Sala Stampa

www.vatican.va

Sala Stampa Back Top Print Pdf
Sala Stampa


Messa Esequiale per il Sommo Pontefice Emerito Benedetto XVI, 05.01.2023


Omelia del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Alle ore 9.30 di questa mattina, sul Sagrato della Basilica di San Pietro, il Santo Padre Francesco ha presieduto la Santa Messa esequiale per il defunto Sommo Pontefice Emerito Benedetto XVI.

Al termine della Celebrazione Eucaristica hanno avuto luogo l’Ultima Commendatio e la Valedictio.

Quindi il feretro del Sommo Pontefice Emerito è stato portato nelle Grotte Vaticane della Basilica di San Pietro per la tumulazione.

Pubblichiamo di seguito il testo dell’omelia che il Papa ha pronunciato dopo la proclamazione del Santo Vangelo:

Omelia del Santo Padre

«Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46). Sono le ultime parole che il Signore pronunciò sulla croce; il suo ultimo sospiro – potremmo dire –, capace di confermare ciò che caratterizzò tutta la sua vita: un continuo consegnarsi nelle mani del Padre suo. Mani di perdono e di compassione, di guarigione e di misericordia, mani di unzione e benedizione, che lo spinsero a consegnarsi anche nelle mani dei suoi fratelli. Il Signore, aperto alle storie che incontrava lungo il cammino, si lasciò cesellare dalla volontà di Dio, prendendo sulle spalle tutte le conseguenze e le difficoltà del Vangelo fino a vedere le sue mani piagate per amore: «Guarda le mie mani», disse a Tommaso (Gv 20,27), e lo dice ad ognuno di noi: “Guarda le mie mani”. Mani piagate che vanno incontro e non cessano di offrirsi, affinché conosciamo l’amore che Dio ha per noi e crediamo in esso (cfr 1 Gv 4,16).[1]

«Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» è l’invito e il programma di vita che ispira e vuole modellare come un vasaio (cfr Is 29,16) il cuore del pastore, fino a che palpitino in esso i medesimi sentimenti di Cristo Gesù (cfr Fil 2,5). Dedizione grata di servizio al Signore e al suo Popolo che nasce dall’aver accolto un dono totalmente gratuito: “Tu mi appartieni… tu appartieni a loro”, sussurra il Signore; “tu stai sotto la protezione delle mie mani, sotto la protezione del mio cuore. Rimani nel cavo delle mie mani e dammi le tue”.[2] È la condiscendenza di Dio e la sua vicinanza capace di porsi nelle mani fragili dei suoi discepoli per nutrire il suo popolo e dire con Lui: prendete e mangiate, prendete e bevete, questo è il mio corpo, corpo che si offre per voi (cfr Lc 22,19). La synkatabasis totale di Dio.

Dedizione orante, che si plasma e si affina silenziosamente tra i crocevia e le contraddizioni che il pastore deve affrontare (cfr 1 Pt 1,6-7) e l’invito fiducioso a pascere il gregge (cfr Gv 21,17). Come il Maestro, porta sulle spalle la stanchezza dell’intercessione e il logoramento dell’unzione per il suo popolo, specialmente là dove la bontà deve lottare e i fratelli vedono minacciata la loro dignità (cfr Eb 5,7-9). In questo incontro di intercessione il Signore va generando la mitezza capace di capire, accogliere, sperare e scommettere al di là delle incomprensioni che ciò può suscitare. Fecondità invisibile e inafferrabile, che nasce dal sapere in quali mani si è posta la fiducia (cfr 2 Tim 1,12). Fiducia orante e adoratrice, capace di interpretare le azioni del pastore e adattare il suo cuore e le sue decisioni ai tempi di Dio (cfr Gv 21,18): «Pascere vuol dire amare, e amare vuol dire anche essere pronti a soffrire. Amare significa: dare alle pecore il vero bene, il nutrimento della verità di Dio, della parola di Dio, il nutrimento della sua presenza».[3]

E anche dedizione sostenuta dalla consolazione dello Spirito, che sempre lo precede nella missione: nella ricerca appassionata di comunicare la bellezza e la gioia del Vangelo (cfr Esort. ap. Gaudete et exsultate, 57), nella testimonianza feconda di coloro che, come Maria, rimangono in molti modi ai piedi della croce, in quella pace dolorosa ma robusta che non aggredisce né assoggetta; e nella speranza ostinata ma paziente che il Signore compirà la sua promessa, come aveva promesso ai nostri padri e alla sua discendenza per sempre (cfr Lc 1,54-55).

Anche noi, saldamente legati alle ultime parole del Signore e alla testimonianza che marcò la sua vita, vogliamo, come comunità ecclesiale, seguire le sue orme e affidare il nostro fratello alle mani del Padre: che queste mani di misericordia trovino la sua lampada accesa con l’olio del Vangelo, che egli ha sparso e testimoniato durante la sua vita (cfr Mt 25,6-7).

San Gregorio Magno, al termine della Regola pastorale, invitava ed esortava un amico a offrirgli questa compagnia spirituale: «In mezzo alle tempeste della mia vita, mi conforta la fiducia che tu mi terrai a galla sulla tavola delle tue preghiere, e che, se il peso delle mie colpe mi abbatte e mi umilia, tu mi presterai l’aiuto dei tuoi meriti per sollevarmi». È la consapevolezza del Pastore che non può portare da solo quello che, in realtà, mai potrebbe sostenere da solo e, perciò, sa abbandonarsi alla preghiera e alla cura del popolo che gli è stato affidato.[4] È il Popolo fedele di Dio che, riunito, accompagna e affida la vita di chi è stato suo pastore. Come le donne del Vangelo al sepolcro, siamo qui con il profumo della gratitudine e l’unguento della speranza per dimostrargli, ancora una volta, l’amore che non si perde; vogliamo farlo con la stessa unzione, sapienza, delicatezza e dedizione che egli ha saputo elargire nel corso degli anni. Vogliamo dire insieme: “Padre, nelle tue mani consegniamo il suo spirito”.

Benedetto, fedele amico dello Sposo, che la tua gioia sia perfetta nell’udire definitivamente e per sempre la sua voce!

_____________________________

[1] Cfr Benedetto XVI, Enc. Deus caritas est, 1.

[2] Cfr Id., Omelia nella Messa Crismale, 13 aprile 2006.

[3] Id., Omelia nella Messa di inizio del pontificato, 24 aprile 2005.

[4] Cfr ibid.

[00019-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

« Père, entre tes mains je remets mon esprit » (Lc 23, 46). Ce sont les dernières paroles que le Seigneur a prononcées sur la croix ; son dernier soupir - pourrait-on dire -, qui confirme ce qui a caractérisé toute sa vie : une permanente remise de soi entre les mains de son Père. Des mains de pardon et de compassion, de guérison et de miséricorde, des mains d’onction et de bénédiction qui le poussèrent à se livrer aussi aux mains de ses frères. Le Seigneur, ouvert aux histoires qu’il rencontrait sur son chemin, s’est laissé ciseler par la volonté de Dieu en prenant sur ses épaules toutes les conséquences et les difficultés de l’Évangile, jusqu’à voir ses mains meurtries par amour : « Vois mes mains », dit-il à Thomas (Jn 20, 27), et il le dit à chacun de nous, « Vois mes mains ». Des mains meurtries qui vont à la rencontre et ne cessent de s’offrir, afin que nous connaissions l’amour que Dieu a pour nous et que nous croyions en lui (cf. 1 Jn 4, 16).[1]

« Père, entre tes mains je remets mon esprit » est l’invitation et le programme de vie qui inspire et veut modeler comme un potier (cf. Is 29, 16) le cœur du pasteur, jusqu’à ce que palpitent en lui les mêmes sentiments que ceux du Christ Jésus (cf. Ph 2, 5). Dévouement reconnaissant de service au Seigneur et à son Peuple qui naît du fait d’avoir accueilli un don totalement gratuit : : “Tu m’appartiens... Tu leur appartiens”, susurre le Seigneur ; “Tu es sous la protection de mes mains, sous la protection de mon coeur. Reste dans le creux de mes mains et donne-moi les tiennes”.[2] C'est la condescendance de Dieu et sa proximité capable de se placer dans les mains fragiles de ses disciples pour nourrir son peuple et dire avec lui : prenez et mangez, prenez et buvez, ceci est mon corps, mon corps qui s’offre pour vous (cf. Lc 22, 19). La synkatabasis totale de Dieu.

Un dévouement priant, qui se façonne et s’affine silencieusement entre les carrefours et les contradictions que le pasteur doit affronter (cf. 1 P 1, 6-7) et l’invitation confiante à paître le troupeau (cf. Jn 21, 17). Comme le Maître, il porte sur ses épaules la fatigue de l’intercession et l’usure de l’onction pour son peuple, surtout là où la bonté doit lutter et où les frères voient leur dignité menacée (cf. He 5, 7-9). Dans cette rencontre d’intercession, le Seigneur continue à générer la douceur capable de comprendre, d’accueillir, d’espérer et de parier au-delà des incompréhensions que cela peut susciter. Une fécondité invisible et insaisissable, qui naît du fait de savoir dans quelles la confiance a été placée (cf. 2 Tm 1, 12). Une confiance priante et adoratrice, capable d’interpréter les actions du pasteur et d’adapter son cœur et ses décisions aux temps de Dieu (cf. Jn 21, 18) : « Être le pasteur veut dire aimer, et aimer veut dire aussi être prêt à souffrir. Aimer signifie: donner aux brebis le vrai bien, la nourriture de la vérité de Dieu, de la parole de Dieu, la nourriture de sa présence ».[3]

Et aussi un dévouement soutenu par la consolation de l’Esprit, qui le précède toujours dans la mission : dans la quête passionnée de communiquer la beauté et la joie de l’Évangile (cf. Exhort. Ap. Gaudete et exsultate, n. 57), dans le témoignage fécond de ceux qui, comme Marie, restent de bien des manières au pied de la croix, dans cette paix douloureuse mais solide qui n’agresse ni ne soumet ; et dans l’espérance obstinée mais patiente que le Seigneur accomplira sa promesse, comme il l’avait promis à nos pères et à sa descendance à jamais (cf. Lc 1, 54-55).

Nous aussi, fermement attachés aux dernières paroles du Seigneur et au témoignage qui a marqué sa vie, nous voulons, en tant que communauté ecclésiale, suivre ses traces et confier notre frère aux mains du Père : que ces mains de miséricorde trouvent sa lampe allumée avec l’huile de l’Évangile qu’il a répandue et dont il a témoigné durant sa vie (cf. Mt 25, 6-7).

Saint Grégoire le Grand, à la fin de la Règle pastorale, invite et exhorte un ami à lui offrir cette compagnie spirituelle : « Au milieu des tempêtes de ma vie, je me console par la confiance que tu me tiendras à flot sur la table de tes prières, et que, si le poids de mes fautes m’abat et m’humilie, tu me prêteras le secours de tes mérites pour me relever ». C’est la conscience du pasteur qu’il ne peut pas porter tout seul ce que, en réalité, il ne pourrait jamais supporter tout seul et, par conséquent, il sait s’abandonner à la prière et au soin du peuple qui lui est confié.[4] C’est le peuple fidèle de Dieu qui, rassemblé, accompagne et confie la vie de celui qui a été son pasteur. Comme les femmes de l’Évangile au sépulcre, nous sommes ici avec le parfum de la gratitude et l’onguent de l’espérance pour lui démontrer, encore une fois, l’amour qui ne se perd pas. Nous voulons le faire avec la même onction, sagesse, délicatesse et dévouement qu’il a su prodiguer au cours des années. Nous voulons dire ensemble: “Père, entre tes mains nous remettons son esprit”.

Benoît, fidèle ami de l’Époux, que ta joie soit parfaite en entendant sa voix, définitivement et pour toujours !

___________________________

[1] Cf. Benoît XVI, Enc. Deus caritas est, n. 1.

[2] C. ID., Homélie de la Messe Chrismale, 13 avril 2006.

[3] ID., Homélie de la Messe inaugurale du pontificat, 24 avril 2005.

[4] Cf. ibid

[00019-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

“Father, into your hands I commend my spirit” (Lk 23:46). These were the final words spoken by the Lord on the cross; his last breath, as it were, which summed up what had been his entire life: a ceaseless self-entrustment into the hands of his Father. His were hands of forgiveness and compassion, healing and mercy, anointing and blessing, which led him also to entrust himself into the hands of his brothers and sisters. The Lord, open to the individuals and their stories that he encountered along the way, allowed himself to be shaped by the Father’s will. He shouldered all the consequences and hardships entailed by the Gospel, even to seeing his hands pierced for love. “See my hands”, he says to Thomas (Jn 20:27), and to each of us: “See my hands”. Pierced hands that constantly reach out to us, inviting us to recognize the love that God has for us and to believe in it (cf. 1 Jn 4:16).[1]

“Father into your hands I commend my spirit”. This is the invitation and the programme of life that he quietly inspires in us. Like a potter (cf. Is 29:16), he wishes to shape the heart of every pastor, until it is attuned to the heart of Christ Jesus (cf. Phil 2:5). Attuned in grateful devotion, in service to the Lord and to his people, a service born of thanksgiving for a completely gracious gift: “You belong to me… you belong to them”, the Lord whispers, “you are under the protection of my hands. You are under the protection of my heart. Stay in my hands and give me yours”.[2] Here we see the “condescension” and closeness of God, who is ready to entrust himself to the frail hands of his disciples, so that they can feed his people and say with him: Take and eat, take and drink, for this is my body which is given up for you (cf. Lk 22:19). The total synkatabasis of God.

Attuned in prayerful devotion, a devotion silently shaped and refined amid the challenges and resistance that every pastor must face (cf. 1 Pet 1:6-7) in trusting obedience to the Lord’s command to feed his flock (cf. Jn 21:17 ). Like the Master, a shepherd bears the burden of interceding and the strain of anointing his people, especially in situations where goodness must struggle to prevail and the dignity of our brothers and sisters is threatened (cf. Heb 5:7-9). In the course of this intercession, the Lord quietly bestows the spirit of meekness that is ready to understand, accept, hope and risk, notwithstanding any misunderstandings that might result. It is the source of an unseen and elusive fruitfulness, born of his knowing the One in whom he has placed his trust (cf. 2 Tim 1:12). A trust itself born of prayer and adoration, capable of discerning what is expected of a pastor and shaping his heart and his decisions in accord with God’s good time (cf. Jn 21:18): “Feeding means loving, and loving also means being ready to suffer. Loving means giving the sheep what is truly good, the nourishment of God’s truth, of God’s word, the nourishment of his presence”.[3]

Attuned also in devotion sustained by the consolation of the Spirit, who always precedes the pastor in his mission. In his passionate effort to communicate the beauty and the joy of the Gospel (cf. Gaudete et Exsultate, 57). In the fruitful witness of all those who, like Mary, in so many ways stand at the foot of the cross. In the painful yet steadfast serenity that neither attacks nor coerces. In the stubborn but patient hope that the Lord will be faithful to his promise, the promise he made to our fathers and to their descendants forever (cf. Lk 1:54-55).

Holding fast to the Lord’s last words and to the witness of his entire life, we too, as an ecclesial community, want to follow in his steps and to commend our brother into the hands of the Father. May those merciful hands find his lamp alight with the oil of the Gospel that he spread and testified to for his entire life (cf. Mt 25:6-7).

At the end of his Pastoral Rule, Saint Gregory the Great urged a friend to offer him this spiritual accompaniment: “Amid the shipwreck of the present life, sustain me, I beseech you, by the plank of your prayer, that, since my own weight sinks me down, the hand of your merit will raise me up”. Here we see the awareness of a pastor who cannot carry alone what in truth he could never carry alone, and can thus commend himself to the prayers and the care of the people entrusted to him.[4] God’s faithful people, gathered here, now accompanies and entrusts to him the life of the one who was their pastor. Like the women at the tomb, we too have come with the fragrance of gratitude and the balm of hope, in order to show him once more the love that is undying. We want to do this with the same wisdom, tenderness and devotion that he bestowed upon us over the years. Together, we want to say: “Father, into your hands we commend his spirit”.

Benedict, faithful friend of the Bridegroom, may your joy be complete as you hear his voice, now and forever!

___________________________

[1] Cf. BENEDICT XVI, Deus Caritas Est, 1.

[2] Cf. ID., Homily for the Chrism Mass, 13 April 2006.

[3] ID., Homily for the Beginning of the Pontificate, 24 April 2005.

[4] Cf. Ibid.

[00019-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

»Vater, in deine Hände lege ich meinen Geist« (Lk 23,46). Dies sind die letzten Worte des Herrn am Kreuz; sein letzter Seufzer - so könnte man sagen -, der das zu bestätigen vermag, was sein ganzes Leben kennzeichnete: ein ständiges Sich-Hingeben in die Hände seines Vaters. In diese Hände der Vergebung und des Mitgefühls, der Heilung und der Barmherzigkeit, diese Hände der Salbung und des Segens, die ihn dazu brachten, sich dann auch in die Hände seiner Brüder und Schwestern zu geben. Der Herr ließ sich in Offenheit für die Geschehnisse, die ihm auf seinem Weg begegneten, vom Willen Gottes fein bearbeiten, indem er alle Konsequenzen und Schwierigkeiten des Evangeliums auf seine Schultern nahm, bis seine Hände die Wundmale seiner Liebe zeigten: »Sieh meine Hände«, sagte er zu Thomas (Joh 20,27) und er sagt dies zu einem jedem von uns: „Sieh meine Hände“. Verwundete Hände, die sich uns entgegenstrecken und immerfort darreichen, damit wir Gottes Liebe zu uns erkennen und an sie glauben (vgl. 1 Joh 4,16).[1]

»Vater, in deine Hände lege ich meinen Geist« - so lautet die Einladung und das Lebensprogramm, welches das Herz des Hirten inspiriert und es wie ein Töpfer (vgl. Jes 29,16) formen will, bis sich in ihm die Gesinnung Christi Jesu regt (vgl. Phil 2,5). Dankbare Hingabe im Dienst für den Herrn und sein Volk, die sich aus der Annahme einer gänzlich ungeschuldeten Gabe ergibt: „Du gehörst mir ... du gehörst zu ihnen“, flüstert der Herr; „du stehst unter dem Schutz meiner Hände. Du stehst unter dem Schutz meines Herzens. Du bist behütet in meinen schützenden Händen, und gerade so befindest du dich in der Weite meiner Liebe. Bleib in meinen Händen und gib mir die deinen“.[2] Die Nachsicht Gottes und seine Nähe ermöglichen es ihm, sich in die schwachen Hände seiner Jünger zu legen, um sein Volk zu speisen und mit dem Herrn zu sagen: Nehmt und esst, nehmt und trinkt, das ist mein Leib, Leib der für euch hingegeben wird (vgl. Lk 22,19). Die vollkommene synkatabasis Gottes.

Betende Hingabe, die sich still zwischen den Kreuzungspunkten und Widersprüchen, denen sich der Hirte stellen muss (vgl. 1 Petr 1,6-7), und der vertrauensvollen Aufforderung, die Herde zu hüten (vgl. Joh 21,17) herausbildet und verfeinert. Wie der Meister trägt er auf seinen Schultern die ermüdende Last des Eintretens für andere und die Zermürbung der Salbung für sein Volk, vor allem dort, wo das Gute zu kämpfen hat und die Brüder und Schwestern in ihrer Würde bedroht werden (vgl. Hebr 5,7-9). In dieser Begegnung der Fürsprache bringt der Herr die Sanftmut hervor, die fähig ist, zu verstehen, anzunehmen, zu hoffen und alles zu wagen – über das Unverständnis, das dies hervorrufen kann, hinaus. Es ist eine unsichtbare und unbegreifliche Fruchtbarkeit, die entsteht, wenn man weiß, in wessen Hände man sein Vertrauen gelegt hat (vgl. 2 Tim 1,12). Betendes und anbetendes Vertrauen, das den Hirten verstehen lässt, was zu tun ist und sein Herz und seine Entscheidungen den Zeiten Gottes anpasst (vgl. Joh 21,18): »Weiden heißt lieben, und lieben heißt auch, bereit sein zu leiden. Und lieben heißt: den Schafen das wahrhaft Gute zu geben, die Nahrung von Gottes Wahrheit, von Gottes Wort, die Nahrung seiner Gegenwart«.[3]

Und auch Hingabe, die vom Trost des Geistes getragen ist, der ihm bei seiner Sendung immer vorausgeht: in dem leidenschaftlichen Bestreben, die Schönheit und die Freude des Evangeliums zu vermitteln (vgl. Apostolisches Schreiben Gaudete et exsultate, 57), im fruchtbaren Zeugnis derer, die wie Maria in vielerlei Hinsicht beim Kreuz bleiben, in jenem schmerzvollen, aber starken Frieden, der weder angreift noch unterdrückt, und in der hartnäckigen, aber geduldigen Hoffnung, dass der Herr seine Verheißung erfüllen wird, wie er es unseren Vätern und seinen Nachkommen für immer verheißen hat (vgl. Lk 1,54-55).

Auch wir, die wir fest mit den letzten Worten des Herrn und dem Zeugnis, das sein Leben geprägt hat, verbunden sind, möchten als kirchliche Gemeinschaft in seine Fußstapfen treten und unseren Bruder den Händen des Vaters anvertrauen: Mögen diese Hände der Barmherzigkeit seine mit dem Öl des Evangeliums brennende Lampe vorfinden, das er während seines Lebens verbreitet und bezeugt hat (vgl. Mt 25,6-7).

Der heilige Gregor der Große lud am Ende seiner Pastoralregel einen Freund dazu ein und forderte ihn auf, ihm diese geistliche Weggemeinschaft zuteilwerden zu lassen: »Inmitten der Stürme meines Lebens tröstet mich die Zuversicht, dass du mich auf der Planke deiner Gebete über Wasser hältst, und dass du mir, wenn die Last meiner Fehler mich niederzieht und demütigt, die Hilfe deiner Verdienste leihst, um mich emporzuholen«. Dies ist das Bewusstsein des Hirten, dass er nicht allein tragen kann, was er in Wirklichkeit nie allein tragen könnte, und deshalb weiß er sich dem Gebet und der Fürsorge des Volkes zu überlassen, das ihm anvertraut wurde.[4] Das gläubige Volk Gottes versammelt sich, es begleitet das Leben dessen, der sein Hirte war und vertraut es dem Herrn an. Wie im Evangelium die Frauen am Grab, so sind wir hier mit dem Wohlgeruch der Dankbarkeit und der Salbung der Hoffnung, um ihm noch einmal die Liebe zu erweisen, die nicht vergeht; wir wollen dies mit derselben Salbung und Weisheit, mit demselben Feingefühl und derselben Hingabe tun, die er uns im Laufe der Jahre zu schenken wusste. Wir wollen gemeinsam sagen: „Vater, in deine Hände übergeben wir seinen Geist.“

Benedikt, du treuer Freund des Bräutigams, möge deine Freude vollkommen sein, wenn du seine Stimme endgültig und für immer hörst!

_______________________

[1] Vgl. Benedikt XVI., Enzyklika Deus caritas est, 1.

[2] Vgl. Ders., Homilie in der Chrisam-Messe, 13. April 2006.

[3] Ders., Homilie in der Hl. Messe zur Amtseinführung, 24. April 2005.

[4] Ebd.

[00019-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

 

Traduzione in lingua spagnola

«Padre, en tus manos encomiendo mi espíritu» (Lc23,46). Son las últimas palabras que el Señor pronunció en la cruz; su último suspiro —podríamos decir— capaz de confirmar lo que selló toda su vida: un continuo entregarse en las manos de su Padre. Manos de perdón y de compasión, de curación y de misericordia, manos de unción y bendición que lo impulsaron a entregarse también en las manos de sus hermanos. El Señor, abierto a las historias que encontraba en el camino, se dejó cincelar por la voluntad de Dios, cargando sobre sus hombros todas las consecuencias y dificultades del Evangelio, hasta ver sus manos llagadas por amor: «Aquí están mis manos» (Jn20,27), le dijo a Tomás, y lo dice a cada uno de nosotros: “aquí están mis manos”.Manos llagadas que salen al encuentro y no cesan de ofrecerse para que conozcamos el amor que Dios nos tiene y creamos en él (cf.1 Jn4,16).[1]

«Padre, en tus manos encomiendo mi espíritu» es la invitación y el programa de vida queinspiray quiere moldear como un alfarero (cf.Is29,16) el corazón del pastor, hasta que latan en él los mismos sentimientos de Cristo Jesús (cf.Flp2, 5).Entrega agradecidade servicio al Señor y a su Pueblo, que nace por haber acogido un don totalmente gratuito: “Tú me perteneces… tú les perteneces”,susurrael Señor; “tú estás bajo la protección de mis manos, bajo la protección de mi corazón. Permanece en el hueco de mis manos y dame las tuyas”.[2]Es la condescendencia de Dios y su cercanía, capaz de ponerse en las manos frágiles de sus discípulos para alimentar a su pueblo y decir con Él: tomen y coman, tomen y beban, esto es mi cuerpo,cuerpoque se entrega por ustedes (cf.Lc22,19).Lasynkatabasistotal de Dios.

Entrega oranteque se forja y acrisola silenciosamente entre las encrucijadas y contradicciones que el pastor debe afrontar (cf.1 P1,6-7) y la confiada invitación a apacentar el rebaño (cf.Jn21,17). Como el Maestro, lleva sobre sus hombros el cansancio de la intercesión y el desgaste de la unción por su pueblo, especialmente allí donde la bondad está en lucha y sus hermanos ven peligrar su dignidad (cf.Hb5,7-9). Encuentro de intercesión donde el Señor va gestando esa mansedumbre capaz de comprender, recibir, esperar y apostar más allá de las incomprensiones que esto puede generar. Fecundidad invisible e inaferrable, que nace de saber en qué manos se ha puesto la confianza (cf.2 Tm1,12). Confianza orante y adoradora, capaz de interpretar las acciones del pastor y ajustar su corazón y sus decisiones a los tiempos de Dios (cf.Jn21,18): «Apacentar quiere decir amar, y amar quiere decir también estar dispuestos a sufrir. Amar significa dar el verdadero bien a las ovejas, el alimento de la verdad de Dios, de la palabra de Dios; el alimento de su presencia».[3]

Y tambiénentrega sostenidapor la consolación del Espíritu, que lo espera siempre en la misión: en la búsqueda apasionada por comunicar la hermosura y la alegría el Evangelio (cf. Exhort. ap.Gaudete et exsultate, 57), en el testimonio fecundo de aquellos que, como María, permanecen de muchas maneras al pie de la cruz, en esa dolorosa pero recia paz que no agrede ni avasalla; y en la terca pero paciente esperanza en que el Señor cumplirá su promesa, como lo había prometido a nuestros padres y a su descendencia por siempre (cf.Lc1,54-55).

También nosotros, aferrados a las últimas palabras del Señor y al testimonio que marcó su vida, queremos, como comunidad eclesial, seguir sus huellas y confiar a nuestro hermano en las manos del Padre: que estas manos de misericordia encuentren su lámpara encendida con el aceite del Evangelio, que él esparció y testimonió durante su vida (cf.Mt25,6-7).

San Gregorio Magno, al finalizar laRegla pastoral, invitaba y exhortaba a un amigo a ofrecerle esta compañía espiritual: «En medio de las tempestades de mi vida, me alienta la confianza de que tú me mantendrás a flote en la tabla de tus oraciones, y que, si el peso de mis faltas me abaja y humilla, tú me prestarás el auxilio de tus méritos para levantarme». Es la conciencia del Pastor que no puede llevar solo lo que, en realidad, nunca podría soportar solo y, por eso, es capaz de abandonarse a la oración y al cuidado del pueblo que le fue confiado.[4]Es el Pueblo fiel de Dios que, reunido, acompaña y confía la vida de quien fuera su pastor. Como las mujeres del Evangelio en el sepulcro, estamos aquí con el perfume de la gratitud y el ungüento de la esperanza para demostrarle, una vez más, ese amor que no se pierde; queremos hacerlo con la misma unción, sabiduría, delicadeza y entrega que él supo esparcir a lo largo de los años. Queremos decir juntos: “Padre, en tus manos encomendamos su espíritu”.

Benedicto, fiel amigo del Esposo, que tu gozo sea perfecto al oír definitivamente y para siempre su voz.

___________________________

[1] Cf. Benedicto XVI, Carta enc. Deus caritas est, 1.

[2] Cf. Íd., Homilía en la Misa Crismal, 13 de abril de 2006.

[3] Íd., Homilía en la Misa de inicio del pontificado, 24 de abril de 2005.

[4] Cf. ibíd.

 

[00019-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

«Pai, nas tuas mãos entrego o meu espírito» (Lc23, 46): são as últimas palavras que o Senhor pronunciou na cruz; quase poderíamos dizer, o seu último suspiro, capaz de confirmar aquilo que caraterizou toda a sua vida: uma entrega contínua nas mãos de seu Pai. Mãos de perdão e compaixão, de cura e misericórdia, mãos de unção e bênção, que O impeliram a entregar-Se também nas mãos dos seus irmãos. Aberto às pendências que ia encontrando ao longo do caminho, o Senhor deixou-Se cinzelar pela vontade do Pai, carregando aos ombros todas as consequências e dificuldades do Evangelho até ao ponto de ver as suas mãos chagadas por amor. «Olha as minhas mãos»: disse Ele a Tomé (Jo20, 27); e o mesmo diz a cada um de nós: «Olha as minhas mãos». Mãos chagadas que se nos estendem numa oferta incessante a fim de conhecermos o amor que Deus tem por nós e acreditarmos nele (cf.1 Jo4, 16).[1]

«Pai, nas tuas mãos entrego o meu espírito» é o convite e o programa de vida que inspira e pretende modelar, como um oleiro (cf.Is29, 16), o coração do pastor até que palpitem nele os mesmos sentimentos de Cristo Jesus (cf.Flp2, 5): dedicação agradecida, dedicação orante e dedicação sustenta pela consolação do Espírito.

Dedicação agradecida, feita de serviço ao Senhor e ao seu Povo que nasce da certeza de se ter recebido um dom totalmente gratuito. «Pertences a eles; pertences-Me a Mim»: sussurra o Senhor. «Tu estás sob a proteção das minhas mãos, sob a proteção do meu coração. (…) Permanece no espaço das minhas mãos e dá-Me as tuas».[2]Trata-se da condescendência de Deus e da sua proximidade, capaz de Se colocar nas mãos frágeis dos seus discípulos para poderem alimentar o seu povo, dizendo com Ele: tomai e comei; tomai e bebei! Isto é o meu corpo oferecido por vós (cf.Lc22, 19). A synkatabasis total de Deus.

Dedicação orante, que se plasma e aperfeiçoa silenciosamente por entre as encruzilhadas e contradições, que o pastor deve enfrentar (cf.1 Ped1, 6-7), e o esperançado convite a apascentar o rebanho (cf.Jo21, 17). Como o Mestre, carrega sobre os ombros a canseira da intercessão e o desgaste da unção pelo seu povo, especialmente onde a bondade é contrastada e os irmãos veem ameaçada a sua dignidade (cf.Heb5, 7-9). Neste encontro de intercessão, o Senhor vai gerando a mansidão capaz de compreender, acolher, esperar e apostar para além das incompreensões que isso possa suscitar. Fecundidade invisível e incontrolável, que nasce de saber em que mãos temos posta a nossa confiança (cf.2 Tm1, 12). Confiança orante e adoradora, capaz de moldar as ações do pastor e adaptar o seu coração e as suas decisões aos tempos de Deus (cf.Jo21, 18): «Apascentar significa amar, e amar quer dizer também estar prontos para sofrer. Amar significa dar às ovelhas o verdadeiro bem, o alimento da verdade de Deus, da palavra de Deus, o alimento da sua presença».[3]

E tambémdedicação sustentada pela consolação do Espírito, que sempre o precede na missão e transparece na paixão de comunicar a beleza e a alegria do Evangelho (cf.Francisco, Exort. ap.Gaudete et exsultate, 57), no testemunho fecundo daqueles que, como Maria, permanecem de muitos modos ao pé da cruz, naquela paz dolorosa mas robusta que não agride nem escraviza; e na esperança obstinada mas paciente de que o Senhor há de cumprir a promessa feita aos nossos pais e à sua descendência para sempre (cf.Lc1, 54-55).

Também nós, firmemente unidos às últimas palavras do Senhor e ao testemunho que marcou a sua vida, queremos, como comunidade eclesial, seguir as suas pegadas e confiar o nosso irmão às mãos do Pai: que estas mãos misericordiosas encontrem a sua lâmpada acesa com o azeite do Evangelho, que ele difundiu e testemunhou durante a sua vida (cf.Mt25, 6-7).

No final daRegra Pastoral, São Gregório Magno convidava e exortava um amigo a prestar-lhe esta companhia espiritual: «No meio das tempestades da minha vida, conforta-me a confiança de que tu manter-me-ás à superfície sobre a tábua das tuas orações e, se o peso das minhas culpas me abater e humilhar, emprestar-me-ás a ajuda dos teus méritos para me elevar». É a consciência do pastor que não pode carregar sozinho aquilo que, na realidade, nunca poderia sustentar sozinho e, por isso, sabe abandonar-se à oração e ao cuidado do povo que lhe está confiado.[4]É o Povo fiel de Deus que, congregado, acompanha e confia a vida de quem foi seu pastor. Como as mulheres do Evangelho no sepulcro, estamos aqui com o perfume da gratidão e o unguento da esperança para lhe provar, uma vez mais, o amor que não se perde; queremos fazê-lo com a mesma unção, sabedoria, delicadeza e dedicação que ele soube dispensar ao longo dos anos. Queremos dizer juntos: «Pai, nas tuas mãos entregamos o seu espírito».

Bento, fiel amigo do Esposo, que a tua alegria seja perfeita escutando definitivamente e para sempre a sua voz!

___________________________

[1] Cf. Bento XVI, Carta enc. Deus caritas est, 1.

[2] Idem, Homilia na Missa Crismal (13/IV/2006).

[3] Idem, Homilia na Missa do Início do Pontificado (24/IV/2005).

[4] Cf. ibidem.

[00019-PO.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

„Ojcze, w Twoje ręce powierzam ducha mojego” (Łk23, 46). To ostatnie słowa, jakie Pan wypowiedział na krzyżu; Jego ostatnie tchnienie – można by powiedzieć – zdolne potwierdzić to, co charakteryzowało całe Jego życie: nieustanne powierzanie się w ręce Jego Ojca. Ręce przebaczenia i współczucia, uzdrowienia i miłosierdzia, ręce namaszczenia i błogosławieństwa, które skłoniły Go, by oddał się również w ręce swoich braci. Pan, otwarty na historie, które napotkał podczas drogi, pozwolił się wygładzić przez wolę Bożą, biorąc na swoje barki wszystkie konsekwencje i trudności Ewangelii, aż zobaczył swoje ręce przebite z miłości: „zobacz moje ręce”, powiedział do Tomasza (J20, 27), i mówi to do każdego z nas: „zobacz moje ręce”. Zranione ręce, które wychodzą na spotkanie i nie przestają się ofiarowywać, abyśmy poznali miłość, jaką Bóg ma ku nam (por.1 J4, 16)[1].

„Ojcze, w Twoje ręce powierzam ducha mojego” – to zaproszenie i program życia, który inspiruje i chce kształtować jak garncarz (por.Iz29, 16) serce pasterza, aż do wzbudzenia w nim tych samych uczuć, jakie żywił Jezus Chrystus (por.Flp2, 5).Wdzięczne oddaniesięna służbę Panu i Jego Ludowi, które rodzi się z przyjęcia całkowicie darmowego daru: „Należysz do Mnie (...) należysz do nich” – szepce Pan; „Jesteś w moich dłoniach i właśnie dzięki temu znajdujesz się w rozległej przestrzeni mojej miłości. Pozostań w moich rękach i oddaj Mi twoje”[2]. Jest to wyrozumiałość Boga i Jego bliskość zdolna do oddania się w kruche ręce uczniów, aby nakarmić swój lud i powiedzieć wraz z Nim: bierzcie i jedzcie, bierzcie i pijcie, to jest moje ciało, które za was będzie wydane (por.Łk22, 19). CałkowitesynkatabasisBoga.

Modlitewne poświęcenie się, które kształtuje się i doskonali w milczeniu wśród rozdroży i sprzeczności, z którymi musi się zmierzyć pasterz (por.1 P1, 6-7) oraz ufne zaproszenie do prowadzenia trzody (por.J21, 17). Podobnie jak Mistrz, dźwiga na swoich barkach trudy wstawiennictwa i wyniszczenie namaszczenia za swój lud, zwłaszcza tam, gdzie dobroć musi walczyć i bracia widzą, że ich godność jest zagrożona (por.Hbr5, 7-9). W tym spotkaniu wstawienniczym, Pan rodzi łagodność zdolną do zrozumienia, przyjęcia, ożywienia nadziei i stawania ponad nieporozumieniami, które to może wywołać. Niewidzialna i nieuchwytna ufność, która rodzi się ze świadomości, w czyich rękach pokłada się zaufanie (por.2 Tm1, 12). Modlitewna i adoracyjna ufność, zdolna do odczytywania działań pasterza i dostosowywania jego serca i decyzji do czasów Bożych (por.J21, 18): „Paść znaczy kochać, a kochać znaczy być gotowym także na cierpienie. Kochać znaczy: dawać owcom prawdziwe dobro, pokarm prawdy Bożej, słowa Bożego, pokarm obecności Boga”[3].

I takżepoświęcenie się wspieraneprzez pociechę Ducha Świętego, która zawsze poprzedza go w misji: w żarliwym dążeniu do przekazywania piękna i radości Ewangelii (por. Adhort. apost.Gaudete et exsultate, 57), w owocnym świadectwie tych, którzy jak Maryja trwają na wiele sposobów u stóp krzyża, w tym bolesnym, ale niezachwianym pokoju, który ani nie napada, ani nie podporządkowuje; oraz w nieustępliwej, ale cierpliwej nadziei, że Pan spełni swoją obietnicę, jak obiecał naszym ojcom i swoim potomkom na wieki (por.Łk1, 54-55).

My również, mocno przywiązani do ostatnich słów Pana i do świadectwa, które naznaczyło jego życie, chcemy jako wspólnota kościelna pójść jego śladami i powierzyć naszego brata w ręce Ojca: niech te ręce miłosierdzia znajdą jego lampę zapaloną olejem Ewangelii, którą rozkrzewiał i której był świadkiem podczas swego życia (por.Mt25, 6-7).

Św. Grzegorz Wielki, pod koniecReguły pasterskiej, zapraszał i napominał przyjaciela do ofiarowania mu tego duchowego towarzyszenia: „Proszę cię, byś mnie wśród niebezpieczeństw tego życia podtrzymywał deską twej modlitwy, aby podniosła mnie ręka twej zasługi, ponieważ mój własny ciężar mnie pogrąża” (40). Jest to świadomość Pasterza, że nie może udźwignąć sam tego, czego w rzeczywistości nigdy nie mógłby udźwignąć sam i dlatego umie powierzyć siebie na modlitwie i w trosce o powierzony mu lud[4]. To właśnie wierny Lud Boży, który zgromadzony, towarzyszy i powierza życie tego, który był jego pasterzem. Jak kobiety z Ewangelii przy grobie, jesteśmy tutaj z wonnościami wdzięczności i namaszczeniem nadziei, aby jeszcze raz okazać mu miłość, która nie ginie; chcemy to uczynić z tym samym namaszczeniem, mądrością, łagodnością i oddaniem, jakimi potrafił obdarowywać przez lata. Chcemy wspólnie powiedzieć: „Ojcze, w Twoje ręce powierzamy jego ducha”.

Benedykcie, wierny przyjacielu Oblubieńca, niech twoja radość będzie doskonała, gdy będziesz słyszał ostatecznie i na zawsze Jego głos!

___________________________

[1] Por. BENEDYKT XVI, Enc. Deus caritas est, 1.

[2] Por. TENŻE, Homilia podczas Mszy św. Krzyżma w Wielki Czwartek (13.04.2006): LꞌOsservatore Romano, wyd. polskie, n. 5 (283)/2006, s. 11.

[3] TENŻE, Homilia podczas Mszy św. inauguracji pontyfikatu (24 kwietnia 2005): LꞌOsservatore Romano, wyd. polskie, n. 6 (274)/2005, s. 11.

[4] Por. tamże.

[00019-PL.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

 

عظة قداسة البابا فرنسيس

في القدّاس الإلهيّ

في جنازة البابا السّابق بندكتس السّادس عشر

يوم الخميس 5 كانون الثّاني/يناير 2023

ساحة القدّيس بطرس

"يا أَبَتِ، في يَدَيكَ أَجعَلُ رُوحي!" (لوقا 23، 46). إنّها الكلمات الأخيرة التي قالها الرّبّ يسوع على الصّليب، هي النفَس الأخير - يمكننا أن نقول – والذي يؤكّد ما كان يميّز حياته كلّها، وهو: تسليمه نفسه الدّائم بين يَدَي أبيه. يَدَي مغفرة وشفقة وشفاء ورحمة، ويَدَي مَسحَة وبركة، دفعتاه إلى أن يسلّم نفسه أيضًا إلى أيدي إخوته. بالإضافة إلى ذلك، كان الرّبّ يسوع مُنفتحًا على قِصَص الناس التي كان يلتقيها على طول مسيرته، وترك مشيئة الله تعمل فيه، وأخذ على عاتقه كلّ عواقب الإنجيل وصعوباته، حتّى أنّه رأى الجراح في يديه بدافع المحبّة: قال لتوما: "انظُرْ يَدَيَّ" (يوحنّا 20، 27)، ويقول ذلك لكلّ واحدٍ منّا: "انظُرْ يَدَيَّ". يَدَان مجروحتان ممدودتان للّقاء، ولا تكفّان عن أن تمتَدَّ إلينا، حتّى نعرف محبّة الله لنا ونؤمن بها (راجع 1 يوحنّا 4، 16)[1].

"يا أَبَتِ، في يَدَيكَ أَجعَلُ رُوحي!" إنّها الدّعوة وبرنامج الحياة الذي ألهم وأراد أن يصوغ مثل جابل الإناء (راجع أشعيا 29، 16) قلب الرّاعي، حتّى تنبض فيه مشاعر المسيح يسوع نفسها (راجع فيلبي 2، 5). تفانى مع الشّكر في خدمة الرّبّ يسوع وشعبه، تفانيًا وُلِد من قبول عطيّة مجانيّة: ”أنت لِي... أنت لَهُم“، قال الرّبّ، ”أنت تحت حماية يَدَي، وتحت حماية قلبي. ابقَ في تجويفة يَدَي وأعطني يَدَيك“[2]. تنازُل الله وقربه مكّناه من أن يضع نفسه في أيدي تلاميذه الضّعيفة، لكي يطعم شعبه ويقول معه: خذوا كلّوا، خذوا اشربوا، هذا هو جسدي، جسدي الذي يُقدّم لكم (راجع لوقا 22، 19). تنازُل الله الكامل.

تفانٍ وصلاة، وقد تكوَّن وصُقِل بصمت بين مفترقات الطّرق والتّناقضات التي يجب على الرّاعي أن يواجِهَها (راجع 1 بطرس 1، 6-7) وتباعًا للدّعوة الواثقة لرعاية القطيع (راجع يوحنّا 21، 17). مثل المعلّم، حمل على كتفيه تعب الشّفاعة وإرهاق المَسْحة من أجل شعبه، لا سيّما حيث كان على الصّلاح أن يُجاهد، وكان الإخوة يرون أنّ كرامتهم مهدّدة (راجع عبرانيين 5، 7-9). في لقاء الشّفاعة هذا، وَلَّد الرّبّ يسوع وداعة قادرة على أن تفهم، وتستقبل، وتترجّى وتُراهن إلى أبعد من سوء الفهم الذي يمكن أن يثيره. خصوبة غير مرئيّة ولا يمكن الإمساك بها، نشأت من معرفته في أيّ يَدَيْن وضع ثقته (راجع 2 طيموتاوس 1، 12). ثقة وصلاة وسجود، قادرة على أن تفسّر أعمال الرّاعي وأن تكيّف قلبه وقراراته مع أوقات الله (راجع يوحنّا 21، 18): "أن نرعى تعني أن نحبّ، وأن نحبّ تعني أيضًا أن نكون مستعدّين لنتألّم. أن نحبّ تعني: أن نعطي الخراف الخير الحقيقيّ، غذاء حقيقة الله، وكلمة الله، وغذاء حضوره"[3].

وأيضًا تفانٍ تؤيده تعزية الرّوح القدس، الذي يسبقه دائمًا في رسالته: في البحث المندفع لإيصال جمال وفرح الإنجيل (راجع الإرشاد الرّسولي، اِفَرحوا وابتَهِجوا، 57)، وفي الشّهادة المثمرة، مثل مريم، شهادة الذين بقوا بطرقٍ مختلفة وكثيرة عند أقدام الصّليب، وفي ذلك السّلام المؤلم ولكن القويّ، الذي لا يهاجِم ولا يستعبِد، وفي الرّجاء العنيد والصّابر، في أنّ الرّبّ يسوع سَيَفِي بوعده، كما وعد آباءنا ونسله إلى الأبد (راجع لوقا 1، 54-55).

نحن أيضًا، المرتبطين ارتباطًا وثيقًا بكلمات الرّبّ يسوع الأخيرة وبالشّهادة التي ميّزت حياته، نريد، كجماعة كنسيّة، أن نتبع خطاه ونُوكل أخانا إلى يَدَي الآب: لتجد يدا الآب الرّحيمتان سراجه مضاءً بزيت الإنجيل، الذي نشره وشهد له في حياته (راجع متّى 25، 6-7).

القدّيس غريغوريوس الكبير، في نهاية ”القانون الرّعويّ“، دعا صديقًا وحثّه فقدّم له هذه المرافقة الرّوحيّة: "في وسط عواصف حياتي، تقوِّيني ثقتي بأنّك ستبقيني على مائدة صلواتك، وإن كان ثقل ذنوبي يثبّطني ويُذِلُّني، أنت ستقدّم لِي المساعدة بفضل استحقاقاتك لتشدِّدَني". في الحقيقة، أدرك الرّاعي أنّه لا يستطيع أن يحمل وحده ما لا يمكنه أن يتحمّله وحده، وبالتّالي، عرف كيف يترك نفسه للصّلاة ورعاية الشّعب المُوكل إليه[4]. وهذا شعب الله الأمين قد اجتمع ليرافق ويوكل إلى الله حياة من كان راعيه. مثل النّسوة عند القبر في الإنجيل، نحن هنا مع عِطْرِ الشّكر وطِيبِ الرّجاء لنظهر له، مرّة أخرى أيضًا، المحبّة التي لا تضيع، ونريد أن نفعل ذلك بنفس المسحة، والحكمة، والرّقة والتّفاني التي عرف أن يعطيها على مرّ السّنين. نريد أن نقول معًا: "يا أَبَتِ، في يَدَيكَ أَجعَلُ رُوحي!".

بندكتس، صديق العريس المخلِص، ليكن فرحك كاملًا في سماع صوته نهائيًا وإلى الأبد!

_____________________

[1] راجع البابا بندكتس السّادس عشر، رسالة بابويّة عامّة، الله محبّة، 1.

[2] راجع المرجع نفسه، عظة في قداس الميرون المقدّس، 13 نيسان/أبريل 2006.

[3] المرجع نفسه، عظة في القدّاس الإلهي في مناسبة بداية الحبريّة، 24 نيسان/أبريل 2005.

[4] المرجع نفسه.

 

[00019-AR.02] [Testo originale: Italiano]

[B0008-XX.02]