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Viaggio Apostolico di Sua Santità Francesco a Cipro e in Grecia – Accoglienza Ufficiale all’Aeroporto di Atene, Cerimonia di benvenuto, Visita di cortesia alla Presidente della Repubblica, Incontro con il Primo Ministro e Incontro con le Autorità, la Società Civile e il Corpo Diplomatico, 04.12.2021


Accoglienza Ufficiale all’Aeroporto di Atene

Cerimonia di benvenuto, Visita di cortesia alla Presidente della Repubblica Ellenica e Incontro con il Primo Ministro nel Palazzo Presidenziale di Atene

Incontro con le Autorità, la Società Civile e il Corpo Diplomatico nel Palazzo Presidenziale di Atene

Accoglienza Ufficiale all’Aeroporto di Atene

Questa mattina, alle ore 11.05 (10.05 ora di Roma), il Santo Padre Francesco è arrivato all’Aeroporto Internazionale di Atene.

Al Suo arrivo il Papa è stato accolto dal Ministro degli Affari Esteri. Quattro bambini, di cui due in abito tradizionale, gli hanno donato un omaggio floreale. Quindi, dopo la Guardia d’Onore e la presentazione delle rispettive Delegazioni, Papa Francesco si è trasferito in auto al Palazzo Presidenziale di Atene per la Cerimonia di benvenuto in Grecia.

[01701-IT.01]

Cerimonia di benvenuto, Visita di cortesia alla Presidente della Repubblica Ellenica e Incontro con il Primo Ministro nel Palazzo Presidenziale di Atene

Questa mattina, alle ore 12.00 (11.00 ora di Roma), il Santo Padre Francesco è arrivato al Palazzo Presidenziale di Atene dove ha avuto luogo la Cerimonia di benvenuto in Grecia.

Al Suo arrivo il Papa è stato accolto dalla Presidente della Repubblica Ellenica, S.E. la Signora Katerina Sakellaropoulou. Quindi, dopo la foto ufficiale, la Guardia d’Onore e l’esecuzione degli inni, ha avuto luogo la presentazione delle rispettive Delegazioni.

Al termine, il Santo Padre si è recato nello studio della Presidente della Repubblica per la Visita di cortesia. Mentre aveva luogo l’incontro in privato, il Cardinale Segretario di Stato ha incontrato il Primo Ministro della Repubblica Ellenica, S.E. il Signor Kyriakos Mitsotakis, alla presenza del Sostituto della Segreteria di Stato, S.E. Mons. Edagr Peña Parra, del Segretario per i Rapporti con gli Stati, S.E. Mons. Paul Richard Gallagher, e del Nunzio Apostolico in Grecia, S.E. Mons. Savio Hon Tai-Fai, S.D.B.

A conclusione dell’incontro, la Presidente della Repubblica ha accompagnato il Papa all’ascensore. Il Santo Padre è stato quindi ricevuto dal Primo Ministro e insieme si sono diretti nel salone dove si è svolto l’incontro privato.

Alla fine dell’incontro, il Papa e il Primo Ministro si sono recati al piano terra dove erano attesi dalla Presidente della Repubblica. Quindi sono andati insieme nella sala dove ha avuto luogo l’incontro con le Autorità, la Società Civile e il Corpo Diplomatico.

[01702-IT.01]

Incontro con le Autorità, la Società Civile e il Corpo Diplomatico nel Palazzo Presidenziale di Atene

Discorso del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Questa mattina, alle ore 12.45 (11.45 ora di Roma), il Santo Padre Francesco ha incontrato le Autorità politiche e religiose, i Membri del Corpo Diplomatico e i Rappresentanti della Società Civile nel Palazzo Presidenziale di Atene.

Dopo il discorso della Presidente della Repubblica Ellenica, S.E. la Signora Katerina Sakellaropoulou, il Papa ha pronunciato il Suo discorso.

Al termine dell’incontro, il Santo Padre e la Presidente della Repubblica si sono recati nella sala dove Papa Francesco ha firmato il Libro d’Onore. Dopo lo scambio dei doni, Papa Francesco ha lasciato il Palazzo Presidenziale e si è trasferito in auto alla Nunziatura Apostolica di Atene dove, al Suo arrivo, è stato accolto dal personale della Nunziatura.

Pubblichiamo di seguito il discorso che il Santo Padre ha pronunciato nel corso dell’incontro:

Discorso del Santo Padre

Signora Presidente della Repubblica,
Membri del Governo e del Corpo diplomatico,
distinte Autorità religiose e civili,
insigni Rappresentanti della società e del mondo della cultura,
Signore e Signori!

Vi saluto cordialmente e ringrazio la Signora Presidente per le parole di benvenuto che mi ha rivolto a nome vostro e di tutti i cittadini greci. È un onore essere in questa gloriosa città. Faccio mie le parole di San Gregorio di Nazianzo: «Atene aurea e dispensatrice di bene… mentre cercavo l’eloquenza, trovai la felicità» (Orazione 43,14). Vengo pellegrino in questi luoghi che sovrabbondano di spiritualità, cultura e civiltà per attingere alla medesima felicità che entusiasmò il grande Padre della Chiesa. Era la gioia di coltivare la sapienza e di condividerne la bellezza. Una felicità, dunque, non individuale e isolata, ma che, nascendo dallo stupore, tende all’infinito e si apre alla comunità; una felicità sapiente, che da questi luoghi si è diffusa ovunque: senza Atene e senza la Grecia l’Europa e il mondo non sarebbero quello che sono. Sarebbero meno sapienti e meno felici.

Da qui gli orizzonti dell’umanità si sono dilatati. Anch’io mi sento invitato ad alzare lo sguardo e a posarlo sulla parte più alta della città, l’Acropoli. Visibile da lontano ai viaggiatori che lungo i millenni vi sono approdati, offriva un riferimento imprescindibile alla divinità. È il richiamo ad allargare gli orizzonti verso l’Alto: dal Monte Olimpo all’Acropoli al Monte Athos, la Grecia invita l’uomo di ogni tempo a orientare il viaggio della vita verso l’Alto. Verso Dio, perché abbiamo bisogno della trascendenza per essere veramente umani. E mentre oggi, nell’Occidente da qui sorto, si tende a offuscare il bisogno del Cielo, intrappolati dalla frenesia di mille corse terrene e dall’avidità insaziabile di un consumismo spersonalizzante, questi luoghi ci invitano a lasciarci stupire dall’infinito, dalla bellezza dell’essere, dalla gioia della fede. Da qui sono passate le vie del Vangelo, che hanno unito Oriente e Occidente, Luoghi Santi ed Europa, Gerusalemme e Roma; quei Vangeli che per portare al mondo la buona notizia di Dio amante dell’uomo sono stati scritti in greco, lingua immortale usata dalla Parola – dal Logos – per esprimersi, linguaggio della sapienza umana divenuto voce della Sapienza divina.

Ma in questa città lo sguardo, oltre che verso l’Alto, viene sospinto anche verso l’altro. Ce lo ricorda il mare, su cui Atene si affaccia e che orienta la vocazione di questa terra, posta nel cuore del Mediterraneo per essere ponte tra le genti. Qui grandi storici si sono appassionati nel raccontare le storie dei popoli vicini e lontani. Qui, secondo la nota affermazione di Socrate, si è iniziato a sentirsi cittadini non solo della propria patria, ma del mondo intero. Cittadini: qui l’uomo ha preso coscienza di essere “un animale politico” (cfr Aristotele, Politica,I, 2) e, in quanto parte di una comunità, ha visto negli altri non dei sudditi, ma dei cittadini, con i quali organizzare insieme la polis. Qui è nata la democrazia. La culla, millenni dopo, è diventata una casa, una grande casa di popoli democratici: mi riferisco all’Unione Europea e al sogno di pace e fraternità che rappresenta per tanti popoli.

Non si può, tuttavia, che constatare con preoccupazione come oggi, non solo nel Continente europeo, si registri un arretramento della democrazia. Essa richiede la partecipazione e il coinvolgimento di tutti e dunque domanda fatica e pazienza. È complessa, mentre l’autoritarismo è sbrigativo e le facili rassicurazioni proposte dai populismi appaiono allettanti. In diverse società, preoccupate della sicurezza e anestetizzate dal consumismo, stanchezza e malcontento portano a una sorta di “scetticismo democratico”. Ma la partecipazione di tutti è un’esigenza fondamentale; non solo per raggiungere obiettivi comuni, ma perché risponde a quello che siamo: esseri sociali, irripetibili e al tempo stesso interdipendenti.

Ma c’è pure uno scetticismo nei confronti della democrazia provocato dalla distanza delle istituzioni, dal timore della perdita di identità, dalla burocrazia. Il rimedio a ciò non sta nella ricerca ossessiva di popolarità, nella sete di visibilità, nella proclamazione di promesse impossibili o nell’adesione ad astratte colonizzazioni ideologiche, ma sta nella buona politica. Perché la politica è cosa buona e tale deve essere nella pratica, in quanto responsabilità somma del cittadino, in quanto arte del bene comune. Affinché il bene sia davvero partecipato, un’attenzione particolare, direi prioritaria, va rivolta alle fasce più deboli. Questa è la direzione da seguire, che un padre fondatore dell’Europa indicò come antidoto alle polarizzazioni che animano la democrazia ma rischiano di esasperarla: «Si parla molto di chi va a sinistra o a destra, ma il decisivo è andare avanti e andare avanti vuol dire andare verso la giustizia sociale» (A. De Gasperi, Discorso tenuto a Milano, 23 aprile 1949). Un cambio di passo in tal senso è necessario, mentre, amplificate dalla comunicazione virtuale, si diffondono ogni giorno paure e si elaborano teorie per contrapporsi agli altri. Aiutiamoci invece a passare dal parteggiare al partecipare; dall’impegnarsi solo a sostenere la propria parte al coinvolgersi attivamente per la promozione di tutti.

Dal parteggiare al partecipare. È la motivazione che ci deve sospingere su vari fronti: penso al clima, alla pandemia, al mercato comune e soprattutto alle povertà diffuse. Sono sfide che chiedono di collaborare concretamente e attivamente. Ne ha bisogno la comunità internazionale, per aprire vie di pace attraverso un multilateralismo che non venga soffocato da eccessive pretese nazionaliste. Ne ha bisogno la politica, per porre le esigenze comuni davanti agli interessi privati. Può sembrare un’utopia, un viaggio senza speranza in un mare turbolento, un’odissea lunga e irrealizzabile. Eppure il viaggio in un mare agitato, come insegna il grande racconto omerico, è spesso l’unica via. E raggiunge la meta se è animato dal desiderio di casa, dalla ricerca di andare avanti insieme, dal nóstos álgos, dalla nostalgia. Vorrei rinnovare a tale proposito il mio apprezzamento per il non facile percorso che ha portato all’“Accordo di Prespa”, firmato tra questa Repubblica e quella della Macedonia del Nord.

Guardando ancora al Mediterraneo, mare che ci apre all’altro, penso alle sue rive fertili e all’albero che potrebbe assurgerne a simbolo: l’ulivo, di cui si sono appena raccolti i frutti e che accomuna terre diverse che si affacciano sull’unico mare. È triste vedere come negli ultimi anni molti ulivi secolari siano bruciati, consumati da incendi spesso causati da condizioni metereologiche avverse, a loro volta provocate dai cambiamenti climatici. Di fronte al paesaggio ferito di questo meraviglioso Paese, l’albero di ulivo può simboleggiare la volontà di contrastare la crisi climatica e le sue devastazioni. Dopo il cataclisma primordiale narrato dalla Bibbia, il diluvio, una colomba tornò infatti da Noè portando «nel becco una tenera foglia di ulivo» (Gen 8,11). Era il simbolo della ripartenza, della forza di ricominciare cambiando stile di vita, rinnovando le proprie relazioni con il Creatore, le creature e il creato. Auspico in tal senso che gli impegni assunti nella lotta contro i cambiamenti climatici siano sempre più condivisi e non siano di facciata, ma vengano seriamente attuati. Alle parole seguano i fatti, perché i figli non paghino l’ennesima ipocrisia dei padri. Risuonano in questo senso le parole che Omero pone sulle labbra di Achille: «Odioso m’è colui, come le porte dell’Ade, ch’altro nasconde in cuore ed altro parla» (Iliade, IX,312-313).

L’ulivo, nella Scrittura, rappresenta anche un invito a essere solidali, in particolare nei riguardi di quanti non appartengono al proprio popolo. «Quando bacchierai i tuoi ulivi, non tornare a ripassare i rami. Sarà per il forestiero», dice la Bibbia (Dt 24,20). Questo Paese, improntato all’accoglienza, ha visto in alcune sue isole approdare un numero di fratelli e sorelle migranti superiore agli abitanti stessi, accrescendo così i disagi, che ancora risentono delle fatiche della crisi economica. Ma anche il temporeggiare europeo perdura: la Comunità europea, lacerata da egoismi nazionalistici, anziché essere traino di solidarietà, alcune volte appare bloccata e scoordinata. Se un tempo i contrasti ideologici impedivano la costruzione di ponti tra l’est e l’ovest del continente, oggi la questione migratoria ha aperto falle anche tra il sud e il nord. Vorrei esortare nuovamente a una visione d’insieme, comunitaria, di fronte alla questione migratoria, e incoraggiare a rivolgere attenzione ai più bisognosi perché, secondo le possibilità di ciascun Paese, siano accolti, protetti, promossi e integrati nel pieno rispetto dei loro diritti umani e della loro dignità. Più che un ostacolo per il presente, ciò rappresenta una garanzia per il futuro, perché sia nel segno di una convivenza pacifica con quanti sempre di più sono costretti a fuggire in cerca di casa e di speranza. Loro sono i protagonisti di una terribile moderna odissea. Mi piace ricordare che quando Ulisse approdò a Itaca non fu riconosciuto dai signori del luogo, che gli avevano usurpato casa e beni, ma da chi si era preso cura di lui. La sua nutrice capì che era lui vedendo le sue cicatrici. Le sofferenze ci accomunano e riconoscere l’appartenenza alla stessa fragile umanità sarà di aiuto per costruire un futuro più integrato e pacifico. Trasformiamo in audace opportunità ciò che sembra solo una malcapitata avversità!

La pandemia è invece la grande avversità. Ci ha fatti riscoprire fragili, bisognosi degli altri. Anche in questo Paese è una sfida che comporta opportuni interventi da parte delle Autorità – penso alla necessità della campagna vaccinale – e non pochi sacrifici per i cittadini. In mezzo a tanta fatica si è però fatto strada un notevole senso di solidarietà, al quale la Chiesa cattolica locale è lieta di poter continuare a contribuire, nella convinzione che ciò costituisca l’eredità da non perdere con il lento placarsi della tempesta. Sembrano scritte per oggi alcune parole del giuramento di Ippocrate, come l’impegno a “regolare il tenore di vita per il bene dei malati”, ad “astenersi dal recare danno e offesa” agli altri, a salvaguardare la vita in ogni momento, in particolare nel grembo materno (cfr Giuramento di Ippocrate, testo antico). Va sempre privilegiato il diritto alla cura e alle cure per tutti, affinché i più deboli, in particolare gli anziani, non siano mai scartati: che gli anziani non siano le persone privilegiate per la cultura dello scarto. Gli anziani sono il segno della saggezza di un popolo. La vita è infatti un diritto, non la morte, la quale va accolta, non somministrata.

Cari amici, alcuni esemplari di ulivo mediterraneo testimoniano una vita così lunga da precedere la comparsa di Cristo. Secolari e duraturi, sono resistiti al tempo e ci richiamano all’importanza di custodire radici forti, innervate di memoria. Questo Paese può essere definito la memoria d’Europa – voi siete la memoria d’Europa – e sono lieto di visitarlo dopo vent’anni dalla storica visita di Papa Giovanni Paolo II e nel bicentenario della sua indipendenza. È nota, al riguardo, la frase del generale Colocotronis: “Dio ha messo la sua firma sulla libertà della Grecia”. Dio mette volentieri la firma sulla libertà umana, sempre e ovunque. È il suo dono più grande, quello che a sua volta più apprezza da noi. Egli, infatti, ci ha creati liberi e la cosa che più gradisce è che liberamente amiamo Lui e il prossimo. A consentirlo contribuiscono le leggi, ma anche l’educazione alla responsabilità e la crescita di una cultura del rispetto. A questo proposito, desidero rinnovare la gratitudine per il riconoscimento pubblico della comunità cattolica e assicuro la sua volontà di promuovere il bene comune della società greca, orientando in tal senso l’universalità che la caratterizza, nell’auspicio che all’atto pratico le siano sempre garantite quelle condizioni necessarie per ben adempiere il suo servizio.

Duecento anni fa, il Governo provvisorio del Paese si rivolse ai cattolici con parole toccanti: “Cristo ha comandato l’amore per il prossimo. Ma chi a noi è più prossimo di voi, nostri concittadini, benché ci siano alcune differenze nei riti? Noi abbiamo l’unica patria, siamo di un unico popolo; noi cristiani siamo fratelli – fratelli nelle radici, nella crescita e nei frutti – per la Santa Croce”. Essere fratelli nel segno della Croce, in questo Paese benedetto dalla fede e dalle sue tradizioni cristiane, esorta tutti i credenti in Cristo a coltivare la comunione a ogni livello, nel nome di quel Dio che tutti abbraccia con la sua misericordia. In questo senso, cari fratelli e sorelle, vi ringrazio per l’impegno e vi esorto a far progredire questo Paese nell’apertura, nell’inclusione e nella giustizia. Da questa città, da questa culla di civiltà si è levato e sempre si levi un messaggio che orienti verso l’Alto e verso l’altro; che alle seduzioni dell’autoritarismo risponda con la democrazia; che all’indifferenza individualista opponga la cura dell’altro, del povero e del creato, cardini essenziali per un umanesimo rinnovato, di cui hanno bisogno i nostri tempi e la nostra Europa. O Theós na evloghí tin Elládha! [Dio benedica la Grecia!]

[01685-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Madame la Présidente de la République,
Membres du Gouvernement et du Corps diplomatique
Distinguées Autorités religieuses et civiles,
Éminents représentants de la société et du monde de la culture,
Mesdames et Messieurs !

Je vous salue chaleureusement et je remercie Madame la Présidente pour les paroles de bienvenue qu’elle m’a adressées en votre nom et au nom de tous les citoyens grecs. C'est un honneur pour moi d'être dans cette ville glorieuse. Je fais miennes les paroles de saint Grégoire de Nazianze : «Athènes, ville d’or et dispensatrice de bienfaits… alors que je cherchais l'éloquence, j'ai trouvé le bonheur» (Oraison 43,14). Je viens en pèlerin dans ces lieux riches de spiritualité, de culture et de civilisation, pour puiser à ce même bonheur qui enthousiasmait ce remarquable Père de l'Église: la joie de cultiver la sagesse et d’en partager la beauté. Un bonheur non pas individuel ni isolé, mais qui, né de l'émerveillement, tend vers l'infini et s'ouvre à la communauté ; un bonheur rempli de sagesse qui, à partir de ces lieux, s'est répandu partout : sans Athènes et sans la Grèce, l'Europe et le monde ne seraient pas ce qu'ils sont. Ils seraient moins sages et moins heureux.

Les horizons de l'humanité se sont élargis à partir d’ici. Je me sens aussi invité à lever les yeux et à poser mon regard sur la partie la plus élevée de la ville, l'Acropole. Visible de loin par les voyageurs qui ont débarqué ici au fil des millénaires, elle offrait une référence incontournable à la divinité, un appel à élargir les horizons vers le haut. Du mont Olympe à l'Acropole en passant par le mont Athos, la Grèce invite les hommes de tous les temps à orienter le voyage de la vie vers les sommets. Vers Dieu, parce que nous avons besoin de la transcendance pour être vraiment humains. Et alors qu'aujourd'hui, en Occident pourtant né ici, le besoin du Ciel tend à être occulté, piégés que nous sommes par la frénésie de mille courses terrestres et par l'avidité insatiable d'un consumérisme dépersonnalisant, ces lieux nous invitent à nous laisser émerveiller par l'infini, la beauté de l'être, la joie de la foi. Les chemins de l'Évangile sont passés par ici, unissant l'Orient à l'Occident, les Lieux Saints à l'Europe, Jérusalem à Rome. Ces Évangiles, pour porter au monde la bonne nouvelle de l'amour de Dieu pour l'homme, ont été écrits en grec, la langue immortelle utilisée par le Verbe - le Logos - pour s'exprimer, la langue de la sagesse humaine, devenue la voix de la Sagesse divine.

Mais dans cette ville, le regard tourné vers le haut est aussi attiré vers l'autre. La mer, qu'Athènes domine, nous le rappelle. Elleoriente la vocation de cette terre placée au cœur de la Méditerranée pour être un pont entre les peuples. De grands historiens ont ici raconté avec passion les histoires de peuples voisins ou éloignés. C'est là aussi, selon l’affirmation bien connue de Socrate, que l’on a commencé à se sentir citoyen, non seulement de sa propre patrie, mais du monde entier. Citoyen : l'homme a pris ici conscience d'être "un animal politique" (cf. Aristote, Politique, I, 2) et, en tant que membre d'une communauté, il a vu dans les autres non pas des sujets, mais des citoyens avec lesquels organiser ensemble la polis. Ici est née la démocratie. Le berceau, des millénaires plus tard, est devenu une maison, une grande maison de peuples démocratiques : je pense à l'Union européenne et au rêve de paix et de fraternité qu'elle représente pour tant de peuples.

On ne peut cependant que constater avec inquiétude un recul de la démocratie, et pas seulement sur le continent européen. La démocratie exige la participation et l'implication de chacun, elle demande donc des efforts et de la patience. Elle est complexe, alors que l'autoritarisme est expéditif et que les assurances faciles offertes par les populismes semblent tentantes. Dans de nombreuses sociétés, préoccupées par la sécurité et anesthésiées par le consumérisme, la fatigue et le mécontentement conduisent à une sorte de "scepticisme démocratique". Mais la participation de tous est une exigence fondamentale, non seulement pour atteindre des objectifs communs, mais parce qu'elle répond à ce que nous sommes : des êtres sociaux, uniques et en même temps interdépendants.

Il y a également un scepticisme à l'égard de la démocratie causé par l’éloignement des institutions, la peur de la perte d'identité et la bureaucratie. Le remède à cette situation ne réside pas dans une recherche obsessionnelle de popularité, dans une soif de visibilité, dans une proclamation de promesses intenables ou dans une adhésion à une colonisation idéologique abstraite, mais dans une bonne politique. Puisque la politique est une chose bonne, elle doit l’être dans la pratique, en tant que responsabilité suprême du citoyen, en tant qu'art du bien commun. Pour que le bien soit vraiment partagé, une attention particulière, je dirais même une priorité, doit être accordée aux membres les plus faibles de la société. Telle est la direction à prendre qu'un père fondateur de l'Europe a indiquée comme antidote aux polarisations qui animent la démocratie et risquent de l’exaspérer : «On parle beaucoup de qui va à gauche ou à droite, mais ce qui est décisif, c'est d'aller de l'avant, et aller de l'avant signifie aller vers la justice sociale» (A. de Gasperi, Discours prononcé à Milan, le 23 avril 1949). Un changement de rythme en ce sens est nécessaire alors que des peurs, amplifiées par les communications virtuelles, se propagent chaque jour davantage et que des théories sont élaborées pour s’affronter aux autres. Au contraire, aidons-nous à passer de l’esprit partisan à la participation ; d’un engagement à soutenir uniquement son propre parti à une implication active pour la promotion de tous.

De l’esprit partisan à la participation. C’est l’état d’esprit qui doit nous animer sur de nombreux fronts : je pense au climat, à la pandémie, au marché commun et surtout à la pauvreté généralisée. Ce sont des défis qui demandent une collaboration concrète et active. La communauté internationale en a besoin pour ouvrir des chemins de paix grâce à un multilatéralisme qui ne soit pas étouffé par des prétentions nationalistes excessives. La politique a besoin de cela pour faire passer les exigences communes avant les intérêts privés. Cela peut ressembler à une utopie, à un voyage sans espoir sur une mer agitée, à une odyssée longue et irréalisable. Et pourtant, la traversée d'une mer agitée, comme nous l'enseigne le grand récit homérique, est souvent la seule voie. Ce voyage mène au but s’il est animé par le désir d'un chez soi, par la recherche d'aller de l'avant ensemble, par le nóstos álgos, par la nostalgie. À cet égard, je voudrais redire mon appréciation du chemin pourtant difficile qui a conduit à “l'Accord de Prespa”, signé entre cette République et la République de Macédoine du Nord.

En regardant encore la Méditerranée, cette mer qui nous ouvre à l'autre, je pense à ses rivages fertiles et à l'arbre qui pourrait en être le symbole : l'olivier dont les fruits viennent à peine d'être récoltés et qui unit les différentes terres qui bordent cette mer unique. Il est triste de voir comment, ces dernières années, de nombreux oliviers centenaires ont brûlé, consumés par des incendies souvent provoqués en raison de conditions météorologiques défavorables, elles-mêmes causées par le changement climatique. Face au paysage meurtri de ce merveilleux pays, l'olivier peut symboliser la volonté de lutter contre la crise climatique et ses ravages. Après le Déluge, cataclysme primordial relaté par la Bible, une colombe revient vers Noé portant « dans son bec un rameau d’olivier tout frais » (Gn 8,11). C'était le symbole d’un nouveau départ, de la force de recommencer en changeant de mode de vie, en renouvelant les relations avec le Créateur, les créatures et la Création. En ce sens, j'espère que les engagements pris dans la lutte contre le changement climatique ne seront pas qu’une façade, mais qu’ils seront de plus en plus partagés et sérieusement mis en œuvre. Qu’aux paroles succèdent les faits, afin que les fils ne paient pas l’énième hypocrisie de leurs pères. C’est en ce sens que résonnent les paroles qu'Homère met sur les lèvres d'Achille : «Celui qui cache sa pensée dans son âme et ne dit point la vérité m'est plus odieux que le seuil d'Hadès» (Iliade, IX, 312-313).

L'olivier, dans les Écritures, représente également une invitation à la solidarité, en particulier avec ceux qui n'appartiennent pas à son propre peuple. «Lorsque tu auras récolté tes olives, tu ne retourneras pas chercher ce qui reste. Laisse-le pour l’immigré, l’orphelin et la veuve» (Dt 24, 20). Ce pays, disposé à l’accueil, a reçu sur certaines de ses îles un nombre de frères et de sœurs migrants plus élevé que celui des habitants eux-mêmes, augmentant ainsi leurs difficultés alors qu’ils ressentent encore les conséquences de la crise économique. L’Europe, pourtant, persiste à tergiverser : la Communauté Européenne, déchirée par les égoïsmes nationalistes, apparaît parfois bloquée et non coordonnée, au lieu d'être un moteur de solidarité. Si, à une certaine époque, les différences idéologiques ont empêché la construction de ponts entre l'Est et l'Ouest du continent, aujourd'hui, la question migratoire a ouvert des brèches entre le Sud et le Nord. Je voudrais exhorter une fois de plus à une vision globale et communautaire de la question migratoire, et inciter à prêter attention aux plus démunis afin que, selon les possibilités de chaque pays, ils soient accueillis, protégés, promus et intégrés dans le plein respect de leurs droits humains et de leur dignité. Plus qu'un obstacle pour le présent, il s’agit là d’une garantie pour l'avenir, un signe de coexistence pacifique avec ceux qui, de plus en plus nombreux, sont contraints de fuir en quête d’un foyer et d’espoir. Ce sont eux les protagonistes d'une terrible odyssée moderne. J'aime rappeler que lorsqu'Ulysse débarqua à Ithaque, il ne fut pas reconnu par les seigneurs locaux qui avaient usurpé sa maison et ses biens, mais par ceux qui avaient pris soin de lui. Sa nourrice comprit que c’était lui en voyant ses cicatrices. Les souffrances nous réunissent, et reconnaître que nous appartenons à la même humanité fragile nous aidera à construire un avenir plus intégré et plus pacifique. Transformons en une audacieuse opportunité ce qui semble être une épreuve malheureuse !

La pandémie est, en revanche, la grande épreuve. Elle nous a fait redécouvrir que nous sommes fragiles et que nous avons besoin des autres. Dans ce pays aussi, elle est un défi qui suppose une action appropriée de la part des autorités - je pense à la nécessité d'une campagne de vaccination - et de nombreux sacrifices de la part des citoyens. Au milieu de tant d'efforts, cependant, un remarquable sens de la solidarité a émergé, auquel l'Église catholique locale est heureuse de pouvoir continuer à contribuer, convaincue qu’il s’agit là d’un héritage à ne pas perdre, alors que la tempête se calme lentement. Certaines phrases du serment d'Hippocrate semblent avoir été écrites pour aujourd'hui, comme l'engagement à “réguler le niveau de vie pour le bien des malades”, à “s'abstenir de causer du tort et de l'offense” à autrui, à sauvegarder la vie à tout moment, notamment dans le sein maternel (cf. Serment d'Hippocrate, texte ancien). Le droit aux soins et aux traitements pour tous doit toujours être privilégié, afin que les plus faibles, notamment les personnes âgées, ne soient jamais rejetés: que les personnes âgées ne soient pas les personnes privilégiées de la culture du rejet. Les personnes âgées sont le signe de la sagesse d’un peuple. La vie est en effet un droit, et non la mort, qui doit être accueillie et non administrée.

Chers amis, certains oliviers méditerranéens sont si anciens, qu'ils auraient même précédé la venue du Christ. Centenaires et durables, ils ont résisté à l’épreuve du temps et nous rappellent l'importance de préserver des racines solides, irriguées de mémoire. Ce pays peut être défini comme la mémoire de l'Europe – vous êtes la mémoire de l’Europe -, et je suis ravi de le visiter vingt ans après la visite historique du pape Jean-Paul II, et à l'occasion du bicentenaire de son indépendance. La phrase du général Colocotronis est bien connue : «Dieu a apposé sa signature sur la liberté de la Grèce». Dieu appose volontiers sa signature sur la liberté humaine, toujours et partout. C'est son don le plus grand, celui qu'à son tour, il apprécie le plus de notre part. En effet, il nous a créés libres, et ce qui le réjouit le plus, c'est que nous l’aimions librement, lui et notre prochain. Tout ceci est rendu possible par les lois, mais aussi par l'éducation à la responsabilité et par le développement d'une culture du respect. A ce propos, je souhaite renouveler ma gratitude pour la reconnaissance publique de la Communauté catholique. Je vous assure de sa volonté de promouvoir le bien commun de la société grecque, en orientant dans ce sens l'universalité qui la caractérise, avec l'espoir que, dans la pratique, les conditions nécessaires pour qu'elle puisse bien remplir son service lui soient toujours garanties.

Il y a deux cents ans, le Gouvernement provisoire du pays s'adressait aux catholiques avec ces mots touchants : «Le Christ a commandé l'amour du prochain. Mais qui est plus proche de nous que vous, nos concitoyens, même s'il y a quelques différences dans les rites? Nous avons une seule Patrie, nous sommes d'un seul peuple ; nous, chrétiens, sommes frères – frères par les racines, frères dans la croissance et dans les fruits - par la Sainte Croix». Être frères sous le signe de la Croix, dans ce pays béni par la foi et par ses traditions chrétiennes, est un appel pour les croyants au Christ à cultiver la communion à tous les niveaux, au nom de ce Dieu qui étreint chacun de sa miséricorde. C’est pourquoi, chers frères et sœurs, que je vous remercie pour votre engagement et que je vous exhorte à faire avancer ce pays dans l'ouverture, l'inclusion et la justice. De cette ville, de ce berceau de la civilisation, un message a surgi et surgira toujours, un message qui oriente vers le Haut et vers l'autre ; qui répond aux séductions de l'autoritarisme par la démocratie ; qui oppose à l'indifférence individualiste l'attention à l'autre, au pauvre et à la Création, qui sont les pierres angulaires essentielles d'un humanisme renouvelé, dont notre époque et notre Europe ont besoin. O Theós na euloghi tin Elládha! (Que Dieu bénisse la Grèce !)

[01685-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

Madam President of the Republic,
Members of Government and of the Diplomatic Corps,
Distinguished Religious and Civil Authorities,
Illustrious Representatives of Society and the World of Culture,
Ladies and Gentlemen,

I offer you a most cordial greeting and I thank Madam President for her words of welcome in your name and that of all the citizens of Greece. It is an honour to be in this glorious city. I make my own the words of Saint Gregory of Nazianzus: “Golden Athens, patroness of all that is good… In seeking eloquence, I found happiness” (Or. 43, 14). I come as a pilgrim to this land rich in spirituality, culture and civilization, to find the same happiness that so thrilled the great Father of the Church: the joy of cultivating wisdom and sharing beauty. A happiness that is not private and solitary, but, born of wonder, yearns for the infinite and is open to community; a wisdom-filled happiness that from here spread everywhere. Without Athens and without Greece, Europe and the world would not be what they are. They would be less wise, less happy.

From this place, humanity’s horizons expanded. I too feel invited to lift my gaze and let it rest on the highest part of the city, the Acropolis. Visible from afar to the travellers who over the millennia have arrived here, it inevitably bespoke the presence of the divine, the call to expand our horizons to what is on high. From Mount Olympus to the Acropolis to Mount Athos, Greece invites men and women of every age to direct their journey of life towards the heights. Towards God, for we need transcendence in order to be truly human. Today, in the West that emerged from here, there is a forgetfulness of our need for heaven, trapped as we are between the frenzy of a thousand earthly concerns and the insatiable greed of a depersonalizing consumerism. Yet places such as these invite us to feel wonder before the infinite, the beauty of being, and the joy of faith. Here were the paths travelled by the Gospel, uniting East and West, the Holy Places in Europe, Jerusalem and Rome. In order to bring to the world and the good news of God, lover of mankind, the Gospels were written in Greek, the undying language in which the Word – the Logos – expressed himself, the language of human wisdom which became the voice of divine Wisdom.

In this city, our gaze is directed not only to what is on high, but also towards others. We are reminded of this by the sea, which Athens borders and which has shaped the vocation of this land, set in the heart of the Mediterranean, to be a bridge connecting different peoples. Here, great historians sought to recount the histories of peoples near and far. Here, according to the celebrated words of Socrates, people began to view themselves as citizens not only of a single city, or a single country, but of the entire world. Citizens. Here man first became conscious of being “a political animal” (cf. ARISTOTLE, Politics, I, 2) and, as members of the community, began to see others not subjects but as fellow citizens, with whom to work together in organizing the polis. Here democracy was born. That cradle, thousands of years later, was to become a house, a great house of democratic peoples. I am speaking of the European Union and the dream of peace and fraternity that it represents for so many peoples.

Yet we cannot avoid noting with concern how today, and not only in Europe, we are witnessing a retreat from democracy. Democracy requires participation and involvement on the part of all; consequently, it demands hard work and patience. It is complex, whereas authoritarianism is peremptory and populism’s easy answers appear attractive. In some societies, concerned for security and dulled by consumerism, weariness and malcontent can lead to a sort of skepticism about democracy. Yet universal participation is something essential; not simply to attain shared goals, but also because it corresponds to what we are: social beings, at once unique and interdependent.

At the same time, we are also witnessing a skepticism about democracy provoked by the distance of institutions, by fear of a loss of identity, by bureaucracy. The remedy is not to be found in an obsessive quest for popularity, in a thirst for visibility, in a flurry of unrealistic promises or in adherence to forms of ideological colonization, but in good politics. For politics is, and ought to be in practice, a good thing, as the supreme responsibility of citizens and as the art of the common good. So that the good can be truly shared, particular attention, I would even say priority, should be given to the weaker strata of society. This is the direction to take. One of Europe’s founding fathers indicated it as an antidote to the polarizations that enliven democracy, but also risk debilitating it. As he said: “There is much talk of who is moving left or right, but the decisive thing is to move forward, and to move forward means to move towards social justice” (A. DE GASPERI, Address in Milan, 23 April 1949). Here, a change of direction is needed, even as fears and theories, amplified by virtual communication, are daily spread to create division. Let us help one another, instead, to pass from partisanship to participation; from committing ourselves to supporting our party alone to engaging ourselves actively for the promotion of all.

From partisanship to participation. This what should motivate our actions on a variety of fronts. I think of the climate, the pandemic, the common market and, above all, the widespread forms of poverty. These are challenges that call for concrete and active cooperation. The international community needs this, in order to open up paths of peace through a multilateralism that will not end up being stifled by excessive nationalistic demands. Politics needs this, in order to put common needs ahead of private interests. It might seem a utopia, a hopeless journey over a turbulent sea, a long and unachievable odyssey. Yet, as the great Homeric epic tells us, travelling over stormy seas is often our only choice. And it will achieve its goal if it is driven by the desire to come to home port, by the effort to move forward together, by nóstos álgos, homesickness. Here I would like to renew my appreciation for the perseverance that led to the Prespa Agreement signed between this Republic and that of North Macedonia.

Looking once more to the Mediterranean, the sea that opens us to others, I think of its fertile shores and the tree that can serve as its symbol: the olive, whose yield has just been collected. The olive tree unites the different lands bordering this one sea. It is sad to see how, in recent years, many age-old olive trees have been burned, consumed by fires often caused by adverse weather conditions provoked in turn by climate changes. Against the scarred landscape of this marvellous country, the olive tree can symbolize the determination to tackle the climate crisis and its devastation. After the primordial cataclysm related by the Bible, the great Flood, a dove returned to Noah, carrying “in its beak a freshly plucked olive leaf” (Gen 8:11). That was the symbol of recovery, of the strength to begin anew by changing our way of life, renewing our proper relationship with the Creator, other creatures and all creation. It is my hope, in this regard, that the commitments assumed in the fight against climate changes may be more fully shared and seriously implemented, rather than remaining a mere façade. May words be followed by deeds, lest children once more have to pay for the hypocrisy of their fathers. We are reminded of the words Homer placed on the lips of Achilles: “Hateful in my eyes, even as the gates of Hades, is that man who hides one thing in his heart and says another” (Iliad, IX, 312-313).

In Scripture, the olive is also associated with the call to fellowship, especially with regard to those who do not belong to one’s own people. “When you beat your olive trees, do not strip what is left; it shall be for the alien”, the Bible tells us (Deut 24:20). This country, naturally welcoming, has seen on some of its islands the arrival of numbers of our migrant brothers and sisters greater than the number of their native inhabitants; this has heightened the difficulties still felt in the aftermath of the economic crisis. Yet Europe also continues to temporize: the European Community, prey to forms of nationalistic self-interest, rather than being an engine of solidarity, appears at times blocked and uncoordinated. In the past, ideological conflicts prevented the building of bridges between Eastern and Western Europe; today the issue of migration has led to breaches between South and North as well. I would like to encourage once again a global, communitarian vision with regard to the issue of migration, and to urge that attention be paid to those in greatest need, so that, in proportion to each country’s means, they will be welcomed, protected, promoted and integrated, in full respect for their human rights and dignity. Rather than a present obstacle, this represents a guarantee for a future marked by peaceful coexistence with all those who increasingly are forced to flee in search of a new home and new hope. They are the protagonists of a horrendous modern Odyssey. I like to recall that when Odysseus landed in Ithaca he was recognized, not by the local lords, who had usurped his house and goods, but by the person who cared for him, his old nurse. He recognized him by seeing his wounds. Sufferings bring us together; realizing that we are all part of the same frail humanity will help us to build a more integrated and peaceful future. Let us turn what seems only a tragic calamity into a bold opportunity!

The pandemic is itself the great calamity. It has made us rediscover our own weakness and our need for others. In this country too, it poses a challenge that calls for suitable interventions by the authorities – I think of the necessary vaccination campaign – and not a few sacrifices on the part of citizens. Amid great hardship, there has also been a remarkable growth in solidarity, to which the local Catholic Church is happy to continue to contribute, in the conviction that it represents a benefit not to be lost once the storm gradually subsides. Some words of the oath of Hippocrates seem written for our own time, such as the commitment to “follow that regimen I judge best for the benefit of the sick” and “to abstain from whatever is harmful and offensive” to others, to safeguarding life at every moment, particularly in the mother’s womb (cf. Hippocratic Oath, ancient text). The right of all to care and treatment must always be respected, so that those most vulnerable, particularly the elderly, may never be discarded: that the elderly may not be subject to a “throwaway culture”. The elderly are the sign of a people’s wisdom. For life is a right, not death. Death is to be accepted, not administered.

Dear friends, some Mediterranean olive trees are so ancient that they predate the coming of Christ. Age-old, enduring, resistant to the ravages of time, they remind us of the importance of preserving deep roots, fortified by memory. This country can rightly be called the memory of Europe – you are the memory of Europe – and I am happy to visit twenty years after the historic visit of Pope John Paul II, and in this year that marks the bicentenary of its independence. I think of the well-known words of General Kolokotronis: “God has set his signature on the freedom of Greece”. God readily sets his signature on human freedom, always and everywhere. It is his greatest gift to us, the gift that, in turn, he values most from us. For God created us to be free, and what most pleases him is that, in freedom, we love him and our neighbour. Laws exist to help make this possible, but also training in responsibility and the growth of a culture of respect. Here I would again express my gratitude for the public recognition of the Catholic community, and I assure you of its desire to promote the common good of Greek society, directing to that end its innate universality, in the hope that in practice the conditions needed to carry out its service effectively will always be guaranteed.

Two hundred years ago, the provisional government of this country addressed Catholics in these touching words: “Christ has commanded us to love our neighbour. Yet who among our neighbours is closer than you, our fellow citizens, despite certain ritual differences? We have the same fatherland, we are one people, we Christians are brethren – brethren in our roots, our growth and our fruits – under the Holy Cross”. To be Christians under the sign of the cross, in this country blessed by faith and by its Christian traditions, spurs all believers in Christ to cultivate communion at every level, in the name of the God who embraces all with his mercy. Brothers and sisters, I thank you for your commitment in this regard and I encourage you to guide this country in the ways of openness, inclusion and justice. From this city, from this cradle of civilization, may there ever continue to resound a message that lifts our gaze both on high and towards others; that democracy may be the response to the siren songs of authoritarianism; and that individualism and indifference may be overcome by concern for others, for the poor and for creation. For these are essential foundations for the renewed humanity which our time, and our Europe, has need. [In Greek:] May God bless Greece!

[01685-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Frau Staatspräsidentin,
Mitglieder der Regierung und des diplomatischen Corps,
verehrte religiöse und weltliche Würdenträger,
geschätzte Vertreter von Gesellschaft und Kultur,
meine Damen und Herren!

Herzlich grüße ich Sie und danke der Frau Präsidentin für die Willkommensworte, die sie in Ihrem Namen und im Namen aller griechischen Bürger an mich gerichtet hat. Es ist eine Ehre, in dieser ruhmreichen Stadt sein zu dürfen. Ich mache mir die Worte des heiligen Gregor von Nazianz zu eigen: »Athen, golden und Spenderin des Guten ... Während ich die Beredsamkeit suchte, fand ich das Glück« (Rede 43,14). Ich komme als Pilger an diese Orte, die reich an Spiritualität, Kultur und Zivilisation sind, um aus demselben Glück zu schöpfen, das den großen Kirchenvater begeisterte. Es war die Freude daran, die Weisheit zu pflegen und ihre Schönheit zu teilen. Ein Glück also, das nicht individuell und isoliert ist, sondern das, aus dem Staunen geboren, zum Unendlichen strebt und sich der Gemeinschaft öffnet; ein weises Glück, das sich von diesen Orten aus überall verbreitet hat: Ohne Athen und Griechenland wären Europa und die Welt nicht das, was sie sind. Sie wären weniger weise und weniger glücklich.

Von hier aus haben sich die Horizonte der Menschheit geweitet. Auch ich fühle mich eingeladen, den Blick zu erheben und ihn auf dem höchsten Punkt der Stadt, der Akropolis, ruhen zu lassen. Für die Reisenden, die im Laufe der Jahrtausende dort ankamen, war sie schon von weitem sichtbar und bot einen unausweichlichen Hinweis auf das Göttliche. Es ist der Aufruf, die Horizonte nach oben zu erweitern: Vom Olymp über die Akropolis bis hin zum Berg Athos lädt Griechenland die Menschen aller Zeiten dazu ein, die Reise des Lebens nach oben auszurichten, auf Gott hin, denn wir brauchen die Transzendenz, um wirklich menschlich zu sein. Und während man heute im Westen, der von hier aus entstanden ist, dazu neigt, das Bedürfnis nach dem Himmel zu verdrängen, weil man im Rausch tausender irdischer Wettläufe und der unersättlichen Gier eines entpersönlichenden Konsumismus gefangen ist, laden uns diese Orte ein, über das Unendliche zu staunen, über die Schönheit des Seins, über die Freude des Glaubens. Hier verliefen die Wege des Evangeliums, die den Osten und den Westen, die Heiligen Stätten und Europa, Jerusalem und Rom verbunden haben; jene Evangelien, die, um der Welt die frohe Botschaft vom menschenliebenden Gott zu bringen, in Griechisch geschrieben wurden, der unsterblichen Sprache, die das Wort - der Logos – verwendet hat, um sich auszudrücken, der Sprache der menschlichen Weisheit, die zur Stimme der göttlichen Weisheit geworden ist.

Aber in dieser Stadt geht der Blick nicht nur nach oben, sondern auch zum anderen. Daran erinnert uns das Meer, auf das Athen blickt und das die Berufung dieses Landes ausrichtet, das im Zentrum des Mittelmeers liegt, um eine Brücke zwischen den Völkern zu sein. Hier haben große Historiker sich dafür begeistert, die Geschichten von Völkern aus nah und fern zu erzählen. Hier hat man gemäß der bekannten Aussage von Sokrates begonnen, sich nicht nur als Bürger seiner Heimat, sondern der ganzen Welt zu fühlen. Bürger: Hier wurde dem Menschen bewusst, dass er ein „Zoon politikon“, ein „soziales Lebewesen“ ist (vgl. Aristoteles, Politik, I, 2), und dass er als Teil einer Gemeinschaft in den anderen nicht Untertanen, sondern Bürger zu erblicken hat, mit denen er die Polis gemeinsam gestalten konnte. Hier wurde die Demokratie geboren. Aus der Wiege wurde Jahrtausende später ein Haus, ein großes Haus demokratischer Völker: Ich beziehe mich auf die Europäische Union und auf den Traum von Frieden und Geschwisterlichkeit, den sie für viele Völker darstellt.

Man kann jedoch nur mit Sorge feststellen, dass nicht nur auf dem europäischen Kontinent ein Rückschritt an Demokratie zu verzeichnen ist. Die Demokratie erfordert die Beteiligung und Einbeziehung aller und verlangt daher Anstrengung und Geduld. Sie ist komplex, wohingegen der Autoritarismus vorschnell handelt und die einfachen Beschwichtigungen des Populismus verlockend erscheinen. In einigen Gesellschaften, die sich um die Sicherheit sorgen und vom Konsumverhalten betäubt sind, führen Müdigkeit und Unzufriedenheit zu einer Art „Demokratieskepsis“. Aber die Partizipation aller ist ein grundlegendes Erfordernis; nicht nur, um gemeinsame Ziele zu erreichen, sondern weil sie dem entspricht, was wir sind: soziale Wesen, unwiederholbar und zugleich voneinander abhängig.

Aber es gibt auch eine Skepsis gegenüber der Demokratie, die durch die Distanz der Institutionen, die Angst vor Identitätsverlust und die Bürokratie verursacht wird. Das Heilmittel dafür liegt nicht in der zwanghaften Suche nach Popularität, in der Sucht nach Aufmerksamkeit, in der Ankündigung unmöglicher Versprechen oder an der Zustimmung zu abstrakte ideologische Kolonisierung, sondern in guter Politik. Denn die Politik ist gut und so muss sie in der Praxis sein, insofern sie die höchste Verantwortung des Bürgers ist, insofern sie die Kunst des Gemeinwohls ist. Damit das Gute wirklich geteilt werden kann, muss den schwächsten Schichten besondere, ich würde sagen, vorrangige Aufmerksamkeit, zugewendet werden. Dies ist die Richtung, der zu folgen ist. Einer der Gründerväter Europas bezeichnete sie als Gegenmittel zu den Polarisierungen, die die Demokratie beleben, sie aber auch bis aufs Äußerste zu reizen drohen: »Man redet viel darüber, wer nach links oder rechts geht, aber das Entscheidende ist, vorwärts zu gehen, und vorwärtsgehen bedeutet, sich in Richtung sozialer Gerechtigkeit zu bewegen« (A. De Gasperi, Rede in Mailand, 23. April 1949). In diesem Sinne ist ein Wechsel der Gangart notwendig, während, verstärkt durch die virtuelle Kommunikation, jeden Tag Ängste verbreitet und Theorien entwickelt werden, um sich gegeneinander zu stellen. Helfen wir uns stattdessen, von der Parteinahme zur Partizipation überzugehen; dass wir uns nicht mehr nur für unsere eigene Seite, sondern uns aktiv für die Förderung aller einsetzen.

Von der Parteinahme zur Partizipation. Dies muss uns auf den verschiedenen Fronten antreiben: Ich denke dabei an das Klima, die Pandemie, den Gemeinsamen Markt und vor allem an die weit verbreitete Armut. Dies sind Herausforderungen, die eine konkrete und aktive Zusammenarbeit erfordern. Die internationale Gemeinschaft benötigt diese, um durch einen Multilateralismus Wege zum Frieden zu eröffnen, der nicht durch überzogene nationalistische Ansprüche erstickt wird. Die Politik benötigt sie, um die gemeinsamen Bedürfnisse über die privaten Interessen zu stellen. Es mag wie eine Utopie klingen, eine hoffnungslose Reise auf stürmischer See, eine lange und unerfüllbare Odyssee. Und doch ist die Reise über eine raue See, wie uns die große homerische Erzählung lehrt, oft der einzige Weg. Und sie erreicht ihr Ziel, wenn sie von der Sehnsucht nach Heimat beseelt ist, von dem Bestreben, gemeinsam weiterzugehen, vom nóstos álgos, von der Nostalgie. In diesem Zusammenhang möchte ich meine Anerkennung für den nicht einfachen Weg erneut zum Ausdruck bringen, der zum „Prespa-Abkommen“ geführt hat, das zwischen dieser Republik und der Republik Nordmazedonien unterzeichnet wurde.

Mit erneutem Blick auf das Mittelmeer, ein Meer, das uns für den anderen öffnet, denke ich an seine fruchtbaren Ufer und an den Baum, der sich zu seinem Symbol erheben könnte: der Olivenbaum, dessen Früchte gerade geerntet wurden und der verschiedene Länder verbindet, die an einem einzigen Meer gelegen sind. Es ist traurig zu sehen, wie in den letzten Jahren viele jahrhundertealte Olivenbäume durch Brände zerstört wurden, die oft durch ungünstige Wetterbedingungen verursacht wurden, die ihrerseits wiederum vom Klimawandel hervorgerufen worden sind. Angesichts der davon getroffenen Landschaft dieses wunderbaren Landes kann der Olivenbaum den Willen symbolisieren, gegen die Klimakrise und ihre Verwüstungen anzukämpfen. Nach der in der Bibel beschriebenen Naturkatastrophe der Urzeit, der Sintflut, kehrte eine Taube zu Noach zurück: »In ihrem Schnabel hatte sie einen frischen Ölzweig« (Gen 8,11). Das war das Symbol für den Neubeginn, für die Kraft, mit einem veränderten Lebensstil neu anzufangen und dabei die Beziehung zum Schöpfer, zu den Geschöpfen und zur Schöpfung zu erneuern. In diesem Sinne bringe ich den Wunsch zum Ausdruck, dass die zur Bekämpfung des Klimawandels übernommenen Verpflichtungen immer mehr Verbreitung finden und nicht nur Fassade seien, sondern ernsthaft umgesetzt werden. Den Worten mögen Taten folgen, damit die Nachkommen nicht für eine weitere Heuchelei ihrer Väter aufkommen müssen. In diesem Sinne klingen die Worte nach, die Homer Achilles in den Mund legt: »Denn mir verhasst ist jener, so sehr wie des Aïdes Pforten, wer ein andres im Herzen verbirgt, und ein anderes redet« (Ilias, IX, 312-313).

Der Olivenbaum steht in der Schrift auch für eine Einladung zur Solidarität, insbesondere mit denen, die nicht zum eigenen Volk gehören. »Wenn du einen Ölbaum abgeklopft hast, sollst du nicht auch noch die Zweige absuchen. Was noch hängt, soll den Fremden, […] gehören«, sagt die Bibel (Dtn 24,20). Dieses von der Aufnahmewilligkeit geprägte Land hat erlebt, wie an einigen seiner Inseln eine Anzahl von Brüder und Schwestern als Migranten gelandet sind, die selbst ihre eigene Einwohnerzahl überstieg. So wurden die Schwierigkeiten, mit denen sie aufgrund der Auswirkungen der Wirtschaftskrise immer noch zu ringen hatten, weiter verstärkt. Aber auch die Zögerlichkeit Europas hält an: Die von nationalistischen Egoismen zerrissene Europäische Gemeinschaft wirkt zuweilen blockiert und unkoordiniert, anstatt eine treibende Kraft der Solidarität zu sein. Während einst ideologische Gegensätze den Brückenschlag zwischen dem Osten und dem Westen des Kontinents verhinderten, hat die Flüchtlingsfrage heute auch Gräben zwischen dem Süden und dem Norden aufgerissen. Ich möchte erneut zu einer umfassenden, gemeinschaftlichen Sichtweise auf das Thema der Migration aufrufen und dazu ermutigen, denen, die am meisten Not leiden, die Aufmerksamkeit zuzuwenden, damit sie entsprechend den Möglichkeiten jedes Landes unter voller Achtung ihrer Menschenrechte und ihrer Würde aufgenommen, geschützt, gefördert und integriert werden können. Dies stellt nicht so sehr ein Problem für die Gegenwart dar, sondern vielmehr eine Garantie für die Zukunft, damit sie im Zeichen eines friedlichen Zusammenlebens mit denjenigen steht, die auf der Suche nach einer Heimat und Hoffnung immer mehr zur Flucht gezwungen sind. Jene Menschen sind die Protagonisten einer schrecklichen Odyssee der Moderne. Ich erinnere gerne daran, dass Odysseus, als er in Ithaka ankam, nicht von den dortigen Herren erkannt wurde, die sein Haus und seine Güter an sich gerissen hatten, sondern von denen, die sich um ihn gesorgt hatten. Seine Amme erkannte, dass er es war, als sie seine Narben sah. Das Leid vereint uns, und die Erkenntnis, dass wir zu derselben zerbrechlichen Menschheit gehören, wird dazu beitragen, eine integrierendere und friedlichere Zukunft aufzubauen. Verwandeln wir das, was wie eine unglückliche Widrigkeit aussieht, in eine wagemutige Chance!

Die Pandemie hingegen ist die große Widrigkeit. Sie hat uns wiederentdecken lassen, dass wir zerbrechlich und aufeinander angewiesen sind. Auch in diesem Land stellt sie eine Herausforderung dar, die angemessene Maßnahmen seitens der Behörden - ich denke an die Notwendigkeit der Impfkampagne - und nicht wenige Opfer seitens der Bürger bedingt. Inmitten all dieser Mühsale ist jedoch ein bemerkenswerter Sinn für Solidarität entstanden, zu dem die katholische Kirche vor Ort gerne weiterhin beitragen will, in der Überzeugung, dass dies das Vermächtnis ist, das nicht verloren gehen darf, während der Sturm langsam nachlässt. Einige der Worte des hippokratischen Eides scheinen für die heutige Zeit geschrieben worden zu sein, wie die Verpflichtung, die „Verordnungen zu Nutz und Frommen der Kranken zu treffen“, „andere vor Schaden und willkürlichem Unrecht zu bewahren“, das Leben zu jeder Zeit zu schützen, insbesondere im Mutterleib (vgl. hippokratischer Eid, alter Text). Das Recht auf Pflege und Behandlung für alle muss immer Vorrang haben, damit die Schwächsten, vor allem die älteren Menschen, niemals aussortiert werden: dass die älteren Menschen nicht die „privilegierten“ Personen für die Wegwerfkultur werden. Die Alten sind das Merkmal der Weisheit eines Volkes. Das Leben ist in der Tat ein Recht, nicht der Tod, der angenommen wird, aber nicht verabreicht werden darf.

Liebe Freunde, einige Olivenbäume im Mittelmeerraum zeugen von einem Leben, das so lang ist, dass es vor das Kommen Christi zurückreicht. Sie sind jahrhundertealt und von Dauer; als solche haben sie der Zeit widerstanden und erinnern uns daran, wie wichtig es ist, starke Wurzeln zu bewahren, die mit dem Gedächtnis verbunden sind. Dieses Land kann als das Gedächtnis Europas bezeichnet werden – ihr seid das Gedächtnis Europas –, und ich freue mich, es zwanzig Jahre nach dem historischen Besuch von Papst Johannes Paul II. und ihm Jahr des zweihundertsten Jahrestags seiner Unabhängigkeit zu besuchen. Der Satz von General Colocotronis dazu ist wohlbekannt: „Gott hat die Freiheit Griechenlands unterschrieben“. Gott versieht die menschliche Freiheit gerne mit seiner Unterschrift, immer und überall. Sie ist sein größtes Geschenk; das, was er seinerseits am meisten in uns wertschätzt. Denn er hat uns frei geschaffen, und es ist ihm am wohlgefälligsten, wenn wir ihn und unseren Nächsten frei lieben. Dies wird durch den Beitrag der Gesetze, aber auch durch die Erziehung zur Verantwortung und die Entwicklung einer Kultur des Respekts ermöglicht. In diesem Zusammenhang möchte ich meinen Dank für die öffentliche Anerkennung der katholischen Gemeinschaft erneuern und versichere ihre Bereitschaft, das Gemeinwohl der griechischen Gesellschaft zu fördern. Dabei richtet sie die sie kennzeichnende Universalität in diesem Sinne aus, in der Hoffnung, dass bei der praktischen Umsetzung ihr immer die Bedingungen gewährleistet werden, die nötig sind, um ihren Dienst gut zu erfüllen.

Vor zweihundert Jahren wandte sich die provisorische Regierung des Landes mit bewegenden Worten an die Katholiken: „Christus hat die Nächstenliebe geboten. Aber wer steht uns näher als ihr, unsere Mitbürger, auch wenn einige Unterschiede in den Riten bestehen? Wir haben ein einziges Vaterland, wir sind ein einziges Volk; wir Christen sind Geschwister – Geschwister in den Wurzeln, im Wachstum und in den Früchten – durch das Heilige Kreuz“. Geschwister im Zeichen des Kreuzes zu sein, in diesem durch den Glauben und seine christlichen Traditionen gesegneten Land, ermahnt alle an Christus Glaubenden, die Gemeinschaft auf allen Ebenen zu pflegen, im Namen des Gottes, der alle mit seiner Barmherzigkeit umarmt. In diesem Sinne, liebe Brüder und Schwestern, danke ich Ihnen für Ihr Engagement und ermutige Sie, dieses Land in Offenheit, Inklusion und Gerechtigkeit fortschreiten zu lassen. Von dieser Stadt, von dieser Wiege der Zivilisation, ist eine Botschaft ausgegangen, die immer weiter bestehen bleiben möge, eine Botschaft, die nach oben und auf den anderen ausrichten möge; die den Verlockungen des Autoritarismus mit der Demokratie antworten möge; die der individualistischen Gleichgültigkeit die Sorge um den anderen, um die Armen und um die Schöpfung entgegensetzt, welche wesentliche Eckpfeiler für einen erneuerten Humanismus sind, den unsere Zeit und unser Europa benötigen. O Theós na evloghí tin Elládha! [Gott segne Griechenland!]

[01685-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

Señora Presidenta de la República,
miembros del gobierno y del Cuerpo diplomático,
distinguidas Autoridades religiosas y civiles,
insignes Representantes de la sociedad y del mundo de la cultura,
señoras y señores:

Los saludo cordialmente y agradezco a la señora Presidenta las palabras de bienvenida que me ha dirigido en nombre de ustedes y de todos los ciudadanos griegos. Es un honor estar en esta gloriosa ciudad. Hago mías las palabras de san Gregorio Nacianceno: «Atenas áurea y dispensadora de bien… cuando buscaba la elocuencia, encontré la felicidad» (Oratio 43,14). Vengo como peregrino a estos lugares que sobreabundan de espiritualidad, cultura y civilización, para percibir la misma felicidad que entusiasmó al gran Padre de la Iglesia. Era la alegría de cultivar la sabiduría y de compartir su belleza. Una felicidad, por tanto, que no es individual ni está aislada, sino que, naciendo del asombro, tiende al infinito y se abre a la comunidad; una sabia felicidad, que desde estos lugares se ha difundido en todas partes. Sin Atenas y sin Grecia, Europa y el mundo no serían lo que son: serían menos sabios y menos felices.

Desde aquí, los horizontes de la humanidad se han dilatado. Yo también me siento invitado a elevar la mirada y a detenerla en la parte más alta de la ciudad: la Acrópolis. Visible desde lejos para los viajeros que han llegado hasta allí a través de los milenios, ofrecía una imprescindible referencia a la divinidad. Es la llamada a ampliar los horizontes hacia lo alto, desde el Monte Olimpo a la Acrópolis y al Monte Athos. Grecia invita al hombre de todos los tiempos a orientar el viaje de la vida hacia lo alto: hacia Dios, porque necesitamos de la trascendencia para ser verdaderamente humanos. Y mientras hoy en el Occidente, que ha nacido aquí, se tiende a ofuscar la necesidad del Cielo, atrapados por el frenesí de miles de carreras terrenas y por la avidez insaciable de un consumismo que despersonaliza, estos lugares nos invitan a dejarnos sorprender por el infinito, por la belleza del ser, por la alegría de la fe. Por aquí han pasado los caminos del Evangelio que han unido el Oriente y el Occidente, los Santos Lugares y Europa, Jerusalén y Roma; esos Evangelios que, para llevar al mundo la buena noticia de Dios amante del hombre, se escribieron en griego, lengua inmortal usada por la Palabra —el Logos— para expresarse, lenguaje de la sabiduría humana convertido en voz de la Sabiduría divina.

Pero en esta ciudad la mirada, además de dirigirse hacia lo alto, se impulsa también hacia el otro. Nos lo recuerda el mar, al que Atenas se asoma y que orienta la vocación de esta tierra, situada en el corazón del Mediterráneo para ser puente entre las personas. Aquí grandes historiadores se apasionaron narrando las historias de los pueblos cercanos y lejanos. Aquí, según la conocida afirmación de Sócrates, tuvo comienzo el sentirse ciudadanos no sólo de la propia patria, sino del mundo entero. Ciudadanos, aquí el hombre tomó conciencia de ser “un animal político” (cf. Aristóteles, Política,I, 2) y, como parte de una comunidad, vio en los otros no sólo sujetos, sino ciudadanos con los que organizar juntos la polis. Aquí nació la democracia. La cuna, milenios después, se convirtió en una casa, una gran casa de pueblos democráticos: me refiero a la Unión Europea y al sueño de paz y fraternidad que representa para tantos pueblos.

Sin embargo, no se puede dejar de constatar con preocupación cómo hoy, no sólo en el continente europeo, se registra un retroceso de la democracia. Ésta requiere la participación y la implicación de todos y por tanto exige esfuerzo y paciencia; la democracia es compleja, mientras el autoritarismo es expeditivo y las promesas fáciles propuestas por los populismos se muestran atrayentes. En diversas sociedades, preocupadas por la seguridad y anestesiadas por el consumismo, el cansancio y el malestar conducen a una suerte de “escepticismo democrático”. Sin embargo, la participación de todos es una exigencia fundamental, no sólo para alcanzar objetivos comunes, sino porque responde a lo que somos: seres sociales, irrepetibles y al mismo tiempo interdependientes.

Pero también existe un escepticismo, en relación a la democracia, provocado por la distancia de las instituciones, por el temor a la pérdida de identidad y por la burocracia. El remedio a esto no está en la búsqueda obsesiva de popularidad, en la sed de visibilidad, en la proclamación de promesas imposibles o en la adhesión a abstractas colonizaciones ideológicas, sino que está en la buena política. Porque la política es algo bueno y así debe ser en la práctica, en cuanto responsabilidad suprema del ciudadano, en cuanto arte del bien común. Para que el bien sea realmente participado, hay que dirigir una atención particular, diría prioritaria, a las franjas más débiles. Esta es la dirección a seguir, que un padre fundador de Europa indicó como antídoto para las polarizaciones que animan la democracia, pero que amenazan con exasperarla: «Se habla mucho de quien está a la izquierda o a la derecha, pero lo decisivo es ir hacia adelante, e ir hacia adelante significa encaminarse hacia la justicia social» (A. De Gasperi, Discurso en Milán, 23 abril 1949). En este sentido, es necesario un cambio de ritmo, mientras cada día se difunden miedos, amplificados por la comunicación virtual, y se elaboran teorías para oponerse a los demás. Ayudémonos, en cambio, a pasar del partidismo a la participación; del mero compromiso por sostener la propia facción a implicarse activamente por la promoción de todos.

Del partidismo a la participación. Es la motivación que nos debe impulsar en varios frentes: pienso en el clima, en la pandemia, en el mercado común y sobre todo en las pobrezas extendidas. Son desafíos que piden colaborar de manera concreta y activa, lo necesita la comunidad internacional, para abrir caminos de paz a través de un multilateralismo que no sea sofocado por excesivas pretensiones nacionalistas; lo necesita la política, para poner las exigencias comunes ante los intereses privados. Puede parecer una utopía, un viaje sin esperanza en un mar turbulento, una odisea larga e irrealizable. Y, sin embargo, como enseña el gran relato homérico, el viaje en un mar agitado es a menudo el único camino. Y alcanza la meta si está animado por el deseo de un hogar, por la búsqueda de seguir adelante juntos, por el nóstos álgos, por la nostalgia. A este respecto, quisiera renovar mi aprecio por el difícil recorrido que ha llevado al “Acuerdo de Prespa”, firmado entre esta República y la de Macedonia del Norte.

Mirando aún al Mediterráneo, mar que nos abre al otro, pienso en sus costas fértiles y en el árbol que podría erigirse como símbolo: el olivo, del que se acaban de recoger los frutos y que aúna tierras diversas que se asoman al único mar. Es triste ver cómo muchos olivos centenarios ardieron en los últimos años, consumidos por incendios causados con frecuencia por condiciones meteorológicas adversas, que a su vez fueron provocados por el cambio climático. Frente al paisaje herido de este maravilloso país, el árbol del olivo puede simbolizar la voluntad de contrastar la crisis climática y sus devastaciones. De hecho, después del diluvio, la catástrofe primordial narrada por la Biblia, una paloma regresó hasta Noé «llevando en el pico una hoja de olivo que había arrancado» (Gn 8,11). Era el símbolo de la recuperación, de la fuerza para volver a comenzar cambiando el estilo de vida, renovando las propias relaciones con el Creador, las creaturas y la creación. En este sentido, deseo que los compromisos asumidos en la lucha contra el cambio climático se compartan cada vez más y no sean de fachada, sino que se lleven adelante con seriedad; que a las palabras sigan los hechos, para que los hijos no paguen una vez más la hipocresía de los padres. Resuenan en este sentido las palabras que Homero puso en boca de Aquiles: «Me es tan odioso como las puertas del Hades quien piensa una cosa y manifiesta otra» (Ilíada, IX,312-313).

En la Escritura, el olivo también representa una invitación a ser solidarios, en particular con respecto a cuantos no pertenecen al propio pueblo. Dice la Biblia: «Si recoges el fruto de tus olivos, no regreses a buscar más. Será para el migrante» (Dt 24,20). Este país, caracterizado por la acogida, ha visto arribar en algunas de sus islas un número mayor de hermanos y hermanas migrantes que el de los mismos habitantes, aumentando de ese modo los problemas, que todavía se ven afectados por las dificultades que trajo consigo la crisis económica. Pero también las demoras europeas perduran. La Comunidad europea, desgarrada por egoísmos nacionalistas, más que ser un tren de solidaridad, algunas veces se muestra bloqueada y sin coordinación. Si en un tiempo los contrastes ideológicos impedían la construcción de puentes entre el este y el oeste del continente, hoy la cuestión migratoria también ha abierto brechas entre el sur y el norte. Quisiera exhortar nuevamente a una visión de conjunto, comunitaria, ante la cuestión migratoria, y animar a que se dirija la atención a los más necesitados para que, según las posibilidades de cada país, sean acogidos, protegidos, promovidos e integrados en el pleno respeto de sus derechos humanos y de su dignidad. Más que un obstáculo para el presente, eso representa una garantía para el futuro, de modo que sea signo de una convivencia pacífica para cuantos se ven forzados a huir en busca de un hogar y de esperanza, y que son cada vez más numerosos. Son los protagonistas de una terrible odisea moderna. Me agrada recordar que cuando Ulises desembarcó en Ítaca no fue reconocido por los señores del lugar, que le habían usurpado su casa y sus bienes, sino por quien se había hecho cargo de él. Su nodriza se dio cuenta de que era él cuando vio sus cicatrices. Los sufrimientos nos unen y reconocer la pertenencia a la misma humanidad frágil nos ayudará a construir un futuro más integrado y pacífico. ¡Transformemos en audaz oportunidad lo que sólo parece una desgraciada adversidad!

En cambio, la pandemia es la gran adversidad. Ha hecho que nos redescubramos frágiles, necesitados de los demás. También en este país es un desafío que requiere oportunas intervenciones por parte de las autoridades —me refiero a la necesidad de la campaña de vacunación— y no pocos sacrificios para los ciudadanos. Pero en medio de tanto esfuerzo se ha abierto camino un notable sentido de solidaridad, al que la Iglesia católica local es dichosa de poder seguir contribuyendo, con la convicción de que esto constituya una herencia que no debe perderse con el lento aplacarse de la tempestad. Algunas palabras del juramento de Hipócrates parecen escritas para nuestro tiempo, tales como el esfuerzo por “regular el tenor de vida por el bien de los enfermos”, por “abstenerse de todo daño y ofensa” a los demás, por salvaguardar la vida en todo momento, particularmente en el seno materno (cf. Juramento de Hipócrates, texto antiguo). Siempre ha de privilegiarse el derecho al cuidado y a los tratamientos para todos, para que los más débiles nunca sean descartados, en particular los ancianos; que los ancianos no sean las primeras personas excluidas por la cultura del descarte. Los ancianos son el singo de la sabiduría de un pueblo. En efecto, la vida es un derecho; no lo es la muerte, que se acoge, no se suministra.

Queridos amigos, algunos ejemplares de olivo mediterráneo atestiguan una vida tan larga que precede al nacimiento de Cristo. Milenarios y duraderos, han resistido el paso del tiempo y nos recuerdan la importancia de custodiar raíces fuertes, inervadas de memoria. Este país puede definirse como la memoria de Europa, —ustedes son la memoria de Europa— y estoy contento de visitarlo después de veinte años de la histórica visita del Papa Juan Pablo II y en el bicentenario de su independencia. A este respecto, es conocida la frase del general Colocotronis: “Dios ha puesto su firma sobre la libertad de Grecia”. Dios pone gustosamente su firma sobre la libertad humana, siempre y en todo lugar, es su don más grande y lo que, a su vez, más valora de nosotros. Él, en efecto, nos ha creado libres y lo que más le agrada es que amemos libremente a Él y al prójimo. Las leyes contribuyen a hacerlo posible, pero también la educación en la responsabilidad y el crecimiento de una cultura del respeto. A este respecto, quiero renovar mi agradecimiento por el reconocimiento público de la comunidad católica y aseguro su voluntad de promover el bien común de la sociedad griega, orientando en ese sentido la universalidad que la caracteriza, con el deseo de que en términos prácticos siempre se garanticen las condiciones necesarias para desempeñar bien su servicio.

Hace doscientos años, el Gobierno provisorio del país se dirigió a los católicos con palabras conmovedoras: “Cristo ha establecido el mandamiento del amor al prójimo. ¿Pero quién es más prójimo a ustedes, nuestros conciudadanos, aunque haya algunas diferencias en los ritos? Nosotros tenemos una única patria, pertenecemos a un único pueblo; nosotros cristianos somos hermanos, hermanos en las raíces, en el crecimiento y en los frutos por la Santa Cruz”. Ser hermanos bajo el signo de la cruz, en este país bendecido por la fe y por sus tradiciones cristianas, exhorta a todos los creyentes en Cristo a cultivar la comunión en todos los ámbitos, en el nombre de ese Dios que abraza a todos con su misericordia. En este sentido, queridos hermanos y hermanas, les agradezco su compromiso y los exhorto a hacer progresar a este país en la apertura, la inclusión y la justicia. Desde esta ciudad, desde esta cuna de la civilización se elevó —y que siga elevándose siempre— un mensaje orientado hacia lo alto y hacia el otro; que a las seducciones del autoritarismo responda con la democracia; que a la indiferencia individualista oponga el cuidado del otro, del pobre y de la creación, pilares esenciales para un humanismo renovado, que es lo que necesitan nuestros tiempos y nuestra Europa. O Theós na evloghí tin Elládha! [¡Que Dios bendiga a Grecia!]

[01685-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

Senhora Presidente da República,
Membros do Governo e do Corpo Diplomático,
Distintas Autoridades religiosas e civis,
Ilustres Representantes da sociedade e do mundo da cultura,
Senhoras e Senhores!

Saúdo-vos cordialmente e agradeço à Senhora Presidente as palavras de boas-vindas que me dirigiu em nome vosso e de todos os cidadãos gregos. É uma honra estar nesta cidade gloriosa. Faço minhas as palavras de São Gregório Nazianzeno: «Atenas áurea e dispensadora de bem (...), enquanto procurava a eloquência, encontrei a felicidade» (Oratio 43, 14). Venho como peregrino a estes lugares que superabundam de espiritualidade, cultura e civilização, para beber na mesma felicidade que entusiasmou o grande Padre da Igreja: era a alegria de cultivar a sabedoria e partilhar a sua beleza; e por conseguinte uma felicidade não individualista nem isolada, mas, porque nascida do espanto, tende para o infinito e abre-se à comunidade; uma felicidade sapiente, que a partir destes lugares se espalhou por toda a parte: sem Atenas e sem a Grécia, a Europa e o mundo não seriam o que são; seriam menos sapientes e menos felizes.

A partir daqui dilataram-se os horizontes da humanidade. Também eu me sinto convidado a erguer o olhar e pousá-lo na parte mais alta da cidade, na Acrópole. Visível de longe aos viajantes que aqui desembarcaram no decurso dos milénios, oferecia uma alusão imprescindível à divindade. É o apelo a alargar os horizontes rumo ao Alto: do Monte Olimpo à Acrópole e ao Monte Athos, a Grécia convida o ser humano de cada tempo a orientar a viagem da vida para o Alto, para Deus, porque temos necessidade da transcendência para ser verdadeiramente humanos. E enquanto hoje no Ocidente, que daqui surgiu, se tende a ofuscar a necessidade do Céu, enredados pelo frenesim de mil correrias terrenas e pela ganância insaciável dum consumismo despersonalizante, estes lugares convidam a deixarmo-nos maravilhar pelo infinito, a beleza do ser, a alegria da fé. Por aqui passaram as vias do Evangelho, que uniram Oriente e Ocidente, Lugares Santos e Europa, Jerusalém e Roma; aqueles Evangelhos que, para levar ao mundo a boa nova de Deus amante do homem, foram escritos em grego, língua imortal usada pela Palavra – pelo Logos – para se expressar, linguagem da sapiência humana feita voz da Sapiência divina.

Mas nesta cidade o olhar, além de ser impelido para o Alto, é-o também para o outro. No-lo recorda o mar, sobre o qual se debruça Atenas e que orienta a vocação desta terra, situada no coração do Mediterrâneo para ser ponte entre os povos. Aqui, grandes historiadores se apaixonaram na narração das histórias dos povos vizinhos e distantes. Aqui, segundo a conhecida afirmação de Sócrates, começaram a sentir-se cidadãos não só da própria pátria, mas do mundo inteiro. Cidadãos: aqui o homem tomou consciência de ser «um animal político» (Aristóteles, Política, I, 2) e, como parte duma comunidade, nos outros viu, não súditos, mas cidadãos com os quais deviam organizar juntos a polis. Aqui nasceu a democracia. Milénios depois, o berço tornou-se uma casa, uma grande casa de povos democráticos: refiro-me à União Europeia e ao sonho de paz e fraternidade que constitui para muitos povos.

Contudo não se pode deixar de constatar, com preocupação, que hoje – e não só no continente europeu – se verifica um retrocesso da democracia. Esta exige a participação e o envolvimento de todos e, consequentemente, requer fadiga e paciência. É complexa, ao passo que o autoritarismo é despachado, e as garantias fáceis propostas pelos populismos aparecem tentadoras. Em várias sociedades, preocupadas com a segurança e anestesiadas pelo consumismo, o cansaço e o descontentamento levam a uma espécie de «ceticismo democrático». Mas a participação de todos é uma exigência fundamental; e não só para alcançar objetivos comuns, mas porque responde àquilo que somos: seres sociais, irrepetíveis e ao mesmo tempo interdependentes.

Entretanto há também um ceticismo em relação à democracia provocado pela distância das instituições, pelo medo da perda de identidade, pela burocracia. O remédio para isto não está na busca obsessiva de popularidade, na sede de visibilidade, na proclamação de promessas impossíveis nem na adesão a colonizações ideológicas abstratas, mas na boa política. Porque a política é uma coisa boa e deve sê-lo na prática, como responsabilidade máxima do cidadão, como arte do bem comum. Para que o bem seja verdadeiramente compartilhado, uma atenção particular – diria prioritária – deve ser prestada às faixas mais frágeis. Esta é a direção a seguir, que um pai fundador da Europa indicou como antídoto às polarizações que animam a democracia mas arriscam-se a exasperá-la: «Fala-se muito de quem vai à esquerda ou à direita, mas o ponto decisivo é avançar e ir para a frente, quer dizer, caminhar rumo à justiça social» (A. de Gasperi, Discurso proferido em Milão, 23/IV/1949). Neste sentido, há necessidade de mudar o passo, vendo como dia a dia se difundem medos, amplificados pela comunicação virtual, e se elaboram teorias para se contrapor aos outros. Em vez disso, ajudemo-nos a passar do tomar partido ao participar; do empenho em apoiar apenas a própria parte ao envolvimento ativo em prol da promoção de todos.

Do tomar partido a participar: tal é a motivação que nos deve mover em várias frentes. Penso no clima, na pandemia, no mercado comum e, sobretudo, nas pobrezas generalizadas. São desafios que exigem uma colaboração concreta e ativa. Precisa dela a comunidade internacional, para abrir sendas de paz através dum multilateralismo que não seja sufocado por excessivas reivindicações nacionalistas. Precisa dela a política, para antepor as exigências comuns aos interesses privados. Pode parecer uma utopia, uma viagem sem esperança num mar turbulento, uma odisseia longa e irrealizável. E contudo a viagem num mar agitado – como ensina o grande conto homérico – muitas vezes é a única via. E alcança a meta se estiver animada pelo desejo de casa, pela diligência de avançar juntos, pelo nóstos álgos, pela nostalgia. A propósito, gostaria de reiterar o meu apreço pelo não fácil percurso que levou ao «Acordo de Prespa», assinado entre esta República e a da Macedónia do Norte.

Ainda olhando para o Mediterrâneo, o mar que nos abre ao outro, penso nas suas férteis margens e na árvore que poderia vir a ser o seu símbolo: a oliveira, cujos frutos acabam de ser colhidos e que irmana as diferentes terras que se debruçam sobre o único mar. É triste ver como, nos últimos anos, muitas oliveiras centenárias acabaram queimadas, consumidas por incêndios muitas vezes causados por condições meteorológicas adversas, provocadas por sua vez pelas alterações climáticas. À vista da paisagem ferida deste país maravilhoso, a oliveira pode simbolizar a vontade de contrastar a crise climática e as suas devastações. De facto, depois do cataclismo primordial narrado pela Bíblia, o dilúvio, uma pomba voltou para Noé «trazendo no bico uma folha verde de oliveira» (Gn 8, 11). Era o símbolo do recomeço, da força de recomeçar mudando estilo de vida, renovando as próprias relações com o Criador, as criaturas e a criação. Neste sentido, espero que os compromissos assumidos na luta contra as alterações climáticas apareçam cada vez mais compartilhados e não sejam de fachada, mas seriamente implementados. Que às palavras sigam os factos, para que os filhos não paguem mais uma hipocrisia dos pais. Neste sentido, ressoam as palavras que Homero põe nos lábios de Aquiles: «Sinto odioso, como as portas do Hades, aquele que diz uma coisa e, no coração, esconde outra» (Ilíada, IX, 312-313).

Na Escritura, a oliveira constitui também um convite a ser solidário, especialmente para com aqueles que não pertencem ao próprio povo. «Quando varejares as tuas oliveiras, não voltes a colher o resto que ficou nos ramos; deixa-o para o estrangeiro» – diz a Bíblia (Dt 24, 20). Este país, caraterizado pela hospitalidade, viu em algumas das suas ilhas desembarcar um número de irmãos e irmãs migrantes superior ao dos próprios habitantes, aumentando assim as contrariedades que ainda padecem das fadigas da crise económica. Mas também persiste a demora europeia: a comunidade europeia, dilacerada por egoísmos nacionalistas, em vez de ser motor de solidariedade, às vezes aparece bloqueada e descoordenada. Se antes os contrastes ideológicos impediam a construção de pontes entre o leste e o oeste do continente, hoje a questão migratória abriu brechas também entre o sul e o norte. Desejo apelar mais uma vez a uma visão de conjunto, comunitária, face à questão migratória, e encorajar a ter atenção aos mais necessitados para que, segundo as possibilidades de cada um dos países, sejam acolhidos, protegidos, promovidos e integrados no pleno respeito dos seus direitos humanos e da sua dignidade. Mais do que um obstáculo para o presente, isso representa uma garantia para o futuro a fim de que decorra sob o signo duma convivência pacífica com aqueles que cada vez mais são obrigados a fugir à procura de casa e esperança. Eles são os protagonistas duma terrível odisseia moderna. Gosto de lembrar que, quando Ulisses desembarcou em Ítaca, não foi reconhecido pelos senhores do lugar, que lhe tinham usurpado casa e bens, mas por quem cuidara dele. A sua ama compreendeu que era ele ao ver as cicatrizes. Os sofrimentos irmanam-nos, e reconhecer a pertença à mesma frágil humanidade ajudará a construir um futuro mais integrado e pacífico. Transformemos em ousada oportunidade o que parece ser apenas uma infeliz adversidade.

Ao contrário, a pandemia é a grande adversidade. Fez-nos redescobrir frágeis, necessitados dos outros. Também neste país é um desafio que envolve oportunas intervenções por parte das Autoridades – penso na necessidade da campanha de vacinação – e não poucos sacrifícios aos cidadãos. Mas, no meio de tanto esforço, surgiu um notável sentido de solidariedade, para o qual a Igreja Católica local se sente feliz em poder continuar a contribuir, na convicção de que isto constitua a herança a não perder com o lento aplacar-se da tempestade. Parecem escritas para os dias de hoje algumas palavras do juramento de Hipócrates, como o compromisso de «regular o padrão de vida para o bem dos enfermos», de «abster-se de causar danos e ofensas» aos outros, de salvaguardar a vida em todos os momentos, particularmente no ventre materno (cf. Juramento de Hipócrates, texto antigo). Deve ser sempre privilegiado o direito a ser cuidado e os tratamentos para todos, a fim de que os mais frágeis, em particular os idosos, nunca sejam descartados: que os idosos não sejam as vítimas privilegiadas da cultura do descarte. Os idosos são o sinal da sabedoria dum povo. De facto, a vida é um direito; ao contrário da morte, que se deve acolher, não subministrar.

Queridos amigos, alguns exemplares de oliveira mediterrânica testemunham uma vida tão longa que antecede o aparecimento de Cristo. Seculares e duradouras, resistiram ao passar do tempo e lembram-nos a importância de conservar raízes fortes, impregnadas de memória. Este país pode ser definido a memória da Europa – vós sois a memória da Europa – e sinto-me feliz por o visitar vinte anos depois da histórica visita do Papa João Paulo II e no bicentenário da sua independência. A este respeito, é conhecida a frase do general Colocotronis: «Deus pôs a sua assinatura sobre a liberdade da Grécia». Deus coloca de boa vontade, sempre e por toda a parte, a sua assinatura sobre a liberdade humana. É o seu maior presente, e aquele que por sua vez mais aprecia de nós. Na verdade, Ele criou-nos livres, e aquilo de que mais gosta é que livremente amemos a Ele e ao próximo. Para o tornar possível contribuem as leis, mas também a educação para a responsabilidade e o crescimento duma cultura do respeito. A propósito, desejo renovar a minha gratidão pelo reconhecimento público da comunidade católica e asseguro a sua vontade de promover o bem comum da sociedade grega, orientando neste sentido a universalidade que a carateriza, na esperança de que na prática lhe sejam sempre garantidas aquelas condições necessárias para bem cumprir o seu serviço.

Há duzentos anos, o Governo provisório do país dirigiu-se aos católicos com palavras comoventes: «Cristo ordenou o amor ao próximo. E quem nos é mais próximo do que vós, nossos concidadãos, apesar de haver algumas diferenças nos ritos? Possuímos a mesma e única pátria, pertencemos a um só povo; nós, cristãos, somos irmãos – irmãos nas raízes, no crescimento e nos frutos – pela Santa Cruz». O facto de ser irmãos no sinal da Cruz, neste país abençoado pela fé e pelas suas tradições cristãs, incita todos os crentes em Cristo a cultivarem a comunhão em todos os níveis, no nome daquele Deus que abraça a todos com a sua misericórdia. Neste sentido, amados irmãos e irmãs, agradeço o vosso empenho, animando-vos a fazer progredir este país na abertura, na inclusão e na justiça. Desta cidade, deste berço da civilização, elevou-se e oxalá nunca cesse de se elevar uma mensagem que encaminha para o Alto e para o outro; que às seduções do autoritarismo responda com a democracia; que à indiferença individualista oponha a solicitude pelo outro, pelo pobre e pela criação, colunas essenciais para um humanismo renovado, de que precisam os nossos tempos e a nossa Europa. O Theós na evloghí tin Elládha [Deus abençoe a Grécia]!

[01685-PO.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Pani Prezydent Republiki,
Członkowie rządu i korpusu dyplomatycznego,
Dostojni przedstawiciele władz religijnych i cywilnych,
Szanowni przedstawiciele społeczeństwa i świata kultury,
Panie i Panowie!

Serdecznie państwa pozdrawiam i dziękuję Pani Prezydent za słowa powitania, które skierowała do mnie w waszym imieniu, i w imieniu wszystkich obywateli Grecji. Przebywanie w tym wspaniałym mieście jest dla mnie zaszczytem. Podpisuję się pod słowami św. Grzegorza z Nazjanzu: „Ateny, które wydają mi się naprawdę złote, i które obdarzyły mnie dobrem... szukając wymowy, znalazłem szczęście” (Mowa 43, 14). Przybywam jako pielgrzym do tych miejsc przesiąkniętych duchowością, kulturą i cywilizacją, aby zaczerpnąć z tego samego poczucia szczęścia, które zachwycało wielkiego Ojca Kościoła. Radością było pielęgnowanie mądrości i dzielenie się jej pięknem. Zatem jest to szczęście nie indywidualne i wyizolowane, lecz szczęście które, rodząc się z zachwytu, zmierza ku nieskończoności i otwiera się na wspólnotę. Szczęście mądre, które z tych miejsc rozprzestrzeniło się na wszystkie strony: bowiem bez Aten i Grecji Europa i świat nie byłyby tym, czym są. Byłyby mniej mądre i mniej szczęśliwe.

Stąd poszerzały się perspektywy ludzkości. Także i ja czuję się zaproszony do wzniesienia wzroku i spojrzenia na najwyższą część miasta, Akropol. Widoczny z daleka dla podróżników, którzy przybywali tu przez tysiąclecia, stanowił nieodłączne odniesienie do boskości. Do dziś wzywa on do poszerzenia perspektyw w stronę tego, co wysokie: od Olimpu, przez Akropol, aż po górę Athos, Grecja zachęca ludzi wszystkich epok, aby kierowali swoją podróż życiową ku temu, co wysokie. Ku Bogu, ponieważ potrzebujemy transcendencji, aby w pełni przeżywać człowieczeństwo. I podczas gdy dzisiaj, na Zachodzie, który stąd się zrodził, istnieje skłonność do przysłaniania potrzeby Nieba, do wpadania w pułapkę szaleńczej pogoni za tysiącem spraw doczesnych i nienasyconej chciwości dehumanizującego konsumpcjonizmu, to te miejsca zapraszają nas do zadziwiania się nieskończonością, pięknem istnienia, radością wiary. Tędy przechodziły drogi Ewangelii, łączące Wschód i Zachód, Miejsca Święte i Europę, Jerozolimę i Rzym. Te Ewangelie, które, aby nieść światu dobrą nowinę o Bogu miłującym człowieka, zostały spisane w języku greckim, nieśmiertelnym języku, którym Słowo - Logos - posługiwało się, aby wyrazić siebie, w języku ludzkiej mądrości, która stała się głosem Bożej Mądrości.

Ale w tym mieście, oprócz patrzenia w górę, nasze spojrzenie kieruje się również ku innym. Przypomina nam o tym morze, nad którym górują Ateny, i które wyznacza powołanie tej ziemi, położonej w sercu Morza Śródziemnego, do bycia mostem łączącym narody. Tutaj wielcy historycy z pasją opowiadali historie ludów bliskich i dalekich. Tutaj, zgodnie ze znaną wypowiedzią Sokratesa, ludzie zaczęli czuć się obywatelami nie tylko miasta i kraju, lecz także całego świata. Obywatelami: bowiem tu człowiek uświadamia sobie, że jest „zwierzęciem politycznym” (por. Arystoteles, Polityka, I, 2) i, będąc częścią wspólnoty, widzi w innych nie poddanych, lecz obywateli, z którymi winien wspólnie organizować polis. To tutaj narodziła się demokracja. Kolebka ta, tysiące lat później, stała się domem, wielkim domem narodów demokratycznych: mam tu na myśli Unię Europejską i marzenie o pokoju i braterstwie, które reprezentuje ona dla bardzo wielu narodów.

Nie można jednak nie zauważyć z niepokojem, że demokracja obecnie podupada, nie tylko na kontynencie europejskim. Demokracja wymaga udziału i zaangażowania wszystkich, a zatem wymaga wysiłku i cierpliwości. Jest złożona, podczas gdy autorytaryzm jest zdecydowany, a łatwe pocieszenie oferowane przez populizm wydaje się kuszące. W wielu społeczeństwach, pochłoniętych troską o bezpieczeństwo i znieczulonych konsumpcjonizmem, znużenie i niezadowolenie prowadzą do swego rodzaju „demokratycznego sceptycyzmu”. Lecz udział wszystkich jest wymogiem podstawowym; nie tylko po to, by osiągnąć wspólne cele, ale dlatego, że odpowiada temu, czym jesteśmy: istotami społecznymi, niepowtarzalnymi, a jednocześnie współzależnymi.

Istnieje też jednak sceptycyzm wobec demokracji, spowodowany oddaleniem instytucji, obawą przed utratą tożsamości i biurokracją. Receptą na to nie jest obsesyjne poszukiwanie popularności, pragnienie bycia widzianym, głoszenie niemożliwych do spełnienia obietnic, lub trzymanie się abstrakcyjnej kolonizacji ideologicznej, lecz dobra polityka. Polityka jest bowiem czymś dobrym i powinna byś taką w praktyce, ponieważ jest najwyższym obowiązkiem obywatela, będąc wirtuozerią dobra wspólnego. Aby dobro mogło być naprawdę udziałem wielu, szczególną uwagę, powiedziałbym, priorytetową, należy skierować ku najsłabszym członkom społeczeństwa. Jest to kierunek, w którym należy podążać, i który jeden z ojców założycieli Europy wskazał jako antidotum na polaryzacje, które ożywiają demokrację, ale mogą ją doprowadzić do granic wytrzymałości: „Wiele się mówi o tym, kto idzie w lewo, a kto w prawo, ale decydujące jest, aby iść naprzód, a iść naprzód oznacza podążać ku sprawiedliwości społecznej” (A. De Gasperi, Discorso tenuto a Milano, 23 aprile 1949). Konieczne jest skierowanie kroków w tę właśnie stronę, podczas gdy lęki, wzmocnione przez komunikację wirtualną, są rozpowszechniane każdego dnia i tworzone są teorie, aby się przeciwstawiać innym. My zaś pomagajmy sobie w przechodzeniu od opowiadania się po jednej ze stron, do uczestnictwa; od zaangażowania się jedynie we wspieranie swojej partii, do aktywnego zaangażowania się na rzecz promocji wszystkich.

Od opowiadania się po którejś ze stron do uczestnictwa. Jest to motywacja, która powinna nas pobudzać na różnych frontach. Myślę o klimacie, pandemii, o wspólnym rynku, a przede wszystkim o rozprzestrzeniającym się ubóstwie. Są to wyzwania, które wymagają konkretnej i aktywnej współpracy. Potrzebuje jej wspólnota międzynarodowa, aby otworzyć drogi do pokoju poprzez politykę wielostronną, która nie jest tłumiony przez nadmierne roszczenia nacjonalistyczne. Potrzebuje tego polityka, by przedkładać wymagania wspólne, nad korzyści prywatne. Może to brzmieć jak utopia, beznadziejny rejs po wzburzonym morzu, długa i niemożliwa do zrealizowania odyseja. A przecież podróż przez wzburzone morze, jak uczy nas wielka opowieść Homera, jest często jedyną drogą. I osiągnie swój cel, jeśli będzie ożywiona pragnieniem domu, dążeniem do wspólnego podążania naprzód, nóstos álgos, tęsknotą. W związku z tym chciałbym ponownie wyrazić swoje uznanie dla trudnej drogi, która doprowadziła do zawarcia „porozumienia z Prespy”, podpisanego między Republiką Grecką a Republiką Macedonii Północnej.

Spoglądając ponownie na Morze Śródziemne, morze, które otwiera nas na innych, myślę o jego żyznych wybrzeżach i o drzewie, które mogłoby stać się ich symbolem: drzewie oliwnym, którego owoce właśnie zostały zebrane, i które łączy różne krainy leżące nad tym samym morzem. Ze smutkiem obserwujemy, jak w ostatnich latach spłonęło wiele stuletnich drzew oliwnych, strawionych przez pożary, często spowodowane niekorzystnymi warunkami pogodowymi, które z kolei są skutkiem zmian klimatycznych. W obliczu zranionego krajobrazu tego pięknego kraju, drzewo oliwne może symbolizować wolę walki z kryzysem klimatycznym i jego spustoszeniami. Po opisanym w Biblii pierwotnym kataklizmie, potopie, do Noego powróciła gołębica niosąc „w dziobie świeży listek z drzewa oliwnego” (Rdz 8, 11). Był to symbol nowego początku, siły, by zacząć od nowa, zmieniając styl życia, odnawiając relacje ze Stwórcą, stworzeniami i światem stworzonym. Oby w związku z tym, zobowiązania podjęte w walce ze zmianami klimatycznymi były w coraz większym stopniu podzielane i nie stanowiły jedynie dekoracji, lecz były poważnie wdrażane. Niech za słowami idą czyny, aby dzieci nie płaciły za kolejną hipokryzję swoich ojców. W tym znaczeniu wybrzmiewają słowa, które Homer wkłada w usta Achillesa: „W równej mam nienawiści z Hadem obłudnika, w którym chytrze odbiega serce od języka” (Iliada, IX, 312-313).

Drzewo oliwne w Piśmie Świętym stanowi również zachętę do solidarności, zwłaszcza z tymi, którzy nie należą do naszego narodu. „Jeśli będziesz zbierał oliwki, nie będziesz drugi raz trząsł gałęzi; niech zostanie coś dla obcego”, mówi Biblia (Pwt 24, 20). W tym gościnnym kraju niektóre z wysp przyjęły więcej braci i sióstr migrantów, niż same mają mieszkańców, co zwiększyło trudności, które są wciąż odczuwalne z powodu skutków kryzysu gospodarczego. Ale również trwa europejskie ociąganie się: Wspólnota Europejska, rozdarta egoizmami nacjonalistycznymi, zamiast być siłą napędową solidarności, wydaje się czasem zablokowana i nieskoordynowana. Podczas gdy kiedyś różnice ideologiczne uniemożliwiały budowanie mostów między wschodem a zachodem kontynentu, dziś kwestia migracji otworzyła również przepaść między południem a północą. Chciałabym jeszcze raz zaapelować o globalną, wspólnotową wizję kwestii migracji i zachęcić do zwrócenia uwagi na tych najbardziej potrzebujących, aby zgodnie z możliwościami każdego kraju można było ich przyjmować, chronić, promować i integrować z pełnym poszanowaniem ich praw człowieka oraz ich godności. Stanowi to nie tyle przeszkodę w chwili obecnej, ile gwarancję na przyszłość, aby mogła ona stać pod znakiem pokojowego współistnienia z tymi, którzy coraz częściej zmuszeni są do ucieczki w poszukiwaniu domu i nadziei. Są bohaterami straszliwej współczesnej odysei. Chciałbym przypomnieć, że kiedy Odyseusz przybił do Itaki, nie został rozpoznany przez miejscowych panów, którzy uzurpowali sobie prawo do jego domu i dóbr, ale przez tych, którzy się nim zaopiekowali. Jego opiekunka, widząc jego blizny, zorientowała się, że to on. Cierpienie zbliża nas do siebie, a uznanie, że należymy do tego samego kruchego rodzaju ludzkiego, pomoże zbudować bardziej zintegrowaną i pokojową przyszłość. Zmieńmy to, co wydaje się być niefortunną przeciwnością w śmiałą szansę!

Pandemia natomiast stanowi wielką niedolę. Sprawiła, że na nowo odkryliśmy siebie jako osoby kruche i potrzebujące innych. Również w tym kraju jest to wyzwanie, które wymaga odpowiednich działań ze strony władz – mam tu na myśli potrzebę kampanii szczepień – i licznych poświęceń ze strony obywateli. Jednakże, pośród tak wielu trudów, pojawiło się niezwykłe poczucie solidarności, do którego z radością wnosi swój wkład lokalny Kościół katolicki, w przekonaniu, że jest to dziedzictwo, którego nie można zaprzepaścić, gdy burza powoli się uspokaja. Wydaje się, że niektóre słowa przysięgi Hipokratesa zostały napisane z myślą o współczesności, jak na przykład zobowiązanie do „zalecania zdrowego trybu życia dla dobra chorych”, do „powstrzymywania się od wyrządzania krzywdy i obrażania” innych, do ochrony życia w każdym jego okresie, zwłaszcza w łonie matki (por. Przysięga Hipokratesa, tekst starożytny). Zawsze należy dawać pierwszeństwo prawu do opieki i leczenia dla wszystkich, aby najsłabsi, a zwłaszcza osoby starsze, nigdy nie byli odrzucani: żeby osoby starsze nie były ulubieńcami kultury odrzucenia. Starsi są znakiem mądrości narodu. Prawem jest bowiem życie, a nie śmierć, którą należy przyjmować, ale nie wolno jej zadawać.

Drodzy przyjaciele, niektóre okazy śródziemnomorskiego drzewa oliwnego świadczą o życiu tak długim, że poprzedzającym przyjście na świat Chrystusa. Wielowiekowe i trwałe, przetrwały próbę czasu i przypominają nam o tym, jak ważne jest pielęgnowanie silnych korzeni, ożywianych pamięcią. Ten kraj można określić mianem pamięci Europy – wy jesteście pamięcią Europy – i cieszę się, że mogę go odwiedzić dwadzieścia lat po historycznej wizycie papieża Jana Pawła II i w dwusetną rocznicę odzyskania niepodległości. Dobrze znane są słowa generała Kolokotronisa: „Bóg złożył swój podpis na wolności Grecji”. Bóg chętnie składa swój podpis na ludzkiej wolności. Jest to jego największy dar, który z kolei najbardziej w nas ceni, zawsze i wszędzie. Stworzył nas bowiem wolnymi, a najbardziej podoba mu się to, że dobrowolnie miłujemy Jego i bliźniego. Przyczyniają się do tego prawa, ale także wychowanie do odpowiedzialności i rozwoju kultury szacunku. W związku z tym pragnę ponownie wyrazić wdzięczność za publiczne uznanie wspólnoty katolickiej i zapewniam o jej gotowości do promowania dobra wspólnego greckiego społeczeństwa, kierując się pod tym względem cechującą ją uniwersalnością, w nadziei, że w praktyce zawsze będą jej zapewnione warunki niezbędne dla dobrego wypełniania swej posługi.

Dwieście lat temu tymczasowy rząd kraju zwrócił się do katolików ze wzruszającymi słowami: „Chrystus nakazał miłość bliźniego. Ale któż jest nam bliższy niż wy, nasi współobywatele, chociaż istnieją pewne różnice w obrzędach? Mamy jedną ojczyznę, jesteśmy z jednego narodu, my chrześcijanie jesteśmy braćmi – braćmi u korzenia, braćmi we wzrastaniu i w owocach – ze względu na Krzyż Święty”. Bycie braćmi pod znakiem krzyża, w tym kraju pobłogosławionym wiarą i jej tradycjami chrześcijańskimi, zachęca wszystkich wierzących w Chrystusa do pielęgnowania komunii na wszystkich poziomach, w imię Boga, który ogarnia wszystkich swoim miłosierdziem. Dlatego, drodzy bracia i siostry, dziękuję wam za zaangażowanie i zachęcam was, abyście przyczyniali się do rozwoju tego kraju w otwartości, integracji i sprawiedliwości. Z tego miasta, z tej kolebki cywilizacji, wyrosło i zawsze będzie wyrastać przesłanie, skierowane ku Najwyższemu i ku drugiemu; które na pokusy autorytaryzmu odpowiada demokracją; które przeciwstawia indywidualistycznej obojętności troskę o drugiego człowieka, o ubogich i o stworzenie, niezbędne podstawy odnowionego humanizmu, którego potrzebują nasze czasy i nasza Europa. O Theós na evloghí tin Elládha! [Boże błogosław Grecję!]

[01685-PL.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

الزيارة الرسوليّة إلى قبرص واليونان

كلمة قداسة البابا فرنسيس

في اللقاء مع السُّلُطات والمجتمع المدنيّ والسّلك الدبلوماسيّ

في القصر الرئاسي في أثينا - اليونان

السبت 4 كانون الأوّل/ديسمبر 2021

حضرة رئيسة الجمهورية،

أعضاء الحكومة والهيئات الدبلوماسية،

السلطات الدينية والمدنية،

ممثلي المجتمع وعالم الثقافة،

سيداتي وسادتي،

أحيّيكم من صميم قلبي، وأشكر السيدة الرئيسة على كلمات الترحيب التي وجهتها إليَّ باسمكم وباسم جميع المواطنين اليونانيين. إنّه لشرف كبير لي أن أكون معكم في هذه المدينة المجيدة. وأقول بكلمات القديس غريغوريوس النازيانزي: "أثينا هي المدينة الذهبية ومُعطية الخيرات... بحثت فيها عن البلاغة، فوجدت السعادة" (الصلاة 43، 14). جئت حاجًّا إلى هذه الأماكن التي تَفيض بالروحانية والثقافة والحضارة، لأرتوي من السعادة نفسها التي استوقفت أحد آباء الكنيسة الكبار. كان فرحه في تنمية الحكمة والمشاركة في الجمال. وسعادته ليست فردية ولا منعزلة، بل تنبع من الاندهاش وتنزع إلى اللانهاية، وتنفتح على الجماعة. إنّها سعادة الحكمة، التي انتشرت من هنا إلى كلّ مكان: بدون أثينا واليونان، لما كانت أوروبا والعالم ما هم عليه اليوم. لكانوا أقل حكمة وأقل سعادة.

من هنا اتسعت آفاق الإنسانية. أنا أيضًا أشعر بنفسي مدعُوًّا إلى أن أرفع عينيَّ، لأثبِّتَها في أعلى جزء من المدينة، في الأكروبوليس، الذي ظلّ يتراءى من بعيد، طوال آلاف السنين، للمسافرين الذين قصدوا هذه المدينة، وهو يشير بصورة واضحة إلى الألوهيّة. إنّها دعوة لتوسيع الآفاق نحو العُلى: من جبل الأوليمبوس إلى الأكروبوليس إلى جبل آثوس، بلاد اليونان تدعو الإنسان، في كلّ زمن وعصر، ليوجِّه رحلة الحياة نحو العُلى، نحو الله، لأنّنا بحاجة إلى التعالي فوق ما نحن، لنكون ما نحن حقًا أي بشرًا. وبينما اليوم، الغرب الذي نشأ من هنا، أخذ يميل إلى تغييب الحاجة إلى السماء، لأنّه مدفوع بجنون ألوف النشاطات الأرضية، والجشع النهم لاستهلاك لا شخصية ولا وجه له، تدعونا هذه الأماكن إلى أن نندهش أمام اللامتناهي وجمال الوجود وفرح الإيمان. من هنا مرّت طرق الإنجيل التي وحدت الشرق والغرب والأماكن المقدسة وأوروبا والقدس وروما. الأناجيل التي نقلت إلى العالم البشرى السارة لإله محبّ للبشر، كُتبت باللغة اليونانية، اللغة الخالدة التي استخدمها الكلمة – اللوغوس Logos - للتعبير عن نفسه، فصارت لغة الحكمة البشرية صوتَ الحكمة الإلهيّة.

في هذه المدينة، يرتفع النظر إلى العُلى، ويندفع أيضًا تلقائيًّا نحو الآخر. يذكّرنا بذلك البحر، الذي تواجهه أثينا، وهو يوجّه دعوتها في قلب البحر الأبيض المتوسط ​​لتكون جسرًا بين الشعوب. هنا مؤرخون كبار رَوَوْا تواريخ الشعوب القريبة والبعيدة. هنا، وفقًا لتصريح سقراط الشهير، بدأ المرء يشعر بأنّه مواطن، ليس فقط لوطنه، بل مواطن في العالم بأسرّه. ومع كلّ المواطنين، أصبح الإنسان يدرك هنا أنّه ”حيوان سياسيّ“ (راجع أريسطو، السياسة، 1، 2)، وبما أنّه جزء من جماعة، لم يرَ في الآخرين خاضعين، بل مواطنين، معهم تُنظَّم المدينة ( polis). هنا ولدت الديمقراطية. والمهد، بعد آلاف السنين، أصبح بيتًا، بيتًا كبيرًا للشعوب الديمقراطية: أشير إلى الاتحاد الأوروبي وحلم السلام والأخُوّة بين الشعوب العديدة.

ومع ذلك، لا يسع المرء إلّا أن يلاحظ اليوم بقلق أنّ هناك تراجعًا في الديموقراطية، وليس فقط في القارة الأوروبية. فهي تقتضي مشاركة والتزامًا من قبل الجميع، وبالتالي تحتاج إلى جهدٍ وصبر. إنّها أمر معقد. بينما الاستبداد يبدو أمرًا سريعًا، والتطمينات السهلة الشعبوية التي يقدمها تبدو مغرية. وفي مجتمعات كثيرة، القلق على الأمن وتخدير الاستهلاكية، والإرهاق والاستياء، كل ذلك يدفع إلى نوع من ”التشكيك في الديمقراطية“. ومع ذلك كلّه، فإنّ مشاركة الجميع مطلب أساسيّ، ليس فقط لتحقيق أهداف مشتركة، ولكن لأنّ هذا أمر يستجيب لطبيعتنا: أنّنا كائنات اجتماعية، كلّ واحد له ميزاته الخاصة، ولكنّنا في الوقت نفسه، مترابطون بعضنا ببعض.

هناك أيضًا شكوك تجاه الديمقراطية ناتجة عن بُعد المؤسسات، والخوف من فقدان الهوية، والبيروقراطية. ولا يكمن العلاج في البحث المهووس عن الشعبية، أو التعطش إلى الظهور، أو إعلان الوعود المستحيلة، أو التمسك باستعمار أيديولوجي مجرَّد، بل يقوم بسياسة صالحة. لأنّ السياسة أمر صالح، وهكذا يجب أن تكون في ممارستها، باعتبارها أعلى مسؤولية يمارسها المواطن، وباعتبارها فن تحقيق الخير العام. ومن أجل مشاركة حقيقية في الخير العام، يجب إيلاء اهتمام خاص، بل أقول إنّه يجب إعطاء الأولوية لأكثر الناس او الفئات ضعفًا. هذا هو التوجُّه الذي يجب اتباعه، والذي أشار إليه أحد الآباء المؤسسين لأوروبا، باعتباره ترياقًا مضادًّا للاستقطابات التي تحرّك الديمقراطية وتوشك أن تدمرها، قال: "الكلام كثير عن اليمين واليسار، ولكن الشيء الحاسم هو السير إلى الأمام، والسير إلى الأمام يعني السير إلى العدالة الاجتماعية" (A. De Gasperi، من خطاب ألقاه في ميلانو، 23 نيسان/أبريل 1949). لا بد من تغيير المسيرة نحو هذا الاتجاه، بينما تزداد المخاوف كلّ يوم، وتضخِّمُها وسائل الاتصال الافتراضية، وتنشأ النظريات المختلفة لمواجهة الآخرين. لنتعاون بدل ذلك للانتقال من ”التحصيص“ إلى المشاركة، ومن التزام كلّ واحد بمفرده بجهوده الخاصة، إلى الالتزام الجدِّي من قبل الجميع من أجل تقدّم الجميع.

من ”التحصيص“ إلى المشاركة. هذا هو الدافع الذي يجب أن يدفعنا على جبهات مختلفة: أفكر في المناخ، والجائحة، والسوق المشتركة، وفوق ذلك كلّه، في انتشار الفقر. هذه تحديات تتطلب منّا التعاون العملي والفعّال. الأسرة الدولية بحاجة إلى ذلك، حتى تفتح طرق سلام في التعددية التي يجب ألّا تخنقها ادعاءات قومية مفرطة. والسياسة بحاجة إلى ذلك، حتى تفضِّل المقتضيات العامة على المصالح الخاصة. قد يبدو ذلك خيالًا أو رحلة من غير أمل في بحر مضطرب، مثل رحلة ”أوديسية“ طويلة وصعبة المنال. ومع ذلك، فإنّ الرحلة في بحر هائج، كما تُعلِّمنا قصة هوميروس الشهيرة، هي غالبًا الطريق الوحيدة. وستصل إلى الهدف إن حركّتها الرغبة في العودة إلى الوطن، والجهد للسير إلى الأمام معًا بالحنين إلى الماضي. وفي هذا الصدّد، أوَدّ أن أجدّد تقديري للمسيرة الصعبة التي أدّت إلى ”اتفاق بريسبا“ الموقَّع بين هذه الجمهوريّة وجمهوريّة مقدونيا الشمالية.

أنظر أيضًا إلى البحر الأبيض المتوسط​، البحر الذي يفتحنا على الآخر، أفكر في شواطئه الخصبة والشجرة التي يمكن أن تصبح رمزًا لها: شجرة الزيتون، التي تم قطاف ثمارها قبل أيام قليلة، والتي توحّد الأراضي المختلفة التي تطل على البحر الواحد. من المحزن أن نرى كيف احترق في السنوات الأخيرة، العديد من أشجار الزيتون التي يبلغ عمرها قرونًا، التهمتها الحرائق التي سببتها غالبًا الظروف الجوية السيئة، والتي كان سببها تغيّر المناخ. أمام المشهد الجريح لهذا البلد الجميل، يمكن لشجرة الزيتون أن ترمز إلى إرادة مكافحة أزمة المناخ وما تحمل من دمار. بعد الكارثة الأولى التي يرويها الكتاب المقدس، أي الطوفان، عادت حمامة إلى نوح "وفي فمها ورقة زيتون خضراء" (تكوين 8، 11). كان ذلك رمزًا لانطلاقة جديدة، ولقوة البدء من جديد بتغيير نمط الحياة، وبتجديد العلاقات مع الخالق والخلائق والخليقة. آمل أن يتم ويزداد تقاسم الالتزامات التي تم التعهد بها في مكافحة تغيّر المناخ، فلا تكون عملًا سطحيًّا، بل تُنفَّذ بجدية. بعد القول ليتبع العمل، حتى لا يدفع الأبناء ثمن مراءاة آبائهم. بهذا المعنى، لنسمع من جديد الكلمات التي وضعها هوميروس على شفاه أخيلِس: "إنّي أكره، كراهيتي لأبواب الجحيم، مَن ينطق بشيء، وشيئًا آخر يُخفِي في قلبه" (إلياذة، الجزء التاسع، 312 - 313).

تمثل شجرة الزيتون، في الكتاب المقدس، أيضًا دعوة إلى التضامن، خاصة تجاه الذين لا ينتمون إلى الشعب نفسه. "وإِذا خَبَطتَ زَيتونَكَ، فلا تُراجِعْ ما بَقِيَ في الأَغْصان، إِنَّه لِلنَّزيلِ واليَتيمِ والأَرمَلَةِ يَكون" (تثنية الاشتراع 24، 20). هذا البلد، المعروف بضيافته، رأى في بعض جزره، وصول عدد من الإخوة والأخوات المهاجرين يفوق عددهم عدد السكان أنفسهم، فزاد من متاعب الناس الذين ما زالوا يعانون من مصاعب الأزمة الاقتصادية. والمماطلة الأوروبية، من جهتها، ما زالت مستمرة: فالمجتمع الأوروبي، الذي تمزقه الأنانيات القومية، بدلًا من أن يكون قوّة دافعة للتضامن، يبدو أحيانًا واقفًا مانعًا وغير منسَّق. في زمن مضى، حالت النزاعات الأيديولوجية دون بناء الجسور بين شرق القارة وغربها، واليوم فتحت قضية الهجرة ثغرات بين الجنوب والشمال. أودّ أن أحثّ مرة أخرى على تكوين رؤية مجتمعية شاملة أمام قضية الهجرة، وتشجيع الناس على الاهتمام بأشد الناس احتياجًا حتى يتم الترحيب بهم وحمايتهم وتعزيزهم واندماجهم وفقًا لإمكانيات كلّ بلد، مع الاحترام الكامل لحقوقهم الإنسانية وكرامتهم. ليست هذه القضية عقبة للحاضر، إنّها ضمان للمستقبل، ولتكن علامة على العيش معًا بسلام مع كلّ الذين يضطرون بشكل متزايد إلى الفرار بحثًا عن وطن وأمل. إنّهم أبطال ملحمة ”أوديسية“ حديثة رهيبة. يسرني أن أتذكّر أنّه عندما وصل أوليسِس إلى إيثاكا، لم يتعرّف عليه أسياد المحل، الذين اغتصبوا بيته وممتلكاته، لكن تعرّفت عليه المربية التي كانت تعتني به. عرفته المربية حين رأت ندوب جراحه. فالمعاناة هي التي توحدنا، والاعتراف بانتمائنا إلى الإنسانية الضعيفة نفسها يساعدنا في بناء مستقبل أكثر تكاملًا وسلامًا. فلنحوِّل ما يبدو لنا أنّه محنة مكروهة إلى فرصة حياة جريئة!

الجائحة هي المحنة الكبرى. فقد جعلتنا نعيد اكتشاف ضعفنا وحاجتنا إلى الآخرين. في هذا البلد أيضًا، إنّها تحَدٍّ يقتضي تدخُّلًا مناسبًا من قبل السلطات - أفكّر في ضرورة حملة التطعيم – وإلى التضحيات الكثيرة الواجبة من أجل المواطنين. ومع ذلك، ففي خضم كلّ هذا الجهد، ظهر إحساس ملحوظ بالتضامن، ويسعد الكنيسة الكاثوليكيّة المحليّة أن تكون قادرة على الاستمرار في المساهمة فيه، إيمانًا منها بأنّ هذا التضامن هو إرث ينبغي ألّا يضيع، فيما ننتظر هدوء العاصفة البطيء. يبدو أنّ بعض كلمات قَسَم أبقراط مكتوبة لهذا اليوم، مثل الالتزام بـ ”تنظيم سير الحياة لصالح المرضى“، و”الامتناع عن التسبب في الأذى والإساءة“ للآخرين، والحفاظ على الحياة في كلّ لحظة، وخاصة في الرحم الوالدي (راجع قَسَم أبقراط، نص قديم). يجب ضمان حق الرعاية والعلاج للجميع، حتى لا يُهمَل الأضعفون، وخاصة كبار السن: ألّا يكون كبار السن هم الأشخاص المفضلون بالنسبة لثقافة الإقصاء. كبار السن هم رمز حكمة الشعب. الحياة حق لنا، لا الموت، الموت نقبله، لكنّه لا يصبح في إدارة الإنسان.

أيّها الأصدقاء الأعزّاء، يشهد بعض أشجار زيتون البحر الأبيض المتوسط ​​على حياة طويلة حتى قبل ظهور المسيح. عمرها قرون وهي باقية، قاومت الزمن وتذكِّرنا بأهمية الحفاظ على الجذور قويَّةً تغذِّيها الذاكرة. يمكن تعريف هذا البلد بأنّه ذاكرة أوروبا - وأنتم ذاكرة أوروبا - ويسعدني أن أزوره بعد عشرين عامًا بعد الزيارة التاريخية للبابا يوحنا بولس الثاني، وفي الذكرى المئويّة الثانيّة لاستقلاله. تبقى شهيرة كلمات الجنرال كولوكوترونيس: ”لقد وضع الله توقيعه على حرية اليونان“. يوقع الله بسرور على حرّيّة الإنسان، في أي وقت ومكان. إنّها أعظم هبة منه، ونحن نقدرها أكبر تقدير. خلقنا الله أحرارًا، وأكثر ما يرضيه هو أن نسير إليه أحرارًا نحبه ونحب القريب. القوانين تساهم في ذلك، ولكن أيضًا التربية على المسؤولية ونمو ثقافة الاحترام. في هذا الصدّد، أود أن أجدّد شكري للاعتراف العام بالجماعة الكاثوليكية، وأؤكد رغبتها في العمل على تعزيز الخير العام في المجتمع اليوناني، وهي تسير بطابعها الجامع في هذا الاتجاه، على أمل أن تُضمَن لها عمليًّا ودائمًا الشروط اللازمة لأداء خدمتها كما يجب.

قبل مائتي عام، خاطبَتْ الحكومة المؤقتة في البلاد الكاثوليك هنا بكلمات مؤثرة: ”المسيح أوصى بحبّ القريب. ومن هو أقرب إلينا منكم، إخوتنا المواطنين، رغم وجود بعض الفروق في الطقوس؟ لنا وطن واحد، ونحن شعب واحد. نحن المسيحيين إخوة - إخوة في الجذور والنمو والثمار - من أجل الصليب المقدس“. أن نكون إخوة تحت علامة الصليب، في هذا البلد المبارك بالإيمان وتقاليده المسيحيّة، هذا أمر يحث جميع المؤمنين بالمسيح على تنمية الشركة على كلّ المستويات، باسم ذلك الإله الذي يعانق الجميع برحمته. أيّها الإخوة والأخوات، أشكركم لالتزامكم، وأحثكم على السير بهذا البلد نحو الانفتاح وشمول الجميع والعدل. من هذه المدينة، من مهد الحضارة هنا، ارتفعت رسالة، ولترتفع دائمًا، توجِّه نحو العُلى ونحو الآخر. وهي رسالة تجيب بالديموقراطية على إغراءات الاستبداد، وعلى اللامبالاة الفردية ترد بالاهتمام بالآخر وبالفقير وبالخليقة: هذه هي ركائز رؤية إنسانيّة جديدة، نحتاج إليها في زمننا، وتحتاج إليها أوروبا.

O Theós na evloghí tin Elládha! [بارك الله اليونان!]

[01685-AR.02] [Testo originale: Italiano]

[B0816-XX.02]