Schutzpatron von Menschen mit Kommunikationsstörungen.
Von diesem „Kriterium der Liebe“ ausgehend, erinnert uns der heilige Bischof von Genf in seinen Schriften und mit seinem Lebenszeugnis daran, dass „wir sind, was wir kommunizieren“. Dies ist heutzutage eine unkonventionelle Lektion, in einer Zeit, in der, wie wir besonders in den sozialen Netzwerken erleben, die Kommunikation oft instrumentalisiert wird, damit die Welt uns so sieht, wie wir gerne wären und nicht so, wie wir sind. Der heilige Franz von Sales verbreitete zahlreiche Exemplare seiner Schriften in der Genfer Gemeinschaft. Diese „journalistische“ Intuition verschaffte ihm einen Ruf, der schnell über die Grenzen seiner Diözese hinausging und bis heute anhält. Seine Schriften sind, wie der heilige Paul VI. feststellte, »eine äußerst angenehme, lehrreiche und anregende Lektüre«.[3] Wenn wir uns die heutige Kommunikationslandschaft anschauen: Sind das nicht genau die Merkmale, über die ein Artikel, eine Reportage, ein Radio- oder Fernsehbeitrag oder ein Post in den sozialen Medien verfügen sollte? Mögen sich die, die im Bereich der Kommunikation tätig sind, von diesem Heiligen der Zärtlichkeit inspirieren lassen, indem sie mutig und frei die Wahrheit suchen und sagen, aber der Versuchung widerstehen, plakative und aggressive Ausdrücke zu verwenden.
Mit dem Herzen sprechen im synodalen Prozess
Wie ich bereits Gelegenheit hatte, zu betonen, ist es »auch in der Kirche dringend […] notwendig, zuzuhören und aufeinander zu hören. Es ist das wertvollste und fruchtbarste Geschenk, das wir einander machen können«.[4] Aus einem unvoreingenommenen, aufmerksamen und bereitwilligen Zuhören entsteht ein Sprechen gemäß dem Stil Gottes, das von Nähe, Mitgefühl und Zärtlichkeit genährt wird. Wir brauchen in der Kirche dringend eine Kommunikation, die die Herzen entzündet, die Balsam auf die Wunden ist und die den Weg unserer Brüder und Schwestern erhellt. Ich träume von einer kirchlichen Kommunikation, die es versteht, sich vom Heiligen Geist leiten zu lassen, freundlich und zugleich prophetisch; die es versteht, neue Formen und Wege für die wunderbare Botschaft zu finden, die in das dritte Jahrtausend weiterzutragen sie berufen ist. Von einer Kommunikation, die sich auf die Beziehung zu Gott und zum Nächsten, insbesondere zu den Bedürftigsten, konzentriert und die es versteht, das Feuer des Glaubens zu entfachen, anstatt die Asche einer selbstbezogenen Identität aufzubewahren. Von einer Kommunikation, deren Grundlage demütiges Zuhören und die parresia beim Sprechen ist, welche niemals die Wahrheit von der Liebe trennt.
Die Herzen entwaffnen durch die Förderung einer Sprache des Friedens
»Sanfte Zunge bricht Knochen«, heißt es im Buch der Sprichwörter (25,15). Es ist heute notwendiger denn je, mit dem Herzen zu sprechen, um dort, wo Krieg herrscht, eine Kultur des Friedens zu fördern und dort, wo Hass und Feindschaft wüten, Wege für Dialog und Versöhnung zu öffnen. Im dramatischen Kontext globaler Konflikte, den wir derzeit erleben, ist es dringend notwendig, eine nicht feindselige Kommunikation zu fördern. Es ist notwendig, die Gewohnheit zu überwinden, »den Gegner schnell zu diskreditieren und mit demütigenden Schimpfwörtern zu versehen, anstatt sich einem offenen und respektvollen Dialog zu stellen«[5]. Wir brauchen dialogbereite Kommunikatoren, die für eine ganzheitliche Abrüstung eintreten und sich für den Abbau der Kriegspsychose engagieren, die sich in unsere Herzen einnistet, so wie es der heilige Johannes XXIII. in der Enzyklika Pacem in Terris prophetisch angemahnt hat: »Der wahre Friede kann nur durch gegenseitiges Vertrauen fest und sicher bestehen« (vgl. Nr. 61). Ein Vertrauen, das Kommunikatoren braucht, die sich nicht verschanzen, sondern die mutig und kreativ sind, bereit dazu, Risiken einzugehen, um eine gemeinsame Basis zu finden, auf der man einander begegnen kann. Wie vor sechzig Jahren leben wir heute in einer dunklen Stunde, in der die Menschheit eine Eskalation des Krieges befürchtet, welche so schnell wie möglich eingedämmt werden muss, auch im Bereich der Kommunikation. Man kann nur bestürzt darüber sein, wie leichtfertig zur Zerstörung von Völkern und Gebieten aufgerufen wird. Das sind Worte, die leider oft in kriegerische Handlungen von abscheulicher Gewalt münden. Deshalb ist jede Kriegsrhetorik abzulehnen, ebenso wie jede Form von Propaganda, die die Wahrheit manipuliert und zu ideologischen Zwecken verbiegt. Stattdessen sollte auf allen Ebenen eine Kommunikation gefördert werden, die dazu beitragen kann, die Bedingungen für die Beilegung von Streitigkeiten zwischen den Völkern zu schaffen.
Als Christen wissen wir, dass für das Schicksal des Friedens die Bekehrung des Herzens entscheidend ist, denn der Virus des Krieges kommt aus dem Inneren des menschlichen Herzens.[6] Aus dem Herzen kommen die richtigen Worte, um die Schatten einer verschlossenen und geteilten Welt zu vertreiben und eine bessere Zivilisation aufzubauen als die, die wir übernommen haben. Es handelt sich um eine Anstrengung, die von jedem von uns verlangt wird, die aber vor allem das Verantwortungsbewusstsein der im Bereich der Kommunikation Tätigen erfordert, damit sie ihren Beruf als Sendung verstehen.
Möge der Herr Jesus, das reine Wort, das aus dem Herzen des Vaters kommt, uns dabei helfen, unsere Kommunikation frei, sauber und herzlich zu gestalten.
Möge der Herr Jesus, das fleischgewordene Wort, uns helfen, auf das Klopfen der Herzen zu hören, uns als Brüder und Schwestern wiederzuentdecken und die Feindseligkeit, die spaltet, abzubauen.
Möge der Herr Jesus, das Wort der Wahrheit und der Liebe, uns dabei helfen, die Wahrheit in Liebe zu sagen, damit wir uns untereinander als Hüter des anderen fühlen.
Rom, St. Johannes im Lateran, 24. Januar 2023, Gedenktag des heiligen Franz von Sales.
FRANZISKUS
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[1] Enzyklika Deus caritas est, 31 b).
[2] Apostolisches Schreiben Totum amoris est (28. Dezember 2022).
[3] Apostolisches Schreiben Sabaudiae gemma zum 400. Jahrestag der Geburt des heiligen Kirchenlehrers Franz von Sales (29. Januar 1967).
[4] Botschaft zum LVI. Welttag der sozialen Kommunikationsmittel (24. Januar 2022).
[5] Enzyklika Fratelli tutti (3. Oktober 2020), 201.
[6] Vgl. Botschaft zum 56. Weltfriedenstag, 1. Januar 2023.
[00125-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]
Traduzione in lingua spagnola
Hablar con el corazón,
«en la verdad y en el amor» (Ef 4,15)
Queridos hermanos y hermanas:
Después de haber reflexionado, en años anteriores, sobre los verbos “ir, ver” y “escuchar” como condiciones para una buena comunicación, en este Mensaje para la LVII Jornada Mundial de las Comunicaciones Sociales quisiera centrarme en “hablar con el corazón”. Es el corazón el que nos ha movido a ir, ver y escuchar; y es el corazón el que nos mueve a una comunicación abierta y acogedora. Tras habernos ejercitado en la escucha —que requiere espera y paciencia, así como la renuncia a afirmar de modo prejuicioso nuestro punto de vista—, podemos entrar en la dinámica del diálogo y el intercambio, que es precisamente la de comunicar cordialmente. Una vez que hayamos escuchado al otro con corazón puro, lograremos hablar «en la verdad y en el amor» (cf. Ef 4,15). No debemos tener miedo a proclamar la verdad, aunque a veces sea incómoda, sino a hacerlo sin caridad, sin corazón. Porque «el programa del cristiano —como escribió Benedicto XVI— es un “corazón que ve”».[1] Un corazón que, con su latido, revela la verdad de nuestro ser, y que por eso hay que escucharlo. Esto lleva a quien escucha a sintonizarse en la misma longitud de onda, hasta el punto de que se llega a sentir en el propio corazón el latido del otro. Entonces se hace posible el milagro del encuentro, que nos permite mirarnos los unos a los otros con compasión, acogiendo con respeto las fragilidades de cada uno, en lugar de juzgar de oídas y sembrar discordia y divisiones.
Jesús nos recuerda que cada árbol se reconoce por su fruto (cf. Lc 6,44), y advierte que «el hombre bueno, del buen tesoro de su corazón saca lo que es bueno; y el hombre malo, de su mal tesoro saca lo que es malo; porque de la abundancia del corazón habla su boca» (v. 45). Por eso, para poder comunicar «en la verdad y en el amor» es necesario purificar el corazón. Sólo escuchando y hablando con un corazón puro podemos ver más allá de las apariencias y superar los ruidos confusos que, también en el campo de la información, no nos ayudan a discernir en la complejidad del mundo en que vivimos. La llamada a hablar con el corazón interpela radicalmente nuestro tiempo, tan propenso a la indiferencia y a la indignación, a veces sobre la base de la desinformación, que falsifica e instrumentaliza la verdad.
Comunicar cordialmente
Comunicar cordialmente quiere decir que quien nos lee o nos escucha capta nuestra participación en las alegrías y los miedos, en las esperanzas y en los sufrimientos de las mujeres y los hombres de nuestro tiempo. Quien habla así quiere bien al otro, porque se preocupa por él y custodia su libertad sin violarla. Podemos ver este estilo en el misterioso Peregrino que dialoga con los discípulos que van hacia Emaús después de la tragedia consumada en el Gólgota. Jesús resucitado les habla con el corazón, acompañando con respeto el camino de su dolor, proponiéndose y no imponiéndose, abriéndoles la mente con amor a la comprensión del sentido profundo de lo sucedido. De hecho, ellos pueden exclamar con alegría que el corazón les ardía en el pecho mientras Él conversaba con ellos a lo largo del camino y les explicaba las Escrituras (cf. Lc 24,32).
En un periodo histórico marcado por polarizaciones y contraposiciones —de las que, lamentablemente, la comunidad eclesial no es inmune—, el compromiso por una comunicación “con el corazón y con los brazos abiertos” no concierne exclusivamente a los profesionales de la información, sino que es responsabilidad de cada uno. Todos estamos llamados a buscar y a decir la verdad, y a hacerlo con caridad. A los cristianos, en especial, se nos exhorta continuamente a guardar la lengua del mal (cf. Sal 34,14), ya que, como enseña la Escritura, con la lengua podemos bendecir al Señor y maldecir a los hombres creados a semejanza de Dios (cf. St 3,9). De nuestra boca no deberían salir palabras malas, sino más bien palabras buenas «que resulten edificantes cuando sea necesario y hagan bien a aquellos que las escuchan» (Ef 4,29).
A veces, el hablar amablemente abre una brecha incluso en los corazones más endurecidos. Tenemos prueba de esto en la literatura. Pienso en aquella página memorable del capítulo XXI de Los novios, en el que Lucía habla con el corazón al Innominado hasta que éste, desarmado y atormentado por una benéfica crisis interior, cede a la fuerza gentil del amor. Lo experimentamos en la convivencia cívica, en la que la amabilidad no es solamente cuestión de buenas maneras, sino un verdadero antídoto contra la crueldad que, lamentablemente, puede envenenar los corazones e intoxicar las relaciones. La necesitamos en el ámbito de los medios para que la comunicación no fomente el rencor que exaspera, genera rabia y lleva al enfrentamiento, sino que ayude a las personas a reflexionar con calma, a descifrar, con espíritu crítico y siempre respetuoso, la realidad en la que viven.
La comunicación de corazón a corazón: “Basta amar bien para decir bien”
Uno de los ejemplos más luminosos y, aún hoy, fascinantes de “hablar con el corazón” está representado en san Francisco de Sales, doctor de la Iglesia, a quien he dedicado recientemente la Carta apostólica Totum amoris est, con motivo de los 400 años de su muerte. Junto a este importante aniversario, me gusta recordar, en esta circunstancia, otro que se celebra en este año 2023: el centenario de su proclamación como patrono de los periodistas católicos por parte de Pío XI con la Encíclica Rerum omnium perturbationem. Intelecto brillante, escritor fecundo, teólogo de gran profundidad, Francisco de Sales fue obispo de Ginebra al inicio del s. XVII, en años difíciles, marcados por encendidas disputas con los calvinistas. Su actitud apacible, su humanidad, su disposición a dialogar pacientemente con todos, especialmente con quien lo contradecía, lo convirtieron en un testigo extraordinario del amor misericordioso de Dios. De él se podía decir que «las palabras dulces multiplican los amigos y un lenguaje amable favorece las buenas relaciones» (Si 6,5). Por lo demás, una de sus afirmaciones más célebres, «el corazón habla al corazón», ha inspirado a generaciones de fieles, entre ellos san John Henry Newman, que la eligió como lema, Cor ad cor loquitur. «Basta amar bien para decir bien» era una de sus convicciones. Ello demuestra que para él la comunicación nunca debía reducirse a un artificio —a una estrategia de marketing, diríamos hoy—, sino que tenía que ser el reflejo del ánimo, la superficie visible de un núcleo de amor invisible a los ojos. Para san Francisco de Sales, es precisamente «en el corazón y por medio del corazón donde se realiza ese sutil e intenso proceso unitario en virtud del cual el hombre reconoce a Dios».[2] “Amando bien”, san Francisco logró comunicarse con el sordomudo Martino, haciéndose su amigo; por eso es recordado como el protector de las personas con discapacidades comunicativas.
A partir de este “criterio del amor”, y a través de sus escritos y del testimonio de su vida, el santo obispo de Ginebra nos recuerda que “somos lo que comunicamos”. Una lección que va contracorriente hoy, en un tiempo en el que, como experimentamos sobre todo en las redes sociales, la comunicación frecuentemente se instrumentaliza, para que el mundo nos vea como querríamos ser y no como somos. San Francisco de Sales repartió numerosas copias de sus escritos en la comunidad ginebrina. Esta intuición “periodística” le valió una fama que superó rápidamente el perímetro de su diócesis y que perdura aún en nuestros días. Sus escritos, observó san Pablo VI, suscitan una lectura «sumamente agradable, instructiva, estimulante».[3] Si vemos el panorama de la comunicación actual, ¿no son precisamente estas características las que debería tener un artículo, un reportaje, un servicio radiotelevisivo o un post en las redes sociales? Que los profesionales de la comunicación se sientan inspirados por este santo de la ternura, buscando y contando la verdad con valor y libertad, pero rechazando la tentación de usar expresiones llamativas y agresivas.
Hablar con el corazón en el proceso sinodal
Como he podido subrayar, «también en la Iglesia hay mucha necesidad de escuchar y de escucharnos. Es el don más precioso y generativo que podemos ofrecernos los unos a los otros».[4] De una escucha sin prejuicios, atenta y disponible, nace un hablar conforme al estilo de Dios, que se nutre de cercanía, compasión y ternura. En la Iglesia necesitamos urgentemente una comunicación que encienda los corazones, que sea bálsamo sobre las heridas e ilumine el camino de los hermanos y de las hermanas. Sueño una comunicación eclesial que sepa dejarse guiar por el Espíritu Santo, amable y, al mismo tiempo, profética; que sepa encontrar nuevas formas y modalidades para el maravilloso anuncio que está llamada a dar en el tercer milenio. Una comunicación que ponga en el centro la relación con Dios y con el prójimo, especialmente con el más necesitado, y que sepa encender el fuego de la fe en vez de preservar las cenizas de una identidad autorreferencial. Una comunicación cuyas bases sean la humildad en el escuchar y la parresia en el hablar; que no separe nunca la verdad de la caridad.
Desarmar los ánimos promoviendo un lenguaje de paz
«Una lengua suave quiebra hasta un hueso», dice el libro de los Proverbios (25,15). Hablar con el corazón es hoy muy necesario para promover una cultura de paz allí donde hay guerra; para abrir senderos que permitan el diálogo y la reconciliación allí donde el odio y la enemistad causan estragos. En el dramático contexto del conflicto global que estamos viviendo, es urgente afirmar una comunicación no hostil. Es necesario vencer «la costumbre de desacreditar rápidamente al adversario aplicándole epítetos humillantes, en lugar de enfrentar un diálogo abierto y respetuoso».[5] Necesitamos comunicadores dispuestos a dialogar, comprometidos a favorecer un desarme integral y que se esfuercen por desmantelar la psicosis bélica que se anida en nuestros corazones; como exhortaba proféticamente san Juan XXIII en la Encíclica Pacem in terris, la paz «verdadera puede apoyarse únicamente en la confianza recíproca» (n. 113). Una confianza que necesita comunicadores no ensimismados, sino audaces y creativos, dispuestos a arriesgarse para hallar un terreno común donde encontrarse. Como hace sesenta años, vivimos una hora oscura en la que la humanidad teme una escalada bélica que se ha de frenar cuanto antes, también a nivel comunicativo. Uno se queda horrorizado al escuchar con qué facilidad se pronuncian palabras que claman por la destrucción de pueblos y territorios. Palabras que, desgraciadamente, se convierten a menudo en acciones bélicas de cruel violencia. He aquí por qué se ha de rechazar toda retórica belicista, así como cualquier forma de propaganda que manipule la verdad, desfigurándola por razones ideológicas. Se debe promover, en cambio, en todos los niveles, una comunicación que ayude a crear las condiciones para resolver las controversias entre los pueblos.
En cuanto cristianos, sabemos que es precisamente la conversión del corazón la que decide el destino de la paz, ya que el virus de la guerra procede del interior del corazón humano.[6] Del corazón brotan las palabras capaces de disipar las sombras de un mundo cerrado y dividido, para edificar una civilización mejor que la que hemos recibido. Es un esfuerzo que se nos pide a cada uno de nosotros, pero que apela especialmente al sentido de responsabilidad de los operadores de la comunicación, a fin de que desarrollen su profesión como una misión.
Que el Señor Jesús, Palabra pura que surge del corazón del Padre, nos ayude a hacer nuestra comunicación libre, limpia y cordial.
Que el Señor Jesús, Palabra que se hizo carne, nos ayude a escuchar el latido de los corazones, para redescubrirnos hermanos y hermanas, y desarmar la hostilidad que nos divide.
Que el Señor Jesús, Palabra de verdad y de amor, nos ayude a decir la verdad en la caridad, para sentirnos custodios los unos de los otros.
Roma, San Juan de Letrán, 24 de enero de 2023, memoria de san Francisco de Sales.
FRANCISCO
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[1] Carta enc. Deus caritas est, 31.
[2] Carta ap. Totum amoris est (28 diciembre 2022).
[3] Epístola ap. Sabaudiae gemma, con motivo del IV Centenario del nacimiento de san Francisco de Sales, doctor de la Iglesia (29 enero 1967).
[4] Mensaje para la LVI Jornada Mundial de las Comunicaciones Sociales (24 enero 2022).
[5] Carta enc. Fratelli tutti (3 octubre 2020), 201.
[6] Cf. Mensaje para la 56 Jornada Mundial de la Paz (1 enero 2023).
[00125-ES.01] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua portoghese
Falar com o coração.
“Testemunhandoa verdade no amor” (Ef 4, 15)»
Estimados irmãos e irmãs!
Depois de ter refletido, nos anos anteriores, sobre os verbos «ir e ver» e «escutar» como condição necessária para uma boa comunicação, com esta Mensagem para o LVII Dia Mundial das Comunicações Sociais gostaria de me deter sobre o «falar com o coração». Foi o coração que nos moveu para ir, ver e escutar, e é o coração que nos move para uma comunicação aberta e acolhedora. Após o nosso treino na escuta, que requer saber esperar e paciência, e o treino na renúncia a impor em detrimento dos outros o nosso ponto de vista, podemos entrar na dinâmica do diálogo e da partilha que é, em concreto, comunicar cordialmente. E, se escutarmos o outro com coração puro, conseguiremos também falar testemunhando a verdade no amor (cf. Ef 4, 15). Não devemos ter medo de proclamar a verdade, por vezes incómoda, mas de o fazer sem amor, sem coração. Com efeito «o programa do cristão – como escreveu Bento XVI – é “um coração que vê”».[1] Trata-se de um coração que revela, com o seu palpitar, o nosso verdadeiro ser e, por essa razão, deve ser ouvido. Isto leva o ouvinte a sintonizar-se no mesmo comprimento de onda, chegando ao ponto de sentir no próprio coração também o pulsar do outro. Então pode ter lugar o milagre do encontro, que nos faz olhar uns para os outros com compaixão, acolhendo as fragilidades recíprocas com respeito, em vez de julgar a partir dos boatos semeando discórdia e divisões.
Jesus chama-nos a atenção de que cada árvore se conhece pelo seu fruto (cf. Lc 6, 44). De igual modo «o homem bom, do bom tesouro do seu coração, tira o que é bom; e o mau, do mau tesouro, tira o que é mau; pois a boca fala da abundância do coração» (6, 45). Por conseguinte, para se poder comunicar testemunhando a verdade no amor, é preciso purificar o próprio coração. Só ouvindo e falando com o coração puro é que podemos ver para além das aparências, superando o rumor confuso que, mesmo no campo da informação, não nos ajuda a fazer o discernimento na complexidade do mundo em que vivemos. O apelo para se falar com o coração interpela radicalmente este nosso tempo, tão propenso à indiferença e à indignação, baseada por vezes até na desinformação que falsifica e instrumentaliza a verdade.
Comunicar cordialmente
Comunicar cordialmente quer dizer que a pessoa que nos lê ou escuta é levada a deduzir a nossa participação nas alegrias e receios, nas esperanças e sofrimentos das mulheres e homens do nosso tempo. Quem assim fala, ama o outro, pois preocupa-se com ele e salvaguarda a sua liberdade, sem a violar. Podemos ver este estilo no misterioso Viandante que dialoga com os discípulos a caminho de Emaús depois da tragédia que se consumou no Gólgota. A eles, Jesus ressuscitado fala com o coração, acompanhando com respeito o caminho da sua amargura, propondo-Se e não Se impondo, abrindo-lhes amorosamente a mente à compreensão do sentido mais profundo do sucedido. De facto, eles podem exclamar com alegria que o coração lhes ardia no peito enquanto Ele conversava pelo caminho e lhes explicava as Escrituras (cf. Lc 24, 32).
Num período da história marcado por polarizações e oposições – de que, infelizmente, nem a comunidade eclesial está imune – o empenho em prol duma comunicação «de coração e braços abertos» não diz respeito exclusivamente aos agentes da informação, mas é responsabilidade de cada um. Todos somos chamados a procurar a verdade e a dizê-la, fazendo-o com amor. De modo particular nós, cristãos, somos exortados a guardar continuamente a língua do mal (cf. Sl 34, 14), pois com ela – como ensina a Escritura – podemos bendizer o Senhor e amaldiçoar os homens feitos à semelhança de Deus (cf. Tg 3, 9). Da nossa boca, não deveriam sair palavras más, «mas apenas a que for boa, que edifique, sempre que necessário, para que seja uma graça para aqueles que a escutam» (Ef 4, 29).
Por vezes, o falar amável abre uma brecha até nos corações mais endurecidos. Encontramos vestígios disto na própria literatura; penso naquela página memorável do cap. XXI do livro Promessi Sposi, onde Luzia fala com o coração ao Inominável até que este, desarmado e atormentado por uma benéfica crise interior, cede à força gentil do amor. Experimentamo-lo na convivência social, onde a gentileza não é questão apenas de «etiqueta», mas um verdadeiro antídoto contra a crueldade, que pode, infelizmente, envenenar os corações e intoxicar as relações. Precisamos daquele falar amável no âmbito dos mass media, para que a comunicação não fomente uma aversão que exaspere, gere ódio e conduza ao confronto, mas ajude as pessoas a refletir calmamente, a decifrar com espírito crítico e sempre respeitoso a realidade onde vivem.
A comunicação de coração a coração: «Basta amar bem para dizer bem»
Um dos exemplos mais luminosos e, ainda hoje, fascinantes deste «falar com o coração» temo-lo em São Francisco de Sales, Doutor da Igreja, a quem dediquei recentemente a Carta Apostólica Totum amoris est, nos 400 anos da sua morte. A par deste aniversário importante e relacionado com a mesma circunstância, apraz-me recordar outro que se celebra neste ano de 2023: o centenário da sua proclamação como padroeiro dos jornalistas católicos, feita por Pio XI com a Encíclica Rerum omnium perturbationem. Mente brilhante, escritor fecundo, teólogo de grande profundidade, Francisco de Sales foi bispo de Genebra no início do século XVII, em anos difíceis marcados por animadas disputas com os calvinistas. A sua mansidão, humanidade e predisposição a dialogar pacientemente com todos, e de modo especial com quem se lhe opunha, fizeram dele uma extraordinária testemunha do amor misericordioso de Deus. Dele se pode dizer que as suas «palavras amáveis multiplicam os amigos, a linguagem afável atrai muitas respostas agradáveis» (Sir 6, 5). Aliás uma das suas afirmações mais célebres – «o coração fala ao coração» – inspirou gerações de fiéis, entre os quais se conta São John Henry Newman que a escolheu para seu lema: Cor ad cor loquitur. «Basta amar bem para dizer bem»: constituía uma das suas convicções. Isto prova como, para ele, a comunicação nunca deveria reduzir-se a um artifício, a uma estratégia de marketing – diríamos nós hoje –, mas era o reflexo do íntimo, a superfície visível dum núcleo de amor invisível aos olhos. Para São Francisco de Sales, precisamente «no coração e através do coração é que se realiza aquele subtil e intenso processo unitário em virtude do qual o homem reconhece a Deus».[2] «Amando bem», São Francisco conseguiu comunicar com o surdo-mudo Martinho tornando-se seu amigo, e daí ser recordado também como protetor das pessoas com deficiências comunicativas.
É a partir deste «critério do amor» que o santo bispo de Genebra nos recorda, através dos seus escritos e do próprio testemunho de vida, que «somos aquilo que comunicamos»: uma lição contracorrente hoje, num tempo em que, como experimentamos particularmente nas redes sociais, a comunicação é muitas vezes instrumentalizada para que o mundo nos veja, não por aquilo que somos, mas como desejaríamos ser. São Francisco de Sales difundiu em grande número cópias dos seus escritos na comunidade de Genebra. Esta intuição «jornalística» valeu-lhe uma fama que superou rapidamente o perímetro da sua diocese e perdura ainda nos nossos dias. Como observou São Paulo VI, os seus escritos suscitam «uma leitura sumamente agradável, instrutiva e estimulante».[3] Pensando no atual panorama da comunicação, não são estas precisamente as caraterísticas de que se deveriam revestir um artigo, uma reportagem, um serviço radiotelevisivo ou uma mensagem nas redes sociais? Possam os agentes da comunicação sentir-se inspirados por este Santo da ternura, procurando e narrando a verdade com coragem e liberdade, mas rejeitando a tentação de usar expressões sensacionalistas e agressivas.
Falar com o coração no processo sinodal
Como já tive oportunidade de salientar, «também na Igreja há grande necessidade de escutar e de nos escutarmos. É o dom mais precioso e profícuo que podemos oferecer uns aos outros».[4] Duma escuta sem preconceitos, atenta e disponível, nasce um falar segundo o estilo de Deus, que se sustenta de proximidade, compaixão e ternura. Na Igreja, temos urgente necessidade duma comunicação que inflame os corações, seja bálsamo nas feridas e ilumine o caminho dos irmãos e irmãs. Sonho uma comunicação eclesial que saiba deixar-se guiar pelo Espírito Santo, gentil e ao mesmo tempo profética, capaz de encontrar novas formas e modalidades para o anúncio maravilhoso que é chamada a proclamar no terceiro milénio. Uma comunicação que coloque no centro a relação com Deus e com o próximo, especialmente o mais necessitado, e esteja mais preocupada em acender o fogo da fé do que em preservar as cinzas duma identidade autorreferencial. Uma comunicação, cujas bases sejam a humildade no escutar e o desassombro no falar e que nunca separe a verdade do amor.
Desarmar os ânimos promovendo uma linguagem de paz
«A língua branda pode até quebrar ossos»: lê-se no livro dos Provérbios (25, 15). Hoje é tão necessário falar com o coração para promover uma cultura de paz, onde há guerra; para abrir sendas que permitam o diálogo e a reconciliação, onde campeiam o ódio e a inimizade. No dramático contexto de conflito global que estamos a viver, urge assegurar uma comunicação não hostil. É necessário vencer «o hábito de denegrir rapidamente o adversário, aplicando-lhe atributos humilhantes, em vez de se enfrentarem num diálogo aberto e respeitoso».[5] Precisamos de comunicadores prontos a dialogar, ocupados na promoção dum desarmamento integral e empenhados em desmantelar a psicose bélica que se aninha nos nossos corações, como exortava profeticamente São João XXIII na Encíclica Pacem in terris: «a verdadeira paz entre os povos não se baseia em tal equilíbrio [de armamentos], mas sim e exclusivamente na confiança mútua» (n.º 113). Uma confiança que precisa de comunicadores não postos à defesa, mas ousados e criativos, prontos a arriscar na procura dum terreno comum onde encontrar-se. Também agora, como há 60 anos, a humanidade vive uma hora escura temendo uma escalada bélica, que deve ser travada o mais depressa possível, inclusivamente em termos de comunicação. Fica-se apavorado ao ouvir com quanta facilidade se pronunciam palavras que invocam a destruição de povos e territórios; palavras que, infelizmente, se convertem muitas vezes em ações bélicas de celerada violência. Por isso mesmo há que rejeitar toda a retórica belicista, assim como toda a forma de propaganda que manipula a verdade, deturpando-a com finalidades ideológicas. Em vez disso seja promovida, a todos os níveis, uma comunicação que ajude a criar as condições para se resolverem as controvérsias entre os povos.
Como cristãos, sabemos que é precisamente na conversão do coração que se decide o destino da paz, pois o vírus da guerra provém do íntimo do coração humano.[6] Do coração brotam as palavras certas para dissipar as sombras dum mundo fechado e dividido e construir uma civilização melhor do que aquela que recebemos. É um esforço que é exigido a todos e cada um de nós, mas faz apelo de modo particular ao sentido de responsabilidade dos agentes da comunicação a fim de realizarem a própria profissão como uma missão.
Que o Senhor Jesus, Palavra pura que brota do coração do Pai, nos ajude a tornar a nossa comunicação livre, limpa e cordial.
Que o Senhor Jesus, Palavra que Se fez carne, nos ajude a colocar-nos à escuta do palpitar dos corações, para nos reconhecermos como irmãos e irmãs e desativarmos a hostilidade que divide.
Que o Senhor Jesus, Palavra de verdade e caridade, nos ajude a dizer a verdade no amor, para nos sentirmos guardiões uns dos outros.
Roma – São João de Latrão, na Memória de São Francisco de Sales, 24 de janeiro de 2023.
FRANCISCO
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[1] Carta enc. Deus caritas est (25/XII/2005), 31.
[2] Carta ap. Totum amoris est (28/XII/2022).
[3] Epístola apostólica Sabaudiae gemma, no IV centenário do nascimento de São Francisco de Sales, Doutor da Igreja (29/I/1967).
[4] Mensagem para o LVI Dia Mundial das Comunicações Sociais (24/I/2022).
[5] Francisco, Carta enc. Fratelli tutti (03/X/2020), 201.
[6] Cf. Francisco, Mensagem para o LVI Dia Mundial da Paz a 1 de janeiro de 2023 (08/XII/2022), 4.
[00125-PO.01] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua polacca
Mówić z sercem.
„Prawdziwie w miłości” (Ef 4, 15)
Drodzy Bracia i Siostry!
Po tym, jak w poprzednich latach rozważaliśmy czasowniki: „pójść i zobaczyć” oraz „słuchać”, jako warunki dobrej komunikacji, w tym Orędziu na 57. Światowy Dzień Środków Społecznego Przekazu chciałbym skupić się na „mówieniu z sercem”. To serce pobudziło nas do pójścia, zobaczenia i słuchania, i to serce skłania nas do otwartej i przyjaznej komunikacji. Po wprawieniu się w słuchaniu, które wymaga czekania i cierpliwości, a także rezygnacji z narzucania z góry naszego punktu widzenia, możemy wejść w dynamikę dialogu i dzielenia się, która cechuje właśnie serdeczne komunikowanie się. Kiedy wysłuchamy drugiego z czystym sercem, będziemy też mogli mówić, podążając za prawdą w miłości (por. Ef 4, 15). Nie powinniśmy obawiać się głoszenia prawdy, nawet jeśli jest czasem niewygodna, ale czynienia tego bez miłości, bez serca. Ponieważ „program chrześcijański – jak napisał Benedykt XVI – to «serce, które widzi»”[1]. Serce, które swoim biciem wyjawia prawdę o naszym istnieniu, i z tego powodu należy go słuchać. Prowadzi to słuchającego do dostrojenia się do tej samej długości fali, tak iż jest w stanie poczuć we własnym sercu również bicie serca drugiego człowieka. Wtedy może dokonać się cud spotkania, który sprawia, że patrzymy na siebie ze współczuciem, przyjmując z szacunkiem wzajemne słabości, a nie osądzając na podstawie pogłosek i siejąc niezgodę oraz podziały.
Jezus przestrzega nas, że każde drzewo poznaje się po jego owocach (por. Łk 6, 44): „Dobry człowiek z dobrego skarbca swego serca wydobywa dobro, a zły człowiek ze złego skarbca wydobywa zło. Bo z obfitości serca mówią jego usta” (w. 45). Dlatego, aby móc komunikować się prawdziwie w miłości, należy oczyścić swoje serce. Jedynie słuchając i mówiąc z czystym sercem, możemy zobaczyć więcej niż tylko to, co widać na zewnątrz i przezwyciężyć nieokreślony hałas, który także w sferze informacji utrudnia nam rozeznawanie w złożoności świata, w którym żyjemy. Wezwanie do mówienia z sercem stanowi radykalny wymóg w naszych czasach, tak bardzo skłonnych do obojętności i oburzenia, czasem nawet na podstawie dezinformacji, która fałszuje prawdę i nią manipuluje.
Serdeczne komunikowanie
Serdeczne komunikowanie oznacza, że ten, kto nas czyta lub słucha, potrafi dostrzec nasze uczestnictwo w radościach i lękach, w nadziejach oraz cierpieniach kobiet i mężczyzn naszych czasów. Kto mówi w ten sposób, miłuje drugiego człowieka, ponieważ zależy mu na nim i chroni jego wolność, nie naruszając jej. Styl ten możemy dostrzec u tajemniczego Wędrowca, który rozmawia z uczniami na drodze do Emaus, po tragedii, która wydarzyła się na Golgocie. Zmartwychwstały Jezus przemawia do nich z sercem, z szacunkiem towarzysząc na drodze ich cierpienia, proponując, a nie narzucając się, z miłością otwierając ich umysły na zrozumienie najgłębszego sensu tego, co się stało. Rzeczywiście, mogą oni z radością wołać, że serca płonęły w ich piersiach, gdy On rozmawiał z nimi w drodze i wyjaśniał im Pisma (por. Łk 24, 32).
W okresie historii naznaczonym polaryzacjami i przeciwieństwami – od których, niestety, nie jest wolna nawet wspólnota kościelna – angażowanie się w komunikację „z otwartym sercem i otwartymi ramionami” nie dotyczy tylko specjalistów zajmujących się przekazywaniem informacji, ale jest obowiązkiem wszystkich. Wszyscy jesteśmy wezwani do poszukiwania oraz mówienia prawdy i do czynienia tego z miłością. Zwłaszcza my, chrześcijanie, jesteśmy nieustannie napominani, by powściągać swój język od złego (por. Ps 34, 14), ponieważ – jak uczy Pismo Święte – językiem możemy wielbić Pana i przeklinać ludzi, stworzonych na podobieństwo Boże (por. Jk 3, 9). Z naszych ust nie powinna wychodzić mowa szkodliwa, „lecz tylko budująca, zależnie od potrzeby, by wyświadczała dobro słuchającym” (Ef 4, 29).
Czasami łagodna mowa robi wyłom nawet w najbardziej zatwardziałych sercach. Ślady tego znajdujemy także w literaturze. Myślę o tej pamiętnej stronie z rozdziału XXI Narzeczonych, kiedy Łucja mówi z sercem do Bezimiennego, aż w końcu, rozbrojony i nękany dobroczynnym kryzysem wewnętrznym, poddaje się on łagodnej sile miłości. Doświadczamy tego we współistnieniu społecznym, gdzie życzliwość nie jest tylko kwestią „etykiety”, ale prawdziwym antidotum na okrucieństwo, które niestety potrafi zatruwać serca i niszczyć relacje. Potrzebujemy tego w środkach masowego przekazu, aby komunikacja nie podsycała rozgoryczenia, które irytuje, rodzi gniew i prowadzi do scysji, lecz pomagała ludziom w spokojnej refleksji, w rozszyfrowaniu, krytycznie i zawsze z szacunkiem, rzeczywistości, w której żyją.
Komunikacja z serca do serca: „Wystarczy dobrze kochać, aby dobrze mówić”
Jednym z najbardziej świetlanych i po dziś dzień fascynujących przykładów „mówienia z sercem” jest św. Franciszek Salezy, doktor Kościoła, któremu niedawno poświęciłem list apostolski Totum amoris est, w czterechsetną rocznicę jego śmierci. Przy okazji tej ważnej rocznicy chciałbym przypomnieć inną, która przypada w tym, 2023 roku – stulecie ogłoszenia go patronem dziennikarzy katolickich przez Piusa XI w encyklice Rerum omnium perturbationem. Franciszek Salezy, błyskotliwy intelektualista, płodny pisarz, teolog o wielkiej głębi, był biskupem Genewy na początku XVII wieku, w trudnych latach, naznaczonych burzliwymi sporami z kalwinistami. Jego łagodna postawa, człowieczeństwo, gotowość do cierpliwego dialogu ze wszystkimi, a zwłaszcza z tymi, którzy mu się sprzeciwiali, uczyniły go niezwykłym świadkiem miłosiernej miłości Boga. Można o nim powiedzieć, że „miła mowa przyciąga przyjaciół, a język uprzejmy – miłe słowa” (Syr 6, 5). Co więcej, jedno z jego najsłynniejszych stwierdzeń, „serce mówi do serca”, inspirowało pokolenia wiernych, w tym św. Jana Henryka Newmana, który wybrał je na swoje motto: Cor ad cor loquitur. Jednym z jego przekonań było, że „wystarczy dobrze kochać, aby dobrze mówić”. Pokazuje to, że według niego komunikacja nigdy nie powinna sprowadzać się do sztuczności, do – powiedzielibyśmy dziś – strategii marketingowej, ale winna być odzwierciedleniem duszy, widzialną powierzchnią niewidzialnej dla oczu istoty miłości. Dla św. Franciszka Salezego to właśnie „w sercu i poprzez serce dokonuje się ten subtelny i intensywny proces zjednoczenia, dzięki któremu człowiek rozpoznaje Boga”[2]. „Kochając dobrze”, św. Franciszek potrafił porozumieć się z głuchoniemym Marcinem, stając się jego przyjacielem; dlatego jest wspominany również jako patron osób z zaburzeniami komunikacji.
Wychodząc właśnie od tego „kryterium miłości”, święty biskup Genewy przypomina nam, poprzez swoje pisma i świadectwo życia, że „jesteśmy tym, co przekazujemy”. Dziś, w czasach, kiedy, jak tego doświadczamy w szczególności w social network, komunikacja jest często instrumentalizowana, aby świat widział nas takich, jacy chcielibyśmy być, a nie takich, jacy jesteśmy, ta lekcja jest przeciwna tendencjom. Św. Franciszek Salezy rozpowszechniał liczne kopie swoich pism we wspólnocie genewskiej. Ta „dziennikarska” intuicja przyniosła mu sławę, która szybko wykroczyła poza obręb jego diecezji i trwa nadal po nasze dni. Jego pisma - zauważył św. Paweł VI - powodują, że jest to lektura „w najwyższym stopniu przyjemna, pouczająca i inspirująca”[3]. Jeśli patrzymy dziś na panoramę komunikacji, czyż nie są to właśnie cechy, jakie powinny posiadać artykuł, reportaż, serwis radiowo-telewizyjny czy post na portalach społecznościowych? Oby osoby pracujące w dziedzinie przekazu inspirowały się tym świętym czułości, poszukując prawdy i opowiadając ją odważnie i z wolnością, a odrzucając pokusę używania wyrażeń uderzających i agresywnych.
Mówienie z sercem na procesie synodalnym
Jak już miałem sposobność zaznaczyć, „również w Kościele istnieje wielka potrzeba słuchania i wysłuchiwania siebie nawzajem. Jest to najcenniejszy i najbardziej odradzający dar, jaki możemy sobie nawzajem ofiarować”[4]. Z wolnego od uprzedzeń, uważnego i chętnego słuchania rodzi się mowa zgodna ze stylem Bożym, karmiona bliskością, współczuciem i czułością. W Kościele pilnie potrzebna jest komunikacja, która rozpalałaby serca, która byłaby balsamem dla ran i oświetlała drogę braci i sióstr. Marzy mi się komunikacja kościelna, która potrafi się poddać prowadzeniu przez Ducha Świętego, uprzejma i zarazem profetyczna, która potrafi znajdować nowe formy i sposoby dla wspaniałego przekazu, który ma nieść w trzecie tysiąclecie. Komunikacja, która w centrum stawiałaby relację z Bogiem i z bliźnim, zwłaszcza tym najbardziej potrzebującym, i która umiałaby raczej rozpalać płomień wiary, niż chronić popioły autoreferencyjnej tożsamości. Komunikacja, której podstawą byłyby pokora w słuchaniu i parezja w mówieniu, która nigdy nie oddzielałaby prawdy od miłości.
Rozbrajanie nastrojów przez propagowanie mowy pokoju
„Język łagodny kruszy kości” - mówi Księga Przysłów (25, 15). Mówienie z sercem jest dziś szczególnie potrzebne, aby promować kulturę pokoju tam, gdzie panuje wojna; żeby otwierać drogi, które umożliwiałyby dialog i pojednanie tam, gdzie srożą się nienawiść i wrogość. W dramatycznym kontekście globalnego konfliktu, który przeżywamy, pilnie trzeba wzmacniać komunikację pozbawioną wrogości. Konieczne jest przezwyciężenie „zwyczaju szybkiej dyskwalifikacji przeciwnika, poprzez przypisywanie mu upokarzających epitetów, zamiast podejmowania otwartego i pełnego szacunku dialogu”[5]. Potrzeba przekazicieli gotowych do dialogu, zaangażowanych w działanie na rzecz integralnego rozbrojenia i pracujących nad rozładowywaniem psychozy wojennej, która gnieździ się w naszych sercach, jak proroczo napominał św. Jan XXIII w encyklice Pacem in terris: „Prawdziwy pokój można budować tylko na wzajemnym zaufaniu” (por. n. 113). Zaufaniu, które wymaga głosicieli nie ukrywających się, ale śmiałych i kreatywnych, gotowych podejmować ryzyko, aby znaleźć wspólny teren, na którym można się spotkać. Jak przed 60 laty, także teraz żyjemy w mrocznej godzinie, kiedy ludzkość obawia się eskalacji wojennej, którą trzeba jak najszybciej powstrzymać, również na poziomie komunikacji. Budzi przerażenie, gdy słucha się, z jaką łatwością wypowiadane są słowa, nawołujące do niszczenia ludności i terytoriów. Słowa, które niestety często przeradzają się w działania wojenne o okrutnej przemocy. Dlatego właśnie należy odrzucić wszelką retorykę podżegającą do wojny, jak również wszelkiego rodzaju propagandę, która manipuluje prawdą, zniekształcając ją w celach ideologicznych. Należy natomiast promować na wszystkich szczeblach komunikację, która pomoże stworzyć warunki do zażegnywania sporów między narodami.
Jako chrześcijanie wiemy, że to właśnie dzięki nawróceniu serca decyduje się los pokoju, bowiem wirus wojny pochodzi z wnętrza ludzkiego serca[6]. Z serca wypływają właściwe słowa, aby rozproszyć cienie świata zamkniętego i podzielonego i budować cywilizację lepszą niż ta, którą otrzymaliśmy. Tego wysiłku oczekuje się od każdego z nas, jednak w szczególności odwołuje się do poczucia odpowiedzialności osób pracujących w dziedzinie komunikacji, aby wykonywali swój zawód jako misję.
Oby Pan Jezus, czyste Słowo, płynące z serca Ojca, pomógł nam uczynić naszą komunikację wolną, czystą i serdeczną.
Oby Pan Jezus, Słowo, które stało się ciałem, pomógł nam wsłuchiwać się w bicie serc, abyśmy odkryli, że jesteśmy braćmi i siostrami, i rozładowali dzielącą nas wrogość.
Oby Pan Jezus, Słowo prawdy i miłości, pomógł nam mówić prawdę w miłości, abyśmy się czuli stróżami jedni drugich.
Rzym, u św. Jana na Lateranie, 24 stycznia 2023 r., we wspomnienie św. Franciszka Salezego.
FRANCISZEK
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[1] Enc. Deus caritas est, 31.
[2] List apost. Totum amoris est (28 grudnia 2022 r.).
[3] List apost. Sabaudiae gemma, w 400. rocznicę urodzin św. Franciszka Salezego, doktora Kościoła (29 stycznia 1967 r.).
[4] Orędzie na 56. Światowy Dzień Środków Społecznego Przekazu (24 stycznia 2022 r.).
[5] Por. enc. Fratelli tutti (3 października 2020 r.), 201.
[6] Por. Orędzie na 56. Światowy Dzień Pokoju, 1 stycznia 2023 r.
[00125-PL.01] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua araba
رسالة قداسة البابا فرنسيس
في مناسبة اليوم العالمي السّابع والخمسين لوسائل التّواصل الاجتماعيّة
التكلُّم من القلب "للحقِّ بالمحبّة" (أفسس 4، 15)
أيها الإخوة والأخوات الأعزاء!
بعد أن تأمّلنا في السنوات الماضية، في الأفعال ”ذهب ونظر“، ”وأصغى“ كشرط للتّواصل الجيّد، أُريد في هذه الرّسالة لليوم السّابع والخمسين لوسائل التّواصل الاجتماعيّة أن أتحدَّث عن ”التكلُّم من القلب“. القلب هو الذي يدفعنا لكي نذهب وننظر ونصغي، والقلب هو الذي يحرِّكنا لكي نتواصل بشكل منفتح ومرحِّب. وبعد التدرُّب على الإصغاء، الذي يتطلب انتظارًا وصبرًا، وكذلك التّخلي عن تأكيد وجهة نظرنا بصورة حكم مسبق، يمكننا أن ندخل في ديناميكيّة الحوار والمشاركة، التي هي ديناميكيّة التّواصل من القلب. إن أصغينا إلى الآخر بقلب نقي، يمكننا أيضًا أن نتكلّم بحسب الحق في المحبّة (راجع أفسس 4، 15). يجب ألّا نخشى أن نعلن الحقيقة، حتى لو كانت مُزعجة في بعض الأحيان، ولكن ليس بدون محبة أو بدون قلب. لأن "برنامج المسيحي - كما كتب بندكتس السّادس عشر - هو قلب يرى"[1]. قلب يكشف بنبضاته حقيقة كياننا ولهذا السبب علينا أن نصغي إليه. وهذا الأمر يحمل الذي يُصغي على أن يكون في تناغم على الموجة نفسها، لدرجة أن يصل به الأمر إلى أن يشعر في قلبه بخفقان قلب الآخر. عندئذ يمكن أن تحدث معجزة اللقاء، التي تجعلنا ننظر بعضنا إلى بعض بشفقة، ونقبل نقاط الضعف المتبادلة باحترام، بدلًا من أن نحكم بناء على الإشاعات فنزرع الفتنة والانقسامات.
يسوع ينبّهنا أنّ كلّ شجرة تُعرف من ثمرها (راجع لوقا 6، 44): "الانسان الصّالح من كنز قلبه الصالح يخرج الصّلاح والانسان الشّرير من كنز قلبه الشّرير يخرج الشّرّ فإنّه من فضلة القلب يتكلّم فمه" (آية 45). لهذا، لكي نكون قادرين على التواصل وفقًا للحقيقة في المحبة، علينا أن نُنقّي قلوبنا. بالإصغاء والتكلّم بقلب نقيّ فقط يمكننا أن نرى أبعد من المظاهر، وأن نتخطى، حتى في مجال الإعلام، الضوضاء المبهمة التي لا تساعدنا على تمييز التّعقيد الموجود في العالم الذي نعيش فيه. الدعوة إلى التكلُّم من القلب تخاطب، بصورة جذرية، زمننا، الميَّال إلى اللامبالاة والاستياء، وأحيانًا على أساس التضليل الإعلامي الذي يزوِّر الحقيقة ويستغلها.
التّواصل بالقلب
التواصل بالقلب يعني أن نقود الذي يقرأنا أو يستمع إلينا إلى أن يلمس مشاركتنا في أفراح ومخاوف وآمال وآلام نساء ورجال زمننا. إنّ الذي يتكلّم بهذه الطريقة يحبّ الآخر لأنّه يهُمّه أمره ويحافظ على حريته ولا يعتدي عليها. يمكننا أن نرى هذا الأسلوب في المسافر الغريب الذي تحاور مع التلميذين وهما في طريقهما إلى عمواس بعد المأساة التي حدثت على الجلجلة. معهما تكلّم يسوع القائم من بين الأموات من القلب، ورافق باحترام مسيرة ألمهما، وقدَّم نفسه لهما، ولم يفرض نفسه عليهما، فتح ذهنيهما بمحبة لكي يفهما المعنى العميق لما حدث. في الواقع، تمكَّنا من أن يهتفا بفرح أنَّ قلبيهما كانا مُتَّقدين في صدريهما حينَ كان يُحَدِّثُهما في الطَّريق ويَشرَحُ لهما الكُتُب (راجع لوقا 24، 32).
في مرحلة تاريخيّة مطبوعة بالاستقطابات والمعارضات - التي وللأسف لم تسلم منها حتى الجماعة الكنسيّة – الالتزام بالتواصل ”بقلب وبأذرع مفتوحة“، لا يخص فقط العاملين في مجال الإعلام، بل هو مسؤولية كلِّ فرد. نحن جميعًا مدعوون إلى البحث عن الحقيقة، وإلى قولها، ونقوم بذلك بمحبّة. نحن المسيحيين، نُدعَى دائمًا وبصورة خاصّة إلى أن نحفظ لساننا من الشّرّ (راجع مزمور 34، 14)، لأنّه، كما يعلّم الكتاب المقدس، باللسان عينه يمكننا أن نبارك الرّبّ ونلعن النَّاسَ المَخلوقينَ على صُورَةِ الله (راجع يعقوب 3، 9). ينبغي ألّا تخرج أَيَّةُ كَلِمَةٍ خَبيثَة من أفواهنا، "بل كُلُّ كَلِمةٍ طيِّبةٍ تُفيدُ البُنْيانَ عِندَ الحاجة وتَهَبُ نِعمَةً لِلسَّامِعين" (أفسس 4، 29).
في بعض الأحيان، يفتح الكلام اللطيف ثغرة حتى في أكثر القلوب قساوة. لدينا أمثلة على ذلك أيضًا في الأدب. أفكّر في تلك الصفحة المأثورة في الفصل الحادي والعشرين من رواية ”المخطوبين“ التي تتحدّث فيها لوتشيا من القلب إلى الشخص الذي لا يحمل اسمًا. فقد ألقى سلاحه بعد أن عذّبته أزمة داخلية صحية، واستسلم أخيرًا لقوّة الحبّ اللطيفة. نحن نختبر ذلك في العيش معًا في المجتمع حيث اللطف ليس فقط مسألة ”آداب“، بل هو مضاد حيوي حقيقي للقسوة، التي للأسف يمكنها أن تسمِّم القلوب وتسمِّم العلاقات. نحن بحاجة لذلك أيضًا في وسائل الإعلام، لكي لا يؤجج التّواصل حقدًا مُستفزًّا، يولِّد الغضب، ويقود إلى المصادمة، بل لكي يساعد الأشخاص على التفكير بهدوء، وفهم الواقع الذي يعيشون فيه بروح ناقدة ودائمًا باحترام.
التّواصل من القلب إلى القلب: ”يكفي أن نحبّ جيدًا لكي نتكلّم جيّدًا“
أحد الأمثلة المنيرة والتي لا تزال تجتذبنا اليوم أيضًا في ”التكلُّم من القلب“، هو القدّيس فرنسيس دي سالِس، معلّم الكنيسة الذي كرّسْتُ له مؤخرًا الرسالة الرّسولية "كلُّ شيء يعود إلى الحب"، في الذكرى المئويّة الرابعة لوفاته. إلى جانب هذه الذكرى المئويّة المهمّة، يطيب لي أن أشير إلى ذكرى مئويّة أخرى سيُحتفل بها في عام 2023: الذكرى المئويّة لإعلانه شفيعًا للصحفيين الكاثوليك من قبل البابا بيوس الحادي عشر في الرّسالة العامة Rerum omnium perturbationem (مع اضطراب جميع الأمور). ذكاء لامع، وكاتب خصب، ولاهوتي ذو عمق كبير، كان فرنسيس دي سالِس أسقفًا لجنيف في بداية القرن السابع عشر، في سنوات صعبة، طُبعت بنزاعات محتدمة مع الكالفينيين. لكنَّ موقفه الوديع، وإنسانيته، واستعداده للحوار بصبر مع الجميع ولا سيّما مع الذين كانوا يعارضونه، جميع هذه الأمور جعلت منه شاهدًا مميَّزًا لمحبّة الله الرحيمة. ففيه يمكننا أن نقول: "الفم العذب يكثر الاصدقاء واللسان اللطيف يكثر المؤانسات" (يشوع بن سيراخ 6، 5). ألهمت إحدى عباراته الشّهيرة، "القلب يخاطب القلب"، أجيالًا من المؤمنين، من بينهم القديس جون هنري نيومان الذي اختارها لتكون شعاره، Cor ad cor loquitur (القلب يخاطب القلب). "يكفي أن نحبّ جيدًا لكي نتكلّم جيّدًا"، كانت هذه إحدى قناعاته. وهذا الأمر يُظهر كيف ينبغي بالنسبة له ألّا يُحصَرَ التّواصل في كونه مجرَّد وسيلة مصطنعة أو استراتيجيّة للتسويق - كما نقول اليوم -، وإنّما يجب أن يكون انعكاسًا للروح، السطح المرئي لنواة الحبّ غير المرئي للعيون. بالنسبة إلى القديس فرنسيس دي سالِس، "في القلب وبالقلب تتمّ تلك العمليّة الموحِّدة الدقيقة والمكثفة التي يتعرّف الإنسان بها على الله"[2]. ولأنّه ”أحبَّ جيّدًا“ نجح القديس فرنسيس في التّواصل مع مارتينو الأصمّ والأبكم، وأصبح صديقه. لذلك يُذكر هذا القديس أيضًا حاميًا للأشخاص الذين يعانون من إعاقات في التّواصل.
بناء على ”معيار الحب“ هذا، ومن خلال كتاباته وشهادة حياته، يذكّرنا أسقف جنيف القديس أنّ ذاتنا هي ”ما ننقله للآخرين“. هذا درس عكس التّيار، اليوم، في زمن، نختبر فيه، بشكل خاص في شبكات التّواصل الاجتماعيّة، أنّ التّواصل يُستَخدم غالبًا لكي يرانا العالم كما نرغب في أن نكون وليس كما نحن. نشر القديس فرنسيس دي سالِس نسخًا عديدة من كتاباته في جماعة جينيف. وقد أكسبه هذا الحدس ”الصحفي“ شهرة تجاوزت بسرعة محيط أبرشيته ولا تزال قائمة حتى يومنا هذا. كتاباته، كما لاحظ القديس بولس السّادس، تحمل على قراءة "ممتعة جدًّا ومفيدة في التّعليم، ومحفِّزة"[3]. إن نظرنا إلى بانوراما التّواصل اليوم، أليست هذه هي بالضبط الخصائص التي يجب أن تستجيب لها مقالة أو تقرير أو برنامج إذاعي وتليفزيوني أو منشور على وسائل التّواصل الاجتماعي؟ يمكن للعاملين في مجال الاتصالات أن يستلهموا هذا الحنان من القديس فرنسيس، فيبحثوا عن الحقيقة ويروونها بشجاعة وحرية، رافضين تجربة استخدام عبارات باهرة وعدائية.
التكلّم من القلب في العمليّة السينوديّة
لقد أتيحت لي الفرصة أن أؤكِّد، "حتى في الكنيسة هناك حاجة كبيرة لكي نصغي ولكي نصغي بعضنا إلى بعض. إنّها أثمن عطيّة وأكثرها فعالية التي يمكننا أن نقدّمها بعضنا إلى بعض"[4]. من إصغاء بدون أحكام مُسبقة، مُتنبّه ومُستعدّ للخدمة، يولَد كلامٌ وفقًا لأسلوب الله، يغذّيه القرب والشّفقة والحنان. نحن بحاجة ماسة في الكنيسة إلى تواصل يُضرم القلوب، ويكون بلسمًا للجراح وينير مسيرة الإخوة والأخوات. أحلم بتواصل كنسي يعرف كيف يسمح للروح القدس أن يوجّهه، تواصل وديع ونبوي في الوقت عينه، يعرف كيف يجد أشكالًا وأساليب جديدة للإعلان المشرق الذي تُدعَى الكنيسة إلى حمله في الألفية الثالثة. تواصل يضع في المحور العلاقة مع الله ومع القريب، ولا سيّما أشدّهم احتياجًا، ويعرف كيف يشعل نار الإيمان بدلًا من أن يحافظ على رماد هوية مرجعيتها في ذاتها. تواصل تكون أساساته التّواضع في الإصغاء والجرأة في الكلام، ولا يفصل أبدًا الحقيقة عن المحبّة.
نزع السّلاح من النّفوس بتعزيز لغة سلام
"اللسان اللين يكسر العظام" يقول سفر الأمثال (أمثال 25، 15). التكلُّم من القلب ضروري اليوم أكثر من أي وقت مضى من أجل تعزيز ثقافة سلام حيث توجد الحرب، ومن أجل فتح مسارات تسمح بالحوار والمصالحة حيث تتفشى الكراهية والعداوة. في سياق الصّراع المأساوي العالمي الذي نعيشه، من المُلحِّ أن ننشر تواصلًا غير عدائي. من الضّروري أن نتغلّب على "عادة تشويه سمعة الخصم بسرعة، من خلال إسناد ألقاب مهينة له، بدلًا من أن ندخل في حوار مُنفتح وباحترام"[5]. نحن بحاجة إلى عاملي اتصالات مُستعدّين للحوار، وملتزمين في تعزيز نزع سلاح شامل وبتفكيك ذهان الحرب الكامن في قلوبنا، كما كان يحثّ بصوت نبويّ القديس يوحنا الثالث والعشرون في رسالته العامة ”السّلام على الأرض“: "لا يمكن بناء السّلام الحقيقي إلّا في الثقة المتبادلة" (عدد 61). ثقة تحتاج إلى عاملي اتصالات، لا مُنغلقين، بل شُجعان ومبدعين، ومستعدين للمجازفة من أجل إيجاد أرضية مشتركة للقاء. كما كان الحال قبل ستين سنة، نعيش الآن أيضًا في مرحلة مظلمة تخشى فيها البشريّة تصعيدًا للحرب، وهذه يجب إيقافها في أسرع وقت ممكن، حتى على مستوى التّواصل. نشعر بالرعب لسماعنا مدى السّهولة التي تُلفظ بها كلمات تدعو إلى تدمير شعوب وبلدان. كلمات غالبًا ما تتحوّل للأسف إلى أعمال حرب عنيفة. لهذا السبب يجب أن نرفض كلَّ خطاب عدائي، وكذلك كلَّ شكل من أشكال الدعاية التي تتلاعب بالحقيقة وتشوِّهها لأغراض أيديولوجيّة. علينا عكس ذلك، أن نعزّز على جميع المستويات تواصلًا يساعد على خلق الظروف من أجل حلّ النزاعات بين الشّعوب.
لكوننا مسيحيّين، نحن نعلَم أنّه بتوبة القلب يتمُّ تحديد مصير السّلام، لأنّ فيروس الحرب يأتي من داخل قلب الإنسان[6]. من القلب تنبع الكلمات الصّحيحة لتبديد ظلال عالم مُنغلق ومنقسم، ولبناء حضارة أفضل من التي حصلنا عليها. إنّه جهد يُطلب من كلّ فردٍ منا، ولكنه يذكّر، بصورة خاصّة، العاملين في الاتصالات، بمسؤوليتهم، لكي يقوموا بمهنتهم مثل مَن يحمل رسالة.
الرّبّ يسوع، الكلمة النقيّة التي تنبع من قلب الآب، ليساعدنا لنجعل أسلوبنا في التّواصل حرًّا، مهذَّبًا، نابعًا من القلب.
الرّبّ يسوع، الكلمة الذي صار جسدًا، ليساعدنا حتى نعرف أن نصغي إلى خفقان القلوب، لكي نكتشف أنفسنا مجدّدًا إخوةً وأخوات، وننزع فتيل العداوة التي تفرِّق بيننا.
الرّبّ يسوع، كلمة الحقيقة والحبّ، ليساعدنا لنقول الحقّ في المحبّة لكي نشعر بأنّنا حراس بعضنا لبعض.
روما، بازيليكا القدّيس يوحنّا في اللاتران، 24 كانون الثاني/يناير 2023، تذكار القدّيس فرنسيس دي سالِس.
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[1] الإرشاد الرسولي، الله محبّة، 31.
[2] رسالة بابويّة، كلُّ شيء يعود إلى الحب، 28 كانون الأوّل/ ديسمبر 2022.
[3] رسالة بابوّية، جوهرة سافويا، في الذكرى المئويّة الرابعة لميلاد القدّيس فرنسيس دي سالِس معلّم الكنيسة، 29 كانون الثاني/ يناير1967.
[4] رسالة في مناسبة اليوم العالمي السّادس والخمسين لوسائل التّواصل الاجتماعيّة، 22 كانون الثّاني/يناير 2021.
[5] رسالة بابوية عامة، كلّنا إخوة - Fratelli tutti، 3 تشرين الأوّل/أكتوبر 2020، 201.
[6] راجع رسالة اليوم العالمي السادس والخمسين للسلام، 1 كانون الثاني/ يناير 2023.
[00125-AR.01] [Testo originale: Italiano]
[B0066-XX.02]