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Viaggio Apostolico di Sua Santità Francesco a Cipro e in Grecia - Santa Messa nel GSP Stadium di Nicosia, 03.12.2021


Santa Messa nel GSP Stadium di Nicosia

Omelia del Santo Padre

Saluto del Santo Padre

Questa mattina, dopo aver lasciato la Cattedrale Ortodossa, il Santo Padre Francesco ha celebrato la Santa Messa nella Memoria di San Francesco Saverio, nel GSP Stadium di Nicosia, dove erano presenti circa 10.000 fedeli.

Introdotto da un indirizzo di saluto del Patriarca dei Latini di Gerusalemme, Sua Beatitudine Pierbattista Pizzaballa, nel corso della Celebrazione Eucaristica, dopo la proclamazione del Vangelo, il Papa ha pronunciato l’omelia.

Al termine della Santa Messa, S.E. Mons. Selim Jean Sfeir, Arcivescovo di Cipro dei Maroniti, ha rivolto un saluto e un ringraziamento al Santo Padre. Quindi Papa Francesco si è trasferito in auto alla Nunziatura Apostolica dove, al suo arrivo, ha incontrato brevemente il Rabbino Capo di Cipro e per suo tramite ha inviato un saluto alla comunità ebraica cipriota. Successivamente ha salutato la Direttrice del carcere di Cipro, che gli ha portato un saluto e un dono da parte dei detenuti, tra i quali migranti incarcerati perché senza documenti. Poi il Papa ha pranzato in privato.

Pubblichiamo di seguito l’omelia e il saluto finale che il Papa ha pronunciato nel corso della Santa Messa:

Omelia del Santo Padre

Testo in lingua italiana

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Testo in lingua italiana

Due ciechi, mentre Gesù passa, gli gridano la loro miseria e la loro speranza: «Figlio di Davide, abbi pietà di noi!» (Mt 9,27). “Figlio di Davide” era un titolo attribuito al Messia, che le profezie annunciavano della stirpe di Davide. I due protagonisti del Vangelo odierno, dunque, sono ciechi, eppure vedono ciò che più conta: riconoscono Gesù come Messia venuto nel mondo. Soffermiamoci su tre passaggi di questo incontro. Possono aiutarci, in questo cammino d’Avvento, ad accogliere a nostra volta il Signore che viene, il Signore che passa.

Il primo passaggio: andare da Gesù per guarire. Il testo dice che i due ciechi gridavano al Signore mentre lo seguivano (cfr v. 27). Non lo vedono ma ascoltano la sua voce e seguono i suoi passi. Cercano nel Cristo quello che avevano preannunciato i profeti, cioè i segni di guarigione e di compassione di Dio in mezzo al suo popolo. A questo proposito aveva scritto Isaia: «Si apriranno gli occhi dei ciechi» (35,5). E un’altra profezia, contenuta nella prima Lettura di oggi: «Liberati dall’oscurità e dalle tenebre, gli occhi dei ciechi vedranno» (29,18). I due del Vangelo si fidano di Gesù e lo seguono in cerca di luce per i loro occhi.

E perché, fratelli e sorelle, queste due persone si fidano di Gesù? Perché percepiscono che, nel buio della storia, Egli è la luce che illumina le notti del cuore e del mondo, che sconfigge le tenebre e vince ogni cecità. Anche noi, lo sappiamo, portiamo nel cuore delle cecità. Anche noi, come i due ciechi, siamo viandanti spesso immersi nelle oscurità della vita. La prima cosa da fare è andare da Gesù, come Lui stesso chiede: «Venite a me voi tutti, che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro» (Mt 11,28). Chi di noi non è in qualche modo stanco e oppresso? Tutti. Però facciamo resistenza a incamminarci verso Gesù; tante volte preferiamo rimanere chiusi in noi stessi, stare soli con le nostre oscurità, piangerci un po’ addosso, accettando la cattiva compagnia della tristezza. Gesù è il medico: solo Lui, la luce vera che illumina ogni uomo (cfr Gv 1,9), Lui ci dà l’abbondanza di luce, di calore, di amore. Solo Lui libera il cuore dal male. Possiamo domandarci: mi rinchiudo nel buio della malinconia, che dissecca le sorgenti della gioia, oppure vado da Gesù e gli porto la mia vita? Seguo Gesù, lo “inseguo”, gli grido i miei bisogni, gli consegno le mie amarezze? Facciamolo, diamo a Gesù la possibilità di guarirci il cuore. Questo è il primo passaggio; la guarigione interiore ne richiede altri due.

Il secondo è portare insieme le ferite. In questo racconto evangelico non c’è la guarigione di un solo cieco, come ad esempio nei casi di Bartimeo (cfr Mc 10,46-52) o del cieco nato (cfr Gv 9,1-41). Qui i ciechi sono due. Si trovano insieme sulla strada. Insieme condividono il dolore per la loro condizione, insieme desiderano una luce che possa accendere un bagliore nel cuore delle loro notti. Il testo che abbiamo ascoltato è sempre al plurale, perché i due fanno tutto insieme: entrambi seguono Gesù, entrambi gridano verso di Lui e chiedono la guarigione; non ciascuno per sé stesso, ma insieme. È significativo che dicano a Cristo: abbi pietà di noi. Usano il “noi”, non dicono “io”. Non pensano ciascuno alla propria cecità, ma chiedono aiuto insieme. Ecco il segno eloquente della vita cristiana, ecco il tratto distintivo dello spirito ecclesiale: pensare, parlare, agire come un “noi”, uscendo dall’individualismo e dalla pretesa di autosufficienza che fanno ammalare il cuore.

I due ciechi, con la condivisione delle loro sofferenze e con la loro fraterna amicizia, ci insegnano tanto. Ciascuno di noi è in qualche modo cieco a causa del peccato, che ci impedisce di “vedere” Dio come Padre e gli altri come fratelli. Questo fa il peccato, distorce la realtà: ci fa vedere Dio come padrone e gli altri come problemi. È l’opera del tentatore, che falsifica le cose e tende a mostrarcele sotto una luce negativa per gettarci nello sconforto e nell’amarezza. E la brutta tristezza, che è pericolosa e non viene da Dio, si annida bene nella solitudine. Dunque, non si può affrontare il buio da soli. Se portiamo da soli le nostre cecità interiori, veniamo sopraffatti. Abbiamo bisogno di metterci l’uno accanto all’altro, di condividere le ferite, di affrontare insieme la strada.

Cari fratelli e sorelle, dinanzi a ogni oscurità personale e alle sfide che abbiamo davanti nella Chiesa e nella società, siamo chiamati a rinnovare la fraternità. Se restiamo divisi tra di noi, se ciascuno pensa solo a sé o al suo gruppo, se non ci stringiamo insieme, non dialoghiamo, non camminiamo uniti, non possiamo guarire pienamente dalle cecità. La guarigione viene quando portiamo insieme le ferite, quando affrontiamo insieme i problemi, quando ci ascoltiamo e ci parliamo. E questa è la grazia di vivere in comunità, di capire il valore di essere insieme, di essere in comunità. Lo chiedo per voi: possiate stare sempre insieme, essere sempre uniti; andare avanti così e con gioia: fratelli cristiani, figli dell’unico Padre. E lo chiedo anche per me.

Ed ecco il terzo passaggio: annunciare il Vangelo con gioia. Dopo essere stati guariti insieme da Gesù, i due protagonisti anonimi del Vangelo, nei quali possiamo rispecchiarci, iniziano a diffondere la notizia in tutta la regione, a parlarne dappertutto. C’è un po’ di ironia in questo fatto: Gesù aveva raccomandato loro di non dire niente a nessuno, ma essi fanno l’esatto contrario (cfr Mt 9,30-31). Dal racconto si capisce, però, che non è loro intenzione disobbedire al Signore; semplicemente non riescono a contenere l’entusiasmo di essere stati risanati, la gioia per quanto hanno vissuto nell’incontro con Lui. E qui c’è un altro segno distintivo del cristiano: la gioia del Vangelo, che è incontenibile, «riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 1); la gioia del Vangelo libera dal rischio di una fede intimista, seriosa, lamentosa, e immette nel dinamismo della testimonianza.

Carissimi, è bello vedervi e vedere che vivete con gioia l’annuncio liberante del Vangelo. Vi ringrazio per questo. Non si tratta di proselitismo – per favore, non fare mai proselitismo! – ma di testimonianza; non di moralismo che giudica – no, non farlo – ma di misericordia che abbraccia; non di culto esteriore, ma di amore vissuto. Vi incoraggio ad andare avanti su questa strada: come i due ciechi del Vangelo, rinnoviamo anche noi l’incontro con Gesù e usciamo da noi stessi senza paura per testimoniarlo a quanti incontriamo! Usciamo a portare la luce che abbiamo ricevuto, usciamo a illuminare la notte che spesso ci circonda! Fratelli e sorelle, c’è bisogno di cristiani illuminati ma soprattutto luminosi, che tocchino con tenerezza le cecità dei fratelli; che con gesti e parole di consolazione accendano luci di speranza nel buio. Cristiani che seminino germogli di Vangelo nei campi aridi della quotidianità, che portino carezze nelle solitudini della sofferenza e della povertà.

Fratelli, sorelle, il Signore Gesù passa, passa anche per le nostre strade di Cipro, ascolta il grido delle nostre cecità, vuole toccare i nostri occhi, vuole toccare il nostro cuore, farci venire alla luce, rinascere, rialzarci dentro: questo vuole fare Gesù. E rivolge anche a noi la domanda che fece ai quei ciechi: «Credete che io possa fare questo?» (Mt 9,28). Crediamo che Gesù possa fare questo? Rinnoviamo la nostra fiducia in Lui! Diciamogli: Gesù, crediamo che la tua luce è più grande di ogni nostra tenebra; crediamo che Tu puoi guarirci, che Tu puoi rinnovare la nostra fraternità, che puoi moltiplicare la nostra gioia; e con tutta la Chiesa Ti invochiamo, tutti insieme: Vieni, Signore Gesù! [tutti ripetono: “Vieni, Signore Gesù!”] Vieni, Signore Gesù! [tutti: “Vieni, Signore Gesù!”] Vieni, Signore Gesù! [tutti: “Vieni, Signore Gesù!”]

[01682-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

 

Alors que Jésus passe, deux aveugles lui crient leur misère et leur espérance : «Fils de David, aie pitié de nous !» (Mt 9, 27). “Fils de David»” était un titre attribué au Messie, que les prophéties annonçaient comme devant être de la lignée de David. Les deux protagonistes de l'Évangile de ce jour sont donc aveugles. Ils voient pourtant ce qui est le plus important : ils reconnaissent en Jésus le Messie venu dans le monde. Attardons-nous sur trois passages de cette rencontre. Ils peuvent nous aider, sur notre chemin de l'Avent, à accueillir à notre tour le Seigneur qui vient, le Seigneur qui passe.

La première étape : aller à Jésus pour guérir. Le texte dit que les deux aveugles criaient vers le Seigneur alors qu’ils le suivaient (cf. v.27). Ils ne le voient pas mais ils entendent sa voix et suivent ses pas. Ils cherchent dans le Christ ce que les prophètes avaient annoncé, c'est-à-dire les signes de guérison et de compassion de Dieu au milieu de son peuple. Isaïe avait écrit à ce propos : «Alors se dessilleront les yeux des aveugles» (35, 5). Et une autre prophétie, dans la première lecture d'aujourd'hui : «Quant aux aveugles, sortant de l’obscurité et des ténèbres, leurs yeux verront» (29,18). Les deux personnages de l'Évangile font confiance à Jésus et le suivent, en quête de lumière pour leurs yeux.

Et pourquoi, frères et sœurs, ces deux personnages font ils confiance à Jésus ? Parce qu'ils perçoivent que, dans l'obscurité de l'histoire, il est la lumière qui éclaire les nuits du cœur et du monde, qui vainc les ténèbres et surmonte tout aveuglement. Nous le savons bien, nous aussi: nous avons dans notre cœur des aveuglements. Comme les deux aveugles, nous sommes aussi des voyageurs, souvent plongés dans les obscurités de la vie. La première chose à faire est d'aller vers Jésus, comme il le demande lui-même : «Venez à moi, vous tous qui peinez sous le poids du fardeau, et moi, je vous procurerai le repos» (Mt 11, 28). Qui parmi nous n'est-il pas fatigué et accablé d'une manière ou d'une autre ? Tous. Cependant, nous résistons à aller vers Jésus. Nous préférons bien souvent rester repliés sur nous-mêmes, rester seuls dans nos ténèbres, pleurer sur nous-mêmes, en acceptant la mauvaise compagnie de la tristesse. Jésus est le médecin: lui seul, la vraie lumière qui éclaire tout homme (cf. Jn 1, 9), il nous donne en abondance lumière, chaleur et amour. Lui seul libère le cœur du mal. Interrogeons-nous : est-ce que je m'enferme dans les ténèbres de la mélancolie qui tarit les sources de la joie, ou bien est-ce que je vais vers Jésus et lui apporte ma vie ? Est-ce que je suis Jésus, est-ce que je le «poursuis», est-ce que je lui crie mes besoins, est-ce que je lui confie mon amertume ? Faisons-le, donnons à Jésus la possibilité de guérir notre cœur. C'est la première étape, mais la guérison intérieure en requiert deux autres.

La seconde est porter ensemble les blessures. Dans ce récit évangélique, il ne s’agit pas de la guérison d’un seul aveugle, comme par exemple dans les cas de Bartimée (cf. Mc 10, 46-52) ou de l'aveugle-né (cf. Jn 9, 1-41). Ici, les aveugles sont au nombre de deux. Ils sont ensemble sur la route. Ensemble, ils partagent la souffrance de leur condition, ensemble ils aspirent à une lumière qui puisse resplendir au cœur de leurs nuits. Le texte que nous avons entendu est toujours au pluriel, parce que les deux font tout ensemble : tous deux suivent Jésus, tous deux crient vers lui et demandent la guérison. Non pas chacun pour soi, mais ensemble. Il est significatif qu'ils disent au Christ : «Aie pitié de nous». Ils utilisent le «nous», ils ne disent pas «je». Aucun ne pense à sa propre cécité, mais ils demandent de l'aide ensemble. Voilà le signe éloquent de la vie chrétienne, voilà le trait distinctif de l'esprit ecclésial : penser, parler et agir comme un «nous», en laissant l'individualisme et la prétention à l'autosuffisance qui rendent le cœur malade.

Les deux aveugles, en partageant leurs souffrances et leur amitié fraternelle, nous apprennent beaucoup. Chacun est en quelque sorte aveugle à cause du péché qui nous empêche de “voir” Dieu comme notre Père et les autres comme nos frères. C'est ce que fait le péché, il déforme la réalité : il nous fait voir Dieu comme un patron et les autres comme des problèmes. C'est l'œuvre du tentateur qui falsifie les choses et tend à nous les montrer sous un jour négatif pour nous jeter dans le découragement et l'amertume. Et la mauvaise tristesse, qui est dangereuse et ne vient pas de Dieu, se cache bien dans la solitude. Il n’est donc pas possible d’affronter seuls les ténèbres. Si nous portons seuls notre aveuglement intérieur, nous risquons d’être dépassés. Nous devons nous tenir les uns à côté des autres, partager nos blessures, affronter la route ensemble.

Chers frères et sœurs, face à nos propres obscurités et aux défis auxquels nous sommes confrontés dans l'Église et dans la société, nous sommes appelés à renouveler la fraternité. Si nous restons divisés entre nous, si chacun ne pense qu'à lui-même ou à son groupe, si nous ne nous rassemblons pas, nous ne dialoguons pas, nous ne marchons pas ensemble, alors nous ne pourrons pas guérir pleinement de nos aveuglements. La guérison se produit lorsque nous portons nos blessures ensemble, lorsque nous faisons face à nos problèmes ensemble, lorsque nous nous écoutons et nous nous parlons. C'est la grâce de vivre en communauté, de comprendre la valeur d’être ensemble, d’être une communauté. Je la demande pour vous : puissiez-vous être toujours ensemble, être toujours unis ; et ainsi aller de l'avant avec joie: des frères et des sœurs chrétiens, fils de l’unique Père. Et je le demande aussi pour moi.

Et voici la troisième étape : annoncer l'Évangile avec joie. Après avoir été guéris ensemble par Jésus, les deux protagonistes anonymes de l'Évangile, en qui nous pouvons nous retrouver, commencent à répandre la nouvelle dans toute la région, partout ils en parlent. Il y a là une certaine ironie : Jésus leur avait recommandé de ne rien dire à personne, mais ils font exactement le contraire (cf. Mt 9, 30-31). Il ressort cependant clairement du récit que leur intention n'est pas de désobéir au Seigneur. Ils ne peuvent tout simplement pas contenir leur enthousiasme d'avoir été guéris, la joie de ce qu'ils ont vécu dans leur rencontre avec lui. Et voici un autre signe distinctif du chrétien : la joie de l'Évangile, une joie irrépressible qui «remplit le cœur et toute la vie de ceux qui rencontrent Jésus» (Exhortation apostolique Evangelii Gaudium, n. 1), la joie de l’Evangile libère du risque d'une foi intimiste, sévère et plaintive, et elle conduit au dynamisme du témoignage.

Chers amis, il est bon de vous voir et de constater que vous vivez joyeusement l'annonce libératrice de l'Évangile. Je vous en remercie. Il ne s'agit pas de prosélytisme – s’il vous plait, pas de prosélytisme -, mais de témoignage; non de moralisme qui juge – non pas cela - , mais de miséricorde qui embrasse ; non de culte extérieur, mais d'amour vécu. Je vous encourage à poursuivre sur cette voie : comme les deux aveugles de l'Évangile, renouvelons nous aussi notre rencontre avec Jésus et sortons de nous-mêmes sans crainte pour témoigner de lui à tous ceux que nous rencontrons ! Sortons pour apporter la lumière que nous avons reçue, sortons pour éclairer la nuit qui nous entoure si souvent ! Frères et sœurs, il y a besoin de chrétiens éclairés mais surtout lumineux, qui touchent avec tendresse la cécité de leurs frèreset qui, avec des gestes et des paroles de consolation, allument des lueurs d'espoir dans les ténèbres. Des chrétiens qui sèment les graines de l'Évangile dans les champs arides de la vie quotidienne, qui offrent des caresses dans les solitudes de la souffrance et de la pauvreté.

Frères et sœurs, le Seigneur Jésus passe, il passe aussi par les rues de Chypre, il écoute le cri de nos aveuglements, il veut toucher nos yeux, il veut toucher nos cœurs, nous faire venir à la lumière, nous faire renaître, nous relever intérieurement: Voilà ce que veut faire Jésus. Et il nous pose la même question qu'il a posée à ces aveugles : «Croyez-vous que je peux faire cela ?» (Mt 9, 28). Croyons-nous que Jésus puisse le faire ? Renouvelons-lui notre confiance! Disons-lui : Jésus, nous croyons que ta lumière est plus grande que toutes nos ténèbres ; nous croyons que toi tu peux nous guérir, que toi tu peux renouveler notre fraternité, que tu peux multiplier notre joie ; et avec toute l'Église nous t'invoquons tous ensemble : Viens, Seigneur Jésus! [tous répètent: Viens, Seigneur Jésus!] Viens, Seigneur Jésus! [tous : Viens, Seigneur Jésus!] Viens, Seigneur Jésus! [tous: Viens, Seigneur Jésus!]

[01682-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

As Jesus was passing by, two blind men cried out in misery and hope: “Have mercy on us, Son of David” (Mt 9:27). “Son of David” was a title attributed to the Messiah, who the prophecies predicted would come from the line of David. The two men in today’s Gospel are blind, yet they see the most important thing: they realize that Jesus is the Messiah who has come into the world. Let us reflect on three steps in this encounter. They can help us in turn, during this Advent season, to welcome the Lord when he comes, when he passes by us.

First: They went to Jesus for healing. The text says that the two blind men cry out to the Lord while following him (cf. v. 27). They cannot see him, but they hear his voice and follow in his footsteps. In Christ, they are seeking what the prophets had foretold: signs of God’s healing power and compassion present in the midst of his people. Isaiah had written: “Then the eyes of the blind shall be opened” (35:5). And yet another prophecy, which we heard in today’s first reading, had promised: “Out of their gloom and darkness, the eyes of the blind shall see” (29:18). The two men in the Gospel trusted in Jesus. They followed him in search of light for their eyes.

Why, brothers and sisters, did they trust in Jesus? Because they realized that, within the darkness of history, he is the light that brightens the “nights” of the heart and the world. The light that overcomes the darkness and triumphs over the blindness. We too have a kind of “blindness” in our hearts. Like those two blind men, we are often like wayfarers, immersed in the darkness of life. The first thing to do in response is go to Jesus, just as he tells us: “Come to me, all who labour and are heavy laden, and I will give you rest” (Mt 11:28). Is there any one of us who is not, in some way, tired or heavy laden? All of us are. Yet, we resist coming to Jesus. Often we would rather remain closed in on ourselves, alone in the darkness, feeling sorry for ourselves and content to have sadness as our companion. Jesus is the divine physician: he alone is the true light that illuminates every man and woman (cf. Jn 1:9), the one who gives us an abundance of light, warmth and love. Jesus alone frees the heart from evil. So let us ask ourselves: do I remain wrapped in the darkness of despondency and joylessness, or do I go to Jesus and give my life to him? Do I follow Jesus, shout out my needs, and hand my bitterness over to him? Let us do it! Let us give Jesus the chance to heal our hearts. That is the first step; but interior healing requires two further steps.

The next step: They shared their pain. The Gospel does not speak of the healing of an individual blind person, as was the case, for example, with Bartimaeus (cf. Mk 10:46-52) or the man blind from birth (cf. Jn 9:1-41). Here there are two blind men. They are together on the roadside. They share their pain, their unhappiness at being blind, and their desire for a light to glow in the heart of their “night”. When they speak, it is in the plural, since they do everything together: both of them follow Jesus, both cry out to him and ask for healing; not each for himself, but together, as one. Significantly, they say to Christ: Have mercy on us. On “us”, not on “me”. They ask for help together. This is an eloquent sign of the Christian life and the distinctive trait of the ecclesial spirit: to think, to speak and to act as “we”, renouncing the individualism and the sense of self-sufficiency that infect the heart.

In the sharing of their suffering and their fraternal friendship, these two blind men have much to teach us. Each of us is blind in some way as a result of sin, which prevents us from “seeing” God as our Father and one another as brothers and sisters. For that is what sin does; it distorts reality: it makes us see God as a tyrant and each other as problems. It is the work of the tempter, who distorts things, putting them in a negative light, in order to make us fall into despair and bitterness. And then we become prey to a terrible sadness, which is dangerous and not from God. We must not face the darkness alone. If we bear our inner blindness alone, we can become overwhelmed. We need to stand beside one another, to share our pain and to face the road ahead together.

Dear brothers and sisters, faced with our own inner darkness and the challenges before us in the Church and in society, we are called to renew our sense of fraternity. If we remain divided, if each person thinks only of himself or herself, or his or her group, if we refuse to stick together, if we do not dialogue and walk together, we will never be completely healed of our blindness. Healing takes place when we carry our pain together, when we face our problems together, when we listen and speak to one another. That is the grace of living in community, of recognizing how important it is to be together, to be community. This is what I ask for you: that you always remain together, always united; that you go forward together with joy as Christian brothers and sisters, children of the one Father. And I ask it for myself as well.

And now, the third step: They joyfully proclaimed the Good News. After Jesus healed them, the two men in Gospel, in whom we can see a reflection of ourselves, began to spread the good news to the entire region, the talk about it everywhere. There is a bit of irony in this. Jesus had told them to tell no one what had happened, yet they do exactly the opposite (cf. Mt 9:30-31). From what we are told, it is clear that their intention was not to disobey the Lord; they were simply unable to contain their excitement at their healing and the joy of their encounter with Jesus. This is another distinctive sign of the Christian: the irrepressible joy of the Gospel, which “fills the hearts and lives of all who encounter Jesus” (Evangelii Gaudium, 1); the joy of the Gospel naturally leads to witness and frees us from the risk of a private, gloomy and querulous faith.

Dear brothers and sisters, it is good to see you living with joy the liberating message of the Gospel. I thank you for this. It is not proselytism – please, never engage in proselytism! – but witness; not a moralism that judges but a mercy that embraces; not superficial piety but love lived out. I encourage you to keep advancing on this path. Like the two blind men in the Gospel, let us ourselves once more encounter Jesus, and come out of ourselves to be fearless witnesses of Jesus to all whom we meet! Let us go forth, carrying the light we have received. Let us go forth to illuminate the night that often surrounds us! We need enlightened Christians, but above all those who are light-filled, those who can touch the blindness of our brothers and sisters with tender love and with gestures and words of consolation that kindle the light of hope amid the darkness. Christians who can sow the seeds of the Gospel in the parched fields of everyday life, and bring warmth to the wastelands of suffering and poverty.

Brothers and sisters, the Lord Jesus is also passing through the streets of Cyprus, our streets, hearing the cries of our blindness. He wants to touch our eyes, to touch our hearts, and to lead us to the light, to give us spiritual rebirth and new strength. That is what Jesus wants to do. He asks us the same question that he asked the two blind men: “Do you believe that I am able to do this?” (Mt 9:28). Do we believe that Jesus can do this? Let us renew our faith in him. Let us say to him: Jesus, we believe that your light is greater than our darkness; we believe that you can heal us, that you can renew our fellowship, that you can increase our joy. With the entire Church, let us pray: Come, Lord Jesus! [All repeat: “Come, Lord Jesus!]

[01682-EN.01] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Als Jesus vorbeikommt, schreien zwei Blinde ihm ihre Not und ihre Hoffnung entgegen: »Hab Erbarmen mit uns, Sohn Davids!« (Mt 9,27). „Sohn Davids“ war ein Titel, der dem Messias zugeschrieben wurde, den die Prophezeiungen als aus dem Geschlecht Davids stammend ankündigten. Die beiden Protagonisten des heutigen Evangeliums sind also blind, und doch sehen sie das, was zählt: Sie erkennen Jesus als den Messias, der in die Welt gekommen ist. Lasst uns auf drei Passagen dieser Begegnung näher eingehen. Sie können uns helfen, auf diesem Weg des Advents unsererseits den kommenden Herrn zu empfangen, den Herrn, der kommt.

Der erste Schritt: zu Jesus gehen, um Heilung zu erlangen. Im Text heißt es, dass die beiden Blinden zum Herrn riefen, während sie ihm folgten (vgl. V. 27). Sie sehen ihn nicht, aber sie hören seine Stimme und folgen seinen Schritten. Sie suchen in Christus das, was die Propheten vorausgesagt hatten, nämlich die Zeichen der Heilung und des Erbarmens Gottes in der Mitte seines Volkes. In diesem Zusammenhang hatte Jesaja geschrieben: »Dann werden die Augen der Blinden aufgetan« (35,5). Und eine weitere Prophezeiung, die in der heutigen Ersten Lesung enthalten ist, sagt: »Aus Dunkel und Finsternis werden die Augen der Blinden sehen« (29,18). Die beiden Männer im Evangelium vertrauen Jesus und folgen ihm, um ihr Augenlicht zu finden.

Und warum, liebe Brüder und Schwestern, vertrauen diese beiden Menschen Jesus? Weil sie erkennen, dass Er im Dunkel der Geschichte das Licht ist, das die Nächte des Herzens und der Welt erhellt, das die Finsternis besiegt und alle Blindheit überwindet. Wir wissen, dass es auch in unserem Herzen blinde Flecken gibt. Wie die beiden Blinden sind auch wir Wanderer inmitten der Dunkelheit des Lebens. Das erste, was zu tun ist, ist, zu Jesus zu gehen, so wie er selbst sagt: »Kommt alle zu mir, die ihr mühselig und beladen seid! Ich will euch erquicken« (Mt 11,28). Wer von uns ist nicht in irgendeiner Weise müde und beladen? Alle. Aber wir weigern uns, auf Jesus zuzugehen; oft ziehen wir es vor, in uns selbst verschlossen zu bleiben, mit unserer Dunkelheit allein zu sein, uns ein wenig selbst zu bemitleiden und die schlechte Gesellschaft der Traurigkeit zu akzeptieren. Jesus ist der Arzt: Nur er, das wahre Licht, das jeden Menschen erleuchtet (vgl. Joh 1,9), er schenkt uns die Fülle des Lichtes, der Wärme und der Liebe. Er allein befreit das Herz von allem Übel. Wir können uns fragen: Schließe ich mich in der Dunkelheit der Melancholie ein, die die Quellen der Freude versiegen lässt, oder gehe ich zu Jesus und bringe ihm mein Leben? Folge ich Jesus nach, „jage“ ich ihm nach, schreie ich ihm meine Not entgegen, übergebe ich ihm meine Bitterkeit? Lasst uns das tun, geben wir Jesus Gelegenheit, unsere Herzen zu heilen. Dies ist der erste Schritt; die innere Heilung erfordert zwei weitere Schritte.

Der zweite besteht darin, die Wunden gemeinsam zu tragen. In dieser Erzählung des Evangeliums gibt es keine Heilung eines einzelnen Blinden, wie z.B. bei Bartimäus (vgl. Mk 10,46-52) oder dem Blindgeborenen (vgl. Joh 9,1-41). Hier ist von zwei Blinden die Rede. Sie sind gemeinsam unterwegs. Gemeinsam leiden sie an ihrem Zustand, gemeinsam sehnen sie sich nach einem Licht, das ihre Dunkelheit erhellen kann. Im Text, den wir gehört haben, steht alles im Plural, denn die beiden tun alles gemeinsam: beide folgen Jesus, beide rufen zu ihm und bitten um Heilung; nicht jeder für sich, sondern gemeinsam. Es ist bezeichnend, dass sie zu Christus sagen: Hab Erbarmen mit uns. Sie verwenden das Wort „uns“, sie sagen nicht „mir“. Sie denken nicht nur an ihre eigene Blindheit, sondern bitten gemeinsam um Hilfe. Das ist Ausdruck des christlichen Lebens, das ist das charakteristische Merkmal einer kirchlichen Gesinnung: als „wir“ zu denken, zu sprechen und zu handeln und dabei den Individualismus und die Anmaßung der Selbstgenügsamkeit hinter sich zu lassen, die das Herz krank machen.

Die beiden blinden Männer lehren uns mit ihrem gemeinsam getragenen Leiden und ihrer brüderlichen Freundschaft viel. Jeder von uns ist in gewisser Weise blind aufgrund der Sünde, die uns daran hindert, Gott als Vater und die anderen als Brüder und Schwestern zu „sehen“. Das ist es, was die Sünde tut, sie verzerrt die Realität: Sie bringt uns dazu, Gott als Herrscher und die anderen Menschen als Probleme anzusehen. Das ist das Werk des Versuchers, der die Dinge verfälscht und dazu bestrebt ist, sie uns in einem negativen Licht zu zeigen, um uns in Verzweiflung und Bitterkeit zu stürzen. Und die hässliche Traurigkeit, die gefährlich ist und nicht von Gott kommt, lauert in der Einsamkeit. Deshalb kann man gegen die Dunkelheit nicht allein angehen. Wenn wir unsere innere Blindheit allein tragen, sind wir überfordert. Wir müssen uns gegenseitig beistehen, unsere Wunden teilen und den Weg gemeinsam aufnehmen.

Liebe Brüder und Schwestern, angesichts aller persönlichen Dunkelheiten und der Herausforderungen, denen wir in Kirche und Gesellschaft gegenüberstehen, sind wir gerufen, die Geschwisterlichkeit zu erneuern. Wenn wir unter uns gespalten bleiben, wenn jeder nur an sich selbst oder an die Seinen denkt, wenn wir uns nicht zusammentun, nicht miteinander reden, nicht gemeinsam gehen, können wir von unserer Blindheit nicht vollständig geheilt werden. Die Heilung kommt, wenn wir unsere Wunden gemeinsam tragen, wenn wir uns unseren Problemen gemeinsam stellen, wenn wir einander zuhören und miteinander reden. Und dies ist die Gnade des Gemeinschaftslebens, die Gnade, den Wert des Zusammenseins und des In-Gemeinschaft-Seins zu verstehen. Das wünsche ich euch: Möget ihr immer zusammen sein, möget ihr immer vereint sein; möget ihr auf diese Weise und mit Freude voranschreiten: als christliche Brüder und Schwestern, Kinder des einen Vaters. Und ich wünsche mir das auch für uns.

Und nun der dritte Schritt: das Evangelium mit Freude zu verkünden. Nachdem sie gemeinsam von Jesus geheilt wurden, beginnen die beiden anonymen Protagonisten des Evangeliums, in denen wir uns wiederfinden können, die Nachricht in der ganzen Region zu verbreiten und überall davon zu sprechen. Darin liegt eine gewisse Ironie: Jesus hatte ihnen geboten, niemandem etwas zu sagen, doch sie tun genau das Gegenteil (vgl. Mt 9,30-31). Aus der Geschichte geht jedoch hervor, dass sie nicht die Absicht haben, dem Herrn ungehorsam zu sein; sie können einfach ihre Begeisterung darüber, geheilt worden zu sein, ihre Freude über das, was sie in der Begegnung mit ihm erlebt haben, nicht verbergen. Und hier begegnen wir einem weiteren Unterscheidungsmerkmal des Christlichen: die Freude des Evangeliums, die unbändig ist, »erfüllt das Herz und das gesamte Leben derer, die Jesus begegnen« (Apostolisches Schreiben Evangelii Gaudium, 1); die Freude des Evangeliums befreit uns von der Gefahr eines gefühlsmäßigen, todernsten und jammernden Glaubens, und führt zur Dynamik des Glaubenszeugnisses.

Liebe Freunde, es ist schön, euch zu sehen und festzustellen, dass ihr die befreiende Botschaft des Evangeliums mit Freude lebt. Ich danke euch dafür. Es geht nicht um Proselytenmacherei – bitte kein Proselytismus! – sondern um Zeugnis; nicht um Moralismus, der verurteilt – nein, tut das nicht – sondern um Barmherzigkeit, die umarmt; nicht um äußeren Kult, sondern um gelebte Liebe. Ich ermutige euch, auf diesem Weg weiterzugehen: Wie die beiden Blinden im Evangelium wollen auch wir unsere Begegnung mit Jesus erneuern und furchtlos aus uns herausgehen, um allen, denen wir begegnen, von ihm Zeugnis zu geben! Lasst uns hinausgehen, um das Licht weiterzugeben, das wir empfangen haben, lasst uns hinausgehen, um die Nacht zu erhellen, die uns oft umgibt! Brüder und Schwestern, es braucht erleuchtete, vor allem aber leuchtende Christen, die die Blindheit ihrer Brüder und Schwestern liebevoll berühren; die mit Gesten und Worten des Trostes Lichter der Hoffnung in der Dunkelheit entzünden. Christen, die die Saat des Evangeliums in die trockenen Felder des Alltags säen, die die Einsamkeit des Leidens und der Armut mit ihrer Liebe erfüllen.

Brüder und Schwestern, unser Herr Jesus kommt zu uns, er geht auch durch unsere Straßen Zyperns, er hört den Schrei unserer Blindheit, er will unsere Augen berühren, will unsere Herzen berühren, uns zum Licht führen, uns neues Leben schenken und innerlich aufrichten. Das will Jesus tun. Und er richtet die Frage, die er den blinden Männern stellte, auch an uns: »Glaubt ihr, dass ich dies tun das kann?« (Mt 9,28). Glauben wir, dass Jesus dies tun kann? Lasst uns unser Vertrauen in ihn erneuern! Sagen wir zu ihm: Jesus, wir glauben, dass dein Licht größer ist als all unsere Dunkelheit; wir glauben, dass du uns heilen kannst, dass du unsere Geschwisterlichkeit erneuern kannst, dass du unsere Freude vermehren kannst; und mit der ganzen Kirche rufen wir zu dir, alle zusammen: Komm, Herr Jesus! [Alle wiederholen: „Komm, Herr Jesus!“] Komm, Herr Jesus! [Alle: „Komm, Herr Jesus!“] Komm, Herr Jesus! [Alle: „Komm, Herr Jesus!“]

[01682-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

Mientras Jesús pasaba, dos ciegos le expresaban a gritos su miseria y su esperanza: «¡Hijo de David, ten piedad de nosotros!» (Mt 9,27). “Hijo de David” era un título atribuido al Mesías, que las profecías anunciaban como proveniente de la estirpe de David. Los dos protagonistas del Evangelio de hoy son ciegos y, sin embargo, ven lo más importante: reconocen a Jesús como el Mesías que ha venido al mundo. Detengámonos en tres pasos de este encuentro que, en este camino de adviento, pueden ayudarnos a acoger al Señor que viene, al Señor que pasa.

El primer paso: ir a Jesús para sanar. El texto dice que los dos ciegos gritaban al Señor mientras lo seguían (cf. v. 27). No lo veían, pero escuchaban su voz y seguían sus pasos. Buscaban en el Cristo lo que habían preanunciado los profetas, es decir, los signos de curación y de compasión de Dios en medio de su pueblo. A este respecto, Isaías había escrito: «Se despegarán los ojos de los ciegos» (35,5). Y otra profecía, incluida en la primera Lectura de hoy: «Los ojos de los ciegos verán sin sombra ni oscuridad» (29,18). Los dos ciegos del Evangelio se fían de Jesús y lo siguen en busca de luz para sus ojos.

¿Y por qué, hermanos y hermanas, estas dos personas se fían de Jesús? Porque perciben que, en la oscuridad de la historia, Él es la luz que ilumina las noches del corazón y del mundo, que derrota las tinieblas y vence toda ceguera. También nosotros, como los dos ciegos, tenemos cegueras en el corazón. También nosotros, como los dos ciegos, somos viajeros a menudo inmersos en la oscuridad de la vida. Lo primero que hay que hacer es acudir a Jesús, como Él mismo dijo: «Vengan a mí todos los cansados y abrumados por cargas, y yo los haré descansar» (Mt 11,28). ¿Quién de nosotros no está de alguna manera cansado y abrumado? Todos. Pero nos resistimos a ir hacia Jesús; muchas veces preferimos quedarnos encerrados en nosotros mismos, estar solos con nuestras oscuridades, autocompadecernos, aceptando la mala compañía de la tristeza. Jesús es el médico, sólo Él, la luz verdadera que ilumina a todo hombre (cf. Jn 1,9), nos da luz, calor y amor en abundancia. Sólo Él libera el corazón del mal. Podemos preguntarnos: ¿me encierro en la oscuridad de la melancolía, que reseca las fuentes de la alegría, o voy al encuentro de Jesús y le ofrezco mi vida? ¿Sigo a Jesús, lo “persigo”, le grito mis necesidades, le entrego mis amarguras? Hagámoslo, démosle a Jesús la posibilidad de curarnos el corazón: este es el primer paso; la curación interior requiere otros dos.

El segundo paso es llevar las heridas juntos. En este relato evangélico no se cura a un solo ciego, como por ejemplo, en el caso de Bartimeo (cf. Mc 10,46-52) o del ciego de nacimiento (cf. Jn 9,1-41). Aquí los ciegos son dos. Se encuentran juntos en el camino. Juntos comparten el dolor por su condición, juntos desean una luz que pueda hacer brillar un resplandor en el corazón de sus noches. El texto que hemos escuchado está siempre en plural, porque los dos hacen todo juntos: ambos siguen a Jesús, ambos, dirigiéndose a Él, le piden la curación a gritos; no cada uno por su lado, sino juntos. Es significativo que digan a Cristo: ten piedad de nosotros. Usan el “nosotros”, no dicen “yo”. No piensa cada uno en su propia ceguera, sino que piden ayuda juntos. Este es el signo elocuente de la vida cristiana, el rasgo distintivo del espíritu eclesial: pensar, hablar y actuar como un “nosotros”, saliendo del individualismo y de la pretensión de la autosuficiencia que enferman el corazón.

Los dos ciegos, al compartir sus sufrimientos y con su amistad fraterna, nos enseñan mucho. Cada uno de nosotros de algún modo está ciego a causa del pecado, que nos impide “ver” a Dios como Padre y a los otros como hermanos. Esto es lo que hace el pecado: distorsiona la realidad, nos hace ver a Dios como el amo y a los otros como problemas. Es la obra del tentador, que falsifica las cosas y tiende a mostrárnoslas bajo una luz negativa para arrojarnos en el desánimo y la amargura. Y la horrible tristeza, que es peligrosa y no viene de Dios, anida bien en la soledad. Por tanto, no se puede afrontar la oscuridad estando solos. Si llevamos solos nuestras cegueras interiores, nos vemos abrumados. Necesitamos ponernos uno junto al otro, compartir las heridas y afrontar el camino juntos.

Queridos hermanos y hermanas, frente a cada oscuridad personal y a los desafíos que se nos presentan en la Iglesia y en la sociedad estamos llamados a renovar la fraternidad. Si permanecemos divididos entre nosotros, si cada uno piensa sólo en sí mismo o en su grupo, si no nos juntamos, si no dialogamos, si no caminamos unidos, no podremos curar la ceguera plenamente. La curación llega cuando llevamos juntos las heridas, cuando afrontamos juntos los problemas, cuando nos escuchamos y hablamos entre nosotros. Y esta es la gracia de vivir en comunidad, de comprender el valor de estar juntos, de ser comunidad. Pido para ustedes que puedan estar siempre juntos, siempre unidos; seguir adelante así y con alegría, hermanos cristianos, hijos del único Padre. Y lo pido también para mí.

Y el tercer paso es anunciar el Evangelio con alegría. Después de haber sido curados juntos por Jesús, los dos protagonistas anónimos del Evangelio, en los que podemos reflejarnos, comenzaron a difundir la noticia en toda la región, a hablar de eso en todas partes. Hay un poco de ironía en este hecho: Jesús les había recomendado que no dijeran nada a nadie, sin embargo, ellos hicieron exactamente lo contrario (cf. Mt 9,30-31). Pero por el relato se entiende que no era su intención desobedecer al Señor, sino que simplemente no lograron contener el entusiasmo por haber sido curados y la alegría por lo que habían vivido en el encuentro con Él. Aquí hay otro signo distintivo del cristiano: la alegría del Evangelio, que es incontenible, «llena el corazón y la vida entera de los que se encuentran con Jesús» (Exhort. ap. Evangelii gaudium, 1); la alegría del Evangelio libera del riesgo de una fe intimista, distante y quejumbrosa, e introduce en el dinamismo del testimonio.

Queridos amigos, es hermoso verlos y percibir que viven con alegría el anuncio liberador del Evangelio: les agradezco por esto. No se trata de proselitismo —por favor, nunca hagan proselitismo—, sino de testimonio; no es moralismo que juzga —no, no lo hagan—, sino misericordia que abraza; no se trata de culto exterior, sino de amor vivido. Los animo a seguir adelante en este camino. Como los dos ciegos del Evangelio, renovemos también nosotros el encuentro con Jesús y salgamos de nosotros mismos sin miedo para testimoniarlo a cuantos encontremos. Salgamos a llevar la luz que hemos recibido, salgamos a iluminar la noche que a menudo nos rodea. Hermanos y hermanas, se necesitan cristianos iluminados, pero sobre todo luminosos, que toquen con ternura las cegueras de los hermanos, que con gestos y palabras de consuelo enciendan luces de esperanza en la oscuridad; cristianos que siembren brotes de Evangelio en los áridos campos de la cotidianidad, que lleven caricias a las soledades del sufrimiento y de la pobreza.

Hermanos, hermanas, el Señor Jesús pasa, también pasa por nuestras calles de Chipre, escucha el grito de nuestras cegueras, quiere tocar nuestros ojos, quiere tocar nuestro corazón, quiere atraernos hacia la luz, hacernos renacer y reanimarnos interiormente: esto quiere hacer Jesús. Y también a nosotros nos dirige la pregunta que hizo a aquellos ciegos: «¿Creen que puedo hacer esto?» (Mt 9,28). ¿Creemos que Jesús pueda hacer esto? Renovemos nuestra confianza en Él. Digámosle: Jesús, creemos que tu luz es más grande que cualquiera de nuestras tinieblas, creemos que Tú puedes curarnos, que Tú puedes renovar nuestra fraternidad, que puedes multiplicar nuestra alegría; y con toda la Iglesia te invocamos, todos juntos: ¡Ven, Señor Jesús! [todos repiten: “¡Ven, Señor Jesús!”] ¡Ven, Señor Jesús! [todos repiten: “¡Ven, Señor Jesús!”] ¡Ven, Señor Jesús! [todos repiten: “¡Ven, Señor Jesús!”]

[01682-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

Quando Jesus passava, dois cegos clamam por Ele referindo a sua miséria e esperança: «Filho de David, tem misericórdia de nós» (Mt 9, 27). «Filho de David» era um título atribuído ao Messias, que as profecias anunciavam ser da linhagem de David. Assim, os dois protagonistas do Evangelho de hoje são cegos e, contudo, veem o que mais conta: reconhecem Jesus como o Messias que veio ao mundo. Detenhamo-nos nos três passos deste encontro, que nos podem ajudar, neste caminho de Advento, a acolher por nossa vez o Senhor que vem, o Senhor que passa.

O primeiro passo: ir ter com Jesus para ser curado. O texto afirma que os dois cegos clamavam pelo Senhor, enquanto O seguiam (cf. 9, 27). Não O veem, mas ouvem a sua voz e seguem os seus passos. Procuram em Cristo aquilo que predisseram os profetas, ou seja, os sinais de cura e compaixão de Deus no meio do seu povo. A este respeito, escrevera Isaías: «abrir-se-ão os olhos do cego» (35, 5). E noutra profecia, contida aliás na primeira Leitura de hoje: «livres da escuridão e das trevas, os olhos dos cegos verão» (29, 18). Os dois do Evangelho confiam em Jesus e seguem-No à procura de luz para os seus olhos.

E por que motivo, irmãos e irmãs, confiam em Jesus estas duas pessoas? Porque percebem que Ele, na escuridão da história, é a luz que ilumina as noites do coração e do mundo, derrota as trevas e vence toda a cegueira. Como sabemos, também nós trazemos a cegueira no coração. Também nós, como os dois cegos, somos caminhantes muitas vezes imersos nas trevas da vida. A primeira coisa a fazer é ir ter com Jesus, como Ele próprio nos pede: «Vinde a Mim, todos os que estais cansados e oprimidos, que Eu hei de aliviar-vos» (Mt 11, 28). E quem dentre nós não está de alguma forma cansado e oprimido? Todos. Todavia sentimos relutância a encaminhar-nos para Jesus; muitas vezes preferimos ficar fechados em nós mesmos, ficar sozinhos com as nossas trevas, lamentar-nos um pouco da nossa sorte, aceitando a má companhia da tristeza. Jesus é o médico: só Ele – a luz verdadeira que a todo o homem ilumina (cf. Jo 1, 9) – nos dá em abundância luz, calor, amor. Só Ele liberta o coração do mal. Podemos interrogar-nos: fecho-me na escuridão da melancolia, que seca as fontes da alegria, ou vou ter com Jesus apresentando-Lhe a minha vida? Sigo Jesus, vou atrás d’Ele, clamo para Ele as minhas necessidades, entrego-Lhe as minhas amarguras? Façamo-lo; demos a Jesus a possibilidade de nos curar o coração. Este é o primeiro passo; a cura interior requer mais dois.

O segundo é suportar, juntos, as feridas. Nesta narração evangélica, não temos a cura só de um cego, como por exemplo nos casos de Bartimeu (cf. Mc 10, 46-52) ou do cego de nascença (cf. Jo 9, 1-41). Aqui, os cegos são dois. Vão juntos pela estrada. Juntos, partilham a pena da sua condição, juntos desejam uma luz que possa acender um clarão no coração das suas noites. O texto que ouvimos está sempre no plural, porque os dois fazem tudo juntos: ambos seguem Jesus, ambos clamam para Ele e pedem a cura; não cada um para si mesmo, mas juntos. É significativo ouvi-los dizer a Cristo: tem misericórdia de nós. Usam «nós»; não dizem «de mim». Não pensa cada qual na própria cegueira, mas pedem ajuda juntos. Eis o sinal eloquente da vida cristã, eis o traço distintivo do espírito eclesial: pensar, falar, agir como um «nós», saindo do individualismo e da pretensão de autossuficiência que fazem adoecer o coração.

Os dois cegos ensinam-nos tanto com a partilha das suas tribulações e a sua amizade fraterna. Cada um de nós está de algum modo cego por causa do pecado, que nos impede de «ver» Deus como Pai e os outros como irmãos. O que faz o pecado é desvirtuar a realidade: faz-nos ver Deus como patrão e os outros como problemas. É a obra do tentador, que falsifica as coisas e tende a mostrar-no-las sob uma luz negativa para nos lançar no desconforto e na amargura. E a má tristeza, que é perigosa e não vem de Deus, aninha-se bem na solidão. Por isso não se pode enfrentar a escuridão sozinho. Se levarmos sozinhos as nossas cegueiras interiores, somos sufocados. Precisamos de colocar-nos um ao lado do outro, partilhar as feridas, enfrentar juntos a estrada.

Queridos irmãos e irmãs, perante toda a escuridão pessoal e os desafios que enfrentamos na Igreja e na sociedade, somos chamados a renovar a fraternidade. Se permanecermos divididos entre nós, se cada um pensar apenas em si mesmo ou no seu grupo, se não nos relacionarmos, não dialogarmos, não caminharmos unidos, não nos poderemos curar plenamente da cegueira. A cura verifica-se quando carregamos juntos as feridas, quando enfrentamos juntos os problemas, quando nos ouvimos e conversamos. E esta é a graça de viver em comunidade, de compreender o valor de estar juntos, de estar em comunidade. Peço, para vós, que possais estar sempre juntos, viver sempre unidos e prosseguir jubilosamente assim: irmãos cristãos, filhos do único Pai. E peço-o também para mim.

E eis o terceiro passo: anunciar o Evangelho com alegria. Depois de terem sido curados juntos por Jesus, os dois anónimos protagonistas do Evangelho, em quem nos podemos espelhar, começam a propagar a notícia por toda a região, a falar disso por todo o lado. Há um pouco de ironia no caso: Jesus recomendara-lhes que não dissessem nada a ninguém, mas eles fazem exatamente o contrário (cf. Mt 9, 30-31). No entanto, compreende-se da narração que não é intenção deles desobedecer ao Senhor; simplesmente não conseguem conter o entusiasmo de terem sido curados, a alegria pelo que viveram no encontro com Ele. E aqui está outro sinal distintivo do cristão: a alegria do Evangelho, que é irreprimível, «enche o coração e a vida inteira daqueles que se encontram com Jesus» (Francisco, Exort. ap. Evangelii gaudium, 1); a alegria do Evangelho livra do risco duma fé intimista, sisuda e lamurienta, e introduz no dinamismo do testemunho.

Caríssimos, é bom ver-vos e verificar que viveis com alegria o anúncio libertador do Evangelho. Agradeço-vos por isso. Não se trata de proselitismo (por favor, nunca façamos proselitismo), mas de testemunho; nem dum moralismo que condena (não, não façamos isto), mas de misericórdia que abraça; nem de culto exterior, mas de amor vivido. Encorajo-vos a prosseguir por este caminho: como os dois cegos do Evangelho, renovemos também nós o encontro com Jesus e saiamos de nós próprios sem medo para O testemunhar a quantos encontramos. Saiamos levando a luz que recebemos, saiamos iluminando a noite que frequentemente nos rodeia. Irmãos e irmãs, há necessidade de cristãos iluminados, mas sobretudo luminosos, que toquem com ternura a cegueira dos irmãos; que acendam, com gestos e palavras de consolação, luzes de esperança na escuridão. Cristãos que plantem rebentos de Evangelho nos campos áridos da vida quotidiana, levem carícias às solidões do sofrimento e da pobreza.

Irmãos, irmãs, o Senhor Jesus passa… passa também pelas nossas estradas de Chipre, escuta o clamor das nossas cegueiras, quer tocar os nossos olhos, quer tocar o nosso coração, fazer-nos abrir à luz, renascer, levantar-nos interiormente: isto é o que Jesus quer fazer. E dirige também a nós a pergunta que fez àqueles cegos: «Credes que tenho poder para fazer isso?» (Mt 9, 28). Cremos que Jesus possa fazer isso? Renovemos a nossa confiança n’Ele. Digamos-Lhe: Jesus, acreditamos que a vossa luz é maior do que qualquer uma das nossas trevas; cremos que Vós podeis curar-nos, que Vós podeis renovar a nossa fraternidade, que podeis multiplicar a nossa alegria; e, com toda a Igreja, Vos invocamos todos juntos: Vinde, Senhor Jesus! [todos repetem: «Vinde, Senhor Jesus!»] Vinde, Senhor Jesus! [todos: «Vinde, Senhor Jesus!»] Vinde, Senhor Jesus!

[01682-PO.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Dwaj niewidomi, gdy Jezus przechodzi obok, wykrzykują Mu swoją nędzę i swoją nadzieję: „Ulituj się nad nami, Synu Dawida!” (Mt 9, 27). „Syn Dawida” był tytułem przypisywanym Mesjaszowi, którego proroctwa zapowiadały, jako pochodzącego z rodu Dawida. Dwaj bohaterowie dzisiejszej Ewangelii są zatem niewidomi, a jednak widzą to, co najważniejsze: uznają Jezusa za Mesjasza, który przyszedł na świat. Zatrzymajmy się nad trzema etapami tego spotkania. Mogą one pomóc nam, na tej adwentowej drodze, w przyjęciu Pana, który przychodzi, Pana, który przechodzi.

Pierwszy etap: pójść do Jezusa, by zostać uzdrowionym. Tekst mówi, że dwaj niewidomi wołali do Pana, gdy szli za Nim (por. w. 27). Nie widzą Go, ale słyszą Jego głos i podążają za Jego krokami. Szukają w Chrystusie tego, co przepowiedzieli prorocy, to znaczy znaków uzdrowienia i współczucia Boga pośród swego ludu. W tym kontekście, Izajasz napisał: „przejrzą oczy niewidomych (35, 5). A także jeszcze jedno proroctwo, zawarte w dzisiejszym pierwszym czytaniu: „oczy niewidomych, wolne od mroku i od ciemności, będą widziały” (29, 18). Ci dwaj z Ewangelii ufają Jezusowi i idą za Nim w poszukiwaniu światła dla swoich oczu.

Bracia i siostry, dlaczego ci dwaj ludzie ufają Jezusowi? Ponieważ dostrzegają, że w mrokach historii jest On światłem, które rozświetla noce serca i świata, które pokonuje ciemności i przezwycięża wszelką ślepotę. Również my to wiemy, także i my nosimy ślepotę w naszych sercach. Podobnie jak dwaj niewidomi, my również jesteśmy wędrowcami, często pogrążonymi w ciemnościach życia. Zatem pierwszą rzeczą, którą należy zrobić, jest pójście do Jezusa, jak On sam o to prosi: „Przyjdźcie do Mnie wszyscy, którzy utrudzeni i obciążeni jesteście, a Ja was pokrzepię” (Mt 11, 28). Któż z nas nie jest w jakiś sposób zmęczony i obciążony? Wszyscy. Jednakże stawiamy opór przed pójściem do Jezusa. Często wolimy pozostać zamknięci w sobie, pozostać sami ze swoimi ciemnościami, trochę się nad sobą poużalać, przyjmując złe towarzystwo smutku. Lekarzem jest Jezus: tylko On, prawdziwa światłość, która oświeca każdego człowieka (por. J 1, 9), On daje nam obfitość światła, ciepła, miłości. Jedynie On uwalnia serce od zła. Możemy zadać sobie pytanie: czy zamykam się w ciemności melancholii, która wysusza źródła radości, czy też idę do Jezusa i przynoszę Mu moje życie? Czy idę za Jezusem, czy „ruszam” za Nim, czy wykrzykuję Mu swoje potrzeby, czy oddaję Mu swoje rozgoryczenie? Zróbmy to, dajmy Jezusowi możliwość uzdrowienia naszych serc. To jest pierwszy krok, ale uzdrowienie wewnętrzne wymaga uczynienia jeszcze dwóch.

Drugim jest wspólne niesienie ran. W tym opowiadaniu ewangelicznym nie ma uzdrowienia pojedynczego niewidomego, jak na przykład w przypadku Bartymeusza (por. Mk 10, 46-52) czy człowieka niewidomego od urodzenia (por. J 9, 1-41). Tutaj jest dwóch niewidomych. Znajdują się razem w drodze. Razem dzielą cierpienie z powodu swego stanu, razem tęsknią za światłem, które może zabłysnąć w sercu przeżywanych przez nich nocy. Tekst, który słyszeliśmy, mówi zawsze w liczbie mnogiej, ponieważ ci dwaj czynią wszystko razem. Obaj idą za Jezusem, obaj wołają do Niego i proszą o uzdrowienie. Nie każdy sam dla siebie, lecz razem. Znamienne jest to, że mówią do Chrystusa: ulituj się nad nami. Używają słowa „my”, nie mówią: „ja”. Nie myślą o własnej ślepocie, ale wspólnie proszą o pomoc. Oto wymowny znak życia chrześcijańskiego, oto charakterystyczny rys ducha eklezjalnego: myśleć, mówić, działać jako „my”, porzucając indywidualizm i roszczenia samowystarczalności, które powodują niemoc serca.

            Dwaj niewidomi, dzieląc się swoim cierpieniem i braterską przyjaźnią, uczą nas bardzo wiele. Każdy z nas jest w jakiś sposób ślepy z powodu grzechu, który nie pozwala nam „widzieć” Boga jako Ojca, a innych ludzi jako braci. To właśnie czyni grzech: zniekształca rzeczywistość: sprawia, że widzimy Boga jako władcę, a innych jako problemy. Jest to dzieło kusiciela, który fałszuje rzeczy i pragnie nam je ukazać w negatywnym świetle, aby nas pogrążyć w przygnębieniu i zgorzknieniu. To okropny smutek, który jest niebezpieczny, nie pochodzi od Boga i łatwo się wkrada w samotność. Dlatego nie można samemu stawić czoła mrokom. Jeśli zmagamy się z naszą wewnętrzną ślepotę sami, jesteśmy przytłoczeni. Musimy stanąć jeden obok drugiego, dzielić się naszymi ranami, razem wyruszać w drogę.

Drodzy bracia i siostry, w obliczu każdej osobistej ciemności i osobistych wyzwań, jakie przed nami stoją w Kościele i społeczeństwie, jesteśmy wezwani do odnawiania braterstwa. Jeśli będziemy podzieleni między sobą, jeśli każdy będzie myślał tylko o sobie lub o swojej grupie, jeśli nie będziemy się jednoczyli, rozmawiali, ani nie będziemy szli zjednoczeni, to nie będziemy mogli zostać w pełni uzdrowieni z naszych ślepot. Uzdrowienie przychodzi wówczas, gdy wspólnie niesiemy nasze rany, gdy razem stawiamy czoła naszym problemom, gdy słuchamy siebie nawzajem i rozmawiamy ze sobą. Jest to łaska życia we wspólnocie, zrozumienia wartości jaką jest bycie razem, trwanie we wspólnocie. Proszę o to dla was: abyście zawsze mogli być razem, abyście zawsze byli zjednoczeni; obyście w ten sposób szli naprzód z radością: jako bracia chrześcijanie, dzieci jednego Ojca. I proszę o to również dla siebie.

A oto trzeci krok: głosić Ewangelię z radością. Po wspólnym uzdrowieniu przez Jezusa, dwaj anonimowi bohaterowie Ewangelii, w których możemy dostrzec nas samych, zaczynają głosić tę nowinę w całej krainie, mówić o niej wszędzie. Jest w tym fakcie pewna ironia: Jezus polecił im, aby nikomu nic nie mówili, a oni postępują dokładnie odwrotnie (por. Mt 9, 30-31). Z opowiadania jasno jednak wynika, że ich zamiarem nie jest nieposłuszeństwo Panu; po prostu nie mogą opanować swojego entuzjazmu, że zostali uzdrowieni, swojej radości z tego, czego doświadczyli w spotkaniu z Nim. I tu pojawia się kolejny znak rozpoznawczy chrześcijanina: nie dająca się powstrzymać radość Ewangelii, radość, która „napełnia serce oraz całe życie tych, którzy spotykają się z Jezusem” (Adhort. apost. Evangelii gaudium, 1); radość Ewangelii uwalnia nas od zagrożenia wiary wyłącznie prywatnej, przytłaczającej i pełnej narzekania, i wprowadza nas w dynamizm świadectwa.

Najmilsi, pięknie jest widzieć, że żyjecie radością  wyzwalającego głoszenia Ewangelii. Dziękuję wam za to. Nie chodzi tu o prozelityzm – proszę, nie uprawiajcie nigdy prozelityzmu! – ale o świadectwo; nie o moralizowanie, które osądza – nie, nie róbcie tego – ale o miłosierdzie, które bierze w ramiona; nie o kult zewnętrzny, ale o przeżywaną miłość. Zachęcam was do podążania tą drogą: jak dwaj niewidomi z Ewangelii, my również odnówmy nasze spotkanie z Jezusem i wyjdźmy bez lęku z naszych ograniczeń, aby świadczyć o Nim wobec wszystkich, których spotykamy! Wyjdźmy, aby nieść światło, które otrzymaliśmy, wyjdźmy, aby rozświetlić noc, która często nas otacza! Bracia i siostry, potrzeba chrześcijan światłych, ale przede wszystkim jaśniejących, którzy z czułością dotkną ślepoty swoich braci i sióstr; którzy gestami i słowami pocieszenia rozpalą w mrokach światła nadziei. Chrześcijan, którzy sieją ziarno Ewangelii na jałowych polach codziennego życia, którzy przynoszą serdeczność w samotności cierpienia i ubóstwa.

Bracia, siostry, Pan Jezus przechodzi, przechodzi także ulicami Cypru, słyszy wołanie naszej ślepoty, chce dotknąć naszych oczu, chce dotknąć naszych serc, aby wprowadzić nas w światło, abyśmy się odrodzili, abyśmy podnieśli się wewnętrznie: to pragnie robić Jezus. I również do nas kieruje pytanie, które zadał tym niewidomym: „Wierzycie, że mogę to uczynić?”. (Mt 9,28). Czy wierzymy, że Jezus może to uczynić? Odnówmy naszą ufność w Nim! Powiedzmy Mu: Jezu, wierzymy, że Twoje światło jest większe od wszystkich naszych ciemności; wierzymy, że Ty możesz nas uzdrowić, że Ty możesz odnowić nasze braterstwo, że możesz pomnożyć naszą radość; i wraz z całym Kościołem wzywamy Cię, wszyscy razem: Przyjdź, Panie Jezu! [wszyscy powtarzają: „Przyjdź, Panie Jezu!”] Przyjdź, Panie Jezu! [wszyscy: „Przyjdź, Panie Jezu!”] Przyjdź, Panie Jezu! [wszyscy: „Przyjdź, Panie Jezu!”]

[01682-PL.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

الزيارة الرسوليّة إلى قبرص واليونان

عظة قداسة البابا فرنسيس

في القدّاس الإلهيّ

في مدرج GSP في نيقوسيا - قبرص

الجمعة 3 كانون الأوّل / ديسمبر 2021

بينما كان يمر يسوع، صاح أعميان ببؤسهما ورجائهما وقالا له: "رُحْماكَ يا ابْنَ داود!" (متى 9، 27). ”ابْنُ داود“ لقبٌ للمسيح، الذي قالت النبوءات إنّه سيأتي من نسل داود. إنّ بطلَي إنجيل اليوم أعميان، ومع ذلك فقد رَأَيَا ما هو الأهم: اعترفا أنّ يسوع هو المسيح الذي أتى إلى العالم. لنتناول ثلاث مقاطع من هذا اللقاء. يمكنها مساعدتنا، في مسيرة زمن المجيء هذه، لنستقبل بدورنا الرّبّ يسوع الآتي والمار بيننا.

الخطوة الأولى: الذهاب إلى يسوع لنيل الشفاء. قال النص إنّ الأعميَين كانا يصيحان إلى الرّبّ يسوع وهما يتبعانه (راجع الآية ٢٧). لم يَرَياه لكنّهما أصغيا إلى صوته وتبعا خطاه. كانا يبحثان في المسيح عمَّا تنبأ به الأنبياء، أي علامات الشفاء ورحمة الله في وسط شعبه. في هذا الصدّد، كتب أشعيا: "حينَئِذ تتَفتَحُ عُيوِنُ العُمْيان" (35، 5). ووردت نبوءة أخرى في القراءة الأولى لهذا اليوم وهي: "تُبصِرُ عُيونُ العُمْيانِ بَعدَ الدَّيجورِ والظَّلام" (29، 18). وثق الأعميان في الإنجيل بيسوع وتبعاه بحثًا عن النور لأعينهما.

أيّها الإخوة والأخوات، لماذا وثق هذان الشخصان بيسوع؟ لأنّهما أدركا أنّه في ظلمة التاريخ، هو النور الذي ينير ليالي القلب والعالم، والذي يهزم الظلام ويتغلّب على كلّ عمى. نحن أيضًا، كما نعلم ذلك، نحمل أنواعًا من العمى في القلب. نحن أيضًا، مثل الأعميَين، غالبًا ما نكون عابرين وغارقين في ظلام الحياة. أوّل شيء يجب فعله هو أن نذهب إلى يسوع، كما طلب هو نفسه وقال: "تَعالَوا إِليَّ جَميعاً أَيُّها المُرهَقونَ المُثقَلون، وأَنا أُريحُكم" (متى 11، 28). من منّا ليس مرهقًا ومثقلًا بطريقة ما؟ جميعنا. لكنّنا نقاوم بالذهاب إلى يسوع. في كثير من الأحيان نفضّل أن نظلّ منغلقين على أنفسنا، وأن نكون وحدنا مع ظلمتنا، وأن نبكي قليلاً على حالنا، وأن نقبل رفقة الحزن السيئة. يسوع هو الطبيب: هو وحده النور الحقيقي الذي يُنيرُ كلّ إنسان (راجع يوحنا 1، 9)، وهو يعطينا وفرة من النور والدفء والمحبّة. هو وحده الذي يحرّر القلب من الشّرّ. يمكننا أن نسأل أنفسنا: هل أنغلق على نفسي في ظلمة الكآبة التي تجفّف ينابيع الفرح، أم أذهب إلى يسوع وأحمل إليه حياتي؟ هل أتبع يسوع، هل ”أتبعه“، وأصيح خلفه بما أحتاج إليه، وأكلّمه على تحسراتي؟ لنفعل ذلك، ولنمنح يسوع الفرصة ليشفي قلبنا. هذه أوّل خطوة، ويتطلّب الشفاء الداخلي خطوتَين بعدها.

الخطوة الثانية هي أن نحمل الجروح معًا. في هذه الرواية الإنجيليّة، لا يوجد شفاء رجل أعمى واحد، كما في حالة بَرطيماوُس (راجع مرقس 10، 46-52) أو الرجل الأَعْمى مُنذُ مَولِدِه (راجع يوحنا 9، 1-41). هنا أعميان اثنان. كانا معًا على الطريق. ومعًا تشاركا ألم حالتهما، ومعًا رغبا في أن يجدا نورًا يمكن أن يبعث بصيص ضياء في قلب ليلهما. النص الذي أصغينا إليه جاء دائمًا في صيغة الجمع، لأنّ الاثنين فَعَلا كلّ شيء معًا: كلاهما تبعا يسوع، وكلاهما صاحا خلفه وطلبا منه الشفاء، ولم يقم بذلك كلّ واحد لنفسه، بل معًا. ومن المهم أنّهما قالا للمسيح: ارحمنا. لقد استخدما صيغة ”نحن“، ولم يقولا ”أنا“. لم يفكّر كلّ منهما في عمى نفسه، بل طلبا المساعدة معًا. هذه هي العلامة البليغة للحياة المسيحيّة، وهذه هي العلامة المميزة للرّوح الكنسيّة: أن نفكر ونتكلّم ونعمل بصيغة ”نحن“، وأن نخرج من الفردية والادعاء بالاكتفاء الذاتي اللذين يدخلان المرض في القلب.

يعلّمنا الأعميان شيئًا كثيرًا، من خلال مشاركة آلامهما وصداقتهما الأخويّة. كلّ واحدٍ منّا، وبطريقة ما، هو أعمى بسبب الخطيئة التي تمنعنا أن ”نرى“ الله أبًا والآخرين إخوة. هذا ما تفعله الخطيئة، إنّها تشوّه الحقيقة: تجعلنا نرى في الله سيّدًا وفي الآخرين سبب مشاكل. إنّه عمل المُجرّب الذي يُزيّف الأمور ويميل إلى إظهارها لنا في ضوء سلبيّ، حتّى يُلقي بنا في اليأس والمرارة. والحزن القبيح، والخطير والذي لا يأتي من الله، يجد له عشًّا مريحًا في وحدتنا. لذلك، لا يمكننا مواجهة الظّلام وحدنا. إذا حملنا عَمَانا الدّاخلي وحدنا، سنُغلَب. نحن بحاجة إلى أن نقف جنبًا إلى جنب، ونتشارك جراحنا، ونواجه الطّريق معًا.

أيّها الإخوة والأخوات الأعزّاء، نحن مدعوّون، أمام كلّ ظلمة شخصيّة وأمام التّحديات التي نواجهها في الكنيسة والمجتمع، إلى تجديد الأخوّة. إن بقينا منقسمين فيما بيننا، وإن فكّر كلّ واحدٍ في نفسه فقط أو في مجموعته، وإن لم نجتمع معًا، ولم نتحاور، ولم نَسِرْ سويًّا، لا يمكننا أن نتعافى تمامًا مِن كلّ ما هو عَمّى فينا. يأتي الشّفاء عندما نحمل جراحنا معًا، وعندما نواجه مشاكلنا معًا، وعندما نستمع ونتكلّم بعضنا مع بعض. وهذه هي نعمة العيش معًا في جماعة، وإدراك القيمة في أن نكون معًا، وفي أن نكون في جماعة. أَطلُبُ لكم هذه النعمة: أن تقدّروا أن تبقوا دائمًا معًا، وتكونوا دائمًا متّحدين، وتذهبوا قدمًا هكذا وبفرح: إخوةً مسيحيّين، وأبناءَ الآب الواحد. وأَطلُبُ هذا لنفسي أيضًا.

وهذه هي الخطوة الثّالثة: أن نعلن الإنجيل بفرح. بعد أن شفاهما يسوع معًا، أعميا الإنجيل، ولا اسم لهما، ويمكن أن نرى أنفسنا فيهما، بدآ بنشران الخبر في كلّ المنطقة، وتكلّما عنه في كلّ مكان. يوجد بعض السّخرية في هذا الحدث: إذ أوصاهما يسوع ألّا يقولا شيئًا لأحد، لكنّهما فَعَلَا العكسَ تمامًا (راجع متّى 9، 30-31). لكنّا نفهم من القصّة أنّه لم يكن في نيّتهما أن يَعصِيَا الرّبّ يسوع، بل ببساطة، لم يستطيعا أن يخفيا حماسهما لأنّهما شُفيا، والفرح الذي عَاشَاه في اللقاء معه. وهنا يوجد علامة مُمَيِّزة أخرى للمسيحي وهي: فرح الإنجيل، الذي لا يمكن السيطرة عليه، و"يملأ قلب وكلّ حياة الذين يلتقون بيسوع" (الإرشاد الرّسولي، فرح الإنجيل، 1). فرح الإنجيل يحرّر من مخاطر الإيمان المنغلق على الذات، العابس والمتذمر، ثم يدفع إلى ديناميّة الشّهادة.

أيّها الأعزّاء، جميلٌ أن أراكم، وأرى أنّكم تعيشون بفرح بشارة الإنجيل المُحَرِّرة. لهذا أشكركم. إنّها ليست مسألة بحثٍ عن أتباعٍ لنا – من فضلكم، إنّها ليست مسألة بحثٍ عن أتباعٍ لنا! - بل مسألة شهادة، وليست المسألة أن نعلِّم الآخرين وأن نحكم عليهم – لا، لا تفعلوا ذلك، بل مسألة رحمةٍ تعانق الكلّ، وليست مسألة عبادة خارجيّة، بل مسألة حياة هي كلّها محبّة. أشجّعكم على المضيّ قدمًا في هذا الطّريق: مثل الأعميَين في الإنجيل، لنجدّد نحن أيضًا لقاءنا مع يسوع ولنخرج من أنفسنا من دون خوف، ولنشهد له أمام الذين نلتقي بهم! لنخرج ونحمل النّور الذي تلقّيناه، ولنخرج لنضيء الليل الذي يحيط بنا غالبًا! أيّها الإخوة والأخوات، نحن بحاجة إلى مسيحيّين مستنيرين، ولكن قبل كلّ شيء مُنيرين، والذين يلمسون بحنان عمى إخوتهم، وبمبادرات وكلمات معزّية يضيئون أنوار الرّجاء في الظّلام. مسيحيّين يزرعون براعم الإنجيل في حقول الحياة اليوميّة القاحلة، ويحملون المودّة واللطف لمن هم في عزلة الألم والفقر.

أيّها الإخوة والأخوات، يمُرّ الرّبّ يسوع، ويمُرّ أيضًا في شوارعنا في قبرص، ويستمع إلى صراخ كلّ أنواع العمى فينا، ويريد أن يلمس أعيننا وقلوبنا، وينقلنا إلى النّور، لنولد من جديد، وننهض من الدّاخل. هذا ما يريده يسوع. وهو يوجّه إلينا أيضًا السّؤال الذي طرحه على الأعميَين: "أَتُؤمِنانِ بِأَنِّي قادِرٌ على ذٰلِك؟" (متّى 9، 28). هل نؤمن أنّ يسوع قادر على ذلك؟ لنجدّد ثقتنا به! ولنقل له: يا يسوع، نحن نؤمن أنّ نورك أقوى من كلّ ظلماتنا، ونؤمن أنّك أنت قادر أن تشفينا، وأنّك أنت قادر أن تجدّد أخُوَّتنا، وقادر أن تضاعف فرحنا، ومع الكنيسة كلّها ندعوك، كلّنا معًا: تعال أيّها الرّبّ يسوع! [الجميع يردّد: ”تعال أيّها الرّبّ يسوع!“]. تعال أيّها الرّبّ يسوع! [الجميع: ”تعال أيّها الرّبّ يسوع!“]. تعال أيّها الرّبّ يسوع! [الجميع: ”تعال أيّها الرّبّ يسوع!“].

[01682-AR.01] [Testo originale: Italiano]

Saluto del Santo Padre

Testo in lingua italiana

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Testo in lingua italiana

Cari fratelli e sorelle,

sono io che desidero ringraziare tutti voi! Domani mattina avrò modo di salutare il Signor Presidente della Repubblica, qui presente: lo saluterò al momento di congedarmi da questo Paese, ma fin da ora desidero di cuore esprimere a tutti la mia gratitudine per l’accoglienza e l’affetto che mi sono stati riservati. Grazie!

Qui a Cipro sto respirando un po’ di quell’atmosfera tipica della Terra Santa, dove l’antichità e la varietà delle tradizioni cristiane arricchiscono il pellegrino. Questo mi fa bene, e fa bene incontrare comunità di credenti che vivono il presente con speranza, aperti al futuro, e condividono questo orizzonte con i più bisognosi. Penso, in particolare, ai migranti in cerca di una vita migliore, con i quali trascorrerò il mio ultimo incontro su quest’isola, insieme ai fratelli e alle sorelle di varie confessioni cristiane.

Grazie a tutti coloro che hanno collaborato per questa visita! Pregate per me. Il Signore vi benedica e la Madonna vi protegga. Efcharistó! [Grazie!]

[01683-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Chers frères et sœurs,

c'est moi qui souhaite vous remercier tous! Demain matin, j'aurai l'occasion de saluer le Président de la République ici présent: je le saluerai au moment de quitter le pays, mais d'ores et déjà, je tiens à exprimer à vous tous, du fond du cœur, ma gratitude pour l'accueil et l'affection que vous m'avez réservés. Merci!

Ici, à Chypre, je respire un peu de cette atmosphère typique de la Terre Sainte, où l'antiquité et la variété des traditions chrétiennes enrichissent le pèlerin. Cela me fait du bien, et cela fait du bien de rencontrer des communautés de croyants qui vivent le présent avec espérance, ouverts sur l'avenir, et partageant cet horizon avec les plus démunis. Je pense en particulier aux migrants en quête d'une vie meilleure, avec lesquels j’aurai ma dernière rencontre sur cette île, avec les frères et sœurs de diverses confessions chrétiennes.

Merci à tous ceux qui ont collaboré à cette visite! Priez pour moi. Que le Seigneur vous bénisse et que Notre Dame vous protège. Efcharistó [Merci]

[01683-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

Dear brothers and sisters,

I am the one who would like to thank you, all of you! Tomorrow morning, before leaving the country, I will have occasion to bid farewell to the President of the Republic, here present, but right now I would like to express my heartfelt gratitude to everyone for the welcome and affection that you have shown me. Thank you!

Here in Cyprus, I feel something of that atmosphere typical of the Holy Land, where antiquity and the variety of Christian traditions enrich every pilgrim. This is good for me, and it is also encouraging to meet communities of believers who live in the present with hope and openness to the future, and who share this greater vision with those most in need. I think in particular of the migrants in search of a better life, with whom, together with my brothers and sisters of various Christian confessions, I will have my final meeting on this island.

My thanks go to all those who helped to organize this visit! Please pray for me. May the Lord bless you and Our Lady protect you. Efcharistó! [Thank you!]

[01683-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Liebe Brüder und Schwestern,

ich bin es, der euch allen danken will! Morgen früh werde ich Gelegenheit haben, den Herrn Staatspräsidenten zu begrüßen, der hier anwesend ist. Ich werde ihn begrüßen, wenn ich mich von diesem Land verabschiede, aber schon jetzt möchte ich euch allen von ganzem Herzen meinen Dank für die Aufnahme und die Zuneigung aussprechen, die ihr mir entgegengebracht habt. Danke!

Hier auf Zypern atme ich ein wenig von der Atmosphäre, die für das Heilige Land typisch ist, wo die Ursprünglichkeit und Vielfalt der christlichen Traditionen den Pilger bereichern. Das tut mir gut, und es tut gut, Gemeinschaften von Gläubigen zu treffen, die die Gegenwart mit Hoffnung leben, offen für die Zukunft sind und diese Haltung den Bedürftigsten zukommen lassen. Ich denke dabei insbesondere an die Migranten auf der Suche nach einem besseren Leben, mit denen ich mein letztes Treffen auf dieser Insel verbringen werde, und an die Brüder und Schwestern verschiedener christlicher Konfessionen.

Vielen Dank an alle, die an diesem Besuch mitgewirkt haben! Betet für mich. Möge der Herr euch segnen und die Mutter Gottes euch beschützen. Efcharistó! [Danke!]

[01683-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

Queridos hermanos y hermanas:

Soy yo el que desea agradecerles a todos ustedes. Mañana por la mañana, al despedirme de este país, tendré la oportunidad de saludar al señor Presidente de la República, aquí presente, pero ya desde ahora deseo expresar de corazón mi gratitud a todos por la acogida y el afecto que me han brindado. ¡Gracias!

Aquí en Chipre estoy respirando un poco de esa atmósfera típica de Tierra Santa, donde la antigüedad y la variedad de las tradiciones cristianas enriquecen al peregrino. Esto me hace bien, y hace bien encontrar comunidades de creyentes que viven el presente con esperanza, abiertas al futuro, y que comparten este horizonte con los más necesitados. Pienso particularmente en los migrantes que buscan una vida mejor, con los que tendré mi último encuentro en esta isla, junto a los hermanos y hermanas de diversas confesiones cristianas.

Gracias a todos los que han colaborado en esta visita. Recen por mí. Que el Señor los bendiga y la Virgen Santa los proteja. Efcharistó! [¡Gracias!]

[01683-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

Queridos irmãos e irmãs!

Sou eu que desejo agradecer-vos a todos. Amanhã de manhã terei oportunidade de saudar o Senhor Presidente da República, aqui presente: saudá-lo-ei no momento de me despedir deste país, mas desde já quero cordialmente manifestar a todos a minha gratidão pelo acolhimento e o carinho que me reservaram. Obrigado!

Aqui, em Chipre, estou a respirar um pouco daquela atmosfera típica da Terra Santa, onde a antiguidade e a variedade das tradições cristãs enriquecem o peregrino. Isto faz-me bem, como também me ajuda encontrar comunidades de crentes que vivem o presente com esperança, estão abertos ao futuro e partilham este horizonte com os mais necessitados. Penso de modo particular nos migrantes à procura duma vida melhor, com os quais passarei o meu último encontro nesta ilha, juntamente com os irmãos e as irmãs de várias Confissões cristãs.

Obrigado a todos aqueles que colaboraram para esta visita. Rezai por mim. Que o Senhor vos abençoe e Nossa Senhora vos proteja. Efcharistó [obrigado]!

[01683-PO.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Drodzy bracia i siostry,

to ja chciałbym wam wszystkim podziękować! Jutro rano będę miał okazję pozdrowić obecnego tu prezydenta Republiki: pozdrowię go, gdy będę żegnał ten kraj, ale już teraz chciałbym z głębi serca wyrazić wdzięczność wam wszystkim za gościnę i serdeczność, jaką mi okazaliście. Dziękuję!

Tutaj, na Cyprze oddycham trochę tą atmosferą typową dla Ziemi Świętej, gdzie pielgrzyma ubogacają starożytność i różnorodność tradycji chrześcijańskich. Cieszę się i radość sprawia mi spotkanie wspólnoty wierzących, przeżywających teraźniejszość z nadzieją, otwierających się na przyszłość i dzielących się tą perspektywą z najbardziej potrzebującymi. Myślę w szczególności o migrantach poszukujących lepszego życia, z którymi spędzę moje ostatnie spotkanie na tej wyspie, wraz z braćmi i siostrami różnych wyznań chrześcijańskich.

Dziękuję wszystkim, którzy współpracowali przy tej wizycie! Módlcie się za mnie. Niech Pan was błogosławi i niech Matka Boża was chroni. Efcharistó! [Dziękuję!]

[01683-PL.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

الزيارة الرسوليّة إلى قبرص واليونان

تحيّة قداسة البابا فرنسيس

في ختام القدّاس الإلهيّ

في مدرج GSP في نيقوسيا - قبرص

الجمعة 3 كانون الأوّل / ديسمبر 2021

أيّها الإخوة والأخوات الأعزّاء،

أنا الذي أودّ أن أشكركم جميعًا! ستُتاح لي الفرصة صباح الغد لأقدّم التحيّة لرئيس الجمهوريّة، الحاضر هنا: سأحيّيه عندما أغادر هذا البلد، ولكن من الآن أودّ أن أعبِّر من كلّ قلبي عن شكري للجميع على الترحيب والمودّة اللذين غمرتموني به. شكرًا!

هنا في قبرص، أتنفس وأشُمُّ رائحة الجوِّ الخاصّ بالأرض المقدسة، حيث حضارة الأقدمين وتنوّع التقاليد المسيحيّة تغني الحاجَّ إلى هذه الأرض. هذا يسعدني، ويسعدني أن ألتقي جماعة المؤمنين الذين يعيشون الحاضر بأمل، وهم منفتحون على المستقبل، ويشاركون هذا الأفق مع مَن هم أكثر حاجة إليه. أفكر، على وجه الخصوص، في المهاجرين الباحثين عن حياة أفضل، الذين سأقضي معهم آخر لقاء على هذه الجزيرة، مع الإخوة والأخوات من مختلف الطوائف المسيحيّة.

شكرًا لجميع الذين تعاونوا لتحقيق هذه الزيارة! صلّوا من أجلي. ليبارككم الله ولتحميكم سيدتنا مريم العذراء. Efcharistó! [شكرًا!]

[01683-AR.02] [Testo originale: Italiano]

[B0811-XX.02]