Discorso del Santo Padre
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Visita ai Rifugiati nel Reception and Identification Centre di Mytilene (Lesvos)
Questa mattina, lasciata la Nunziatura Apostolica, il Santo Padre Francesco si è trasferito in auto all’Aeroporto Internazionale di Atene da dove è partito a bordo di un A320neo/dell’Aegean alla volta di Mytilene (Lesvos).
Al Suo arrivo all’Aeroporto di Mytilene, il Papa è stato accolto dalla Presidente della Repubblica Ellenica, S.E. la Signora Katerina Sakellaropoulou, e dall’Ordinario della Diocesi, S.E. Mons. Josif Printezis. Quindi si è trasferito in auto al Reception and Identification Centre per far visita ai rifugiati.
Giunto al campo si è recato in auto verso il luogo dove è avvenuto l’incontro con i rifugiati a cui erano presenti circa 200 persone.
Dopo il canto d’inizio e il saluto del Vescovo, un rifugiato e un volontario hanno portato la loro testimonianza. Quindi il Papa ha pronunciato il Suo discorso.
Al termine dei bambini hanno offerto un dono al Santo Padre. Poi il Papa si è intrattenuto con alcuni rifugiati e successivamente ha visitato le loro abitazioni.
A conclusione della visita, il Santo Padre si è trasferito in auto all’Aeroporto di Mytilene e, dopo essersi congedato dal Vescovo e dalle Autorità presenti, è salito a bordo dell’A320neo dell’Aegean e rientrato ad Atene. Al Suo arrivo all’Aeroporto di Atene, è rientrato in auto alla Nunziatura Apostolica dove ha pranzato in privato.
Pubblichiamo di seguito il discorso che Papa Francesco ha pronunciato nel corso della sua Visita ai rifugiati del Reception and Identification Centre di Mytilene (Lesvos):
Discorso del Santo Padre
Cari fratelli e sorelle,
grazie per le vostre parole. Le sono grato, Signora Presidente, per la sua presenza e le sue parole. Sorelle, fratelli, sono nuovamente qui per incontrarvi. Sono qui per dirvi che vi sono vicino, e dirlo col cuore. Sono qui per vedere i vostri volti, per guardarvi negli occhi. Occhi carichi di paura e di attesa, occhi che hanno visto violenza e povertà, occhi solcati da troppe lacrime. Il Patriarca Ecumenico e caro Fratello Bartolomeo, cinque anni fa su quest’isola, disse una cosa che mi colpì: «Chi ha paura di voi non vi ha guardato negli occhi. Chi ha paura di voi non ha visto i vostri volti. Chi ha paura di voi non vede i vostri figli. Dimentica che la dignità e la libertà trascendono paura e divisione. Dimentica che la migrazione non è un problema del Medio Oriente e dell’Africa settentrionale, dell’Europa e della Grecia. È un problema del mondo» (Discorso, 16 aprile 2016).
Sì, è un problema del mondo, una crisi umanitaria che riguarda tutti. La pandemia ci ha colpiti globalmente, ci ha fatti sentire tutti sulla stessa barca, ci ha fatto provare che cosa significa avere le stesse paure. Abbiamo capito che le grandi questioni vanno affrontate insieme, perché al mondo d’oggi le soluzioni frammentate sono inadeguate. Ma mentre si stanno faticosamente portando avanti le vaccinazioni a livello planetario e qualcosa, pur tra molti ritardi e incertezze, sembra muoversi nella lotta ai cambiamenti climatici, tutto sembra latitare terribilmente per quanto riguarda le migrazioni. Eppure ci sono in gioco persone, vite umane! C’è in gioco il futuro di tutti, che sarà sereno solo se sarà integrato. Solo se riconciliato con i più deboli l’avvenire sarà prospero. Perché quando i poveri vengono respinti si respinge la pace. Chiusure e nazionalismi – la storia lo insegna – portano a conseguenze disastrose. Infatti, come ha ricordato il Concilio Vaticano II, «la ferma volontà di rispettare gli altri uomini e gli altri popoli e la loro dignità, e l’assidua pratica della fratellanza umana sono assolutamente necessarie per la costruzione della pace» (Gaudium et spes, 78). È un’illusione pensare che basti salvaguardare se stessi, difendendosi dai più deboli che bussano alla porta. Il futuro ci metterà ancora più a contatto gli uni con gli altri. Per volgerlo al bene non servono azioni unilaterali, ma politiche di ampio respiro. La storia, ripeto, lo insegna, ma non lo abbiamo ancora imparato. Non si voltino le spalle alla realtà, finisca il continuo rimbalzo di responsabilità, non si deleghi sempre ad altri la questione migratoria, come se a nessuno importasse e fosse solo un inutile peso che qualcuno è costretto a sobbarcarsi!
Sorelle, fratelli, i vostri volti, i vostri occhi ci chiedono di non girarci dall’altra parte, di non rinnegare l’umanità che ci accomuna, di fare nostre le vostre storie e di non dimenticare i vostri drammi. Ha scritto Elie Wiesel, testimone della più grande tragedia del secolo passato: «È perché ricordo la nostra comune origine che mi avvicino agli uomini miei fratelli. È perché mi rifiuto di dimenticare che il loro futuro è importante quanto il mio» (From the Kingdom of Memory, Reminiscences, New York, 1990, 10). In questa domenica, prego Dio di ridestarci dalla dimenticanza per chi soffre, di scuoterci dall’individualismo che esclude, di svegliare i cuori sordi ai bisogni del prossimo. E prego anche l’uomo, ogni uomo: superiamo la paralisi della paura, l’indifferenza che uccide, il cinico disinteresse che con guanti di velluto condanna a morte chi sta ai margini! Contrastiamo alla radice il pensiero dominante, quello che ruota attorno al proprio io, ai propri egoismi personali e nazionali, che diventano misura e criterio di ogni cosa.
Cinque anni sono passati dalla visita compiuta qui con i cari Fratelli Bartolomeo e Ieronymos. Dopo tutto questo tempo constatiamo che sulla questione migratoria poco è cambiato. Certo, molti si sono impegnati nell’accoglienza e nell’integrazione, e vorrei ringraziare i tanti volontari e quanti a ogni livello – istituzionale, sociale, caritativo, politico – si sono sobbarcati grandi fatiche, prendendosi cura delle persone e della questione migratoria. Riconosco l’impegno nel finanziare e costruire degne strutture di accoglienza e ringrazio di cuore la popolazione locale per il tanto bene fatto e i molti sacrifici provati. E vorrei ringraziare anche le autorità locali, che sono impegnate nel ricevere, nel custodire e portare avanti questa gente che viene da noi. Grazie! Grazie di quello che fate! Ma dobbiamo amaramente ammettere che questo Paese, come altri, è ancora alle strette e che in Europa c’è chi persiste nel trattare il problema come un affare che non lo riguarda. Questo è tragico. Ricordo le Sue [rivolto alla Presidente] ultime parole: “Che l’Europa faccia lo stesso”. E quante condizioni indegne dell’uomo! Quanti hotspot dove migranti e rifugiati vivono in condizioni che sono al limite, senza intravedere soluzioni all’orizzonte! Eppure il rispetto delle persone e dei diritti umani, specialmente nel continente che non manca di promuoverli nel mondo, dovrebbe essere sempre salvaguardato, e la dignità di ciascuno dovrebbe essere anteposta a tutto! È triste sentir proporre, come soluzioni, l’impiego di fondi comuni per costruire muri, per costruire fili spinati. Siamo nell’epoca dei muri e dei fili spinati. Certo, si comprendono timori e insicurezze, difficoltà e pericoli. Si avvertono stanchezza e frustrazione, acuite dalle crisi economica e pandemica, ma non è alzando barriere che si risolvono i problemi e si migliora la convivenza. È invece unendo le forze per prendersi cura degli altri secondo le reali possibilità di ciascuno e nel rispetto della legalità, sempre mettendo al primo posto il valore insopprimibile della vita di ogni uomo, di ogni donna, di ogni persona. Disse ancora Elie Wiesel: «Quando le vite umane sono in pericolo, quando la dignità umana è in pericolo, i confini nazionali diventano irrilevanti» (Discorso di accettazione del Premio Nobel per la pace, 10 dicembre 1986).
In diverse società si stanno opponendo in modo ideologico sicurezza e solidarietà, locale e universale, tradizione e apertura. Piuttosto che parteggiare sulle idee, può essere d’aiuto partire dalla realtà: fermarsi, dilatare lo sguardo, immergerlo nei problemi della maggioranza dell’umanità, di tante popolazioni vittime di emergenze umanitarie che non hanno creato ma soltanto subito, spesso dopo lunghe storie di sfruttamento ancora in corso. È facile trascinare l’opinione pubblica istillando la paura dell’altro; perché invece, con lo stesso piglio, non si parla dello sfruttamento dei poveri, delle guerre dimenticate e spesso lautamente finanziate, degli accordi economici fatti sulla pelle della gente, delle manovre occulte per trafficare armi e farne proliferare il commercio? Perché non si parla di questo? Vanno affrontate le cause remote, non le povere persone che ne pagano le conseguenze, venendo pure usate per propaganda politica! Per rimuovere le cause profonde, non si possono solo tamponare le emergenze. Occorrono azioni concertate. Occorre approcciare i cambiamenti epocali con grandezza di visione. Perché non ci sono risposte facili a problemi complessi; c’è invece la necessità di accompagnare i processi dal di dentro, per superare le ghettizzazioni e favorire una lenta e indispensabile integrazione, per accogliere in modo fraterno e responsabile le culture e le tradizioni altrui.
Soprattutto, se vogliamo ripartire, guardiamo i volti dei bambini. Troviamo il coraggio di vergognarci davanti a loro, che sono innocenti e sono il futuro. Interpellano le nostre coscienze e ci chiedono: “Quale mondo volete darci?” Non scappiamo via frettolosamente dalle crude immagini dei loro piccoli corpi stesi inerti sulle spiagge. Il Mediterraneo, che per millenni ha unito popoli diversi e terre distanti, sta diventando un freddo cimitero senza lapidi. Questo grande bacino d’acqua, culla di tante civiltà, sembra ora uno specchio di morte. Non lasciamo che il mare nostrum si tramuti in un desolante mare mortuum, che questo luogo di incontro diventi teatro di scontro! Non permettiamo che questo “mare dei ricordi” si trasformi nel “mare della dimenticanza”. Fratelli e sorelle, vi prego, fermiamo questo naufragio di civiltà!
Sulle rive di questo mare Dio si è fatto uomo. La sua Parola è echeggiata, portando l’annuncio di Dio, che è «Padre e guida di tutti gli uomini» (S. Gregorio di Nazianzo, Discorso 7 per il fratello Cesario, 24).Egli ci ama come figli e ci vuole fratelli. E invece si offende Dio, disprezzando l’uomo creato a sua immagine, lasciandolo in balia delle onde, nello sciabordio dell’indifferenza, talvolta giustificata persino in nome di presunti valori cristiani. La fede chiede invece compassione e misericordia – non dimentichiamo che questo è lo stile di Dio: vicinanza, compassione e tenerezza –. La fede esorta all’ospitalità, a quella filoxenia che ha permeato la cultura classica, trovando poi in Gesù la propria manifestazione definitiva, specialmente nella parabola del Buon Samaritano (cfr Lc 10,29-37) e nelle parole del capitolo 25 del Vangelo di Matteo (cfr vv. 31-46). Non è ideologia religiosa, sono radici cristiane concrete. Gesù afferma solennemente di essere lì, nel forestiero, nel rifugiato, in chi è nudo e affamato. E il programma cristiano è trovarsi dove sta Gesù. Sì, perché il programma cristiano, ha scritto Papa Benedetto, «è un cuoreche vede» (Lett. enc. Deuscaritasest, 31). E non vorrei finire questo messaggio senza ringraziare il popolo greco per l’accoglienza. Tante volte questa accoglienza diventa un problema, perché non si trovano vie di uscita per la gente, per andare altrove. Grazie, fratelli e sorelle greci, per questa generosità.
Ora preghiamo la Madonna, perché ci apra gli occhi alle sofferenze dei fratelli. Ella si mise in fretta in viaggio verso la cugina Elisabetta che era incinta. Quante madri incinte hanno trovato in fretta e in viaggio la morte mentre portavano in grembo la vita! La Madre di Dio ci aiuti ad avere uno sguardo materno, che vede negli uomini dei figli di Dio, delle sorelle e dei fratelli da accogliere, proteggere, promuovere e integrare. E amare teneramente. La Tuttasanta ci insegni a mettere la realtà dell’uomo prima delle idee e delle ideologie, e a muovere passi svelti incontro a chi soffre.
Adesso preghiamo la Madonna tutti insieme.
[Angelus]
[01688-IT.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
Chers frères et sœurs,
merci pour vos paroles. Je vous suis reconnaissant, Madame la Présidente, pour votre présence et vos paroles. Chères sœurs, chers frères, je suis de nouveau là pour vous rencontrer. Je suis venu vous dire que je suis proche de vous, et le dire du fond du cœur. Je suis là pour voir vos visages, pour vous regarder dans les yeux. Des yeux remplis de peur et d'attente, des yeux qui ont vu la violence et la pauvreté, des yeux embués par trop de larmes. Il y a cinq ans sur cette île, le Patriarche œcuménique, mon cher frère Bartholomée, a dit une chose qui m'a frappé : «Celui qui a peur de vous ne vous a pas regardés dans les yeux. Celui qui a peur n'a pas vu vos visages. Celui qui a peur n'a pas vu vos enfants. Il oublie que la dignité et la liberté dépassent la peur et la division. Il oublie que la question migratoire n'est pas un problème du Moyen-Orient et de l'Afrique du Nord, de l'Europe et de la Grèce. Elle est un problème mondial» (Discours, 16 avril 2016).
Oui, c'est un problème mondial, une crise humanitaire qui nous concerne tous. La pandémie nous a touchés de manière globale, elle nous a fait réaliser que nous sommes tous dans la même barque, elle nous a fait éprouver ce que signifie avoir les mêmes peurs. Nous avons compris que les grandes questions doivent être abordées ensemble, car dans le monde d'aujourd'hui, les solutions partielles sont inadaptées. Cependant, alors que les vaccinations progressent difficilement à l'échelle mondiale et que, malgré beaucoup de retards et d’incertitudes, quelque chose semble bouger dans la lutte contre le changement climatique, tout paraît terriblement bloqué lorsqu’il s’agit de la question migratoire. Pourtant, des personnes et des vies humaines, sont en jeu! L'avenir de tout le monde est en jeu, il ne sera serein que s'il est intégré. Ce n'est qu’en étant réconcilié avec les plus faibles que l'avenir sera prospère. Parce que lorsque les pauvres sont rejetés, c’est la paix qui est rejetée. Le repli sur soi et les nationalismes - comme l'histoire nous l'enseigne – mènent à des conséquences désastreuses. Comme l'a en effet rappelé le Concile Vatican II, «la ferme volonté de respecter les autres hommes et les autres peuples ainsi que leur dignité, et la pratique assidue de la fraternité sont absolument indispensables à la construction de la paix» (Gaudium et spes, n. 78). C'est une illusion de penser qu'il suffit de se préserver soi-même, en se défendant des plus faibles qui frappent à la porte. L'avenir nous met de plus en plus en contact les uns avec les autres. Pour en faire un bien, ce sont les politiques de grande envergure qui sont utiles, et non les actions unilatérales. Je le répète: l'histoire nous l’enseigne, mais nous ne l’avons toujours pas retenu. Ne tournons pas le dos à la réalité, cessons de renvoyer constamment les responsabilités, ne déléguons pas toujours la question migratoire aux autres, comme si elle ne comptait pour personne, et n’était qu'un fardeau inutile dont quelqu’un est bien obligé de se charger !
Chères sœurs, chers frères, vos visages, vos yeux nous demandent de ne pas nous détourner, de ne pas nier l'humanité qui nous unit, de faire nôtres vos histoires, et de ne pas oublier vos drames. Elie Wiesel, témoin de la plus grande tragédie du siècle dernier, a écrit: «C'est parce que je me souviens de notre origine commune que je m’approche de mes frères, les hommes. C’est parce que je refuse d'oublier que leur avenir est aussi important que le mien (From the Kingdom of Memory, Reminiscenses, New York, 1990, 10). En ce dimanche, je prie Dieu de nous réveiller de l'oubli de ceux qui souffrent, de nous secouer de l'individualisme qui exclut, de réveiller les cœurs sourds aux besoins des autres. Et je prie aussi l'homme, tous les hommes : surmontons la paralysie de la peur, l'indifférence qui tue, le désintérêt cynique qui, avec ses gants de velours, condamne à mort ceux qui sont en marge ! Luttons à la racine contre cette pensée dominante, cette pensée qui se concentre sur son propre moi, sur les égoïsmes personnels et nationaux qui deviennent la mesure et le critère de toute chose.
Cinq années se sont écoulées depuis ma visite ici, avec mes chers frères Bartholomée et Jérôme. Après tout ce temps, nous constatons que peu de choses ont changé sur la question migratoire. Certes, de nombreuses personnes se sont engagées dans l'accueil et l'intégration, et je tiens à remercier les nombreux bénévoles, ainsi que tous ceux qui, à tous les niveaux - institutionnel, social, caritatif, politique - ont déployé de grands efforts en s'occupant des personnes et de la question migratoire. Je salue l'engagement à financer et à construire des structures d'accueil dignes, et je remercie de tout cœur la population locale pour tout le bien accompli et les nombreux sacrifices consentis. Et je voudrais remercier aussi les Autorités locales qui se sont employées à recevoir, protéger et faire avancer ces personnes qui vient chez nous. Merci! Merci pour ce que vous faites! Il faut admettre avec amertume que ce pays, comme d’autres, est encore en difficulté, et que certains en Europe persistent à traiter le problème comme une affaire qui ne les concerne pas. Et cela est tragique. Je me souviens de vos dernières paroles [de la Présidente]: “Que l’Europe fasse la même chose”. Comme ces conditions sont indignes de l'homme ! Combien de hotspot où les migrants et les réfugiés vivent dans des conditions à la limite de l’acceptable, sans entrevoir de solutions ! Pourtant, ce respect des personnes et des droits humains, surtout sur le continent qui les promeut dans le monde, devrait toujours être sauvegardé, et la dignité de chacun passer avant tout ! Il est triste d'entendre proposer, comme solution, l’utilisation de fonds communs pour construire des murs, des fils de fer barbelés. Nous sommes à l’époque des murs et des fils de fer barbelés. Bien sûr, les peurs et les insécurités, les difficultés et les dangers sont compréhensibles. La fatigue et la frustration se font sentir, exacerbées par les crises économique et pandémique, mais ce n'est pas en élevant des barrières que l’on résout les problèmes et que l’on améliore la vie en commun. Au contraire, c’est en unissant nos forces pour prendre soin des autres, selon les possibilités réelles de chacun et dans le respect de la loi, en mettant toujours en avant la valeur irrépressible de la vie de tout homme, de toute femme de toute personne. Elie Wiesel disait encore : «Lorsque des vies humaines sont en danger, lorsque la dignité humaine est en danger, les frontières nationales deviennent sans objet» (Discours d'acceptation du prix Nobel de la paix, 10 décembre 1986).
Dans diverses sociétés, on oppose de façon idéologique sécurité et solidarité, local et universel, tradition et ouverture. Plutôt que de prendre parti pour des idées, il peut être utile de partir de la réalité : s'arrêter, étendre son regard, l'immerger dans les problèmes de la plus grande partie de l'humanité, de tant de populations victimes d’urgences humanitaires qu’elles n’ont pas causées mais seulement subies, souvent suite à longues histoires d'exploitation qui durent encore. Il est facile de mener l'opinion publique en diffusant la peur de l'autre. Pourquoi, au contraire, ne pas parler avec la même vigueur de l'exploitation des pauvres, des guerres oubliées et souvent largement financées, des accords économiques conclus aux dépens des populations, des manœuvres secrètes pour le trafic et le commerce des armes en provoquant leur prolifération ? Pourquoi on ne parle pas de cela? Il s’agit de s'attaquer aux causes profondes, et non aux pauvres personnes qui en paient les conséquences et qui sont même utilisées pour la propagande politique! Pour éliminer les causes profondes, il ne suffit pas de camoufler les urgences. Il faut des actions concertées. Il faut aborder les changements d'époque avec une vision large. Parce qu'il n'y a pas de réponses faciles aux problèmes complexes. Il est en revanche nécessaire d'accompagner les processus de l'intérieur pour surmonter les ghettoïsations et favoriser une intégration lente et indispensable, afin d’accueillir les cultures et les traditions des autres de manière fraternelle et responsable.
Par-dessus tout, si nous voulons repartir, regardons le visage des enfants. Ayons le courage d'éprouver de la honte devant eux, qui sont innocents et représentent l'avenir. Ils interpellent nos consciences et nous interrogent : “Quel monde voulez-vous nous donner ?” Ne fuyons pas trop vite les images crues de leurs petits corps gisants sur les plages. La Méditerranée, qui a uni pendant des millénaires des peuples différents et des terres éloignées, est en train de devenir un cimetière froid sans pierres tombales. Ce grand plan d'eau, berceau de tant de civilisations, est désormais comme un miroir de la mort. Ne permettons pas que la mare nostrum se transforme en une désolante mare mortuum, que ce lieu de rencontre ne devienne pas le théâtre de conflits! Ne laissons pas cette “mer des souvenirs” devenir la “mer de l’oubli”. Frères et sœurs, je vous en prie, arrêtons ce naufrage de civilisation !
Sur les rives de cette mer, Dieu s'est fait homme. Sa Parole a fait écho, portant l'annonce de Dieu qui est «Père et guide de tous les hommes» (Saint Grégoire de Nazianze, Discours 7 pour son frère César, n.24). Il nous aime comme ses enfants, et veut que nous soyons frères. Et pourtant, c’est Dieu que l’on offense en méprisant l'homme créé à son image, en le laissant à la merci des vagues, dans le clapotis de l'indifférence, parfois même justifié au nom de prétendues valeurs chrétiennes. La foi, au contraire, exige compassion et miséricorde – ne l’oublions pas que c’est le style de Dieu: proximité, compassion et tendresse. La foi exhorte à l'hospitalité, à cette filoxenia qui a imprégné la culture classique et qui a trouvé sa manifestation définitive en Jésus, notamment dans la parabole du Bon Samaritain (cf. Lc 10, 29-37) et dans les paroles du chapitre 25 de l'Évangile de Matthieu (cf. vv. 31-46). Ce n'est pas de l’idéologie religieuse, ce sont les racines chrétiennes concrètes. Jésus affirme solennellement qu'il est là, dans l'étranger, dans le réfugié, dans celui qui est nu et affamé. Et le programme chrétien, c’est d'être là où est Jésus. Oui, parce que le programme chrétien, a écrit le Pape Benoît, c’«est un cœur qui voit» (Lettre encyclique Deus caritas est, n. 31). Et je ne voudrais pas finir ce message sans remercier le peuple grec pour son accueil. Très souvent cet accueil devient un problème, car on ne trouve pas de voie de sortie pour les personnes, pour qu’elles aillent ailleurs. Merci, frères et sœurs grecs pour cette générosité.
Prions maintenant la Vierge Marie pour qu'elle ouvre nos yeux sur les souffrances de nos frères. Elle qui, en hâte, s’est mise en route vers sa cousine Elizabeth qui était enceinte. Combien de mères enceintes ont trouvé la mort dans la précipitation du voyage alors qu'elles portaient la vie dans leur sein ! Que la Mère de Dieu nous aide à avoir un regard maternel qui voie dans les hommes des enfants de Dieu, des sœurs et des frères à accueillir, à protéger, à promouvoir et à intégrer. Et à aimer tendrement. Que la Mère Toute Sainte nous apprenne à mettre la réalité de l’homme avant les idées et les idéologies, et à nous hâter à la rencontre de ceux qui souffrent.
Et maintenant prions tous ensemble la Vierge Marie.
[Angelus]
[01688-FR.02] [Texte original: Italien]
Traduzione in lingua inglese
Dear brothers and sisters,
Thank you for your kind words. I am grateful to you, Madam President, for your presence and your words. Sisters and brothers, I am here once again, to meet you and to assure you of my closeness. I say it from the heart. I am here to see your faces and look into your eyes. Eyes full of fear and expectancy, eyes that have seen violence and poverty, eyes streaked by too many tears. Five years ago on this island, the Ecumenical Patriarch, my dear brother Bartholomew, said something that struck me: “Those who are afraid of you have not looked you in the eye. Those who are afraid of you have not seen your faces. Those who fear you have not seen your children. They have forgotten that dignity and freedom transcend fear and division. They have forgotten that migration is not an issue for the Middle East and Northern Africa, for Europe and Greece. It is an issue for the world” (Address, 16 April 2016).
It is an issue for the whole world: a humanitarian crisis that concerns everyone. The pandemic has had a global impact; it has made us realize that we are all on the same boat; it has made us experience what it means to have identical fears. We have come to understand that the great issues must be faced together, since in today’s world piecemeal solutions are inadequate. Yet while we are working to vaccinate people worldwide and, despite many delays and hesitations, progress is being made in the fight against climate change, all this seems to be terribly absent when it comes to migration. Yet human lives, real people, are at stake! The future of us all is at stake, and that future will be peaceful only if it is integrated. Only if it is reconciled with the most vulnerable will the future be prosperous. When we reject the poor, we reject peace.
History teaches us that narrow self-interest and nationalism lead to disastrous consequences. Indeed, as the Second Vatican Council observed, “a firm determination to respect the dignity of other individuals and peoples along with the deliberate practice of fraternal love are absolutely necessary for the achievement of peace” (Gaudium et Spes, 78). It is an illusion to think it is enough to keep ourselves safe, to defend ourselves from those in greater need who knock at our door. In the future, we will have more and more contact with others. To turn it to the good, what is needed are not unilateral actions but wide-ranging policies. Let me repeat: history teaches this lesson, yet we have not learned it. Let us stop ignoring reality, stop constantly shifting responsibility, stop passing off the issue of migration to others, as if it mattered to no one and was only a pointless burden to be shouldered by somebody else!
Sisters and brothers, your faces and your eyes beg us not to look the other way, not to deny our common humanity, but make your experiences our own and to be mindful of your dramatic plight. Elie Wiesel, a witness to the greatest tragedy of the last century, wrote: “It is because I remember our common beginning that I move closer to my fellow human beings. It is because I refuse to forget that their future is as important as my own” (From the Kingdom of Memory, Reminiscences, New York, 1990, 10). On this Sunday, I ask God to rouse us from our disregard for those who are suffering, to shake us from an individualism that excludes others, to awaken hearts that are deaf to the needs of our neighbours. I ask every man and woman, all of us, to overcome the paralysis of fear, the indifference that kills, the cynical disregard that nonchalantly condemns to death those on the fringes! Let us combat at its root the dominant mindset that revolves around ourselves, our self-interest, personal and national, and becomes the measure and criterion of everything.
Five years have passed since I visited this place with my dear brothers Bartholomew and Ieronymos. After all this time, we see that little has changed with regard to the issue of migration. To be sure, many people have committed themselves to the work of welcoming and integrating. I want to thank the many volunteers and all those at every level – institutional, social, charitable and political – who have made great efforts to care for individuals and to address the issue of migration. I also acknowledge the efforts made to finance and build dignified reception facilities, and I cordially thank the local population for the great good they have accomplished and for the many sacrifices they have made. I also thank the local authorities for welcoming and looking after the people coming to us. Thank you for what you are doing! Yet, with deep regret, we must admit that this country, like others, continues to be hard-pressed, and that in Europe there are those who persist in treating the problem as a matter that does not concern them. This is tragic. I recall the final words spoken by the President: “That Europe might do the same”.
How many conditions exist that are unworthy of human beings! How many hotspots where migrants and refugees live in borderline conditions, without glimpsing solutions on the horizon! Yet respect for individuals and for human rights, especially on this continent, which is constantly promoting them worldwide, should always be upheld, and the dignity of each person ought to come before all else. It is distressing to hear of proposals that common funds be used to build walls and barbed wire as a solution. We are in the age of walls and barbed wire. To be sure, we can appreciate people’s fears and insecurities, the difficulties and dangers involved, and the general sense of fatigue and frustration, exacerbated by the economic and pandemic crises. Yet problems are not resolved and coexistence improved by building walls higher, but by joining forces to care for others according to the concrete possibilities of each and in respect for the law, always giving primacy to the inalienable value of the life of every human being. For as Elie Wiesel also said: “When human lives are endangered, when human dignity is in jeopardy, national borders become irrelevant” (Nobel Prize Acceptance Speech, 10 December 1986).
In various societies, security and solidarity, local and universal concerns, tradition and openness are being ideologically contraposed. Rather than bickering over ideas, it would be better to begin with reality: to pause and broaden our gaze to take in the problems of the majority of humanity, of all those peoples who are victims of humanitarian emergencies they did not create, yet have to endure as the latest chapter in a long history of exploitation. It is easy to stir up public opinion by instilling fear of others. Yet why do we fail to speak with equal vehemence about the exploitation of the poor, about seldom-mentioned but often well-financed wars, about economic agreements where the people have to pay, about covert deals to traffic in arms, favouring the proliferation of the arms trade? Why is this not spoken of? The remote causes should be attacked, not the poor people who pay the consequences and are even used for political propaganda. To remove the root causes, more is needed than merely patching up emergency situations. Coordinated actions are needed. Epochal changes have to be approached with a breadth of vision. There are no easy answers to complex problems; instead, we need to accompany processes from within, to overcome ghettoization and foster a slow and necessary integration, to accept the cultures and traditions of others in a fraternal and responsible way.
Above all else, if we want to start anew, we must look at the faces of children. May we find the courage to feel ashamed in their presence; in their innocence, they are our future. They challenge our consciences and ask us: “What kind of world do you want to give us?” Let us not hastily turn away from the shocking pictures of their tiny bodies lying lifeless on the beaches. The Mediterranean, which for millennia has brought different peoples and distant lands together, is now becoming a grim cemetery without tombstones. This great basin of water, the cradle of so many civilizations, now looks like a mirror of death. Let us not let our sea (mare nostrum) be transformed into a desolate sea of death (mare mortuum). Let us not allow this place of encounter to become a theatre of conflict. Let us not permit this “sea of memories” to be transformed into a “sea of forgetfulness”. Please brothers and sisters, let us stop this shipwreck of civilization!
On the banks of this sea, God became man. Here Jesus’ word resounded, proclaiming that God is the “Father and guide of all people” (SAINT GREGORY OF NAZIANZUS, Oration VII for his brother Caesarius, 24). God loves us as his children; he wants us to be brothers and sisters. Instead, he is offended when we despise the men and women created in his image, leaving them at the mercy of the waves, in the wash of indifference, justified at times even in the name of supposedly Christian values. On the contrary, faith demands compassion and mercy. Let us not forget that this is God’s style: closeness, compassion and tenderness. Faith impels us to hospitality, to that philoxenia (love of strangers) which permeated classical culture, and later found in Jesus its definitive expression, particularly in the parable of the Good Samaritan (cf. Lk 10:29-37) and the words of Chapter 25 of the Gospel of Matthew (cf. vv. 31-46). Far from being a religious ideology, this has to do with our concrete Christian roots. Jesus solemnly tells us that he is present in the stranger, in the refugee, in those who are naked and hungry. The Christian programme is to be where Jesus is, for the Christian programme, as Pope Benedict has written, “is a heart which sees” (Deus Caritas Est, 31). I do not want to conclude this address without thanking the Greek people for their welcoming spirit. Many times this becomes a problem because it is difficult for the people who are coming here to go elsewhere. Thank you, brothers, and sisters, for your generosity!
Let us now pray to Our Lady, that she may open our eyes to the sufferings of our brothers and sisters. Mary set out in haste to visit her cousin Elizabeth who was pregnant. How many pregnant mothers, journeying in haste, have found death, even while carrying life in their womb! May the Mother of God help us to have a maternal gaze that regards all human beings as children of God, sisters and brothers to be welcomed, protected, supported and integrated. And to be loved tenderly. May the all-holy Mother teach us to put the reality of men and women before ideas and ideologies, and to go forth in haste to encounter all those who suffer.
Let us all now pray to Our Lady.
[Angelus]
[01688-EN.02] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua tedesca
Liebe Brüder und Schwestern,
Danke für Eure Worte. Ihnen, Frau Präsidentin, bin ich dankbar für Ihre Anwesenheit und Ihre Worte. Schwestern und Brüder, ich bin wieder hierhergekommen, um euch zu treffen. Ich bin hier, um euch zu sagen, dass ich euch nahe bin, um es euch von Herzen zu sagen. Ich bin hier, um eure Gesichter zu sehen und euch in die Augen zu schauen. Es sind Augen voller Angst und Erwartung, Augen, die Gewalt und Armut gesehen haben, Augen gerötet von zu vielen Tränen. Der Ökumenische Patriarch und liebe Bruder Bartholomaios sagte vor fünf Jahren auf dieser Insel etwas, das mich sehr beeindruckte: „Wer Angst vor euch hat, hat euch nicht in die Augen geschaut. Wer Angst vor euch hat, hat eure Gesichter nicht gesehen. Wer Angst vor euch hat, sieht eure Kinder nicht und vergisst, dass Würde und Freiheit über Angst und Trennung hinausgehen, vergisst, dass Migration nicht ein Problem des Mittleren Ostens und Nordafrikas, Europas und Griechenlands ist. Es ist ein Weltproblem“ (Ansprache des Patriarchen Bartholomaios im Flüchtlingslager Moria, Lesbos, 16. April 2016).
Ja, es ist ein Weltproblem, eine humanitäre Krise, die alle angeht. Die Pandemie hat uns auf globaler Ebene getroffen; uns wurde klar, dass wir alle im selben Boot sitzen, denn wir erlebten, was es heißt, dieselben Ängste zu haben. Wir haben verstanden, dass wir uns den großen Fragen gemeinsam stellen müssen, denn in der heutigen Welt sind bruchstückhafte Lösungen unzureichend. Während jedoch die Impfungen, wenn auch mühevoll, auf Weltebene vorangebracht werden und sich im Kampf gegen Klimaveränderungen, wenn auch mit vielen Verzögerungen und Unsicherheiten, etwas zu bewegen scheint, sieht alles im Bereich der Migrationen nach einem schrecklichen Stillstand aus. Dabei stehen doch Menschen und Menschenleben auf dem Spiel! Auf dem Spiel steht die Zukunft aller, die nur dann harmonisch sein kann, wenn sie auf Integration beruht. Nur eine mit den Schwächsten versöhnte Zukunft wird ertragreich sein. Wenn nämlich die Armen zurückgewiesen werden, wird der Frieden zurückgewiesen. Die Geschichte lehrt, dass Abkapselungen und Nationalismen katastrophale Folgen haben. Das Zweite Vatikanische Konzil erinnert uns: „Der feste Wille, andere Menschen und Völker und ihre Würde zu achten, gepaart mit einsatzbereiter und tätiger Brüderlichkeit - das sind unerlässliche Voraussetzungen für den Aufbau des Friedens“ (Gaudium et spes, 78). Man gibt sich einer Illusion hin, wenn man denkt, es reiche aus, sich selbst zu schützen und sich gegen die Schwächeren zu verteidigen, die an die Tür klopfen. Die Zukunft wird zu noch engeren zwischenmenschlichen Kontakten führen. Für eine Wendung zum Guten braucht es keine unilateralen Aktionen, sondern eine weitreichende Politik. Ich wiederhole: Die Geschichte lehrt uns das, aber wir haben es noch nicht gelernt. Man darf der Wirklichkeit nicht den Rücken kehren, die ständige Abwälzung von Verantwortung muss aufhören, und die Migrationsfrage darf nicht immer an andere delegiert werden, so als beträfe es niemanden und als sei sie nur eine nutzlose Last, die jemand zu übernehmen gezwungen ist!
Schwestern, Brüder, eure Gesichter, eure Augen bitten uns, uns nicht abzuwenden, die von uns allen geteilte Menschlichkeit nicht zu verleugnen, uns eure Geschichten zu eigen zu machen und eure dramatischen Erfahrungen nicht zu vergessen. Elie Wiesel, Zeuge der größten Tragödie des vergangenen Jahrhunderts, schrieb: „Da ich mich an unseren gemeinsamen Ursprung erinnere, nähere ich mich den Menschen, meinen Geschwistern. Da ich mich weigere zu vergessen, ist ihre Zukunft genauso wichtig wie meine“ (vgl. From the Kingdom of Memory, Reminiscenses, New York, 1990, 10). An diesem Sonntag bitte ich Gott, uns aus unserer Vergesslichkeit gegenüber den Leidenden zu erwecken; uns aufzurütteln aus dem Individualismus, der ausgrenzt; die Herzen, die gegenüber den Bedürfnissen des Nächsten taub sind, aufzuwecken. Und ich bitte auch den Menschen, jeden Menschen: Lasst uns die lähmende Angst überwinden, die todbringende Gleichgültigkeit, das zynische Desinteresse, das in Samthandschuhen die am Rand Stehenden zum Tode verurteilt! Lasst uns die vorherrschende Meinung, die sich um das eigene Ich dreht und um die eigenen, persönlichen und nationalen Egoismen, die Maß und Kriterium aller Dinge werden, an der Wurzel bekämpfen.
Fünf Jahre sind seit meinem Besuch hier mit meinen lieben Brüdern Bartholomaios und Hieronymos vergangen. Nach dieser langen Zeit stellen wir fest, dass sich in der Migrationsfrage wenig verändert hat. Sicherlich haben sich viele in der Aufnahme und Integration engagiert, und so möchte ich den zahlreichen Freiwilligen danken und allen, die auf jeder Ebene – institutionell, sozial, karitativ, politisch – große Mühen auf sich genommen und sich der Menschen und der Migrationsfrage angenommen haben. Ich würdige den Einsatz in der Finanzierung und im Aufbau angemessener Aufnahmestätten, und von Herzen danke ich der Bevölkerung vor Ort für das viele Gute, das sie getan hat, und die vielen bisher gebrachten Opfer. Und ich möchte auch den örtlichen Verantwortlichen danken, die sich dafür einsetzen, die Menschen, die zu uns kommen, zu empfangen, zu schützen und ihnen weiterzuhelfen. Danke! Danke für das, was ihr tut! Wir müssen aber mit Bitternis zugeben, dass dieses Land wie andere noch unter Druck steht und dass es in Europa immer noch Leute gibt, die so tun, als ginge sie dieses Problem nichts an. Das ist tragisch. Ich denke an Ihre [zur Präsidentin] letzten Worte: „Möge Europa dasselbe tun.“ Und wie viele menschenunwürdige Situationen bestehen noch immer! Wie viele Hotspots, wo Migranten und Flüchtlinge unter grenzwertigen Umständen leben, ohne dass sich am Horizont eine Lösung abzeichnet! Dabei sollte die Achtung des Menschen und der Menschenrechte immer gewahrt werden, vor allem auf dem Kontinent, der sie weltweit propagiert, und die Würde jedes Menschen sollte allem anderen vorangestellt werden! Es ist traurig, wenn als Lösung vorgeschlagen wird, mit gemeinsamen Ressourcen Mauern zu bauen und Stacheldraht anzubringen. Wir leben in einer Epoche der Mauern und des Stacheldrahtes. Ängste und Unsicherheiten, Schwierigkeiten und Gefahren sind natürlich verständlich. Man bemerkt auch Müdigkeit und Frustration, die von der Wirtschaftskrise und der Pandemie verschärft werden. Aber es ist nicht durch eine Verstärkung der Zäune, dass sich die Probleme lösen lassen und sich das Zusammenleben verbessern lässt. Das geschieht vielmehr durch eine Bündelung der Kräfte, um sich der Anderen anzunehmen je nach den tatsächlichen Möglichkeiten eines jeden und unter Wahrung des Rechts; dabei muss der unabdingbare Wert des Lebens jeden Mannes, jeder Frau, eines jeden Menschen stets an erster Stelle stehen. Elie Wiesel sagte auch: „Wenn Menschenleben in Gefahr sind, wenn die Menschenwürde in Gefahr ist, werden nationale Grenzen irrelevant“ (Ansprache zur Entgegennahme des Friedensnobelpreises, 10. Dezember 1986).
In verschiedenen Gesellschaften besteht gegenwärtig ein ideologischer Gegensatz zwischen Sicherheit und lokaler wie universaler Solidarität, zwischen Tradition und Offenheit. Anstatt für diese oder jene Idee einzutreten, kann es hilfreich sein, von der Wirklichkeit auszugehen: innezuhalten, den Blick zu weiten, ihn einzutauchen in die Probleme der Mehrheit der Menschen. Viele Bevölkerungsgruppen sind Opfer humanitärer Notlagen, die sie nicht verursacht, sondern nur erlitten haben, und dies oftmals nach langer und noch andauernder Ausbeutung. Es ist leicht, die öffentliche Meinung mitzureißen, indem man ihr Angst vor den Anderen einflößt; warum spricht man nicht in demselben Ton von der Ausbeutung der Armen, von den vergessenen und oft großzügig finanzierten Kriegen, von den auf dem Rücken anderer Menschen abgeschlossenen wirtschaftlichen Pakte, von den heimlichen Manövern des Waffenhandels und der Proliferation von Waffen? Warum spricht man nicht darüber? Die zugrundeliegenden Ursachen müssen angegangen werden, nicht die armen Menschen, die die Folgen zu tragen haben und sogar für politische Propaganda missbraucht werden! Zur Beseitigung der tiefer liegenden Gründe reicht es nicht aus, Notständen abzuhelfen. Es bedarf konzertierter Aktionen. Es ist nötig, die epochalen Veränderungen mit einem weit gefassten Blick in Angriff zu nehmen. Denn es gibt keine einfachen Antworten auf komplexe Probleme; es gibt dagegen die Notwendigkeit, die Prozesse in ihrem Inneren zu begleiten, um Gettoisierungen zu überwinden und eine langsame, unverzichtbare Integration zu fördern und um andere Kulturen und Traditionen auf geschwisterliche und verantwortliche Art aufzunehmen.
Wenn wir neu anfangen wollen, sollten wir vor allem in die Gesichter der Kinder schauen. Lasst uns den Mut finden, uns vor ihnen, die unschuldig sind und die Zukunft bedeuten, zu schämen. Sie hinterfragen unser Gewissen und fragen uns: „Welche Welt wollt ihr uns geben?“ Lasst uns nicht eilig Reißaus nehmen vor den brutalen Bildern ihrer kleinen Körper, die regungslos am Strand liegen. Das Mittelmeer hat Jahrtausende lang unterschiedliche Völker und weit voneinander entfernte Länder miteinander verbunden; jetzt wird es gerade zu einem kalten Friedhof ohne Grabsteine. Dieses große Wasserbecken, diese Wiege zahlreicher Zivilisationen erscheint nun als Spiegel des Todes. Lassen wir nicht zu, dass das Mare Nostrum [Unser Meer] sich in ein trostloses Mare Mortuum [Meer der Toten] verwandelt, dass dieser Ort der Begegnung zum Schauplatz von Auseinandersetzungen wird! Lassen wir nicht zu, dass dieses „Meer der Erinnerungen“ zu einem „Meer des Vergessens“ mutiert! Brüder und Schwestern, ich bitte euch, lasst uns diesen Schiffbruch der Zivilisation stoppen!
An den Ufern dieses Meeres ist Gott Mensch geworden. Hier hallte sein Wort wider und brachte die Verkündigung Gottes, der „Vater und Leiter aller Menschen ist“ (hl. Gregor von Nazianz, Rede 7 für seinen Bruder Cäsarios, 24).Er liebt uns als seine Kinder und will, dass wir Geschwister sind. Daher beleidigt man Gott, wenn man den nach seinem Abbild geschaffenen Menschen verachtet, ihn den Wellen und dem Schwappen der Gleichgültigkeit überlässt, was dazu noch manchmal mit vorgeblichen christlichen Werten gerechtfertigt wird. Der Glaube hingegen fordert Mitleid und Barmherzigkeit. Vergessen wir nicht, dass das der Stil Gottes ist: Nähe, Mitleid und Zärtlichkeit. Der Glaube ermahnt zur Gastfreundschaft, zu jener philoxenia, von der die antike Kultur durchdrungen war und die dann in Jesus ihren endgültigen Ausdruck fand, insbesondere im Gleichnis des Barmherzigen Samariters (vgl. Lk 10,29-37) und in den Worten des 25. Kapitels des Matthäusevangeliums (vgl. V. 31-46). Das ist keine religiöse Ideologie, sondern es sind konkrete christliche Wurzeln. Jesus erklärt feierlich, genau dort zu sein, im Fremden, im Flüchtling, im Nackten und Hungrigen. Und das christliche Programm besteht darin, dort zu sein, wo Jesus ist. Ja, denn das Programm des Christen — wie Papst Benedikt XVI. schrieb — ist ein „sehendes Herz“ (Enzyklika Deuscaritasest, 31). Und ich möchte diese Ansprache nicht beenden, ohne dem griechischen Volk für die Gastfreundschaft zu danken. Oft wird diese Gastfreundschaft zum Problem, weil man keine Auswege findet für die Menschen, so dass sie woanders hingehen können. Danke, liebe griechische Brüder und Schwestern, für diese Großzügigkeit.
Nun beten wir zu Maria, auf dass sie unsere Augen für die Not unserer Geschwister öffne. Sie machte sich eilig auf den Weg zu ihrer Cousine Elisabet, die schwanger war. Wie viele schwangere Mütter haben in Eile und auf Reisen den Tod gefunden, während sie das Leben in sich trugen! Die Mutter Gottes helfe uns, einen mütterlichen Blick zu haben, der in den Menschen Kinder Gottes und Geschwister erkennt. Sie gilt es anzunehmen, zu schützen, zu fördern, zu integrieren. Und zärtlich zu lieben. Die Allselige Jungfrau Maria lehre uns, allen Ideen und Ideologien die Wirklichkeit des Menschen voranzustellen und mit raschen Schritten auf die Leidenden zuzugehen.
Beten wir jetzt alle gemeinsam zur Mutter Gottes.
[Angelus]
[01688-DE.02] [Originalsprache: Italien]
Traduzione in lingua spagnola
Queridos hermanos y hermanas:
Gracias por sus palabras. Le agradezco, señora Presidenta, por su presencia y sus palabras. Hermanas, hermanos, estoy nuevamente aquí para encontrarme con ustedes; estoy aquí para decirles que estoy cerca de ustedes de corazón; estoy aquí para ver sus rostros, para mirarlos a los ojos: ojos cargados de miedo y de esperanza, ojos que han visto la violencia y la pobreza, ojos surcados por demasiadas lágrimas. Hace cinco años, el Patriarca Ecuménico y querido hermano Bartolomé dijo en esta isla algo que me impactó: «El que les tiene miedo no los ha mirado a los ojos. El que les tiene miedo no ha visto sus rostros. El que les tiene miedo no ve a sus hijos. Olvida que la dignidad y la libertad trascienden el miedo y la división. Olvida que la migración no es un problema del Oriente Medio y del África septentrional, de Europa y de Grecia. Es un problema del mundo» (Discurso, 16 abril 2016).
Sí, es un problema del mundo, una crisis humanitaria que concierne a todos. La pandemia nos ha afectado globalmente, nos ha hecho sentir a todos en la misma barca, nos ha hecho experimentar lo que significa tener los mismos miedos. Hemos comprendido que las grandes cuestiones se afrontan juntos, porque en el mundo de hoy las soluciones fragmentadas son inadecuadas. Pero mientras se llevan adelante las vacunaciones a nivel planetario y —aun en medio de muchos retrasos e incertezas— algo parece que se está moviendo en la lucha contra el cambio climático, todo parece terriblemente opaco en lo que se refiere a las migraciones. Y, sin embargo, están en juego personas, vidas humanas. Está en juego el futuro de todos, que sólo será sereno si está integrado. El futuro sólo será próspero si se reconcilia con los más débiles. Porque cuando se rechaza a los pobres, se rechaza la paz. Cierres y nacionalismos —nos enseña la historia— llevan a consecuencias desastrosas. En efecto, como ha recordado el Concilio Vaticano II, «es absolutamente necesario el firme propósito de respetar a los demás hombres y pueblos, así como su dignidad, y el apasionado ejercicio de la fraternidad en orden a construir la paz» (Const. past. Gaudium et spes, 78). Es una ilusión pensar que basta con salvaguardarnos a nosotros mismos, defendiéndonos de los más débiles que llaman a la puerta. El futuro nos pondrá cada vez más en contacto unos con otros; para orientarlo hacia el bien no sirven acciones unilaterales, sino políticas más amplias. La historia, repito, nos enseña, pero todavía no hemos aprendido. Que no se vuelvan las espaldas a la realidad, que termine el continuo rebote de responsabilidades, que no se delegue siempre a los otros la cuestión migratoria, como si a ninguno le importara y fuese sólo una carga inútil que alguno se ve obligado a soportar.
Hermanas, hermanos, sus rostros, sus ojos nos piden que no miremos a otra parte, que no reneguemos de la humanidad que nos une, que hagamos nuestras sus historias y no olvidemos sus dramas. Elie Wiesel, testigo de la tragedia más grande del siglo pasado, escribió: «Me acerco a los hombres, mis hermanos, porque recuerdo nuestro origen común, porque me niego a olvidar que su futuro es tan importante como el mío» (From the Kingdom of Memory, Reminiscenses, Nueva York, 1990, 10). En este domingo, ruego a Dios que nos despierte del olvido de quien sufre, que nos sacuda del individualismo que excluye, que despierte los corazones sordos a las necesidades del prójimo. Y ruego también al hombre, a cada hombre: superemos la parálisis del miedo, la indiferencia que mata, el cínico desinterés que con guantes de seda condena a muerte a quienes están en los márgenes. Afrontemos desde su raíz al pensamiento dominante, que gira en torno al propio yo, a los propios egoísmos personales y nacionales, que se convierten en medida y criterio de todo.
Han pasado cinco años desde la visita que realicé con los queridos hermanos Bartolomé y Ieronymos. Después de todo este tiempo constatamos que poco ha cambiado sobre la cuestión migratoria. Ciertamente, muchos se han comprometido en la acogida y en la integración, y quisiera agradecer a los numerosos voluntarios y a cuantos, a todo nivel —institucional, social, caritativo, político—, han asumido grandes esfuerzos, haciéndose cargo de las personas y de la cuestión migratoria. Reconozco el compromiso en la financiación y construcción de dignas estructuras de acogida y agradezco de corazón a la población local por todo el bien que ha hecho y los numerosos sacrificios que han aceptado. Asimismo, quisiera agradecer a las autoridades locales, que reciben, custodian y ayudan a salir adelante a esta gente que viene a nosotros. Gracias por lo que hacen. Pero debemos admitir amargamente que este país, como otros, está atravesando actualmente una situación difícil y que en Europa sigue habiendo personas que persisten en tratar el problema como un asunto que no les incumbe. Esto es trágico. Recuerdo sus últimas palabras [dirigiéndose a la Presidenta]: “Que Europa haga lo mismo”. Y, ¡cuántas condiciones indignas del hombre! ¡Cuántos puntos críticos donde los migrantes y refugiados viven en situaciones límite, sin vislumbrar soluciones en el horizonte! Y, sin embargo, el respeto a las personas y a los derechos humanos —especialmente en el continente que no cesa de promoverlos en el mundo— debería ser salvaguardado siempre, y la dignidad de cada uno debería ser antepuesta a todo. Es triste escuchar que el uso de fondos comunes se propone como solución para construir muros, para construir alambres de púas. Estamos en la época de los muros y de los alambres de púas. Ciertamente, los temores y las inseguridades, las dificultades y los peligros son comprensibles. El cansancio y la frustración, agudizados por la crisis económica y pandémica, se perciben, pero no es levantando barreras como se resuelven los problemas y se mejora la convivencia, sino uniendo fuerzas para hacerse cargo de los demás según las posibilidades reales de cada uno y en el respeto de la legalidad, poniendo siempre en primer lugar el valor irrenunciable de la vida de todo hombre, de toda mujer, de toda persona. Cito una vez más a Elie Wiesel: «Cuando las vidas humanas están en peligro, cuando la dignidad humana está en peligro, los límites nacionales se vuelven irrelevantes» (Discurso de aceptación del Premio Nobel de la paz, 10 diciembre 1986).
En varias sociedades los conceptos de seguridad y solidaridad, local y universal, tradición y apertura se están oponiendo de modo ideológico. Más que sostener unas ideas, puede ayudar partir de la realidad, detenerse, ampliar la mirada, sumergirse en los problemas de la mayoría de la humanidad, de tantas poblaciones víctimas de emergencias humanitarias que no han provocado sino sólo padecido, a menudo después de largas historias de explotación todavía en curso. Es fácil arrastrar a la opinión pública, fomentando el miedo al otro; ¿por qué, en cambio, con el mismo tono, no se habla de la explotación de los pobres, o de las guerras olvidadas y a menudo generosamente financiadas, o de los acuerdos económicos que se hacen a costa de la gente, o de las maniobras ocultas para traficar armas y hacer que prolifere su comercio? ¿Por qué no se habla de esto? Hay que enfrentar las causas remotas, no a las pobres personas que pagan las consecuencias de ello, siendo además usadas como propaganda política. Para remover las causas profundas no se puede sólo resolver las emergencias. Se necesitan acciones concertadas. Es necesario acercarse a los cambios históricos con amplitud de miras. Porque no hay respuestas fáciles para problemas complejos; existe más bien la necesidad de acompañar los procesos desde dentro, para superar los guetos y favorecer una lenta e indispensable integración, para acoger las culturas y las tradiciones de los otros de una manera fraterna y responsable.
Sobre todo, si queremos recomenzar, miremos el rostro de los niños. Hallemos la valentía de avergonzarnos ante ellos, que son inocentes y son el futuro. Interpelan nuestras conciencias y nos preguntan: “¿Qué mundo nos quieren dar?”. No escapemos rápidamente de las crudas imágenes de sus pequeños cuerpos sin vida en las playas. El Mediterráneo, que durante milenios ha unido pueblos diversos y tierras distantes, se está convirtiendo en un frío cementerio sin lápidas. Esta gran cuenca de agua, cuna de tantas civilizaciones, ahora parece un espejo de muerte. ¡No dejemos que el mare nostrum se convierta en un desolador mare mortuum, ni que este lugar de encuentro se vuelva un escenario de conflictos! No permitamos que este “mar de los recuerdos” se transforme en el “mar del olvido”. Hermanos y hermanas, les suplico: ¡detengamos este naufragio de civilización!
Dios se hizo hombre en las orillas de este mar. Su Palabra ha resonado llevando consigo el anuncio de Dios, que es «Padre y guía de los hombres» (S. Gregorio Nacianceno, Sermón 7, en honor de su hermano Cesario, 24). Él nos ama como hijos y quiere que seamos hermanos. Y, en cambio, ofendemos a Dios, despreciando al hombre creado a su imagen, dejándolo a merced de las olas, en lamarea de la indiferencia, a veces justificada incluso en nombre de presuntos valores cristianos. La fe nos pide compasión y misericordia —no nos olvidemos que este es el estilo de Dios: cercanía, compasión y ternura—. La fe exhorta a la hospitalidad, a aquella filoxenia que impregnó la cultura clásica, encontrando luego en Jesús su propia manifestación definitiva, especialmente en la parábola del Buen Samaritano (cf. Lc 10,29-37) y en las palabras del capítulo 25 del Evangelio de Mateo (cf. vv. 31-46). No es ideología religiosa, son raíces cristianas concretas. Jesús afirma solemnemente que está allí, en el forastero, en el refugiado, en el que está desnudo y hambriento; y el programa cristiano es estar donde está Jesús. Sí, porque el programa cristiano, escribió el Papa Benedicto, «es un corazón que ve» (Carta enc. Deuscaritasest, 31).
Y no quisiera terminar este mensaje sin agradecer al pueblo griego por el recibimiento, pues tantas veces la acogida se convierte en un problema porque no encuentra camino de salida para la gente, para desplazarse a otro lado. Gracias, hermanos y hermanas griegos, gracias por esta generosidad. Y ahora pidamos a la Virgen María que nos abra los ojos ante los sufrimientos de los hermanos. Ella se puso en camino rápidamente al encuentro de su prima Isabel, que estaba encinta. ¡Cuántas madres embarazadas encontraron la muerte rápidamente, estando de viaje, mientras llevaban la vida en su vientre! Que la Madre de Dios nos ayude a tener una mirada materna, que ve en los hombres hijos de Dios, hermanas y hermanos que acoger, proteger, promover e integrar; y a amar con ternura. Que María Santísima nos enseñe a anteponer la realidad del hombre a las ideas e ideologías, y a dar pasos ágiles al encuentro del que sufre.
[01688-ES.02] [Texto original: Italiano]
[Angelus]
Traduzione in lingua portoghese
Queridos irmãos e irmãs,
Obrigado pelas vossas palavras! Agradeço-lhe, Senhora Presidente, a presença e as suas palavras. Irmãs, irmãos, vim de novo aqui para vos encontrar. Estou aqui para vos certificar da minha proximidade, e faço-o com o coração. Estou aqui para contemplar os vossos rostos, para ver-vos olhos nos olhos. Olhos cheios de medo e ansiedade, olhos que viram violência e pobreza, olhos sulcados por demasiadas lágrimas. Há cinco anos, nesta ilha, o Patriarca Ecuménico e querido Irmão Bartolomeu disse algo que me impressionou: «Quem tem medo de vós, não vos fixou nos olhos. Quem tem medo de vós, não viu os vossos rostos. Quem tem medo de vós, não vê os vossos filhos. Esquece que a dignidade e a liberdade transcendem o medo e a divisão. Esquece que a migração não é um problema do Médio Oriente e do norte da África, da Europa e da Grécia. É um problema do mundo inteiro» (Discurso, 16/IV/2016).
Sim, é um problema mundial, uma crise humanitária que diz respeito a todos. A pandemia atingiu-nos globalmente, fez com que todos nos sentíssemos no mesmo barco, fez-nos experimentar o que significa ter os mesmos temores. Compreendemos que as grandes questões devem ser enfrentadas em conjunto, porque, no mundo atual, são inadequadas as soluções fragmentadas. Mas, enquanto as vacinações se estão a efetuar fadigosamente a nível planetário e algo parece mover-se, embora por entre inúmeros atrasos e incertezas, na luta contra as mudanças climáticas, tudo parece baldar-se terrivelmente no que diz respeito às migrações. E, no entanto, há pessoas, vidas humanas em jogo. Está em jogo o futuro de todos, que, só poderá ser sereno, se for integrador. Só se aparecer reconciliado com os mais frágeis é que o futuro será próspero. Pois quando são repelidos os pobres, repele-se a paz. Fechamentos e nacionalismos – a história no-lo ensina – levam a consequências desastrosas. Com efeito, como recordou o Concílio Vaticano II, são «absolutamente necessárias para a edificação da paz (…) a vontade firme de respeitar a dignidade dos outros homens e povos e a prática assídua da fraternidade» (Gaudium et spes, 78). É uma ilusão pensar que seja suficiente salvaguardar-se a si mesmo, defendendo-se dos mais frágeis que batem à porta. O futuro colocar-nos-á ainda mais em contacto uns com os outros. Para bem encaminhá-lo, não servem ações unilaterais, mas políticas de longo alcance. A história – repito – no-lo ensina, mas ainda não aprendemos. Não se volte as costas à realidade, acabe o contínuo descarregar de responsabilidades para os outros, nem se delegue sempre para outros a questão migratória, como se a ninguém importasse e fosse apenas um peso inútil que alguém é obrigado a carregar.
Irmãs, irmãos, os vossos rostos, os vossos olhos pedem-nos para não vos virarmos as costas, não renegarmos a humanidade que nos irmana, para assumirmos as vossas histórias e não esquecermos os vossos dramas. Assim escreveu Elie Wiesel, testemunha da maior tragédia do século passado: «É porque recordo a nossa origem comum que me aproximo dos homens meus irmãos. É porque me recuso a esquecer que o futuro deles é tão importante como o meu» (From the Kingdom of Memory, Reminiscenses, Nova York, 1990, 10). Neste domingo, peço a Deus que nos acorde da indiferença por quem sofre, nos sacuda do individualismo que exclui, desperte os corações surdos às necessidades dos outros. E peço também ao homem, a todo o homem: superemos a paralisia do medo, a indiferença que mata, o desinteresse cínico que, com luvas de veludo, condena à morte quem está colocado à margem. Contrariemos na sua raiz o pensamento dominante, aquele que gira em torno do próprio eu, dos próprios egoísmos pessoais e nacionais que se tornam medida e critério de tudo.
Passaram-se cinco anos desde a visita que aqui fiz com os queridos Irmãos Bartolomeu e Ieronymos. Depois de todo este tempo, constatamos que pouca coisa mudou na questão migratória. Muitos, sem dúvida, se empenharam no acolhimento e na integração, e quero agradecer aos numerosos voluntários e a quantos nos vários níveis – institucional, social, caritativo, político – arcaram com grandes fadigas ocupando-se das pessoas e da questão migratória. Reconheço o esforço realizado para financiar e construir estruturas de acolhimento dignas e de coração agradeço à população local pelo grande bem que fizeram e os inúmeros sacrifícios que suportaram. E quero agradecer também às autoridades locais, que estão empenhadas em receber, abrigar e fazer avançar estas pessoas que chegam aqui. Obrigado! Obrigado por tudo o que fazem! Com amargura, porém, temos de admitir que este país, à semelhança de outros, continua sob pressão e que, na Europa, há quem persista em tratar o problema como um assunto que não lhe diz respeito. Isto é trágico. Recordo, [Senhora Presidente], as suas palavras finais: «Que a Europa faça o mesmo». E quantas condições indignas do homem! Quantos pontos de triagem onde migrantes e refugiados vivem em condições que estão no limite da suportação, sem se vislumbrar no horizonte qualquer solução! E todavia o respeito pelas pessoas e pelos direitos humanos, especialmente no continente que não deixa de os promover no mundo, deveria ser sempre salvaguardado e a dignidade de cada um deveria ter prioridade sobre tudo. É triste ouvir propor, como solução, o uso de fundos comuns para construir muros, para levantar barreiras de arame farpado. Estamos na época dos muros e do arame farpado. Claro, compreendem-se os medos e inseguranças, as dificuldades e perigos. Fazem-se sentir o cansaço e a frustração, agravados pelas crises económica e pandémica, mas não é erguendo barreiras que se resolvem os problemas e melhora a convivência. Antes pelo contrário, é unindo as forças para cuidar dos outros segundo as possibilidades reais de cada um e no respeito da legalidade, colocando sempre em primeiro lugar o valor incancelável da vida de cada homem, de cada mulher, de toda a pessoa. A propósito afirma o referido Elie Wiesel: «Quando as vidas humanas estão em perigo, quando a dignidade humana está em perigo, as fronteiras nacionais tornam-se irrelevantes» (Discurso ao receber o Prémio Nobel da Paz, 10/XII/1986).
Em várias sociedades, há quem esteja, de forma ideológica, a contrapor segurança e solidariedade, local e universal, tradição e abertura. Mais do que tomar partido pelas ideias, ajuda partir da realidade: parar, estender o olhar, fazê-lo penetrar nos problemas da maioria da humanidade, de tantas populações vítimas de emergências humanitárias que não criaram, mas têm de as suportar, frequentemente, depois de longas histórias de exploração ainda em curso. É fácil arrastar a opinião pública incutindo o medo do outro; mas por que motivo não se fala, com o mesmo brio, da exploração dos pobres, das guerras esquecidas e muitas vezes lautamente financiadas, dos acordos económicos feitos na pele do povo, das manobras ocultas para contrabandar armas e fazer proliferar o seu comércio? Por que motivo não se fala disto? Há que enfrentar as causas remotas, não as pessoas pobres que pagam as suas consequências, acabando até por ser usadas para propaganda política. Para remover as causas profundas, não basta apenas resolver as emergências. São necessárias ações concordadas. É preciso abordar as mudanças epocais com grandeza de visão, porque não há respostas fáceis para problemas complexos. Em vez disso, impõe-se acompanhar os processos a partir do seu interior para superar os guetos e favorecer uma integração lenta e indispensável, para acolher de modo fraterno e responsável as culturas e as tradições alheias.
Se queremos recomeçar, olhemos sobretudo os rostos das crianças. Tenhamos a coragem de nos envergonhar à vista delas, que são inocentes e constituem o futuro. Interpelam as nossas consciências, perguntando-nos: «Que mundo nos quereis dar?» Não fujamos apressadamente das cruas imagens dos seus corpinhos estendidos, inertes, nas praias. O Mediterrâneo, que uniu durante milénios povos diferentes e terras distantes, está a tornar-se um cemitério frio sem lápides. Esta grande bacia hidrográfica, berço de tantas civilizações, agora parece um espelho de morte. Não deixemos que o mare nostrum se transforme num desolador mare mortuum, que este lugar de encontros se transforme no palco de confrontos. Não permitamos que este «mar das memórias» se transforme no «mar do esquecimento». Por favor, irmãos e irmãs, paremos este naufrágio de civilização!
Nas margens deste mar, Deus fez-Se homem. A sua Palavra ecoou, trazendo o anúncio de Deus, que é «Pai e guia de todos os homens» (S. Gregório Nazianzeno, Discurso 7 para o irmão Cesário, 24). Ele ama-nos como filhos e quer-nos irmãos. Ao contrário, ofende-se Deus, desprezando o homem criado à sua imagem, deixando-o à mercê das ondas, num vaivém de indiferença, às vezes justificada até em nome de pretensos valores cristãos. Ao contrário, a fé pede compaixão e misericórdia; não esqueçamos qual é o estilo de Deus: proximidade, compaixão e ternura. A fé exorta à hospitalidade, àquela filoxenia que permeou a cultura clássica, encontrando depois em Jesus a sua manifestação definitiva, sobretudo na parábola do bom samaritano (cf. Lc 10, 29-37) e nas palavras do capítulo 25 do Evangelho de Mateus (cf. vv. 31-46). Não é ideologia religiosa, são raízes cristãs concretas. Jesus afirma solenemente que está ali no estrangeiro, no refugiado, no nu e no faminto. E o programa cristão é encontrar-se onde Jesus está. Sim, porque «o programa do cristão – escreveu o Papa Bento XVI – é “um coração que vê”» (Carta enc. Deus caritas est, 31). E não quero terminar estas minhas palavras sem agradecer o acolhimento praticado pelo povo grego. Muitas vezes este acolhimento torna-se um problema, porque não se encontram vias de saída para as pessoas irem para outro lugar. Obrigado, irmãos e irmãs gregos, por esta generosidade!
Agora rezemos a Nossa Senhora para que nos abra os olhos aos sofrimentos dos irmãos. Ela pôs-Se a caminho apressadamente para ir ter com a prima Isabel, que estava grávida. Quantas mães grávidas, apressadas e em viagem, encontraram a morte enquanto levavam no ventre a vida! Que a Mãe de Deus nos ajude a ter um olhar materno, que veja nos homens filhos de Deus, irmãs e irmãos que devemos acolher, proteger, promover, integrar e... amar ternamente. Que a Toda Santa nos ensine a colocar a realidade do homem antes das ideias e das ideologias, e a mover, rápido, os passos ao encontro de quem sofre.
Agora, todos juntos, rezemos a Nossa Senhora.
[Angelus].
[01688-PO.01] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua polacca
Drodzy bracia i siostry,
dziękuję za wasze słowa. Jestem wdzięczny Pani Prezydent za Jej obecność i Jej słowa. Siostry, bracia, jestem tu ponownie, aby się z wami spotkać. Jestem tu po to, aby powiedzieć, że jestem blisko was, żeby powiedzieć to sercem. Jestem tu, aby zobaczyć wasze twarze, aby spojrzeć w wasze oczy. Oczy pełne strachu i oczekiwania, oczy, które widziały przemoc i biedę, oczy wyżłobione zbyt wieloma łzami. Patriarcha Ekumeniczny i drogi brat Bartłomiej, pięć lat temu na tej wyspie, powiedział coś, co mnie uderzyło: „Ci, którzy się was boją nie widzieli waszych oczu. Ci, którzy się was boją nie widzieli waszych twarzy. Ci, którzy się was boją, nie widzą waszych dzieci. Zapominają, że godność i wolność są ponad lękiem i podziałem. Zapominają, że migracja nie jest problemem Bliskiego Wschodu i Afryki Północnej, Europy i Grecji. Jest problemem świata” (Przemówienie w Mori, 16 kwietnia 2016 r.; w: „L’Osservatore Romano”, wyd. polskie n. 5 (382)/2016. s. 9).
Tak, kryzys humanitarny jest to problem świata, dotykający wszystkich. Pandemia dotknęła nas globalnie, sprawiła, że wszyscy poczuliśmy się na tej samej łodzi, sprawiła, że doświadczyliśmy, co to znaczy dzielić te same obawy. Zdaliśmy sobie sprawę, iż wielkie problemy należy rozwiązywać wspólnie, ponieważ w dzisiejszym świecie fragmentaryczne rozwiązania są niewystarczające. Ale podczas, gdy z trudem przeprowadzane szczepienia na skalę globalną i wydaje się, że coś się dzieje w walce ze zmianami klimatycznymi, pomimo wielu opóźnień i niepewności, to wszystko wydaje się być straszliwie nieudane, jeśli chodzi o migracje. A przecież chodzi tutaj o ludzi, o ludzkie życie! Stawką jest przyszłość każdego z nas, która będzie spokojna tylko wtedy, gdy będzie zintegrowana. Przyszłość będzie pomyślna tylko wtedy, gdy będzie pojednana z najsłabszymi. Bo kiedy odrzuca się ubogich, odrzuca się pokój. Historia uczy nas, że zamknięcie i nacjonalizm prowadzą do skutków katastrofalnych. Jak bowiem przypomniał Sobór Watykański II, „niezbędna wola poszanowania innych ludzi i narodów oraz ich godności, jak również wytrwałe praktykowanie braterstwa są absolutnie niezbędne do budowania pokoju” (Gaudium et spes, 78). Iluzją jest myślenie, że wystarczy się zabezpieczyć, obronić przed najsłabszymi, którzy pukają do drzwi. Przyszłość jeszcze bardziej nas zetknie ze sobą. Aby ją zmienić na lepsze, nie potrzebujemy jednostronnych działań, ale szeroko zakrojonej polityki. Historia, powtarzam, uczy nas tego, ale my jeszcze się tego nie nauczyliśmy. Nie odwracajmy się plecami do rzeczywistości, skończmy z ciągłym przerzucaniem się odpowiedzialnością, nie powierzajmy ciągle kwestii migracji innym, tak jakby nikogo one nie obchodziły i były tylko bezużytecznym ciężarem, który ktoś musi ponieść!
Siostry, bracia, wasze twarze, wasze oczy proszą nas, abyśmy nie odwracali wzroku, abyśmy nie zaprzeczali człowieczeństwu, które nas łączy, abyśmy uczynili wasze historie naszymi własnymi i nie zapominali o waszych tragediach. Elie Wiesel, który był świadkiem największej tragedii minionego stulecia, napisał: „Dlaczego pamiętam o naszym wspólnym pochodzeniu, które minie zbliża do ludzi, którzy są moimi braćmi. Dlatego, że nie chcę zapomnieć, że ich przyszłość jest równie ważna jak moja własna” (From the Kingdom of Memory, Reminiscenses, New York, 1990, 10). W tę niedzielę modlę się do Boga, aby obudził nas z zapomnienia o tych, którzy cierpią, aby otrząsnął nas z indywidualizmu, który wyklucza, aby obudził serca głuche na potrzeby innych. I proszę także człowieka, każdego człowieka: przezwyciężajmy paraliż strachu, obojętność, która zabija, cyniczny brak zainteresowania, poprzez który w białych rękawiczkach skazujemy na śmierć tych, którzy są na marginesie! Przeciwstawmy się panującej myśli u jej korzeni, tej, która obraca się wokół własnego „ja”, wokół egoizmu indywidualnego i narodowego, który staje się miarą i kryterium wszystkiego.
Pięć lat minęło od naszej wizyty tutaj z drogimi braćmi Bartłomiejem i Hieronimem. Po upływie tego czasu widzimy, że w kwestii migracji niewiele się zmieniło. Z pewnością wiele osób zaangażowało się w przyjęcie i integrację imigrantów i chciałbym podziękować wielu wolontariuszom oraz tym wszystkim na każdym szczeblu – instytucjonalnym, społecznym, charytatywnym, politycznym – którzy podjęli wielkie wysiłki, troszcząc się o ludzi i o kwestię migracji. Doceniam zaangażowanie w finansowanie i budowanie godnych struktur do przyjmowania uchodźców i z głębi serca dziękuję miejscowej ludności za wszelkie dobro, które uczyniła i wiele poświęceń, jakich dokonała. Chciałbym również podziękować władzom lokalnym, które z zaangażowaniem przyjmują, opiekują się i promują tych ludzi, którzy do nas przychodzą. Dziękuję! Dziękuję za to, co robicie! Musimy jednak z goryczą przyznać, że ten kraj, jak inne, nadal jest przyciśnięty do muru, i że są w Europie tacy, którzy uparcie traktują ten problem jako sprawę, która ich nie dotyczy. To tragiczne. Przypominam Pana [zwracając się do Prezydenta] ostatnie słowa: „Oby Europa robiła to samo”. A ileż warunków niegodnych człowieka! Jak wiele jest punktów zapalnych, w których migranci i uchodźcy żyją w skrajnych warunkach, bez żadnych perspektyw rozwiązania! Jednak poszanowanie osób i praw człowieka, zwłaszcza na kontynencie, który promuje je na świecie, powinno być zawsze chronione, a godność każdej osoby powinna być przedkładana ponad wszystko! Smutno słyszeć propozycje wykorzystywaniu wspólnych funduszy do budowania murów, stawiania drutów kolczastych, jako rozwiązania. Jesteśmy w epoce murów i drutów kolczastych. Oczywiście, rozumiemy lęki i niepewność, trudności i niebezpieczeństwa. Istnieje poczucie znużenia i frustracji, spotęgowane przez kryzys gospodarczy i pandemiczny, ale poprzez wznoszenie barier nie można rozwiązać problemów i udoskonalić współistnienia, lecz przez połączenie sił w trosce o innych, zgodnie z rzeczywistymi możliwościami każdej osoby i zgodnie z prawem, zawsze stawiając na pierwszym miejscu niepodważalną wartość życia każdego mężczyzny, każdej kobiety, każdej osoby. Elie Wiesel powiedział: „Kiedy zagrożone jest ludzkie życie, kiedy zagrożona jest ludzka godność, granice państwowe … stają się nieistotne” (Acceptance Speech, on the occasion of the award of the Nobel Peace Prize in Oslo, December 10, 1986.).
W różnych społeczeństwach są sobie przeciwstawiane w sposób ideologiczny bezpieczeństwo i solidarność, wymiar lokalny i uniwersalny, tradycja i otwartość. Zamiast opowiadać się po stronie idei, być może warto wychodzić od rzeczywistości: zatrzymać się, poszerzyć spojrzenie, zanurzyć się w problemach większości rodzaju ludzkiego, wielu grup ludności, będących ofiarami kryzysów humanitarnych, których same nie wywołały, a jedynie ich doświadczyły, często wskutek długich historii wyzysku, które trwają do dziś. Łatwo jest pociągnąć za sobą opinię publiczną, wzbudzając strach przed drugim człowiekiem; dlaczego zamiast tego w tym samym duchu nie mówimy o wyzysku ubogich, o zapomnianych wojnach, które często są hojnie finansowane, o porozumieniach gospodarczych zawieranych kosztem ludzi, o tajnych manewrach mających na celu handel bronią i jego rozprzestrzenianie? Dlaczego o tym się nie mówi? Należy zająć się dalekimi przyczynami, a nie biednymi osobami, które ponoszą konsekwencje, a nawet są wykorzystywane do celów propagandy politycznej! Aby usunąć przyczyny źródłowe, nie można jedynie zatamować kryzysów. Konieczne jest podjęcie wspólnych działań. Do epokowych zmian należy podchodzić z wielką wizją. Nie ma bowiem łatwych odpowiedzi na złożone problemy. Wręcz przeciwnie, istnieje potrzeba towarzyszenia procesom od wewnątrz, przezwyciężania gettoizacji i wspierania powolnej i niezbędnej integracji, aby w sposób braterski i odpowiedzialny przyjmować kultury i tradycje innych.
Przede wszystkim, jeśli chcemy zacząć od nowa, spójrzmy na twarze dzieci. Znajdźmy odwagę, by zawstydzić się wobec nich: niewinnych i będących przyszłością. Stawiają wyzwanie naszym sumieniom i pytają nas: „Jaki świat chcecie nam dać?”. Nie uciekajmy pospiesznie od okrutnych obrazów ich małych ciał leżących bezwładnie na plażach. Morze Śródziemne, które przez tysiąclecia łączyło różne ludy i odległe krainy, staje się zimnym cmentarzem bez nagrobków. Ten wielki zbiornik wodny, kolebka wielu cywilizacji, wygląda teraz jak zwierciadło śmierci. Nie pozwólmy, aby mare nostrum zamieniło się w przygnębiające mare mortuum, aby to miejsce spotkań stało się teatrem konfliktu! Nie pozwólmy, aby to „morze wspomnień” zamieniło się w "morze zapomnienia". Bracia i siostry, proszę was, powstrzymajmy to pogrążanie się cywilizacji!
Nad brzegami tego morza Bóg stał się człowiekiem. Jego Słowo odbiło się echem, niosąc przepowiadanie Boga, który jest „Ojcem i przewodnikiem wszystkich ludzi” (S. Gregorio di Nazianzo, Discorso 7 per il fratello Cesario, 24).On kocha nas jako dzieci i chce, abyśmy byli braćmi. W przeciwnym razie obraża się Boga, gardzi człowiekiem, stworzonym na Jego podobieństwo, pozostawiając człowieka na łasce fal, w odmętach obojętności, niekiedy usprawiedliwianej nawet rzekomymi wartościami chrześcijańskimi. Natomiast wiara wymaga współczucia i miłosierdzia – nie zapominajmy o tym stylu Boga: bliskość, współczucie i czułość. Wiara zachęca do gościnności, do tej filoksenii, która przenikała kulturę klasyczną, a znalazła następnie swój ostateczny wyraz w Jezusie, szczególnie w przypowieści o dobrym Samarytaninie (por. Łk 10, 29-37) i w słowach 25 rozdziału Ewangelii św. Mateusza (por. w. 31-46). To nie jest ideologia religijna, to są konkretne korzenie chrześcijańskie. Jezus uroczyście potwierdza, że jest obecny w przybyszu, w uchodźcy, w tym, który jest nagi i głodny. A program chrześcijański polega na tym, aby być tam, gdzie jest Jezus. Tak, ponieważ program chrześcijański, jak pisał papież Benedykt – „jest sercem, które widzi” (Enc. Deus caritas est, 31). I nie chciałbym kończyć tego orędzia bez podziękowania narodowi greckiemu za przyjęcie. Często to przyjęcie staje się problemem, ponieważ ludzie nie znajdują dróg wyjścia gdzie indziej. Dziękuję wam, bracia i siostry Grecy, za tę hojność.
Módlmy się teraz do Matki Bożej, aby otworzyła nam oczy na cierpienia naszych braci i sióstr. Wyruszyła z pośpiechem w podróży do swojej kuzynki Elżbiety, która była w ciąży. Jak wiele ciężarnych matek znalazło śmierć w pośpiechu na swej drodze, gdy niosły życie w swoim łonie! Niech Matka Boża pomoże nam mieć matczyne spojrzenie, które widzi w ludziach dzieci Boże, siostry i braci, których należy przyjąć, chronić, promować i integrować. I czule miłować. Niech Matka Najświętsza nauczy nas przedkładać rzeczywistość człowieka nad idee i ideologie oraz podejmować szybkie działania na rzecz tych, którzy cierpią.
A teraz módlmy się do Matki Bożej wszyscy razem.
[Anioł Pański]
[01686-PL.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua araba
الزيارة الرسوليّة إلى قبرص واليونان
كلمة قداسة البابا فرنسيس
في الزيارة إلى اللاجئين
في ”مركز الاستقبال وتدقيق الهويات“ في ميتيليني )جزيرة لسبوس(
الأحد 5 كانون الأوّل/ديسمبر 2021
الإخوة والأخوات الأعزّاء،
شكرًا لكلماتكم. وأشكر فخامة السيدة الرئيسة على حضورك وكلامتك. أيّها الإخوة والأخوات، أنا هنا مرة أخرى للقائكم. أنا هنا لأقول لكم إنّي قريب منكم، وأقول ذلك من قلبي. أنا هنا لأرى وجوهكم، ولأنظر إلى عيونكم. إلى عيون مملوءة بالخوف والترقب، وعيون شهدت العنف والفقر، وعيون تمزقها دموع كثيرة. قال البطريرك المسكوني والأخ العزيز برثلماوس، قبل خمس سنوات في هذه الجزيرة، شيئًا أثر فيّ. قال: "الذي يخَاف منكم لا ينظرْ إليكم في عيونكم. الذي يخَاف منكم لا يرى وجوهكم. الذي يخاف منكم لا يرى أبناءكم. وينسى أنّ الكرامة والحرّيّة تتجاوز الخوف والانقسام. وينسى أنّ الهجرة ليست مشكلة الشرق الأوسط وشمال أفريقيا، وأوروبا واليونان. بل إنّها مشكلة العالم" (كلمة، 16 نيسان/أبريل 2016).
نعم، إنّها مشكلة العالم، وأزمة إنسانية تؤثر على الجميع. أثرت الجائحة علينا على مستوى العالم، وقد جعلتنا جميعًا نشعر بأنّنا في نفس القارب، وجعلتنا نختبر ما يعني أن يكون لدينا نفس المخاوف. لقد فهمنا أنّه يجب مواجهة القضايا الكبيرة معًا، لأنّه في عالم اليوم، الحلول المجزأة غير كافية. وبينما يتم إعطاء التطعيم بمشقة على مستوى كوكب الأرض وما شابه، وعلى الرّغم من التأخيرات والشكوك العديدة، يبدو أنّنا نتحرك في مكافحة تغيّر المناخ، لكن يبدو أنّ الجميع يتهرّب بشكل رهيب فيما يتعلق بالهجرة. ومع ذلك، هناك أناس في خطر. هم أرواح بشرية! مستقبل الجميع في خطر. سيكون المستقبل هادئًا فقط إذا أصبح متكاملًا. فقط إذا تم التصالح مع الأضعفين سيكون المستقبل مزدهرًا. لأنّه إن رفضنا الفقراء رفضنا السّلام. التاريخ يعلّمنا ذلك، يعلّمنا أنّ الإنغلاقات والتعصب القومي يؤدي إلى عواقب وخيمة. في الواقع، كما أشار المجمع الفاتيكاني الثاني، "لبناء السلام، فإنّ الإرادة الراسخة لاحترام الناس والشعوب الأخرى، والالتزام بتقديس كرامتهم وعيش الأخوّة المستمرة أمر ضروري للغاية" (راجع فرح ورجاء Gaudium et spes”“، 78). إنّه وهم أن نفكّر أنّه يكفي أن نحمي أنفسنا، وأن ندافع عن أنفسنا من الأضعفين الذين يطرقون على بابنا. سيجعلنا المستقبل أكثر تواصلًا بعضنا مع بعض. لتحويله إلى الخير لا تفيد أعمال أحادية الجانب، بل سياسات بعيدة المدى. أكرّر: إنّ التاريخ يعلّم ذلك، لكنّنا لم نتعلّم نحن بعد. لا تديروا ظهوركم للواقع، توقفوا عن التهرّب المستمر من المسؤولية، ولا تفوضوا موضوع الهجرة دائماً للآخرين، وكأنّ أحداً لا يهتم، وكأنه مجرد عبء لا فائدة منه ويضطر أحدٌ إلى حمله!
إخوتي وأخواتي، وجوهكم وأعينكم تطلب منا ألّا ندير وجهنا إلى الجهة الأخرى، وألّا نتنكّر للإنسانيّة التي توحدنا، وأن نجعل آلامكم آلامنا وألّا ننسى مآسيكم. كتب إيلي ويزل (Elie Wiesel)، الشاهد على أكبر مأساة في القرن الماضي، وقال: "لأنّني أتذكّر أصلنا المشترك، فأنا أقترب من إخوتي الناس. هذا لأنّني أرفض أن أنسى أن مستقبلهم لا يقل أهميّة عن مستقبلي" (From the Kingdom of Memory, Reminiscenses, New York, 1990, 10). في هذا الأحد، أصلّي إلى الله ليوقظنا من جديد من النسيان أمام من يتألّم، ويخرجنا من الفردية التي تستثني الآخرين، ويوقظ القلوب الصماء لاحتياجات الآخرين. وأصلّي أيضًا للإنسان، لكلّ إنسان: حتى نتغلب على شلَل الخوف، واللامبالاة التي تقتل، وعدم الاهتمام الساخر الذي يرتدي قفازات مخملية تحكم بالموت على من هم على الهامش! لنعارض الفكر السائد في جذوره، الذي يدور حول الأنا الخاصة بالفرد، والأنانية الشخصية والوطنية، التي صارت المقياس والمعيار لكلّ شيء.
مرّت خمس سنوات على الزيارة التي تمّت هنا مع الأخوين الأعزاء برثلماوس وإيرونيموس. بعد كلّ هذا الوقت، نرى أنّ القليل قد تغيّر في قضية الهجرة. بالطبع، التزم الكثيرون بالاستقبال والاندماج، وأودّ أن أشكر المتطوعين الكثر وأولئك على كلّ المستويات - المؤسساتية والاجتماعية والخيرية والسياسية – الذين بذلوا جهودًا كبيرة لرعاية الناس وقضية الهجرة. وأعرف الالتزام بتمويل وبناء مرافق استقبال، وأشكر من قلبي السكان المحليين على الخير الكبير الذي صنعوه والتضحيات العديدة التي قدموها. كما أودّ أن أشكر السُّلطات المحلية، الملتزمة باستقبال ورعاية ومساعدة هؤلاء الناس الذين أتَوْا إلينا. شكرا! شكرًا على ما صنعتموه! لكن يجب أن نعترف بمرارة أنّ هذا البلد، مثل بلاد أخرى، لا يزال تحت الضغط وأنّ في أوروبا مَن يصرون على التعامل مع المشكلة على أنّها شأن لا يعنيهم. هذا أمر مأساوي. أتذكر كلماتكم الأخيرة [البابا يتوجه إلى الرئيس] وهي: ”أتمنى أن تفعل أوروبا الشيء نفسه“. وكم حالة لا تليق بالإنسان! وكم عدد المناطق الساخنة التي يعيش فيها المهاجرون واللاجئون في ظروف في أقصى حدود الشقاء، ودون أن يلوح في الأفق حلول! ومع ذلك، فإنّ احترام الناس وحقوق البشر، خاصة في القارة التي تنادي بتعزيزها وحمايتها في العالم، يجب الحفاظ عليها دائمًا، ويجب إعطاء كرامة كلّ فرد الأولويّة على كلّ شيء! من المحزن أن نسمع، وأن يتم تقديم حلول، واستخدام الصناديق المشتركة لبناء الجدران، ولتركيب الأسلاك الشائكة. نحن في عصر الجدران والأسلاك الشائكة. بالتأكيد، نتفهم المخاوف وعدم الأمان والصعوبات والمخاطر. والشعور بالتعب والإحباط يتفاقمان بسبب الأزمات الاقتصادية والجائحة، ولكن لا تُحَلّ المشاكل ولا يُحسَّن العيش معًا من خلال رفع الحواجز. بل من خلال تضافر الجهود لرعاية الآخرين وفقًا للإمكانيات الواقعية لكلّ واحد وبما يتفق مع القانون، ومع وضع القيمة التي لا يمكن القضاء عليها لحياة كلّ رجل وامرأة وإنسان، في المقام الأوّل. وكما قال إيلي ويزل (Elie Wiesel): "عندما تكون حياة البشر في خطر، وكرامة الإنسان في خطر، تصبح الحدود الوطنية بدون معنى" (كلمة قبول جائزة نوبل للسلام، 10 كانون الأوّل/ديسمبر 1986).
في المجتمعات المختلفة، أخذ ينشأ تعارض أيديولوجي بين الأمن والتضامن، بين المحلي والعالمي، بين التقاليد والانفتاح. بدلاً من أن نتعارض على مستوى الأفكار، قد يكون من المفيد أن ننظر إلى الواقع: أن نتوقف، ونوسع نظرنا، وننعم النظر في مشاكل القسم الأكبر من البشرية، مشاكل السكان الكثيرين ضحايا حالات طوارئ إنسانية، لم يصنعوها هم بل كانوا ضحاياها فقط، وفي كثير من الأحيان بعد قصص طويلة من الاستغلال الذي ما زال جاريًا. من السهل أن نَجرّ الرأي العام وإثارة الخوف فيه من الآخر. بدلًا من ذلك، وبالقوّة نفسها، لماذا لا نتكلّم على استغلال الفقراء، والحروب المنسية والتي غالبًا ما يتم تمويلها ببذخ، والاتفاقيات الاقتصادية التي تمّ التوصل إليها على حساب الإنسان، وعن المناورات الخفية لتهريب الأسلحة وانتشارها؟ لماذا لا نتكلّم على هذا؟ يجب مواجهة الأسباب البعيدة، وليس الفقراء الذين هم نتيجتها، بل يُستَخدَمون أيضًا للدعايات السياسية! لإزالة الأسباب الجذرية، لا يكفي إيقاف مواجهة حالات الطوارئ فقط. لا بد من عمل متضافر. وينبغي التعامل مع التغييرات التاريخية برؤية رحبة ونفس كبيرة. لأنّه لا توجد إجابات سهلة للمشكلات المعقدة، بل هناك حاجة إلى مرافقة العمليات من الداخل، للتغلب على وضع الناس في المعازل ولتعزيز الاستيعاب البطيء الذي لا غنى عنه، وللترحيب بثقافات وتقاليد الآخرين بطريقة أخوية ومسؤولة.
إذا أردنا خاصة أن ننطلق من جديد، لننظر إلى وجوه الأطفال. وَلْنجد الجرأة لنخجل أمامهم، هم الأبرياء وهم المستقبل. إنّهم ينادون ضمائرنا ويسألوننا: ”أي عالم تريدون أن تعطونا؟“ لا نهرُبْ بسرعة من صور أجسادهم الصغيرة الممددة بلا حياة على الشواطئ. البحر الأبيض المتوسط، الذي وحّد منذ آلاف السنين شعوبًا مختلفة وأراضيَ بعيدة، أصبح مقبرة باردة بدون الحجارة التذكارية على القبور. هذا الحوض الكبير من المياه، مهد العديد من الحضارات، يبدو الآن مرآة للموت. لا ندع ”بحرنا“ يتحول إلى ”بحر ميت“، ولا ندع مكان اللقاء هذا يصبح مسرحًا للمواجهات! لا ندع ”بحر الذكريات“ هذا يتحوّل إلى ”بحر النسيان“. أيّها الإخوة والأخوات، من فضلكم، لنوقف غرق الحضارة هذا!
صار الله إنسانًا على ضفاف هذا البحر. وكلمته يتردد صداها بإعلان الله الذي هو "أب وهادٍ لكلّ الناس" (القديس غريغوريوس النازيانزي، كلمة رقم 7 لأخيه سيزار، 24). الله يحبنا فنحن له أبناء ويريدنا إخوة. بل هي إهانة لله، عندما نحتقر الإنسان المخلوق على صورته، ونتركه تحت رحمة الأمواج، في خضم اللامبالاة، والتي تُبرَّر أحيانًا حتى باسم القيم المسيحيّة المزعومة. أمّا الإيمان فيطلب المحبّة والرّحمة. - لا ننسَ أنّ هذا هو أسلوب الله: القرب والرحمة والحنان -. والإيمان يحثّ على الضيافة، ضيافة الغريب (filoxenia) التي ملأت الآداب الكلاسيكيّة، ثم وجدت تجليّها النهائي في يسوع، لا سيّما في مثل السامري الرحيم (راجع لوقا 10، 29- 37) وفي كلمات الفصل 25 من إنجيل متى (راجع الآيات 31-46). هذه ليست أيديولوجية دينية، بل جذور مسيحية عملية. أكّد يسوع رسميًا أنّه هناك، في الغريب وفي اللاجئ وفي العريان والجائع. والبرنامج المسيحيّ هو أن نكون حيث يكون المسيح. نعم، لأنّ البرنامج المسيحيّ، كما كتب البابا بنديكتوس، "هو قلب يرى" (رسالة بابوية عامة، الله محبة، 31). ولا أودّ أن أنهي كلمتي دون أن أشكر الشعب اليوناني على استقبالهم. في كثير من الأحيان يصبح هذا الاستقبال مشكلة، لأنّه لا يتم إيجاد طرق مخارج للناس للذهاب إلى مكان آخر. أشكركم أيّها الإخوة والأخوات، أهل اليونان، على هذا الكرم.
لنصلِّ الآن إلى سيدتنا مريم العذراء حتى تفتح لنا أعيننا على آلام الإخوة. هي التي انطلقت بسرعة في طريقها إلى قريبتها أليصابات الحامل. كم من الأمهات الحوامل وَجَدْنَ الموت في السرعة وفي السفر وهنّ يَحْمِلْنَ الحياة في رحمهن! نرجو أن تساعدنا والدة الإله لتكون لنا نظرة والدية ترى في الناس أبناء الله، إخوة وأخوات نرحب بهم ونحميهم ونقويهم وندمجهم. ونحبهم بحنان. علّمتنا مريم الكاملة القداسة أن نضع حقيقة الإنسان قبل الأفكار والأيديولوجيات، وأن نسرع لملاقاة المتألمين.
لنصلِّ الآن جميعًا إلى سيدتنا مريم العذراء.
[صلاة التبشير الملائكي]
[01688-AR.02] [Testo originale: Italiano]
[B0820-XX.02]