Sala Stampa

www.vatican.va

Sala Stampa Back Top Print Pdf
Sala Stampa


Udienza al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede per la presentazione degli auguri per il nuovo anno, 09.01.2023


Discorso del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Questa mattina, nell’Aula della Benedizione, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza i Membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede per la presentazione degli auguri per il nuovo anno.

Dopo le parole introduttive del Decano del Corpo Diplomatico, S.E. il Sig. Georges Poulides, Ambasciatore di Cipro presso la Santa Sede, il Papa ha pronunciato il discorso che riportiamo di seguito:

Discorso del Santo Padre

Eminenza, Eccellenze, Signore e Signori,

Vi ringrazio per la vostra presenza al nostro consueto appuntamento, che quest’anno desidera essere un’invocazione di pace in un mondo che vede crescere divisioni e guerre.

Sono particolarmente grato al Decano del Corpo Diplomatico, Sua Eccellenza il Signor Georges Poulides, per i voti augurali che mi ha rivolto a nome di tutti voi. Il mio saluto si estende ad ognuno di voi, alle vostre famiglie, ai collaboratori e ai popoli e i governi dei Paesi che rappresentate. A voi tutti e alle vostre Autorità desidero esprimere gratitudine anche per i messaggi di cordoglio inviati in occasione della morte del Papa emerito Benedetto XVI e per la vicinanza manifestata durante le esequie.

Abbiamo appena concluso il tempo di Natale, in cui i cristiani fanno memoria del mistero della nascita del Figlio di Dio. Il profeta Isaia l’aveva preannunciata con queste parole: «Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il segno della sovranità ed è chiamato: Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace» (Is 9,5).

La vostra presenza afferma il valore della pace e della fraternità umana che il dialogo contribuisce a costruire. D’altronde, il compito della diplomazia è proprio quello di appianare i contrasti per favorire un clima di reciproca collaborazione e fiducia per il soddisfacimento di comuni bisogni. Si può dire che essa è un esercizio di umiltà perché richiede di sacrificare un po’ di amor proprio per entrare in rapporto con l’altro, per comprenderne le ragioni e i punti di vista, contrapponendosi così all’orgoglio e alla superbia umana, causa di ogni volontà belligerante.

Sono altresì riconoscente per l’attenzione che i vostri Paesi rivolgono alla Santa Sede, marcata, tra l’altro, nel corso dell’ultimo anno, dalla scelta della Svizzera, della Repubblica del Congo, del Mozambico e dell'Azerbaigian di nominare Ambasciatori residenti a Roma, come pure dalla sottoscrizione di nuovi accordi bilaterali con la Repubblica Democratica di São Tomé e Principe e con la Repubblica del Kazakhstan.

In questa sede, mi preme ricordare pure che, nel contesto di un dialogo rispettoso e costruttivo, la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese hanno concordato di prorogare per un altro biennio la validità dell’Accordo Provvisorio sulla nomina dei Vescovi, stipulato a Pechino nel 2018. Auspico che tale rapporto collaborativo possa svilupparsi a favore della vita della Chiesa cattolica e del bene del Popolo cinese.

In pari tempo, vi rinnovo l’assicurazione della piena collaborazione della Segreteria di Stato e dei Dicasteri della Curia Romana, la quale, con la promulgazione della nuova Costituzione apostolica Prædicate Evangelium, è stata riformata in alcune strutture per meglio adempiere «con spirito evangelico la propria funzione, operando al bene e al servizio della comunione, dell’unità e dell’edificazione della Chiesa universale ed attendendo alle istanze del mondo nel quale la Chiesa è chiamata a compiere la sua missione»[1].

Cari Ambasciatori,

Quest’anno ricorre il sessantesimo anniversario dell’Enciclica Pacem in terris di S. Giovanni XXIII, pubblicata poco meno di due mesi prima della sua morte[2].

Negli occhi del “Papa buono” era ancora vivo il pericolo di una guerra nucleare, provocato nell’ottobre 1962 dalla cosiddetta crisi dei missili di Cuba. L’umanità era a un passo dal proprio annientamento, se non si fosse riusciti a far prevalere il dialogo, consapevoli degli effetti distruttivi delle armi atomiche.

Purtroppo, ancora oggi la minaccia nucleare viene evocata, gettando il mondo nella paura e nell’angoscia. Non posso che ribadire in questa sede che il possesso di armi atomiche è immorale poiché – come osservava Giovanni XXIII – «se è difficile persuadersi che vi siano persone capaci di assumersi la responsabilità delle distruzioni e dei dolori che una guerra causerebbe, non è escluso che un fatto imprevedibile ed incontrollabile possa far scoccare la scintilla che metta in moto l’apparato bellico» [3]. Sotto la minaccia di armi nucleari siamo tutti sempre perdenti, tutti!

Da questo punto di vista, particolare preoccupazione desta lo stallo dei negoziati circa il riavvio del Piano d'azione congiunto globale, meglio noto come Accordo sul nucleare iraniano. Auspico che si possa arrivare al più presto ad una soluzione concreta per garantire un avvenire più sicuro.

Oggi è in corso la terza guerra mondiale di un mondo globalizzato, dove i conflitti interessano direttamente solo alcune aree del pianeta, ma nella sostanza coinvolgono tutti. L’esempio più vicino e recente è proprio la guerra in Ucraina, con il suo strascico di morte e distruzione; con gli attacchi alle infrastrutture civili che portano le persone a perdere la vita non solo a causa degli ordigni e delle violenze, ma anche di fame e di freddo. Al riguardo, la Costituzione conciliare Gaudium et spes, afferma che «ogni atto di guerra, che mira indiscriminatamente alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti, è delitto contro Dio e contro la stessa umanità e va condannato con fermezza e senza esitazione» (n. 80). Non dobbiamo dimenticare poi che la guerra colpisce particolarmente le persone più fragili – i bambini, gli anziani, i disabili ­– e lacera indelebilmente le famiglie. Non posso che rinnovare quest’oggi il mio appello a far cessare immediatamente questo conflitto insensato, i cui effetti interessano intere regioni, anche fuori dall’Europa a causa delle ripercussioni che esso ha in campo energetico e nell’ambito della produzione alimentare, soprattutto in Africa ed in Medio Oriente.

La terza guerra mondiale a pezzi che stiamo vivendo ci porta a considerare altri teatri di tensioni e conflitti. Anche quest’anno, con tanto dolore, dobbiamo guardare alla Siria come a una terra martoriata. La rinascita di quel Paese deve passare attraverso le necessarie riforme, anche costituzionali, nel tentativo di dare speranza al popolo siriano, afflitto da una povertà sempre crescente, evitando che le sanzioni internazionali imposte abbiano riflessi sulla vita quotidiana di una popolazione che ha già sofferto tanto.

La Santa Sede segue anche con preoccupazione l’aumento della violenza tra palestinesi e israeliani, con la conseguenza drammatica di molte vittime e di una totale sfiducia reciproca. Particolarmente colpita è Gerusalemme, città santa per ebrei, cristiani e musulmani. La vocazione iscritta nel suo nome è di essere Città della Pace, ma purtroppo si trova ad essere teatro di scontri. Confido che essa possa ritrovare tale vocazione ad essere luogo e simbolo di incontro e di coesistenza pacifica, e che l’accesso e la libertà di culto nei Luoghi Santi continui ad essere garantito e rispettato secondo lo status quo. Allo stesso tempo, auspico che le autorità dello Stato d’Israele e quelle dello Stato di Palestina possano ritrovare il coraggio e la determinazione nel dialogare direttamente al fine di implementare la soluzione dei due Stati in tutti i suoi aspetti, in conformità con il diritto internazionale e con tutte le pertinenti risoluzioni delle Nazioni Unite.

Come sapete, alla fine del mese, potrò finalmente recarmi pellegrino di pace nella Repubblica Democratica del Congo, con l’auspicio che cessino le violenze nell’est del Paese e prevalga la via del dialogo e la volontà di lavorare per la sicurezza e il bene comune. Il pellegrinaggio proseguirà in Sud Sudan, dove sarò accompagnato dall’Arcivescovo di Canterbury e dal Moderatore Generale della Chiesa Presbiteriana di Scozia. Insieme desideriamo unirci al grido di pace della popolazione e contribuire al processo di riconciliazione nazionale.

Non dobbiamo neppure dimenticare altre situazioni in cui continuano a pesare le conseguenze di conflitti non ancora risolti. Penso in particolare alla situazione nel Caucaso meridionale. Esorto le parti a rispettare il cessate il fuoco, ribadendo che la liberazione dei prigionieri militari e civili sarebbe un passo importante verso un desiderato accordo di pace.

Penso, altresì, allo Yemen, dove regge la tregua raggiunta nell’ottobre scorso ma tanti civili continuano a morire a causa delle mine, e all’Etiopia, dove auspico che continui il processo di pacificazione e si rafforzi l’impegno della Comunità internazionale per affrontare la crisi umanitaria che interessa il Paese.

Seguo con apprensione pure la situazione in Africa Occidentale, sempre più afflitta dalle violenze del terrorismo. Penso, in particolare, ai drammi che vivono le popolazioni del Burkina Faso, del Mali e della Nigeria e auspico che i processi di transizione in corso in Sudan, Mali, Ciad, Guinea e Burkina Faso si svolgano nel rispetto delle aspirazioni legittime delle popolazioni coinvolte.

Seguo parimenti con particolare attenzione la situazione del Myanmar, che ormai da due anni sperimenta violenza, dolore e morte. Invito la Comunità internazionale ad adoperarsi per concretizzare i processi di riconciliazione ed esorto tutte le parti coinvolte a riprendere il cammino del dialogo per ridonare speranza alla popolazione di quell’amata terra.

Penso, infine, alla penisola coreana, per la quale auspico che non vengano meno la buona volontà e l’impegno per la concordia, al fine di costruire la tanto desiderata pace e la prosperità per l’intero popolo coreano.

Tutti i conflitti pongono comunque in rilievo le conseguenze letali di un continuo ricorso alla produzione di nuovi e sempre più sofisticati armamenti, talvolta giustificata «adducendo il motivo che se una pace oggi è possibile, non può essere che la pace fondata sull’equilibrio delle forze»[4]. Occorre scardinare tale logica e procedere sulla via di un disarmo integrale, poiché nessuna pace è possibile laddove dilagano strumenti di morte.

Cari Ambasciatori,

In un tempo così conflittuale, non possiamo eludere la domanda su come si possa ritessere i fili della pace. Da dove ripartire?

Per abbozzare una risposta, vorrei riprendere con voi alcuni elementi della Pacem in terris, un testo estremamente attuale pur essendo mutato gran parte del contesto internazionale. Per San Giovanni XXIII, la pace è possibile alla luce di quattro beni fondamentali: la verità, la giustizia, la solidarietà e la libertà. Sono questi i capisaldi che regolano sia i rapporti fra i singoli esseri umani che quelli fra le comunità politiche[5].

Tali dimensioni si intrecciano all’interno della premessa fondamentale che «ogni essere umano è persona cioè una natura dotata di intelligenza e di volontà libera; e quindi è soggetto di diritti e di doveri che scaturiscono immediatamente e simultaneamente dalla sua stessa natura: diritti e doveri che sono perciò universali, inviolabili, inalienabili» [6].

Pace nella verità

Costruire la pace nella verità, significa anzitutto rispettare la persona umana, con il suo «diritto all’esistenza e all’integrità fisica»[7], alla quale va garantita la «libertà nella ricerca del vero, nella manifestazione del pensiero e nella sua diffusione»[8]. Ciò esige che «i poteri pubblici contribuiscano positivamente alla creazione di un ambiente umano nel quale a tutti i membri del corpo sociale sia reso possibile e facilitato l’effettivo esercizio degli accennati diritti, come pure l’adempimento dei rispettivi doveri»[9].

Nonostante gli impegni assunti da tutti gli Stati di rispettare i diritti umani e le libertà fondamentali di ogni persona, ancor oggi, in molti Paesi, le donne sono considerate come cittadini di seconda classe. Sono oggetto di violenze e di abusi e viene loro negata la possibilità di studiare, di lavorare, di esprimere i propri talenti, l’accesso alle cure sanitarie e persino al cibo. Invece, ove i diritti umani sono riconosciuti pienamente per tutti, le donne possono offrire il proprio contributo insostituibile alla vita sociale ed essere prime alleate della pace.

La pace esige anzitutto che si difenda la vita, un bene che oggi è messo a repentaglio non solo da conflitti, fame e malattie, ma fin troppo spesso addirittura dal grembo materno, affermando un presunto “diritto all’aborto”. Nessuno può vantare però diritti sulla vita di un altro essere umano, specialmente se è inerme e dunque privo di ogni possibilità di difesa. Faccio, dunque, appello alle coscienze degli uomini e delle donne di buona volontà, particolarmente di quanti hanno responsabilità politiche, affinché si adoperino per tutelare i diritti dei più deboli e venga debellata la cultura dello scarto, che interessa purtroppo anche i malati, i disabili e gli anziani. Vi è una precipua responsabilità degli Stati di garantire l’assistenza dei cittadini in ogni fase della vita umana, fino alla morte naturale, facendo in modo che ciascuno si senta accompagnato e curato anche nei momenti più delicati della propria esistenza.

Il diritto alla vita è minacciato anche laddove si continua a praticare la pena di morte, come sta accadendo in questi giorni in Iran, in seguito alle recenti manifestazioni, che chiedono maggiore rispetto per la dignità delle donne. La pena di morte non può essere utilizzata per una presunta giustizia di Stato, poiché essa non costituisce un deterrente, né offre giustizia alle vittime, ma alimenta solamente la sete di vendetta. Faccio, perciò, appello perché la pena di morte, che è sempre inammissibile poiché attenta all’inviolabilità e alla dignità della persona, sia abolita nelle legislazioni di tutti i Paesi del mondo. Non possiamo dimenticare che fino all’ultimo momento, una persona può convertirsi e può cambiare.

Purtroppo, appare emergere sempre più una “paura” della vita, che si traduce in molti luoghi nel timore dell’avvenire e nella difficoltà a formare una famiglia e mettere al mondo dei figli. In alcuni contesti, penso ad esempio all’Italia, è in atto un pericoloso calo della natalità, un vero e proprio inverno demografico, che mette in pericolo il futuro stesso della società. Al caro popolo italiano, desidero rinnovare il mio incoraggiamento ad affrontare con tenacia e speranza le sfide del tempo presente, forte delle proprie radici religiose e culturali.

Le paure trovano alimento nell’ignoranza e nel pregiudizio per degenerare facilmente in conflitti. L’educazione è il loro antidoto. La Santa Sede promuove una visione integrale dell’educazione, in cui «il culto dei valori religiosi e l’affinamento della coscienza morale procedano di pari passo con la sempre più ricca assimilazione di elementi scientifico-tecnici»[10]. Educare esige sempre il rispetto integrale della persona e della sua fisionomia naturale, evitando di imporre una nuova e confusa visione dell’essere umano. Ciò implica integrare i percorsi di crescita umana, spirituale, intellettuale e professionale, permettendo alla persona di affrancarsi da molteplici forme di schiavitù e di affermarsi nella società in modo libero e responsabile. In tal senso, è inaccettabile che parte della popolazione possa essere esclusa dall’educazione, come sta accadendo alle donne afgane.

L’educazione è in balìa di una crisi acuita dalle devastanti conseguenze della pandemia e dal preoccupante scenario geopolitico. In tal senso, il Vertice sulla trasformazione dell’educazione, convocato dal Segretario Generale delle Nazioni Unite e svoltosi lo scorso settembre a New York, ha rappresentato per i Governi un’opportunità unica per intraprendere politiche coraggiose, volte ad affrontare la “catastrofe educativa” in atto e a realizzare scelte concrete per raggiungere un’istruzione di qualità per tutti entro il 2030. Gli Stati abbiano il coraggio di invertire l’imbarazzante e asimmetrico rapporto tra la spesa pubblica riservata all’educazione e i fondi destinati agli armamenti!

La pace esige anche che sia riconosciuta universalmente la libertà religiosa. È preoccupante che ci siano persone che vengono perseguitate solo perché professano pubblicamente la loro fede e sono molti i Paesi in cui la libertà religiosa è limitata. Circa un terzo della popolazione mondiale vive in questa condizione. Insieme alla mancanza di libertà religiosa, vi è anche la persecuzione per motivi religiosi. Non posso non menzionare, come alcune statistiche dimostrano, che un cristiano ogni sette viene perseguitato. Al riguardo, esprimo l’auspicio che il nuovo Inviato Speciale dell’Unione Europea per la promozione della libertà di religione o di credo al di fuori dell’Unione Europea, possa disporre delle risorse e dei mezzi necessari per svolgere adeguatamente il proprio mandato.

Nello stesso tempo, è bene non dimenticare che la violenza e le discriminazioni contro i cristiani aumentano anche in Paesi dove questi non sono una minoranza. La libertà religiosa è messa in pericolo anche laddove i credenti vedono ridotta la possibilità di esprimere le proprie convinzioni nell’ambito della vita sociale, in nome di un malinteso concetto di inclusione. La libertà religiosa, che non può ridursi alla mera libertà di culto, è uno dei requisiti minimi necessari per vivere in modo dignitoso e i governi hanno il dovere di proteggerla e di garantire a ogni persona, compatibilmente con il bene comune, l’opportunità di agire secondo la propria coscienza anche nell’ambito della vita pubblica e nell’esercizio della propria professione.

La religione è un’opportunità effettiva di dialogo e d’incontro fra popoli e culture diverse, come testimonia la decisione del Parlamento di Timor-Leste che ha approvato all’unanimità il Documento sulla Fratellanza Umana che ho firmato con il Grande Imam di Al-Azhar nel 2019, includendolo nei programmi delle istituzioni educative e culturali nazionali, e come ho potuto sperimentare personalmente nel viaggio che ho compiuto in Kazakhstan, nel settembre scorso, in occasione del VII Incontro dei Leader religiosi mondiali, con i quali ho condiviso alcune preoccupazioni del nostro tempo e toccato con mano come le religioni «non [siano] problemi, ma parte della soluzione per una convivenza più armoniosa»[11]. Parimenti significativa è stata anche la visita in Bahrein, dove si è potuto compiere un nuovo passo nel cammino tra credenti cristiani e musulmani.

Spesso si vogliono attribuire alla religione i vari conflitti che accompagnano l’umanità e talvolta non mancano effettivamente i tentativi deplorevoli di fare un uso strumentale della religione per finalità meramente politiche. Tuttavia, ciò è contrario alla prospettiva cristiana, che mette a nudo la radice di ogni conflitto che è lo squilibrio del cuore umano: «Dal di dentro, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male» (Mc 7,21), come ci ricorda il Vangelo. Il cristianesimo sprona alla pace, poiché sprona alla conversione e all’esercizio della virtù.

Pace nella giustizia

Costruire la pace esige che sia perseguita la giustizia. La crisi del 1962 è rientrata per il contributo di uomini di buona volontà che hanno saputo trovare soluzioni adeguate per evitare che la tensione politica degenerasse in una vera e propria guerra. Ciò è stato possibile anche grazie alla convinzione che le contese potessero risolversi nell’ambito del diritto internazionale e tramite quelle organizzazioni, principalmente le Nazioni Unite, sorte dopo la Seconda Guerra Mondiale, che hanno sviluppato la diplomazia multilaterale. San Giovanni XXIII ricorda che «le Nazioni Unite si proposero come fine essenziale di mantenere e consolidare la pace fra i popoli, sviluppando fra essi relazioni amichevoli, fondate sui principi della uguaglianza, del vicendevole rispetto, della multiforme cooperazione in tutti i settori della convivenza»[12].

L’attuale conflitto in Ucraina ha reso più evidente la crisi che da tempo interessa il sistema multilaterale, il quale abbisogna di un ripensamento profondo per poter rispondere adeguatamente alle sfide del nostro tempo. Ciò esige una riforma degli organi che ne consentono il funzionamento, affinché siano realmente rappresentativi delle necessità e delle sensibilità di tutti i popoli, evitando meccanismi che diano ad alcuni maggior peso a scapito di altri. Non si tratta dunque di costruire blocchi di alleanze, ma di creare opportunità perché tutti possano dialogare.

Tanto bene si può fare insieme, basti pensare alle lodevoli iniziative destinate a ridurre la povertà, ad aiutare i migranti, a contrastare i cambiamenti climatici, a favorire il disarmo nucleare e ad offrire aiuto umanitario. Tuttavia, in tempi recenti, i vari fori internazionali sono stati contraddistinti da crescenti polarizzazioni e da tentativi di imporre un pensiero unico, che impedisce il dialogo e marginalizza coloro che la pensano diversamente. C’è il rischio di una deriva, che assume sempre più il volto di un totalitarismo ideologico, che promuove l’intolleranza nei confronti di chi non aderisce a pretese posizioni di “progresso”, le quali in realtà sembrano portare piuttosto a un generale regresso dell’umanità, con violazione della libertà di pensiero e di coscienza.

Inoltre, risorse sempre maggiori sono state impiegate per imporre, specialmente nei confronti dei Paesi più poveri, forme di colonizzazione ideologica, creando peraltro un nesso diretto fra l’elargizione di aiuti economici e l’accettazione di tali ideologie. Ciò ha affaticato il dibattito interno alle Organizzazioni internazionali, precludendo scambi fruttuosi e aprendo spesso alla tentazione di affrontare le questioni in modo autonomo e, conseguentemente, sulla base di rapporti di forza.

D’altronde, durante il mio viaggio in Canada, nel luglio scorso, ho potuto toccare con mano le conseguenze della colonizzazione, incontrando in special modo le popolazioni indigene, che hanno sofferto per le politiche di assimilazione del passato. Laddove si cerca di imporre ad altre culture forme di pensiero che non appartengono loro si apre la strada ad aspri confronti e talvolta anche alla violenza.

È necessario tornare al dialogo, all’ascolto reciproco e al negoziato, favorendo responsabilità condivise e la cooperazione nella ricerca del bene comune, nel segno di quella solidarietà che «deriva dal saperci responsabili della fragilità degli altri cercando un destino comune»[13]. Le preclusioni e i veti reciproci non portano che ad alimentare ulteriori divisioni.

Pace nella solidarietà

Nell’annuale Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, ho posto in evidenza come la pandemia di Covid-19 lasci in eredità «la consapevolezza che abbiamo tutti bisogno gli uni degli altri»[14]. I sentieri della pace sono sentieri di solidarietà, poiché nessuno può salvarsi da solo. Viviamo in un mondo talmente interconnesso che l’agire di ciascuno finisce per avere ripercussioni su tutti.

In questa sede, vorrei sottolineare tre ambiti, nei quali emerge con particolare forza l’interconnessione che lega oggi l’umanità e per i quali è particolarmente urgente una maggiore solidarietà.

Il primo è quello delle migrazioni, che interessa intere regioni della Terra. Molte volte si tratta di persone che fuggono da guerra e persecuzione, affrontando pericoli immensi. D’altra parte, «ogni essere umano ha il diritto alla libertà di movimento, […] di immigrare in altre comunità politiche e stabilirsi in esse»[15] e deve avere la possibilità di fare ritorno alla propria terra d’origine.

La migrazione è una questione per la quale “procedere in ordine sparso” non è ammissibile. Per comprenderlo basta guardare al Mediterraneo, divenuto un grande cimitero. Quelle vite spezzate sono l’emblema del naufragio della nostra civiltà, come ho avuto modo di richiamare nel corso del mio viaggio a Malta nella primavera scorsa. In Europa, è urgente rafforzare la cornice normativa, attraverso l’approvazione del Nuovo Patto sulla Migrazione e l’Asilo, perché si possano implementare adeguate politiche per accogliere, accompagnare, promuovere e integrare i migranti. Nello stesso tempo, la solidarietà esige che le doverose operazioni di assistenza e cura dei naufraghi non gravino interamente sulle popolazioni dei principali punti d’approdo.

Il secondo ambito riguarda l’economia e il lavoro. Le crisi succedutesi negli ultimi anni hanno posto in evidenza i limiti di un sistema economico teso più a creare profitto per pochi che opportunità di benessere per molti; un’economia maggiormente tesa al denaro che non alla produzione di beni utili. Ciò ha generato imprese più fragili e mercati del lavoro altamente iniqui. Occorre ridare dignità all’impresa e al lavoro, combattendo ogni forma di sfruttamento che finisce per trattare i lavoratori alla stregua di una merce, poiché «senza lavoro degno e ben remunerato i giovani non diventano veramente adulti, [e] le diseguaglianze aumentano»[16].

Il terzo ambito è la cura della nostra casa comune. Abbiamo costantemente davanti a noi gli effetti dei cambiamenti climatici e le gravi conseguenze che essi hanno sulla vita di intere popolazioni, sia per le devastazioni che talvolta producono, come accaduto in Pakistan nelle aree colpite dalle inondazioni, dove i focolai di malattie trasmesse dall’acqua stagnante continuano ad aumentare; sia in vaste aree dell’Oceano Pacifico, dove il riscaldamento globale provoca danni innumerevoli alla pesca, fondamento della vita quotidiana di intere popolazioni; sia in Somalia e nell’intero Corno d’Africa, dove la siccità sta causando una grave carestia; sia negli ultimi giorni negli Stati Uniti, dove le improvvise e intense gelate hanno provocato diversi morti.

Nell’estate passata, la Santa Sede ha deciso di accedere alla Convenzione-Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, intendendo dare il proprio sostegno morale agli sforzi di tutti gli Stati per cooperare, in conformità con le loro responsabilità e rispettive capacità, a una risposta efficace e adeguata alle sfide poste dal cambiamento climatico. Si spera che i passi compiuti alla COP27, con l’adozione dello Sharm el-Sheikh Implementation Plan, anche se limitati, possano accrescere la presa di coscienza di tutta l’umanità verso una questione urgente che non può più essere elusa. Obiettivi incoraggianti sono stati, invece, concordati durante la recente Conferenza delle Nazioni Unite sulla Biodiversità (COP15), svoltasi a Montreal il mese scorso.

Pace nella libertà

Infine, costruire la pace esige che non via sia posto per «la lesione della libertà, dell’integrità e della sicurezza di altre nazioni, qualunque sia la loro estensione territoriale o la loro capacità di difesa»[17]. Ciò è possibile se in ogni singola comunità non prevale la cultura della sopraffazione e dell’aggressione, che porta a guardare al prossimo come ad un nemico da combattere piuttosto che ad un fratello da accogliere ed abbracciare[18].

Desta preoccupazione l’affievolirsi, in molte parti del mondo, della democrazia e della possibilità di libertà che essa consente, pur con tutti i limiti di un sistema umano. Ne fanno tante volte le spese le donne o le minoranze etniche, nonché gli equilibri di intere società in cui il disagio sfocia in tensioni sociali e persino in scontri armati.

In molte aree, un segno di affievolimento della democrazia è dato dalle crescenti polarizzazioni politiche e sociali, che non aiutano a risolvere i problemi urgenti dei cittadini. Penso alle varie crisi politiche in diversi Paesi del continente americano, con il loro carico di tensioni e forme di violenza che acuiscono i conflitti sociali. Penso specialmente a quanto accaduto recentemente in Perù e, in queste ultime ore, in Brasile, e alla preoccupante situazione ad Haiti, dove si stanno finalmente compiendo alcuni passi per affrontare la crisi politica in atto da tempo. Occorre sempre superare le logiche di parte e adoperarsi per l’edificazione del bene comune.

Seguo, poi, con attenzione la situazione in Libano, dove si è ancora in attesa dell’elezione del nuovo Presidente della Repubblica e auspico che tutti gli attori politici si impegnino per consentire al Paese di riprendersi dalla drammatica situazione economica e sociale in cui versa.

Eccellenze, Signore e Signori,

sarebbe bello che una volta ci potessimo ritrovare solamente per ringraziare il Signore Onnipotente per i benefici che sempre ci concede, senza essere costretti ad elencare le situazioni drammatiche che affliggono l’umanità. Come diceva Giovanni XXIII: «È lecito tuttavia sperare che gli uomini, incontrandosi e negoziando, abbiano a scoprire meglio i vincoli che li legano, provenienti dalla loro comune umanità e abbiano pure a scoprire che una fra le più profonde esigenze della loro comune umanità è che tra essi e tra i rispettivi popoli regni non il timore, ma l’amore: il quale tende ad esprimersi nella collaborazione leale, multiforme, apportatrice di molti beni»[19]. Con questi auspici, rinnovo a voi e ai Paesi che rappresentate i più fervidi auguri per il nuovo anno.

Grazie!

________________________

 

[1] Cost. Ap. Prædicate Evangelium (19 marzo 2022), art. 1.

[2] L’11 aprile 1963. Cfr AAS 55 (1963), 257-304.

[3] Pacem in terris, 60.

[4] Pacem in terris, 59.

[5] Cfr ibid., 47.

[6] Ibid., 5.

[7] Ibid., 6.

[8] Ibid., 7.

[9] Ibid, 38.

[10] Ibid., 80.

[11] Discorso alla Sessione Plenaria del VII Congress of Leaders of World and Traditional Religions, Nur-Sultan (ora Astana), 14 settembre 2022.

[12] Pacem in terris, 75.

[13] Lett. Enc. Fratelli tutti (3 ottobre 2020), 115.

[14] Messaggio per la LVI Giornata Mondiale della Pace (8 dicembre 2022), 3.

[15] Pacem in terris, 12.

[16] Discorso ai partecipanti all’evento “Economy of Francesco”, Assisi, 24 settembre 2022.

[17] Pacem in terris, 66. Cfr Pio XII, Radiomessaggio natalizio, 24 dicembre 1941.

[18] Cfr Discorso al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, 22 marzo 2013.

[19] Pacem in terris, 67.

[00038-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Éminence, Excellences, Mesdames et Messieurs,

je vous remercie de votre présence à notre rendez-vous habituel, qui veut être cette année une invocation à la paix, dans un monde où les divisions et les guerres se multiplient.

Je suis particulièrement reconnaissant au Doyen du Corps diplomatique, Son Excellence Monsieur Georges Poulides, pour les vœux qu'il m'a adressés au nom de tous. Mes salutations s’étendent à chacun de vous, à vos familles, à vos collaborateurs et aux peuples et Gouvernements des pays que vous représentez. À chacun de vous, et à vos Autorités, je souhaite aussi exprimer ma gratitude pour les messages de condoléances qui sont parvenus à l’occasion de la mort du Pape émérite Benoît XVI ainsi que pour la proximité manifestée lors des obsèques.

Nous venons de conclure le temps de Noël, au cours duquel les chrétiens font mémoire du mystère de la naissance du Fils de Dieu. Le prophète Isaïe l'avait annoncé en ces termes : « Un enfant nous est né, un fils nous a été donné ! Sur son épaule est le signe du pouvoir ; son nom est proclamé : Conseiller-merveilleux, Dieu-Fort, Père-à-jamais, Prince-de-la-Paix » (Is 9, 5).

Votre présence affirme la valeur de la paix et de la fraternité humaine que le dialogue contribue à construire. Par ailleurs, la diplomatie a précisément pour tâche de régler les différends dans le but de favoriser un climat de collaboration réciproque et de confiance pour satisfaire des besoins communs. On peut dire qu'il s'agit d'un exercice d'humilité car entrer en relation avec l'autre, comprendre ses raisons et ses points de vue en s'opposant à l'orgueil et à l'arrogance humaine, cause de toute volonté belliqueuse, exige de sacrifier un peu d'amour-propre.

Je suis également reconnaissant pour l'attention que vos pays portent au Saint-Siège, manifestée, entre autres, au cours de l'année écoulée, par le choix de la Suisse, de la République du Congo, du Mozambique et de l'Azerbaïdjan de nommer des Ambassadeurs résidents à Rome, ainsi que par la signature de nouveaux Accords bilatéraux avec la République Démocratique de Sao Tomé et Principe et avec la République du Kazakhstan.

Je voudrais ici également rappeler que, dans le cadre d'un dialogue respectueux et constructif, le Saint-Siège et la République Populaire de Chine ont convenu de prolonger encore de deux ans la validité de l'Accord Provisoire sur la nomination des évêques, stipulé à Pékin en 2018. J'espère que cette relation de collaboration pourra se développer en faveur de la vie de l'Église catholique et du bien du peuple chinois.

En même temps, je vous renouvelle l'assurance de la pleine collaboration de la Secrétairerie d'État et des Dicastères de la Curie romaine qui, avec la promulgation de la nouvelle Constitution apostolique Prædicate Evangelium, a été réformée dans certaines de ses structures pour mieux remplir « sa fonction propre dans un esprit évangélique, en travaillant pour le bien et au service de la communion, de l’unité et de l'édification de l’Église universelle, et en répondant aux besoins du monde dans lequel l’Église est appelée à accomplir sa mission ».[1]

Chers Ambassadeurs,

cette année marque le 60ème anniversaire de l'Encyclique Pacem in Terris de saint Jean XXIII, publiée un peu moins de deux mois avant sa mort.[2]

Aux yeux du "bon Pape", le danger d'une guerre nucléaire provoquée par la crise des missiles de Cuba d’octobre 1962, était encore présent. L'humanité était à deux doigts de son anéantissement si l’on ne parvenait pas à faire prévaloir le dialogue, consciente des effets destructeurs des armes atomiques.

Malheureusement, aujourd'hui encore, la menace nucléaire est évoquée, plongeant le monde dans la peur et l'angoisse. Je ne peux que répéter ici que la possession d'armes atomiques est immorale puisque - comme l'observait Jean XXIII – : « Qu'il y ait des hommes au monde pour prendre la responsabilité des massacres et des ruines sans nombre d'une guerre, cela peut paraître incroyable ; pourtant, on est contraint de l'avouer, une surprise, un accident suffiraient à provoquer la conflagration ».[3] Sous la menace des armes nucléaires, nous sommes tous toujours perdants, tous!

De ce point de vue, l'impasse dans laquelle se trouvent les négociations sur le redémarrage du Plan d'action global commun, plus connu sous le nom d'Accord sur le Nucléaire Iranien, est particulièrement préoccupante. J'espère qu'il sera possible d’arriver à une solution concrète le plus rapidement possible afin de garantir un avenir plus sûr.

La troisième guerre mondiale d'un monde globalisé est actuellement en cours. Les conflits ne touchent directement que certaines zones de la planète, mais ils impliquent en substance le monde entier. L'exemple le plus proche et le plus récent est la guerre en Ukraine, avec son cortège de morts et de destructions ; avec les attaques contre les infrastructures civiles qui font perdre la vie aux personnes non seulement à cause des bombes et des violences, mais aussi à cause de la faim et du froid. À cet égard, la Constitution conciliaire Gaudium et spes, affirme que « tout acte de guerre qui tend indistinctement à la destruction de villes entières ou de vastes régions avec leurs habitants est un crime contre Dieu et contre l’homme lui-même, qui doit être condamné fermement et sans hésitation » (n. 80). Nous ne devons pas non plus oublier que la guerre touche particulièrement les personnes les plus fragiles - enfants, personnes âgées, handicapés - et déchire les familles de manière indélébile. Je ne peux que renouveler aujourd'hui mon appel à la fin immédiate de ce conflit insensé dont les effets touchent des régions entières, même en dehors de l'Europe en raison de ses répercussions en matière d’énergie et dans le domaine de la production alimentaire, notamment en Afrique et au Moyen-Orient.

La troisième guerre mondiale par morceaux que nous vivons nous amène à regarder d'autres théâtres de tensions et de conflits. Cette année encore, nous voyons avec grande douleur la Syrie telle une terre martyrisée. La renaissance de ce pays doit passer par les réformes nécessaires, y compris constitutionnelles, visant à redonner espoir au peuple syrien affligé par une pauvreté toujours plus grande, en évitant que les sanctions internationales imposées n'affectent la vie quotidienne d'une population qui a déjà tant souffert.

Le Saint-Siège suit également avec inquiétude l’aggravation de la violence entre Palestiniens et Israéliens, avec pour conséquence dramatique de nombreuses victimes et une absence totale de confiance mutuelle. Jérusalem, ville sainte pour les juifs, les chrétiens et les musulmans, est particulièrement touchée. Sa vocation, inscrite dans son nom, est d'être la Ville de la Paix, mais elle est malheureusement le théâtre d'affrontements. J'espère qu'elle pourra retrouver cette vocation d'être un lieu et un symbole de rencontre et de coexistence pacifique, et que l'accès et la liberté de culte dans les Lieux Saints continueront à être garantis et respectés selon le statu quo. Dans le même temps, j'espère que les Autorités de l'État d'Israël et celles de l'État de Palestine pourront retrouver le courage et la détermination de dialoguer directement afin de mettre en œuvre la solution des deux États dans tous ses aspects, conformément au droit international et aux résolutions des Nations Unies en la matière.

Comme vous le savez, à la fin de ce mois, je pourrai enfin me rendre en pèlerinage pour la paix en République Démocratique du Congo, avec l'espérance que cesse la violence dans l'Est du pays et que la voie du dialogue ainsi que la volonté de travailler pour la sécurité et le bien commun prévalent. Le pèlerinage se poursuivra au Sud-Soudan, où je serai accompagné de l'Archevêque de Canterbury et du Modérateur général de l'Église presbytérienne d'Écosse. Ensemble, nous souhaitons nous joindre au cri de paix du peuple et contribuer au processus de réconciliation nationale.

Nous ne devons pas non plus oublier d'autres situations où les conséquences de conflits non encore résolus continuent de peser. Je pense en particulier à la situation dans le Caucase du Sud. J'exhorte les parties à respecter le cessez-le-feu, en réaffirmant que la libération des prisonniers militaires et civils serait un pas important vers un accord de paix désiré.

Je pense également au Yémen, où le cessez-le-feu conclu en octobre dernier tient bon mais où de nombreux civils continuent de mourir à cause des mines, et à l'Éthiopie où j'espère que le processus de pacification se poursuivra et que l'engagement de la Communauté internationale à faire face à la crise humanitaire qui touche le pays sera renforcé.

Je suis également avec appréhension la situation en Afrique de l'Ouest, de plus en plus affligée par les violences du terrorisme. Je pense notamment aux drames que vivent les populations du Burkina Faso, du Mali et du Nigeria, et je souhaite que les processus de transition en cours au Soudan, au Mali, au Tchad, en Guinée et au Burkina Faso se déroulent dans le respect des aspirations légitimes des populations concernées.

Je suis également avec une attention particulière la situation au Myanmar qui connaît, depuis deux ans, la violence, la douleur et la mort. J'invite la Communauté internationale à œuvrer pour que les processus de réconciliation se concrétisent, et j'exhorte toutes les parties concernées à reprendre la voie du dialogue pour redonner espoir à la population de ce pays bien-aimé.

Enfin, je pense à la péninsule coréenne, pour laquelle j'espère que la bonne volonté et l'engagement en faveur de la concorde ne feront pas défaut, pour construire la paix tant désirée et pour la prospérité de l'ensemble du peuple coréen.

Tous les conflits mettent en évidence les conséquences meurtrières d'un recours continuel à la production d'armements nouveaux et de plus en plus sophistiqués, parfois justifiée « en répétant que la paix ne serait assurée que moyennant l’équilibre des forces armées ».[4] Il est nécessaire de rompre cette logique et d'avancer sur la voie d’un désarmement intégral, car aucune paix n'est possible là où se répandent des instruments de mort.

Chers Ambassadeurs,

en des temps aussi conflictuels, nous ne pouvons éluder la question de savoir comment il est possible de retisser les fils de la paix. Par où commencer ?

Pour esquisser une réponse, je voudrais reprendre avec vous quelques éléments de Pacem in Terris, un texte d'une grande actualité même si le contexte international a beaucoup changé. Pour saint Jean XXIII, la paix est possible à la lumière de quatre biens fondamentaux : la vérité, la justice, la solidarité et la liberté. Ce sont ces piliers qui régissent les relations aussi bien entre les êtres humains individuels qu’entre les communautés politiques.[5]

Ces dimensions sont imbriquées dans le postulat fondamental selon lequel « tout être humain est une personne, c'est-à-dire une nature douée d'intelligence et de volonté libre. Par là même, il est sujet de droits et de devoirs découlant, les uns et les autres, ensemble et immédiatement, de sa nature : aussi sont-ils universels, inviolables, inaliénables ».[6]

La paix dans la Vérité

Construire la paix dans la vérité, c'est d'abord respecter la personne humaine, avec son « droit à l'existence et à l'intégrité physique »,[7] à laquelle « la liberté dans la recherche de la vérité, dans l'expression et la diffusion de la pensée » [8] doit être garantie. Cela implique qu’ « il incombe aux pouvoirs publics de contribuer à la création d'un état de choses qui facilite à chacun la défense de ses droits et l'accomplissement de ses devoirs ».[9]

Malgré les engagements pris par tous les États de respecter les droits humains et les libertés fondamentales de toute personne, aujourd'hui encore, les femmes sont considérées comme des citoyens de seconde classe dans de nombreux pays. Elles sont victimes de violences et d'abus et se voient refuser la possibilité d'étudier, de travailler, d'exprimer leurs talents, l'accès aux soins de santé et même à la nourriture. Au contraire, lorsque les droits humains sont pleinement reconnus pour tous, les femmes peuvent apporter leur contribution irremplaçable à la vie sociale et être les premières alliées de la paix.

La paix exige avant tout que la vie soit défendue, un bien qui est aujourd'hui mis en danger non seulement par les conflits, la faim et les maladies, mais aussi, trop souvent, par le ventre maternel qui revendique un prétendu "droit à l'avortement". Personne ne peut revendiquer de droits sur la vie d'un autre être humain, surtout s'il est sans défense et donc privé de toute possibilité de se défendre. J'en appelle donc à la conscience des hommes et des femmes de bonne volonté, notamment de tous ceux qui ont des responsabilités politiques, pour qu'ils œuvrent à la protection des droits des plus faibles et à l'éradication de la culture du rejet, qui touche malheureusement aussi les malades, les handicapés et les personnes âgées. Les États ont la responsabilité première de garantir l’assistance des citoyens à chaque étape de la vie humaine, jusqu'à la mort naturelle, en veillant à ce que chaque personne se sente accompagnée et soignée même dans les moments les plus délicats de son existence.

Le droit à la vie est également menacé là où la peine de mort continue d'être pratiquée, comme c'est le cas ces jours-ci en Iran suite aux récentes manifestations qui demandent plus de respect de la dignité des femmes. La peine de mort ne peut être utilisée pour une prétendue justice d'État, car elle ne constitue pas un moyen de dissuasion ni ne rend justice aux victimes. Elle ne fait qu’assouvir la soif de vengeance. Je fais donc appel pour que la peine de mort, toujours inadmissible car portant atteinte à l'inviolabilité et à la dignité de la personne, soit abolie dans la législation de tous les pays du monde. Nous ne pouvons pas oublier qu’une personne peut se convertir et peut changer jusqu'au dernier moment.

Malheureusement, il semble que l'on assiste de plus en plus à l'émergence d'une "peur" de la vie qui se traduit, dans de nombreux endroits, par la peur de l'avenir et par la difficulté de fonder une famille et de mettre des enfants au monde. Dans certains contextes, je pense par exemple à l'Italie, on assiste à une baisse dangereuse de la natalité ; un véritable hiver démographique qui met en danger l'avenir même de la société. Je souhaite renouveler au cher peuple italien mes encouragements à affronter les défis du temps présent avec ténacité et espérance, forts de ses racines religieuses et culturelles.

Les peurs se nourrissent de l'ignorance et des préjugés et elles dégénèrent facilement en conflits. L'éducation est leur antidote. Le Saint-Siège promeut une vision intégrale de l'éducation dans laquelle « la culture religieuse et l'affinement de la conscience progressent du même pas que les connaissances scientifiques et le savoir-faire technique, sans cesse en développement ».[10] Éduquer exige toujours le respect intégral de la personne et de sa physionomie naturelle, en évitant d'imposer une vision nouvelle et confuse de l'être humain. Cela implique d'intégrer les voies de la croissance humaine, spirituelle, intellectuelle et professionnelle, permettant à la personne de se libérer des multiples formes d'esclavage et de s'affirmer dans la société de manière libre et responsable. En ce sens, il est inacceptable qu'une partie de la population puisse être exclue de l'éducation, comme c'est le cas pour les femmes afghanes.

L'éducation est à la merci d'une crise, exacerbée par les conséquences dévastatrices de la pandémie et par la situation géopolitique inquiétante. En ce sens, le Sommet sur la transformation de l'éducation, convoqué par le Secrétaire général des Nations Unies et qui s'est tenu en septembre dernier à New York, a représenté une occasion unique pour les Gouvernements d'entreprendre des politiques courageuses visant à affronter la "catastrophe éducative" en cours, et de faire des choix concrets pour parvenir à une instruction de qualité pour tous d'ici 2030. Les États doivent avoir le courage d'inverser le rapport déséquilibré et regrettable entre les dépenses publiques d'éducation et les fonds alloués à l'armement !

La paix exige également que la liberté religieuse soit universellement reconnue. Il est inquiétant que des personnes soient persécutées simplement parce qu'elles professent publiquement leur foi, et qu'il existe de nombreux pays où la liberté de religieuse est limitée. Environ un tiers de la population mondiale vit dans cette situation. Outre l'absence de liberté religieuse, il existe également des persécutions pour motifs religieux. Je ne peux manquer de mentionner, comme le montrent certaines statistiques, le fait qu'un chrétien sur sept est persécuté. À cet égard, j'exprime le souhait que le nouvel Envoyé spécial de l'Union Européenne pour la promotion de la liberté de religion ou de conviction en dehors de l'Union Européenne disposera des ressources et des moyens nécessaires pour remplir son mandat comme il convient.

En même temps, il est bon de ne pas oublier que la violence et les discriminations à l'égard des chrétiens augmentent aussi dans les pays où ils ne sont pas une minorité. La liberté religieuse est également mise en danger lorsque les croyants voient réduite la possibilité d'exprimer leurs convictions dans la sphère de la vie sociale, au nom d'une compréhension erronée de l'inclusion. La liberté religieuse, qui ne peut être réduite à la simple liberté de culte, est l'une des conditions minimales pour vivre de manière digne. Les gouvernements ont le devoir de la protéger, et de garantir à toute personne, conformément au bien commun, la possibilité d'agir selon sa conscience, y compris dans la vie publique et dans l'exercice de sa profession.

La religion est une occasion effective de dialogue et de rencontre entre différents peuples et cultures, comme en témoigne la décision du Parlement du Timor-Est qui a approuvé à l'unanimité le Document sur la Fraternité Humaine que j'ai signé avec le Grand Imam d'Al-Azhar en 2019, en l'incluant dans les programmes des institutions éducatives et culturelles nationales, et, comme j'ai pu le constater personnellement lors de mon voyage au Kazakhstan en septembre dernier à l'occasion de la 7ème Rencontre des chefs religieux du monde avec lesquels j'ai partagé certaines des préoccupations de notre époque et évoqué la manière dont les religions « ne sont pas [des] problèmes, mais font partie de la solution pour une coexistence plus harmonieuse ».[11] Tout aussi significative a été la visite au Bahreïn où un nouveau pas a été fait sur le chemin entre les croyants chrétiens et musulmans.

On veut souvent attribuer à la religion les différents conflits qui accompagnent l'humanité ; et il est vrai que les tentatives déplorables d'instrumentaliser la religion à des fins purement politiques ne manquent pas. Mais cela est contraire à la perspective chrétienne qui met à nu la racine de tout conflit, à savoir le déséquilibre du cœur humain, « car c’est du dedans, du cœur de l’homme, que sortent les pensées perverses » (Mc 7,21), comme nous le rappelle l'Évangile. Le christianisme incite à la paix parce qu'il incite à la conversion et à l'exercice de la vertu.

La paix dans la justice

La construction de la paix exige que la justice soit poursuivie. La crise de 1962 fut résolue grâce à la contribution d’hommes de bonne volonté qui surent trouver des solutions appropriées pour éviter que la tension politique ne dégénère en une véritable guerre. Cela fut possible aussi grâce à la conviction que les différends pouvaient être résolus dans le cadre du droit international et par le biais des organisations qui ont vu le jour après la Seconde Guerre mondiale - principalement les Nations Unies - et qui ont développé la diplomatie multilatérale. Saint Jean XXIII rappelle que « le but essentiel de l’Organisation des Nations Unies est de maintenir et de consolider la paix entre les peuples, de favoriser et de développer entre eux des relations amicales fondées sur le principe de l’égalité, du respect réciproque et de la collaboration la plus large dans tous les secteurs de l’activité humaine ».[12]

Le conflit actuel en Ukraine a rendu plus évidente la crise qui affecte depuis longtemps le système multilatéral qui a besoin d’être repensé en profondeur afin de répondre de manière adéquate aux défis de notre temps. Cela nécessite une réforme des organes qui en assurent le fonctionnement pour qu’ils représentent réellement les nécessités et les sensibilités de tous les peuples, en évitant les mécanismes qui donnent plus de poids à certains au détriment des autres. Il ne s’agit donc pas de construire des blocs d’alliance, mais de créer des opportunités pour que tous puissent dialoguer.

Beaucoup de bien peut être fait ensemble, il suffit de penser aux initiatives louables visant à réduire la pauvreté, à aider les migrants, à lutter contre le changement climatique, à promouvoir le désarmement nucléaire et à fournir de l’aide humanitaire. Toutefois, ces derniers temps, les différentes instances internationales ont été marquées par des polarisations croissantes et des tentatives d’imposer une pensée unique, ce qui empêche le dialogue et marginalise ceux qui pensent différemment. Il y a un risque de dérive qui prend de plus en plus le visage d’un totalitarisme idéologique, qui favorise l’intolérance envers ceux qui n’adhèrent pas aux prétendues positions de “progrès”, lesquelles semblent plutôt en réalité conduire à une régression générale de l’humanité, à la violation de la liberté de pensée et de conscience.

En outre, de plus en plus de ressources sont utilisées pour imposer des formes de colonisations idéologiques, notamment dans les pays les plus pauvres, créant un lien direct entre l’octroi d’aides économiques et l’acceptation de ces idéologies. Cela a mis à rude épreuve le débat interne au sein des Organisations internationales, empêchant des échanges fructueux et ouvrant souvent à la tentation d’aborder les questions de manière autonome et, par conséquent, sur la base de rapports de force.

Par ailleurs, lors de mon voyage au Canada en juillet dernier, j’ai pu toucher du doigt les conséquences de la colonisation, en rencontrant notamment les populations autochtones qui ont souffert des politiques d’assimilation du passé. Là où l’on cherche à imposer à d’autres cultures des formes de pensées qui ne sont pas les leurs, on ouvre la voie à de violentes oppositions et parfois même à la violence.

Il est nécessaire de revenir au dialogue, à l’écoute mutuelle et à la négociation, en privilégiant la responsabilité partagée et la coopération dans la recherche du bien commun, sous le signe de cette solidarité qui « tire sa source de la conscience que nous avons d’être responsables de la fragilité des autres dans notre quête d’un destin commun ».[13] Les exclusions et les vetos mutuels ne font qu’accroître les divisions.

La paix dans la solidarité

Dans le Message annuel pour la Journée Mondiale de la Paix, j’ai souligné que la pandémie de Covid-19 nous a légué « la conscience du fait que nous avons tous besoin les uns des autres ».[14] Les chemins de la paix sont des chemins de solidarité, car personne ne peut se sauver tout seul. Nous vivons dans un monde tellement interconnecté que l’agir de chacun finit par avoir des répercussions sur tous.

Je voudrais ici mettre l’accent sur trois domaines dans lesquels l’interconnexion qui lie aujourd’hui l’humanité apparaît avec grande force, domaines pour lesquels une plus grande solidarité est particulièrement urgente.

Le premier domaine est celui des migrations qui touchent des régions entières de la terre. Souvent, il s’agit de personnes qui fuient la guerre et la persécution, et qui font face à des dangers immenses. D’autre part, « tout homme a droit à la liberté de mouvement, [...] de se rendre à l’étranger et de s’y fixer »[15] et doit avoir la possibilité de retourner sur sa terre d’origine.

La migration est une question pour laquelle il n’est pas permis de “procéder en rang dispersé”. Pour le comprendre, il suffit de regarder la Méditerranée qui est devenue un grand tombeau. Ces vies brisées sont l’emblème du naufrage de notre civilisation, comme je l’ai rappelé lors de mon voyage à Malte au printemps dernier. Il est urgent de renforcer le cadre normatif en Europe, en approuvant le Nouveau Pacte sur les Migrations et l’Asile, afin de pouvoir mettre en œuvre des politiques adéquates d’accueil, d’accompagnement, de promotion et d’intégration des migrants. Dans le même temps, la solidarité exige que les opérations nécessaires d’assistance et de soins aux naufragés ne pèsent pas entièrement sur les populations des principaux lieux de débarquement.

Le deuxième domaine concerne l’économie et le travail. Les crises qui se sont succédées au cours de ces dernières années ont mis en évidence les limites d’un système économique visant plus à créer des profits pour quelques-uns que des opportunités de bien-être pour beaucoup ; une économie plus tournée vers l’argent que vers la production de biens utiles. Cela a engendré des entreprises plus fragiles et des marchés du travail très injustes. Il faut redonner de la dignité à l’entreprise et au travail, en luttant contre toute forme d’exploitation qui finit par traiter les travailleurs comme une marchandise, car « sans travail digne et bien rémunéré, les jeunes ne deviennent pas vraiment adultes, [et] les inégalités augmentent ».[16]

Le troisième domaine est le soin de notre maison commune. Nous sommes constamment confrontés aux effets du changement climatique et aux graves conséquences qu’il a sur la vie de populations entières, en raison des ravages qu’il engendre parfois, comme ce fut le cas tant au Pakistan dans les zones touchées par les inondations, où les foyers de maladies transmises par l’eau stagnante continuent d’augmenter, que dans de vastes zones de l’océan Pacifique où le réchauffement global cause d’innombrables dommages à la pêche, fondement de la vie quotidienne de populations entières; ou en Somalie et dans toute la Corne de l’Afrique où la sécheresse provoque une grave famine, et aux États-Unis ces derniers jours où des gelées soudaines et intenses ont provoqué des morts.

L’été dernier, le Saint-Siège a décidé d’adhérer à la Convention-Cadre des Nations Unies sur les Changements Climatiques, dans l’intention d’apporter son soutien moral aux efforts de tous les États pour coopérer, selon leurs responsabilités et leurs capacités, à une réponse efficace et adéquate aux défis posés par le changement climatique. On espère que les pas accomplis à la COP27, avec l’adoption du Sharm el-Sheikh Implementation Plan, bien que limités, pourront accroître la prise de conscience de toute l’humanité sur une question urgente qui ne peut plus être éludée. Par contre, des objectifs encourageants ont été fixés lors de la récente Conférence des Nations Unies sur la Biodiversité (COP15), qui s’est tenue à Montréal le mois dernier.

La paix dans la liberté

Enfin, la construction de la paix exige qu’il n’y ait pas d’atteintes « à la liberté, à l’intégrité ou à la sécurité des nations étrangères, quelles que soient l'étendue de leur territoire et leur capacité de défense ».[17] Cela est possible si, dans chaque communauté, la culture de l’abus et de l’agression, qui conduit à considérer le prochain comme un ennemi à combattre plutôt qu’un frère à accueillir et à embrasser, ne prévaut pas.[18]

L’affaiblissement, dans de nombreuses régions du monde, de la démocratie - et de la liberté que celle-ci permet - bien qu’avec toutes les limites d’un système humain, est une source de préoccupation. Les femmes ou les minorités ethniques en font souvent les frais, de même que les équilibres de sociétés entières où le malaise se traduit en tensions sociales et même en affrontements armés.

Dans de nombreuses zones, l’augmentation des polarisations politiques et sociales, qui ne contribuent pas à résoudre les problèmes urgents des citoyens, est un signe d’affaiblissement de la démocratie. Je pense aux crises politiques dans plusieurs pays du continent américain, avec leur lot de tensions et de formes de violence qui exacerbent les conflits sociaux. Je pense notamment à ce qui s’est passé récemment au Pérou et ces dernières heures au Brésil, et à la situation préoccupante en Haïti où des mesures sont enfin prises pour résoudre la crise politique qui dure depuis longtemps. Il faut toujours dépasser les logiques partisanes et travailler à la construction du bien commun.

Je suis également de près la situation au Liban où l’on attend toujours l’élection d’un nouveau Président de la République, et je souhaite que tous les acteurs politiques s’engagent pour permettre au pays de se remettre de la dramatique situation économique et sociale dans laquelle il se trouve.

Excellences, Mesdames et Messieurs,

il serait beau qu’une fois, nous puissions nous réunir juste pour remercier le Seigneur Tout-Puissant pour les bienfaits qu’il nous accorde toujours, sans être obligés d’énumérer les situations dramatiques qui affligent l’humanité. Comme le disait Jean XXIII : « Il est permis d’espérer que les peuples, intensifiant entre eux les relations et les échanges, découvriront mieux les liens d’unité qui découlent de leur nature commune ; ils comprendront plus parfaitement que l’un des devoirs primordiaux issus de leur communauté de nature, c’est de fonder les relations entre les hommes et entre les peuples sur l’amour et non sur la crainte. C’est, en effet, le propre de l’amour d'amener les hommes à une loyale collaboration, susceptible de formes multiples et porteuse d'innombrables bienfaits ».[19] Avec ce souhait, je vous renouvelle, ainsi qu’aux pays que vous représentez, mes vœux les plus chaleureux pour la nouvelle année.

Merci !

________________________

 

[1] Const. ap. Praedicate Evangelium (19 mars 2022), art. 1.

[2] Le 11 avril 1963. Cf. AAS 55 (1963), p. 257-304.

[3] Pacem in Terris, n. 60.

[4] Pacem in terris, n. 110.

[5] Cf. ibid., n. 80.

[6] Ibid., n. 9.

[7] Ibid., n. 11.

[8] Ibid., n. 12.

[9] Ibid., n. 63.

[10] Ibid., n. 153.

[11] Discours lors de la Session plénière du 7ème Congress of Leaders of World and Traditional Religions, Nur-Sultan (ora Astana), 14 septembre 2022.

[12] Pacem in terris, n. 142.

[13] Lett. Enc. Fratelli tutti (3 octobre 2020), n. 115.

[14] Message pour la 56ème Journée Mondiale de la Paix (8 décembre 2022), n. 3.

[15] Pacem in terris, n. 25.

[16] Discours à l'occasion de la manifestation “Economy of Francesco”, Assise, 24 septembre 2022.

[17] Pacem in terris, n. 124. Cf. Message radio de Noël, 24 décembre 1941.

[18] Discours au Corps Diplomatique accrédité près le Saint-Siège, 22 mars 2013.

[19] Pacem in terris, n. 129.

[00038-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

Your Eminence, Your Excellencies,

Ladies and Gentlemen,

I thank you for your presence at our customary meeting, which this year we would like to be a call for peace in a world that is witnessing heightened divisions and wars.

I am grateful in particular to the Dean of the Diplomatic Corps, His Excellency Mr George Poulides, for the good wishes that he extended to me in the name of all. My own greeting goes to each of you, to your families, your co-workers and to the peoples and governments of the countries that you represent. To all of you, and to the authorities of your countries, I am likewise grateful for the messages of condolence sent for the death of Pope Emeritus Benedict XVI and for the closeness shown during his funeral.

We have just ended the Christmas season, in which Christians commemorate the mystery of the birth of the Son of God. The prophet Isaiah had foretold that birth in these words: “a child has been born for us, a son given to us; authority rests upon his shoulders; and he is named Wonderful Counselor, Mighty God, Everlasting Father, Prince of Peace” (Is 9:6).

Your presence is a sign of the importance of the peace and human fraternity that dialogue helps to build. The task of diplomacy is precisely to resolve conflicts and thus to foster a climate of reciprocal cooperation and trust for the sake of meeting common needs. It can be said that diplomacy is an exercise of humility, since it demands that we sacrifice something of our self-regard in order to build a relationship with others, to understand their thinking and points of view, and thus to oppose the human pride and arrogance that are the cause of every will to wage war.

I am grateful for the consideration shown by your countries to the Holy See, marked in this past year not least by the decisions of Switzerland, the Republic of the Congo, Mozambique and Azerbaijan to appoint resident ambassadors in Rome, as well as by the signing of new bilateral accords with the Democratic Republic of São Tomé and Príncipe and with the Republic of Kazakhstan.

Here I would also mention that, in the context of a respectful and constructive dialogue, the Holy See and the People’s Republic of China have agreed to extend for another two-year period the validity of the Provisional Agreement regarding the appointment of Bishops, stipulated in Beijing in 2018. It is my hope that this collaborative relationship can increase, for the benefit of the life of the Catholic Church and that of the Chinese people.

At this meeting, I would also assure you once more of the full cooperation of the Secretariat of State and the Dicasteries of the Roman Curia. With the promulgation of the new Apostolic Constitution Praedicate Evangelium, the Curia has been reorganized in some of its structures, so that it can carry out its work “with evangelical spirit, working for the good and service of communion, unity and the building up of the universal Church, while also attentive to the circumstances of the world in which the Church is called to carry out its mission”.[1]

Dear Ambassadors,

This year marks the sixtieth anniversary of the Encyclical Pacem in Terris of Saint John XXIII, issued less than two months before his death.[2]

Very much present in the mind of the “good Pope” was the threat of nuclear war, raised in October 1962 by the so-called Cuban missile crisis. Humanity would have been only a step away from its own annihilation, had it not proved possible to make dialogue prevail, in recognition of the devastating effects of atomic weapons.

Sadly, today too, the nuclear threat is raised, and the world once more feels fear and anguish. Here I can only reaffirm that the possession of atomic weapons is immoral, because, as John XXIII observed, “although it is difficult to believe that anyone would dare to assume responsibility for initiating the appalling slaughter and destruction that war would bring in its wake, there is no denying that the conflagration could be started by some chance and unforeseen circumstance”.[3]

From this standpoint, particular concern is raised by the stall in the negotiations for the resumption of the Joint Comprehensive Plan of Action, better known as the Iran nuclear deal. It is my hope that a concrete solution can be reached as quickly as possible, for the sake of ensuring a more secure future.

Today the third world war is taking place in a globalized world where conflicts involve only certain areas of the planet directly, but in fact involve them all. The closest and most recent example is certainly the war in Ukraine, with its wake of death and destruction, with its attacks on civil infrastructures that cause lives to be lost not only from gunfire and acts of violence, but also from hunger and freezing cold. For its part, the conciliar Constitution Gaudium et Spes states that “every act of war directed to the indiscriminate destruction of whole cities or vast areas with their inhabitants is a crime against God and humanity which merits firm and unequivocal condemnation” (No. 80). Nor can we forget that war particularly affects those who are most fragile – children, the elderly, the disabled – and leaves an indelible mark on families. Today, I feel bound to renew my appeal for an immediate end to this senseless conflict, whose effects are felt in entire regions, also outside of Europe, due to its repercussions in the areas of energy and food production, above all in Africa and in the Middle East.

The present third world war fought piecemeal also makes us consider other theatres of tension and conflict. Once more this year, with immense sorrow, we must look to the war-torn land of Syria. The rebirth of that country must come about through needed reforms, including constitutional reforms, in an effort to give hope to the Syrian people, affected by growing poverty, while at the same time ensuring that the international sanctions imposed do not affect the daily life of a people that has already suffered so much.

The Holy See also follows with concern the increase of violence between Palestinians and Israelis, sadly resulting in a number of victims and complete mutual distrust. Jerusalem, a holy city for Jews, Christians and Muslims, is particularly affected by this. The name Jerusalem evokes its vocation to be a city of peace, but sadly, it has become a theatre of conflict. I trust that it can rediscover this vocation to be a location and a symbol of encounter and peaceful coexistence, and that access and liberty of worship in the holy places will continue to be guaranteed and respected in accordance with the status quo. At the same time, I express my hope that the authorities of the State of Israel and those of the State of Palestine can recover the courage and determination to dialogue directly for the sake of implementing the two-state solution in all its aspects, in conformity with international law and all the pertinent resolutions of the United Nations.

As you know, at the end of the month, I will at last be able to go as a pilgrim of peace to the Democratic Republic of the Congo, in the hope that violence will cease in the east of the country, and that the path of dialogue and the will to work for security and the common good will prevail. My pilgrimage will continue in South Sudan, where I will be accompanied by the Archbishop of Canterbury and by the General Moderator of the Presbyterian Church of Scotland. Together we desire to unite ourselves to the plea for peace by the country’s people and thus contribute to the process of national reconciliation.

Nor must we forget other situations still burdened by the effects of still unresolved conflicts. I think in particular of the situation in the South Caucasus. I urge the parties to respect the cease-fire, and I reiterate that the liberation of military and civil prisoners would prove to be an important step towards a much-desired peace agreement.

I think too of Yemen, where the last October’s truce holds, yet many civilians continue to die because of mines, and of Ethiopia, where I trust that the peace process will continue and the international community will reaffirm its commitment to respond to the humanitarian crisis experienced by that country.

I also follow with deep concern the situation in West Africa, increasingly plagued by acts of terrorist violence. I think in particular of the tragic situations endured by the populations of Burkina Faso, Mali and Nigeria, and I express my hope that the processes of transition under way in Sudan, Mali, Chad, Guinea and Burkina Faso will take place in respect for the legitimate aspirations of the populations involved.

I am particularly attentive to the situation of Myanmar, which for two years now has experienced violence, suffering and death. I invite the international community to work to concretize the processes of reconciliation and I urge all the parties involved to undertake anew the path of dialogue, in order to restore hope to the people of that beloved land.

Finally, I think of the Korean Peninsula, and I express my hope that the good will and commitment to concord will not diminish, for the sake of achieving greatly-desired peace and prosperity for the entire Korean people.

All conflicts nonetheless bring to the fore the lethal consequences of a continual recourse to the production of new and ever more sophisticated weaponry, which is sometimes justified by the argument that “peace cannot be assured except on the basis of an equal balance of armaments”.[4] There is a need to change this way of thinking and move towards an integral disarmament, since no peace is possible where instruments of death are proliferating.

Dear Ambassadors

At a time of such great conflict, we cannot avoid wondering about how we can weave anew the threads of peace. Where do we begin?

To sketch a response, I would like to take up with you some elements of Pacem in Terris, a text that continues to be extremely timely, even though the international context has changed greatly. Saint John XXIII was convinced that peace is possible in respect for four fundamental goods: truth, justice, solidarity and freedom. These serve as the pillars that regulate relationships between individuals and political communities alike.[5]

These dimensions intersect in the fundamental premise that “each human being is a person, possessed of a nature endowed with intelligence and free will. As such, he or she has rights and duties which together flow as a direct consequence of his or her nature. These rights and duties are universal and inviolable, and therefore altogether inalienable”.[6]

Peace in truth

To build peace in truth means above all to respect the human person with his or her “right to life and to physical integrity”,[7] and guaranteeing his or her “freedom in investigating the truth and to freedom of speech and publication”.[8] This requires civil authorities to “make a positive contribution to the creation of an overall climate in which individuals can both safeguard their own rights and fulfil their duties, and can do so readily”.[9]

Despite the commitments undertaken by all states to respect human rights and the fundamental freedoms of each person, even today, in many countries, women are considered second-class citizens. They are subjected to violence and abuse, and are denied the opportunity to study, work, employ their talents, and have access to healthcare and even to food. Whereas when human rights are fully recognized for all, women can offer their unique contribution to the life of society and to be the first allies of peace.

Peace requires before all else the defense of life, a good that today is jeopardized not only by conflicts, hunger and disease, but all too often even in the mother’s womb, through the promotion of an alleged “right to abortion”. No one, however, can claim rights over the life of another human being, especially one who is powerless and thus completely defenceless. For this reason, I appeal to the consciences of men and women of good will, particularly those having political responsibilities, to strive to safeguard the rights of those who are weakest and to combat the throwaway culture that also, tragically, affects the sick, the disabled and the elderly. States have a primary responsibility to ensure that citizens are assisted in every phase of human life, until natural death, and to do so in a way that makes each feel accompanied and cared for, even in the most delicate moments of his or her life.

The right to life is also threatened in those places where the death penalty continues to be imposed, as is the case in these days in Iran, following the recent demonstrations demanding greater respect for the dignity of women. The death penalty cannot be employed for a purported State justice, since it does not constitute a deterrent nor render justice to victims, but only fuels the thirst for vengeance. I appeal, then, for an end to the death penalty, which is always inadmissible since it attacks the inviolability and the dignity of the person, in the legislation of all the countries of the world. We cannot overlook the fact that, up until his or her very last moment, a person can repent and change.

Tragically, we increasingly witness the emergence of a “fear” of life, which translates in many places into a fear of the future and a difficulty in creating families and bringing children into the world. In some contexts, I think for example of Italy, there is a dangerous fall in the birthrate, a veritable demographic winter, which endangers the very future of society. I wish once more to encourage the beloved Italian people to confront with tenacity and hope the challenges of the present time by drawing strength from their religious and cultural roots.

Fears are fueled by ignorance and prejudice, and thus easily degenerate into conflicts. Education is the antidote to this. The Holy See promotes an integral vision of education, in which “the cultivation of religious values is able to keep pace with scientific knowledge and continually advancing technical progress”.[10] The work of education always requires showing integral respect for the person, and for his or her natural physiognomy, and avoiding the imposition of a novel and confused vision of the human being. This entails integrating the processes of human, spiritual, intellectual and professional growth, thus enabling the person to be set free from multiple forms of enslavement and, in freedom and responsibility, to take his or her place in society. In this regard, it is unacceptable that part of a people should be excluded from education, as is happening to Afghan women.

Education is prey to a crisis made even more acute by the devastating effects of the pandemic and by the troubling geopolitical scenario. In this regard, the Transforming Education Summit convened by the General Secretary of the United Nations, which met in New York last September, provided governments with a unique opportunity to adopt courageous policies aimed at confronting the present “educational catastrophe” and to enact concrete decisions to achieve quality instruction for everyone by 2030. May states find the courage to reverse the embarrassing and disproportionate relationship between public funding for education and expenditures on armaments!

Peace also calls for the universal recognition of religious freedom. It is troubling that people are being persecuted simply because they publicly profess their faith and in many countries religious freedom is limited. About a third of the world’s population lives under these conditions. Along with the lack of religious freedom, there is also persecution for religious reasons. I cannot fail to mention, as certain statistics have shown, that one out of every seven Christians experiences persecution. Here I express my hope that the new Special Envoy of the European Union for the promotion of freedom of religion or belief outside the EU, will be able to dispose of the resources and means necessary to carry out his specific mandate in an appropriate way.

At the same time, we should not overlook the fact that violence and acts of discrimination against Christians are also increasing in countries where the latter are not a minority. Religious freedom is also endangered wherever believers see their ability to express their convictions in the life of society restricted in the name of a misguided understanding of inclusiveness. Religious freedom, which cannot be reduced simply to freedom of worship, is one of the minimum requisites for a dignified way of life. Governments have the duty to protect this right and to ensure that each person, in a way compatible with the common good, enjoys the opportunity to act in accordance with his or her own conscience, also in the public sphere and in the exercise of their profession.

Religion provides genuine opportunities for dialogue and encounter between different peoples and cultures. The Timor-Leste Parliament bore witness to this in its unanimous decision to approve the Document on Human Fraternity that I signed with the Grand Imam of Al-Azhar in 2019 and by including the Document in the programmes of the nation’s educational and cultural institutions. I was able to experience this personally during my visit to Kazakhstan last September on the occasion of the Seventh Congress of Leaders of World and Traditional Religions, with whom I shared a number of concerns about today’s world and saw first-hand that religions are “not a problem, but part of the solution for a more harmonious life in society”.[11] Equally significant was my visit to Bahrain, where a further step forward was taken in the journey of Christian and Muslim believers.

Attempts are often made to blame religion for the various conflicts within our human family, and deplorable efforts are sometimes made to exploit religion for purely political ends. This runs counter to the Christian understanding, which sees the root of every conflict in an imbalance present in the human heart: in the words of the Gospel, “from within, out of the heart of man, come evil thoughts” (Mk 7:21). Christianity is a force for peace, since it encourages conversion and the exercise of virtue.

Peace in justice

Building peace requires pursuing justice. The 1962 crisis was averted thanks to the contribution of men and women of good will who were able to devise suitable solutions that prevented political tension from degenerating into an actual war. It was also due to the conviction that disputes could be resolved within the framework of international law and through those organizations, principally the United Nations, that were established in the aftermath of the Second World War and encouraged multilateral diplomacy. In the words of Saint John XXIII, “the United Nations Organization has the special aim of maintaining and strengthening peace between nations, and of encouraging and assisting friendly relations between them, based on the principles of equality, mutual respect, and extensive cooperation in every field of human endeavour”.[12]

The current conflict in Ukraine has made all the more evident the crisis that has long affected the multilateral system, which needs a profound rethinking if it is to respond adequately to the challenges of our time. This demands a reform of the bodies that allow it to function effectively, so that they can be truly representative of the needs and sensitivities of all peoples, and avoid procedures that give greater weight to some, to the detriment of others. It is not a matter of creating coalitions, but of providing opportunities for everyone to be partners in dialogue.

Great good can be achieved by working together. We need only think of the praiseworthy initiatives that aim at reducing poverty, assisting migrants, combating climate change, promoting nuclear disarmament and providing humanitarian aid. Yet, in recent times, the various international forums have seen an increase in polarization and attempts to impose a single way of thinking, which hinders dialogue and marginalizes those who see things differently. There is a risk of drifting into what more and more appears as an ideological totalitarianism that promotes intolerance towards those who dissent from certain positions claimed to represent “progress”, but in fact would appear to lead to an overall regression of humanity, with the violation of freedom of thought and freedom of conscience.

In addition, more and more resources have been spent on imposing forms of ideological colonization, especially on poorer countries, and directly connecting the provision of economic aid to the acceptance of such ideologies. This has strained debate within international organizations, precluding fruitful exchanges and often leading to the temptation to address issues independently and, consequently, on the basis of power relations.

During my visit to Canada last July, I was able to experience first-hand the consequences of colonization, especially in my meetings with the indigenous peoples who suffered from the assimilation policies of the past. Attempts made to impose alien ways of thinking upon other cultures open the way to sharp confrontation and at times even violence.

In the name of that solidarity “born of the consciousness that we are responsible for the fragility of others as we strive to build a common future”,[13] we must return to dialogue, mutual listening and negotiation, and foster shared responsibility and cooperation in the pursuit of the common good. Efforts to preclude or veto discussion will only fuel further divisions.

Peace in solidarity

In my annual Message for the World Day of Peace, I noted that the Covid-19 pandemic left in its wake “the realization that we all need one another”.[14] The paths of peace are paths of solidarity, for no one can be saved alone. We live in a world so interconnected that, in the end, the actions of each have consequences for all.

Here, I wish to draw attention to three areas in which this interconnection uniting today’s human family is particularly felt, and where greater solidarity is especially needed.

The first area is that of migration, which concerns entire regions of the world. Often it is an issue of individuals fleeing from war and persecution, and who face immense dangers. Then too, “every human being has the right to freedom of movement… to emigrate to other countries and take up residence there”[15] and everyone should have the possibility of returning to his or her own country of origin.

Migration is one issue where we cannot “move ahead at random”. To understand this, we need but look at the Mediterranean, which has become a massive tomb. Those lost lives are emblematic of the shipwreck of civilization, as I noted during my trip to Malta last spring. In Europe, there is a pressing need to reinforce the regulatory framework through the approval of the New Pact on Migration and Asylum, so as to put in place suitable policies for accepting, accompanying, promoting and integrating migrants. At the same time, solidarity requires that the burden of the operations needed to aid and care for the shipwrecked does not fall entirely on the people of the main landing points.

The second area concerns the economy and work. The crises of recent years have highlighted the limits of an economic system aimed more at creating profit for a few than at providing opportunities for the benefit of the many; an economy more focused on money than on the production of useful goods. This has created more fragile businesses and unjust labour markets. There is a need to restore dignity to business and to work, combating all forms of exploitation that end up treating workers as a commodity, for “without dignified work and just remuneration, young people will not truly become adults and inequality will increase”.[16]

The third area is the care of our common home. We are continually witnessing the results of climate change and their serious effects on the lives of entire peoples, either by the devastation they produce, as in the case of Pakistan in the areas that experienced flooding, where outbreaks of disease borne by stagnant water continue to increase; or in vast areas of the Pacific Ocean, where global warming has caused great damage to fishing, which is the basis of daily life for entire populations; or in Somalia and the entire Horn of Africa, where drought is causing severe famine; and in recent days too, in the United States, where sudden and intense blizzard conditions caused numerous deaths.

Last summer, the Holy See chose to accede to the United Nations Framework Convention on Climate Change, as a means of lending its moral support to the efforts of all states to cooperate, in accordance with their responsibilities and respective capabilities, in offering an effective and appropriate response to the challenges posed by climate change. It is to be hoped that the steps taken at COP27 with the adoption of the Sharm el-Sheikh Implementation Plan, however limited, can raise everyone’s awareness of an urgent issue that can no longer be ignored. Promising goals, however, were agreed upon during the recent United Nations Biodiversity Conference (COP15) held in Montreal last month.

Peace in freedom

Finally, building peace requires that there be no place for “violation of the freedom, integrity and security of other nations, no matter what may be their territorial extension or their capacity for defense”.[17] This can come about only if, in every single community, there does not prevail that culture of oppression and aggression in which our neighbour is regarded as an enemy to attack, rather than a brother or sister to welcome and embrace.[18]

It is a source of concern that, in many parts of the world, there is a weakening of democracy and of the breadth of freedom that it enables, albeit with all the limitations of any human system. It is women or ethnic minorities who often pay the price for this, as too do entire societies in which unrest leads to social tensions and even armed clashes.

In many areas, a sign of the weakening of democracy is heightened political and social polarization, which does not help to resolve the urgent problems of citizens. I think of the various countries of the Americas where political crises are laden with tensions and forms of violence that exacerbate social conflicts. In particular, I would mention recent events in Peru and in the latest hours in Brazil, and the worrying situation in Haiti, where steps are finally being taken to address the political crisis that has been underway for some time. There is a constant need to overcome partisan ways of thinking and to work for the promotion of the common good.

I have also closely followed the situation in Lebanon, which is still awaiting the election of a new President of the Republic. I trust that political leaders will make every effort to enable the country to recover from the dramatic economic and social situation it is presently experiencing.

Your Excellencies, Ladies and Gentlemen,

How wonderful it would be if, just once, we were to gather simply to thank the Lord Almighty for his constant blessings, without having to list all the tragic events plaguing our world. If I may quote once more the words of John XXIII, “we nonetheless remain hopeful that, by establishing contact with one another and by a policy of negotiation, nations will come to a better recognition of the natural ties that bind them together as men and women. We are hopeful, too, that they will come to a fairer realization of one of the cardinal duties deriving from our common nature: namely, that love, not fear, must dominate the relationships between individuals and between nations. It is principally characteristic of love that it draws men and women together in all sorts of ways, sincerely united in the bonds of mind and matter; and this is a union from which countless blessings can flow”.[19]

With these sentiments, I renew to you, and to the countries you represent, my heartfelt good wishes for the new year.

Thank you!

________________________

[1] Apostolic Constitution Praedicate Evangelium (19 March 2022), Art. 1.

[2] On 11 April 1963. Cf. AAS 55 (1963), 257-304.

[3] Pacem in Terris (ed. Carlen), 111.

[4] Pacem in Terris, 110.

[5] Cf. ibid., 85.

[6] Ibid., 9.

[7] Ibid., 11.

[8] Ibid., 12.

[9] Ibid., 63.

[10] Ibid., 153.

[11] Address to the Plenary Session of the VII Congress of Leaders of World and Traditional Religions, Astana, 14 September 2022.

[12] Pacem in Terris, 142.

[13] Encyclical Letter Fratelli Tutti (3 October 2020), 115.

[14] Message for the 2023 World Day of Peace (8 December 2022), 3.

[15] Pacem in Terris, 25.

[16] Address to Participants in the “Economy of Francesco” Event, Assisi, 24 September 2022.

[17] Pacem in Terris, 124. Cf. PIUS XII, Christmas Radio Message, 24 December 1941.

[18] Cf. Address to the Diplomatic Corps Accredited to the Holy See, 22 March 2013.

[19] Pacem in Terris, 129.

[00038-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Eminenz,Exzellenzen, meine Damen und Herren,

für Ihre Anwesenheit bei unserem traditionellen Treffen danke ich Ihnen, das in diesem Jahr ein Aufruf zum Frieden in einer Welt sein soll, in der Spaltungen und Kriege zunehmen.

Mein besonderer Dank gilt dem Dekan des Diplomatischen Korps, Seiner Exzellenz Georges Poulides, für die guten Wünsche, die er mir im Namen von Ihnen allen übermittelt hat. Ich grüße jeden Einzelnen von Ihnen, Ihre Familien, Ihre Mitarbeiter und die Völker und Regierungen der Länder, die Sie vertreten. Ihnen allen und Ihren Autoritäten möchte ich meinen Dank für die Beileidsbekundungen anlässlich des Todes des emeritierten Papstes Benedikt XVI. und für die Verbundenheit bei seinen Exequien aussprechen.

Wir haben gerade die Weihnachtszeit beschlossen, in der die Christen des Geheimnisses der Geburt des Sohnes Gottes gedenken. Der Prophet Jesaja hat es mit diesen Worten vorausgesagt: »Denn ein Kind wurde uns geboren, ein Sohn wurde uns geschenkt. Die Herrschaft wurde auf seine Schulter gelegt. Man rief seinen Namen aus: Wunderbarer Ratgeber, Starker Gott, Vater in Ewigkeit, Fürst des Friedens« (Jes 9,5).

Ihre Anwesenheit unterstreicht den Wert des Friedens und der menschlichen Geschwisterlichkeit, zu deren Aufbau der Dialog seinen Beitrag leistet. Im Übrigen besteht die Aufgabe der Diplomatie gerade darin, Differenzen beizulegen, um ein Klima der gegenseitigen Zusammenarbeit und des Vertrauens für die Befriedigung gemeinsamer Bedürfnisse zu schaffen. Man kann sagen, dass es sich dabei um eine Übung der Demut handelt, denn sie erfordert, dass man ein wenig Eigenliebe opfert, um mit dem anderen in Beziehung zu treten, seine Gründe und Standpunkte zu verstehen und so dem menschlichen Stolz und der Arroganz, der Ursache aller kriegerischen Absichten, entgegenzutreten.

Ich bin ebenso dankbar für die Achtung, die Ihre Länder dem Heiligen Stuhl entgegenbringen, die im vergangenen Jahr unter anderem durch die Entscheidung der Schweiz, der Republik Kongo, Mosambiks und Aserbaidschans zur Ernennung von residierenden Botschaftern in Rom sowie durch die Unterzeichnung neuer bilateraler Abkommen mit der Demokratischen Republik São Tomé und Príncipe und mit der Republik Kasachstan zum Ausdruck gekommen ist.

An dieser Stelle möchte ich auch daran erinnern, dass der Heilige Stuhl und die Volksrepublik China im Rahmen eines respektvollen und konstruktiven Dialogs sich darauf verständigt haben, die Gültigkeit der 2018 in Peking unterzeichneten vorläufigen Vereinbarung über die Ernennung von Bischöfen um weitere zwei Jahre zu verlängern. Ich hoffe, dass sich diese Zusammenarbeit zu Gunsten des Lebens der katholischen Kirche und des Wohls des chinesischen Volkes entwickelt.

Zugleich erneure ich Ihnen gegenüber die Zusicherung der vollen Kooperation des Staatssekretariats und der Dikasterien der Römischen Kurie, die mit der Verkündigung der neuen Apostolischen Konstitution Prædicate Evangelium in einigen Strukturen reformiert wurde, um »ihre eigene Aufgabe im Geist des Evangeliums« besser zu erfüllen, »indem sie für das Wohl und den Dienst an der Gemeinschaft, der Einheit und den Aufbau der Gesamtkirche wirkt und dabei den Erfordernissen der Welt Rechnung trägt, in der die Kirche aufgerufen ist, ihre Sendung zu erfüllen«[1].

Liebe Botschafterinnen und Botschafter,

in diesem Jahr wird der 60. Jahrestag der Enzyklika Pacem in Terris des heiligen Johannes XXIII. begangen, die knapp zwei Monate vor seinem Tod veröffentlicht wurde[2].

In den Augen des „guten Papstes“ war die Gefahr eines Atomkriegs, die im Oktober 1962 durch die so genannte Kubakrise ausgelöst worden war, noch nicht gebannt. Die Menschheit war nur einen Schritt von ihrer eigenen Vernichtung entfernt, wenn es nicht gelungen wäre, den Dialog im Bewusstsein der zerstörerischen Wirkung der Atomwaffen obsiegen zu lassen.

Leider wird auch heute noch die nukleare Bedrohung heraufbeschworen, wodurch die Welt in Angst und Schrecken versetzt wird. Ich kann hier nur wiederholen, dass der Besitz von Atomwaffen unmoralisch ist, wie Johannes XXIII. feststellte: »Wenn es auch kaum glaublich ist, dass es Menschen gibt, die es wagen möchten, die Verantwortung für die Vernichtung und das Leid auf sich zu nehmen, die ein Krieg im Gefolge hat, so kann man doch nicht leugnen, dass unversehens und unerwartet ein Kriegsbrand entstehen kann«[3]. Bei der Bedrohung durch Atomwaffen sind wir alle immer Verlierer, alle!

Unter diesem Gesichtspunkt ist der Stillstand der Verhandlungen über die Wiederaufnahme des Gemeinsamen umfassenden Aktionsplans, besser bekannt als das Iran-Atomabkommen, besonders besorgniserregend. Ich hoffe, dass so bald wie möglich eine konkrete Lösung gefunden werden kann, um eine sicherere Zukunft zu gewährleisten.

Heute ist der dritte Weltkrieg in einer globalisierten Welt im Gange, in der die Konflikte zwar nur bestimmte Gebiete des Planeten unmittelbar betreffen, aber im Grunde genommen alle mit einbeziehen. Das beste und jüngste Beispiel dafür ist gerade der Krieg in der Ukraine mit seiner Spur von Tod und Zerstörung, mit den Angriffen auf die zivile Infrastruktur, bei denen Menschen nicht nur durch Bomben und Gewalt, sondern auch durch Hunger und Kälte ihr Leben verlieren. Diesbezüglich stellt die pastorale Konstitution Gaudium et spes fest: »Jede Kriegshandlung, die auf die Vernichtung ganzer Städte oder weiter Gebiete und ihrer Bevölkerung unterschiedslos abstellt, ist ein Verbrechen gegen Gott und gegen den Menschen, das fest und entschieden zu verwerfen ist« (Nr. 80). Wir dürfen auch nicht vergessen, dass der Krieg vor allem die schwächsten Menschen – die Kinder, die älteren Menschen, die Behinderten - trifft und die Familien mit unauslöschlichen Folgen auseinanderreißt. Ich kann am heutigen Tag meinen Appell zur sofortigen Beendigung dieses sinnlosen Konflikts nur erneuern, dessen Auswirkungen im Bereich der Energie und der Nahrungsmittelproduktion auf ganze Gebiete, auch außerhalb Europas, vor allem in Afrika und im Nahen Osten, zu spüren sind.

Der dritte Weltkrieg in Teilen, den wir gerade erleben, veranlasst uns, einen Blick auf andere Schauplätze von Spannungen und Konflikten zu werfen. Auch in diesem Jahr müssen wir schmerzerfüllt auf das leidgeplagte Land Syrien blicken. Die Neugeburt dieses Landes muss die notwendigen Reformen, einschließlich Verfassungsreformen, durchlaufen, um dem syrischen Volk, das von immer größerer Armut betroffen ist, Hoffnung zu geben und zu verhindern, dass die verhängten internationalen Sanktionen das tägliche Leben einer Bevölkerung beeinträchtigen, die bereits so viel gelitten hat.

Mit Sorge verfolgt der Heilige Stuhl auch die Zunahme der Gewalt zwischen Palästinensern und Israelis mit der dramatischen Folge vieler Opfer und eines völligen Mangels an gegenseitigem Vertrauen. Besonders betroffen ist Jerusalem, eine heilige Stadt für Juden, Christen und Muslime. Die Berufung, die sich mit ihrem Namen verbindet, ist es, eine Stadt des Friedens zu sein, aber leider ist sie oft Schauplatz von Auseinandersetzungen. Ich vertraue darauf, dass sie diese Berufung, ein Ort und ein Symbol der Begegnung und des friedlichen Zusammenlebens zu sein, zurückgewinnen kann und dass der Zugang zu den heiligen Stätten und die Freiheit der Religionsausübung dort weiterhin gemäß dem Status quo gewährleistet und respektiert werden. Gleichzeitig hoffe ich, dass die Verantwortlichen des Staates Israel und des Staates Palästina den Mut und die Entschlossenheit zurückgewinnen, in einen direkten Dialog einzutreten, um die Zweistaatenlösung in all ihren Aspekten in Übereinstimmung mit dem Völkerrecht und allen einschlägigen Resolutionen der Vereinten Nationen umzusetzen.

Wie Sie wissen, werde ich Ende dieses Monats endlich zu einer Friedenspilgerreise in die Demokratische Republik Kongo aufbrechen können, in der Hoffnung, dass die Gewalt im Osten des Landes aufhört und sich der Weg des Dialogs und der Wille, sich für Sicherheit und das Gemeinwohl einzusetzen, durchsetzen wird. Die Pilgerreise geht weiter in den Südsudan, wo ich vom Erzbischof von Canterbury und dem Generalmoderator der Presbyterianischen Kirche von Schottland begleitet werde. Gemeinsam wollen wir uns dem Ruf der Menschen nach Frieden anschließen und zum Prozess der nationalen Aussöhnung beitragen.

Ich denke auch an den Jemen, wo der im vergangenen Oktober erreichte Waffenstillstand hält, aber weiterhin viele Zivilisten durch Landminen sterben, und an Äthiopien, wo ich hoffe, dass der Friedensprozess fortgesetzt und das Engagement der internationalen Gemeinschaft zur Bewältigung der humanitären Krise im Land gestärkt wird.

Mit Besorgnis verfolge ich auch die Lage in Westafrika, das zunehmend von der Gewalt des Terrorismus heimgesucht wird. Ich denke dabei insbesondere an die Dramen, die die Bevölkerungen von Burkina Faso, Mali und Nigeria erleben, und ich hoffe, dass die Übergangsprozesse, die im Sudan, in Mali, im Tschad, in Guinea und in Burkina Faso im Gange sind, unter Berücksichtigung der legitimen Bestrebungen der betroffenen Bevölkerungen vonstattengehen werden.

Mit besonderer Aufmerksamkeit verfolge ich auch die Lage in Myanmar, wo es seit zwei Jahren Gewalt, Schmerz und Tod gibt. Ich rufe die internationale Gemeinschaft auf, sich dafür einzusetzen, dass der Versöhnungsprozess Wirklichkeit wird, und ich fordere alle beteiligten Parteien auf, auf den Weg des Dialogs zurückzukehren, um den Menschen in diesem geliebten Land wieder Hoffnung zu geben.

Schließlich denke ich an die koreanische Halbinsel, für die ich hoffe, dass es nicht an gutem Willen und Engagement für die Eintracht mangeln wird, um den lang ersehnten Frieden und Wohlstand für das gesamte koreanische Volk zu schaffen.

Alle Konflikte lassen jedoch die tödlichen Folgen eines ständigen Bedarfs an neuen und immer hochentwickelteren Waffen erkennen, der manchmal mit der Begründung gerechtfertigt wird, dass „unter den gegenwärtigen Umständen der Friede nur durch das Gleichgewicht der Rüstungen gesichert werden kann“[4]. Es ist notwendig, diese Logik zu durchbrechen und den Weg einer umfassenden Abrüstung einzuschlagen, da kein Frieden möglich ist, wenn die Werkzeuge des Todes so weit verbreitet sind.

Liebe Botschafterinnen und Botschafter,

in einer solch konfliktreichen Zeit können wir der Frage nicht ausweichen, wie wir die Bande des Friedens neu knüpfen können. Wo kann man wieder neu ansetzen?

Um eine Antwort zu skizzieren, möchte ich mit Ihnen einige Elemente aus Pacem in Terris aufgreifen, einem Text, der äußerst aktuell ist, auch wenn sich der internationale Kontext weitgehend verändert hat. Für den heiligen Johannes XXIII. ist der Friede nur im Lichte von vier grundlegenden Gütern möglich: Wahrheit, Gerechtigkeit, Solidarität und Freiheit. Dies sind die Eckpfeiler, die sowohl die Beziehungen zwischen einzelnen Menschen als auch die Beziehungen zwischen politischen Gemeinschaften bestimmen[5].

Diese Dimensionen stehen in engem Zusammenhang mit der grundlegenden Prämisse, dass »jeder Mensch seinem Wesen nach Person ist. Er hat eine Natur, die mit Vernunft und Willensfreiheit ausgestattet ist; er hat daher aus sich Rechte und Pflichten, die unmittelbar und gleichzeitig aus seiner Natur hervorgehen. Weil sie allgemein gültig und unverletzlich sind, können sie auch in keiner Weise veräußert werden«[6].                     

Frieden in der Wahrheit

Frieden in Wahrheit zu schaffen, bedeutet zuallererst, die menschliche Person in ihrem Recht auf Leben und körperliche Unversehrtheit[7] zu respektieren, für die die Freiheit bei der Suche nach der Wahrheit, bei der Äußerung von Meinungen und bei deren Verbreitung[8] garantiert werden muss. Dies setzt voraus, dass die staatlichen Stellen »sich auch dafür einsetzen, dass Bedingungen herrschen, in denen es den einzelnen Menschen möglich, und zwar leicht möglich ist, sowohl ihre Rechte wahrzunehmen als auch ihre Pflichten zu erfüllen«[9].

Trotz der von allen Staaten eingegangenen Verpflichtungen, die Menschenrechte und Grundfreiheiten aller Menschen zu achten, werden Frauen auch heute noch in vielen Ländern als Bürger zweiter Klasse angesehen. Sie sind Gewalt und Missbrauch ausgesetzt und ihnen wird die Möglichkeit verweigert, zu studieren, zu arbeiten, ihre Talente zu entfalten, Zugang zu medizinischer Versorgung oder sogar Nahrung zu erhalten. Wo die Menschenrechte für alle uneingeschränkt anerkannt werden, können Frauen stattdessen ihren unersetzlichen Beitrag zum gesellschaftlichen Leben leisten und zu den wichtigsten Verbündeten des Friedens werden.

Frieden verlangt zuallererst, dass das Leben verteidigt wird, ein Gut, das heute nicht nur durch Konflikte, Hunger und Krankheiten gefährdet ist, sondern allzu oft schon im Mutterleib, indem ein angebliches „Recht auf Abtreibung“ geltend gemacht wird. Niemand kann jedoch ein Recht auf das Leben eines anderen Menschen beanspruchen, schon gar nicht, wenn er wehrlos ist und somit keine Möglichkeit hat sich zu verteidigen. Ich appelliere daher an das Gewissen der Männer und Frauen guten Willens, insbesondere derjenigen, die politische Verantwortung tragen, sich für den Schutz der Rechte der Schwächsten einzusetzen und die Wegwerfkultur zu überwinden, die leider auch Kranke, Behinderte und ältere Menschen betrifft. Die Staaten tragen die Hauptverantwortung dafür, die Betreuung der Bürger in jeder Phase des menschlichen Lebens bis hin zum natürlichen Tod zu gewährleisten und dafür zu sorgen, dass sich jeder Mensch auch in den schwierigsten Momenten seines Lebens begleitet und betreut fühlt.

Das Recht auf Leben ist auch dort bedroht, wo die Todesstrafe weiterhin praktiziert wird, wie es dieser Tage im Iran der Fall ist, nachdem die jüngsten Demonstrationen mehr Respekt für die Würde der Frauen gefordert haben. Die Todesstrafe kann nicht für eine angebliche staatliche Gerechtigkeit herhalten, da sie weder abschreckt noch den Opfern Gerechtigkeit verschafft, sondern nur den Durst nach Rache schürt. Ich fordere daher, dass die Todesstrafe, die immer unzulässig ist, weil sie die Unverletzlichkeit und Würde der Person angreift, in der Gesetzgebung aller Länder der Welt abgeschafft wird. Wir dürfen nicht vergessen, dass sich ein Mensch bis zum letzten Moment bekehren und ändern kann.

Leider scheint sich immer mehr eine „Angst“ vor dem Leben zu entwickeln, die sich vielerorts in einer Angst vor der Zukunft und der Schwierigkeit ausdrückt, eine Familie zu gründen und Kindern das Leben zu schenken. In einigen Ländern, ich denke da zum Beispiel an Italien, gibt es einen gefährlichen Rückgang der Geburtenrate, einen echten demografischen Winter, der die Zukunft der Gesellschaft gefährdet. Ich möchte das liebe italienische Volk, das starke religiöse und kulturelle Wurzeln hat, erneut ermutigen, sich den Herausforderungen der heutigen Zeit mit Beharrlichkeit und voller Hoffnung zu stellen.

Ängste nähren sich aus Unwissenheit und Vorurteilen und können leicht in Konflikte ausarten. Bildung ist hier das Gegenmittel. Der Heilige Stuhl fördert eine ganzheitliche Vision der Bildung, in der »religiöse Bildung und sittliche Festigung gleichen Schritt halten mit der wissenschaftlichen Ausbildung und der ständig fortschreitenden technischen Vervollkommnung«[10]. Erziehung verlangt immer einen ganzheitlichen Respekt vor der Person und ihrer natürlichen Physiognomie und vermeidet es, eine neue und verwirrte Sicht des Menschen durchzusetzen. Dies bedeutet, dass die Wege des menschlichen, spirituellen, intellektuellen und auch beruflichen Wachstums integriert werden müssen, damit sich der Mensch aus den vielfältigen Formen der Sklaverei befreien und sich in der Gesellschaft frei und verantwortungsbewusst behaupten kann. In diesem Sinne ist es inakzeptabel, dass ein Teil der Bevölkerung von der Bildung ausgeschlossen wird, wie es bei afghanischen Frauen der Fall ist.

Die Erziehung ist einer Krise ausgeliefert, die durch die verheerenden Folgen der Pandemie und das besorgniserregende geopolitische Szenario noch verschärft wird. In diesem Sinne bot der vom UN-Generalsekretär einberufene Gipfel über den Bildungswandel, der im September letzten Jahres in New York stattfand, den Regierungen eine einmalige Gelegenheit, mutige politische Maßnahmen zu ergreifen, um die gegenwärtige „Bildungskatastrophe“ anzugehen und konkrete Entscheidungen zu treffen, damit bis 2030 eine qualitativ hochwertige Bildung für alle erreicht werden kann. Die Staaten mögen den Mut haben, das beschämende und asymmetrische Verhältnis zwischen den öffentlichen Ausgaben für die Erziehung und den für die Rüstung bereitgestellten Mitteln umzukehren!

Der Frieden erfordert auch, dass die Religionsfreiheit allgemein anerkannt wird. Es ist besorgniserregend, dass es Menschen gibt, die verfolgt werden, nur weil sie sich öffentlich zu ihrem Glauben bekennen, und es gibt viele Länder, in denen die Religionsfreiheit eingeschränkt ist. Etwa ein Drittel der Weltbevölkerung lebt in diesem Zustand. Neben der fehlenden Religionsfreiheit gibt es auch eine Verfolgung aus religiösen Gründen. Ich kann nicht umhin zu erwähnen, dass, wie einige Statistiken zeigen, jeder siebte Christ verfolgt wird. In diesem Zusammenhang bringe ich die Hoffnung zum Ausdruck, dass der neue Sonderbeauftragte der Europäischen Union für die Förderung der Religions- und Weltanschauungsfreiheit außerhalb der Europäischen Union über die notwendigen Ressourcen und Mittel verfügt, um seinen Auftrag angemessen zu erfüllen.

Gleichzeitig sollte man nicht vergessen, dass Gewalt und Diskriminierung gegen Christen auch in Ländern zunehmen, in denen sie keine Minderheit sind. Die Religionsfreiheit ist auch dort gefährdet, wo im Namen eines falsch verstandenen Inklusionsverständnisses für die Glaubenden die Möglichkeit eingeschränkt wird, ihre Überzeugungen im gesellschaftlichen Leben zum Ausdruck zu bringen. Die Religionsfreiheit, die nicht auf die bloße Freiheit der Religionsausübung reduziert werden kann, ist eine der Mindestvoraussetzungen für ein Leben in Würde, und die Regierungen haben die Pflicht, sie zu schützen und jedem Menschen im Einklang mit dem Gemeinwohl die Möglichkeit zu garantieren, auch im öffentlichen Leben und bei der Berufsausübung nach seinem Gewissen handeln zu können.

Die Religion bietet eine wirksame Chance für den Dialog und die Begegnung zwischen verschiedenen Völkern und Kulturen, wie der Beschluss des Parlaments von Timor-Leste beweist, das einstimmig das 2019 von mir mit dem Großimam der Al-Azhar unterzeichnete Dokument über die Brüderlichkeit aller Menschen angenommen hat und es in die Programme der nationalen Bildungs- und Kultureinrichtungen aufgenommen hat. Dies konnte ich auch auf meiner Reise nach Kasachstan im September letzten Jahres anlässlich des VII. Treffens der führenden Vertreter der Weltreligionen persönlich erfahren, mit denen ich einige Sorgen unserer Zeit teilte und dabei darauf hinwies, dass die Religionen »nicht ein Problem [sind], sondern Teil der Lösung für ein harmonischeres Zusammenleben«[11]. Ebenso bedeutsam war der Besuch in Bahrain, wo ein neuer Schritt auf dem Weg zwischen christlichen und muslimischen Gläubigen gemacht wurde.

Oftmals will man die verschiedenen Konflikte, die die Menschheit begleiten, der Religion anlasten und zuweilen mangelt es tatsächlich nicht an bedauerlichen Versuchen, die Religion für rein politische Zwecke zu instrumentalisieren. Dies steht jedoch im Widerspruch zur christlichen Sichtweise, die die Wurzel jedweden Konfliktes aufdeckt, nämlich das Ungleichgewicht des menschlichen Herzens: »Von innen, aus dem Herzen der Menschen, kommen die bösen Gedanken« (Mk 7,21), wie uns das Evangelium in Erinnerung ruft. Das Christentum regt den Frieden an, weil es zur Umkehr und zur Ausübung der Tugend anspornt.

Frieden in der Gerechtigkeit

Die Schaffung von Frieden setzt voraus, dass Gerechtigkeit angestrebt wird. Die Krise von 1962 konnte durch den Beitrag von Menschen guten Willens gelöst werden, die in der Lage waren, geeignete Lösungen zu finden, um zu verhindern, dass die politischen Spannungen in einen regelrechten Krieg ausarteten. Dies ist auch der Überzeugung zu verdanken, dass Streitigkeiten im Rahmen des Völkerrechts und durch jene Organisationen, allen voran die Vereinten Nationen, die nach dem Zweiten Weltkrieg entstanden sind und die multilaterale Diplomatie entwickelt haben, gelöst werden können. Der heilige Johannes XXIII. erinnert daran: »Die Vereinten Nationen stellen sich als Hauptaufgabe, den Frieden unter den Völkern zu schützen und zu festigen sowie freundschaftliche Beziehungen unter ihnen zu pflegen und zu entwickeln, die auf den Grundsätzen der Gleichheit, der gegenseitigen Hochachtung und der vielfältigen Zusammenarbeit auf allen Gebieten menschlicher Aktivität gründen«[12].

Der derzeitige Konflikt in der Ukraine hat die Krise, in der sich das multilaterale System seit langem befindet, noch deutlicher gemacht und es bedarf tiefgreifender Überlegungen, um angemessen auf die Herausforderungen unserer Zeit antworten zu können. Dies erfordert eine Reform der Organe, die ihre Arbeit ermöglichen, damit sie wirklich die Bedürfnisse und Anliegen aller Völker repräsentieren und Abläufe vermieden werden, die einigen zum Nachteil anderer mehr Gewicht verleihen. Es geht also nicht darum, Blöcke von Allianzen zu bilden, sondern darum, Gelegenheiten für einen Dialog aller zu schaffen.

Gemeinsam kann so viel Gutes getan werden, man denke nur an die lobenswerten Initiativen zur Armutsbekämpfung, zur Unterstützung von Migranten, zur Bekämpfung des Klimawandels, zur Förderung der nuklearen Abrüstung und zur Bereitstellung humanitärer Hilfe. In letzter Zeit sind die verschiedenen internationalen Foren jedoch durch eine zunehmende Polarisierung und den Versuch gekennzeichnet, ein Einheitsdenken aufzuerlegen, das den Dialog verhindert und Andersdenkende ausgrenzt. Es besteht die Gefahr eines Abdriftens, welches immer mehr das Gesicht eines ideologischen Totalitarismus annimmt. Dieser fördert die Intoleranz gegenüber denjenigen, die sich nicht an vermeintliche Positionen des „Fortschritts“ halten, welche in Wirklichkeit vielmehr zu einem allgemeinen Rückschritt der Menschlichkeit durch die Verletzung der Gedanken- und Gewissensfreiheit zu führen scheinen.

Darüber hinaus wurden die zunehmenden Ressourcen genutzt, um insbesondere den ärmeren Ländern Formen der ideologischen Kolonisierung aufzuzwingen, wodurch ein direkter Zusammenhang zwischen der Gewährung von Wirtschaftshilfe und der Annahme solcher Ideologien hergestellt wurde. Dies hat die interne Debatte in den internationalen Organisationen belastet, was einen fruchtbaren Austausch verhindert und oft der Versuchung Vorschub leistet, Fragen im Alleingang und folglich auf der Grundlage von Machtverhältnissen anzugehen.

Im Übrigen konnte ich während meiner Reise nach Kanada im vergangenen Juli die Folgen der Kolonisierung mit Händen greifen, insbesondere bei meinen Treffen mit den indigenen Völkern, die unter der Assimilationspolitik der Vergangenheit gelitten haben. Wo versucht wird, anderen Kulturen Denkformen aufzuzwingen, die nicht zu ihnen gehören, ist der Weg frei für erbitterte Auseinandersetzungen und manchmal sogar für Gewalt.

Es ist notwendig, zum Dialog, zum gegenseitigen Zuhören und zu den Verhandlungen zurückzukehren und die gemeinsame Verantwortung sowie die Zusammenarbeit bei der Suche nach dem Gemeinwohl im Zeichen jener Solidarität zu fördern, »die sich daraus ergibt, dass wir uns für die Schwäche anderer verantwortlich fühlen und versuchen eine gemeinsame Perspektive zu entwickeln«[13]. Ausgrenzungen und gegenseitige Vetos führen nur zu weiteren Spaltungen.

Frieden in der Solidarität

In meiner jährlichen Botschaft zum Weltfriedenstag habe ich herausgestellt, dass die Covid-19-Pandemie ein Vermächtnis hinterlassen hat, nämlich »die Erkenntnis, dass wir alle einander brauchen«[14]. Die Wege des Friedens sind Wege der Solidarität, denn niemand kann sich allein retten. Wir leben in einer Welt, die so sehr miteinander verflochten ist, dass die Handlungen eines jeden Einzelnen Auswirkungen auf alle haben.

Ich möchte hier drei Bereiche hervorheben, in denen die Verflechtung, die die Menschheit heute verbindet, besonders deutlich zutage tritt und in denen mehr Solidarität besonders vordringlich ist.

Der erste ist die Migration, die ganze Regionen der Erde betrifft. Oft handelt es sich um Menschen, die vor Krieg und Verfolgung fliehen und gewaltigen Gefahren ausgesetzt sind. Andererseits »muss jedem Menschen das Recht zugestanden werden, innerhalb der Grenzen seines Staates seinen Wohnsitz zu behalten oder zu ändern, […] in andere Staaten auszuwandern und dort seinen Wohnsitz aufzuschlagen«[15] und muss die Möglichkeit haben, in sein Heimatland zurückzukehren.

Migration ist ein Thema, bei dem ein „unkoordiniertes Vorgehen“ nicht zulässig ist. Um dies zu verstehen, muss man nur einen Blick auf das Mittelmeer werfen, das zu einem großen Grab geworden ist. Diese untergegangenen Leben stehen sinnbildlich für den Schiffbruch unserer Zivilisation, wie ich auf meiner Reise nach Malta im vergangenen Frühjahr in Erinnerung rufen konnte. In Europa ist es dringend erforderlich, den rechtlichen Rahmen durch die Verabschiedung des Neuen Pakts zu Migration und Asyl zu stärken, damit angemessene Maßnahmen zur Aufnahme, Begleitung, Förderung und Integration von Migranten durchgeführt werden können. Gleichzeitig verlangt die Solidarität, dass die pflichtgemäßen Hilfs- und Betreuungseinsätze für Schiffbrüchige nicht gänzlich auf der Bevölkerung der Hauptlandestellen lasten.

Der zweite Bereich betrifft die Wirtschaft und die Arbeit. Die aufeinanderfolgenden Krisen der letzten Jahre haben die Grenzen eines Wirtschaftssystems aufgezeigt, das mehr auf die Schaffung von Profiten für einige wenige als auf Wohlstandschancen für viele ausgerichtet ist; eine Wirtschaft, die mehr auf Geld als auf die Produktion nützlicher Güter abzielt. Dies hat zu schwächeren Unternehmen und höchst ungerechten Arbeitsmärkten geführt. Die Würde des Unternehmens und der Arbeit muss wiederhergestellt werden, indem alle Formen der Ausbeutung bekämpft werden, die dazu führen, dass die Arbeitnehmer als Ware behandelt werden, denn »ohne eine würdige und gut bezahlte Arbeit werden junge Menschen nicht wirklich erwachsen, [und] die Ungleichheiten nehmen zu«[16].

Der dritte Bereich ist die Pflege unseres gemeinsamen Hauses. Wir sind ständig mit den Auswirkungen des Klimawandels und deren schwerwiegenden Folgen für das Leben ganzer Bevölkerungen konfrontiert, sei es in Bezug auf die Verwüstungen, die sie zuweilen hervorrufen, wie in Pakistan in den von Überschwemmungen betroffenen Gebieten geschehen, wo die durch stehendes Wasser übertragen Ausbrüche von Krankheiten weiter zunehmen; sei es in weiten Gebieten des Pazifischen Ozeans, wo die globale Erwärmung unzählige Schäden an der Fischerei, der Lebensgrundlage ganzer Bevölkerungen, verursacht; oder in Somalia und am gesamten Horn von Afrika, wo die Dürre zu schweren Hungersnöten führt; oder in den letzten Tagen in den Vereinigten Staaten, wo plötzliche und intensive Kälteeinbrüche mehrere Todesopfer gefordert haben.

Im vergangenen Sommer hat der Heilige Stuhl beschlossen, dem Rahmenübereinkommen der Vereinten Nationen über Klimaänderungen in der Absicht beizutreten, die Bemühungen aller Staaten moralisch zu unterstützen, um entsprechend ihrer Verantwortung und ihrer jeweiligen Möglichkeiten an einer wirksamen und angemessenen Antwort auf die Herausforderungen des Klimawandels mitzuwirken. Es ist zu hoffen, dass die auf der COP27 mit der Verabschiedung des Sharm el-Sheikh Implementation Plan unternommenen Schritte, auch wenn sie ihre Grenzen haben, das Bewusstsein der gesamten Menschheit für ein dringendes Problem schärfen werden, dem man nicht länger ausweichen kann. Auf der jüngsten UN-Konferenz zur biologischen Vielfalt (COP15) in Montreal im vergangenen Monat wurden indessen ermutigende Ziele vereinbart.

Frieden in der Freiheit

Schließlich erfordert die Schaffung von Frieden, dass es »keinen Platz gibt für die Antastung der Freiheit, Unverletzlichkeit und Sicherheit anderer Nationen, gleichviel welcher Ausdehnung und Wehrhaftigkeit sie sein mögen«[17]. Dies ist möglich, wenn in jeder einzelnen Gemeinschaft nicht die Kultur des Unterdrückung und der Aggression vorherrscht, die dazu führt, dass man seinen Nachbarn mehr als einen Feind sieht, den es bekämpfen gilt, als als einen Bruder, den man annehmen und umarmen soll[18].

Die Schwächung der Demokratie in vielen Teilen der Welt und der Möglichkeit der Freiheit, die sie bietet, wenn auch mit allen Begrenztheiten eines menschlichen Systems, ist ein Grund zur Sorge. Oft sind Frauen oder ethnische Minderheiten die Opfer, aber auch das Gleichgewicht ganzer Gesellschaften, in denen Unruhe in soziale Spannungen und sogar in bewaffnete Auseinandersetzungen mündet.

In vielen Bereichen ist ein Zeichen für die Schwächung der Demokratie die zunehmende politische und soziale Polarisierung, die nicht dazu beiträgt, die dringenden Probleme der Bürger zu lösen. Ich denke dabei an die unterschiedlichen politischen Krisen in verschiedenen Ländern des amerikanischen Kontinents mit ihren Spannungen und Formen der Gewalt, die die sozialen Konflikte verschärfen. Ich denke dabei vor allem an die jüngsten Geschehnisse in Peru und an die Vorfälle der letzten Stunden in Brasilien sowie an die besorgniserregende Lage in Haiti, wo endlich einige Schritte zur Bewältigung der langjährigen politischen Krise unternommen werden. Es ist immer notwendig, die parteipolitische Logik zu überwinden und sich für das Gemeinwohl einzusetzen.

Ich verfolge auch aufmerksam die Lage im Libanon, wo man immer noch auf die Wahl eines neuen Staatspräsidenten wartet, und hoffe, dass sich alle politischen Akteure dafür einsetzen werden, damit sich das Land von der dramatischen wirtschaftlichen und sozialen Lage, in der es sich befindet, erholen kann.

Exzellenzen, meine Damen und Herren,

es wäre schön, wenn wir einmal zusammenkommen könnten, um dem allmächtigen Herrn nur für die Wohltaten zu danken, die er uns immer gewährt, ohne dass wir gezwungen wären, die dramatischen Situationen aufzuzählen, die die Menschheit heimsuchen. Wie Johannes XXIII. sagte: »Trotz allem ist zu hoffen, die Völker werden durch freundschaftliche wechselseitige Beziehungen und Verhandlungen die Bande der menschlichen Natur besser anerkennen, durch die sie aneinandergeknüpft sind; sie werden ferner deutlicher einsehen, dass es zu den hauptsächlichen Pflichten der menschlichen Natur gehört, darauf hinzuwirken, dass die Beziehungen zwischen den einzelnen Menschen und den Völkern nicht der Furcht, sondern der Liebe gehorchen sollen, denn der Liebe ist es vor allem eigen, die Menschen zu jener aufrichtigen, äußeren und inneren Verbundenheit zu führen, aus der für sie so viel Gutes hervorzusprießen vermag«[19]. In diesem Sinne möchte ich Ihnen und den Ländern, die Sie vertreten, meine besten Wünsche für das neue Jahr übermitteln.

Danke!

______________________

[1] Apostolische Konstitution Praedicate Evangelium (19. März 2022), Art. 1.

[2] 11. April 1963. Vgl. AAS 55 (1963), 257-304.

[3] Pacem in terris, 60.

[4] Pacem in terris, 59.

[5] Vgl. ebd., 47.

[6] Ebd., 5.

[7] Vgl. ebd. 6.

[8] Ebd. 7.

[9] Ebd, 38.

[10] Ebd. 80.

[11] Ansprache an die Vollversammlung des VII. Kongresses der führenden Vertreter der Weltreligionen und traditionellen Religionen, Nur-Sultan (heute Astana), 14. September 2022.

[12] Pacem in terris, 75.

[13] Enzyklika Fratelli tutti (3. Oktober 2020), 115.

[14] Botschaft zum 56. Weltfriedenstag (8. Dezember 2022), 3.

[15] Pacem in terris, 12.

[16] Ansprache beim Wirtschaftsforum “Economy of Francesco”, Assisi, 24. September 2022.

[17] Pacem in terris, 66. Vgl. Pius XII., Weihnachtsradiobotschaft, 24.  Dezember 1941.

[18] Vgl. Ansprache an das beim Heiligen Stuhl akkreditierte Diplomatische Korps, 22. März 2013.

[19] Pacem in terris, 67.

[00038-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

Eminencia, Excelencias, señoras y señores:

Les agradezco su presencia en nuestra tradicional cita, que este año desea ser una invocación por la paz en un mundo que ve cómo crecen las divisiones y las guerras.

Agradezco particularmente al Decano del Cuerpo Diplomático, Su Excelencia el señor Georges Poulides, los buenos deseos que me ha dirigido en nombre de todos ustedes. Mi saludo se extiende a cada uno, a sus familias, a los colaboradores y a los pueblos y los gobiernos de los países que representan. También deseo expresarles —a todos ustedes y a sus autoridades— mi gratitud por los mensajes de condolencia que han enviado con ocasión de la muerte del Papa emérito Benedicto XVI y por la cercanía manifestada durante las exequias.

Acabamos de concluir el tiempo de Navidad, en el que los cristianos hacen memoria del misterio del nacimiento del Hijo de Dios. El profeta Isaías lo había preanunciado con estas palabras: «Porque un niño nos ha nacido, un hijo nos ha sido dado. La soberanía reposa sobre sus hombros y se le da por nombre: “Consejero maravilloso, Dios fuerte, Padre para siempre, Príncipe de la paz”» (Is 9,5).

Vuestra presencia afirma el valor de la paz y de la fraternidad humana, que el diálogo contribuye a construir. Por lo demás, la tarea de la diplomacia es precisamente la de allanar las divergencias para favorecer un clima de colaboración y confianza recíprocas para la satisfacción de las necesidades comunes. Se puede decir que esta es un ejercicio de humildad porque requiere sacrificar un poco de amor propio para entrar en relación con el otro, para comprender sus razones y puntos de vista, contraponiéndose así al orgullo y a la soberbia humana, causa de toda voluntad beligerante.

También quiero expresar mi reconocimiento por la atención que vuestros países dirigen a la Santa Sede, marcada, entre otras cosas, durante este último año, por la decisión de Suiza, de la República del Congo, de Mozambique y de Azerbaiyán de nombrar embajadores residentes en Roma, como también la firma de nuevos acuerdos bilaterales con la República Democrática de Santo Tomé y Príncipe y con la República de Kazajistán.

En esta sede, me gustaría recordar también que, en el contexto del diálogo respetuoso y constructivo, la Santa Sede y la República Popular China han acordado prorrogar por otro bienio la validez del Acuerdo Provisional sobre el nombramiento de los Obispos, estipulado en Pekín en 2018. Espero que esta relación de colaboración pueda desarrollarse en favor de la vida de la Iglesia católica y del bien del Pueblo chino.

Al mismo tiempo, les renuevo la certeza de la plena colaboración de la Secretaría de Estado y de los Dicasterios de la Curia Romana, la cual, con la promulgación de la nueva Constitución apostólica Prædicate Evangelium, ha sido reformada en algunas estructuras para un mejor desempeño, «con espíritu evangélico, trabajando por el bien y al servicio de la comunión, la unidad y la edificación de la Iglesia universal, y atendiendo a las exigencias del mundo en el que la Iglesia está llamada a cumplir su misión»[1].

Estimados embajadores:

Este año celebramos el sesenta aniversario de la Encíclica Pacem in terris de san Juan XXIII, publicada poco menos de dos meses antes de su muerte[2].

En los ojos del “Papa bueno” todavía estaba viva la amenaza de una guerra nuclear, provocada en octubre de 1962 por la así llamada crisis de los misiles de Cuba. La humanidad estaba a un paso de su propia extinción, si no hubiesen sido capaces de hacer prevalecer el diálogo, conscientes de los efectos destructivos de las armas atómicas.

Lamentablemente, la amenaza nuclear es evocada todavía hoy, arrojando al mundo en el miedo y la angustia. Debo reiterar en esta sede que la posesión de armas atómicas es inmoral porque —como observaba Juan XXIII— «si bien parece difícilmente creíble que haya hombres con suficiente osadía para tomar sobre sí la responsabilidad de las muertes y de la asoladora destrucción que acarrearía una guerra, resulta innegable, en cambio, que un hecho cualquiera imprevisible puede de improviso e inesperadamente provocar el incendio bélico»[3]. Bajo la amenaza de las armas nucleares perdemos todos, ¡todos!

Desde este punto de vista, despierta una preocupación particular el estancamiento de las negociaciones acerca del reinicio del Plan de Acción Integral Conjunto, más conocido como Acuerdo sobre el programa nuclear iraní. Deseo que se pueda llegar cuanto antes a una solución concreta para garantizar un futuro más seguro.

Hoy está en curso la tercera guerra mundial de un mundo globalizado, en el que los conflictos parecen afectar directamente sólo a algunas áreas del planeta, pero que implican sustancialmente a todos. El ejemplo más cercano y reciente es precisamente la guerra en Ucrania, con su reguero de muerte y destrucción; con los ataques a las infraestructuras civiles que llevan a las personas a perder la vida no sólo a causa de las bombas y de la violencia, sino también del hambre y el frío. A este respecto, la Constitución conciliar Gaudium et spes afirma que «toda acción bélica que tienda indiscriminadamente a la destrucción de ciudades enteras o de extensas regiones junto con sus habitantes, es un crimen contra Dios y la humanidad que hay que condenar con firmeza y sin vacilaciones» (n. 80). No olvidemos debemos olvidar, además, que la guerra golpea particularmente a las personas más frágiles —los niños, los ancianos, las personas discapacitadas— y lastima indeleblemente a las familias. Renuevo hoy mi llamado para que cese inmediatamente este conflicto insensato, cuyos efectos afectan a regiones enteras, incluso fuera de Europa, a causa de las repercusiones que esto tiene en el campo energético y en el ámbito de la producción de alimentos, sobre todo en África y en Oriente Medio.

La tercera guerra mundial a pedazos que estamos viviendo nos lleva a mirar otros escenarios de tensiones y conflictos. También este año, con mucho dolor, debemos mirar a Siria como a una tierra atormentada. El resurgimiento del país debe pasar a través de las necesarias reformas, incluso constitucionales, en el tentativo de dar esperanza al pueblo sirio, afligido por una pobreza cada vez mayor, evitando que las sanciones internacionales impuestas tengan repercusiones sobre la vida cotidiana de una población que ya ha sufrido mucho.

La Santa Sede sigue también con preocupación el aumento de la violencia entre palestinos e israelíes, con las consecuencias dramáticas de un gran número de víctimas y de una desconfianza total y recíproca. Particularmente golpeada ha sido Jerusalén, ciudad santa para los judíos, cristianos y musulmanes. La vocación inscrita en su nombre es la de ser la Ciudad de la Paz, pero por desgracia se ha convertido en escenario de enfrentamientos. Confío que pueda encontrar de nuevo esa vocación de ser lugar y símbolo de encuentro y de convivencia pacífica, y que el acceso y la libertad de culto en los Santos Lugares continúe siendo garantizado y respetado según el status quo. Al mismo tiempo, deseo que las autoridades del Estado de Israel y del Estado de Palestina puedan volver a encontrar el valor y la determinación para dialogar directamente a fin de implementar la solución de los dos estados en todos sus aspectos, en conformidad con el derecho internacional y con todas las resoluciones pertinentes de las Naciones Unidas.

Como saben, a fines de este mes, podré ir finalmente como peregrino de paz a la República Democrática del Congo, con el deseo de que cese la violencia en el este del país y prevalezca el camino del diálogo y la voluntad de trabajar por la seguridad y el bien común. La peregrinación proseguirá a Sudán del Sur, donde seré acompañado por el Arzobispo de Canterbury y el Moderador general de la Iglesia Presbiteriana de Escocia. Juntos deseamos unirnos al clamor de paz de la población y contribuir al proceso de reconciliación nacional.

Tampoco debemos olvidar otras situaciones en las que siguen pesando las consecuencias de los conflictos que aún no se han resuelto. Pienso en particular en la situación del Cáucaso meridional. Exhorto a las partes a respetar el alto al fuego, reiterando que la liberación de los prisioneros militares y civiles sería un paso importante hacia el acuerdo de paz deseado.

Pienso, también, en Yemen, donde rige la tregua alcanzada el pasado mes de octubre, pero donde tantos civiles siguen muriendo a causa de las minas, y en Etiopía, donde deseo que se continúe el proceso de pacificación y se refuerce el compromiso de la Comunidad internacional para afrontar la crisis humanitaria que afecta al país.

Sigo con aprensión también la situación de África occidental, cada vez más afligida por la violencia del terrorismo. Pienso, en particular, en los dramas que viven las poblaciones de Burkina Faso, Malí y Nigeria, y espero que los procesos de transición en curso en Sudán, Malí, Chad, Guinea y Burkina Faso se desarrollen respetando las aspiraciones legítimas de las poblaciones implicadas.

Sigo también con particular atención la situación de Myanmar, que ya desde hace dos años experimenta violencia, dolor y muerte. Invito a la Comunidad internacional a activarse para concretizar los procesos de reconciliación y exhorto a todas las partes implicadas a comenzar de nuevo el camino del diálogo para volver a dar esperanza a la población de aquella amada tierra.

Pienso, finalmente, en la península coreana, para la que deseo que no falten la buena voluntad y el compromiso por la concordia, a fin de construir la tan deseada paz y la prosperidad para todo el pueblo coreano.

Todos los conflictos ponen siempre de relieve las consecuencias letales de un continuo recurso a la producción de nuevos y cada vez más sofisticados armamentos, a veces justificada por la razón de que actualmente la paz «no puede garantizarse si no se apoya en una paridad de armamentos»[4]. Es preciso romper esa lógica y proceder por el camino de un desarme integral, porque ninguna paz es posible allí donde proliferan instrumentos de muerte.

Queridos embajadores:

En un tiempo de tanto conflicto, no podemos eludir la pregunta sobre cómo se puedan restaurar los hilos de la paz. ¿Por dónde comenzar?

Para esbozar una respuesta, quisiera retomar con ustedes algunos elementos de la Pacem in terris, un texto extremadamente actual incluso habiendo cambiado gran parte del contexto internacional. Para san Juan XXIII, la paz es posible a la luz de cuatro bienes fundamentales: la verdad, la justicia, la solidaridad y la libertad. Estos son los pilares que regulan las relaciones tanto entre los individuos como entre las comunidades políticas[5].

Estas dimensiones se entrelazan dentro del principio fundamental «de que todo hombre es persona, esto es, naturaleza dotada de inteligencia y de libre albedrío, y que, por tanto, el hombre tiene por sí mismo derechos y deberes, que dimanan inmediatamente y al mismo tiempo de su propia naturaleza. Estos derechos y deberes son, por ello, universales e inviolables»[6].

Paz en la verdad

Construir la paz en la verdad significa en primer lugar respetar a la persona humana, con su «derecho a la existencia, a la integridad corporal»[7], y garantizarle «la posibilidad de buscar la verdad libremente y […] manifestar y difundir sus opiniones»[8]. Esto exige «que en todo el mundo se cree un ambiente dentro del cual no sólo los poderes públicos de cada nación, sino también los individuos y los grupos intermedios, puedan con mayor seguridad realizar sus funciones, cumplir sus deberes y defender sus derechos»[9].

A pesar de los compromisos asumidos por todos los estados de respetar los derechos humanos y las libertades fundamentales de cada persona, todavía hoy, en muchos países, las mujeres son consideradas como ciudadanos de segunda clase. Son objeto de violencia y de abusos, y se les niega la posibilidad de estudiar, de trabajar, de expresar sus propias capacidades, el acceso a los cuidados médicos e incluso a la comida. Sin embargo, allí donde los derechos humanos son plenamente reconocidos para todos, las mujeres pueden ofrecer una contribución propia e insustituible a la vida social y ser las primeras aliadas de la paz.

La paz exige que ante todo se defienda la vida, un bien que hoy es puesto en peligro no sólo por los conflictos, el hambre y las enfermedades, sino demasiadas veces incluso desde el seno materno, afirmando un presunto “derecho al aborto”. Nadie puede arrogarse el derecho sobre la vida de otro ser humano, especialmente si este está desprotegido y por tanto privado de cualquier posibilidad de defensa. Hago, por tanto, un llamado a las conciencias de los hombres y las mujeres de buena voluntad, particularmente de cuantos tienen responsabilidades políticas, para que trabajen por tutelar los derechos de los más débiles y se erradique la cultura del descarte, que lamentablemente incluye también a los enfermos, las personas discapacitadas y los ancianos. Los estados tienen la enorme responsabilidad de garantizar la asistencia a los ciudadanos en cada una de las etapas de la vida humana hasta la muerte natural, de modo que cada uno se sienta acompañado y cuidado también en los momentos más delicados de su propia existencia.

El derecho a la vida también está amenazado allí donde se sigue practicando la pena de muerte, como está ocurriendo estos días en Irán, después de las recientes manifestaciones que piden un mayor respeto por la dignidad de las mujeres. La pena de muerte no puede ser utilizada para una presunta justicia de estado, puesto que esta no constituye un disuasivo, ni ofrece justicia a las víctimas, sino que alimenta solamente la sed de venganza. Hago, por tanto, un llamado para que la pena de muerte, que es siempre inadmisible pues atenta contra la inviolabilidad y la dignidad de la persona, sea abolida de las legislaciones de todos los países del mundo. No podemos olvidar que, hasta el último momento, una persona puede convertirse y puede cambiar.

Lamentablemente, parece surgir cada vez más un “miedo” a la vida, que en muchos lugares se traduce como temor al futuro y dificultades para formar una familia o tener hijos. En algunos contextos —pienso por ejemplo en Italia— tiene lugar un peligroso descenso de la natalidad, un verdadero invierno demográfico, que pone en peligro el futuro mismo de la sociedad. Al querido pueblo italiano, deseo renovar mi aliento para afrontar con tenacidad y esperanza los desafíos del tiempo presente, seguro de sus propias raíces religiosas y culturales.

Los miedos, que se alimentan de la ignorancia y los prejuicios, degeneran fácilmente en conflictos. Su antídoto es la educación. La Santa Sede promueve una visión integral de la educación, en la que «la cultura religiosa y la formación del sentido moral vayan a la par con el conocimiento científico y con el incesante progreso de la técnica»[10]. Educar exige siempre el respeto integral por la persona y por su fisonomía natural, evitando imponer una nueva y confusa visión del ser humano. Esto implica integrar los itinerarios de crecimiento humano, espiritual, intelectual y profesional, permitiendo a la persona liberarse de múltiples formas de esclavitud y afirmarse en la sociedad de modo libre y responsable. En este sentido, es inaceptable que una parte de la población pueda ser excluida de la educación, como está ocurriendo con las mujeres afganas.

La educación se encuentra a merced de una crisis agudizada por las devastadoras consecuencias de la pandemia y el preocupante escenario geopolítico. En este sentido, la Cumbre sobre la transformación de la educación, convocada por el Secretario General de las Naciones Unidas, que se llevó a cabo el pasado mes de septiembre en Nueva York, representó para los gobiernos una oportunidad única para adoptar políticas valientes, dirigidas a afrontar la “catástrofe educativa” actual y tomar decisiones concretas, a fin de alcanzar una educación de calidad y para todos antes del 2030. ¡Que los estados tengan la valentía de invertir la vergonzosa y asimétrica proporción entre el gasto público reservado a la educación y los fondos destinados a los armamentos!

La paz también exige que se reconozca universalmente la libertad religiosa. Es preocupante que haya personas perseguidas sólo porque profesan públicamente su fe y que en muchos países la libertad religiosa esté limitada. Aproximadamente un tercio de la población mundial vive en esta condición. Junto a la falta de libertad religiosa está también la persecución por motivos religiosos. No puedo dejar de mencionar, como demuestran algunas estadísticas, que uno de cada siete cristianos es perseguido. A este respecto, manifiesto mi deseo de que el nuevo Enviado Especial de la Unión Europea para la promoción de la libertad de religión o creencias fuera de la Unión Europea pueda disponer de los recursos y medios necesarios para llevar adelante adecuadamente su propio mandato.

Al mismo tiempo, es importante recordar que la violencia y las discriminaciones contra los cristianos también aumentan en países donde estos no son una minoría. La libertad religiosa también está amenazada allí donde los creyentes ven reducida la posibilidad de expresar sus propias convicciones en el ámbito de la vida social, en nombre de una mala interpretación de la inclusión. La libertad religiosa, que no puede reducirse a la mera libertad de culto, es uno de los requisitos mínimos necesarios para vivir de manera digna y los gobiernos tienen el deber de protegerla y de garantizar a cada persona, de forma compatible con el bien común, la oportunidad de actuar según la propia conciencia también en el ámbito de la vida pública y en el ejercicio de la propia profesión.

La religión es una oportunidad efectiva de diálogo y de encuentro entre pueblos y culturas diversas, como testimonia la decisión del Parlamento de Timor Oriental que aprobó por unanimidad el Documento sobre la Fraternidad Humana que firmé con el Gran Imán de Al-Azhar en el año 2019, incluyéndolo en los programas de las instituciones educativas y culturales nacionales, y como pude experimentar personalmente en el viaje que hice a Kazajistán, el pasado mes de septiembre, con ocasión del VII Congreso de Líderes de Religiones Mundiales, con quienes compartí algunas preocupaciones de nuestro tiempo y experimenté cómo las religiones «no son un problema, sino parte de la solución para una convivencia más armoniosa»[11]. Igualmente significativa fue también la visita a Baréin, donde se pudo dar un nuevo paso entre creyentes cristianos y musulmanes.

Con frecuencia, se quieren atribuir a la religión los diversos conflictos que acompañan a la humanidad y a veces no faltan, efectivamente, los deplorables intentos por hacer un uso instrumental de la religión con finalidades meramente políticas. Sin embargo, esto es contrario a la perspectiva cristiana, que pone de manifiesto que la raíz de todo conflicto es el desequilibrio del corazón humano: «Porque es del interior, del corazón de los hombres, de donde provienen las malas intenciones» (Mc 7,21), como nos recuerda el Evangelio. El cristianismo exhorta a la paz, porque exhorta a la conversión y al ejercicio de la virtud.

Paz en la justicia

Construir la paz exige que se busque la justicia. La crisis de 1962 terminó gracias a la contribución de hombres de buena voluntad que supieron encontrar soluciones adecuadas para evitar que la tensión política degenerase en una auténtica guerra. Esto también fue posible gracias a la convicción de que las disputas podían resolverse en el ámbito del derecho internacional y por medio de esas organizaciones, principalmente las Naciones Unidas, surgidas después de la Segunda Guerra Mundial, que desarrollaron la diplomacia multilateral. San Juan XXIII recordó que: «el objetivo fundamental que se confió a la Organización de las Naciones Unidas es asegurar y consolidar la paz internacional, favorecer y desarrollar las relaciones de amistad entre los pueblos, basadas en los principios de igualdad, mutuo respeto y múltiple colaboración en todos los sectores de la actividad humana» [12].

El actual conflicto en Ucrania hizo más evidente la crisis que desde hace tiempo afecta al sistema multilateral, que necesita un replanteamiento profundo para poder responder adecuadamente a los desafíos de nuestro tiempo. Esto exige una reforma de los organismos que hacen posible su funcionamiento, para que sean realmente representativos de las necesidades y de las sensibilidades de todos los pueblos, evitando mecanismos que den mayor peso a algunos, en detrimento de otros. Por consiguiente, no se trata de construir bloques de alianzas, sino de crear oportunidades para que todos puedan dialogar.

Se puede hacer mucho bien juntos, basta con pensar en las loables iniciativas destinadas a reducir la pobreza, ayudar a los migrantes, contrarrestar el cambio climático, favorecer el desarme nuclear y ofrecer ayuda humanitaria. Sin embargo, en tiempos recientes, los diversos foros internacionales se caracterizaron por crecientes polarizaciones e intentos para que se imponga un pensamiento único, lo que impide el diálogo y margina a aquellos que piensan distinto. Existe el riesgo de una deriva, que asume cada vez más el rostro de un totalitarismo ideológico, que promueve la intolerancia respecto al que no adhiere a supuestas posiciones de “progreso”, que en realidad parecen conducir más bien a un retroceso general de la humanidad, al violar la libertad de pensamiento y de conciencia.

Asimismo, se emplean cada vez más recursos para imponer, especialmente en relación a los países más pobres, formas de colonización ideológica, creando, por otra parte, un nexo directo entre la concesión de ayudas económicas y la aceptación de tales ideologías. Eso ha agotado el debate interno de las Organizaciones internacionales, impidiendo intercambios fructuosos y propiciando a menudo la tentación de afrontar las cuestiones de manera autónoma y, en consecuencia, sobre la base de relaciones de fuerza.

Por otra parte, durante mi viaje a Canadá, el pasado mes de julio, pude palpar las consecuencias de la colonización, encontrándome de un modo especial con las poblaciones indígenas, que sufrieron por las políticas de asimilación del pasado. Allí donde se busca imponer a otras culturas formas de pensamiento que no les pertenecen, se abre el camino a duros enfrentamientos y, a veces, también a la violencia.

Es necesario volver al diálogo, a la escucha mutua y a la negociación, favoreciendo las responsabilidades compartidas y la cooperación en la búsqueda del bien común, bajo el signo de esa solidaridad que «surge de sabernos responsables de la fragilidad de los demás buscando un destino común»[13]. Las exclusiones y los vetos recíprocos no llevan más que a alimentar mayores divisiones.

Paz en la solidaridad

En el Mensaje para la Jornada Mundial de la Paz de este año, puse en evidencia cómo la pandemia de Covid-19 deja en herencia «la conciencia de que todos nos necesitamos»[14]. Los caminos de la paz son caminos de solidaridad, porque nadie puede salvarse solo. Vivimos en un mundo tan interconectado que el actuar de cada uno termina por repercutir en todos.

En esta sede, quisiera subrayar tres ámbitos, en los que emerge con particular fuerza la interconexión que une hoy a la humanidad y por los que es especialmente urgente una mayor solidaridad.

El primero es el de las migraciones, que afecta a regiones enteras de la tierra. Muchas veces se trata de personas que huyen de guerras y persecuciones, afrontando peligros inmensos. Por otra parte, «ha de respetarse íntegramente también el derecho de cada hombre a conservar o cambiar su residencia […], de emigrar a otros países y fijar allí su domicilio»[15] y debe tener la posibilidad de regresar a su propia tierra de origen.

La migración es una cuestión en la que no es admisible “proceder de forma desorganizada”. Para comprenderlo, es suficiente mirar el Mediterráneo, convertido en una gran tumba. Esas vidas truncadas son el emblema del naufragio de nuestra civilización, como tuve ocasión de recordar durante mi viaje a Malta la primavera pasada. En Europa, es urgente reforzar el marco normativo, por medio de la aprobación del Nuevo Pacto sobre Migración y Asilo, para que se puedan implementar políticas adecuadas que acojan, acompañen, promuevan e integren a los migrantes. Al mismo tiempo, la solidaridad exige que las necesarias operaciones de asistencia y cuidado de los náufragos no pesen totalmente sobre las poblaciones de los principales puntos de llegada.

El segundo ámbito abarca la economía y el trabajo. Las crisis que se sucedieron en los últimos años han puesto en evidencia los límites de un sistema económico que tiende más a crear beneficios para unos pocos que oportunidades de bienestar para muchos; una economía que tiende mayormente al dinero que a la producción de bienes útiles. Esto ha generado empresas más frágiles y mercados de trabajo altamente injustos. Es necesario dar dignidad a la empresa y al trabajo, combatiendo toda forma de explotación que termina por tratar a los trabajadores del mismo modo que una mercancía, puesto que «sin trabajo digno y bien remunerado los jóvenes no se convierten verdaderamente en adultos, [y] las desigualdades aumentan»[16].

El tercer ámbito es el cuidado de nuestra casa común. De forma continua se presentan ante nosotros los efectos del cambio climático y las graves consecuencias que esto tiene en la vida de poblaciones enteras, sea por las devastaciones que a veces producen, como sucedió en Pakistán en las áreas afectadas por las inundaciones, donde los focos de enfermedades transmitidas por el agua estancada siguen aumentando; sea en amplias zonas del océano Pacífico, donde el calentamiento global provoca daños innumerables en la pesca, fundamento de la vida cotidiana de pueblos enteros; sea en Somalia y en todo el Cuerno de África, donde la sequía está causando una grave carestía; sea en los Estados Unidos, donde en los últimos días las repentinas e intensas heladas han provocado numerosos muertos.

El verano pasado, la Santa Sede decidió acceder a la Convención Marco de las Naciones Unidas sobre el Cambio Climático, intentando dar su apoyo moral a los esfuerzos de todos los estados por cooperar, conforme a sus responsabilidades y respectivas capacidades, con una respuesta eficaz y adecuada a los desafíos impuestos por el cambio climático. Se espera que los pasos que ha dado la COP27, con la adopción del Sharm el-Sheikh Implementation Plan, aunque limitados, puedan aumentar la toma de conciencia de toda la humanidad hacia una cuestión urgente que ya no puede ser evadida. Objetivos alentadores fueron acordados, sin embargo, durante la reciente Conferencia de las Naciones Unidas sobre Biodiversidad (COP15), que se realizó en Montreal el mes pasado.

Paz en la libertad

Por último, construir la paz exige que no haya lugar para «la lesión de la libertad, de la integridad y de la seguridad de otras naciones, cualesquiera que sean su extensión territorial y su capacidad defensiva»[17]. Esto es posible si en cada comunidad no prevalece la cultura del abuso y la agresión, que lleva a mirar al prójimo como a un enemigo al que combatir más que a un hermano al que acoger y abrazar[18].

Es preocupante el debilitamiento, en muchas partes del mundo, de la democracia y de la posibilidad de libertad que esta consiente, aun con todos los límites de un sistema humano. Esto muchas veces lo pagan las mujeres y las minorías étnicas, así como los equilibrios de sociedades enteras donde el malestar conduce a tensiones sociales e incluso a conflictos armados.

En muchas zonas, un signo de debilitamiento de la democracia está marcado por las crecientes polarizaciones políticas y sociales, que no ayudan a resolver los problemas urgentes de los ciudadanos. Pienso en las numerosas crisis políticas en diversos países del continente americano, con su carga de tensiones y formas de violencia que agudizan los conflictos sociales. Pienso especialmente en lo que sucedió recientemente en Perú y, en estas últimas horas, en Brasil, y en la preocupante situación en Haití, donde finalmente se están dando algunos pasos para afrontar la crisis política que existe desde hace tiempo. Siempre es necesario superar las lógicas sesgadas y esforzarse por la edificación del bien común.

Además, sigo con atención la situación en el Líbano, donde todavía se aguarda la elección del nuevo Presidente de la República, y espero que todos los actores políticos se comprometan para que el país pueda recuperarse de la dramática situación económica y social en la que se encuentra.

Excelencias, señoras y señores:

Sería hermoso que alguna vez pudiéramos encontrarnos solamente para agradecer al Señor omnipotente por los beneficios que siempre nos concede, sin vernos obligados a enumerar las situaciones dramáticas que afligen a la humanidad. Como decía Juan XXIII: «Cabe esperar que los pueblos, por medio de relaciones y contactos institucionalizados, lleguen a conocer mejor los vínculos sociales con que la naturaleza humana los une entre sí y a comprender con claridad creciente que entre los principales deberes de la común naturaleza humana hay que colocar el de que las relaciones individuales e internacionales obedezcan al amor y no al temor, porque ante todo es propio del amor llevar a los hombres a una sincera y múltiple colaboración material y espiritual, de la que tantos bienes pueden derivarse para ellos»[19]. Con estos anhelos, renuevo, a ustedes y a los países que representan, mis mejores deseos para el año nuevo.

Gracias.

_______________________

[1] Const. ap. Prædicate Evangelium (19 marzo 2022), art. 1.

[2] El 11 de abril de 1963. Cf. AAS 55 (1963), 257-304.

[3] Carta enc. Pacem in terris, 111.

[4] Ibíd., 110.

[5] Cf. ibíd., 80.

[6] Ibíd., 9.

[7] Ibíd., 11.

[8] Ibíd., 11.

[9] Ibíd., 141.

[10] Ibíd., 80.

[11] Discurso en la Sesión Plenaria del VII Congreso de Líderes de Religiones Mundiales y Tradicionales, Nursultán (ahora Astaná), 14 septiembre 2022.

[12] Carta enc. Pacem in terris, 142.

[13] Carta enc. Fratelli tutti (3 octubre 2020), 115.

[14] Mensaje para la LVI Jornada Mundial de la Paz (8 diciembre 2022), 3.

[15] Carta enc. Pacem in terris, 25.

[16] Discurso a los participantes en el encuentro “Economy of Francesco”, Asís, 24 septiembre 2022.

[17] Carta enc. Pacem in terris, 124. Cf. Pío XII, Radiomensaje navideño, 24 diciembre 1941.

[18] Cf. Discurso al Cuerpo Diplomático acreditado ante la Santa Sede, 22 marzo 2013.

[19] Carta enc. Pacem in terris, 129.

[00038-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

Eminência, Excelências, Senhoras e Senhores!

Agradeço a vossa presença no nosso habitual encontro, que este ano deseja ser uma invocação de paz para o mundo que vê crescer divisões e guerras.

Sinto-me particularmente agradecido ao Decano do Corpo Diplomático, Senhor Georges Poulides, pelos bons votos que me formulou em nome de todos vós. A minha saudação estende-se a cada um de vós, às vossas famílias, aos colaboradores e aos povos e governos dos países que representais. A todos vós e às Autoridades da respetiva nação, desejo expressar a minha gratidão também pelas mensagens de condolências que me enviaram por ocasião da morte do Papa Emérito Bento XVI e pela solidariedade manifestada durante as exéquias.

Terminou há poucos dias o tempo de Natal, em que os cristãos comemoram o mistério do nascimento do Filho de Deus. O profeta Isaías preanunciara-o com estas palavras: «Um menino nasceu para nós, um filho nos foi dado; tem a soberania sobre os seus ombros e o seu nome é Conselheiro-Admirável, Deus herói, Pai-Eterno, Príncipe da paz» (Is 9, 5).

A vossa presença atesta o valor da paz e da fraternidade humana, que o diálogo contribui para construir. Aliás, a tarefa da diplomacia é precisamente aplanar os contrastes para favorecer um clima de mútua colaboração e confiança em ordem à satisfação das necessidades de todos. Pode-se dizer que aquela é um exercício de humildade, pois exige sacrificar um pouco de amor-próprio para entrar em relação com o outro a fim de compreender as suas razões e pontos de vista, contrastando assim a soberba e a arrogância humanas que são a causa de toda a vontade beligerante.

Agradeço igualmente a solicitude que os vossos países dedicam à Santa Sé, expressa durante o ano passado nomeadamente na decisão da Suíça, República do Congo, Moçambique e Azerbaijão nomear Embaixadores residentes em Roma, bem como na assinatura de novos Acordos bilaterais com a República Democrática de São Tomé e Príncipe e com a República do Cazaquistão.

E faço questão ainda de recordar aqui o facto de a Santa Sé e a República Popular da China, no quadro dum diálogo respeitoso e construtivo, terem concordado em prorrogar por mais dois anos a validade do Acordo Provisório sobre a nomeação dos Bispos, estipulado em Pequim no ano de 2018. Espero que esta relação de colaboração se possa desenvolver em prol da vida da Igreja Católica e do bem do povo chinês.

Ao mesmo tempo, renovo-vos a garantia da plena colaboração da Secretaria de Estado e dos Dicastérios da Cúria Romana, a qual foi reformada em algumas estruturas, com a promulgação da nova Constituição apostólica Prædicate Evangelium, para melhor cumprir «com espírito evangélico a sua função, trabalhando em benefício e ao serviço da comunhão, da unidade e da edificação da Igreja universal e atendendo às solicitações do mundo onde a Igreja é chamada a cumprir a sua missão».[1]

Prezados Embaixadores,

Este ano terá lugar o sexagésimo aniversário da Encíclica Pacem in terris de São João XXIII, publicada cerca de dois meses antes da sua morte.[2]

Aos olhos do «Papa bom», continuava vivo ainda o perigo duma guerra nuclear, que vira desenhar-se em outubro de 1962 com a chamada crise dos mísseis de Cuba. A humanidade estivera a um passo do próprio aniquilamento, caso não se tivesse conseguido fazer prevalecer o diálogo, conscientes dos efeitos destruidores das armas atómicas.

Ainda hoje, infelizmente, se evoca a ameaça nuclear, fazendo precipitar o mundo no medo e na angústia. Não posso deixar de reiterar, aqui, que a posse de armas atómicas é imoral, porque – como observava João XXIII –, «se parece difícil que haja pessoas capazes de assumir a responsabilidade das mortes e incomensuráveis destruições que a guerra provocaria, não é impossível que um facto imprevisível e incontrolável possa inesperadamente atear esse incêndio»,[3] pondo em movimento o aparato bélico. Sob a ameaça de armas nucleares, todos somos sempre perdedores… todos!

Deste ponto de vista, é particularmente preocupante o impasse nas negociações sobre o reinício do Plano de Ação Integral Conjunto, mais conhecido como Acordo Nuclear do Irão. Espero que se possa chegar, o mais rápido possível, a uma solução concreta para garantir um futuro mais seguro.

Hoje está em curso a III guerra mundial, nos moldes típicos dum mundo globalizado onde os conflitos diretamente afetam apenas algumas regiões da terra, mas substancialmente envolvem-nos a todos. O exemplo mais próximo e recente é precisamente a guerra na Ucrânia e o seu rasto de morte e destruição: com os ataques a infraestruturas civis, as pessoas acabam por perder a vida devido não só às bombas e violências, mas também à fome e ao frio. A propósito, afirma a Constituição conciliar Gaudium et spes: «toda a ação bélica que tende indiscriminadamente à destruição de cidades inteiras ou vastas regiões e seus habitantes é um crime contra Deus e o próprio homem, não devemos esquecer que se deve condenar com firmeza e sem hesitação» (nº 80). Além disso não devemos esquecer que a guerra atinge particularmente os seres humanos mais frágeis – crianças, idosos, pessoas deficientes – e dilacera indelevelmente as famílias. Não posso hoje deixar de renovar o meu apelo para que se faça cessar imediatamente este conflito insensato, cujos efeitos afetam regiões inteiras, mesmo fora da Europa pelas repercussões que tem no campo energético e no domínio da produção alimentar, sobretudo na África e no Médio Oriente.

A III guerra mundial em pedaços, que estamos a viver, leva-nos a olhar para outros cenários de tensões e conflitos. Também neste ano, com tanta amargura, devemos olhar para a Síria como uma terra martirizada. O renascimento daquele país deve passar pelas necessárias reformas, inclusive constitucionais, na tentativa de dar esperança ao povo sírio, afligido por uma pobreza cada vez maior, evitando que as sanções internacionais impostas se repercutam sobre a vida diária duma população que já sofreu tanto.

A Santa Sé acompanha também com preocupação o aumento da violência entre palestinianos e israelitas com o resultado dramático de muitas vítimas e uma difidência recíproca total. Particularmente afetada é Jerusalém, cidade santa para judeus, cristãos e muçulmanos. Inscrita no seu nome, está a vocação de ser Cidade da Paz, mas, infelizmente, encontra-se reduzida a um palco de confrontos. Confio que ela possa reencontrar a citada vocação como lugar e símbolo de encontro e coexistência pacífica, e que o acesso e a liberdade de culto nos Lugares Santos continuem a ser garantidos e respeitados segundo o status quo. Ao mesmo tempo, espero que as autoridades quer do Estado de Israel quer do Estado da Palestina possam reencontrar a coragem e a determinação de dialogar diretamente, a fim de implementarem a solução dos dois Estados em todos os seus aspetos, de acordo com o direito internacional e as várias resoluções atinentes das Nações Unidas.

Como sabeis, no final do mês, poderei finalmente ir como peregrino de paz à República Democrática do Congo, com a esperança de que cessem as violências no leste do país e prevaleçam o caminho do diálogo e a vontade de trabalhar em prol da segurança e do bem comum. A peregrinação continuará no Sudão do Sul, onde estarei acompanhado pelo Arcebispo de Cantuária e pelo Moderador Geral da Igreja Presbiteriana da Escócia. Juntos, desejamos unir-nos ao grito de paz da população e contribuir para o processo de reconciliação nacional.

E não devemos esquecer também outras situações onde continuam a pesar as consequências de conflitos ainda não resolvidos. Penso de modo particular na situação meridional do Cáucaso. Exorto as partes a respeitarem o cessar-fogo, reiterando aqui que a libertação dos prisioneiros militares e civis seria um passo importante para o almejado acordo de paz.

Penso igualmente no Iémen, onde vigora a trégua alcançada em outubro passado, mas continuam a morrer muitos civis por causa das minas, e na Etiópia, onde espero que continue o processo de paz e se reforce o empenho da Comunidade Internacional para enfrentar a crise humanitária que afeta o país.

Acompanho com apreensão também a situação na África Ocidental, cada vez mais assolada pelas violências do terrorismo. Penso, especialmente, nas tragédias vividas pelas populações do Burkina Faso, do Mali e da Nigéria e faço votos de que os processos de transição em curso no Sudão, Mali, Chade, Guiné e Burkina Faso decorram no respeito das legítimas aspirações das populações envolvidas.

Sigo também com particular atenção a situação do Myanmar, que já há dois anos sofre violência, tribulação e morte. Convido a Comunidade Internacional a empenhar-se na concretização dos processos de reconciliação e exorto todas as partes envolvidas a retomar o caminho do diálogo para devolverem a esperança à população daquela amada terra.

Penso, enfim, na península coreana, fazendo votos de que não esmoreça lá a boa vontade e o empenho pela concórdia, a fim de construir a tão almejada paz e a prosperidade para todo o povo coreano.

Seja como for, todos os conflitos põem em evidência as consequências letais dum contínuo recurso à produção de novas armas cada vez mais sofisticadas; recurso por vezes justificado com «o motivo de que, nas circunstâncias atuais, não se assegura a paz senão com o equilíbrio de forças».[4] É preciso extirpar esta lógica e avançar pelo caminho dum desarmamento integral, porque nenhuma paz é possível onde alastram instrumentos de morte.

Prezados Embaixadores,

Num tempo assim conflituoso, não podemos eludir a questão de saber como se possa reatar os fios da paz. Donde começar?

Para esboçar uma resposta, quero retomar convosco alguns elementos da Pacem in terris, texto que se mantém extremamente atual apesar de se ter alterado grande parte do contexto internacional. Para São João XXIII, a paz é possível à luz de quatro bens fundamentais: a verdade, a justiça, a solidariedade e a liberdade. Tais são as colunas angulares que sustentam as relações quer entre os indivíduos quer entre as comunidades políticas.[5]

As referidas dimensões entrelaçam-se à volta da premissa fundamental de que «cada ser humano é pessoa, isto é, natureza dotada de inteligência e vontade livre. Por essa razão, possui em si mesmo direitos e deveres, que emanam direta e simultaneamente da sua própria natureza. Trata-se, por conseguinte, de direitos e deveres universais, invioláveis, inalienáveis».[6]

Paz na verdade

Construir a paz na verdade significa, antes de tudo, respeitar a pessoa humana, com o seu «direito à existência e à integridade física»,[7] devendo-lhe ser garantida «a liberdade na pesquisa da verdade (…) e na manifestação e difusão do pensamento».[8] Isto exige que «os poderes públicos operem positivamente no intuito de criar condições sociais que possibilitem e favoreçam o exercício dos direitos e o cumprimento dos deveres por parte de todos os cidadãos».[9]

Apesar dos compromissos assumidos por todos os Estados de respeitar os direitos humanos e as liberdades fundamentais de cada pessoa, ainda hoje, em muitos países, as mulheres são consideradas cidadãos de segunda classe. Objeto de violências e abusos, é-lhes negada a possibilidade de estudar, trabalhar, expressar os seus talentos, ter acesso aos cuidados médicos e até mesmo à alimentação. Ao contrário, quando os direitos humanos são plenamente reconhecidos a todos, as mulheres podem oferecer a sua contribuição insubstituível para a vida social e ser as primeiras aliadas da paz.

A paz requer, antes de mais nada, que se defenda a vida, um bem que hoje é posto em causa não só por conflitos, fome e doenças, mas muitas vezes até mesmo pelo ventre materno, afirmando um pretenso «direito ao aborto». Ora ninguém pode reivindicar direitos sobre a vida doutro ser humano, especialmente se inerme e desprovido de qualquer possibilidade de defesa. Assim, faço apelo às consciências dos homens e mulheres de boa vontade, especialmente de quantos têm responsabilidades políticas, para que se empenhem na tutela dos direitos dos mais frágeis e seja debelada a cultura do descarte, que atinge nomeadamente os doentes, as pessoas com deficiência e os idosos. É responsabilidade primária dos Estados garantir a assistência aos cidadãos em todas as fases da vida humana, até à morte natural, possibilitando a cada um sentir-se acompanhado e cuidado inclusive nos momentos mais delicados da sua existência.

O direito à vida é ameaçado também onde se continua a praticar a pena de morte, como está a acontecer nestes dias no Irão, na sequência das recentes manifestações que pedem maior respeito pela dignidade das mulheres. A pena de morte não pode ser utilizada por uma pretensa justiça de Estado, pois não constitui uma dissuasão, nem oferece justiça às vítimas, mas alimenta apenas a sede de vingança. Por isso, apelo para que a pena de morte – sempre inadmissível, porque atenta contra a inviolabilidade e a dignidade da pessoa – seja abolida nas legislações de todos os países da terra. Nunca se esqueça que uma pessoa pode, até ao último momento, converter-se e mudar.

Infelizmente, parece aumentar cada vez mais o «medo» da vida, que se traduz, em muitos lugares, no temor do futuro e na indisponibilidade para formar família e trazer filhos ao mundo. Nalguns contextos – penso, por exemplo, na Itália –, verifica-se uma perigosa queda da natalidade, um verdadeiro inverno demográfico, que põe em perigo o próprio futuro da sociedade. Ao querido povo italiano, desejo renovar o meu encorajamento a enfrentar, com tenacidade e esperança, os desafios do tempo presente, buscando força nas suas próprias raízes religiosas e culturais.

Os medos encontram alimento na ignorância e no preconceito para depois degenerarem facilmente em conflitos. A educação é o seu antídoto. A Santa Sé promove uma visão integral da educação, na qual «o conhecimento da religião e a formação do critério moral progridam gradualmente com a assimilação contínua e cada vez mais rica de elementos técnico-científicos».[10] Educar exige sempre o respeito integral da pessoa e da sua fisionomia natural, evitando a imposição duma visão nova e confusa do ser humano. Isto implica integrar os percursos de crescimento humano, espiritual, intelectual e profissional, permitindo à pessoa libertar-se das múltiplas formas de escravidão e afirmar-se na sociedade de forma livre e responsável. Neste sentido, é inaceitável que parte da população possa ser excluída da educação, como está a acontecer às mulheres afegãs.

A educação está à mercê duma crise agravada pelas consequências devastadoras da pandemia e pelo preocupante cenário geopolítico. Neste sentido, a Cimeira sobre a transformação da educação, convocada pelo Secretário-Geral das Nações Unidas e realizada no passado mês de setembro em Nova Iorque, constituiu uma oportunidade única para os governos empreenderem políticas corajosas destinadas a enfrentar a «catástrofe educacional» existente e realizar opções concretas para se alcançar uma instrução de qualidade para todos até 2030. Que os Estados tenham a coragem de inverter a embaraçosa e assimétrica relação entre a despesa pública reservada à educação e as verbas destinadas ao armamento.

A paz exige também que se reconheça universalmente a liberdade religiosa. É preocupante que haja pessoas perseguidas apenas porque professam publicamente a sua fé; e são muitos os países onde a liberdade religiosa é limitada. Cerca de um terço da população mundial vive nesta condição. Juntamente com a falta de liberdade religiosa, há também a perseguição por motivos religiosos. Não posso deixar de mencionar, como mostram algumas estatísticas, que, em cada sete cristãos, um é perseguido. A este respeito, espero que o novo Enviado Especial da União Europeia para a promoção da liberdade de religião ou de credo fora da União Europeia possa dispor dos recursos e meios necessários para desempenhar adequadamente o seu mandato.

Ao mesmo tempo, é bom não esquecer que a violência e as discriminações contra os cristãos aumentam também em países onde eles não são uma minoria. A liberdade religiosa é ameaçada também onde os crentes veem reduzida a possibilidade de expressar as próprias convicções no âmbito da vida social, em nome duma equivocada noção de inclusão. A liberdade religiosa, que não se pode reduzir à mera liberdade de culto, é um dos requisitos mínimos necessários para se viver dignamente, e os governos têm o dever de a proteger e de garantir a toda a pessoa, de modo compatível com o bem comum, a oportunidade de agir segundo a própria consciência inclusive no âmbito da vida pública e no exercício da própria profissão.

A religião é uma oportunidade efetiva de diálogo e encontro entre povos e culturas diferentes, como atesta a decisão do Parlamento de Timor-Leste que aprovou por unanimidade o Documento sobre a Fraternidade Humana, que assinei com o Grande Imã de Al-Azhar em 2019, incluindo-o nos programas das instituições académicas e culturais nacionais, e como pude experimentar pessoalmente na viagem que fiz ao Cazaquistão, em setembro passado, por ocasião do VII Encontro dos Líderes Religiosos Mundiais, com quem partilhei algumas preocupações do nosso tempo e senti palpavelmente como as religiões «não são problema, mas parte da solução para uma convivência mais harmoniosa».[11] Igualmente significativa foi a visita ao Bahrein, onde pude cumprir um novo passo no caminho entre crentes cristãos e muçulmanos.

É frequente ouvir atribuir-se à religião os vários conflitos que acompanham a humanidade, não faltando, infelizmente, deploráveis tentativas de fazer uso instrumental da religião para fins meramente políticos. Mas isto é contrário à perspetiva cristã, que indica a raiz de todo o conflito no desequilíbrio do coração humano, como nos recorda o Evangelho: «É do interior do coração dos homens que saem os maus pensamentos» (Mc 7, 21). O cristianismo incita à paz, porque estimula à conversão e ao exercício da virtude.

Paz na justiça

Construir a paz requer a busca da justiça. A crise de 1962 resolveu-se pela contribuição de homens de boa vontade que souberam encontrar soluções adequadas para evitar que a tensão política degenerasse numa verdadeira guerra. Isto foi possível graças também à convicção de que se poderiam resolver as disputas no âmbito do direito internacional e através de organizações, principalmente as Nações Unidas, surgidas depois da II Guerra Mundial, que desenvolveram a diplomacia multilateral. São João XXIII recorda que «as Nações Unidas propuseram-se como fim primordial manter e consolidar a paz entre os povos, desenvolvendo entre eles relações amistosas, fundadas nos princípios de igualdade, de respeito mútuo, de cooperação multiforme em todos os setores da atividade humana».[12]

O conflito atual na Ucrânia tornou mais evidente a crise que, há muito, afeta o sistema multilateral, carecido duma profunda reconsideração para poder responder de forma adequada aos desafios do nosso tempo. Isto exige uma reforma dos órgãos que possibilitam o seu funcionamento, a fim de serem verdadeiramente representativos das necessidades e sensibilidades de todos os povos, evitando mecanismos que deem maior peso a uns em detrimento de outros. Não se trata, pois, de construir blocos de alianças, mas de criar oportunidades para que todos possam dialogar.

Juntos, pode-se fazer muito bem! Basta pensar nas louváveis iniciativas destinadas a reduzir a pobreza, ajudar os migrantes, contrastar as alterações climáticas, favorecer o desarmamento nuclear e prestar ajuda humanitária. Contudo, nos últimos tempos, os vários fóruns internacionais têm-se caraterizado por crescentes polarizações e tentativas de impor um pensamento único, que impede o diálogo e marginaliza aqueles que pensam de modo diferente. Corre-se o risco duma deriva, que assume cada vez mais a fisionomia dum totalitarismo ideológico, que promove a intolerância contra quem não adere a pretensas posições de «progresso», que na realidade parecem antes conduzir a uma regressão geral da humanidade, com violação da liberdade de pensamento e de consciência.

Além disso, têm sido empregues recursos cada vez maiores para impor, especialmente aos países mais pobres, formas de colonização ideológica, chegando-se aliás a criar um nexo direto entre a atribuição de ajuda económica e a aceitação de tais ideologias. Isto tem molestado o debate interno nas Organizações Internacionais, impedindo frutuosos intercâmbios e, muitas vezes, abrindo à tentação de abordar as questões de forma autónoma e, consequentemente, na base de relações de força.

Com efeito, durante a minha viagem ao Canadá em julho passado, pude sentir palpavelmente as consequências da colonização, sobretudo ao encontrar as populações indígenas, que sofreram com as políticas de assimilação do passado. Sempre que se procura impor a outras culturas formas de pensamento que não lhes pertencem, abre-se caminho para ásperos conflitos e às vezes até violência.

É necessário voltar ao diálogo, à escuta recíproca e à negociação, promovendo responsabilidades compartilhadas e a cooperação na busca do bem comum, em nome daquela solidariedade que «deriva do facto de nos sabermos responsáveis pela fragilidade dos outros na procura dum destino comum».[13] Os impedimentos e os vetos recíprocos servem apenas para alimentar mais divisões.

Paz na solidariedade

Na Mensagem para o Dia Mundial da Paz deste ano, pus em evidência como a pandemia covid-19 nos deixa em herança «a consciência de que todos precisamos uns dos outros».[14] As sendas da paz são sendas de solidariedade, porque ninguém pode salvar-se sozinho. Vivemos num mundo tão interligado que a ação de um acaba por ter repercussões sobre todos.

Quero destacar, aqui, três âmbitos onde emerge, com uma força particular, a interligação que une atualmente a humanidade e para os quais é particularmente urgente maior solidariedade.

O primeiro âmbito é o das migrações, que toca inteiras regiões da terra. Muitas vezes trata-se de pessoas que fogem de guerras e perseguições, enfrentando perigos imensos. Mas «deve-se deixar a cada um o pleno direito de se estabelecer ou mudar domicílio dentro da comunidade política de que é cidadão, e mesmo (…) deve ser-lhe permitido transferir-se a outras comunidades políticas e nelas domiciliar-se»[15] e ter a possibilidade de regressar à própria terra de origem.

A migração tornou-se um problema tal que não se pode admitir deixar cada um a «proceder à sua vontade». Para perceber isto, basta olhar para o Mediterrâneo, que se transformou num grande túmulo. Aquelas vidas destruídas são o emblema do naufrágio da nossa civilização, como pude recordar durante a minha viagem a Malta na primavera passada. Na Europa, é urgente reforçar o quadro legislativo, através da aprovação do Novo Pacto sobre Migração e Asilo, para que se possam implementar políticas adequadas para acolher, acompanhar, promover e integrar os migrantes. Ao mesmo tempo, a solidariedade exige que as necessárias operações de assistência e cuidado dos náufragos não gravem inteiramente sobre as populações dos pontos principais de desembarque.

O segundo âmbito diz respeito à economia e ao trabalho. As crises dos últimos anos colocaram em evidência os limites dum sistema económico tendente mais a criar lucros para uns poucos do que ser oportunidade para o bem-estar de muitos; uma economia mais centrada no dinheiro do que na produção de bens úteis. Isto gerou empresas mais frágeis e mercados de trabalho altamente iníquos. É preciso voltar a dar dignidade à empresa e ao trabalho, combatendo toda a forma de exploração que acaba por tratar os trabalhadores como uma mercadoria, porque, «sem trabalho digno e bem remunerado, os jovens não se tornam realmente adultos [e] as desigualdades aumentam».[16]

O terceiro âmbito é o cuidado da nossa casa comum. Diante de nós vemos aparecer constantemente os efeitos das alterações climáticas e as graves consequências que os mesmos têm na vida de populações inteiras, quer pelas devastações produzidas, como aconteceu no Paquistão nas zonas afetadas pelas inundações onde continuam a aumentar os surtos de doenças transmitidas pelas águas estagnadas; quer em vastas áreas do Oceano Pacífico, onde o aquecimento global provoca inúmeros prejuízos à pesca, base da vida quotidiana de populações inteiras; quer na Somália e em todo o Corno de África, onde a seca está a causar uma grave carestia; quer ultimamente nos Estados Unidos, onde os repentinos e intensos nevões provocaram vários mortos.

No verão passado, a Santa Sé decidiu aderir à Convenção-Quadro das Nações Unidas sobre as Alterações Climáticas, com a intenção de dar o seu apoio moral aos esforços de todos os Estados para cooperar, de acordo com as próprias responsabilidades e respetivas capacidades, numa resposta eficaz e adequada aos desafios colocados pela alteração climática. Espera-se que os passos – ainda que limitados – dados na COP27 com a adoção do Plano de Implementação de Sharm el-Sheikh possam fazer crescer a consciência de toda a humanidade face a uma questão urgente que não pode mais ser eludida. Entretanto, foram concordados objetivos encorajadores durante a recente Conferência das Nações Unidas sobre a Biodiversidade (COP15), realizada em Montreal no mês passado.

Paz na liberdade

Por fim, construir a paz exige que não «sejam lesadas a liberdade, a integridade e segurança das outras nações, sejam quais forem a sua extensão territorial e capacidade de defesa».[17] Isto é possível se em cada comunidade não prevalecer a cultura da opressão e da agressão, que leva a olhar o próximo como um inimigo a combater e não como um irmão a acolher e abraçar.[18]

Preocupa o enfraquecimento, em muitas partes do mundo, da democracia e da possibilidade de liberdade que ela consente, mesmo com todos os limites dum sistema humano. A pagá-lo, são muitas vezes as mulheres ou as minorias étnicas, bem como os equilíbrios de sociedades inteiras onde o mal-estar desemboca em tensões sociais e até em confrontos armados.

Em muitas áreas, um sinal de debilitação da democracia é registado pelas crescentes polarizações políticas e sociais, que não ajudam a resolver os problemas urgentes dos cidadãos. Penso nas várias crises políticas em diversos países do continente americano, com a sua carga de tensões e formas de violência que exacerbam os conflitos sociais. De modo especial, penso no que aconteceu recentemente no Perú bem como, nestas últimas horas, no Brasil e na situação preocupante do Haiti, onde estão finalmente a ser dados alguns passos para enfrentar a crise política que se arrasta já há tempos. Sempre é preciso superar as lógicas parciais e trabalhar pela construção do bem comum.

Além disso, acompanho com atenção a situação no Líbano, onde se aguarda ainda pela eleição do novo Presidente da República, e espero que todos os atores políticos se empenhem para consentir ao país de recuperar da dramática situação económica e social em que se encontra.

Eminência, Excelências, Senhoras e Senhores!

Seria maravilhoso que, ao menos uma vez, pudéssemos encontrar-nos apenas para agradecer ao Senhor Todo-Poderoso pelos benefícios que sempre nos concede, sem nos vermos constrangidos a enumerar as situações dramáticas que afligem a humanidade. Entretanto, como dizia João XXIII, «é lícito esperar que os homens, por meio de encontros e negociações, venham a conhecer melhor os laços comuns da natureza que os unem e assim possam compreender a beleza de uma das mais profundas exigências da natureza humana, a de que reine entre eles e seus respetivos povos não o temor, mas o amor, um amor que antes de tudo leve os homens a uma colaboração leal, multiforme, portadora de inúmeros bens».[19] Com estes anseios, renovo a vós e aos países que representais os mais calorosos votos para o novo ano.

Obrigado!

________________________

[1] Francisco, Const. ap. Prædicate evangelium (19/III/2022), artº 1.

[2] No dia 11 de abril de 1963. Cf. AAS 55 (1963), 257-304.

[3] João XXXIII, Carta enc. Pacem in terris (11/IV/1963), 60 [111].

[4] Ibid., 59 [110].

[5] Cf. ibid., 47 [80].

[6] Ibid., 5 [9].

[7] Ibid., 6 [11].

[8] Ibid., 7 [12].

[9] Ibid., 38 [63].

[10] Ibid., 80 [152].

[11] Francisco, Discurso na Sessão Plenária do VII Congresso de Líderes das Religiões Mundiais e Tradicionais (Nur-Sultan, agora Astana, 14/IX/2022).

[12] Carta enc. Pacem in terris, 75 [141].

[13] Francisco, Carta enc. Fratelli tutti (Assis, 03/X/2020), 115.

[14] Francisco, Mensagem para o LVI Dia Mundial da Paz (08/XII/2022), 3.

[15] Carta enc. Pacem in terris, 12 [25].

[16] Francisco, Discurso aos participantes no evento “Economia de Francisco” (Assis, 24/IX/2022).

[17] Carta enc. Pacem in terris, 66 [123]; cf. Pio XII, Radiomensagem natalícia (24/XII/1941).

[18] Cf. Francisco, Discurso ao Corpo Diplomático acreditado junto da Santa Sé (22/III/2013).

[19] Carta enc. Pacem in terris, 67 [128].

[00038-PO.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca


Eminencjo, Ekscelencje, Panie i Panowie

Dziękuję wam za obecność na naszym tradycyjnym spotkaniu, które w tym roku pragnie być apelem o pokój w świecie, w którym widać coraz większe podziały i wojny.

Jestem szczególnie wdzięczny dziekanowi korpusu dyplomatycznego, Jego Ekscelencji panu Georgesowi Poulidesowi za życzenia, które do mnie skierował w imieniu was wszystkich. Pozdrawiam każdego z was, wasze rodziny, waszych współpracowników oraz narody i rządy krajów, które reprezentujecie. Wszystkim wam i waszym Władzom pragnę również wyrazić wdzięczność za przesłane kondolencje z okazji śmierci Papieża Emeryta Benedykta XVI oraz za bliskość okazaną podczas jego pogrzebu.

Dopiero co zakończyliśmy okres Bożego Narodzenia, w którym chrześcijanie upamiętniają tajemnicę narodzin Syna Bożego. Zapowiedział to prorok Izajasz w następujących słowach: „Dziecię nam się narodziło, Syn został nam dany, na Jego barkach spoczęła władza. Nazwano Go imieniem: Przedziwny Doradca, Bóg Mocny, Odwieczny Ojciec, Książę Pokoju” (Iz 9,5).

Wasza obecność potwierdza wartość pokoju i ludzkiego braterstwa, do którego budowania przyczynia się dialog. Z drugiej strony zadaniem dyplomacji jest właśnie przezwyciężanie różnic w celu stworzenia klimatu wzajemnej współpracy i zaufania dla zaspokojenia wspólnych potrzeb. Można powiedzieć, że jest ona realizacją pokory, ponieważ wymaga poświęcenia odrobiny miłości własnej, aby wejść w relację z drugim człowiekiem, zrozumieć jego racje i punkty widzenia, przeciwdziałając w ten sposób ludzkiej pysze i arogancji, będących przyczyną wszelkiego pragnienia prowadzenia wojny.

Jestem również wdzięczny za uwagę, jaką wasze kraje poświęcają Stolicy Apostolskiej, co w minionym roku zaznaczyło się między innymi decyzjami Szwajcarii, Republiki Konga, Mozambiku i Azerbejdżanu mianowania ambasadorów rezydujących w Rzymie, a także podpisaniem nowych umów dwustronnych z Demokratyczną Republiką Wysp Świętego Tomasza i Książęcej oraz z Republiką Kazachstanu.

W tym miejscu pragnę również przypomnieć, że w kontekście pełnego szacunku i konstruktywnego dialogu Stolica Apostolska i Chińska Republika Ludowa zgodziły się przedłużyć na kolejne dwa lata ważność tymczasowego porozumienia w sprawie mianowania biskupów, podpisanego w Pekinie w 2018 r. Liczę, że ta współpraca będzie mogła się rozwijać z korzyścią dla życia Kościoła katolickiego i dla dobra narodu chińskiego.

Jednocześnie ponownie zapewniam was o pełnej współpracy Sekretariatu Stanu i dykasterii Kurii Rzymskiej, która wraz z promulgacją nowej Konstytucji Apostolskiej Prædicate Evangelium została zreformowana w pewnych strukturach, aby lepiej wypełniać „z duchem ewangelicznym własną funkcję, działając dla dobra i w służbie komunii, jedności i budowania Kościoła powszechnego oraz zwracając uwagę na potrzeby świata, w którym Kościół jest powołany do wypełnienia swojej misji”[1].

Drodzy Ambasadorowie,

W tym roku przypada 60. rocznica wydania przez św. Jana XXIII encykliki Pacem in terris, opublikowanej niespełna dwa miesiące przed jego śmiercią[2] .

W oczach „dobrego papieża” wciąż żywe było zagrożenie wojny nuklearnej, wywołane w październiku 1962 r. przez tzw. kubański kryzys rakietowy. Ludzkość była o krok od swej zagłady, gdyby nie udało się sprawić, żeby zwyciężył dialog, zdając sobie sprawę z niszczących skutków broni atomowej.

Niestety, także i dzisiaj wciąż jest przywoływana pogróżka nuklearna, pogrążając świat w strachu i udręce. Mogę tu tylko powtórzyć, że posiadanie broni atomowej jest niemoralne, ponieważ - jak zauważył Jan XXIII – „jest rzeczą niemal nie do wiary, żeby istnieli ludzie, którzy mieliby odwagę wziąć na siebie odpowiedzialność za mordy i nieopisane zniszczenia, jakie pociąga za sobą wojna. Nie można jednak zaprzeczyć, że jakieś jedno nieprzewidziane i przypadkowe wydarzenie może rozpalić pożogę wojenną”[3]. Żyjąc w cieniu zagrożenia bronią nuklearną wszyscy jesteśmy zawsze przegrani, wszyscy!

Z tego punktu widzenia szczególnie niepokojący jest impas w negocjacjach dotyczących ponownego uruchomienia wspólnego kompleksowego planu działania, znanego lepiej jako irańskie porozumienie nuklearne. Mam nadzieję, że jak najszybciej uda się znaleźć konkretne rozwiązanie, które zapewni nam bezpieczniejszą przyszłość.

Dziś trwa trzecia wojna światowa zglobalizowanego świata, gdzie konflikty bezpośrednio dotyczą tylko niektórych obszarów planety, ale w istocie angażują wszystkich. Najbliższym i najnowszym przykładem jest wojna na Ukrainie, ze śmiercią i zniszczeniem, będącymi jej następstwem; z atakami na infrastrukturę cywilną prowadzącymi do tego, że ludzie tracą życie nie tylko z powodu bomb i przemocy, ale także z powodu głodu i zimna.  W tym względzie soborowa Konstytucja Gaudium et spes stwierdza, że „wszelkie działania militarne, które zmierzają, czy to do zniszczenia całych miast, czy też rozległych obszarów wraz z ich mieszkańcami, są przestępstwem przeciwko Bogu i samemu człowiekowi, które należy stanowczo i bez zwłoki potępić” (n. 80). Nie możemy zapomnieć również, że wojna dotyka szczególnie osoby najbardziej wrażliwe - dzieci, osoby starsze, niepełnosprawne - i w sposób trwały rozrywa rodziny. Mogę jedynie ponowić dziś mój apel o natychmiastowe zakończenie tego bezsensownego konfliktu, którego skutki dotykają całych regionów, także poza Europą, ze względu na jego reperkusje w dziedzinie energii i produkcji żywności, zwłaszcza w Afryce i na Bliskim Wschodzie.

Przeżywana przez nas trzecia wojna światowa w kawałkach skłania nas do spojrzenia na inne teatry napięć i konfliktów. Także w tym roku, z tak wielkim cierpieniem, musimy patrzeć na Syrię jako na ziemię udręczoną. Odrodzenie tego kraju musi przebiegać poprzez niezbędne reformy, w tym reformy konstytucyjne, w ramach próby dania nadziei narodowi syryjskiemu, dotkniętemu coraz większym ubóstwem, zapobiegając wpływowi nałożonych sankcji międzynarodowych na codzienne życie ludności, która już tak wiele wycierpiała.

Stolica Apostolska z niepokojem śledzi także wzrost przemocy między Palestyńczykami a Izraelczykami, której dramatyczną konsekwencją są liczne ofiary i całkowity brak wzajemnego zaufania. Szczególnie dotknięta jest Jerozolima, miasto święte dla Żydów, chrześcijan i muzułmanów. W jego nazwę wpisane jest powołanie, aby było Miastem Pokoju, ale niestety jest teatrem starć. Wierzę, że może ono odzyskać to powołanie, aby być miejscem i symbolem spotkania i pokojowego współistnienia, a dostęp i swoboda kultu w miejscach świętych będą nadal gwarantowane i respektowane zgodnie ze status quo. Jednocześnie wyrażam pragnienie, aby władze Państwa Izrael i Państwa Palestyńskiego odzyskały odwagę i determinację do podjęcia bezpośredniego dialogu w celu wdrożenia rozwiązania dwupaństwowego we wszystkich jego aspektach, zgodnie z prawem międzynarodowym i wszystkimi odpowiednimi rezolucjami Organizacji Narodów Zjednoczonych.

Jak państwo wiedzą, pod koniec bieżącego miesiąca będę mógł wreszcie udać się jako pielgrzym pokoju do Demokratycznej Republiki Konga, w nadziei, że ustanie przemoc na wschodzie kraju i że zwycięży droga dialogu oraz wola podjęcia działań na rzecz bezpieczeństwa i dobra wspólnego. Pielgrzymka będzie kontynuowana do Sudanu Południowego, gdzie towarzyszyć mi będzie Arcybiskup Canterbury i Moderator Generalny Prezbiteriańskiego Kościoła Szkocji. Razem pragniemy przyłączyć się do wołania jego mieszkańców o pokój i przyczynić się do procesu pojednania narodowego.

Nie możemy też zapominać o innych sytuacjach gdzie nadal swoje piętno odciskają następstwa konfliktów, które nie zostały jeszcze rozwiązane. Mam na myśli w szczególności sytuację na Południowym Kaukazie. Wzywam strony do przestrzegania zawieszenia broni, powtarzając, że uwolnienie jeńców wojennych i więźniów cywilnych byłoby ważnym krokiem w kierunku pożądanego porozumienia pokojowego.

Myślę również o Jemenie, gdzie utrzymuje się zawieszenie broni osiągnięte w październiku ubiegłego roku, ale wielu cywilów nadal ginie od min, oraz o Etiopii, gdzie pragnę, żeby kontynuowany był proces pokojowy oraz aby umocniło się zaangażowanie wspólnoty międzynarodowej w rozwiązanie kryzysu humanitarnego dotykającego ten kraj.

Z niepokojem śledzę również sytuację w Afryce Zachodniej, coraz bardziej dotkniętej przemocą terroryzmu. Mam na myśli w szczególności dramaty przeżywane przez ludność Burkina Faso, Mali i Nigerii i wyrażam pragnienie, aby procesy transformacji zachodzące w Sudanie, Mali, Czadzie, Gwinei i Burkina Faso przebiegały z poszanowaniem uzasadnionych aspiracji tamtejszej ludności.

Ze szczególną uwagą śledzę również sytuację w Mjanmie, która od dwóch lat doświadcza przemocy, cierpienia i śmierci. Zapraszam Wspólnotę międzynarodową do działania na rzecz urzeczywistnienia procesów pojednania i apeluję do wszystkich zaangażowanych stron o powrót na drogę dialogu, aby przywrócić nadzieję mieszkańcom tej umiłowanej ziemi.

Wreszcie myślę o Półwyspie Koreańskim, życząc by nie zabrakło dobrej woli i zaangażowania w porozumienie, ażeby zbudować tak bardzo pożądany pokój i dobrobyt dla całego narodu koreańskiego.

Wszystkie konflikty uwydatniają jednak śmiertelne konsekwencje ciągłego uciekania się do produkcji nowej i coraz bardziej wyrafinowanej broni, uzasadnianej niekiedy „tym, że pokój da się zachować w obecnych warunkach tylko wówczas, jeśli będzie istniała równowaga zbrojeń”[4]. Należy odrzucić tę logikę i podążać drogą integralnego rozbrojenia, ponieważ nie jest możliwy jakikolwiek pokój tam, gdzie szerzą się narzędzia śmierci.

Drodzy Ambasadorowie,

W okresie tak bardzo konfliktowym nie możemy uchylić się od pytania, jak możemy na nowo nawiązać więzi pokoju. Od czego zacząć?

Aby nakreślić odpowiedź, chciałbym ponownie podjąć z państwem kilka elementów z Pacem in terris, tekstu, który jest niezwykle aktualny, chociaż w znacznej mierze zmieniła się sytuacja międzynarodowa. Dla św. Jana XXIII pokój jest możliwy w świetle czterech podstawowych dóbr: prawdy, sprawiedliwości, solidarności i wolności. Są to kamienie węgielne, które regulują zarówno relacje między poszczególnymi istotami ludzkimi, jak i między wspólnotami politycznymi[5] .

Wymiary te są splecione ze sobą w ramach fundamentalnego założenia, że „każdy człowiek jest osobą, to znaczy istotą obdarzoną rozumem i wolną wolą, wskutek czego ma prawa i obowiązki, wypływające bezpośrednio i równocześnie z własnej jego natury. A ponieważ są one powszechne i nienaruszalne, dlatego nie można się ich w żaden sposób wyrzec”[6].                      

Pokój w prawdzie

Budowanie pokoju w prawdzie oznacza przede wszystkim poszanowanie osoby ludzkiej, z jej „prawem do życia, do nienaruszalności ciała”[7], której musi być zapewniona „wolność w poszukiwaniu prawdy oraz do wypowiadania i rozpowszechniania swych poglądów”[8]. Wymaga to, aby „władze publiczne również dołożyły wszelkich starań o utrzymanie takiego ładu, który by zapewniał każdemu obywatelowi możność łatwej obrony swych praw i wypełniania swych obowiązków”[9].

Pomimo podjętych przez wszystkie państwa zobowiązań do przestrzegania praw człowieka i podstawowych wolności każdej osoby także i dzisiaj w wielu krajach kobiety są uważane za obywateli drugiej kategorii. Są poddawane przemocy i maltretowane, odmawia się im możliwości nauki, pracy, wyrażania swoich talentów, dostępu do opieki zdrowotnej, a nawet do pożywienia. Natomiast, tam gdzie prawa człowieka są w pełni uznawane dla wszystkich, kobiety mogą wnieść swój niezbywalny wkład w życie społeczne i być pierwszymi sojusznikami pokoju.

Pokój wymaga przede wszystkim obrony życia, dobra, które dzisiaj jest zagrożone nie tylko przez konflikty, głód i choroby, ale zbyt często nawet począwszy od łona matki, przez domaganie się rzekomego „prawa do aborcji”. Nikt jednak nie może rościć sobie praw do życia innego człowieka, zwłaszcza jeśli jest on bezbronny, a więc pozbawiony możliwości obrony. Dlatego apeluję do sumień mężczyzn i kobiet dobrej woli, zwłaszcza tych, którzy są odpowiedzialni za politykę, aby pracowali na rzecz ochrony praw najsłabszych i wykorzenienia kultury odrzucania, która niestety dotyka także chorych, niepełnosprawnych i starszych. Na państwach spoczywa podstawowy obowiązek zagwarantowania opieki nad obywatelami na każdym etapie życia ludzkiego, aż do naturalnej śmierci, zapewniając, aby każdy czuł się wspierany i otoczony opieką nawet w najbardziej delikatnych momentach swojego życia.

Prawo do życia jest również zagrożone tam, gdzie nadal stosuje się karę śmierci, jak to ma miejsce obecnie w Iranie, po niedawnych demonstracjach wzywających do większego poszanowania godności kobiet. Kara śmierci nie może być stosowana w imię  rzekomej sprawiedliwości państwowej, gdyż ani nie odstrasza, ani nie oferuje sprawiedliwości ofiarom, a jedynie podsyca pragnienie zemsty. Dlatego wzywam do zniesienia w ustawodawstwie wszystkich krajów świata kary śmierci, która jest zawsze niedopuszczalna, ponieważ godzi w nietykalność i godność osoby. Nie możemy zapominać, że do ostatniej chwili człowiek może się nawrócić i może się zmienić.

Niestety, wydaje się, że coraz częściej pojawia się „lęk” przed życiem, który w wielu miejscach przekłada się na lęk przed przyszłością i trudność w założeniu rodziny i rodzeniu dzieci. W niektórych sytuacjach, myślę tu na przykład o Włoszech, mamy do czynienia z niebezpiecznym spadkiem wskaźnika urodzeń, prawdziwą zimą demograficzną, która zagraża wręcz przyszłości społeczeństwa. Drogiemu narodowi włoskiemu pragnę ponowić moją zachętę, by z wytrwałością i nadzieją, silny swymi religijnymi i kulturowymi korzeniami, stawił czoło wyzwaniom współczesności.

Lęki znajdują pożywkę w ignorancji i uprzedzeniach, łatwo przeradzając się w konflikty. Środkiem zaradczym na nie jest edukacja. Stolica Apostolska promuje integralną wizję wychowania, w której „rozwój religijny i kształtowanie charakteru odbywało by się równomiernie ze wzrostem wiedzy naukowej i rozszerzającym się stale zakresem wykształcenia technicznego”[10]. Wychowanie zawsze domaga się integralnego szacunku dla osoby i jej cech naturalnych, unikając narzucania nowej i niejasnej wizji człowieka. Oznacza to integrację dróg rozwoju ludzkiego, duchowego, intelektualnego i zawodowego, umożliwiając osobie wyzwolenie się z wielorakich form zniewolenia i zaznaczenie swojej obecności w społeczeństwie w sposób wolny i odpowiedzialny. Dlatego niedopuszczalne jest, aby część społeczeństwa była wykluczona z edukacji, co ma miejsce w przypadku kobiet afgańskich.

Edukacja jest na łasce i niełasce kryzysu zaostrzonego przez destrukcyjne skutki pandemii i niepokojący scenariusz geopolityczny. Dlatego szczyt w sprawie transformacji edukacji, zwołany przez Sekretarza Generalnego ONZ i zorganizowany we wrześniu ubiegłego roku w Nowym Jorku, stanowił wyjątkową okazję dla rządów do podjęcia odważnej polityki mającej na celu zaradzenie trwającej „katastrofie edukacyjnej” i realizacji konkretnych decyzji w celu osiągnięcia wysokiej jakości edukacji dla wszystkich do 2030 roku. Niech państwa mają odwagę, by odwrócić żenującą nieproporcjonalną relację między wydatkami publicznymi na edukację, a środkami przeznaczonymi na zbrojenia!

Pokój wymaga również powszechnego uznania wolności religijnej. Niepokojące jest to, że są ludzie prześladowani tylko dlatego, że publicznie wyznają swoją wiarę, i jest wiele krajów, w których wolność religijna jest ograniczona. W takim stanie żyje około 1/3 ludności świata. Wraz z brakiem wolności religijnej występują również prześladowania na tle religijnym. Nie mogę nie wspomnieć, jak pokazują niektóre statystyki, że jeden chrześcijanin na każdych siedmiu jest prześladowany. W związku z tym wyrażam nadzieję, że nowy specjalny pełnomocnik Unii Europejskiej ds. propagowania wolności religii i przekonań poza granicami Unii Europejskiej będzie dysponował niezbędnymi zasobami i środkami, aby odpowiednio wypełniać swój mandat.

Jednocześnie nie wolno zapominać, że przemoc i dyskryminacja wobec chrześcijan wzrasta także w krajach, w których nie stanowią oni mniejszości. Wolność religijna jest zagrożona także tam, gdzie wierzący widzą, iż w imię źle rozumianego pojęcia integracji ogranicza się możliwość wyrażania swoich przekonań w sferze życia społecznego. Wolność religijna, której nie można sprowadzić jedynie do wolności wyznania, jest jednym z minimalnych wymogów godnego życia, a rządy mają obowiązek ją chronić i zagwarantować każdej osobie, zgodnie z dobrem wspólnym możliwość postępowania zgodnie ze swym sumieniem, także w życiu publicznym i przy wykonywaniu swojego zawodu.

Religia jest skuteczną szansą dla dialogu i spotkań między różnymi narodami i kulturami. Świadczy o tym decyzja Parlamentu Timoru Wschodniego, który jednogłośnie zatwierdził Dokument o Ludzkim Braterstwie, który podpisałem z Wielkim Imamem Al-Azharu w 2019 r., włączając go do programów krajowych instytucji edukacyjnych i kulturalnych. Świadczy to również, że religie  „nie są problemem, ale są częścią rozwiązania zmierzającego ku bardziej harmonijnemu współistnieniu”[11]. Mogłem tego osobiście doświadczyć podczas mojej podróży do Kazachstanu we wrześniu ubiegłego roku na VII Kongres Liderów Religii Światowych, z którymi podzieliłem się niektórymi troskami naszych czasów i poruszyłem tę kwestię. Równie znacząca była wizyta w Bahrajnie, gdzie uczyniono nowy krok na drodze między wierzącymi chrześcijanami i muzułmanami.

Ludzie często chcą przypisać religii różne konflikty, które towarzyszą ludzkości, i czasami rzeczywiście nie brakuje godnych pożałowania prób instrumentalnego wykorzystania religii do celów czysto politycznych. Jest to jednak sprzeczne z perspektywą chrześcijańską, która odsłania źródło wszelkich konfliktów, jakim jest niezrównoważenie ludzkiego serca: „Z wnętrza, z serca ludzkiego pochodzą złe myśli” (Mk 7, 21), jak przypomina nam Ewangelia. Chrześcijaństwo pobudza do pokoju, ponieważ pobudza do nawrócenia i realizowania cnót.

Pokój w sprawiedliwości

Budowanie pokoju wymaga dążenia do sprawiedliwości. Kryzys z 1962 roku został rozładowany dzięki wkładowi ludzi dobrej woli, którzy potrafili znaleźć odpowiednie rozwiązania, aby zapobiec przerodzeniu się napięcia politycznego w otwartą wojnę. Stało się tak również dzięki przekonaniu, że spory można rozwiązywać w ramach prawa międzynarodowego i za pośrednictwem tych organizacji, przede wszystkim Organizacji Narodów Zjednoczonych, które powstały po II wojnie światowej i rozwinęły dyplomację wielostronną. Święty Jan XXIII przypomina, że: „najważniejszym zadaniem Organizacji Narodów Zjednoczonych jest ochrona i umacnianie pokoju między narodami oraz sprzyjanie i dopomaganie im w nawiązywaniu przyjaznych stosunków, opartych na zasadach równości, wzajemnego poszanowania oraz żywej współpracy we wszystkich dziedzinach ludzkiej działalności”[12].

Obecny konflikt na Ukrainie sprawił, że kryzys, który od dawna dotyka system wielostronny, stał się jeszcze bardziej widoczny i wymaga głębokiego przemyślenia, aby móc odpowiednio reagować na wyzwania naszych czasów. Wymaga to reformy organów umożliwiających jego funkcjonowanie, aby rzeczywiście reprezentowały potrzeby i wrażliwość wszystkich narodów, unikając mechanizmów nadających niektórym większe znaczenie ze szkodą dla innych. Nie chodzi więc o budowanie bloków sojuszy, ale o stworzenie możliwości, aby wszyscy mogli prowadzić dialog.

Wiele dobrego można uczynić razem, wystarczy pomyśleć o chwalebnych inicjatywach mających na celu zmniejszenie ubóstwa, pomoc migrantom, walkę ze zmianami klimatu, promowanie rozbrojenia jądrowego i zapewnienie pomocy humanitarnej. Jednakże w ostatnim czasie różne fora międzynarodowe charakteryzują się rosnącą polaryzacją i próbami narzucenia jednego sposobu myślenia, co uniemożliwia dialog i marginalizuje tych, którzy myślą inaczej. Istnieje zagrożenie zboczenia z drogi, które coraz bardziej przybiera oblicze totalitaryzmu ideologicznego, promującego nietolerancję wobec tych, którzy nie wyznają rzekomych stanowisk „postępu”, co w rzeczywistości zdaje się raczej prowadzić do ogólnego regresu ludzkości, z pogwałceniem wolności myśli i sumienia.

Ponadto używano coraz większych środków do narzucania, zwłaszcza krajom uboższym form kolonizacji ideologicznej, tworząc bezpośredni związek między udzielaniem pomocy gospodarczej a akceptacją takich ideologii. Utrudniało to wewnętrzną debatę w organizacjach międzynarodowych, uniemożliwiając owocną wymianę i często otwierając pokusę autonomicznego podejścia do zagadnień, a w konsekwencji do podejścia na podstawie relacji siły.

Z drugiej strony, podczas mojej podróży do Kanady w lipcu ubiegłego roku, mogłem namacalnie doświadczyć konsekwencji kolonizacji, spotykając się zwłaszcza z rdzenną ludnością, która ucierpiała w wyniku polityki asymilacji prowadzonej w przeszłości. Tam, gdzie próbuje się narzucić innym kulturom formy myślenia, które nie są im właściwe, otwiera się droga do ostrych konfrontacji, a czasem nawet przemocy.

Należy powrócić do dialogu, wzajemnego słuchania i negocjacji, sprzyjając współodpowiedzialności i współpracy w poszukiwaniu dobra wspólnego, charakteryzującego się tą solidarnością, która „wynika ze świadomości, że jesteśmy odpowiedzialni za słabość innych, dążąc do wspólnego przeznaczenia”[13]. Ograniczenia i wzajemne weta prowadzą jedynie do pogłębienia dalszych podziałów.

Pokój w solidarności

W moim corocznym Orędziu na Światowy Dzień Pokoju podkreśliłem, jak pandemia Covid-19 pozostawiła po sobie spuściznę w postaci „świadomości, że wszyscy potrzebujemy siebie nawzajem”[14]. Drogi pokoju są drogami solidarności, bo nikt nie może ocalić się sam. Żyjemy w świecie tak bardzo wzajemnie połączonym, że działania każdego wywierają w ostateczności reperkusje dla wszystkich.

Chciałbym tu podkreślić trzy obszary, w których wzajemne powiązania łączące dziś ludzkość jawią się szczególnie silnie i w których większa solidarność jest szczególnie pilnie potrzebna.

Pierwszym z nich są migracje, które dotyczą całych regionów Ziemi. Niejednokrotnie chodzi o osoby uciekające przed wojną i prześladowaniami, narażone na ogromne niebezpieczeństwa. Z drugiej strony „Każdemu człowiekowi winno też przysługiwać nienaruszalne prawo … zmiany miejsca zamieszkania, [...] prawo zwrócenia się do innych państw z prośbą o zezwolenie mu na zamieszkanie w ich granicach”[15] i musi on mieć możliwość powrotu do swej ojczyzny.

Migracja jest kwestią, w przypadku której „postępowanie w sposób rozproszony” jest niedopuszczalne. Aby to zrozumieć, wystarczy spojrzeć na Morze Śródziemne, które stało się wielkim grobowcem. Te przedwcześnie zakończone istnienia są symbolem katastrofy naszej cywilizacji, o czym miałem okazję przypomnieć podczas mojej podróży na Maltę minionej wiosny. W Europie należy pilnie wzmocnić ramy prawne poprzez zatwierdzenie nowego paktu o migracji i azylu, aby można było wdrożyć odpowiednie polityki w zakresie przyjmowania, towarzyszenia, wspierania i integrowania migrantów. Jednocześnie solidarność wymaga, aby niezbędne działania pomocy i opieki nad rozbitkami nie obciążały całkowicie ludności głównych punktów dotarcia.

Drugi obszar dotyczy gospodarki i pracy. Kolejne kryzysy w ostatnich latach uwypukliły ograniczenia systemu gospodarczego, który jest bardziej skoncentrowany na tworzeniu zysków dla nielicznych, niż możliwości dobrobytu dla wielu; gospodarki bardziej skoncentrowanej na pieniądzach, niż na wytwarzaniu dóbr użytecznych. Doprowadziło to do powstania bardziej kruchych przedsiębiorstw i wysoce niesprawiedliwych rynków pracy. Należy przywrócić godność przedsiębiorczości i pracy, zwalczając wszelkie formy wyzysku, które doprowadzają do traktowania pracowników jak towarów, ponieważ „bez godnej i dobrze wynagradzanej pracy ludzie młodzi nie stają się naprawdę dorosłymi i narastają nierówności”[16].

Trzeci obszar to troska o nasz wspólny dom. Ciągle mamy przed oczami skutki zmian klimatycznych i poważne konsekwencje, jakie mają one dla życia całych grup ludności zarówno pod względem zniszczeń, jakie niekiedy powodują, jak w Pakistanie na obszarach dotkniętych powodzią, gdzie wciąż wzrasta liczba ognisk chorób przenoszonych przez stojącą wodę; lub na rozległych obszarach Oceanu Spokojnego, gdzie globalne ocieplenie powoduje niezliczone szkody w rybołówstwie, będącym podstawą codziennego życia całych grup ludności; lub w Somalii i całym Rogu Afryki, gdzie susza powoduje dotkliwy głód; lub w ostatnich dniach w Stanach Zjednoczonych, gdzie nagłe i intensywne mrozy spowodowały śmierć różnych osób.

Latem minionego roku Stolica Apostolska podjęła decyzję o przystąpieniu do Ramowej konwencji Narodów Zjednoczonych w sprawie zmian klimatu, pragnąc udzielić moralnego wsparcia wysiłkom wszystkich państw, aby zgodnie z ich obowiązkami i odpowiednimi możliwościami współpracować w celu skutecznej i adekwatnej odpowiedzi na wyzwania, jakie stawiają zmiany klimatyczne. Należy mieć nadzieję, że kroki podjęte podczas COP27, wraz z przyjęciem planu realizacji z Sharm el-Sheikh, nawet jeśli ograniczone, zwiększą świadomość całej ludzkości w zakresie pilnej kwestii, której nie można już dłużej pomijać. Na niedawnej Konferencji ONZ w sprawie Różnorodności Biologicznej (COP15), która odbyła się w ubiegłym miesiącu w Montrealu, uzgodniono natomiast cele budzące nadzieję.

Pokój w wolności

Wreszcie, budowanie pokoju wymaga, aby nie było miejsca „na naruszanie wolności, integralności i bezpieczeństwa innych narodów, jakakolwiek byłaby ich rozciągłość terytorialna albo zdolność obrony”[17]. Jest to możliwe, jeśli w każdej poszczególnej wspólnocie nie będzie dominowała kultura zastraszania i agresji, która prowadzi do patrzenia na bliźniego jak na nieprzyjaciela, z którym trzeba walczyć, a nie jak na brata, którego trzeba przyjąć i uściskać[18].

Niepokój budzi osłabienie w wielu częściach świata demokracji i szansy wolności, jakie ona umożliwia, niezależnie od wszystkich ograniczeń systemu ludzkiego. Ofiarami często padają kobiety lub mniejszości etniczne, a także równowaga całych społeczeństw, gdzie niepokój prowadzi do napięć społecznych, a nawet starć zbrojnych.

W wielu obszarach oznaką osłabienia demokracji są narastające polaryzacje polityczne i społeczne, które nie pomagają w rozwiązywaniu palących problemów obywateli. Myślę o różnych kryzysach politycznych w różnych krajach kontynentu amerykańskiego, z ich ładunkiem napięć i formami przemocy, które zaostrzają konflikty społeczne. Mam na myśli zwłaszcza ostatnie wydarzenia w Peru, a w tych ostatnich godzinach w Brazylii, i niepokojącą sytuację na Haiti, gdzie wreszcie podejmuje się pewne kroki w celu rozwiązania długotrwałego kryzysu politycznego. Zawsze trzeba przezwyciężyć logikę partykularną i pracować na rzecz budowania dobra wspólnego.

Śledzę również uważnie sytuację w Libanie, gdzie wciąż się czeka na wybór nowego prezydenta Republiki i życzę, by wszystkie podmioty polityczne zaangażowały się w umożliwienie temu krajowi wyjścia z dramatycznej sytuacji gospodarczej i społecznej, w której się znalazł.

Ekscelencje, Panie i Panowie,

Wspaniale byłoby, gdybyśmy kiedyś mogli zebrać się tylko po to, by podziękować Wszechmogącemu Panu za dobrodziejstwa, których stale nam udziela, bez przymusu wyliczania dramatycznych sytuacji, które trapią ludzkość. Jak powiedział Jan XXIII: „wolno jednak żywić nadzieję, że narody poprzez ustalanie wzajemnych kontaktów i porozumień dojdą do lepszego poznania łączących je więzów ludzkiej natury. Zrozumieją dokładniej, że do podstawowych obowiązków, wypływających ze wspólnej im natury, należy również liczenie się ze zwyczajami poszczególnych ludzi i narodów w oparciu nie o strach, lecz o miłość. Przecież zadaniem miłości jest doprowadzenie ludzi do szczerej i wielorakiej jedności serc i dzieł, z której może spłynąć na nich bardzo wiele dobra”[19]. Z tymi pragnieniami składam Państwu i krajom, które Państwo reprezentują moje najserdeczniejsze życzenia na Nowy Rok.

Dziękuję!

________________________

[1] Konst. ap. Praedicate Evangelium (19 marca 2022), art. 1

[2] 11 kwietnia 1963, Por. AAS 55 (1963), 257-304.

[3] Pacem in terris, 111.

[4] Pacem in terris, 111.

[5] Pacem in terris, 111.

[6] Tamże, 6.

[7] Tamże, 11.

[8] Tamże, 12.

[9] Tamże, 63.

[10] Tamże, 153

[11] Przemówienie podczas Sesji Plenarnej VII Liderów Religii Światowych i Tradycyjnych, Nur-Sułtan (obecnie Astana), 14 września 2022.

[12] Pacem in terris, 145

[13] Enc. Fratelli tutti (3 października 2020),115.

[14] Orędzie na LVI Światowy Dzień Pokoju, (8 grudnia 2022), 3.

[15] Pacem in terris, 12.

[16] Przemówienie do uczestników spotkania „Ekonomia Franciszka”, Asyż 24 września 2022.

[17] Pacem in terris, 124, Por. PIO XII, Radiomessaggio natalizio, 24 dicembre 1942.

[18] Por. Przemówienie do korpusu dyplomatycznego akredytowanego przy Stolicy Apostolskiej, 22 marca 2013.

[19] Pacem in terris, 129.

[00038-PL.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

 

كلمة قداسة البابا فرنسيس

إلى الدبلوماسيّين المُعتَمدين لدى الكرسي الرسولي

في مناسبة اللقاء السّنوي لتبادل التّهاني بالعام الجديد

9 كانون الثّاني/يناير 2023

في قاعة البركات

نيافة الكاردينال، أصحاب السّعادة، سيداتي، سادتي،

أشكركم لحضوركم في موعدنا المعتاد، والذي أوَدُّ أن يكون هذا العام أمنية سلام في عالم تزداد فيه الانقسامات والحروب.

أشكر بصورة خاصّة عميد السّلك الدبلوماسي، سعادة السّيّد جورج بوليديس، على تمنياته القلبيّة التي وجهها إليّ بالنيابة عنكم جميعًا. وأتوجّه بتحياتي إلى كلّ واحد منكم، وإلى عائلاتكم، وإلى معاونيكم، وإلى شعوب وحكومات البلدان التي تمثلونها. كما أودّ أن أعرب لكم جميعًا ولسلطاتكم عن شكري على رسائل التّعزية التي أُرسلت في وفاة البابا السّابق بنديكتس السّادس عشر، وعلى قربكم الذي ظهر خلال الجنازة.

اختتمنا قبل أيام زمن الميلاد، الذي يحيِي المسيحيّون فيه ذكرى سرّ ولادة ابن الله. وقد تنبأ النّبيّ أشعيا بذلك بهذه الكلمات: "قد وُلِدَ لَنا وَلَدٌ وأُعطِيَ لَنا ٱبنٌ، فصارَتِ الرِّئاسَةُ على كَتِفِه، ودُعِيَ ٱسمُه عَجيبًا مُشيرًا، إِلٰهًا جَبَّارًا، أَبا الأَبَدِ، رَئيسَ السَّلام" (أشعيا 9، 5).

حضوركم يؤكّد قيمة السّلام والأخُوّة الإنسانيّة التي يُسهِم الحوار في بنائها. من جهة أخرى، فإنّ مهمّة العمل الدبلوماسيّ هو التّخفيف من حدة النزاعات لتعزيز مناخ من التعاون والثّقة المتبادلَين لتلبية الاحتياجات المشتركة. يمكن القول إنّه تدريب في التّواضع لأنّه يتطلب التّضحية بشيء من حبّ الذات للدخول في علاقة مع الآخرين، لفهم أسبابهم ووجهات نظرهم. وهذا يتناقض مع كبرياء الإنسان وغطرسته، التي هي سبب إرادة الحروب.

وأعرب أيضًا عن امتناني للاهتمام الذي توليه بلدانكم للكرسي الرسولي. وقد أقدَمت، في العام الماضي، سويسرا وجمهوريّة الكونغو وموزامبيق وأذربيجان على تعيين سفراء لها مقيمين في روما، كما تمّ التّوقيع على اتفاقيات ثنائية جديدة مع جمهوريّة ساو تومي وبرينسيبي الديمقراطيّة ومع جمهوريّة كازاخستان.

وبهذا الخصوص، يهمني أن أقول إنّه كان حوار بنَّاء، في إطار من الاحترام، بين الكرسي الرسولي وجمهورية الصّين الشّعبيّة، نتج عنه تمديد الاتفاق الموقت لتعيين الأساقفة لمدة سنتين جديدتين، الموقع في بكين سنة 2018. آمل أن تتطوّر هذه العلاقة وهذا التّعاون من أجل حياة الكنيسة الكاثوليكيّة وخير الشّعب الصّيني.

وفي الوقت نفسه، أجدّد التأكيد على التعاون الكامل من قبل أمانة سرّ الدولة، وسائر دوائر الكوريا الرّومانيّة، التي تمّ إصلاحها في بعض هيكلياتها، بالدستور الرّسوليّ ”أعلنوا البشارة“، لتقدّم خدمتها بصورة أفضل، "بروحٍ إنجيليّة، وتعمل لخير ولخدمة الشّركة والوَحدة وبناء الكنيسة الجامعة، متنبّهة لمتطلّبات العالم الذي فيه تُدعى الكنيسة إلى القيام برسالتها"[1].

السّفراء الأعزاء

يصادف هذا العام الذكرى السّنويّة السّتين للرسالة العامة ”سلام على الأرض“ للقدّيس يوحنا الثّالث والعشرين، التي نشرها أقل من شهرين قبل وفاته[2].

في نظر ”البابا الطيّب“، كان خطر الحرب النوويّة على الأبواب، بسبب ما سمي بأزمة الصّواريخ في كوبا في شهر تشرين الأوّل/أكتوبر 1962. كانت الإنسانيّة على بعد خطوة من القضاء على نفسها بنفسها، لو لم ينجحوا في تغليب الحوار، لعلمهم بالنتائج المدمّرة للأسلحة النوويّة.

ومع ذلك، ما زال التّهديد النووي قائمًا حتى يومنا هذا، مغرقًا العالم في الخوف والقلق. لا يسعني إلّا أن أكرّر هنا أنّ امتلاك الأسلحة الذريّة أمر غير أخلاقيّ لأنّه - كما لاحظ يوحنا الثّالث والعشرون - "إذا كان من الصّعب إقناع الناس بأنّ هناك أشخاصًا قادرين على تحمّل المسؤوليّة في مجال الدمار والألم الذي قد تسبّبه الحرب، فمن غير المستبعد أن يحدث حادث، لا يمكن التّنبؤ به ولا يمكن السّيطرة عليه، يشعل الشّرارة التي تحرّك جهاز الحرب"[3]. مع تهديد الأسلحة النووية، نحن جميعًا خاسرون دائمًا، جميعًا!

وفي هذا الموضوع نفسه، ما زال مصدر قلق خاصّ توقف المفاوضات في خطة العمل العالميّة المشتركة، والمعروفة باسم اتفاقيّة إيران النووية. آمل أن يتمّ التّوصل إلى حلّ عمليّ في أقرب وقت ممكن لضمان مستقبل فيه مزيد من الأمان.

اليوم، نحن أمام حرب عالميّة ثالثة في عالم معولم، حيث تؤثّر الصّراعات بشكل مباشر، ليس فقط على بعض مناطق الكوكب، بل تشمل الجميع بشكل أساسي. أقرب الأمثلة وأحدثها هو بالتّحديد الحرب في أوكرانيا، وما تلاها من موت ودمار، مع الهجمات على البنيّة التّحتية المدنية التي أدت إلى فقدان الناس حياتهم ليس فقط من القنابل والعنف، ولكن أيضًا من الجوع والبرد. وفي هذا الصدد، يؤكّد الدستور المجمعي ”فرح ورجاء“ أنّ "كلّ عمل حربي يهدف دون تمييز إلى تدمير مدن بأكملها أو مناطق شاسعة وسكانها، هو جريمة ضد الله وضد الإنسانيّة نفسها ويجب إدانتها بحزم وبدون تردد" (رقم 80). يجب ألّا ننس أيضًا أنّ الحرب تؤثّر بشكل خاص على أكثر الناس هشاشة - الأطفال وكبار السّن والمعاقين - وتمزّق العائلات وتترك فيها أثرًا لا يمحى. اليوم، لا يسعني إلّا أن أجدّد ندائي من أجل إنهاء فوري لهذا الصّراع الذي لا معنى له، والذي تطال آثاره مناطق بأكملها، حتى خارج أوروبا بسبب تداعياته في مجال الطّاقة وفي مجال إنتاج الغذاء، وخاصّة في إفريقيا والشّرق الأوسط.

تقودنا الحرب العالميّة الثالثة المجزأة التي نمرّ بها إلى النظر إلى أماكن التّوتر والصّراعات الأخرى. وفي هذا العام، ومع الكثير من الألم، يجب أن ننظر إلى سوريا على أنّها أرض معذبة. تقتضي نهضة هذا البلد الإصلاحات اللازمة، بما في ذلك الإصلاحات الدستوريّة، في محاولة لإعطاء الأمل للشعب السّوري المنكوب بالفقر المتزايد باستمرار. ويجب ألّا يكون للعقوبات الدوليّة المفروضة تداعيات على الحياة اليوميّة لسكان كثرت آلامهم.

ويتابع الكرسي الرسولي بقلق تصاعد العنف بين الفلسطينيّين والإسرائيليّين، وما يترتب على ذلك من نتائج مأساوية للعديد من الضّحايا وانعدام الثّقة المتبادلة. وتتأثّر القدس بصورة خاصة بهذا الوضع. إنّها مدينة مقدّسة لليهود والمسيحيّين والمسلمين. دعوتها المنقوشة في اسمها هي أن تكون مدينة سلام، لكنّها للأسف مسرح صراعات. أنا على ثقة أنّه يمكن اكتشاف هذه الدعوة من جديد، لتكون مكانًا ورمزًا للقاء والعيش السّلمي معًا. وآمل أن يبقى الوصول إلى الأماكن المقدّسة وحرية العبادة فيها مضمونين ومحافظًا عليهما وفقًا للوضع القائم (status quo). وفي الوقت نفسه، آمل أن تتمكن سلطات دولة إسرائيل وسلطات دولة فلسطين من استعادة الشّجاعة والعزم على الدخول في حوار مباشر من أجل تنفيذ حلّ الدولتين بجميع أوجهه، وفقًا لـلقانون الدولي وجميع قرارات الأمّم المتّحدة ذات الصّلة.

كما تعلمون، في نهاية هذا الشّهر، سأتمكّن أخيرًا من الذهاب، في حِجَّة سلام، إلى جمهوريّة الكونغو الديمقراطيّة، على أمل أن يتوقّف العنف في شرق البلاد وأن يُغَلَّب طريق الحوار والإرادة في العمل من أجل الأمن والخير العام. سأتابع رحلة الحجّ إلى جنوب السّودان، حيث يرافقني رئيس أساقفة كانتربري والمدير العام للكنيسة المشيخيّة في اسكتلندا. معًا نرجو أن ننضم إلى صرخة الشّعب من أجل السّلام والمساهمة في عمليّة المصالحة الوطنيّة.

ويجب ألّا ننسى المواقف الأخرى التي تستمر فيها عواقب النزاعات التي لم تُحل بعد. أفكّر بشكل خاص في الوضع في جنوب القفقاز الجنوبي. أوجّه كلمتي إلى الطّرفين وأحثهما على احترام وقف إطلاق النار، وأعيد التّأكيد على أنّ إطلاق سراح السّجناء العسكريّين والمدنيّين سيكون خطوة مهمّة نحو اتفاق السّلام المنشود.

وأفكّر أيضًا في اليمن، حيث الهدنة التي تمّ التّوصل إليها في تشرين الأوّل/أكتوبر الماضي ما زالت سارية المفعول، ولكن العديد من المدنيّين لا يزالون يموتون بسبب الألغام الأرضيّة. وفي إثيوبيا، حيث آمل أن تستمّر عمليّة السّلام والتزام المجتمع الدولي بمعالجة الأزمة الإنسانيّة التي تؤثّر في البلاد.

وأتابع بقلق الوضع في غرب إفريقيا، التي تعاني بصورة متزايدة من عنف الإرهاب. أفكّر بصورة خاصّة في المآسي التي عانى منها سكان بوركينا فاسو ومالي ونيجيريا، وآمل أن تتمّ العمليات الانتقاليّة الجاريّة في السّودان ومالي وتشاد وغينيا وبوركينا فاسو، وفق التّطلعات المشروعة للسكان المعنيّين.

كما أنّني أتابع باهتمام خاصّ الوضع في ميانمار، التي تعاني من العنف والألم والموت منذ عامين، وحتى الآن. وأدعو المجتمع الدولي إلى إتمام عمليات المصالحة الجارية، وأحثّ جميع الأطراف المعنية على استئناف مسار الحوار لإعادة الأمّل إلى سكان تلك الأرض الحبيبة.

أخيرًا، أفكّر في شبه الجزيرة الكورية، التي آمل ألّا تفشل فيها النوايا الحسنة والالتزام بالوئام، من أجل بناء السّلام والازدهار المنشود للشّعب الكوري بأسره.

وبعد ذلك، فإنّ جميع النزاعات تسلّط الضّوء على العواقب المميتة بسبب اللجوء المستمّر إلى إنتاج أسلحة جديدة ومتطوّرة، يتمّ تبريرها أحيانًا "على أساس أنّه إذا كان السّلام ممكنًا اليوم، فلا يمكن أن يكون إلّا سلامًا قائمًا على توازن القوى"[4]. من الضّروريّ تقويض هذا المنطق والمضي قدمًا على طريق نزع السّلاح الكامل، إذ لا يمكن أن يوجد سلام حيث تنتشر أدوات الموت.

السّفراء الأعزاء،

في مثل زمن الصّراعات هذا، لا يمكنّنا تجنّب السّؤال عن كيفية إعادة ربط خيوط السّلام. من أين تبدأ؟

أحاول أن أبدأ بالجواب، لذلك أودّ أن أتناول معكم بعض عناصر الرّسالة العامة ”سلام على الأرض“. إنّها تبقى رسالة مناسبة لزمننا، على الرّغم من أنّ السّياق الدولي تغيّر كثيرًا. بالنسبة للقدّيس يوحنا الثالث والعشرين، السّلام ممكن في ضوء أربعة خيارات أساسيّة: الحقيقة والعدل والتّضامن والحرّيّة. هذه هي أحجار الزاوية التي تنظّم العلاقات بين الأفراد وبين الجماعات السّياسيّة[5].

هذه الأبعاد ترتبط مع الفرضيّة الأساسيّة القائلة إنّ "كلّ كائن بشريّ هو شخص، أي له طبيعة تتمتع بالعقل والإرادة الحرّة. وبالتالي فهو موضوع الحقوق والواجبات التي تنشأ بشكل فوري ومتزامن من طبيعته نفسها: هذه الحقوق والواجبات هي بالتالي عامّة، وعالميّة ولا يجوز المساس بها، وهي غير قابلة للتصرّف"[6].

سلام في الحقيقة

إنّ بناء السّلام في الحقيقة يعني قبل كلّ شيء احترام الإنسان، احترام "حقه في الوجود والسّلامة الجسديّة"[7]، ويجب ضمان "الحرّيّة له في البحث عن الحقيقة والتّعبير عن فكره ونشره"[8]. وهذا يتطلّب أن "تساهم السّلطات العامّة بشكل إيجابي في خلق بيئة بشريّة يمكن فيها لجميع أعضاء الجسم الاجتماعيّ أن يمارسوا ممارسة فعّالة حقوقهم المذكورة أعلاه، فضلًا عن أداء واجباتهم"[9].

على الرّغم من الالتزامات التي تعهدت بها جميع الدول باحترام حقوق الإنسان والحريّات الأساسيّة لكلّ شخص، لا تزال النساء اليوم، في العديد من البلدان، مواطنات من الدرجة الثانيّة. يتعرَّضْنَ للعنف والإساءة، ويُحرَمْنَ فرصة الدراسة والعمل والتّعبير عن مواهبهنَّ، والحصول على الرّعاية الصّحيّة وحتى الطّعام. بينما حيث يتمّ الاعتراف بحقوق الإنسان للجميع، يمكن للمرأة أن تقدّم مساهمتها التي لا يمكن تعويضها في الحياة الاجتماعيّة وأن تكون الحليف الأوّل من أجل السّلام.

يتطلّب السّلام قبل كلّ شيء أن ندافع عن الحياة، وهو خير يتعرّض للخطر اليوم ليس فقط بسبب النزاعات والجوع والمرض، لكن في كثير من الأحيان حتى وهو في رحم أمِّه، بادعاء ”الحق في الإجهاض“. لا يمكن لأحد الادعاء بأنّ له حقًّا على حياة إنسان آخر، خاصّةً إذا كان أعزل، ومحرومًا من أي إمكانية للدفاع عن نفسه. لذلك أناشد ضمائر الرجال والنساء ذوي النوايا الحسنة، ولا سيّما أصحاب المسؤوليّات السياسيّة، للعمل على حماية حقوق الأضعفين، والقضاء على ثقافة الإقصاء، التي تصيب، للأسف، المرضى والمعاقين وكبار السن. تقع على عاتق الدول مسؤوليّة أساسيّة في ضمان مساعدة المواطنين في كلّ مرحلة من مراحل الحياة البشريّة، حتى الموت الطبيعي، والعمل على أن يشعر كلّ واحد بأنّه يجد المرافقة والعناية اللازمة في أشد الأوقات في حياتهم.

يتعرّض الحق على الحياة للخطر أيضًا حيث يستمّر تطبيق عقوبة الإعدام، كما يحدث هذه الأيام في إيران، في أعقاب المظاهرات الأخيرة التي دعت إلى قدر أكبر من الاحترام لكرامة المرأة. لا يمكن استخدام عقوبة الإعدام من أجل عدالة تصنعها الدولة، لأنّها ليست رادعًا، ولا توفّر العدالة للضحايا، لكنّها تغذي فقط عطش الانتقام. لذلك، إنّي أناشد جميع الدول لإلغاء عقوبة الإعدام في تشريعاتها، فهي غير مقبولة في كلّ الأحوال، لأنّها اعتداء على حرمة وكرامة الإنسان. ولا يمكننا أن ننسى أنّ الشّخص يمكنه، حتى اللحظة الأخيرة، أن يتوب وأن يتغيَّر.

يبدو، مع الأسف، انتشار متزايد لظاهرة جديدة هي ”الخوف" من الحياة“. يظهر ذلك في أماكن كثيرة، في الخوف من المستقبل وفي صعوبة تكوين عائلة وإنجاب الأولاد. في بعض الأماكن، أفكّر في إيطاليا على سبيل المثال، هناك انخفاض خطير في معدل المواليد، إنّه شتاء ديموغرافي حقيقي، يعرِّض مستقبل المجتمع للخطر. إلى الشّعب الإيطالي العزيز، أودّ أن أجدّد تشجيعي على مواجهة تحديّات الوقت الحاضر بإصرار وأمل، أقوياء بجذورهم الدينيّة والثّقافيّة.

تجد المخاوف غذاءها في الجهل والأحكام المسبقة، وتتحوّل بسهولة إلى صراعات. التّعليم هو المضاد الحيوي لذلك. يقدّم الكرسي الرسولي ويشجع رؤية متكاملة للتّعليم، حيث "تسير معًا القيَم الدينيّة وصقل الضّمير الأخلاقي، مع مزيد من استيعاب ثراء العناصر العلميّة والتقنيّة"[10]. يتطلّب التّعليم دائمًا الاحترام الكامل للفرد وخصائصه الطّبيعيّة، وتجنب فرض رؤية جديدة ومشوشة للإنسان. وهذا يعني دمج مسارات النمو البشريّ والرّوحيّ والفكريّ والمهنيّ، والسّماح للفرد بتحرير نفسه من أشكال العبوديّة المتعددة وتثبيت نفسه في المجتمع بطريقة حرّة ومسؤولة. بهذا المعنى، من غير المقبول استبعاد جزء من السّكان من التّعليم، كما يحدث الآن للنساء الأفغانيّات.

أصبح التّعليم تحت رحمة أزمة تفاقمت بسبب العواقب المدمرة للجائحة والسّيناريو الجيوسياسيّ المقلق. ومن هذا المنطلق، مثلت ”القمة لتحويل التّعليم“، التي دعا إليها الأمين العام للأمّم المتّحدة، وعقدت في أيلول/ سبتمبر الماضي في نيويورك، كانت فرصة فريدة للحكومات لاتخاذ سياسات شجاعة تهدف إلى معالجة ”الكارثة التّعليميّة“ القائمة، ولاتخاذ خيارات عمليّة لتوفير التّعليم الجيّد للجميع بحلول عام 2030. يجب على الدول أن تكون لها الشّجاعة لتعكس العلاقة المحرجة وغير المتكافئة بين الإنفاق العام المخصّص للتّعليم والأموال المخصّصة للتسلح!

يتطلّب السّلام أيضًا اعترافًا عالميًّا بالحرّيّة الدينيّة. إنّه لأمر مقلق أن يوجد أناس يتعرضون للاضطهاد لمجرد أنّهم يعلنون دينهم علانية وهناك العديد من البلدان حيث الحرّيّة الدينيّة محدودة. يعيش حوالي ثلث سكان العالم في هذه الحالة. ومع غياب الحرّيّة الدينيّة، هناك أيضًا الاضطهاد بسبب الدين. لا يسعني إلّا أن أذكر، كما تظهر بعض الإحصاءات، أنّ واحدًا من كلّ سبعة مسيحيّين مضطهد. وفي هذا الصدد، أعرب عن أملي أن يكون للمبعوث الخاصّ الجديد للاتحاد الأوروبي لتعزيز حرّيّة الدين أو المعتقد خارج الاتحاد الأوروبي، أعرب عن أملي أن تُوَفَّر له الموارد والوسائل اللازمة لتنفيذ مهمته على أفضل وجه.

في الوقت نفسه، من المفيد ألّا ننسى أنّ العنف والتّمييز ضدّ المسيحيّين آخذان بالازدياد، وأيضًا في البلدان التي ليس المسيحيون فيها أقليّة. فالحرّيّة الدينية تتعرّض للخطر، إذ يرى المؤمنون أنّ إمكانية التّعبير عن معتقداتهم في سياق الحياة الاجتماعيّة قد تقلّصت، باسم فهم خاطئ للإدماج. الحرّيّة الدينية، التي لا يمكن اختزالها في مجرد حرّيّة العبادة، هي أحد أدنى المتطلبات الضّروريّة للعيش بكرامة، ومن واجب الحكومات أن تحميها وأن تضمن لكلّ شخص، بما يتفق والخير العام، فرصة التّصرف وفقًا لضميره، في مجال الحياة العامّة أيضًا، وفي ممارسة مهنته.

الدين فرصة فعالة للحوار واللقاء بين مختلف الشّعوب والثّقافات، كما يتضح من قرار برلمان تيمور – ليستي (Timor-Leste) الذي وافق بالإجماع على وثيقة الأخوّة الإنسانيّة التي وقَّعتُ عليها مع الإمام الأكبر للأزهر في عام 2019، بما في ذلك برامج المؤسّسات التّعليميّة والثّقافيّة الوطنيّة. وقد اطلعت أيضًا شخصيًّا على ذلك، في الرّحلة التي قمت بها إلى كازاخستان في أيلول/سبتمبر الماضي في مناسبة الاجتماع السابع للقادة الدينيّين في العالم، الذين شاركت معهم بعض اهتمامات عصرنا، وقد لمسنا لمس اليد أنّ الأديان "ليست هي المشكلة، لكنّها جزء من الحلّ، من أجل عيشٍ معًا فيه مزيد من الانسجام"[11]. كانت زيارة البحرين ذات أهمية مماثلة، حيث تمّ اتخاذ خطوة جديدة في المسيرة بين المؤمنين المسيحيّين والمسلمين.

نريد غالبًا أن ننسب النّزاعات المختلفة في الإنسانيّة إلى الدين. قد تكون هناك محاولات مؤسفة بالفعل لاستخدام الدين كأداة لأغراض سياسيّة محضة. لكن هذا مخالف لوجهة النظر المسيحيّة، التي تكشف عن جذور الصّراعات، وأنّها ناتجة عن اختلال في القلب البشري: "مِن باطِنِ النَّاس، مِن قُلوبِهم، تَنبَعِثُ المَقاصِدُ السَّيِّئَةُ" (مرقس 7، 21)، كما يذكّرنا الإنجيل. المسيحيّة تدعو إلى السّلام، وتدعو إلى التّوبة وممارسة الفضيلة.

السّلام في العدل

يتطلّب بناء السّلام السّعي لتحقيق العدل. تمّ استيعاب أزمة عام 1962 بفضل مساهمة رجال ذوي نوايا حسنة، عرفوا كيف يجدون الحلول المناسبة التي منعت التّوتر السّياسيّ من التّحوّل إلى حرب حقيقيّة. كان هذا ممكنًا أيضًا بفضل الاعتقاد بأنّه يمكن حلّ النّزاعات في إطار القانون الدوليّ ومن خلال تلك المنظمات، وخاصّة الأمّم المتّحدة، التي نشأت بعد الحرب العالميّة الثانيّة، والتي طوّرت الدبلوماسيّة متعدّدة الأطراف. يذكر القدّيس يوحنا الثالث والعشرون أنّ: "الأمم المتّحدة حدّدت لنفسها الهدف الأساسي الذي هو الحفاظ على السّلام وتوطيده بين الشّعوب، وتنميّة العلاقات الودية فيما بينها، على أساس مبادئ المساواة والاحترام المتبادل والتّعاون متعدّد الأوجه في جميع مجالات العيش معًا"[12].

لقد أوضح الصّراع الحالي في أوكرانيا الأزمة القائمة في النظام العالميّ التّعددي، وأنّه يحتاج إلى إعادة تفكير عميق، لكي يقدر أن يستجيب بالصّورة المناسبة لتحديّات عصرنا. وهذا يتطلّب إصلاح الهيئات التي تعمل من خلالها، فتكون ممثلة فعلًا لاحتياجات وحساسيات جميع الشّعوب، وتتجنّب الآليات التي تعطي وزنًا أكبر للبعض على حساب الآخرين. لذلك، ولهذا فالمطلوب هو ليس خلق كتل متحالفة، بل خلق فرص للجميع ليكونوا قادرين على المشاركة في الحوار.

معًا يمكن أن يُصنَع خير كثير. لنفكّر في المبادرات الجديرة بالثناء التي تهدف إلى الحدّ من الفقر، أو مساعدة المهاجرين، أو مقاومة تغيّر المناخ، أو تعزيز نزع السّلاح النّووي، وتقديم المساعدة الإنسانيّة. لكن في الآونة الأخيرة، مع الأسف، اتسمت المحافل الدوليّة المختلفة بمزيد من الاستقطاب ومحاولات فرض فكر واحد، ما يمنع الحوار ويهمش من يفكّر بصورة مختلفة. هناك خطر الانجراف، الذي يتخذ بشكل متزايد صورة الشّمولية الإيديولوجيّة (totalitarismo ideologico)، التي تعزّز عدم التّسامح تجاه الذين لا يقبلون مواقف ”التّقدم“ المزعومة، والتي يبدو في الواقع أنّها تؤدي إلى تراجع عام للبشريّة، وانتهاك حرّيّة الفكر والضّمير.

علاوة على ذلك، تمّ استخدام موارد أكبر من أيّ وقت مضى لفرض أشكال من الاستعمار الأيديولوجيّ، وخاصّة على أفقر البلدان، وفُرِضَت صلة مباشرة بين تقديم المساعدة الاقتصاديّة وقبول مثل هذه الأيديولوجيات. وقد أدى ذلك إلى توتر الجدل داخل المنظمات الدّوليّة، وحال دون التّبادلات المثمرة، واشتدت الرّغبة في كثير من الأحيان في معالجة القضايا بصورة استقلاليّة، على أساس ميزان القِوى.

من ناحية أخرى، في رحلتي إلى كندا في تموز/يوليو الماضي، تمكّنت من لمس عواقب الاستعمار بصورة مباشرة، لا سيّما عند مقابلة السّكان الأصليّين، الذين عانوا من سياسات الاستيعاب في الماضي. إنّ أيّ محاولة لفرض أشكال فكريّة على ثقافات أخرى لا تنتمي إليها تفتح الطّريق أمام مواجهات مريرة، تؤدي أحيانًا إلى العنف.

من الضّروريّ العودة إلى الحوار، والاستماع المتبادل والتّفاوض، وتعزيز المسؤوليّات المشتركة والتّعاون في البحث عن الخير العام، باسم ذلك التّضامن الذي "يأتي من معرفة أنّنا مسؤولون عن ضعف الآخرين من خلال السّعي لتحقيق مصير مشترك"[13]. المعارضات وحقّ النقض المتبادل يؤدّي فقط إلى مزيد من الانقسامات.

سلام في تضامن

في رسالتي السّنوية لليوم العالمي للسلام، قلت إنّ الجائحة (Covid-19) غرست فينا "الوعي بأنّنا جميعًا بحاجة بعضنا إلى بعض"[14]. دروب السّلام دروب تضامن، لأنّ لا أحد يستطيع أن يخلّص نفسه وحده. نحن نعيش في عالم مترابط إلى حد أنّ عمل كلّ واحد له تداعيات على الجميع.

وهنا، أودّ أن أسلّط الضّوء على ثلاثة مجالات يظهر فيها الروابط التي تربط بين البشريّة اليوم بقوّة خاصّة، وتتطلّب بصورة خاصّة المزيد من التّضامن.

الأوّل هو الهجرة، التي تظهر في مناطق بأكملها من الأرض. في كثير من الأحيان، المهاجرون هم أشخاصًا هاربون من الحرب والاضطهاد، ويواجهون مخاطر جسيمة. من ناحية أخرى، "لكلّ إنسان الحقّ في حرية التّنقل [...] للهجرة والاستقرار في مجتمعات سياسية أخرى"[15] ويجب أن تكون له إمكانيّة العودة إلى وطنه.

الهجرة قضيّة لا يُقبل فيها ”العمل بترتيب عشوائي“. حتى نفهم ذلك، لننظر فقط إلى البحر الأبيض المتوسط، الذي أصبح مقبرة كبيرة. تلك الأرواح المحطمة هي إشارة إلى غرق حضارتنا، كما استطعت أن أذكر ذلك في رحلتي إلى مالطا في الرّبيع الماضي. في أوروبا، من الضّروريّ تعزيز الإطار التّنظيميّ، بالموافقة على الميثاق الجديد للهجرة واللجوء، فيستطيع كلّ بلد تنفيذ السّياسات المناسبة لاستقبال المهاجرين ومرافقتهم وتعزيزهم ودمجهم. في الوقت نفسه، يتطلّب التّضامن ألّا يقع ثقل عمليات المساعدة والرّعاية اللازمة للغرقى بصورة كاملة على سكان موانئ الاستقبال الرّئيسيّة.

المجال الثّاني هو الاقتصاد والعمل. لقد أبرزت الأزمات المتلاحقة في السّنوات الأخيرة حدود النظام الاقتصادي الذي يهدف إلى تحقيق الربح لعدد قليل، أكثر من اهتمامه لتوفير فرص الرّفاه للكثيرين. إنّه اقتصاد يطلب المال أكثر من إنتاج السّلع المفيدة. وقد أدى ذلك إلى خلق المزيد من الأعمال التّجارية المتعثّرة وأسواق عمل غلب عليها الشّرّ. يجب إعادة الكرامة للمشاريع، وللعمل، ومحاربة جميع أشكال الاستغلال التي تنتهي بمعاملة العمال كسلعة، لأنّه "بدون عمل لائق وبأجر جيّد، لا يصبح الشّباب بالغين حقًا، وتزداد عدم المساواة"[16].

المجال الثّالث هو العناية ببيتنا المشترك. نحن نواجه باستمرار التّغيرات المناخيّة وآثارها الخطيرة على حياة مجموعات سكانية بأكملها، سواء من حيث الدمّار الذي تسبّبه في بعض الأحيان، كما حدث في الباكستان في المناطق التي اجتاحتها الفيضانات، وحيث ازداد تفشي الأمراض المنقولة بالمياه الراكدة. أو في مناطق شاسعة من المحيط الهادئ، حيث سبَّب ارتفاع الحرارة العالميّة أضرارًا لا حصر لها في مجال صيد السّمك، وهو أساس الحياة اليوميّة لسكان بأكملهم. وفي كلّ من الصّومال والقرن الأفريقي، حيث سبَّب الجفاف مجاعة شديدة. وفي الأيام الأخيرة في الولايات المتّحدة، حيث تسبب الصّقيع المفاجئ والشّديد بمقتل أشخاص كثيرين.

في الصّيف الماضيّ، قرّر الكرسي الرّسولي الانضمام إلى اتفاقية الأمم المتّحدة الإطاريّة بشأن تغيّر المناخ، عازمًا على تقديم دعمه المعنوي لجهود جميع دول التّعاون، وفقًا لمسؤولياتها وقدراتها، على الاستجابة الفعالة والملائمة لمواجهة التّحديات التي يفرضها تغيّر المناخ. من المأمول أنّ الخطوات التي اتخذت في لقاء COP27، واعتماد الخطّة التّنفيذيّة في شرم الشّيخ (Sharm el-Sheikh Implementation Plan)، بالرّغم من محدوديتها، يمكن أن ترفع وعي البشريّة جمعاء تجاه قضيّة ملّحة لم يعد من الممكن تجنبها. وقد تمّ الاتفاق على أهداف مشجعة في مؤتمّر الأمم المتّحدة الأخير بشأن التّنوع البيولوجي (COP15)، الذي عُقِدَ في مونتريال في الشّهر الماضي.

سلام في الحرّيّة

أخيرًا، يتطلّب بناء السّلام ألّا يكون هناك مكان "للإضرار بحرّيّة وسلامة وأمن الدول الأخرى، بغض النظر عن مساحة أراضيها أو قدرتها الدفاعيّة"[17]. هذا ممكن إن لم تسُدْ ثقافة الظّلم والعدوان في كلّ المجتمعات، والتي تجعلنا نرى في جارنا عدُوًّا يجب مقاتلته، بدلًا من أخ أو أخت نرحّب به ونعانقه[18].

يثير القلق تراجع الديمقراطيّة، في أجزاء كثيرة من العالم، وتحديد الحرّيّة التي تسمح بها، هذا بالإضافة إلى محدوديّة كلّ نظام بشري. في كثير من الأحيان، تدفع النساء أو الأقليّات العرقيّة الثّمن، وكذلك التّوازن في مجتمعات بأكملها حيث يؤدّي عدم الارتياح إلى توترات اجتماعيّة، وإلى صدامات مسلّحة.

في مجالات عديدة، يظهر ضعف الديمقراطيّة بتنامي الاستقطاب السّياسيّ والاجتماعيّ، الذي لا يساعد على حلّ المشاكل الملحة للمواطنين. إنّني أفكّر في الأزمات السّياسيّة المختلفة في مختلف بلدان القارة الأمريكيّة، بما تنطوي عليه من توترات وأشكال عنف تؤدّي إلى تفاقم الصّراعات الاجتماعيّة. أفكّر بشكل خاصّ في ما حدث مؤخرًا في البيرو، وما حدث في السّاعات الأخيرة في البرازيل، والوضع المقلق في هايتي، حيث يتمّ أخيرًا اتخاذ بعض الخطوات لمعالجة الأزمة السّياسيّة التي كانت قائمة منذ وقت طويل. من الضّروريّ دائمًا التغلّب على منطق الأحزاب والعمل لبناء الخير العام.

وأتابع عن كثب الوضع في لبنان، الذي ما زال في حالة انتظار لانتخاب رئيس الجمهوريّة الجديد، وآمل أن تلتزم جميع القوى السّياسيّة بالسماح للبلد بالتعافي من الوضع الاقتصاديّ والاجتماعيّ المأساويّ الذي هو فيه.

أصحاب السّعادة، سيداتي، سادتي

من الجميل أن نلتقي مرّة، فقط لنشكر الله القدير على عطاياه التي يمنحنا إياها دائمًا، دون أن نضطّر إلى استعراض المواقف المأساويّة التي ابتليت بها البشريّة. قال يوحنا الثالث والعشرون: "يجوز لنا أن نأمل أن يكتشف الإنسان، باللقاءات والتّفاوض، بشكل أفضل الرّوابط التي تجمع بين الناس، بناءً على إنسانيتهمالمشتركة، ويكتشف أيضًا أنّ أحد أعمق احتياجات الإنسانيّة المشتركة هو: ألّا يسود الخوف بين الشّعوب بل الحبّ: الذي يظهر في التّعاون المخلِص بين الأطراف المتعدّدة، والذي يحمل الخيرات الكثيرة"[19]. وبهذه التّمنيات، أجدّد لكم وللبلدان التي تمثّلونها، أصدق التّمنيات في العام الجديد. شكرًا.

[00038-AR.02] [Testo originale: Italiano]

[B0020-XX.02]

 

 

[1] دستور رسوليّ، أعلنوا البشارة، 19 آذار/مارس 2022، المادّة 1.

 

 

[2] L’11 aprile 1963. Cfr AAS 55 (1963), 257-304.

 

 

[3] Pacem in terris, 60.

 

 

[4] Pacem in terris, 59.

 

 

[5] Cfr ibid., 47.

 

 

[6] Ibid., 5.

 

 

[7] Ibid., 6

 

 

[8] Ibid., 7

 

 

[9] Ibid, 38.

 

 

[10] Ibid., 80.

 

 

[11] كلمة في افتتاح المؤتمر السّابع لقادة الديانات العالميّة والتّقليديّة، نور سلطان، 14 أيلول/سبتمبر 2022.

 

 

[12] Pacem in terris, 75.

 

 

[13] رسالة بابوية عامة، كلّنا إخوة - Fratelli tutti، 3 تشرين الأوّل/أكتوبر 2020، 115.

 

 

[14] رسالة في مناسبة اليوم العالمي السّادس والخمسين للسّلام، 8 كانون الأوّل/ديسمبر 2022، 3.

 

 

[15] Pacem in terris, 12.

 

 

[16] كلمة إلى المشاركين في اللقاء ”اقتصاد فرنسيس“، أسيزي، 24 أيلول/سبتمبر 2022.

 

 

[17] Pacem in terris, 66. Cfr Pio XII, Radiomessaggio natalizio, 24 dicembre 1942.

 

 

[18] راجع كلمة إلى الدبلوماسيّين المُعتَمدين لدى الكرسي الرسولي، 22 آذار/مارس 2013.

 

 

[19] Pacem in terris, 67.