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Santa Messa della Notte nella Solennità del Natale del Signore, 24.12.2021


Omelia del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Alle ore 19.30 di questa sera, all'Altare della Confessione della Basilica Vaticana, il Santo Padre Francesco ha presieduto la Santa Messa della Notte nella Solennità del Natale del Signore 2021.

Nel corso della Celebrazione Eucaristica, dopo la proclamazione del Santo Vangelo, il Papa ha pronunciato l’omelia che riportiamo di seguito:

Omelia del Santo Padre

Nella notte si accende una luce. Un angelo appare, la gloria del Signore avvolge i pastori e finalmente arriva l’annuncio atteso da secoli: «Oggi è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore» (Lc 2,11). Sorprende, però, quello che l’angelo aggiunge. Indica ai pastori come trovare Dio venuto in terra: «Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia» (v. 12). Ecco il segno: un bambino. Tutto qui: un bambino nella cruda povertà di una mangiatoia. Non ci sono più luci, fulgore, cori di angeli. Solo un bimbo. Nient’altro, come aveva preannunciato Isaia: «Un bambino è nato per noi» (Is 9,5).

Il Vangelo insiste su questo contrasto. Racconta la nascita di Gesù cominciando da Cesare Augusto, che fa il censimento di tutta la terra: mostra il primo imperatore nella sua grandezza. Ma, subito dopo, ci porta a Betlemme, dove di grande non c’è nulla: solo un povero bambino avvolto in fasce, con dei pastori attorno. E lì c’è Dio, nella piccolezza. Ecco il messaggio: Dio non cavalca la grandezza, ma si cala nella piccolezza. La piccolezza è la via che ha scelto per raggiungerci, per toccarci il cuore, per salvarci e riportarci a quello che conta.

Fratelli e sorelle, sostando davanti al presepe guardiamo al centro: andiamo oltre le luci e le decorazioni, che sono belle, e contempliamo il Bambino. Nella sua piccolezza c’è tutto Dio. Riconosciamolo: “Bambino, Tu sei Dio, Dio-bambino”. Lasciamoci attraversare da questo scandaloso stupore. Colui che abbraccia l’universo ha bisogno di essere tenuto in braccio. Lui, che ha fatto il sole, deve essere scaldato. La tenerezza in persona ha bisogno di essere coccolata. L’amore infinito ha un cuore minuscolo, che emette lievi battiti. La Parola eterna è infante, cioè incapace di parlare. Il Pane della vita deve essere nutrito. Il creatore del mondo è senza dimora. Oggi tutto si ribalta: Dio viene al mondo piccolo. La sua grandezza si offre nella piccolezza.

E noi – chiediamoci – sappiamo accogliere questa via di Dio? È la sfida di Natale: Dio si rivela, ma gli uomini non lo capiscono. Lui si fa piccolo agli occhi del mondo e noi continuiamo a ricercare la grandezza secondo il mondo, magari persino in nome suo. Dio si abbassa e noi vogliamo salire sul piedistallo. L’Altissimo indica l’umiltà e noi pretendiamo di apparire. Dio va in cerca dei pastori, degli invisibili; noi cerchiamo visibilità, farci vedere. Gesù nasce per servire e noi passiamo gli anni a inseguire il successo. Dio non ricerca forza e potere, domanda tenerezza e piccolezza interiore.

Ecco che cosa chiedere a Gesù per Natale: la grazia della piccolezza. “Signore, insegnaci ad amare la piccolezza. Aiutaci a capire che è la via per la vera grandezza”. Ma che cosa vuol dire, concretamente, accogliere la piccolezza? Per prima cosa vuol dire credere che Dio vuole venire nelle piccole cose della nostra vita, vuole abitare le realtà quotidiane, i semplici gesti che compiamo a casa, in famiglia, a scuola, al lavoro. È nel nostro vissuto ordinario che vuole realizzare cose straordinarie. Ed è un messaggio di grande speranza: Gesù ci invita a valorizzare e riscoprire le piccole cose della vita. Se Lui è con noi lì, che cosa ci manca? Lasciamoci allora alle spalle i rimpianti per la grandezza che non abbiamo. Rinunciamo alle lamentele e ai musi lunghi, all’avidità che lascia insoddisfatti! La piccolezza, lo stupore di quel bambino piccolo: questo è il messaggio.

Ma c’è di più. Gesù non desidera venire solo nelle piccole cose della nostra vita, ma anche nella nostra piccolezza: nel nostro sentirci deboli, fragili, inadeguati, magari persino sbagliati. Sorella e fratello, se, come a Betlemme, il buio della notte ti circonda, se avverti intorno una fredda indifferenza, se le ferite che ti porti dentro gridano: “Conti poco, non vali niente, non sarai mai amato come vuoi”, questa notte, se tu senti questo, Dio risponde e ti dice: “Ti amo così come sei. La tua piccolezza non mi spaventa, le tue fragilità non mi inquietano. Mi sono fatto piccolo per te. Per essere il tuo Dio sono diventato tuo fratello. Fratello amato, sorella amata, non avere paura di me, ma ritrova in me la tua grandezza. Ti sono vicino e solo questo ti chiedo: fidati di me e aprimi il cuore”.

Accogliere la piccolezza significa ancora una cosa: abbracciare Gesù nei piccoli di oggi. Amarlo, cioè, negli ultimi, servirlo nei poveri. Sono loro i più simili a Gesù, nato povero. Ed è in loro che Lui vuole essere onorato. In questa notte di amore un unico timore ci assalga: ferire l’amore di Dio, ferirlo disprezzando i poveri con la nostra indifferenza. Sono i prediletti di Gesù, che ci accoglieranno un giorno in Cielo. Una poetessa ha scritto: «Chi non ha trovato il Cielo quaggiù lo mancherà lassù» (E. Dickinson,Poems, P96-17). Non perdiamo di vista il Cielo, prendiamoci cura di Gesù adesso, accarezzandolo nei bisognosi, perché in loro si è identificato.

Guardiamo ancora una volta al presepe e vediamo che Gesù alla nascita è circondato proprio dai piccoli, dai poveri. Sono i pastori. Erano i più semplici e sono stati i più vicini al Signore. Lo hanno trovato perché, «pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge» (Lc 2,8). Stavano lì per lavorare, perché erano poveri e la loro vita non aveva orari, ma dipendeva dal gregge. Non potevano vivere come e dove volevano, ma si regolavano in base alle esigenze delle pecore che accudivano. E Gesù nasce lì, vicino a loro, vicino ai dimenticati delle periferie. Viene dove la dignità dell’uomo è messa alla prova. Viene a nobilitare gli esclusi e si rivela anzitutto a loro: non a personaggi colti e importanti, ma a gente povera che lavorava. Dio stanotte viene a colmare di dignità la durezza del lavoro. Ci ricorda quanto è importante dare dignità all’uomo con il lavoro, ma anche dare dignità al lavoro dell’uomo, perché l’uomo è signore e non schiavo del lavoro. Nel giorno della Vita ripetiamo: basta morti sul lavoro! E impegniamoci per questo.

Guardiamo un’ultima volta al presepe, allargando lo sguardo fino ai suoi confini, dove si intravedono i magi, in pellegrinaggio per adorare il Signore. Guardiamo e capiamo che attorno a Gesù tutto si ricompone in unità: non ci sono solo gli ultimi, i pastori, ma anche i dotti e i ricchi, i magi. A Betlemme stanno insieme poveri e ricchi, chi adora come i magi e chi lavora come i pastori. Tutto si ricompone quando al centro c’è Gesù: non le nostre idee su Gesù, ma Lui, il Vivente. Allora, cari fratelli e sorelle, torniamo a Betlemme, torniamo alle origini: all’essenzialità della fede, al primo amore, all’adorazione e alla carità. Guardiamo i magi che peregrinano e come Chiesa sinodale, in cammino, andiamo a Betlemme, dove c’è Dio nell’uomo e l’uomo in Dio; dove il Signore è al primo posto e viene adorato; dove gli ultimi occupano il posto più vicino a Lui; dove pastori e magi stanno insieme in una fraternità più forte di ogni classificazione. Dio ci conceda di essere una Chiesa adoratrice, povera, fraterna. Questo è l’essenziale. Torniamo a Betlemme.

Ci fa bene andare lì, docili al Vangelo di Natale, che presenta la Santa Famiglia, i pastori e i magi: tutta gente in cammino. Fratelli e sorelle, mettiamoci in cammino, perché la vita è un pellegrinaggio. Alziamoci, ridestiamoci perché stanotte una luce si è accesa. È una luce gentile e ci ricorda che nella nostra piccolezza siamo figli amati, figli della luce (cfr 1 Ts 5,5). Fratelli e sorelle, gioiamo insieme, perché nessuno spegnerà mai questa luce, la luce di Gesù, che da stanotte brilla nel mondo.

[01855-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Dans la nuit se lève une lumière. Un ange apparaît, la gloire du Seigneur enveloppe les bergers et, enfin, arrive l'annonce attendue depuis des siècles : « Aujourd’hui vous est né un Sauveur qui est le Christ, le Seigneur » (Lc 2, 11). Ce que l'ange ajoute est toutefois surprenant. Il indique aux bergers comment trouver Dieu descendu sur terre : « Voici le signe qui vous est donné : vous trouverez un nouveau-né emmailloté et couché dans une mangeoire » (v. 12). Voici le signe : un enfant. Tout est là : un enfant dans la pauvreté crue d'une mangeoire. Il n'y a plus de lumières, de splendeur, de chœurs angéliques. Seulement un enfant. Rien d'autre, comme l'avait prédit Isaïe : « Un enfant nous est né » (Is 9, 5).

L'Évangile insiste sur ce contraste. Il raconte la naissance de Jésus en commençant par César Auguste qui recense la terre entière : il montre le premier empereur dans sa grandeur. Mais, tout de suite après, il nous emmène à Bethléem, où il n'y a rien de grand : juste un pauvre enfant emmailloté, entouré de bergers. Et C’est là qu’est Dieu, dans la petitesse. Voici le message : Dieu ne chevauche pas dans la grandeur, mais descend dans la petitesse. La petitesse est la voie qu'il a choisie pour nous rejoindre, pour toucher notre cœur, pour nous sauver et nous ramener à ce qui compte.

Frères et sœurs, alors que nous nous tenons devant la crèche, regardons-en le centre : allons au-delà des lumières et des ornements, qui sont beaux, et contemplons l'Enfant. Dans sa petitesse, il y a Dieu tout entier. Reconnaissons-le : “Enfant, tu es Dieu, Dieu-enfant”. Laissons-nous traverser par cet étonnement scandaleux. Celui qui embrasse l'univers a besoin d'être tenu dans les bras. Lui, qui a fait le soleil, a besoin d'être réchauffé. La tendresse en personne a besoin d'être choyée. L'amour infini a un cœur minuscule, aux faibles battements. La Parole éternelle est enfantine, c'est-à-dire incapable de parler. Le Pain de Vie doit être nourri. Le Créateur du monde est sans demeure. Aujourd'hui, tout est renversé : Dieu vient petit dans le monde. Sa grandeur s’offre dans la petitesse.

Et nous - demandons-nous - savons-nous accueillir ce chemin de Dieu ? C'est le défi de Noël : Dieu se révèle, mais les hommes ne le comprennent pas. Il se fait petit aux yeux du monde et nous continuons à chercher la grandeur selon le monde, peut-être même parfois en son nom. Dieu s'abaisse et nous voulons monter sur un piédestal. Le Très-Haut indique l'humilité et nous voulons paraître. Dieu part à la recherche des bergers, des invisibles ; nous recherchons la visibilité, à nous faire voir. Jésus naît pour servir, et nous passons notre temps à courir après le succès. Dieu ne cherche pas la force et le pouvoir, il demande la tendresse et la petitesse intérieure.

Voilà ce que nous pouvons demander à Jésus pour Noël : la grâce de la petitesse. “Seigneur, apprends-nous à aimer la petitesse. Aidez-nous à comprendre que c'est la voie de la vraie grandeur”. Mais qu'est-ce que cela signifie, concrètement, accueillir la petitesse ? Tout d'abord, cela signifie croire que Dieu veut venir dans les petites choses de nos vies, il veut habiter les réalités quotidiennes, les gestes simples que nous accomplissons à la maison, en famille, à l'école, au travail. C'est dans nos vies ordinaires qu'il veut réaliser des choses extraordinaires. Et c'est un message de grande espérance : Jésus nous invite à valoriser et à redécouvrir les petites choses de la vie. S'il est là avec nous, que nous manque-t-il ? Laissons alors derrière nous les regrets de cette grandeur que nous n'avons pas. Renonçons aux plaintes et aux visages tristes, à l'avidité qui nous laisse insatisfaits ! La petitesse, l’émerveillement de ce petit enfant : tel est le message.

Mais il y a plus. Jésus ne veut pas seulement venir dans les petites choses de notre vie, mais aussi dans notre petitesse : dans ce qui fait nous sentir faibles, fragiles, inadéquats, peut-être même ratés. Ma sœur et mon frère, si, comme à Bethléem, les ténèbres de la nuit t'entourent, si tu sens une froide indifférence autour de toi, si les blessures que tu portes en toi crient : “Tu ne comptes pas, tu ne vaux rien, tu ne seras jamais aimé comme tu le voudrais”, ce soir, si tu sens cela, Dieu te répond et il te dit : “Je t'aime comme tu es. Ta petitesse ne m'effraie pas, tes fragilités ne m'inquiètent pas. Je me suis fait petit pour toi. Pour être ton Dieu, je suis devenu ton frère. Frère bien-aimé, sœur bien-aimée, n'aie pas peur de moi, mais retrouve en moi ta grandeur. Je suis proche de toi et je te demande seulement cela : fais-moi confiance et ouvre-moi ton cœur”.

Accueillir la petitesse signifie une chose de plus : étreindre Jésus dans les petits d'aujourd'hui. C’est-à-dire l'aimer dans les derniers, le servir dans les pauvres. Ce sont eux qui sont les plus semblables à Jésus, né pauvre. Et c'est en eux qu'il veut être honoré. En cette nuit d'amour, qu’une seule peur nous saisisse : celle de blesser l'amour de Dieu, le blesser en méprisant les pauvres par notre indifférence. Ils sont les préférés de Jésus, et ils nous accueilleront un jour au Ciel. Une poétesse a écrit : « Celui qui n'a pas trouvé le Ciel ici-bas le manquera là-haut » (E. Dickinson, Poems, p. 96-17). Ne perdons pas de vue le Ciel, prenons soin de Jésus dès maintenant, en le choyant dans les personnes démunies, parce qu'il s'est identifié à eux.

Regardons une fois encore la crèche et constatons que Jésus, à sa naissance, est entouré de petits, de pauvres. Ce sont les bergers. Ils étaient les plus simples, et ils ont été les plus proches du Seigneur. Ils l'ont trouvé parce qu’ils « vivaient dehors et passaient la nuit dans les champs pour garder leurs troupeaux » (Lc 2, 8). Ils étaient là pour travailler car ils étaient pauvres ; leur vie n'avait pas d'horaire mais dépendait du troupeau. Ils ne pouvaient pas vivre comme et où ils le voulaient, mais ils s'adaptaient aux besoins des brebis qu'ils gardaient. Et Jésus naît là, près d'eux, près des oubliés des périphéries. Il vient là où la dignité humaine est mise à l'épreuve. Il vient ennoblir les exclus et se révèle d'abord à eux : non pas à des personnes cultivées et importantes, mais à des personnes pauvres qui travaillent. Ce soir, Dieu vient remplir de dignité la dureté du travail. Il nous rappelle combien il est important de donner une dignité à l'homme par le travail, mais aussi de donner une dignité au travail de l'homme, car l'homme est seigneur et non esclave du travail. En ce jour de la Vie, nous répétons : plus de morts au travail ! Et engageons-nous à cela.

Regardons une dernière fois la crèche en élargissant notre regard jusqu'à ses limites, où nous apercevons les Mages, en pèlerinage pour adorer le Seigneur. Regardons et comprenons que tout ce qui entoure Jésus est recomposé dans l'unité : il n'y a pas seulement les derniers, les bergers, mais aussi les savants et les riches, les Mages. À Bethléem, pauvres et riches sont ensemble, ceux qui adorent comme les Mages et ceux qui travaillent comme les bergers. Tout se recompose lorsque Jésus est au centre : non pas nos idées sur Jésus, mais lui, le Vivant. Alors, chers frères et sœurs, retournons à Bethléem, retournons aux origines : à l’essentiel de la foi, au premier amour, à l'adoration et à la charité. Regardons les mages en pèlerinage et, en tant qu'Église synodale, en chemin, allons à Bethléem, là où Dieu est en l'homme et l'homme en Dieu ; où le Seigneur est à la première place et adoré ; où les derniers occupent la place la plus proche de lui ; où bergers et mages se tiennent ensemble dans une fraternité plus forte que toutes les catégories. Que Dieu nous accorde d'être une Église adoratrice, pauvre, fraternelle. Voilà l'essentiel. Retournons à Bethléem.

Il nous est bon d'y aller, dociles à l'Évangile de Noël qui présente la Sainte Famille, les bergers et les Mages : tout un peuple en chemin. Frères et sœurs, mettons-nous en route, car la vie est un pèlerinage. Levons-nous, réveillons-nous car cette nuit une lumière s'est levée. C'est une lumière douce qui nous rappelle que, dans notre petitesse, nous sommes des enfants bien-aimés, des fils de la lumière (cf. 1 Th 5, 5). Frères et sœurs, réjouissons-nous ensemble car personne n'éteindra jamais cette lumière, la lumière de Jésus qui depuis cette nuit brille dans le monde.

[01855-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

In the darkness, a light shines.  An angel appears, the glory of the Lord shines around the shepherds and finally the message awaited for centuries is heard: “To you is born this day a Saviour, who is Christ the Lord” (Lk 2:11).  The angel goes on to say something surprising.  He tells the shepherds how to find the God who has come down to earth: “This will be a sign for you: you will find a child wrapped in swaddling cloths, and lying in a manger” (v. 12).  That is the sign: a child, a baby lying in the dire poverty of a manger.  No more bright lights or choirs of angels.  Only a child.  Nothing else, even as Isaiah had foretold: “unto us a child is born” (Is 9:6).

The Gospel emphasizes this contrast.  It relates the birth of Jesus beginning with Caesar Augustus, who orders the census of the whole world: it presents the first Emperor in all his grandeur.  Yet immediately thereafter it brings us to Bethlehem, where there is no grandeur at all: just a poor child wrapped in swaddling cloths, with shepherds standing by.  That is where God is, in littleness.  This is the message: God does not rise up in grandeur, but lowers himself into littleness.  Littleness is the path that he chose to draw near to us, to touch our hearts, to save us and to bring us back to what really matters.

Brothers and sisters, standing before the crib, we contemplate what is central, beyond all the pretty lights and decorations.  We contemplate the child.  In his littleness, God is completely present.  Let us acknowledge this: “Baby Jesus, you are God, the God who becomes a child”.  Let us be amazed by this scandalous truth.  The One who embraces the universe needs to be held in another’s arms.  The One who created the sun needs to be warmed.  Tenderness incarnate needs to be coddled.  Infinite love has a miniscule heart that beats softly.  The eternal Word is an “infant”, a speechless child.  The Bread of life needs to be nourished.  The Creator of the world has no home.  Today, all is turned upside down: God comes into the world in littleness.  His grandeur appears in littleness.

Let us ask ourselves: can we accept God’s way of doing things?  This is the challenge of Christmas: God reveals himself, but men and women fail to understand.  He makes himself little in the eyes of the world, while we continue to seek grandeur in the eyes of the world, perhaps even in his name.  God lowers himself and we try to become great.  The Most High goes in search of shepherds, the unseen in our midst, and we look for visibility; we want to be seen.  Jesus is born in order to serve, and we spend a lifetime pursuing success.  God does not seek power and might; he asks for tender love and interior littleness.

This is what we should ask Jesus for at Christmas: the grace of littleness.  “Lord, teach us to love littleness.  Help us to understand that littleness is the way to authentic greatness”.  What does it mean, concretely, to accept littleness?  In the first place, it is to believe that God desires to come into the little things of our life; he wants to inhabit our daily lives, the things we do each day at home, in our families, at school and in the workplace.  Amid our ordinary lived experience, he wants to do extraordinary things.  His is a message of immense hope.  Jesus asks us to rediscover and value the little things in life.  If he is present there, what else do we need?  Let us stop pining for a grandeur that is not ours to have.  Let us put aside our complaints and our gloomy faces, and the greed that never satisfies!  Littleness  and the amazement of that little child: this is the message.

Yet there is more. Jesus does not want to come merely in the little things of our lives, but also in our own littleness: in our experience of feeling weak, frail, inadequate, perhaps even “messed up”.  Dear sister or brother, if, as in Bethlehem, the darkness of night overwhelms you, if you feel surrounded by cold indifference, if the hurt you carry inside cries out, “You are of little account; you are worthless; you will never be loved the way you want”, tonight, if this is what you are feeling, God answers back.  He tells you: “I love you just as you are.  Your littleness does not frighten me, your failings do not trouble me.  I became little for your sake.  To be your God, I became your brother.  Dear brother, dear sister, don’t be afraid of me.  Find in me your measure of greatness.  I am close to you, and one thing only do I ask: trust me and open your heart to me”.

To accept littleness means something else too.  It means embracing Jesus in the little ones of today.  Loving him, that is, in the least of our brothers and sisters.  Serving him in the poor, those most like Jesus who was born in poverty.  It is in them that he wants to be honoured.  On this night of love, may we have only one fear: that of offending God’s love, hurting him by despising the poor with our indifference.  Jesus loves them dearly, and one day they will welcome us to heaven.  A poet once wrote: “Who has found the heaven – below – Will fail of it above” (E. DICKINSON, Poems, P96-17).  Let us not lose sight of heaven; let us care for Jesus now, caressing him in the needy, because in them he makes himself known.

We gaze once again at the crib, and we see that at his birth Jesus is surrounded precisely by those little ones, by the poor.  The shepherds.  They were the most simple people, and closest to the Lord.  They found him because they lived in the fields, “keeping watch over their flocks by night” (Lk 2:8).  They were there to work, because they were poor.  They had no timetables in life; everything depended on the flock.  They could not live where and how they wanted, but on the basis of the needs of the sheep they tended.  That is where Jesus is born: close to them, close to the forgotten ones of the peripheries.  He comes where human dignity is put to the test.  He comes to ennoble the excluded and he first reveals himself to them: not to educated and important people, but to poor working people.  God tonight comes to fill with dignity the austerity of labour.  He reminds us of the importance of granting dignity to men and women through labour, but also of granting dignity to human labour itself, since man is its master and not its slave.  On the day of Life, let us repeat: no more deaths in the workplace!  And let us commit ourselves to ensuring this.

As we take one last look at the crib, in the distance, we glimpse the Magi, journeying to worship the Lord.   As we look more closely, we see that all around Jesus everything comes together: not only do we see the poor, the shepherds, but also the learned and the rich, the Magi.  In Bethlehem, rich and poor come together, those who worship, like the Magi, and those who work, like the shepherds.  Everything is unified when Jesus is at the centre: not our ideas about Jesus, but Jesus himself, the living One. 

So then, dear brothers and sisters, let us return to Bethlehem, let us return to the origins: to the essentials of faith, to our first love, to adoration and charity.  Let us look at the Magi who make their pilgrim way, and as a synodal Church, a journeying Church, let us go to Bethlehem, where God is in man and man in God.  There the Lord takes first place and is worshipped; there the poor have the place nearest him; there the shepherds and Magi are joined in a fraternity beyond all labels and classifications.  May God enable us to be a worshipping, poor and fraternal Church.  That is what is essential.  Let us go back to Bethlehem.

It is good for us to go there, obedient to the Gospel of Christmas, which shows us the Holy Family, the shepherds, the Magi: all people on a journey.  Brothers and sisters, let us set out, for life itself is a pilgrimage.  Let us rouse ourselves, for tonight a light has been lit, a kindly light, reminding us that, in our littleness, we are beloved sons and daughters, children of the light (cf. 1 Thess 5:5).  Brothers and sisters, let us rejoice together, for no one will ever extinguish this light, the light of Jesus, who tonight shines brightly in our world.

[01855-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

In der Nacht erstrahlt ein Licht. Ein Engel erscheint, die Herrlichkeit des Herrn umgibt die Hirten und schließlich kommt die seit Jahrhunderten erwartete Kunde: »Heute ist euch […] der Retter geboren; er ist der Christus, der Herr« (Lk 2,11). Überraschend ist jedoch, was der Engel noch anfügt, um den Hirten zu sagen, wie sie den in Welt gekommenen Gott finden können: »Und das soll euch als Zeichen dienen: Ihr werdet ein Kind finden, das, in Windeln gewickelt, in einer Krippe liegt« (V. 12). Das Zeichen also ist ein Kind. Das ist alles: ein Kind in der unwirtlichen Armut einer Krippe. Da sind keine Lichter mehr, kein Glanz, keine Engelschöre. Nur ein Kind. Nichts anderes, so wie es Jesaja vorausgesagt hatte: »Ein Kind wurde uns geboren« (Jes 9,5).

Das Evangelium besteht auf diesem Kontrast. Es erzählt die Geburt Jesu, beginnend mit Kaiser Augustus, der im ganzen Reich eine Volkszählung durchführen lässt. Es zeigt den ersten Kaiser in seiner Größe. Doch gleich darauf führt es uns nach Betlehem, wo es nichts Großartiges zu sehen gibt: nur ein armes Kind, das in Windeln gewickelt und von Hirten umgeben ist. Und dort ist Gott, in der Kleinheit. Das ist die Botschaft: Gott kommt nicht hoch erhaben daher, sondern er begibt sich hinab in das Kleine. Die Kleinheit ist der Weg, den er gewählt hat, um zu uns zu gelangen, um unsere Herzen zu berühren, um uns zu retten und uns zu dem zurückzubringen, was zählt.

Brüder und Schwestern, wenn wir vor der Krippe verweilen, wollen wir auf das Zentrum blicken. Lasst uns jenseits der Lichter und der schönen Dekoration das Kind betrachten, in dessen Kleinheit Gott ganz da ist. Das bekennen wir: „Kind, du bist Gott, Gott-Kind“. Lasst uns über dieses Unvorstellbare in Staunen geraten. Derjenige, der das Universum umspannt, muss im Arm getragen werden. Er, der die Sonne gemacht hat, muss gewärmt werden. Der die Zärtlichkeit selbst ist, muss liebkost werden. Die unendliche Liebe hat ein kleines schwach schlagendes Herz. Das ewige Wort ist ein Baby, unfähig zu sprechen. Das Brot des Lebens muss gefüttert werden. Der Schöpfer der Welt ist obdachlos. Heute ist alles umgekehrt: Gott kommt klein in die Welt. Seine Größe schenkt sich uns in der Kleinheit.

Fragen wir uns: Sind wir fähig, diese Art und Weise Gottes annehmen zu können? Das ist die Herausforderung von Weihnachten: Gott offenbart sich, aber die Menschen verstehen ihn nicht. Er macht sich in den Augen der Welt klein, und wir erstreben weiterhin Größe nach den Maßstäben der Welt, vielleicht sogar in seinem Namen. Gott steigt herab, und wir wollen auf das Podest klettern. Der Allerhöchste zeigt Demut, und wir wollen groß herauskommen. Gott sucht die Hirten, die Unsichtbaren; wir wollen gesehen werden, uns zeigen. Jesus wurde geboren, um zu dienen, und wir verbringen unsere Jahre damit, dem Erfolg nachzujagen. Gott sucht nicht Stärke und Macht, er wünscht Zärtlichkeit und innere Bescheidenheit.

Das ist es, worum wir Jesus zu Weihnachten bitten wollen: um die Gnade der Kleinheit. „Herr, lehre uns, die Kleinheit zu lieben. Hilf uns zu verstehen, dass dies der Weg zu wahrer Größe ist“. Aber was bedeutet es konkret, die Kleinheit anzunehmen? Zunächst einmal bedeutet es zu glauben, dass Gott in die kleinen Dinge unseres Lebens kommen will, dass er Teil unseres Alltags werden will, mit all den einfachen Gesten, die wir zu Hause, in der Familie, in der Schule, bei der Arbeit vollziehen. In unserem gewöhnlichen Leben will er außergewöhnliche Dinge bewirken. Und es ist eine Botschaft von großer Hoffnung: Jesus lädt uns ein, die kleinen Dinge des Lebens zu schätzen und neu zu entdecken. Wenn er dort mit uns ist, was fehlt uns dann? Weinen wir also nicht der Größe nach, die wir nicht haben. Hören wir auf, zu jammern und lange Gesichter zu machen, und lassen wir ab von der Gier, die uns immer unbefriedigt lässt! Die Kleinheit, das Staunen über dieses kleine Kind: das ist die Botschaft.

Aber da ist noch mehr. Jesus will nicht nur in die kleinen Dinge unseres Lebens kommen, sondern auch in unsere Kleinheit: dahin, wo wir uns als schwach, zerbrechlich, unzulänglich, vielleicht sogar als gescheitert erleben. Liebe Schwester, lieber Bruder, wenn dich, wie in Betlehem, die Dunkelheit der Nacht umgibt, wenn du eine kalte Gleichgültigkeit um dich herum spürst, wenn die Wunden, die du in dir trägst, schreien: „Du zählst wenig, du bist nichts wert, du wirst nie so geliebt werden, wie du es möchtest“, wenn du das so empfindest, dann gibt Gott dir in dieser Nacht darauf eine Antwort und sagt zu dir: „Ich liebe dich so, wie du bist. Deine Kleinheit erschreckt mich nicht, deine Gebrechlichkeit beunruhigt mich nicht. Ich habe mich für dich klein gemacht. Um dein Gott zu sein, bin ich dein Bruder geworden. Geliebter Bruder, geliebte Schwester, hab keine Angst vor mir, sondern entdecke in mir von neuem deine Größe. Ich bin dir nahe, und alles, worum ich dich bitte, ist, mir zu vertrauen und mir dein Herz zu öffnen.

Die Kleinheit annehmen bedeutet noch etwas, nämlich Jesu in den Kleinen von heute in die Arme zu schließen, ihn zu lieben in den Geringsten, ihm in den Armen zu dienen. Sie sind Jesus, der in Armut auf die Welt kam, am ähnlichsten. Und er möchte dadurch geehrt werden, dass man sie ehrt. In dieser Nacht der Liebe überkommt uns nur eine einzige Angst: die Liebe Gottes zu verletzen, ihn zu verletzen, indem wir die Armen mit unserer Gleichgültigkeit verachten. Sie sind die Auserwählten Jesu, die uns eines Tages im Himmel empfangen werden. Eine Dichterin schrieb einmal: »Wer den Himmel hier unten nicht gefunden hat, wird ihn dort oben vermissen« (E. Dickinson, Poems, XVII). Verlieren wir den Himmel nicht aus den Augen, kümmern wir uns jetzt um Jesus, erweisen wir ihm in den Bedürftigen unsere Liebe, denn er hat sich mit ihnen identifiziert.

Schauen wir noch einmal auf die Krippe so sehen wir, dass Jesus bei seiner Geburt von den Kleinen, den Armen, umgeben ist. Von den Hirten. Sie waren die einfachsten Menschen und dem Herrn am nächsten. Sie fanden ihn, denn sie lagerten »auf freiem Feld und hielten Nachtwache bei ihrer Herde« (Lk 2,8). Sie waren dort, um zu arbeiten, denn sie waren arm und ihr Leben kannte keine festen Zeiten, sondern alles hing von der Herde ab. Sie konnten nicht leben, wie und wo sie wollten, sondern sie richteten sich nach den Bedürfnissen der Schafe, die sie betreuten. Und Jesus kommt dort zur Welt, in ihrer Nähe, in der Nähe der Vergessenen der Peripherien. Er kommt dorthin, wo die Menschenwürde auf die Probe gestellt wird. Er kommt, um die Ausgeschlossenen zu adeln, und offenbart sich vor allem ihnen: nicht den gebildeten und bedeutenden Menschen, sondern der armen arbeitenden Bevölkerung. Gott kommt in dieser Nacht, um die Härte der Arbeit mit Würde zu erfüllen. Er erinnert uns daran, wie wichtig es ist, dem Menschen durch die Arbeit Würde zu verleihen, aber auch der Arbeit des Menschen Würde zu geben, denn der Mensch ist Herr und nicht Sklave der Arbeit. An dem Tag, an dem wir das Kommen des Lebens feiern, wollen wir erneut sagen: keine weiteren Todesfälle bei der Arbeit! Setzen wir uns dafür ein.

Blicken wir noch ein letztes Mal auf die Krippe und schauen wir auf die äußeren Bereiche, wo wir der Sterndeuter gewahr werden, die sich auf Pilgerschaft begeben haben, um den Herrn anzubeten. Wir sehen und verstehen, dass sich alles um Jesus herum zu einer Einheit zusammenfügt. Da sind nicht nur die Letzten, die Hirten, sondern auch die Gelehrten und Reichen, die Sterndeuter. In Betlehem kommen Arme und Reiche zusammen, diejenigen, die wie die Sterndeuter anbeten, und diejenigen, die wie die Hirten arbeiten. Alles findet wieder zur Einheit, wenn Jesus in der Mitte ist: nicht unsere Vorstellungen von Jesus, sondern er, der Lebendige. Kehren wir also zurück nach Betlehem, liebe Brüder und Schwestern, zurück zu den Ursprüngen: zum Wesentlichen des Glaubens, zur ersten Liebe, zur Anbetung und zur Nächstenliebe. Schauen wir auf die pilgernden Sterndeuter und machen wir uns als synodale Kirche auf den Weg nach Betlehem, wo Gott im Menschen und der Mensch in Gott ist; wo der Herr an erster Stelle steht und angebetet wird; wo die Letzten den Platz einnehmen, der ihm am nächsten ist; wo Hirten und Sterndeuter in einer Geschwisterlichkeit zusammenstehen, die stärker ist als jedes Klassendenken. Gott lasse uns eine anbetende, arme und geschwisterliche Kirche sein. Das ist das Wesentliche. Kehren wir zurück nach Betlehem.

Es tut uns gut, wenn wir uns dorthin begeben und vom Weihnachtsevangelium lernen, das uns die Heilige Familie, die Hirten und die Sterndeuter vor Augen stellt: alle sind sie Menschen auf dem Weg. Brüder und Schwestern, machen wir uns auf den Weg, denn das Leben ist eine Pilgerreise. Lasst uns aufstehen, lasst uns aufwachen, denn heute Nacht ist ein Licht erschienen. Es ist ein sanftes Licht und erinnert uns daran, dass wir in unserer Kleinheit geliebte Kinder sind, Kinder des Lichts (vgl. 1 Thess 5,5). Brüder und Schwestern, freuen wir uns gemeinsam, denn niemand wird dieses Licht je auslöschen, das Licht Jesu, das seit dieser Nacht in der Welt erstrahlt.

[01855-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

En la noche resplandece una luz. Un ángel aparece, la gloria del Señor envuelve a los pastores y finalmente llega el anuncio esperado durante siglos: «Hoy […] les ha nacido un Salvador, que es el Mesías, el Señor» (Lc 2,11). Pero lo que agrega el ángel es sorprendente. Indica a los pastores cómo encontrar a Dios que ha venido a la tierra: «Y esta será la señal para ustedes: encontrarán a un niño recién nacido envuelto en pañales y acostado en un pesebre» (v. 12). Este es el signo: un niño. Eso es todo: un niño en la dura pobreza de un pesebre. No hay más luces, ni resplandores, ni coros de ángeles. Sólo un niño. Nada más, como había preanunciado Isaías: «Un niño nos ha nacido» (Is 9,5).

El Evangelio insiste en este contraste. Narra el nacimiento de Jesús a partir de César Augusto, que ordenó realizar un censo del mundo entero. Muestra al primer emperador en su grandeza. Pero, inmediatamente después, nos lleva a Belén, donde no hay nada grande, sólo un niño pobre envuelto en pañales, con unos pastores a su alrededor. Y allí está Dios, en la pequeñez. Y este es el mensaje: Dios no cabalga en la grandeza, sino que desciende en la pequeñez. La pequeñez es el camino que eligió para llegar a nosotros, para tocarnos el corazón, para salvarnos y reconducirnos hacia lo que es realmente importante.

Hermanos y hermanas, deteniéndonos ante el belén miremos el centro; vayamos más allá de las luces y los adornos, que son hermosos, y contemplemos al Niño. En su pequeñez es Dios. Reconozcámoslo: “Niño, Tú eres Dios, Dios-niño”. Dejémonos atravesar por este asombro escandaloso. Aquel que abraza al universo necesita que lo sostengan en brazos. Él, que ha hecho el sol, necesita ser arropado. La ternura en persona necesita ser mimada. El amor infinito tiene un corazón minúsculo, que emite ligeros latidos. La Palabra eterna es infante, es decir, incapaz de hablar. El Pan de vida debe ser alimentado. El creador del mundo no tiene hogar. Hoy todo se invierte: Dios viene al mundo pequeño. Su grandeza se ofrece en la pequeñez.

Y nosotros, preguntémonos, ¿sabemos acoger este camino de Dios? Es el desafío de Navidad: Dios se revela, pero los hombres no lo entienden. Él se hace pequeño a los ojos del mundo y nosotros seguimos buscando la grandeza según el mundo, quizá incluso en nombre suyo. Dios se abaja y nosotros queremos subir al pedestal. El Altísimo indica la humildad y nosotros pretendemos brillar. Dios va en busca de los pastores, de los invisibles; nosotros buscamos visibilidad, hacernos notar. Jesús nace para servir y nosotros pasamos los años persiguiendo el éxito. Dios no busca fuerza y poder, pide ternura y pequeñez interior.

Esto es lo que podemos pedir a Jesús para Navidad: la gracia de la pequeñez. “Señor, enséñanos a amar la pequeñez. Ayúdanos a comprender que es el camino para la verdadera grandeza”. Pero, ¿qué quiere decir, concretamente, acoger la pequeñez? En primer lugar, quiere decir creer que Dios quiere venir en las pequeñas cosas de nuestra vida, quiere habitar las realidades cotidianas, los gestos sencillos que realizamos en casa, en la familia, en la escuela, en el trabajo. Quiere realizar, en nuestra vida ordinaria, cosas extraordinarias. Es un mensaje de gran esperanza: Jesús nos invita a valorar y redescubrir las pequeñas cosas de la vida. Si Él está ahí con nosotros, ¿qué nos falta? Entonces, dejemos atrás los lamentos por la grandeza que no tenemos. Renunciemos a las quejas y a las caras largas, a la ambición que deja insatisfechos. La pequeñez, el asombro por aquel niño pequeño: este es el mensaje.

Pero aún hay más. Jesús no quiere venir sólo a las cosas pequeñas de nuestra vida, sino también a nuestra pequeñez: cuando nos sentimos débiles, frágiles, incapaces, incluso fracasados. Hermana y hermano, si, como en Belén, la oscuridad de la noche te rodea, si adviertes a tu alrededor una fría indiferencia, si las heridas que llevas dentro te gritan: “Cuentas poco, no vales nada, nunca serás amado como anhelas”, esta noche, si percibes esto, Dios responde y te dice: “Te amo tal como eres. Tu pequeñez no me asusta, tus fragilidades no me inquietan. Me hice pequeño por ti. Para ser tu Dios me convertí en tu hermano. Hermano amado, hermana amada, no me tengas miedo, vuelve a encontrar tu grandeza en mí. Estoy aquí para ti y sólo te pido que confíes en mí y me abras el corazón”. 

Acoger la pequeñez también significa abrazar a Jesús en los pequeños de hoy; es decir, amarlo en los últimos, servirlo en los pobres. Ellos son los que más se parecen a Jesús, que nació pobre. Es en ellos que Él quiere ser honrado. Que en esta noche de amor nos invada un único temor: herir el amor de Dios, herirlo despreciando a los pobres con nuestra indiferencia. Son los predilectos de Jesús, que nos recibirán un día en el cielo. Una poetisa escribió: «Quien no ha encontrado el Cielo aquí abajo, difícilmente lo encontrará allá arriba» (E. Dickinson, Poemas, XVII). No perdamos de vista el Cielo, cuidemos a Jesús ahora, acariciándolo en los necesitados, porque se identificó en ellos.

Miremos otra vez más el nacimiento y observemos que Jesús al nacer está rodeado precisamente de los pequeños, de los pobres. Son los pastores. Eran los más humildes y fueron los que estuvieron más cerca del Señor. Lo encontraron porque «pasaban la noche en el campo cuidando sus rebaños y vigilando por turnos» (Lc 2,8). Estaban allí para trabajar, porque eran pobres y su vida no tenía horarios, sino que dependía de los rebaños. No podían vivir como y donde querían, sino que se regían en base a las exigencias de las ovejas que cuidaban. Y Jesús nace allí, cerca de ellos, cerca de los olvidados de las periferias. Viene donde la dignidad del hombre es puesta a prueba. Viene a ennoblecer a los excluidos y se revela sobre todo a ellos; no a personajes cultos e importantes, sino a gente pobre que trabajaba. Esta noche, Dios viene a colmar de dignidad la dureza del trabajo. Nos recuerda qué importante es dar dignidad al hombre con el trabajo, pero también dar dignidad al trabajo del hombre, porque el hombre es señor y no esclavo del trabajo. En el día de la Vida repitamos: ¡No más muertes en el trabajo! Y esforcémonos por lograrlo.

Contemplemos una vez más el pesebre, dirigiendo la mirada hacia donde se divisan los magos, que peregrinan para adorar al Señor. Miremos y comprendamos que en torno a Jesús todo vuelve a la unidad: no están sólo los últimos, los pastores, sino también los eruditos y los ricos, los magos. En Belén están juntos pobres y ricos; los que adoran, como los magos, y los que trabajan, como los pastores. Todo se recompone cuando en el centro está Jesús; no nuestras ideas sobre Jesús, sino Él, el Viviente. Entonces, queridos hermanos y hermanas, volvamos a Belén, volvamos a los orígenes: a lo esencial de la fe, al primer amor, a la adoración y a la caridad. Contemplemos a los magos que peregrinan y como Iglesia sinodal, en camino, vayamos a Belén, donde Dios está en el hombre y el hombre en Dios; donde el Señor está al centro y es adorado; donde los últimos ocupan el lugar más cercano a Él; donde los pastores y los magos están juntos en una fraternidad más fuerte que cualquier clasificación. Que Dios nos conceda ser una Iglesia adoradora, pobre y fraterna. Esto es lo esencial. Volvamos a Belén.

Nos hace bien ir allí, dóciles al Evangelio de Navidad que presenta a la Sagrada Familia, a los pastores y a los magos: toda gente en camino. Hermanos y hermanas, pongámonos en camino, porque la vida es una peregrinación. Levantémonos, volvamos a despertar porque en esta noche ha brillado una luz. Es una luz amable y nos recuerda que en nuestra pequeñez somos hijos amados, hijos de la luz (cf. 1 Ts 5,5). Hermanos y hermanas, alegrémonos juntos, porque nadie podrá apagar nunca esta luz, la luz de Jesús, que desde esta noche resplandece en el mundo.

[01855-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

Na noite, acende-se uma luz. Aparece um anjo, a glória do Senhor envolve os pastores e finalmente chega o anúncio há séculos esperado: «Hoje (…) nasceu-vos um Salvador, que é o Messias Senhor» (Lc 2, 11). Mas surpreende aquilo que o anjo acrescenta para indicar aos pastores como encontrar Deus que veio à terra. «Isto vos servirá de sinal: encontrareis um menino envolto em panos e deitado numa manjedoura» (2, 12). Eis o sinal: um menino. E é tudo: um menino na tosca pobreza duma manjedoura. Cessam luzes, fulgor, coros de anjos. Só um menino. Nada mais! Como predissera Isaías: «Um menino nasceu para nós» (Is 9, 5).

O Evangelho insiste neste contraste. Narra o nascimento de Jesus, começando por César Augusto, que ordena o recenseamento de toda a terra: mostra o primeiro imperador na sua grandeza. Mas, logo a seguir, leva-nos a Belém, onde, de grande, não há nada: apenas um menino pobre envolto em panos, rodeado por pastores. E ali está Deus, na pequenez. Eis a mensagem: Deus não cavalga a grandeza, mas desce na pequenez. A pequenez é a estrada que escolheu para chegar até nós, tocar-nos o coração, salvar-nos e levar-nos de volta para aquilo que conta.

Irmãos e irmãs, ao parar diante do presépio, fixemo-nos no centro: deixemos para trás luzes e decorações – que são belas – e contemplemos o Menino. Na sua pequenez, está Deus inteiro. Reconheçamo-Lo: «Menino, vós sois Deus, Deus-Menino». Deixemo-nos invadir por este espanto alvoroçado. Aquele que abraça o universo, precisa de ser tomado nos braços. Ele, que fez o sol, tem de ser aquecido. A ternura em pessoa precisa de ser mimada. O amor infinito tem um coração minúsculo, que emite batimentos leves. A Palavra eterna é infante, isto é, incapaz de falar. O Pão da vida tem de ser nutrido. O criador do mundo não tem onde morar. Hoje inverte-se tudo: Deus vem, pequenino, ao mundo. A sua grandeza oferece-se na pequenez.

E nós – perguntemo-nos – sabemos acolher esta estrada de Deus? É o desafio de Natal: Deus revela-Se, mas os homens não O compreendem. Faz-Se pequeno aos olhos do mundo… e nós continuamos a procurar a grandeza segundo o mundo, talvez até em nome d’Ele. Deus abaixa-Se… e nós queremos subir para o pedestal. O Altíssimo indica a humildade… e nós pretendemos sobressair. Deus vai à procura dos pastores, dos invisíveis… nós buscamos visibilidade, fazermo-nos ver. Jesus nasce para servir… e nós passamos os anos atrás do sucesso. Deus não busca força nem poder; pede ternura e pequenez interior.

Eis o que devemos pedir a Jesus no Natal: a graça da pequenez. «Senhor, ensinai-nos a amar a pequenez. Ajudai-nos a compreender que é a estrada para a verdadeira grandeza». Mas que significa, concretamente, acolher a pequenez? Em primeiro lugar, significa acreditar que Deus quer vir às pequenas coisas da nossa vida, quer habitar nas realidades quotidianas, nos gestos simples que realizamos em casa, na família, na escola, no trabalho. É na nossa existência ordinária que Ele quer realizar coisas extraordinárias. Trata-se duma mensagem de grande esperança: Jesus convida-nos a valorizar e redescobrir as pequenas coisas da vida. Se Ele está lá connosco, que nos falta? Então deixemos para trás o lamento por causa da grandeza que não temos. Renunciemos às lamúrias e rostos amuados, à avidez que nos deixa insatisfeitos. A pequenez, a maravilha daquela Criança pequenina: esta é a mensagem.

Mais ainda! Jesus não quer vir só às pequenas coisas da nossa vida, mas também à nossa pequenez: ao nosso sentir-nos fracos, frágeis, inadequados, talvez até errados. Irmã e irmão, se, como em Belém, te circunda a escuridão da noite, se em redor notas uma indiferença fria, se as feridas que trazes dentro te gritam «contas pouco, não vales nada, nunca serás amado como queres», nesta noite – se tu sentes isto – tens a resposta de Deus, que te diz: «Amo-te assim como és. A tua pequenez não Me assusta, as tuas fragilidades não Me preocupam. Fiz-Me pequeno por ti. Para ser o teu Deus, tornei-Me teu irmão. Amado irmão, amada irmã, não tenhas medo de Mim, mas reencontra em Mim a tua grandeza. Estou perto de ti e a única coisa que te peço é isto: confia em Mim e dá-Me guarida no teu coração».

Acolher a pequenez significa mais uma coisa: abraçar Jesus nos pequenos de hoje. Ou seja, amá-Lo nos últimos, servi-Lo nos pobres. São eles os mais parecidos com Jesus, nascido pobre. E é nos pobres que Ele quer ser honrado. Nesta noite de amor, um único medo nos assalte: ferir o amor de Deus, feri-lo desprezando os pobres com a nossa indiferença. São os prediletos de Jesus, que nos hão de acolher um dia no Céu. Uma poetisa escreveu: «Quem não encontrou o Céu cá em baixo, falhá-lo-á lá em cima» (E. Dickinson, Poems, XVII). Não percamos de vista o Céu, cuidemos de Jesus agora, acarinhando-O nos necessitados, porque Se identificou com eles.

Fixando de novo o presépio, vemos que, no seu nascimento, Jesus está rodeado precisamente pelos pequenos, pelos pobres. São os pastores. Eram os mais simples; e foram os que estiveram mais perto do Senhor. Encontraram-No, porque «pernoitavam nos campos, guardando os seus rebanhos durante a noite» (Lc 2, 8). Estavam lá para trabalhar, porque eram pobres e a sua vida não tinha horário, dependia do rebanho. Não podiam viver como e onde queriam, mas regulavam-se de acordo com as exigências das ovelhas que cuidavam. E Jesus nasceu lá próximo deles, perto dos esquecidos das periferias. Vem onde a dignidade do homem é posta à prova. Vem nobilitar os excluídos, revelando-Se primeiramente a eles: não a personalidades cultas e importantes, mas a gente pobre que trabalhava. Nesta noite, Deus vem encher de dignidade a dureza do trabalho. Recorda-nos como é importante dar dignidade ao homem com o trabalho, mas também dar dignidade ao trabalho do homem, porque o homem é senhor e não escravo do trabalho. No dia da Vida, repitamos: chega de mortes no trabalho! Empenhemo-nos para que cessem.

Olhemos uma última vez para o presépio, alongando a vista até às suas extremidades, onde já se vislumbram os Magos que vêm, peregrinos, para adorar o Senhor. Olhemos e compreendamos que, à volta de Jesus, tudo se compõe numa unidade: não estão só os últimos, os pastores, mas também os eruditos e os ricos, os Magos. Em Belém, estão juntos pobres e ricos, quem adora como os Magos e quem trabalha como os pastores. Tudo se harmoniza quando, no centro, está Jesus: não as nossas ideias sobre Jesus, mas Ele mesmo, o Vivente. Então, queridos irmãos e irmãs, voltemos a Belém, voltemos às origens: à essencialidade da fé, ao primeiro amor, à adoração e à caridade. Olhemos os Magos que vêm em peregrinação e, como Igreja sinodal, a caminho, vamos a Belém, onde está Deus no homem e o homem em Deus; onde o Senhor ocupa o primeiro lugar e é adorado; onde os últimos ocupam o lugar mais próximo d’Ele; onde pastores e Magos estão juntos numa fraternidade mais forte do que qualquer distinção. Que Deus nos conceda ser uma Igreja adoradora, pobre, fraterna. Isto é o essencial. Voltemos a Belém.

Faz-nos bem ir lá, dóceis ao Evangelho de Natal, que apresenta a Sagrada Família, os pastores e os Magos: são, todos, pessoas a caminho. Irmãos e irmãs, ponhamo-nos a caminho, porque a vida é uma peregrinação. Ergamo-nos, despertemos porque, nesta noite, acendeu-se uma luz. É uma luz suave e lembra-nos que, na nossa pequenez, somos filhos amados, filhos da luz (cf. 1 Tes 5, 5). Irmãos e irmãs, alegremo-nos juntos, porque ninguém apagará jamais esta luz, a luz de Jesus, que, desde esta noite, brilha no mundo.

[01855-PO.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

W nocy zapala się światło. Pojawia się anioł, chwała Pańska okrywa pasterzy i wreszcie nadchodzi oczekiwana od wieków wieść: „Dziś narodził się wam Zbawiciel, którym jest Chrystus Pan” (Łk 2, 11). Zaskakujące jest jednak to, co dodaje anioł. Wskazuje pasterzom, jak znaleźć Boga, który przyszedł na ziemię: „To będzie znakiem dla was: znajdziecie Niemowlę, owinięte w pieluszki i leżące w żłobie” (w. 12). Oto znak: niemowlę. To wszystko: dziecię w surowym ubóstwie żłóbka. Nie ma już świateł, nie ma blasku, nie ma chórów anielskich. Tylko dzieciątko. Nic innego, jak zapowiadał Izajasz: „Dziecię nam się narodziło (Iz 9, 5).

Ewangelia kładzie nacisk na ten kontrast. Opowiada o narodzinach Jezusa wychodząc od Cezara Augusta, który dokonuje spisu ludności całej ziemi: ukazuje pierwszego cesarza w jego wielkości. Ale zaraz potem przenosi nas do Betlejem, gdzie nie ma nic wielkiego: tylko ubogie dziecię owinięte w pieluszki, a wokół niego pasterze. I tam jest Bóg w małości. Oto przesłanie: Bóg nie szuka wielkości, lecz uniża się w małość. Małość jest drogą, którą obrał, aby do nas dotrzeć, by dotknąć naszych serc, aby nas zbawić i sprowadzić ku temu, co się liczy.

Bracia i siostry, gdy stajemy przed żłóbkiem, spójrzmy w jego centrum: dostrzeżmy coś więcej niż światła i dekoracje, które są piękne, i kontemplujmy Dzieciątko. W jego małości jest cały Bóg. Rozpoznajmy Go: „Dzieciątko, Ty jesteś Bogiem, Bogiem-dzieciątkiem”. Pozwólmy, by przeniknęło nas to skandaliczne zadziwienie. Ten, który ogarnia wszechświat, musi być trzymany w ramionach. On, który stworzył słońce, musi zostać ogrzany. Uosobienie czułości potrzebuje utulenia. Nieskończona miłość ma maleńkie serce, wydające słabe uderzenia. Odwieczne Słowo jest niemowlęciem, to znaczy niezdolne do mówienia. Chleb Życia musi być karmiony. Stwórca świata jest bezdomny. Dziś wszystko się wywraca: Bóg jako mały przychodzi na świat. Jego wielkość daje siebie w małości.

A my - zapytajmy siebie - czy umiemy przyjąć tę drogę Boga? To jest wyzwanie Bożego Narodzenia: Bóg się objawia, ale ludzie Go nie rozumieją. On staje się małym w oczach świata, a my nadal szukamy wielkości według świata, może nawet w Jego imię. Bóg się uniża, a my chcemy się wspiąć na piedestał. Najwyższy wskazuje na pokorę, a my chcemy się pokazać. Bóg wyrusza w poszukiwaniu pasterzy, tych, których nie widać; a my szukamy widzialności, chcemy się pokazać. Jezus rodzi się, aby służyć, a my spędzamy całe lata na pogoni za sukcesem. Bóg nie szuka siły i władzy, prosi o czułość i małość wewnętrzną.

Oto właśnie co winniśmy wypraszać od Jezusa na Boże Narodzenie: łaskę małości. „Panie, naucz nas miłować małość. Pomóż nam zrozumieć, że jest to droga do prawdziwej wielkości”. Ale co to konkretnie znaczy: przyjąć małość? Przede wszystkim, to znaczy uwierzyć, że Bóg chce przyjść do małych rzeczy w naszym życiu, chce zamieszkać w codziennej rzeczywistości, w prostych gestach, które wykonujemy w domu, w rodzinie, w szkole, w pracy. To właśnie w naszym zwyczajnym życiu chce dokonać rzeczy niezwykłych. I jest to przesłanie wielkiej nadziei: Jezus zachęca nas byśmy docenili i odkryli na nowo w życiu rzeczy małe. Jeśli On jest tam z nami, to czego nam brakuje? Zostawmy więc za sobą żale za wielkością, której nie mamy. Wyrzeknijmy się narzekań i ponurych min, chciwości, która pozostawia niedosyt! Małość, zdumienie tym małym dzieckiem: to jest przesłanie.

Ale jest jeszcze coś więcej. Jezus nie chce przychodzić tylko do małych rzeczy w naszym życiu, ale także w naszą małość: w nasze poczucie słabości, kruchości, niewystarczalności, może nawet popełnienia błędu. Siostro, bracie, jeśli, tak jak w Betlejem, otaczają cię mroki nocy, jeśli czujesz wokół siebie zimną obojętność, jeśli rany, które nosisz w sobie, wołają: „Mało się liczysz, nic nie jesteś wart, nigdy nie będziesz kochany tak, jak tego chcesz”, to tej nocy, jeśli ty tak czujesz, Bóg odpowiada i mówi do ciebie: „Kocham ciebie takim, jakim jesteś. Twoja małość mnie nie przeraża, twoja kruchość mnie nie martwi. Dla ciebie stałem się małym. Aby być twoim Bogiem, stałem się twoim bratem. Umiłowany bracie, umiłowana siostro, nie bój się mnie, lecz znajdź we mnie swoją wielkość. Jestem blisko ciebie i proszę cię tylko o jedno: zaufaj mi i otwórz przede mną swe serce”.

Przyjęcie małości oznacza jeszcze jedną rzecz: przyjęcie Jezusa w maluczkich dnia dzisiejszego. To znaczy miłować Go w ostatnich,  służyć Mu w ubogich. To oni są najbardziej podobni do Jezusa, narodzonego w ubóstwie. I to właśnie w nich chce być czczony. Niech w tę noc miłości nachodzi nas jeden lęk: zranić miłość Boga, zranić Go, gardząc ubogimi naszą obojętnością. To oni, szczególnie umiłowani przez Jezusa, pewnego dnia powitają nas w niebie. Pewna poetka napisała: „Kto nieba nie znalazł - tu w dole-, ten nie znajdzie go i w Niebie samym” (E. Dickinson, Wiersze, 1544, w: 100 Wierszy, przekł. S. Barańczak, Kraków  1990). Nie traćmy z oczu Nieba, zatroszczmy się o Jezusa już teraz, pieszcząc Go w potrzebujących, bo z nimi się utożsamił.

Spójrzmy jeszcze raz na szopkę i zobaczmy, że Jezus w momencie narodzin jest otoczony maluczkimi, ubogimi. To pasterze. Oni byli najprostszymi i byli  najbliżej Pana. Znaleźli Go, ponieważ  „przebywali w polu i trzymali straż nocną nad swoją trzodą” (Łk 2, 8). Byli tam, by pracować, ponieważ byli biedni a ich życie nie miało ustalonych godzin, lecz zależało od stada. Nie mogli żyć jak chcieli i gdzie chcieli, ale dostosowywali się do potrzeb owiec, którymi się opiekowali. I tam rodzi się Jezus, blisko nich, blisko zapomnianych peryferii. Przychodzi tam, gdzie godność człowieka jest wystawiona na próbę. Przychodzi, aby uszlachetnić wykluczonych i objawia się przede wszystkim im: nie ludziom wykształconym i ważnym, lecz biednym ludziom pracującym. Bóg przychodzi tej nocy, aby surowość pracy napełnić godnością. Przypomina, jak ważne jest nadanie godności człowiekowi poprzez pracę, ale także nadanie godności pracy człowieka, bo człowiek jest panem, a nie niewolnikiem pracy. W dniu Życia powtarzamy: nigdy więcej śmierci w pracy! I zobowiązujmy się do tego.

Spójrzmy po raz ostatni na szopkę, poszerzając spojrzenie aż po jej obrzeża, gdzie widzimy Magów, pielgrzymujących, by adorować Pana. Spójrzmy a zrozumiemy, że wszystko wokół Jezusa przekształca się na nowo w jedność: są nie tylko ostatni, pasterze, ale także uczeni i bogaci, Magowie. W Betlejem ubodzy i bogaci są razem, ci, którzy oddają cześć jak Magowie i ci, którzy pracują, jak pasterze. Wszystko się łączy, kiedy Jezus jest w centrum: nie nasze wyobrażenia o Jezusie, lecz On, Żyjący. A zatem, drodzy bracia i siostry, powróćmy do Betlejem, powróćmy do źródeł: do istoty wiary, do pierwszej miłości, do adoracji i miłosierdzia. Spójrzmy na pielgrzymujących Magów i jako Kościół synodalny, w drodze, udajmy się do Betlejem, gdzie Bóg jest w człowieku, a człowiek w Bogu; gdzie Pan jest na pierwszym miejscu i jest uwielbiany; gdzie ostatni zajmują miejsce najbliżej Niego; gdzie pasterze i Magowie stoją razem w braterstwie silniejszym niż wszelkie klasyfikacje. Niech Bóg nam, da, abyśmy byli Kościołem adorującym, ubogim i braterskim. To jest najważniejsze. Powróćmy do Betlejem.

Dobrze, abyśmy tam poszli, ucząc się z Ewangelii Bożego Narodzenia, która przedstawia Świętą Rodzinę, pasterzy i Magów: wszystkich ludzi w drodze. Bracia i siostry, wyruszmy w drogę, bo życie jest pielgrzymką. Wstańmy, obudźmy się, bo dziś w nocy zapaliło się światło. Jest to łagodne światło, które przypomina nam, że w naszej małości jesteśmy umiłowanymi dziećmi, dziećmi światłości (por. 1 Tes 5, 5). Bracia i siostry, radujmy się razem, bo nikt nigdy nie zgasi tego światła, światła Jezusa, które od tej nocy jaśnieje w  świecie.

[01855-PL.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

عظة قداسة البابا فرنسيس

في القدّاس الإلهيّ

في ليلة عيد الميلاد

الجمعة 24 كانون الأوّل/ديسمبر 2021

بازيليكا القدّيس بطرس

سطع نورٌ في الليل. وظهر ملاك، وأحاط مجد الله بالرّعاة، ووصلت البشارة أخيرًا التي طال انتظارها منذ قرون: "وُلِدَ لَكُمُ اليَومَ مُخَلِّصٌ، وهو المسيحُ الرَّبّ" (لوقا 2، 11). ولكن، ما أضافه الملاك كان مدهشًا، لما قال للرّعاة كيف يجدون الله الذي جاء إلى الأرض، قال: "وإِلَيكُم هذِه العَلامة: سَتَجِدونَ طِفلاً مُقَمَّطًا مُضجَعًا في مِذوَد" (آية 12). هذه هي العلامة: طفل. هذا كلّ شيء: طفل في مذود فقير. لم يعد هناك أنوار، وبريق، وجوقات من الملائكة. هنالك فقط طفل. لا شيء آخر، مثلما تنبّأ أشعيا، حين قال: "وُلِدَ لَنا وَلَدٌ" (أشعيا 9، 5).

يلحّ الإنجيل على هذا التناقض. روى لنا ولادة يسوع، فبدأ بالقيصر أوغسطس، الذي أمر بإحصاء كلّ المعمورة: بيّن لنا أولًا الإمبراطور في عظمته. وبعد ذلك مباشرة، أخذنا إلى بيت لحم، حيث لا يوجد كبار: يوجد فقط طفل فقير مقمّط، ورعاة من حوله. وهنا الله موجود، بين الأمور الصغيرة. هذه هي الرّسالة: الله لم يأت إلينا ممتطيًا العظمة، بل نزل إلينا صغيرًا. اختار طريق الصِّغَر ليصل إلينا، ويَمَسَّ قلوبنا، ويخلّصنا، ويُعيدَنا إلى ما هو مُهِمّ.

أيّها الإخوة والأخوات، لنقف أمام المغارة، ولننظر إلى الجوهر فيها: لنذهب إلى ما أبعد من الأنوار والزّينة، التي هي جميلة، ولنتأمّل في الطّفل. في صغره الله كلّه موجود، لنتعرّف عليه: ”أيّها الطّفل، أنت هو الله، الله-الطفل“. ولندع الدهشة تستولي علينا ولو ثار فينا شيء من الشّك. الذي يَسَعُ الكون، بحاجة إلى أن يُحمل على ذراعين. والذي خلق الشمس، بحاجة إلى الدّفء. وهو الحنان مُشَخَّصًا، بحاجة إلى ملاطفة. الحبّ اللامتناهي، قلبه قلب صغير، يخفق وخفقاته ضعيفة. الكلمة الأزلي صغير لا ينطق. خبز الحياة، بحاجة إلى من يغذّيه. خالق العالم، لا مسكن له. اليوم كلّ شيء منعكس: الله جاء إلى العالم صغيرًا. وعظمته ظهرت في صغير.

ولنسأل أنفسنا، هل نعرف أن نستقبل طريقة الله هذه؟ هذا هو تحدّي عيد الميلاد: أظهر الله نفسه، لكن البشر لا يفهمونه. جعل نفسه صغيرًا في عيون العالم، ونحن نستمرّ في البحث عن العظمة بحسب العالم، وربّما حتّى باسمه. تنازل الله، ونحن نريد أن نصعد على قاعدة لكي نظهر. أشار العليّ إلى التواضع، ونحن ندَّعِي الظّهور. ذهب الله يبحث عن الرّعاة، غير الظّاهرين، ونحن نريد أن يرانا الناس. وُلِد يسوع لِيَخدُم، ونحن نقضي السّنين في السّعي وراء النّجاح. لا يطلب الله القوّة والسّلطة، بل يطلب الرّفق والصِّغَر الدّاخلي.

هذا ما يجب أن نطلبه من يسوع في عيد الميلاد، هذه النعمة: أن نعرف أن نكون صغارًا. ”أيّها الرّبّ يسوع، علّمنا أن نحبّ الصِّغَر. وساعدنا أن نفهم أنّه الطّريق إلى العظمة الحقيقيّة“. لكن ماذا يعني عمليًّا أن نستقبل الصّغر؟ أوّلاً، يعني أن نؤمن أنّ الله يريد أن يأتي في الأمور الصّغيرة في حياتنا، ويريد أن يعيش في حقائق حياتنا اليوميّة، والمبادرات البسيطة التي نفعلها في البيت، وفي العائلة، وفي المدرسة، وفي العمل. هو يريد أن يحقّق أمورًا غير عاديّة في حياتنا العاديّة. هذه رسالة رجاء كبيرة: يدعونا يسوع إلى أن نقدّر الأمور الصّغيرة في حياتنا ونكتشفها من جديد. وإن هو كان معنا هناك، فماذا ينقصنا؟ لنترك وراءنا إذًا حسرتنا على العظمة التي لا نملكها. ولنكُفَّ عن تذمّرنا ووجوهنا الحزينة، وجشعنا الذي يجعلنا أناسًا غير راضين!

هناك أكثر من ذلك. لا يريد يسوع أن يأتي فقط في الأمور الصّغيرة في حياتنا، بل في نفس صِغَرِنا: في شعورنا بضعفنا، وهشاشتنا، وعدم كفاءتنا، وربّما حتّى في أخطائنا. أختي وأخي، إذا أحاط بكم ظلام الليل، كما في بيت لحم، وإذا شعرتم ببرودة اللامبالاة من حولكم، وإذا صرخت الجراح التي تحملونها في داخلكم: ”أنت لا قيمة لك، ولا تساوي شيئًا، ولن يُحبّك النّاس أبدًا مثلما تريد“، في هذه الليلة، إذا شعرت بهذا، الله سيجيب. سيقول لك في هذه الليلة: ”أنا أحبّك كما أنت. لا يخيفني صغرك، ولا يقلقني ضعفك. صرتُ صغيرًا من أجلك. وحتّى أكون إلهك، صرتُ أخاك. أيّها الأخ الحبيب، والأخت الحبيبة، لا تخف منّي، ستجد عظمتك فيّ. أنا قريب منك، وأسألك هذا فقط: ثِق بِي وافتح لي قلبك“.

أن نقبل أن نكون صغارًا يعني شيئًا آخر أيضًا، وهو: أن نعانق يسوع في الأمور الصغيرة في كلّ يوم. أن نحبّه، أي أن نخدمه في الفقراء وفي الأخيرين. هم الذين يشبهون، أكثر من غيرهم، يسوع الذي وُلد فقيرًا. وفيهم هو يريد أن نكرّمه. في ليلة المحبّة هذه، يهاجمنا خوف واحد، وهو: أن نجرح محبّة الله، باحتقارنا الفقراء بلامبالاتنا. إنّهم المفضّلون لدى يسوع، الذين سيستقبلوننا يومًا في السّماء. كتبت شاعرة، قالت: "من لم يجد السّماء هنا، لن يجدها هناك في العُلى" (إيميلي ديكنسون، قصائد، P96-17). لا تغِبِ السماء عن نظرنا، ولنعتنِ بيسوع الآن، ولنلاطفه في المحتاجين، لأنّه ماهَى نفسه بهم.

لننظر مرّة أخرى إلى المغارة ونرى كيف أنّ يسوع عندما وُلد كان محاطًا بالصّغار والفقراء. كانوا الرّعاة. كانوا أكثر الناس بساطة وأكثرهم قربًا إلى الرّبّ يسوع. لقد وجدوه لأنّهم كانوا "يَبيتونَ في البَرِّيَّة، يَتَناوَبونَ السَّهَرَ في اللَّيلِ على رَعِيَّتِهم" (لوقا 2، 8). كانوا يعملون، لأنّهم كانوا فقراء ولم يكن في حياتهم أوقات خاصة، بل كانت تعتمد على القطيع. لم يكن باستطاعتهم أن يعيشوا كيفما يريدون وأينما يريدون، بل نظّموا أنفسهم بحسب احتياجات الخراف التي يعتنون بها. ووُلِدَ يسوع هناك، بالقرب منهم، وبالقرب من المنسيّين في الأطراف الهامشيّة. يأتي يسوع حيث تكون كرامة الإنسان في محنة. يأتي ليمنح كرامة للمستبعدين، ولهم يُظهر نفسه أوّلاً: وليس للشخصيّات المثقّفة والمهمّة، ولكن للنّاس الفقراء الذين يجدِّون ويعملون. سيأتي الله في هذه الليلة ليملأ قساوة العمل بالكرامة. إنّه يذكّرنا كم هو مهمّ أن نعطي كرامة للإنسان عن طريق العمل، ولكن أيضًا أن نعطي كرامة لعمل الإنسان، لأنّ الإنسان سيّدٌ وليس عبدًا للعمل. في يوم الحياة هذا لنردّد: كفى موتى في العمل! ولنلتزم بهذا.

لننظر مرّة أخيرة إلى المغارة، ولنوسّع أنظارنا إلى أقصى حدودها، حيث يمكننا أن نلمح المجوس، وهم في رحلة حجّ ليسجدوا للرّبّ يسوع. لننظر ونفهم أنّ كلّ شيء حول يسوع يجتمع معًا في وحدة واحدة: لا يوجد فقط الأخيرون، والرّعاة، بل أيضًا المتعلّمون والأغنياء، والمجوس. في بيت لحم، يقف معًا الفقراء والأغنياء، الذين يسجدون مثل المجوس والذين يعملون مثل الرّعاة. كلّ شيء يجد مكانه عندما يكون يسوع هو المركز: وليس أفكارنا عن يسوع، بل هو نفسه، الحي. لهذا، أيّها الإخوة والأخوات الأعزّاء، لنعد إلى بيت لحم، ولنعد إلى الأصول: إلى جوهر الإيمان، وإلى الحبّ الأوّل، وإلى السجود والمحبّة. لننظر إلى المجوس الحجّاج، ولنذهب، كنيسةً سينوديّةً بدأت مسيرة، إلى بيت لحم، حيث الله في الإنسان والإنسان في الله. وحيث الرّبّ يسوع في المقام الأوّل ويُسجَدُ له. وحيث يجلس الأخيرون في المكان الأقرب إليه. وحيث الرّعاة والمجوس يقفون معًا في أخوّة أقوى من أيّ تصنيف. ليمنحنا الله أن نكون كنيسة ساجدة وفقيرة وأخويّة. هذا هو الأساس. لنعد إلى بيت لحم.

حسنٌ لنا أن نذهب إلى هناك، مطيعين لإنجيل الميلاد، الذي يقدّم العائلة المقدسة، والرّعاة، والمجوس: كلّهم في مسيرة. أيّها الإخوة والأخوات، لننطلق في مسيرتنا، لأنّ الحياة هي حجّ. لننهض، ولنستيقظ لأنّ نورًا سيضيء في هذه الليلة. إنّه نور لطيف يذكّرنا أنّنا في صِغَرِنا نحن أبناءٌ أحبَّاء، أبناء النّور (راجع 1 تسالونيقي 5، 5). أيّها الإخوة والأخوات، لنبتهج معًا، لأنّه لن يُطفئ أحدٌ أبدًا هذا النّور، نور يسوع، الذي سيشعّ في العالم ابتداءً من هذه الليلة.

 

[01855-AR.02] [Testo originale: Italiano]

[B0879-XX.02]