Visita di cortesia a Sua Beatitudine Ieronymos, II Arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia
Incontro di Sua Beatitudine Ieronymos II e Sua Santità Francesco con i rispettivi Seguiti nell’Arcivescovado Ortodosso di Grecia
Visita di cortesia a Sua Beatitudine Ieronymos II, Arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia
Questo pomeriggio, lasciata la Nunziatura Apostolica, il Santo Padre Francesco si è trasferito in auto all’Arcivescovado Ortodosso di Grecia per la Visita di cortesia a Sua Beatitudine Ieronymos II, Arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia.
Al Suo arrivo, il Papa è stato accolto all’ingresso dell’Arcivescovado dal Protosincello e da due chierici. All’interno del Palazzo lo aspettava Sua Beatitudine Ieronymos II insieme a tre suoi stretti collaboratori e gli hanno dato il benvenuto. Prima di ritirarsi in colloquio privato, Papa Francesco ha sostato brevemente in preghiera vicino all’icona della Madonna e ha consegnato due corone del rosario.
[01704-IT.01]
Incontro di Sua Beatitudine Ieronymos II e Sua Santità Francesco con i rispettivi Seguiti nell’Arcivescovado Ortodosso di Grecia
Discorso del Santo Padre
Traduzione in lingua francese
Traduzione in lingua inglese
Traduzione in lingua tedesca
Traduzione in lingua spagnola
Traduzione in lingua portoghese
Traduzione in lingua polacca
Traduzione in lingua araba
Questo pomeriggio, ha avuto luogo l’incontro di Sua Beatitudine Ieronymos II e di Sua Santità Francesco con i rispettivi Seguiti nell’Arcivescovado Ortodosso di Grecia.
Nella Sala del Trono dell’Arcivescovado, dove si trovavano riuniti i rispettivi Seguiti, è stato esposto il libro del Vangelo e, prima di sedersi, l’Arcivescovo e il Papa si sono avvicinati per baciarlo.
Dopo il discorso di Sua Beatitudine Ieronymos II e la consegna di un dono al Santo Padre, Papa Francesco ha pronunciato il Suo discorso.
Al termine il Papa ha consegnato il Suo dono all’Arcivescovo e, dopo la presentazione dei rispettivi Seguiti con lo scambio dei doni, Sua Beatitudine Ieronymos II e il Santo Padre si sono trasferiti, prima della foto di gruppo, all’interno dello Studio per la Firma del Libro d’Onore. Quindi Papa Francesco si è congedato dall’Arcivescovo e si è trasferito in auto alla Cattedrale di San Dionigi per l’incontro con la Comunità Cattolica.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Santo Padre ha pronunciato nel corso dell’incontro con Sua Beatitudine Ieronymos II:
Discorso del Santo Padre
Beatitudine,
«grazia e pace da Dio» (Rm 1,7). La saluto con queste parole del grande Apostolo Paolo, le stesse con le quali, mentre si trovava in terra greca, si rivolse ai fedeli di Roma. Oggi il nostro incontro rinnova quella grazia e quella pace. Pregando davanti ai trofei della Chiesa di Roma, che sono le tombe degli Apostoli e dei martiri, mi sono sentito sospinto a venire qua pellegrino, con grande rispetto e umiltà, per rinnovare quella comunione apostolica e alimentare la carità fraterna. In questo senso desidero ringraziarLa, Beatitudine, per le parole che mi ha rivolto e che ricambio con affetto, salutando, attraverso di Lei, il clero, le comunità monastiche e tutti i fedeli ortodossi di Grecia.
Ci siamo incontrati cinque anni fa a Lesvos, nell’emergenza di uno dei più grandi drammi del nostro tempo, quello di tanti fratelli e sorelle migranti, che non possono essere lasciati nell’indifferenza e visti solo come un peso da gestire o, peggio ancora, da delegare a qualcun altro. Ora ci ritroviamo per condividere la gioia della fraternità e guardare al Mediterraneo che ci circonda non solo come luogo che preoccupa e divide, ma anche come mare che unisce. Poco fa ho rievocato gli ulivi secolari, che ne apparentano le terre. Ripensando a questi alberi che ci accomunano, penso alle radici che condividiamo. Sono sotterranee, nascoste, spesso trascurate, ma ci sono e sostengono tutto. Quali sono le nostre radici comuni che hanno attraversato i secoli? Sono quelle apostoliche. San Paolo le metteva in luce ricordando l’importanza di essere «edificati sopra il fondamento degli apostoli» (Ef 2,20). Queste radici, cresciute dal seme del Vangelo, proprio nella cultura ellenica hanno cominciato a portare grande frutto: penso a tanti Padri antichi e ai primi grandi Concili ecumenici.
In seguito, purtroppo, siamo cresciuti lontani. Veleni mondani ci hanno contaminato, la zizzania del sospetto ha aumentato la distanza e abbiamo smesso di coltivare la comunione. San Basilio il Grande ha affermato che i veri discepoli di Cristo sono «modellati soltanto su ciò che vedono in lui» (Moralia, 80,1). Con vergogna – lo riconosco per la Chiesa Cattolica – azioni e scelte che poco o niente hanno a che vedere con Gesù e con il Vangelo, improntate piuttosto a sete di guadagno e di potere, hanno fatto appassire la comunione. Così abbiamo lasciato che la fecondità fosse compromessa dalle divisioni. La storia ha il suo peso e oggi qui sento il bisogno di rinnovare la richiesta di perdono a Dio e ai fratelli per gli errori commessi da tanti cattolici. È però di gran conforto la certezza che le nostre radici sono apostoliche e che, nonostante le storture del tempo, la pianta di Dio cresce e porta frutti nello stesso Spirito. Ed è una grazia riconoscere gli uni i frutti degli altri e ringraziare il Signore insieme per questo.
Il frutto finale dell’albero di ulivo è l’olio, quell’olio un tempo contenuto in pregiati vasi e manufatti, che abbondano tra i tesori archeologici di questo Paese. L’olio ha fornito la luce che ha illuminato le notti dell’antichità. Per millenni è stato il «sole liquido, il primo misterioso stato della fiamma delle lampade» (C. Boureux, Les plantes de la Bible et leur symbolique, Parigi 2014, 65). Per noi l’olio, caro Fratello, fa pensare allo Spirito Santo, che ha dato alla luce la Chiesa. Solo Lui, con il suo splendore intramontabile, può dissipare le oscurità e illuminare i passi del nostro cammino.
Sì, perché lo Spirito Santo è anzitutto olio di comunione. Nella Scrittura si parla dell’olio che fa brillare il volto dell’uomo (cfr Sal 104,15). Quanto ci occorre oggi riconoscere il valore unico che risplende in ogni uomo, in ogni fratello! Riconoscere questa comunanza umana è il punto di partenza per edificare la comunione. Purtroppo però – come ha scritto un grande teologo – «la comunione sembra toccare una corda sensibile», un nervo scoperto, non solo nella società, ma spesso anche tra i discepoli di Gesù, «in un mondo cristiano nutrito di individualismo e di rigidità istituzionale». Eppure, se le tradizioni proprie e le specificità di ciascuno portano ad arroccarsi e a prendere le distanze dagli altri, se «l’alterità non è qualcosa di qualificato dalla comunione, può difficilmente dar vita a una cultura soddisfacente» (I. Zizioulas, Comunione e alterità, Roma 2016, 16). La comunione tra i fratelli, invece, porta la benedizione divina. È comparata dai Salmi a «olio prezioso versato sul capo, che scende sulla barba» (Sal 133,2). Lo Spirito che si riversa nelle menti ci sospinge infatti a una fraternità più intensa, a strutturarci nella comunione. Non temiamoci dunque, ma aiutiamoci ad adorare Dio e a servire il prossimo, senza fare proselitismo e rispettando pienamente la libertà altrui, perché – come scrisse san Paolo – «dove c’è lo Spirito del Signore, c’è libertà» (2 Cor 3,17). Prego affinché lo Spirito di carità vinca le nostre resistenze e ci renda costruttori di comunione, perché «se davvero l’amore riesce a eliminare la paura e questa si trasforma in amore, allora si scoprirà che ciò che salva è l’unità» (S. Gregorio di Nissa,Omelia 15 sul Cantico dei Cantici). D’altronde, come possiamo testimoniare al mondo la concordia del Vangelo se noi cristiani siamo ancora separati? Come possiamo annunciare l’amore di Cristo che raduna le genti, se non siamo uniti tra di noi? Tanti passi sono stati compiuti per venirci incontro. Invochiamo lo Spirito di comunione, perché ci sospinga nelle sue vie e ci aiuti a fondare la comunione non su calcoli, strategie e convenienze, ma sull’unico modello a cui guardare: la Santissima Trinità.
Lo Spirito, in secondo luogo, è olio di sapienza: Egli unse Cristo e desidera ispirare i cristiani. Docili alla sua sapienza mite, cresciamo nella conoscenza di Dio e ci apriamo agli altri. Vorrei in questo senso esprimere apprezzamento per l’importanza che questa Chiesa Ortodossa, erede della prima grande inculturazione della fede, quella con la cultura ellenica, dedica alla formazione e alla preparazione teologica. Vorrei anche ricordare la proficua collaborazione in ambito culturale tra l’Apostolikí Diakonía della Chiesa di Grecia – i cui rappresentanti ho avuto la gioia di incontrare nel 2019 – e il Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, nonché l’importanza dei simposi intercristiani, promossi dalla Facoltà di Teologia ortodossa dell’Università di Salonicco insieme alla Pontificia Università Antonianum di Roma. Sono occasioni che hanno permesso di instaurare cordiali rapporti e di avviare utili scambi tra accademici delle nostre confessioni. Ringrazio anche per l’attiva partecipazione della Chiesa Ortodossa di Grecia alla Commissione mista internazionale per il Dialogo teologico. Lo Spirito ci aiuti a proseguire sapientemente in queste vie!
Lo stesso Spirito è, infine, olio di consolazione: Paraclito che ci sta vicino, balsamo dell’anima, guarigione delle ferite. Egli ha consacrato Cristo con l’unzione perché proclamasse ai poveri il lieto annuncio, ai prigionieri la liberazione, la libertà agli oppressi (cfr Lc 4,18). Ed Egli ancora ci spinge a prenderci cura dei più deboli e dei più poveri, e a porre la loro causa, primaria agli occhi di Dio, all’attenzione del mondo. Qui, come altrove, è stato indispensabile il sostegno offerto ai più bisognosi durante i periodi più duri della crisi economica. Sviluppiamo insieme forme di cooperazione nella carità, apriamoci e collaboriamo su questioni di carattere etico e sociale per servire gli uomini del nostro tempo e portare loro la consolazione del Vangelo. Lo Spirito ci chiama, infatti, oggi più che in passato, a risanare le ferite dell’umanità con l’olio della carità.
Cristo stesso chiese ai suoi, nel momento dell’angoscia, la consolazione della vicinanza e della preghiera. L’immagine dell’olio ci conduce così al giardino degli ulivi. «Restate qui e vegliate» (Mc 14,34), disse Gesù. La sua richiesta agli Apostoli fu al plurale. Anche oggi desidera che vegliamo e preghiamo: per portare al mondo la consolazione di Dio e risanare le nostre relazioni ferite occorre la preghiera degli uni per gli altri. È indispensabile per giungere «alla necessaria purificazione della memoria storica. Con la grazia dello Spirito Santo, i discepoli del Signore, animati dall’amore, dal coraggio della verità e dalla volontà sincera di perdonarsi a vicenda e di riconciliarsi, sono chiamati a riconsiderare insieme il loro doloroso passato e quelle ferite che esso continua purtroppo a provocare anche oggi» (S. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Ut unum sint, 2).
A questo ci esorta, in particolare, la fede nella Risurrezione. Gli Apostoli, paurosi e titubanti, si riconciliarono con la lacerante delusione della Passione quando videro il Signore risorto davanti a loro. Proprio dalle sue piaghe, che parevano impossibili da rimarginare, attinsero una speranza nuova, una misericordia inaudita; un amore più grande dei loro sbagli e delle loro miserie, che li avrebbe trasformati in un solo Corpo, unito dallo Spirito nella molteplicità di tante membra diverse. Venga su di noi lo Spirito del Crocifisso Risorto, ci doni «un pacato e limpido sguardo di verità, vivificato dalla misericordia divina, capace di liberare gli spiriti e di suscitare in ciascuno una rinnovata disponibilità» (ibid.). Ci aiuti a non restare paralizzati dalle negatività e dai pregiudizi di un tempo, ma a guardare la realtà con occhi nuovi. Allora le tribolazioni del passato lasceranno spazio alle consolazioni del presente e saremo confortati dai tesori di grazia che riscopriremo nei fratelli. Abbiamo appena avviato, come cattolici, un itinerario per approfondire la sinodalità e sentiamo di avere tanto da apprendere da voi. Lo desideriamo con sincerità, certi che, quando i fratelli nella fede si avvicinano, scende nei cuori la consolazione dello Spirito.
Beatitudine, caro Fratello, ci accompagnino in questo cammino i tanti illustri santi di queste terre, e i martiri, oggi nel mondo più numerosi, purtroppo, che in passato. Di diverse confessioni in terra, abitano insieme lo stesso Cielo. Intercedano perché lo Spirito, santo olio di Dio, in una rinnovata Pentecoste, si effonda su di noi come sugli Apostoli da cui discendiamo: accenda nei cuori il desiderio della comunione, ci illumini con la sua sapienza e ci unga della sua consolazione.
[01686-IT.01] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
Béatitude,
«grâce et paix de la part de Dieu» (Rm 1, 7). Je vous salue avec ces mots du grand Apôtre Paul, les mêmes mots qu’avec lesquels il s'adressait aux fidèles de Rome, alors qu'il était en terre grecque. Aujourd'hui, notre rencontre renouvelle cette grâce et cette paix. En priant devant les trophées de l'Église de Rome, que sont les tombeaux des Apôtres et des martyrs, je me suis senti poussé à venir ici en pèlerin, avec beaucoup de respect et d'humilité, pour renouveler cette communion apostolique et nourrir la charité fraternelle. Je voudrais vous remercier, Béatitude, pour les paroles que vous m'avez adressées et que je vous retourne avec affection, saluant à travers vous le clergé, les communautés monastiques et tous les fidèles orthodoxes de Grèce.
Nous nous sommes rencontrés, il y a cinq ans, à Lesbos, dans l'urgence de l'un des plus grands drames de notre temps, celui de tant de frères et de sœurs migrants, qui ne peuvent être abandonnés dans l'indifférence et considérés uniquement comme un fardeau à gérer ou, pire encore, à déléguer à d'autres. Nous nous retrouvons aujourd'hui pour partager la joie de la fraternité et pour regarder la Méditerranée qui nous entoure, non seulement comme un lieu qui inquiète et divise, mais aussi comme une mer qui unit. Il y a peu, j’évoquais ces oliviers centenaires qui relient toutes ces terres. En pensant à ces arbres qui nous unissent, je pense aux racines que nous partageons. Elles sont souterraines, cachées, souvent négligées, mais elles sont bien là et c’est sur elles que tout repose. Quelles sont nos racines communes qui ont traversé les siècles ? Ce sont les racines apostoliques. Saint Paul les a mises en évidence en rappelant l'importance d'être «intégrés dans la construction qui a pour fondations les Apôtres» (Ep 2, 20). Ces racines, qui ont poussé à partir de la semence de l’Evangile, ont commencé à porter de grands fruits précisément dans la culture hellénique : je pense aux si nombreux Pères et aux premiers grands Conciles œcuméniques.
Plus tard, malheureusement, nous avons grandi loin les uns des autres. Les poisons du monde nous ont contaminés, et l’ivraie de la suspicion a accru notre distance, et nous avons cessé de cultiver la communion. Saint Basile le Grand a dit que les vrais disciples du Christ sont «modelés uniquement que sur ce qu'ils voient en lui» (Moralia, 80, 1). À notre honte - je le reconnais au nom de l’Eglise catholique - des actions et des choix qui ont peu ou pas de rapport avec Jésus et l'Évangile, mais plutôt avec une soif de profit et de pouvoir, ont flétri la communion. Nous avons ainsi laissé les divisions compromettre la fécondité. L'histoire a du poids, et je ressens aujourd'hui le besoin de renouveler ma demande de pardon à Dieu et à mes frères pour les erreurs commises par beaucoup de catholiques. C'est cependant un grand réconfort d’être certains de savoir que nos racines sont apostoliques et que, malgré les déformations du temps, la plante de Dieu pousse et porte du fruit dans le même Esprit. Et c'est une grâce que les uns reconnaissent les fruits des autres et d'en remercier ensemble le Seigneur.
Le fruit ultime de l'olivier est son huile, cette huile autrefois contenue dans des vases et des objets précieux, qui abondent parmi les trésors archéologiques de ce pays. L’huile a procuré la lumière qui éclairait les nuits de l'Antiquité. Pendant des millénaires, elle a été le «soleil liquide, premier état mystérieux de la flamme des lampes» (C. Boureux, Les plantes de la Bible et leur symbolique, Paris 2014, 65). Pour nous, l'huile, cher Frère, évoque l'Esprit Saint, qui mis l'Église au jour. Lui seul, par sa splendeur sans couchant, peut dissiper les ténèbres et éclairer nos pas sur le chemin.
Oui, car l'Esprit Saint est avant tout huile de la communion. L'Écriture parle de l'huile qui fait briller le visage de l'homme (cf. Ps 103, 15). Combien avons-nous besoin aujourd'hui de reconnaître la valeur unique qui brille en chaque homme, en chaque frère ! Reconnaître cette humanité commune est le point de départ pour édifier la communion. Mais, malheureusement - comme l’a écrit un grand théologien - «la communion semble toucher une corde sensible», un nerf à vif, non seulement dans la société, mais souvent aussi parmi les disciples de Jésus, «dans un monde chrétien nourri d'individualisme et de rigidité institutionnelle». Et pourtant, si les traditions propres, les spécificités de chacun conduisent à se retrancher et à prendre distance des autres, si «l'altérité n'est qualifiée par la communion, elle peut difficilement donner vie à une culture satisfaisante» (I. ZIZIOULAS, Communion et altérité, Rome 2016, 16). La communion entre frères, au contraire, porte la bénédiction divine. Elle est comparée dans les Psaumes à «un baume précieux, un parfum sur la tête, qui descend sur la barbe» (Ps 132, 2). L'Esprit qui se répand dans nos esprits nous pousse à une fraternité plus intense, à nous structurer dans la communion. N'ayons donc pas peur les uns des autres, mais aidons-nous à adorer Dieu et à servir le prochain, sans faire de prosélytisme et en respectant pleinement la liberté de l’autre, car - comme l'a écrit saint Paul – «là où l’Esprit du Seigneur est présent, là est la liberté.» (2 Co 3, 17). Je prie pour que l'Esprit de charité vainque nos résistances et fasse de nous des bâtisseurs de communion, car «si vraiment l'amour parvient à éliminer la peur et à la transformer en amour, alors on découvrira que ce qui sauve, c'est l'unité» (Saint Grégoire de Nysse, Homélie 15 sur le Cantique des Cantiques). D'autre part, comment pouvons-nous témoigner au monde de la concorde évangélique si nous, chrétiens, sommes encore séparés? Comment pouvons-nous proclamer l'amour du Christ, qui rassemble les gens, si nous ne sommes pas unis entre nous ? Beaucoup de pas ont été faits pour nous rapprocher. Invoquons l'Esprit de communion, afin qu'il nous guide dans ses voies et nous aide à ne pas fonder notre communion sur des calculs, des stratégies et des convenances, mais sur le seul modèle à contempler: la Sainte Trinité.
En second lieu, l'Esprit est huile de la sagesse : il a oint le Christ et veut inspirer les chrétiens. Dociles à sa douce sagesse, nous grandissons dans la connaissance de Dieu et nous nous ouvrons aux autres. Dans ce sens, je voudrais reconnaître l'importance que cette Église orthodoxe, héritière de la première grande inculturation de la foi dans la culture hellénique, consacre à la formation et à la préparation théologique. Je voudrais également rappeler la collaboration fructueuse dans le domaine culturel entre l'Apostolikí Diakonía de l'Église de Grèce - dont j'ai eu le plaisir de rencontrer les représentants en 2019 - et le Conseil Pontifical pour la Promotion de l'Unité des Chrétiens, ainsi que l'importance des symposium œcuméniques promus par la Faculté de théologie orthodoxe de l'Université de Thessalonique, avec l'Université Pontificale Antonianum de Rome. Ce sont des occasions qui ont permis d'établir des relations cordiales et d'initier des échanges utiles entre universitaires de nos différentes confessions. Je suis également reconnaissant pour la participation active de l'Église orthodoxe de Grèce à la Commission mixte internationale pour le dialogue théologique. Que l'Esprit nous aide à poursuive avec sagesse sur ces chemins !
Ce même Esprit est enfin huile de consolation : le Paraclet qui nous est proche, baume de nos âmes, guérison nos blessures. Il a consacré le Christ par l’onction afin qu'il annonce la bonne nouvelle aux pauvres, la délivrance aux captifs, la liberté aux opprimés (cf. Lc 4, 18). Et il nous exhorte encore à prendre soin des plus faibles et des plus pauvres, et à porter leur cause, primordiale aux yeux de Dieu, à l'attention du monde. Ici, comme ailleurs, le soutien offert aux plus démunis a été indispensable pendant les périodes les plus difficiles de la crise économique. Développons ensemble des formes de coopération dans la charité, ouvrons-nous et collaborons sur les questions éthiques et sociales pour servir les hommes de notre temps, et leur apporter la consolation de l'Évangile. En effet, l'Esprit nous appelle, aujourd'hui plus encore qu'hier, à panser les plaies de l'humanité avec l'huile de la charité.
Le Christ lui-même a demandé aux siens, à l’heure de l’angoisse, la consolation de leur proximité et de leur prière. L'image de l'huile nous conduit donc au Jardin des Oliviers. «Restez ici et veillez» (Mc 14, 34), dit Jésus. Sa requête aux Apôtres était au pluriel. Aujourd'hui encore, il veut que nous veillions et priions : pour apporter la consolation de Dieu au monde et pour guérir nos relations blessées, la prière les uns pour les autres est nécessaire. Elle est indispensable afin d’arriver «à la nécessaire purification de la mémoire historique. Avec la grâce de l'Esprit Saint, les disciples du Seigneur, animés par l'amour, par le courage de la vérité, ainsi que par la volonté sincère de se pardonner mutuellement et de se réconcilier, sont appelés à reconsidérer ensemble leur passé douloureux et les blessures qu'il continue malheureusement à provoquer aujourd'hui encore» (S. Jean-Paul II, Lettre encyclique Ut unum sint, n. 2)
La foi en la Résurrection, en particulier, nous incite à le faire. Les Apôtres, craintifs et hésitants, se réconcilièrent avec la déchirante désillusion de la Passion lorsqu'ils virent le Seigneur ressuscité devant eux. C'est dans ses blessures, qui semblaient impossibles à guérir, qu'ils ont puisé une nouvelle espérance, une miséricorde sans précédent; un amour plus grand que leurs erreurs et leurs misères, qui les transformerait en un seul Corps, uni par l'Esprit dans la multiplicité de nombreux membres différents. Que vienne sur nous l'Esprit du Seigneur Crucifié et Ressuscité qu’il nous accorde «un regard clair et apaisé dans la vérité, vivifié par la miséricorde divine, capable de libérer les esprits et de renouveler en chacun sa disponibilité» (ibid.). Qu’il nous aide à ne pas être paralysés par la négativité et les préjugés du passé, mais à regarder la réalité avec un regard neuf. Alors, les tribulations du passé feront place aux consolations du présent, et nous serons confortés par les trésors de grâce que nous redécouvrirons chez nos frères. Nous, catholiques, nous venons de nous engager dans un chemin visant à approfondir la synodalité et nous avons le sentiment d'avoir beaucoup à apprendre de vous. Nous le souhaitons sincèrement, certains que lorsque des frères dans la foi se rapprochent, la consolation de l'Esprit descend dans les cœurs.
Béatitude, cher Frère, que les nombreux et illustres saints de ces terres nous accompagnent sur ce chemin, ainsi que les martyrs, malheureusement plus nombreux aujourd'hui que par le passé. De confessions différentes sur cette terre, ils habitent ensemble dans le même Ciel. Qu'ils intercèdent pour que l'Esprit, l'huile sainte de Dieu, dans une Pentecôte renouvelée, soit répandu sur nous comme sur les Apôtres dont nous descendons : qu'il allume dans nos cœurs le désir de la communion, qu'il nous éclaire de sa sagesse et nous donne l’onction de sa consolation.
[01686-FR.01] [Texte original: Italien]
Traduzione in lingua inglese
Your Beatitude,
“Grace to you and peace from God” (Rom 1:7). I greet you with these words of the great Apostle Paul, the very words he addressed to the faithful of Rome while sojourning in Greece. Our meeting today renews that grace and peace. As I prayed before the great shrines of the Church of Rome, the tombs of the Apostles and martyrs, I felt compelled to come here as a pilgrim, with great respect and humility, in order to renew that apostolic communion and to foster fraternal charity. I thank Your Beatitude for your kind words, which I reciprocate with affection. Through you, I also greet the clergy, monastic communities and all the Orthodox faithful of Greece.
Five years ago, we met at Lesvos, amid one of the great tragedies of our time: the plight of so many of our migrant brothers and sisters, who cannot be regarded with indifference, seen only as a burdensome problem to be managed or, worse yet, passed on to someone else. Now we meet again, to share the joy of fraternity and to view the Mediterranean that surrounds us not simply as a site of difficulties and divisions, but also as a sea that brings peoples together. A short time ago, I mentioned the age-old olive trees that our lands have in common. Reflecting on those trees that unite us, I think of the roots we share. Underground, hidden, frequently overlooked, those roots are nonetheless there and they sustain everything. What are our common roots that have endured over the centuries? They are the apostolic roots. Saint Paul speaks of them when he stresses the importance of being “built upon the foundation of the apostles” (Eph 2:20). Those roots, growing from the seed of the Gospel, began to bear abundant fruit precisely in Hellenic culture: I think of the early Fathers of the Church and the first great ecumenical councils.
Tragically, in later times we grew apart. Worldly concerns poisoned us, weeds of suspicion increased our distance and we ceased to nurture communion. Saint Basil the Great says that true disciples of Christ are “modeled only on what they see in him” (Moralia, 80, 1). Shamefully – I acknowledge this for the Catholic Church – actions and decisions that had little or nothing to do with Jesus and the Gospel, but were instead marked by a thirst for advantage and power, gravely weakened our communion. In this way, we let fruitfulness be compromised by division. History makes its weight felt, and here, today, I feel the need to ask anew for the forgiveness of God and of our brothers and sisters for the mistakes committed by many Catholics. Yet we are comforted by the certainty that our roots are apostolic and that, notwithstanding the twists and turns of time, what God planted continues to grow and bear fruit in the same Spirit. It is a grace to recognize one another’s good fruits and to join in thanking the Lord for this.
The ultimate fruit of the olive is oil. Olive oil was once kept in the precious vases and artifacts that abound among the archeological treasures of this land. Oil provided the light that illuminated the nights of antiquity. For millennia, it was the “liquid sun, the first mysterious state of the flame of lamps” (C. BOUREUX, Les plantes de la Bible et leur symbolique, Paris 2014, 65). For us, dear Brother, oil calls to mind the Holy Spirit who gave birth to the Church. Only he, with his unfading splendour, can dispel the darkness and illumine the steps of our journey.
This is so, because the Holy Spirit is above all the oil of communion. Scripture speaks of oil that makes people’s faces radiant (cf. Ps 104:15). How much we need to recognize in our own day, at every level, the unique worth shining forth from every man and woman, from every brother and sister! To recognize this our shared humanity is the point of departure for building communion. Sadly, though, “communion seems to strike a sensitive chord”, not only in society, but often also among the disciples of Jesus “in a Christian world fueled by individualism and institutional rigidity”. Yet if our distinctive traditions and features, our “otherness” is not – as a great theologian has said – “somehow balanced by communion, only with difficulty can it give life to a satisfactory culture” (J. ZIZIOULAS, Comunione e alterità, Rome 2016, 16).
Fraternal communion brings God’s blessing. In the Psalms, it is compared to “precious oil upon the head, running down upon the beard” (Ps 133:2). Indeed, the Spirit poured into our hearts impels us to seek ever greater fraternity, to structure ourselves in communion. So let us fearlessly help one another to worship God and to serve our neighbour, without proselytism and in full respect for the freedom of others, for as Saint Paul wrote, “where the Spirit of the Lord is, there is freedom” (2 Cor 3:17). I pray that the Spirit of love will overcome every form of resistance and make us builders of communion. Indeed, “if love truly casts out fear and fear is transformed into love, then we will discover that what saves is unity” (SAINT GREGORY OF NYSSA, Homily 15 on the Song of Songs). On the other hand, how can we testify before the world to the harmony of the Gospel, if we Christians remain separated? How can we proclaim the love of Christ who gathers the nations, if we ourselves are not united? Many steps have already been taken to bring us together. Let us implore the Spirit of communion to spur us to follow his lead and to help us base communion not on calculations, strategies and expedience, but on the one model to which we must look: the Most Holy Trinity.
The Spirit is also the oil of wisdom. He anointed Christ and he desires to inspire Christians. In docility to his gentle wisdom, we grow in the knowledge of God and open our hearts to others. Here, I would like to express my appreciation for the importance that this Orthodox Church, heir to the first significant inculturation of the faith, with Hellenic culture, devotes to theological training and preparation. I would also point to the fruitful cooperation in the area of culture between the Apostolikί Diakonίa of the Church of Greece – whose representatives I was pleased to meet in 2019 – and the Pontifical Council for Promoting Christian Unity, as well as the importance of the inter-Christian symposia sponsored jointly by the Orthodox Faculty of Theology of the University of Salonica and the Pontifical University Antonianum in Rome. These occasions have made it possible to establish cordial relations and to engage in beneficial exchanges between scholars of our confessions. I also appreciate the active participation of the Orthodox Church of Greece in the Joint International Commission for Theological Dialogue. May the Spirit help us to persevere in wisdom along these paths!
Finally, the same Spirit is the oil of consolation, the Paraclete who is ever at our side, balm for the soul and healing for our wounds. By his anointing he consecrated Christ, so that he could preach good news to the poor, release to captives and liberty to the oppressed (cf. Lk 4:18). Even now, the Spirit urges us to care for the weak and poor and to bring their cause, paramount in the eyes of God, to the world’s attention. Here, as elsewhere, the support given to those most in need during the most difficult moments of the economic crisis has been essential. Together may we develop forms of cooperation in charity, may we open our hearts and cooperate in addressing ethical and social issues, in order to serve the men and women of our time and to bring them the consolation of the Gospel. Indeed, the Spirit is calling us, now more so than in the past, to heal the wounds of mankind with the oil of love.
In Gethsemane, in his hour of anguish, Christ asked his disciples for the comfort of their closeness and prayer. The image of oil thus leads us to the Garden of Olives. “Remain here and watch” (Mk 14:34), Jesus said. His request to the Apostles was in the plural. Nowadays, too, he wants us to watch and pray. We need prayer for one another in order to bring to the world God’s consolation and to heal our wounded relationships. This is essential if we are to achieve “the necessary purification of past memories. With the grace of the Holy Spirit, the Lord’s disciples, inspired by love, by the power of the truth and by a sincere desire for mutual forgiveness and reconciliation, are called to re-examine together their painful past and the hurt which that past regrettably continues to provoke even today” (SAINT JOHN PAUL II, Ut Unum Sint, 2).
We are impelled to do this especially by our faith in the resurrection. The Apostles, fearful and hesitant, were reconciled with the bitter disappointment of the Passion once they saw the risen Lord appear before them. In his wounds, apparently impossible to heal, they found new hope, unprecedented mercy, a love greater than their mistakes and failures; this turned them into one Body, united by the Spirit in the multiplicity of its many different members. May the Spirit of the crucified and risen Lord come upon us and grant us “a calm, clear-sighted and truthful vision of things enlivened by divine mercy and capable of freeing people’s minds and inspiring in everyone a renewed willingness” (ibid.). May he help us not to remain paralyzed by the negative experiences and prejudices of the past, but instead to view reality with new eyes. In this way, past trials will leave room for present consolations, and we will be comforted by the treasures of grace that we will rediscover in our brothers and sisters. The Catholic Church has just set out on a path aimed at deepening synodality and we feel we have much to learn from you. This is what we sincerely desire, certain that when brothers and sisters in the faith draw closer, the consolation of the Spirit comes down to fill our hearts.
Your Beatitude, dear brother, may the many illustrious saints of these lands, together with the martyrs who, sad to say, are more numerous in today’s world than in the past, accompany us on this journey. Despite their different confessions here below, they now dwell together in heaven. May they intercede for us, so that the Spirit, the holy oil of God, may be poured out on us in a new Pentecost, even as he was on the Apostles from whom we descend. May he kindle in our hearts the desire for communion, enlighten us with his wisdom and anoint us with his consolation.
[01686-EN.01] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua tedesca
Heiligkeit,
»Gnade sei mit euch und Friede von Gott« (Röm 1,7). Ich grüße Sie mit diesen Worten des großen Apostels Paulus, denselben Worten, mit denen er sich auf griechischem Boden an die Gläubigen in Rom wandte. Unser heutiges Treffen erneuert diese Gnade und diesen Frieden. Beim Gebet an den Gedenkstätten der Kirche von Rom, den Gräbern der Apostel und Märtyrer, empfand ich das Bedürfnis, als Pilger hierher zu kommen, mit großer Achtung und Demut, um diese apostolische Gemeinschaft zu erneuern und die brüderliche Liebe zu beleben. In diesem Sinne möchte ich Ihnen, Heiligkeit, für die Worte danken, die Sie an mich gerichtet haben und die ich mit Zuneigung erwidere und durch Sie den Klerus, die monastischen Gemeinschaften und alle orthodoxen Gläubigen Griechenlands grüße.
Wir haben uns vor fünf Jahren auf Lesbos getroffen, in der Notlage eines der größten Dramen unserer Zeit, jenes der vielen Brüder und Schwestern als Migranten. Man darf sie nicht der Gleichgültigkeit überlassen und nur als eine Last betrachten, die man verwalten oder, schlimmer noch, an jemand anderen delegieren muss. Jetzt treffen wir uns, um die Freude der Geschwisterlichkeit zu teilen und das Mittelmeer, das uns umgibt, nicht nur als einen Ort zu betrachten, der uns beunruhigt und trennt, sondern als ein Meer, das uns vereint. Gerade habe ich an die jahrhundertealten Olivenbäume erinnert, welche die Länder verbinden. Wenn ich an diese Bäume denke, die uns verbinden, denke ich an die Wurzeln, die wir teilen. Sie sind unterirdisch, versteckt, oft vernachlässigt, aber sie sind da und sie stützen alles. Was sind unsere gemeinsamen Wurzeln, die die Jahrhunderte überdauert haben? Das sind die apostolischen Wurzeln. Der heilige Paulus hat sie hervorgehoben, indem er daran erinnerte, wie wichtig es ist, »auf das Fundament der Apostel […] gebaut« (Eph 2,20) zu sein. Diese Wurzeln, die aus dem Samen des Evangeliums erwuchsen, haben gerade in der hellenischen Kultur begonnen, große Früchte zu tragen: Ich denke dabei an viele frühe Väter und die ersten großen Ökumenischen Konzile.
Später sind wir leider voneinander weg gewachsen. Weltliche Gifte haben uns verunreinigt, das Unkraut des Misstrauens hat unsere Distanz vergrößert und wir haben aufgehört, die Gemeinschaft zu pflegen. Der heilige Basilius der Große sagte, dass die wahren Jünger Christi »nur nach dem geformt werden, was sie in ihm sehen« (Moralia, 80,1). Zu unserer Schande – ich erkenne dies für die katholische Kirche an – haben Handlungen und Entscheidungen, die wenig oder gar nichts mit Jesus und dem Evangelium zu tun haben, sondern eher von Profit- und Machtstreben geprägt sind, die Gemeinschaft verkümmern lassen. So haben wir zugelassen, dass die Fruchtbarkeit durch Spaltungen beeinträchtigt wird. Die Geschichte hat ihr eigenes Gewicht, und ich habe heute das Bedürfnis, Gott und meine Brüder und Schwestern erneut um Vergebung zu bitten für die Fehler, die so viele Katholiken begangen haben. Ein großer Trost liegt jedoch in der Gewissheit, dass unsere Wurzeln apostolisch sind und dass die Pflanze Gottes trotz der Irrtümer der jeweiligen Zeit im selben Geist wächst und Frucht bringt. Und es ist eine Gnade, die Frucht des anderen anzuerkennen und dem Herrn gemeinsam dafür zu danken.
Die endgültige Frucht des Olivenbaums ist das Öl, das einst in kostbaren Gefäßen und Artefakten enthalten war, die zu den archäologischen Schätzen dieses Landes zählen. Das Öl lieferte das Licht, das die Nächte des Altertums erhellte. Jahrtausendelang war es die »flüssige Sonne, der erste geheimnisvolle Zustand der Flamme der Lampen« (C. Boureux, Les plantes de la Bible et leur symbolique, Paris 2014, 65). Uns, lieber Bruder, erinnert das Öl an den Heiligen Geist, der die Kirche hervorgebracht hat. Nur er kann mit seinem nie untergehenden Glanz die Dunkelheit vertreiben und die Schritte unseres Weges erhellen.
Ja, denn der Heilige Geist ist vor allem ein Öl der Gemeinschaft. Die Heilige Schrift spricht von dem Öl, das das Antlitz des Menschen erglänzen lässt (vgl. Ps 104,15). Wie sehr brauchen wir heute die Anerkennung des einzigartigen Wertes, der in jedem Menschen, in jedem Bruder aufleuchtet! Das Erkennen dieser menschlichen Gemeinsamkeit ist der Ausgangspunkt für den Aufbau von Gemeinschaft. Leider scheint jedoch - wie ein großer Theologe geschrieben hat - »die Gemeinschaft eine empfindliche Saite zu treffen«, einen rohen Nerv, nicht nur in der Gesellschaft, sondern oft auch bei den Jüngern Jesu, »in einer christlichen Welt, die sich von Individualismus und institutioneller Starrheit nährt«. Wenn jedoch die eigenen Traditionen und Besonderheiten zu einer Versteifung und Distanzierung von den anderen führen, wenn »das Anderssein lässt sich nicht aus der Gemeinschaft ableiten, kann es doch kaum eine zufriedenstellende Kultur hervorbringen« (I. Zizioulas Comunione e alterità, Rom 2016, 16). Die Gemeinschaft unter Geschwistern hingegen bringt göttlichen Segen. In den Psalmen wird sie mit »köstliche[m] Salböl auf dem Haupt, das hinabfließt auf den Bart« (Ps 133,2) verglichen. Der Geist, der in unseren Geist eingegossen wird, drängt uns zu einer intensiveren Geschwisterlichkeit, zu unserer Strukturierung in der Gemeinschaft. Fürchten wir uns also nicht voreinander, sondern helfen wir einander, Gott anzubeten und dem Nächsten zu dienen, ohne Proselytenmacherei zu betreiben und unter voller Achtung der Freiheit des anderen, denn - wie der heilige Paulus schrieb - »wo […] der Geist des Herrn ist, da ist Freiheit« (2 Kor 3,17). Ich bete, dass der Geist der Liebe unseren Widerstand überwindet und uns zu Erbauern von Gemeinschaft macht, denn »wenn es der Liebe wirklich gelingt, die Angst zu vertreiben, und diese sich in Liebe verwandelt, dann werden wir entdecken, dass das, was rettet, die Einheit ist« (Gregor von Nyssa, 15. Homilie über das Hohelied). Andererseits: Wie können wir der Welt die Eintracht des Evangeliums bezeugen, wenn wir Christen noch getrennt sind? Wie können wir die Liebe Christi verkünden, welche die Menschen zusammenführt, wenn wir nicht untereinander geeint sind? Es wurden schon viele Schritte unternommen, um zusammenzukommen. Rufen wir den Geist der Gemeinschaft an, damit er uns auf seine Wege führt und uns hilft, die Gemeinschaft nicht auf Berechnungen, Strategien und Zweckmäßigkeit zu gründen, sondern auf das einzige Vorbild, auf das wir schauen müssen: die Heilige Dreifaltigkeit.
Der Geist ist an zweiter Stelle ein Öl der Weisheit: Er hat Christus gesalbt und will die Christen inspirieren. Wenn wir seiner demütigen Weisheit gefügig sind, wachsen wir in der Erkenntnis Gottes und öffnen uns für andere. In diesem Sinne möchte ich meine Wertschätzung für die Bedeutung zum Ausdruck bringen, die diese Orthodoxe Kirche, Erbin der ersten großen Inkulturation des Glaubens, die mit der hellenischen Kultur, der theologischen Ausbildung und Vorbereitung beimisst. Ich möchte auch an die fruchtbare Zusammenarbeit im kulturellen Bereich zwischen der Apostolikí Diakonia der Kirche von Griechenland - deren Vertreter ich die Freude hatte, 2019 zu treffen - und dem Päpstlichen Rat zur Förderung der Einheit der Christen sowie an die Bedeutung der interchristlichen Symposien erinnern, die von der Fakultät für Orthodoxe Theologie der Universität Thessaloniki gemeinsam mit der Päpstlichen Universität Antonianum in Rom veranstaltet werden. Bei diesen Gelegenheiten konnten herzliche Beziehungen geknüpft und ein nützlicher Austausch zwischen Akademikern unserer Konfessionen in Gang gesetzt werden. Ich bin auch dankbar für die aktive Beteiligung der Orthodoxen Kirche Griechenlands an der Internationalen Gemischten Kommission für den Theologischen Dialog. Möge der Geist uns helfen, auf diesen Wegen weise weiterzugehen!
Schließlich ist der Geist selbst ein Öl des Trostes: Er ist der Paraklet, der uns nahe ist, er ist Balsam für die Seele, er heilt die Wunden. Er hat Christus gesalbt, damit er den Armen die gute Nachricht verkünde, den Gefangenen die Befreiung und den Unterdrückten die Freiheit (vgl. Lk 4,18). Und er drängt uns nach wie vor, uns um die Schwächsten und Ärmsten zu kümmern und ihre Anliegen, die in den Augen Gottes vorrangig sind, in der Welt bekannt zu machen. Hier war wie überall die Unterstützung der Bedürftigsten in den schwersten Zeiten der Wirtschaftskrise unverzichtbar. Entwickeln wir gemeinsam Formen der Zusammenarbeit in der Nächstenliebe, öffnen wir uns und arbeiten wir in ethischen und sozialen Fragen zusammen, um den Menschen unserer Zeit zu dienen und ihnen den Trost des Evangeliums zu bringen. In der Tat ruft uns der Geist heute mehr als in der Vergangenheit auf, die Wunden der Menschheit mit dem Öl der Nächstenliebe zu heilen.
Christus selbst bat seine Jünger in der Stunde der Angst um den Trost der Nähe und des Gebets. Das Bild des Öls führt uns also in den Ölberggarten. »Bleibt hier und wacht« (Mk 14,34), sagte Jesus. Seine Bitte an die Apostel stand im Plural. Auch heute fordert er uns auf, zu wachen und zu beten: Um Gottes Trost in die Welt zu bringen und unsere verwundeten Beziehungen zu heilen, müssen wir füreinander beten. Das ist unabdingbar, um »zur notwendigen Läuterung der geschichtlichen Erinnerung [zu gelangen]. Durch die Gnade des Heiligen Geistes sind die Jünger des Herrn, beseelt von der Liebe, vom Mut zur Wahrheit und von dem aufrichtigen Willen, einander zu verzeihen und sich zu versöhnen, aufgerufen, ihre schmerzvolle Vergangenheit und jene Wunden, die diese leider auch heute noch immer hervorruft, gemeinsam neu zu bedenken« (Johannes Paul II., Enzyklika Ut unum sint, 2).
Vor allem der Glaube an die Auferstehung drängt uns zu diesem Schritt. Die Apostel, verängstigt und zaudernd, söhnten sich mit der brennenden Enttäuschung der Passion aus, als sie den auferstandenen Herrn vor sich sahen. Gerade durch seine Wunden, die unmöglich zu heilen schienen, schöpften sie eine neue Hoffnung, eine bisher unbekannte Barmherzigkeit; eine Liebe, die größer ist als ihre Fehler und ihr Elend, und die sie in einen einzigen Leib verwandeln würde, der durch den Geist in der Vielfalt so vieler verschiedener Glieder vereint ist. Möge der Geist des gekreuzigten und auferstandenen Herrn über uns kommen, möge er uns »einen ruhigen und klaren, der Wahrheit verpflichteten und von der göttlichen Barmherzigkeit belebten Blick, der imstande ist, den Geist zu befreien und in einem jeden eine neue Bereitschaft zu wecken« (ebd.) schenken. Er helfe uns, uns nicht von der Negativität und den Vorurteilen der Vergangenheit lähmen zu lassen, sondern die Realität mit neuen Augen zu sehen. Dann wird das Leid der Vergangenheit dem Trost der Gegenwart weichen, und wir werden getröstet sein durch die Schätze der Gnade, die wir in unseren Brüdern und Schwestern wiederentdecken werden. Als Katholiken haben wir uns gerade auf den Weg gemacht, die Synodalität zu vertiefen, und wir haben das Gefühl, dass wir viel von euch lernen können. Wir wünschen uns das von ganzem Herzen, denn wir sind sicher, dass der Trost des Geistes in die Herzen kommt, wenn sich die Brüder im Glauben näherkommen.
Heiligkeit, lieber Bruder, mögen die vielen berühmten Heiligen dieser Landstriche und die Märtyrer, die heute leider zahlreicher sind als in der Vergangenheit, uns auf diesem Weg begleiten. Von verschiedenen Konfessionen auf Erden, leben sie gemeinsam im selben Himmel. Sie mögen Fürsprache halten, damit der Geist, das heilige Öl Gottes, in einem erneuerten Pfingsten über uns ausgegossen wird wie über die Apostel, von denen wir abstammen: Er möge in unseren Herzen den Wunsch nach Gemeinschaft entfachen, uns mit seiner Weisheit erleuchten und uns mit seinem Trost salben.
[01686-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]
Traduzione in lingua spagnola
Beatitud:
«Gracia y paz de parte de Dios» (Rm 1,7). Lo saludo con estas palabras del gran apóstol Pablo, las mismas con las que, mientras se encontraba en tierra griega, se dirigió a los fieles de Roma. Hoy nuestro encuentro renueva esa gracia y esa paz. Rezando ante los trofeos de la Iglesia de Roma, que son las tumbas de los apóstoles y de los mártires, me he sentido impulsado a venir aquí como peregrino, con gran respeto y humildad, para renovar esa comunión apostólica y alimentar la caridad fraterna. En este sentido deseo agradecerle, Beatitud, por las palabras que me ha dirigido y que correspondo con afecto, saludando, por medio suyo, al clero, a las comunidades monásticas y a todos los fieles ortodoxos de Grecia.
Hace cinco años nos encontramos en Lesbos, en la emergencia de uno de los dramas más grandes de nuestro tiempo, el de tantos hermanos y hermanas migrantes que no pueden ser dejados en la indiferencia y vistos sólo como una carga que hay que gestionar o, todavía peor, que hay que delegar a otro. Ahora volvemos a encontrarnos para compartir la alegría de la fraternidad y mirar al Mediterráneo que nos rodea no sólo como un lugar que preocupa y divide, sino también como un mar que nos une. Hace un momento recordé los olivos centenarios que aúnan estas tierras. Volviendo a evocar estos árboles que nos vinculan, pienso en las raíces que compartimos: son subterráneas, están escondidas, a menudo descuidadas, pero existen y lo sostienen todo. ¿Cuáles son nuestras raíces comunes que han atravesado los siglos? Son las raíces apostólicas. San Pablo las ponía de manifiesto recordando la importancia de estar «edificados sobre el cimiento de los apóstoles» (Ef 2,20). Estas raíces, que han crecido de la semilla del Evangelio, comenzaron a dar grandes frutos precisamente en la cultura helénica, pienso en tantos Padres y en los primeros grandes Concilios ecuménicos.
Lamentablemente, después hemos crecido alejados: nos han contaminado venenos mortales, la cizaña de la sospecha aumentó la distancia y dejamos de cultivar la comunión. San Basilio Magno afirmó que los verdaderos discípulos de Cristo están «modelados solamente en base a lo que ven en Él» (Moralia, 80,1). Con vergüenza —lo reconozco por la Iglesia católica— acciones y decisiones que tienen poco o nada que ver con Jesús y con el Evangelio, basadas más bien en la sed de ganancias y de poder, han hecho marchitar la comunión. De este modo hemos dejado que la fecundidad estuviera amenazada por las divisiones. La historia tiene su peso y hoy aquí siento la necesidad de renovar la súplica de perdón a Dios y a los hermanos por los errores que han cometido tantos católicos. Pero es un gran consuelo la certeza de saber que nuestras raíces son apostólicas y que, no obstante las distorsiones del tiempo, la planta de Dios crece y da frutos en el mismo Espíritu. Y es una gracia que reconozcamos los unos los frutos de los otros y que juntos agradezcamos al Señor por ello.
El fruto final del árbol de olivo es el aceite, ese aceite que tiempo atrás se contenía en preciosos vasos y recipientes, que abundan entre los tesoros arqueológicos de este país. El aceite ha proporcionado la luz que iluminó las noches de la antigüedad. Durante milenios fue el «sol líquido, el primer misterioso estado de la llama de las lámparas» (C. Boureux, Les plantes de la Bible et leur symbolique, París 2014, 65). A nosotros, querido hermano, el aceite nos evoca al Espíritu Santo, que dio a luz a la Iglesia. Sólo Él, con su esplendor que no conoce el ocaso, puede disipar las oscuridades e iluminar los pasos de nuestro camino.
Sí, porque el Espíritu Santo es, sobre todo, aceite de comunión. En la Escritura se habla del aceite que hace brillar el rostro del hombre (cf. Sal 104,15). Cuánto se necesita hoy reconocer el valor único que resplandece en todo hombre, en cada hermano. Reconocer esta característica común de la humanidad es el punto de partida para edificar la comunión. Pero, lamentablemente —como ha escrito un gran teólogo—, «la comunión parece tocar una cuerda sensible», un tema delicado, no sólo en la sociedad, sino a menudo también entre los discípulos de Jesús «en un mundo cristiano nutrido de individualismo y de rigidez institucional». Con todo, si las tradiciones propias y las especificidades de cada uno llevan a atrincherarse y a tomar distancia de los demás, si «la alteridad no es algo cualificado por la comunión, difícilmente se puede dar vida a una cultura adecuada» (I. Zizioulas, Comunione e alterità, Roma 2016, 16). En cambio, la comunión entre los hermanos trae consigo la bendición divina. Los Salmos la comparan con un «perfume precioso que se derrama sobre la cabeza, que desciende sobre la barba» (Sal 133,2). El Espíritu que se derrama en las mentes nos impulsa en efecto a una fraternidad más intensa, a estructurarnos en la comunión. Por eso, no nos tengamos miedo, ayudémonos a adorar a Dios y a servir al prójimo, sin hacer proselitismo y respetando plenamente la libertad de los demás, porque —como escribió san Pablo— «donde está el Espíritu del Señor hay libertad» (2 Co 3,17). Rezo para que el Espíritu de caridad venza nuestras resistencias y nos haga constructores de comunión, porque «si el amor logra expulsar completamente al temor y éste, transformado, se convierte en amor, entonces veremos que la unidad es una consecuencia de la salvación» (S. Gregorio de Nisa,Homilía 15, sobre el libro del Cantar de los cantares). Por otra parte, ¿cómo podemos dar testimonio al mundo de la concordia del Evangelio si nosotros cristianos todavía estamos separados? ¿Cómo podemos anunciar el amor de Cristo que reúne a las gentes, si no estamos unidos entre nosotros? Muchos pasos se han realizado para encontrarnos. Invoquemos al Espíritu de comunión para que nos impulse en sus caminos y nos ayude a fundar la comunión no en base a cálculos, estrategias y conveniencias, sino sobre el único modelo al que hemos de mirar: la Santísima Trinidad.
En segundo lugar, el Espíritu es aceite de sabiduría. Él ungió a Cristo y desea inspirar a los cristianos. Dóciles a su sabiduría humilde, crecemos en el conocimiento de Dios y nos abrimos a los demás. Quisiera en este sentido expresar mi reconocimiento por la importancia que da esta Iglesia ortodoxa, heredera de la primera gran inculturación de la fe —la inculturación con la cultura helénica— a la formación y a la preparación teológica. También quisiera recordar la fructífera colaboración en el ámbito cultural entre la Apostolikí Diakonía de la Iglesia de Grecia —cuyos representantes tuve la alegría de encontrar en el 2019— y el Pontificio Consejo para la Promoción de la Unidad de los Cristianos, así como la importancia de los simposios intercristianos promovidos por la Facultad de Teología ortodoxa de la Universidad de Salonicco junto a la Universidad Pontificia Antonianum de Roma. Son ocasiones que nos han permitido instaurar cordiales relaciones y llevar adelante útiles intercambios entre los académicos de nuestras confesiones. Agradezco además la activa participación de la Iglesia ortodoxa de Grecia en la Comisión mixta internacional para el diálogo teológico. ¡Que el Espíritu nos ayude a proseguir con sabiduría en estos caminos!
Por último, el mismo Espíritu es aceite de consolación, Paráclito que está cerca de nosotros, bálsamo del alma, curación de nuestras heridas. Él ha consagrado a Cristo con la unción para que proclamara la buena noticia a los pobres, la liberación a los cautivos, la libertad a los oprimidos (cf. Lc 4,18). Y Él todavía nos impulsa para que nos hagamos cargo de los más débiles y los más pobres, y para que su causa —primordial a los ojos de Dios— se dé a conocer al mundo. Aquí, como en cualquier otro sitio, ha sido indispensable el apoyo ofrecido a los más necesitados durante los períodos más duros de la crisis económica. Desarrollemos juntos formas de cooperación en la caridad, abrámonos y colaboremos en cuestiones de carácter ético y social para servir a los hombres de nuestro tiempo y llevarles la consolación del Evangelio. En efecto, el Espíritu nos llama, hoy más que en el pasado, a curar las heridas de la humanidad con el óleo de la caridad.
Cristo mismo pidió a los suyos, en el momento de la angustia, el consuelo de la cercanía y la oración. La imagen del aceite nos conduce así al huerto de los olivos. Dijo Jesús: «Quédense aquí y vigilen» (Mc 14,34). Su petición a los apóstoles fue en plural. También hoy desea que vigilemos y recemos. Para llevar al mundo el consuelo de Dios y sanar nuestras relaciones heridas se necesita que recemos unos por otros. Es indispensable que lleguemos «a la necesaria purificación de la memoria histórica. Con la gracia del Espíritu Santo, los discípulos del Señor, animados por el amor, por la fuerza de la verdad y por la voluntad sincera de perdonarse mutuamente y reconciliarse, están llamados a reconsiderar juntos su doloroso pasado y las heridas que desgraciadamente éste sigue produciendo también hoy» (S. Juan Pablo II, Carta. enc. Ut unum sint, 2).
A esto nos exhorta, en particular, la fe en la Resurrección. Los apóstoles, temerosos y titubeantes, se reconciliaron con la lacerante desilusión de la Pasión cuando vieron al Señor resucitado delante de ellos. Precisamente de sus llagas, que parecían imposibles de cicatrizar, encontraron una esperanza nueva, una misericordia inaudita, un amor más grande que sus propios errores y miserias, que los transformaría en un solo Cuerpo, unido por el Espíritu en la multiplicidad de muchos miembros diferentes. Que venga sobre nosotros el Espíritu del Crucificado Resucitado, que nos conceda «una sosegada y limpia mirada de verdad, vivificada por la misericordia divina, capaz de liberar los espíritus y suscitar en cada uno una renovada disponibilidad» (ibíd.); que nos ayude a no quedarnos paralizados por la negatividad y los prejuicios del pasado, sino a mirar la realidad con ojos nuevos. Entonces, las tribulaciones de ayer dejarán espacio a las consolaciones del presente, y seremos confortados por tesoros de gracia que redescubriremos en los hermanos. Como católicos, acabamos de comenzar un itinerario para profundizar la sinodalidad y sentimos que tenemos que aprender mucho de ustedes; lo deseamos con sinceridad. Es verdad que, cuando los hermanos en la fe se acercan, se derrama en los corazones el consuelo del Espíritu.
Beatitud, querido hermano, que en este camino nos acompañen los numerosos e insignes santos de estas tierras, y los mártires, que lamentablemente hoy en el mundo son más que en el pasado. De diversas confesiones en la tierra, habitan juntos el mismo Cielo. Que intercedan para que el Espíritu, óleo santo de Dios, se infunda sobre nosotros en un renovado Pentecostés como sobre los apóstoles de los que descendemos, que encienda en nosotros el deseo de la comunión, que nos ilumine con su sabiduría y que nos unja con su consolación.
[01686-ES.01] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua portoghese
Beatitude,
«graça e paz (…) da parte de Deus» (Rm 1, 7)! Saúdo-o com estas palavras do grande apóstolo Paulo, as mesmas com que, encontrando-se em solo grego, se dirigiu aos fiéis de Roma. Hoje o nosso encontro renova aquela graça e aquela paz. Enquanto rezava diante dos «troféus» da Igreja de Roma, que são os túmulos dos Apóstolos e dos mártires, senti-me impelido a vir aqui como peregrino, com grande respeito e humildade, para renovar a comunhão apostólica e alimentar a caridade fraterna. Neste sentido, desejo agradecer-lhe, Beatitude, as palavras que me dirigiu e que retribuo com afeto, saudando por seu intermédio o clero, as comunidades monásticas e todos os fiéis ortodoxos da Grécia.
Há cinco anos encontramo-nos em Lesbos, na emergência de um dos maiores dramas do nosso tempo, o de muitos irmãos e irmãs migrantes, que não podem ser deixados na indiferença e vistos apenas como um fardo a gerir ou, pior ainda, a delegar a outrem. Agora voltamos a reunir-nos para partilhar a alegria da fraternidade e contemplar o Mediterrâneo que nos circunda não só como lugar que preocupa e divide, mas também como mar que une. Há pouco, recordei as oliveiras centenárias que assemelham as terras entre si. Olhando estas árvores que nos irmanam, penso nas raízes que compartilhamos: subterrâneas, estão escondidas, muitas vezes esquecidas, mas estão lá e tudo sustentam. Quais são as nossas raízes comuns que atravessaram os séculos? São as raízes apostólicas. São Paulo colocou-as em evidência ao lembrar a importância de estarmos «edificados sobre o alicerce dos Apóstolos» (Ef 2, 20). E foi precisamente na cultura helénica que estas raízes, desenvolvidas a partir da semente do Evangelho, começaram a dar fruto abundante: penso em tantos Padres antigos e nos primeiros grandes Concílios Ecuménicos.
Em seguida, infelizmente, crescemos distantes. Venenos mundanos contaminaram-nos, a cizânia da suspeita aumentou a distância e deixamos de cultivar a comunhão. São Basílio Magno afirmou que os verdadeiros discípulos de Cristo «são modelados apenas pelo que veem n’Ele» (Moralia, 80, 1). Ações e opções que pouco ou nada têm a ver com Jesus e com o Evangelho, antes marcadas por sede de lucro e poder – com vergonha o reconheço, da parte da Igreja Católica –, fizeram murchar a comunhão. Deixamos, assim, que a fecundidade fosse comprometida pelas divisões. A história tem o seu peso e, hoje, sinto a necessidade de renovar aqui o pedido de perdão a Deus e aos irmãos pelos erros cometidos por tantos católicos. Contudo enche-nos de grande conforto a certeza de que as nossas raízes são apostólicas e que a planta de Deus, não obstante os agravos do tempo, cresce e dá frutos no mesmo Espírito. E é uma graça reconhecer os frutos uns dos outros e, juntos, agradecer ao Senhor por isso.
O fruto final da oliveira é o azeite, aquele azeite outrora guardado em vasos e artefactos preciosos, que abundam entre os tesouros arqueológicos deste país. O azeite forneceu a luz que iluminou as noites da antiguidade. Durante milénios foi o «sol líquido, o primeiro estado misterioso da chama das lâmpadas» (C. Boureux, Les plantes de la Bible et leur symbolique, Paris 2014, 65). A nós, querido Irmão, o azeite faz-nos pensar no Espírito Santo, que deu à luz a Igreja. Só Ele, com o seu esplendor sem ocaso, pode dissipar as trevas e iluminar os passos do nosso caminho.
Sim, porque o Espírito Santo é, antes de tudo, azeite de comunhão. Na Escritura, fala-se do azeite que faz brilhar o rosto do homem (cf. Sal 104, 15). Quanto precisamos hoje de reconhecer o valor único que brilha em cada homem, em cada irmão! Reconhecer esta valência humana que nos irmana é o ponto de partida para edificar a comunhão. Infelizmente, porém – como escreveu um grande teólogo –, «a comunhão parece tocar uma corda sensível», um nervo descoberto, não só na sociedade, mas muitas vezes também entre os discípulos de Jesus, «num mundo cristão que se nutre de individualismo e rigidez institucional». E, no entanto, se as tradições próprias e as especificidades de cada um levam a isolar-se e distanciar-se dos outros, se «a alteridade não é qualificada pela comunhão, dificilmente pode dar vida a uma cultura satisfatória» (I. Zizioulas, Comunhão e alteridade, Roma 2016, 16). Pelo contrário, a comunhão entre irmãos traz a bênção divina; os Salmos comparam-na ao «óleo perfumado derramado sobre a cabeça, a escorrer pela barba» (Sal 133, 2). Na realidade o Espírito, que Se derrama nas mentes, impele-nos a uma fraternidade mais intensa, a estruturarmo-nos na comunhão. Então não tenhamos medo uns dos outros, mas ajudemo-nos a adorar a Deus e a servir o próximo, sem fazer proselitismo e respeitando plenamente a liberdade alheia, porque, «onde está o Espírito do Senhor – como escreveu São Paulo –, aí está a liberdade» (2 Cor 3, 17). Rezo para que o Espírito de caridade vença as nossas resistências e nos torne construtores de comunhão, porque, «se verdadeiramente o amor consegue eliminar o medo e este se transforma em amor, então descobrir-se-á que aquilo que salva é a unidade» (S. Gregório de Nissa, Homilia 15 sobre o Cântico dos Cânticos). Aliás, como se pode testemunhar ao mundo a concórdia do Evangelho se nós, cristãos, estivermos ainda separados? Como se pode anunciar o amor de Cristo que congrega os povos, se não estivermos unidos entre nós? Já muitos passos foram dados ao encontro uns dos outros. Invoquemos o Espírito de comunhão, para que nos incite a seguir pelos seus caminhos e ajude a fundar a comunhão, não em cálculos, estratégias e conveniências, mas no único modelo que devemos ter diante dos olhos: a Santíssima Trindade.
Em segundo lugar, o Espírito é azeite de sabedoria: ungiu Cristo e deseja inspirar os cristãos. Dóceis à sua sabedoria suave, crescemos no conhecimento de Deus e abrimo-nos aos outros. Neste sentido, quero declarar o meu apreço pela importância que esta Igreja Ortodoxa – herdeira da primeira grande inculturação da fé, ou seja, a inculturação dela na cultura helénica – dedica à formação e à preparação teológica. Desejo recordar também a fecunda colaboração no campo cultural entre a Apostolikí Diakonía da Igreja da Grécia – cujos representantes tive a alegria de encontrar em 2019 – e o Conselho Pontifício para a Promoção da Unidade dos Cristãos, bem como a importância dos simpósios intercristãos, promovidos pela Faculdade de Teologia Ortodoxa da Universidade de Salónica juntamente com a Pontifícia Universidade Antonianum de Roma. São ocasiões que permitiram instaurar relações cordiais e iniciar úteis intercâmbios entre académicos das nossas Confissões. Agradeço também a participação ativa da Igreja Ortodoxa da Grécia na Comissão Mista Internacional para o Diálogo Teológico. Que o Espírito nos ajude a prosseguir com sabedoria por estes caminhos!
Por fim, o mesmo Espírito é azeite de consolação: Paráclito que está perto de nós, bálsamo da alma, cura das feridas. Ele consagrou Cristo com a unção para anunciar a boa nova aos pobres, a libertação aos cativos, a liberdade aos oprimidos (cf. Lc 4, 18). E é Ele ainda que nos impele a cuidar dos mais frágeis e dos mais pobres e a propor à atenção do mundo a sua causa, primária aos olhos de Deus. Aqui, como noutros lugares, tornou-se indispensável o apoio prestado aos mais necessitados durante os períodos mais duros da crise económica. Desenvolvamos, juntos, formas de cooperação na caridade, abramo-nos e colaboremos em questões de caráter ético e social para servir as pessoas do nosso tempo e levar-lhes a consolação do Evangelho. Com efeito o Espírito chama-nos, hoje mais do que no passado, a sanar as feridas da humanidade com o azeite da caridade.
O próprio Cristo, no momento da angústia, pediu aos seus a consolação da proximidade e da oração. A imagem do azeite leva-nos assim ao Jardim das Oliveiras. «Ficai aqui e vigiai» (Mc 14, 34): disse Jesus. O seu pedido aos Apóstolos estava expresso no plural; Ele deseja também hoje que vigiemos e oremos: para levar ao mundo a consolação de Deus e curar as nossas relações feridas, é precisa a oração de uns pelos outros. É indispensável para chegar «à necessária purificação da memória histórica. Os discípulos do Senhor, animados pelo amor, pela coragem da verdade e pela vontade sincera de se perdoarem mutuamente e reconciliarem, são chamados, com a graça do Espírito Santo, a reconsiderarem juntos o seu doloroso passado e aquelas feridas que este, infelizmente, continua ainda hoje a provocar» (S. João Paulo II, Carta enc. Ut unum sint, 2).
A isto nos exorta, em particular, a fé na Ressurreição. Os Apóstolos, temerosos e hesitantes, reconciliaram-se com a deceção dilacerante da Paixão quando viram diante deles o Senhor ressuscitado. Precisamente a partir das suas chagas, que pareciam impossíveis de cicatrizar, alcançaram uma nova esperança, uma misericórdia inaudita; um amor maior do que os seus erros e suas misérias, que haveria de transformá-los num só Corpo, unido pelo Espírito na pluralidade de tantos membros diferentes. Venha sobre nós o Espírito do Crucificado Ressuscitado, concedendo-nos «um olhar de verdade sereno e límpido, vivificado pela misericórdia divina, capaz de libertar os ânimos e de suscitar em cada pessoa uma renovada disponibilidade» (Ibid., 2). Que Ele nos ajude a não ficar paralisados pelas coisas negativas e os preconceitos de outrora, mas a olhar a realidade com olhos novos. Então as tribulações do passado deixarão espaço para as consolações do presente, e seremos confortados pelos tesouros de graça que redescobriremos nos irmãos. Acabamos de iniciar, como católicos, um itinerário para aprofundar a sinodalidade e sentimos que temos muito a aprender de vós. Desejamo-lo com sinceridade, certos de que, quando os irmãos na fé se aproximam, desce aos corações a consolação do Espírito.
Beatitude, querido Irmão, acompanhem-nos neste caminho os numerosos e ilustres Santos destas terras e os mártires, sendo estes no mundo, infelizmente, mais numerosos hoje do que no passado. De diferentes Confissões na terra, moram juntos no mesmo Céu. Intercedam para que o Espírito, azeite santo de Deus, Se derrame sobre nós num novo Pentecostes como sobre os Apóstolos de quem descendemos: acenda nos corações o desejo da comunhão, ilumine-nos com a sua sabedoria e unja-nos com a sua consolação.
[01686-PO.01] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua polacca
Wasza Świątobliwość,
„Łaska i pokój od Boga" (Rz 1, 7). Pozdrawiam Cię tymi słowami wielkiego apostoła Pawła, którymi, będąc na ziemi greckiej, zwrócił się do wiernych Rzymu. Dzisiaj nasze spotkanie odnawia tę łaskę i ten pokój. Modląc się przed „trophaea” Kościoła rzymskiego, którymi są groby Apostołów i męczenników, poczułem się przynaglony, by przybyć tu jako pielgrzym, z wielkim szacunkiem i pokorą, aby odnowić tę apostolską komunię i umocnić braterską miłość. Dlatego też pragnę podziękować Waszej Świątobliwości za słowa, które do mnie skierował, a które serdecznie odwzajemniam, pozdrawiając za pośrednictwem Waszej Świątobliwości duchowieństwo, wspólnoty monastyczne i wszystkich wiernych prawosławnych Grecji.
Spotkaliśmy się przed pięcioma laty na Lesbos, przynagleni jednym z największych dramatów naszych czasów, dramatu wielu braci i sióstr migrantów, na los których nie można pozostać obojętnym i postrzegać ich jedynie jako ciężar, którym trzeba zarządzać lub, co gorsza, który należy powierzyć komuś innemu. Obecnie spotykamy się, aby wspólnie przeżywać radość braterstwa i spojrzeć na otaczające nas Morze Śródziemne nie tylko jako na miejsce, które budzi troskę i dzieli, lecz także jako na morze, które jednoczy. Niedawno przywołałem liczące wiele stuleci drzewa oliwne, które zbliżają te ziemie. Myśląc o tych drzewach, które nas łączą, myślę o naszych wspólnych korzeniach. Znajdują się pod ziemią, są ukryte, często lekceważone, ale tkwią tam i utrzymują wszystko. Jakie są nasze wspólne korzenie, które sięgają wieków? Są to korzenie apostolskie. Święty Paweł je uwypuklał, przypominając o znaczeniu bycia „zbudowanymi na fundamencie apostołów” (Ef 2, 20). Te korzenie, które wyrosły z ziarna Ewangelii, zaczęły przynosić wielkie owoce właśnie w kulturze hellenistycznej: myślę tu o wielu starożytnych Ojcach i pierwszych wielkich soborach ekumenicznych.
Później, niestety, wzrastaliśmy w oddaleniu. Skaziły nas trucizny świata, kąkol podejrzliwości zwiększył nasze oddalenie i przestaliśmy pielęgnować komunię. Św. Bazyli Wielki powiedział, że prawdziwi uczniowie Chrystusa „winni być ukształtowani jedynie według tego, co w Nim widzą” (Reguły moralne, 80,1, w: „Pisma ascetyczne”, przekł. ks. J. Naumowicz, Tyniec, 2011). Ze wstydem - przyznaję to w odniesieniu do Kościoła katolickiego - działania i decyzje, które mają niewiele lub nic wspólnego z Jezusem i Ewangelią, naznaczone raczej żądzą zysku i władzy, doprowadziły do osłabienia komunii. W ten sposób pozwoliliśmy, aby zdolność owocowania została skalana podziałami. Historia ma swój ciężar i dzisiaj odczuwam potrzebę ponowienia tutaj mojej prośby o przebaczenie, skierowanej do Boga i do moich braci za błędy popełnione przez wielu katolików. Wielką pociechą jest jednak dla mnie pewność, że mamy korzenie apostolskie, i że, pomimo wypaczeń czasu, owa Boża roślina wzrasta i przynosi owoce w tym samym Duchu. Wzajemne rozpoznawanie wydawanych owoców i wspólne dziękczynienie za to Panu jest łaską.
Ostatecznym owocem drzewa oliwnego jest oliwa, która niegdyś znajdowała się w cennych naczyniach i wyrobach, których jest bardzo wiele wśród skarbów archeologicznych tego kraju. Olej zapewniał światło, które rozświetlało noce starożytności. Przez tysiąclecia było to „płynne słońce, pierwszy tajemniczy stan płomienia lamp” (C. Boureux, Les plantes de la Bible et leur symbolique, Paris 2014, 65). Dla nas, drogi Bracie, olej przywodzi na myśl Ducha Świętego, który zrodził Kościół. Tylko On, ze swoim ponadczasowym blaskiem, może rozproszyć ciemności i oświetlić kroki naszego pielgrzymowania.
Tak, ponieważ Duch Święty jest przede wszystkim olejem komunii. Pismo Święte mówi o oliwie, która rozjaśnia twarz człowieka (por. Ps 104, 15). Jak bardzo potrzeba nam dzisiaj, na wszystkich poziomach, uznania wyjątkowej wartości, która jaśnieje w każdym człowieku, w każdym bracie! Uznanie tej ludzkiej wspólnoty jest punktem wyjścia do budowania komunii. Niestety, „komunia zdaje się poruszać drażliwą strunę” nie tylko w społeczeństwie, ale często także wśród uczniów Jezusa, „w świecie chrześcijańskim karmionym indywidualizmem i rygoryzmem instytucjonalnym”. A jednak, jeśli własne tradycje i specyficzne cechy każdego – jak napisał wielki teolog – jeśli „inność nie jest czymś określonym przez komunię, to z trudem może dać początek satysfakcjonującej kulturze” (I. Zizioulas, Comunione e alterità, Rzym 2016, 16). Komunia między braćmi przynosi Boże błogosławieństwo. Psalmy porównują ją do „drogocennego olejku na głowie, który spływa na brodę” (Ps 133, 2). Duch, który zstępuje w nasze umysły, pobudza nas bowiem do bardziej intensywnego braterstwa, do wzajemnego umacniania się w komunii. Nie bójmy się więc, ale pomagajmy sobie nawzajem w uwielbianiu Boga i w służbie bliźniemu, bez prozelityzmu i z pełnym poszanowaniem wolności innych, ponieważ – jak napisał św. Paweł – „gdzie jest Duch Pański, tam wolność” (2 Kor 3, 17). Modlę się, aby Duch miłości pokonał nasze opory i uczynił nas budowniczymi komunii, ponieważ „Gdy miłość całkowicie usunie lęk i lęk przemieni się w miłość, wtedy okaże się, że wszyscy zbawieni stworzyli jedność” (Św. Grzegorz z Nyssy, Homilia 15 do Pieśni nad Pieśniami, tłum. Marta Przyszychowska, Kraków 2007, s. 238). Z drugiej strony, jak możemy dawać światu świadectwo o zgodności Ewangelii, jeśli my, chrześcijanie, nadal jesteśmy podzieleni? Jak możemy głosić miłość Chrystusa, który gromadzi narody, jeśli nie jesteśmy zjednoczeni między sobą? Podjęto wiele kroków, abyśmy wyszli sobie nawzajem na spotkanie. Przyzywajmy Ducha komunii, aby prowadził nas swoimi drogami i pomógł nam oprzeć naszą komunię nie na kalkulacjach, strategiach i wygodzie, lecz na jedynym wzorze, na który winniśmy patrzeć: na Trójcy Świętej.
Po drugie, Duch Święty jest olejem mądrości: Namaścił On Chrystusa i pragnie dawać natchnienie chrześcijanom. Posłuszni Jego łagodnej mądrości, wzrastamy w poznaniu Boga i otwieramy się na innych. Dlatego też chciałbym wyrazić uznanie dla wagi, jaką ten Kościół prawosławny, spadkobierca pierwszej wielkiej inkulturacji wiary, tej z kulturą helleńską, przywiązuje do formacji i przygotowania teologicznego. Pragnę również przypomnieć o owocnej współpracy w sferze kultury między Apostolikí Diakonía Kościoła Grecji – której przedstawicieli miałem przyjemność spotkać w 2019 roku – a Papieską Radą ds. Popierania Jedności Chrześcijan, a także o znaczeniu międzychrześcijańskich sympozjów promowanych przez Wydział Teologii Prawosławnej Uniwersytetu w Salonikach wraz z Papieskim Uniwersytetem Antonianum w Rzymie. Pozwoliło to na nawiązanie serdecznych relacji i rozpoczęcie dobroczynnej wymiany między uczonymi naszych wyznań. Jestem również wdzięczny za aktywne uczestnictwo Prawosławnego Kościoła Grecji w Międzynarodowej Komisji Mieszanej ds. Dialogu Teologicznego. Niech Duch Święty pomoże nam mądrze podążać tymi drogami!
Wreszcie, ten sam Duch Święty jest olejem pocieszenia: Parakletem, który jest blisko nas, balsamem duszy, uzdrowieniem ran. Namaścił On Chrystusa, aby mógł głosić dobrą nowinę ubogim, wyzwolenie jeńcom, uciśnionym swobodę (por. Łk 4, 18). I nadal pobudza nas do troski o najsłabszych i najuboższych, do zwrócenia uwagi świata na ich losy, sprawę najważniejszą w oczach Boga. Tutaj, podobnie jak gdzie indziej, niezbędne było wsparcie oferowane najbardziej potrzebującym w najtrudniejszych okresach kryzysu gospodarczego. Rozwijajmy razem formy współpracy w działalności charytatywnej, otwierajmy się i współpracujmy w kwestiach etycznych i społecznych, aby służyć ludziom naszych czasów i nieść im pocieszenie płynące z Ewangelii. Duch Święty wzywa nas bowiem dzisiaj, bardziej, niż w przeszłości, do leczenia ran ludzkości olejem miłosierdzia.
Sam Chrystus w chwili udręki prosił swoich uczniów o pocieszenie poprzez bliskość i modlitwę. Obraz oliwy prowadzi nas zatem do Ogrodu Oliwnego. „Zostańcie tu i czuwajcie” (Mk 14, 34) - powiedział Jezus. Jego prośba do Apostołów była w liczbie mnogiej. Również pragnie On, abyśmy czuwali i modlili się: aby nieść światu Boże pocieszenie i uzdrawiać nasze zranione relacje, potrzebna jest nasza modlitwa za siebie nawzajem. Jest ona niezbędna do dokonania „niezbędnego oczyszczenia pamięci historycznej. Dzięki łasce Ducha Świętego uczniowie Chrystusa, ożywieni miłością, odwagą płynącą z prawdy i szczerą wolą wzajemnego przebaczenia i pojednania, są powołani, aby ponownie zastanowić się nad swoją bolesną przeszłością i nad ranami, jakie niestety zadaje ona do dzisiaj” (Św. Jan Paweł II, Enc. Ut unum sint, 2).
Do tego wzywa nas szczególnie wiara w zmartwychwstanie. Apostołowie, zalęknieni i chwiejni, pogodzili się z rozdzierającym rozczarowaniem Męki, gdy ujrzeli przed sobą Zmartwychwstałego Pana. To z Jego ran, które wydawały się niemożliwe do uleczenia, czerpali nową nadzieję, nieznane wcześniej miłosierdzie, miłość większą niż ich błędy i nieszczęścia, która przemieniała ich w jedno Ciało, zjednoczone przez Ducha w wielości tak różnych członków. Niech zstąpi na nas Duch Ukrzyżowanego i Zmartwychwstałego Pana, i da nam „spokojne i czyste spojrzenie prawdy, ożywione Bożym miłosierdziem, które potrafi wyzwolić umysły i ponownie wzbudzić w każdym dobrą wolę” (tamże). Niech nam pomoże, abyśmy nie dali się sparaliżować przez negatywne nastawienie i uprzedzenia z przeszłości, ale spojrzeli na rzeczywistość nowymi oczami. Wówczas utrapienia przeszłości ustąpią miejsca pociechom teraźniejszości, a my będziemy pocieszeni skarbami łaski, które odkryjemy na nowo w naszych braciach. Jako katolicy, właśnie rozpoczęliśmy proces zmierzający do pogłębienia synodalności i czujemy, że możemy się od was wiele nauczyć. Szczerze tego pragniemy, pewni, że gdy bracia w wierze zbliżają się do siebie, zstępuje do serc pociecha Ducha Świętego.
Wasza Świątobliwość, drogi Bracie, niech towarzyszą nam w tej drodze liczni wybitni święci tych ziem i męczennicy, niestety liczniejsi w dzisiejszym świecie niż w przeszłości. Z różnych wyznań na ziemi, mieszkają razem w tym samym niebie. Niech wstawiają się za nami, aby Duch Święty, święty olej Boży, w nowej Pięćdziesiątnicy, został wylany na nas, jak na Apostołów, od których pochodzimy: niech rozpali w naszych sercach pragnienie komunii, oświeci nas swoją mądrością i namaści swoją pociechą.
[01686-PL.01] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua araba
الزيارة الرسوليّة إلى قبرص واليونان
كلمة قداسة البابا فرنسيس
في الزيارة إلى غبطة رئيس الأساقفة إيرونيموس الثاني، رئيس أساقفة أثينا واليونان
في مقر رئيس الأساقفة في أثينا - اليونان
السبت 4 كانون الأوّل/ديسمبر 2021
صاحب الغبطة،
"نِعمَةٌ وسَلامٌ مِن لَدُنِ اللهِ" (الرّسالة إلى أهل رومة 1، 7). أحيّيك بهذه الكلمات التي قالها الرّسول الكبير بولس، وهي الكلمات نفسها التي وجّهها إلى المؤمنين من أهل رومة، أثناء تواجده على أرضٍ اليونان. لقاؤنا اليوم يجدّد هذه النّعمة وهذا السّلام. عندما كنت أصلّي أمام أثار كنيسة روما، أضرحة الرّسل والشّهداء، شعرتُ بدافعٍ يدفعُني لأن آتي إلى هنا حاجًّا، باحترامٍ وتواضعٍ كبيرَين، من أجل تجديد تلك الشّركة الرّسوليّة وتغذية المحبّة الأخويّة. بهذا المعنى، أودّ أن أشكرك، يا صاحب الغبطة، على الكلمات التي وجّهتها إليّ والتي أبادلُك إيّاها بمودّة، وأحيّي من خلالك، الإكليروس، والجماعات الرهبانيّة وكلّ المؤمنين الأرثوذكسيين في اليونان.
التقينا قبل خمس سنوات في لسبوس، في حالة الطّوارئ الأكثر مأساويّة في عصرنا، وهي مأساة الكثير من الإخوة والأخوات المهاجرين، الذين لا يمكننا أن نتركهم في اللامبالاة، وننظر إليهم على أنّهم عبءٌ يجب تحمله، أو أسوأ من ذلك، أن نلقي مسؤوليته على أيٍّ كان غيرنا. اجتمعنا معًا الآن لنتشارك فرح الأخوّة، ولننظر إلى البحر الأبيض المتوسّط الذي يحيط بنا، ليس فقط على أنّه مكان يحمل إلينا القلق والانقسام، ولكن أيضًا على أنّه بحرٌ يوحّد. ذكرتُ قبل قليل أشجار الزّيتون المعمّرة التي توحّد الأراضي حولها. وبالتّفكير في هذه الأشجار التي تقرب بيننا، أفكّر في الجذور التي نتشاركها. إنّها تحت الأرض، مخفيّة، وغالبًا منسية، لكنّها موجودة وتحمل كلّ شيء. ما هي جذورنا المشتركة التي مرّت عليها القرون؟ إنّها الجذور الرّسوليّة. كان القدّيس بولس يسلط الضوء عليها ويذكّرنا بأهمّيّة أن نكون "مَبنِيّين على أَساسِ الرُّسُلِ" (الرّسالة إلى أهل أفسس 2، 20). هذه الجذور التي نمت من بذار الإنجيل والمطعّمة في الثقافة الهيلينيّة/اليونانيّة، فيها بدأت تعطي ثمارًا كثيرة: أفكّر في الآباء القدامى الكثيرين والمجامع المسكونيّة الكبرى الأولى.
للأسف، بعد ذلك، تفرّقنا وكبرنا مبتعدين. أصابتنا عدوى السّموم الدنيويّة، وزاد زؤان الاتهام المسافة بيننا، وتوقّفنا عن تنمية الشّركة بيننا. أكّد القدّيس باسيليوس الكبير أنّ التّلاميذ الحقيقيّين للمسيح "مصوَّرون فقط على ما يرونه فيه" (أخلاق، 80، 1). بخجل – أعترف من جانب الكنيسة الكاثوليكيّة – أنّ أعمالًا ومواقف لا علاقة لها بيسوع والإنجيل، بل كانت مشبعة بعطش المكاسب والسلطة، هي التي أماتت الشركة بيننا. وهكذا تركنا الانقسامات تفسد الخصوبة والحياة. وكان للتّاريخ دوره في هذا، وأشعر هنا اليوم بالحاجة إلى تجديد طلب الغفران إلى الله والإخوة على الأخطاء التي ارتكبها الكثير من الكاثوليكيين. لكنّه عزاءٌ كبيرٌ لنا، أنّنا على يقين بأنّ جذورنا رسوليّة، وأنّه على الرّغم من تشوّهات العصر، فإنّ نبتة الله تنمو وتؤتي ثمارًا في الرّوح نفسه. وهي نعمة أن نعترف بثمار بعضنا البعض، وأن نشكر الرّبّ يسوع معًا على هذا.
والثّمرة الأخيرة لشجرة الزّيتون هو الزّيت، الذي كان يُحفظ في السّابق ضمن أوانٍ ومصنوعاتٍ يدويّة ثمينة، والتي نجدها بكثرة بين الكنوز الأثريّة لهذا البلد. قدّم الزّيت النّور الذي أضاء ليالي العصور القديمة. وكان مدة آلاف السّنين "الشّمس السّائلة، والحالة السرية الأولى لشعلة المصابيح" (خريستوفر بورو، نباتات الكتاب المقدّس ورموزها، باريس 2014، 65). بالنّسبة لنا، أيّها الأخ العزيز، يجعلنا الزّيت نفكّر في الرّوح القدس الذي وَلَد الكنيسة. والرّوح القدس فقط، بنوره الذي لا يغيب، يمكنه أن يبدّد الظّلام ويضيء خطوات مسيرنا.
نعم، لأنّ الرّوح القدس هو قبلَ كلّ شيء زيت الشّركة. يتكلّم الكتاب المقدّس على الزّيت الذي يُنَضِّر وجه الإنسان (راجع سفر المزامير 104، 15). كم نحن بحاجة اليوم إلى أن نعترف بالقيمة الفريدة التي تتألّق في كلّ إنسان، وفي كلّ أخ! وإدراك هذه الوَحدة الإنسانيّة هو نقطة البداية لبناء الشّركة. ولكن للأسف، مثلما كتب أحد اللاهوتيّين الكبار: "يبدو أنّ الشّركة تضرب على الوتر الحسّاس"، وهو عصب مكشوف، ليس فقط في المجتمع، ولكن في كثير من الأحيان أيضًا بين تلاميذ يسوع، "في عالم مسيحيّ تغذّيه الفرديّة والجمود المؤسّسي". ومع ذلك، إذا كانت التّقاليد الخاصّة ومميّزات كلّ واحدٍ تقود إلى الدفاع عن نفسها وأخذ المسافة من الآخرين، وإذا "لم تكن الغيرية موسومة بالشركة، فإنّه من الصعب أن تلد ثقافة مُرضية" (يوانيس زيزيولاس، الشّركة والاختلاف، روما 2016، 16). تحمل الشّركة بين الإخوة البركة الإلهيّة. وتشبّهها المزامير بـ "الزَّيتِ الطَّيِّبِ على الرَّأْسِ، والنَّازِلِ على اللِّحْيَة" (سفر المزامير 133، 2). لذلك، يدفعنا الرّوح الذي ينسكب في أذهاننا إلى مزيد من الأخوّة، وإلى أن نبني أنفسنا في الشّركة. لا نخف بعضنا بعضًا، إذًا، بل لنساعد بعضنا بعضًا على عبادة الله وخدمة قريبنا، من دون البحث عن أتباع لنا، ولنحترم حرّيّة الآخرين احترامًا كاملًا، لأنّه - مثلما كتب القدّيس بولس - "حَيثُ يَكونُ رُوحُ الرَّبّ، تَكون الحُرِّيَّة" (الرّسالة الثّانية إلى أهل قورنتس 3، 17). أُصلّي حتّى يتغلّب روح المحبّة على مقاوماتنا، ويجعلنا بناة للشركة، لأنّه "إذا نجحت المحبّة حقًّا في القضاء على الخوف وتحوّل الخوف إلى محبّة، سنكتشف حينئذ أنّ ما يُنقِذنا هو الوِحدة" (القدّيس غريغوريوس النّيصي، العظة 15 في سفر نشيد الأناشيد). من ناحية أخرى، كيف يمكننا أن نشهد أمام العالم للانسجام في الإنجيل، إن كنّا نحن المسيحيّين ما زلنا منفصلين؟ وكيف يمكننا أن نعلن محبّة المسيح التي تجمع النّاس، إن لم نكن متّحدين فيما بيننا؟ لقد تمّ إنجاز الكثير من أجل أن نلتقي. لنبتهل إلى روح الشّركة، حتّى يدفعنا في طُرُقِه، ويساعدنا على تأسيس الشّركة، ليس على الحسابات والاستراتيجيّات والمصالح، بل على النّموذج الوحيد الذي يجب أن ننظر إليه وهو: الثّالوث الأقدس.
ثانيًا، الرّوح القدس هو زيت الحكمة. لقد مَسَحَ المسيح ويريد أن يلهم المسيحيّين. في الطاعة لحكمته الوديعة، لنَنْمُ في معرفة الله ولننفتح على الآخرين. بهذا المعنى، أودّ أن أعبّر عن تقديري للأهميّة التي تكرّسها هذه الكنيسة الأرثوذكسيّة، وريثة أوّل انثقاف كبير للإيمان، في الثّقافة الهيلينيّة/اليونانيّة، للتّنشئة والإعداد اللاهوتي. أودّ أيضًا أن أذكّر بالتّعاون المثمر في المجال الثّقافي بين هيئة Apostolikí Diakonía لكنيسة اليونان - التي سُرّرت بلقاء ممثّليها في عام 2019 - والمجلس الحبري لتعزيز وَحدة المسيحيّين، بالإضافة إلى أهميّة المؤتمرات بين المسيحيّين، التي روّجت لها كلّيّة اللاهوت الأرثوذكسيّة في جامعة سالونيكا مع جامعة الأنطونيانوم الحبريّة في روما. سمحت هذه المناسبات بإنشاء علاقات ودّيّة وبدء تبادل مفيد بين الأكاديميّين من كنائسنا. وأشكر أيضًا كنيسة اليونان الأرثوذكسيّة على مشاركتها الفعّالة في اللجنة الدوليّة المشتركة للحوار اللاهوتي. ليساعدنا الرّوح القدس في الاستمرار بحكمة في هذه المسارات!
أخيرًا، الرّوح القدس نفسه هو زيت التّعزية: أي المؤيّد الذي يبقى قريبًا مِنَّا، وبَلسَمًا للنَّفس، وشفاءً للجراح. مَسَحَ الرّوح القدس المسيح حتّى يُعلِنَ البشارة للفقراء، وللمأسورين تخلية سبيلهم، والفَرَج للمظلومين (لوقا 4، 18). ولا يزال يدفعنا إلى الاهتمام بالأضعفين والأكثر فقرًا، وإلى توجيه نظر العالم إلى قضيّتهم، التي هي قضيّة أساسيّة في نظر الله. هنا، كما في كلّ مكان آخر، كان الدّعم المقدّم لِمَن هُم أكثر احتياجًا، خلال أصعب فترات الأزمة الاقتصاديّة، أمرًا لا غنى عنه. لنطوّر معًا أشكالًا من التّعاون في أعمال المحبّة، ولنَنفَتِح ونتعاون في القضايا الأخلاقيّة والاجتماعيّة لخدمة البشر في عصرنا، ونحمل لهم تعزية الإنجيل. في الواقع، يدعونا الرّوح القدس اليوم أكثر من الماضي، إلى شفاء جراح البشريّة بزيت المحبّة.
طلب المسيح نفسه من تلاميذه في لحظة الضّيق، عزاء القُرْبِ والصّلاة. وهكذا، تقودنا صورة الزّيت إلى بستان الزّيتون. قال يسوع: "أُمكُثوا هُنا وٱسهَروا" (مرقس 14، 34)، كان طلبه إلى الرّسل في صيغة الجّمع. اليوم أيضًا يريدنا أن نسهر ونصلّي: حتّى نحمل إلى العالم تعزية الله، ونشفي علاقاتنا الجريحة، يجب علينا أن نصلّي من أجل بعضنا البعض. هذا ضروريّ من أجل الوصول إلى "ضرورة تنقية الذاكرة التاريخية. وبنعمة الرّوح القدس، إنّ تلاميذ الرّبّ، وقد أنعشتهم المحبّة وشجاعة الحقيقة والإرادة الصادقة في تبادل الغفران والمصالحة، لمدعوّون إلى إعادة النظر معًا في ماضيهم المؤلم، وفي الجراحات التي لا يزالون يتسبّبون فيها، وللأسف حتى يومنا الحاضر" (القدّيس يوحنّا بولس الثّاني، الرّسالة العامة، لِيَكونوا واحداً ”Ut unum sint“، 2).
على هذا يحثّنا الإيمان بالقيامة بشكلٍ خاص. تصالح الرّسل، الخائفون والمتردّدون، مع خيبة الأمل المدمرة التي عاشوها بعد الآلام، عندما رأوا الرّبّ يسوع القائم من بين الأموات أمامهم. ومن جروحه نفسها التي بَدَا شفاؤها مستحيلًا، استقوا أملًا جديدًا، ورحمةً غير مسبوقة، ومحبّةً أعظم من أخطائهم وبؤسهم، بإمكانها أن تحوّلهم إلى جسد واحد، يوحّده الرّوح القدس مع تعدّد واختلاف أعضائه. ليحلّ علينا روح المصلوب والقائم من بين الأموات، وليعطينا "نظرة صافية وهادئة في الحقيقة، تحيّيها رحمة إلهيّة، قادرة على أن تحرّر الأرواح، وتثير في كلّ واحد منّا استعدادًا جديدًا للحياة" (المرجع نفسه). ليساعدنا على ألّا نبقى عاجزين بسبب سلبيّات الماضي والأحكام المسبقة القديمة، بل لننظر إلى الواقع بعيون جديدة. عندئذٍ، ستُفسِحُ ضيقات الماضي المجال لتعزية الحاضر، وسوف نتعزّى بكنوز النّعمة التي سنكتشفها في الإخوة. لقد بدأنا منذ فترة قصيرة، نحن الكاثوليك، مسارًا لتعميق عمل السينودس، ونشعر أنّ هناك الكثير لنتعلّمه منكم. نريد ذلك صادقين، ونحن متأكّدون أنّه عندما يقترب الإخوة في الإيمان، تنزل تعزية الرّوح القدس في القلوب.
صاحب الغبطة، وأخي العزيز، يرافقنا في هذه المسيرة العديد من القدّيسين اللامعين في هذه الأرض، والشّهداء، الذين للأسف، هم أكثر عددًا في العالم اليوم، ممّا كانوا عليه في الماضي. هم من كنائس مختلفة على الأرض، ويعيشون معًا في السّماء نفسها. ليتشفّعوا حتّى يَفِيضَ علينا الرّوح القدس، زيت الله المقدّس، في عنصرة متجدّدة، مثلما فَاضَ على الرّسل الذين ننحدر منهم: وليوقد في قلوبنا الرّغبة في الشّركة، وينيرنا بحكمته ويمسحنا بتعزيته.
[01686-AR.01] [Testo originale: Italiano]
[B08018-XX.02]