Sala Stampa

www.vatican.va

Sala Stampa Back Top Print Pdf
Sala Stampa


Viaggio Apostolico di Sua Santità Francesco a Cipro e in Grecia – Visita di cortesia a Sua Beatitudine Chrysostomos II e Incontro con il Santo Sinodo nella Cattedrale Ortodossa di Cipro, 03.12.2021


Visita di cortesia a Sua Beatitudine Chrysostomos II, Arcivescovo Ortodosso di Cipro

Incontro con il Santo Sinodo nella Cattedrale Ortodossa di Cipro

Visita di cortesia a Sua Beatitudine Chrysostomos II, Arcivescovo Ortodosso di Cipro

Questa mattina, lasciata la Nunziatura Apostolica di Nicosia, il Santo Padre Francesco si è trasferito in auto all’Arcivescovado Ortodosso di Cipro per la Visita di cortesia a Sua Beatitudine Chrysostomos II.

Al Suo arrivo, il Papa è stato accolto all’ingresso principale del Palazzo Arcivescovile da un Rappresentante del Santo Sinodo. All’entrata Sua Beatitudine Chrysostomos II ha dato il benvenuto al Santo Padre Francesco.

Dopo la presentazione delle rispettive Delegazioni e l’incontro in privato e, dopo aver firmato il Libro d’Onore, Papa Francesco si è recato nella Cattedrale Ortodossa per incontrare il Santo Sinodo.

[01698-IT.01]

Incontro con il Santo Sinodo nella Cattedrale Ortodossa di Cipro

Discorso del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Questa mattina, il Santo Padre Francesco ha incontrato il Santo Sinodo nella Cattedrale Ortodossa.

Dopo il discorso di Sua Beatitudine Chrisostomos II, Arcivescovo Ortodosso di Cipro, il Papa ha pronunciato il Suo discorso.

Al termine, dopo lo scambio dei doni, Papa Francesco e Sua Beatitudine Chrisostomos II si sono recati all’ingresso principale della Cattedrale per il congedo. Quindi il Santo Padre si è trasferito in auto al GSP Stadium per la Santa Messa.

Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha pronunciato nel corso dell’incontro con il Santo Sinodo:

Discorso del Santo Padre

Beatitudine, cari Vescovi del Santo Sinodo,

sono lieto di essere tra voi e vi sono grato per la cordiale accoglienza. Grazie, caro Fratello, per le sue parole, per l’apertura del cuore e per l’impegno nel promuovere il dialogo tra di noi. Desidero estendere il mio saluto ai sacerdoti, ai diaconi e ai fedeli tutti della Chiesa ortodossa di Cipro, con un pensiero particolare per i monaci e per le monache, che con la loro preghiera purificano ed elevano la fede di tutti.

La grazia di essere qui mi fa venire alla mente che abbiamo una comune origine apostolica: Paolo attraversò Cipro e in seguito giunse a Roma. Discendiamo dunque dal medesimo ardore apostolico e un’unica via ci collega, quella del Vangelo. Mi piace così vederci in cammino sulla stessa strada, in cerca di una sempre maggiore fraternità e della piena unità. In questo lembo di Terra Santa che diffonde la grazia di quei Luoghi nel Mediterraneo, viene naturale ripensare a tante pagine e figure bibliche. Tra tutte, vorrei fare ancora riferimento a San Barnaba, evidenziando alcuni aspetti che possono orientarci nel cammino.

«Giuseppe, soprannominato dagli Apostoli Barnaba» (At 4,36). Così viene presentato dagli Atti degli Apostoli. Lo conosciamo e veneriamo dunque attraverso il suo soprannome, tanto era indicativo della persona. Ora, la parola Barnaba significa al tempo stesso “figlio della consolazione” e “figlio dell’esortazione”. È bello che nella sua figura si fondano entrambe le caratteristiche, indispensabili per l’annuncio del Vangelo. Ogni vera consolazione, infatti, non può rimanere intimistica, ma deve tradursi in esortazione, orientare la libertà al bene. Al contempo, ogni esortazione nella fede non può che fondarsi sulla presenza consolante di Dio ed essere accompagnata dalla carità fraterna.

Così Barnaba, figlio della consolazione, esorta noi suoi fratelli a intraprendere la medesima missione di portare il Vangelo agli uomini, invitandoci a comprendere che l’annuncio non può basarsi solo su esortazioni generali, sulla ripetizione di precetti e norme da osservare, come spesso si è fatto. Esso deve seguire la via dell’incontro personale, prestare attenzione alle domande della gente, ai loro bisogni esistenziali. Per essere figli della consolazione, prima di dire qualcosa, occorre ascoltare, lasciarsi interrogare, scoprire l’altro, condividere. Perché il Vangelo si trasmette per comunione. È questo che, come Cattolici, desideriamo vivere nei prossimi anni, riscoprendo la dimensione sinodale, costitutiva dell’essere Chiesa. E in ciò sentiamo il bisogno di camminare più intensamente con voi, cari Fratelli, che attraverso l’esperienza della vostra sinodalità potete davvero aiutarci. Grazie per la vostra collaborazione fraterna, che si manifesta anche nell’attiva partecipazione alla Commissione mista internazionale per il Dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa.

Auspico di cuore che aumentino le possibilità di frequentarci, di conoscerci meglio, di abbattere tanti preconcetti e di porci in docile ascolto delle rispettive esperienze di fede. Sarà per ciascuno un’esortazione stimolante a fare meglio e porterà a entrambi un frutto spirituale di consolazione. L’Apostolo Paolo, da cui discendiamo, parla spesso di consolazione ed è bello immaginare che Barnaba, figlio della consolazione, sia stato l’ispiratore di alcune sue parole, come quelle con cui, all’inizio della seconda Lettera ai Corinzi, ci raccomanda di consolarci a vicenda con la stessa consolazione con cui siamo stati consolati da Dio (cfr 2 Cor 1,3-5). In questo senso, cari Fratelli, desidero assicurarvi la preghiera e la vicinanza mia e della Chiesa cattolica, nei problemi più dolorosi che vi angosciano come nelle speranze più belle e audaci che vi animano. Le tristezze e le gioie vostre ci appartengono, le sentiamo nostre! E sentiamo di avere anche tanto bisogno della vostra preghiera.

In seguito – secondo aspetto – san Barnaba viene presentato dagli Atti degli Apostoli come «un levita originario di Cipro» (At 4,36). Il testo non aggiunge altri dettagli, né sul suo aspetto né sulla sua persona, ma subito dopo fa scoprire Barnaba mediante una sua azione emblematica: «padrone di un campo, lo vendette e ne consegnò il ricavato deponendolo ai piedi degli Apostoli» (v. 37). Questo magnifico gesto suggerisce che per rivitalizzarci nella comunione e nella missione occorre anche a noi il coraggio di spogliarci di ciò che, pur prezioso, è terreno, per favorire la pienezza dell’unità. Non mi riferisco certo a quanto è sacro e aiuta a incontrare il Signore, ma al rischio di assolutizzare certi usi e abitudini, non essenziali per vivere la fede. Non lasciamoci paralizzare dal timore di aprirci e di compiere gesti audaci, non assecondiamo quella “inconciliabilità delle differenze” che non trova riscontro nel Vangelo! Non permettiamo che le tradizioni, al plurale e con la “t” minuscola, tendano a prevalere sulla Tradizione, al singolare e con la “T” maiuscola. Essa ci esorta a imitare Barnaba, a lasciare quanto, anche buono, può compromettere la pienezza della comunione, il primato della carità e la necessità dell’unità.

Deponendo quanto possedeva ai piedi degli Apostoli, Barnaba entrò nel loro cuore. Anche noi siamo invitati dal Signore, per riscoprirci parte dello stesso Corpo, ad abbassarci fino ai piedi dei fratelli. Certo, nel campo delle nostre relazioni la storia ha aperto ampi solchi tra di noi, ma lo Spirito Santo desidera che con umiltà e rispetto ci riavviciniamo. Egli ci invita a non rassegnarci di fronte alle divisioni del passato e a coltivare insieme il campo del Regno, con pazienza, assiduità e concretezza. Perché se lasciamo da parte teorie astratte e lavoriamo insieme fianco a fianco, ad esempio nella carità, nell’educazione, nella promozione della dignità umana, riscopriremo il fratello e la comunione maturerà da sé, a lode di Dio. Ognuno manterrà i propri modi e il proprio stile, ma con il tempo il lavoro congiunto accrescerà la concordia e si mostrerà fecondo. Come queste terre mediterranee sono state abbellite dalla lavorazione rispettosa e paziente dell’uomo, così, con l’aiuto di Dio e con umile perseveranza, coltiviamo la nostra comunione apostolica!

È un frutto buono, ad esempio, quanto accade qui a Cipro presso la chiesa della “Tuttasanta della Città d’oro”. Il tempio dedicato alla Panaghia Chrysopolitissa è oggi luogo di culto per varie confessioni cristiane, amato dalla popolazione e scelto spesso per la celebrazione dei matrimoni. È dunque un segno di comunione di fede e di vita sotto lo sguardo della Santa Madre di Dio, che raduna i suoi figli. All’interno del complesso è inoltre custodita la colonna dove, secondo la tradizione, san Paolo subì trentanove colpi di frusta per aver annunciato la fede a Pafos. La missione, così come la comunione, passa sempre attraverso sacrifici e prove.

Proprio una prova – è il terzo aspetto che traggo dalla figura di Barnaba – segnò la sua vicenda e i primordi della diffusione del Vangelo in queste terre. Nel suo ritorno a Cipro con Paolo e Marco, egli vi trovò Elimas, «mago e falso profeta» (At 13,6), che fece loro opposizione con malizia, cercando di rendere tortuose le vie diritte del Signore (cfr vv. 8.10). Non mancano anche oggi falsità e inganni che il passato ci mette davanti e che ostacolano il cammino. Secoli di divisione e distanze ci hanno fatto assimilare, anche involontariamente, non pochi pregiudizi ostili nei riguardi degli altri, preconcetti basati spesso su informazioni scarse e distorte, divulgate da una letteratura aggressiva e polemica. Ma tutto ciò distorce la via di Dio, che è protesa alla concordia e all’unità. Cari Fratelli, la santità di Barnaba è eloquente anche per noi! Quante volte nella storia tra cristiani ci siamo preoccupati di opporci agli altri anziché di accogliere docilmente la via di Dio, che tende a ricomporre le divisioni nella carità! Quante volte abbiamo ingigantito e diffuso pregiudizi sugli altri, anziché adempiere all’esortazione che il Signore ha ripetuto specialmente nel Vangelo scritto da Marco, che fu con Barnaba su quest’isola: farsi piccoli, servirsi gli uni gli altri (cfr Mc 9,35; 10,43-44).

Beatitudine, sono rimasto commosso oggi, nel nostro dialogo, quando Lei ha parlato della Chiesa Madre. La nostra Chiesa è madre, e una madre sempre raduna i suoi figli con tenerezza. Abbiamo fiducia in questa Madre Chiesa, che raduna tutti noi e che con pazienza, tenerezza e coraggio ci porta avanti nel cammino del Signore. Ma, per sentire la maternità della Chiesa, tutti noi dobbiamo andare lì, dove la Chiesa è madre. Tutti noi, con le nostre differenze, ma tutti figli della Chiesa Madre. Grazie per quella riflessione che oggi ha fatto con me.

Invochiamo dal Signore sapienza e coraggio per seguire le sue vie, non le nostre. Domandiamolo per intercessione dei Santi. Leontios Machairas, cronista del XV secolo, definì Cipro “Isola santa” per la quantità di martiri e beati che queste terre hanno conosciuto lungo i secoli. Oltre ai più noti e venerati, come Barnaba, Paolo e Marco, Epifanio, Barbara, Spiridione, ce ne sono tanti altri: schiere innumerevoli di santi che, uniti nell’unica Chiesa celeste – la Chiesa Madre –, ci sospingono a navigare insieme verso il porto a cui tutti sospiriamo. Da Lassù invitano a fare di Cipro, già ponte tra Oriente e Occidente, un ponte tra Cielo e terra. Così sia, a gloria della Santissima Trinità, per il bene nostro e per il bene di tutti. Grazie.

[01681-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Béatitude, chers Evêques du Saint-Synode,

Je suis heureux d'être parmi vous et je vous remercie de votre accueil chaleureux. Merci, cher Frère, pour vos paroles, pour votre ouverture de cœur et pour votre engagement à promouvoir le dialogue entre nous. Je souhaite étendre mes salutations aux prêtres, aux diacres et à tous les fidèles de l'Église orthodoxe de Chypre, avec une pensée particulière pour les moines et les moniales qui, par leurs prières, purifient et élèvent la foi de tous.

La grâce d'être ici me rappelle notre commune origine apostolique : Paul est passé par Chypre avant d’aller à Rome. Nous descendons par conséquent de la même ardeur apostolique et un unique chemin nous relie, celui de l'Évangile. Il me plaît de nous voir marcher ainsi sur la même route à la recherche d'une fraternité toujours plus grande et de la pleine unité. Dans cette partie de la Terre Sainte qui répand la grâce de ces Lieux en Méditerranée, il est naturel de repenser à de nombreuses pages et figures de la Bible. Parmi elles, je voudrais faire référence à saint Barnabé, en soulignant certains aspects qui peuvent nous guider sur le chemin.

« Joseph, surnommé Barnabé par les Apôtres » (Ac 4, 36). C'est ainsi qu'il est présenté dans les Actes des Apôtres. Nous le connaissons et le vénérons donc à travers son surnom, très révélateur de sa personne. Le mot Barnabé signifie à la fois "fils de la consolation" et "fils de l'exhortation". Il est beau que ces deux caractéristiques indispensables à l'annonce de l'Évangile soient réunies en sa personne. Toute vraie consolation, en effet, ne peut rester intimiste, mais doit se traduire en exhortation, orienter la liberté vers le bien. En même temps, toute exhortation à la foi ne peut se fonder que sur la présence consolante de Dieu et être accompagnée de la charité fraternelle.

Ainsi, Barnabé, le fils de la consolation, nous exhorte, ses frères, à entreprendre la même mission de porter l'Évangile aux hommes. Il nous invite à comprendre que l'annonce ne peut se fonder seulement sur des exhortations générales, sur la répétition de préceptes et de normes à observer, comme cela a souvent été fait. Elle doit suivre le chemin de la rencontre personnelle, en prêtant attention aux questions des gens, à leurs besoins existentiels. Pour être des fils de la consolation il faut, avant de dire quoi que ce soit, écouter, se laisser interroger, découvrir l'autre, partager. L’Evangile se transmet par la communion. C'est ce que nous, catholiques, voulons vivre dans les années à venir, en redécouvrant la dimension synodale qui est constitutive de l'être de l'Église. Et en cela nous ressentons le besoin de marcher plus intensément avec vous, chers Frères qui pouvez vraiment nous aider à travers l'expérience de votre synodalité. Merci pour votre collaboration fraternelle qui se manifeste également par votre participation active à la Commission mixte internationale pour le dialogue théologique entre l'Église catholique et l'Église orthodoxe.

J'espère sincèrement que nous aurons davantage d'occasions de nous rencontrer, de mieux nous connaître, de briser de nombreux préjugés et d'écouter avec docilité les expériences de foi des uns et des autres. Ce sera pour chacun une exhortation stimulante à mieux faire et à porter ensemble un fruit spirituel de consolation. L'Apôtre Paul, de qui nous descendons, parle souvent de consolation, et il est beau d'imaginer que Barnabé, le fils de la consolation, a été l'inspirateur de certaines de ses paroles, comme celles au début de la deuxième lettre aux Corinthiens par lesquelles il nous recommande de nous consoler mutuellement de la même consolation dont nous avons été consolés par Dieu (cf. 2 Co 1, 3-5). En ce sens, chers Frères, je désire vous assurer de mes prières et de ma proximité, ainsi que de celle de l'Église catholique, dans les problèmes les plus douloureux qui vous affligent comme dans les espérances les plus belles et les plus audacieuses qui vous habitent. Vos peines et vos joies sont nôtres, nous sentons qu'elles sont les nôtres ! Et nous sentons que nous avons aussi un grand besoin de votre prière.

Ensuite, et c’est le deuxième aspect, Saint Barnabé est présenté dans les Actes des Apôtres comme « un lévite originaire de Chypre » (Ac 4, 36). Le texte n'ajoute pas d'autres détails sur son apparence ni sur sa personne, mais c’est par une action emblématique que Barnabé se révèle juste après : « Il vendit un champ qu’il possédait et en apporta l’argent qu’il déposa aux pieds des Apôtres. » (v. 37). Ce geste magnifique suggère que, pour nous revitaliser dans la communion et la mission, nous devons nous aussi avoir le courage de nous dépouiller de ce qui, même précieux, est terrestre afin de permettre la plénitude de l'unité. Je ne me réfère certes pas à ce qui est sacré et nous aide à rencontrer le Seigneur, mais au risque d'absolutiser certaines coutumes et habitudes qui ne sont pas essentielles pour vivre la foi. Ne nous laissons pas paralyser par la crainte de nous ouvrir et d’accomplir des gestes audacieux, ne nous complaisons pas dans cette "irréconciliabilité des différences" qui n’existe pas dans l'Évangile ! Ne permettons pas que les traditions, au pluriel et avec un "t" minuscule, tendent à l'emporter sur la Tradition, au singulier et avec un "T" majuscule. Cette dernière nous pousse à imiter Barnabé, à laisser derrière nous tout ce qui, même bon, peut compromettre la plénitude de la communion, le primat de la charité et la nécessité de l'unité.

En déposant tout ce qu'il avait aux pieds des Apôtres, Barnabé est entré dans leur cœur. Nous sommes aussi invités par le Seigneur, à nous redécouvrir partie du même Corps, à nous abaisser aux pieds de nos frères. Certes, l'histoire a ouvert dans le champ de nos relations de larges sillons entre nous, mais l'Esprit-Saint désire que nous nous rapprochions avec humilité et respect. Il nous invite à ne pas nous résigner aux divisions du passé et à cultiver ensemble le champ du Royaume, patiemment, assidûment et concrètement. Si nous laissons de côté les théories abstraites et travaillons ensemble côte à côte, par exemple dans le domaine de la charité, de l'éducation, de la promotion de la dignité humaine, nous redécouvrirons le frère, et la communion mûrira d'elle-même, à la louange de Dieu. Chacun conservera ses propres méthodes et son propre style, mais avec le temps notre travail commun fera grandir la concorde et sera fructueux. Tout comme ces terres méditerranéennes ont été embellies par le travail respectueux et patient de l'homme, cultivons, dans une humble persévérance et avec l'aide de Dieu, notre communion apostolique !

Ce qui se passe ici, à Chypre, en l'église de la « Toute-Sainte de la Ville d'or », est un exemple de bon fruit. Le temple dédié à la Panaghia Chrysopolitissa est aujourd'hui un lieu de culte pour diverses confessions chrétiennes, apprécié par la population et souvent choisi pour la célébration des mariages. C’est un signe de communion de foi et de vie, sous le regard de la Sainte Mère de Dieu, qui rassemble ses enfants. Le complexe abrite également la colonne où, selon la tradition, saint Paul reçut trente-neuf coups de fouet pour avoir proclamé la foi à Paphos. La mission, comme la communion, passe par des sacrifices et des épreuves.

C’est précisément une épreuve - troisième aspect que je tire de la figure de Barnabé - qui marque son histoire et les débuts de la diffusion de l'Évangile sur ces terres. Lors de son retour à Chypre avec Paul et Marc, il trouve Elimas, « un mage, un faux prophète » (Ac 13, 6), qui s'oppose à eux avec malice, cherchant à rendre tortueuses les voies droites du Seigneur (cf. v. 8.10). Aujourd'hui encore, les mensonges et les tromperies, que le passé met devant nous et qui entravent le chemin, ne manquent pas. Des siècles de division et de distance nous ont fait assimiler, même involontairement, de nombreux préjugés hostiles à l'égard des autres, des idées préconçues souvent fondées sur des informations pauvres et déformées, diffusées par une littérature agressive et polémique. Mais tout cela fausse le chemin de Dieu, qui tend à la concorde et à l'unité. Chers Frères, la sainteté de Barnabé nous parle aussi ! Combien de fois dans l'histoire avons-nous été occupés à nous opposer entre chrétiens au lieu d'accepter docilement le chemin de Dieu, qui vise à recomposer les divisions dans la charité! Combien de fois avons-nous exagéré et répandu des préjugés sur les autres, au lieu d'accomplir l'exhortation que le Seigneur a répété, surtout dans l'Évangile de Marc qui était avec Barnabé sur cette île : se faire petits, se servir les uns les autres (cf. Mc 9, 35 ; 10, 43-44).

Béatitude, j’ai été ému aujourd’hui, lors de notre rencontre, lorsque vous avez parlé de l’Eglise Mère. Notre Eglise est mère, et une mère rassemble toujours ses enfants avec tendresse. Nous avons confiance en cette Mère Eglise qui nous rassemble tous et qui avec patience, tendresse et courage nous fait avancer sur le chemin du Seigneur. Mais pour sentir la maternité de l’Eglise, nous devons tous aller là, où l’Eglise est mère. Tous avec nos différences, mais tous enfants de l’Eglise Mère. Merci pour cette réflexion que vous avez partagée avec moi aujourd’hui.

Demandons au Seigneur la sagesse et le courage de suivre ses voies, et non les nôtres. Demandons-le par l'intercession des saints. Leontios Machairas, un chroniqueur du XVe siècle qui a qualifié Chypre d'"île sainte" en raison du nombre de martyrs et de bienheureux que cette terre a connus au fil des siècles. Outre les plus célèbres et les plus vénérés, tels Barnabé, Paul et Marc, Épiphane, Barbe et Spyridon, il y en a beaucoup d'autres : une foule innombrable de saints qui, unis dans l'unique Église céleste – l’Eglise Mère -, nous incitent à naviguer ensemble vers le port auquel nous aspirons tous. D’en haut, ils nous invitent à faire de Chypre, qui est déjà un pont entre l'Orient et l'Occident, un pont entre le Ciel et la terre. Qu’il en soit ainsi, à la gloire de la Très Sainte Trinité, pour notre bien et pour le bien de tous. Merci.

[01681-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

Your Beatitudes, Dear Bishops of the Holy Synod,

I am pleased to be with you and I am grateful for your cordial welcome. Thank you, dear Brother, for your kind words, for your openness of heart and commitment to promoting dialogue between us. I wish to extend my greetings to the priests and deacons, and to the faithful of the Orthodox Church of Cyprus, with a particular thought for the monks and nuns, who by their prayer purify and elevate the faith of all.

The grace of being here reminds me that we have a common apostolic origin: Paul traversed Cyprus and went on to Rome. We are thus heirs of the same apostolic zeal, and a single path joins us, that of the Gospel. I like to see us advancing on that same path, seeking ever greater fraternity and full unity. In this portion of the Holy Land, that spreads the grace of its sacred places throughout the Mediterranean, we naturally think back to many pages and personalities of the Bible. Among all of them, I would like to speak once more of Saint Barnabas, and to reflect on certain aspects of his life that can guide us on our journey.

“Joseph, to whom the apostles gave the name Barnabas” (Acts 4:36). This is what the Acts of the Apostles tell us. We know and venerate Barnabas through his surname, which aptly describes his personality. The name “Barnabas” means both “son of consolation” and “son of exhortation”. It is fitting he combines both these characteristics, which are indispensable for the proclamation of the Gospel. True consolation cannot remain private, but must find expression in exhortation and guide freedom towards goodness. At the same time, all exhortation in the faith must necessarily be grounded in the consoling presence of God and accompanied by fraternal charity.

In this way, Barnabas, son of consolation, exhorts us, his brethren, to undertake the same mission of bringing the Gospel to humanity; he asks us to realize that the message cannot be based only on generic exhortations, the inculcation of precepts and rules to be followed, as often has been the case. Rather, it must follow the path of personal encounter, be attentive to people’s questions, to their existential needs. If we are to be sons of consolation, even before we say a word, we need to listen, to let ourselves be questioned, to discover others, to share. Because the Gospel is not handed on by communication, but by communion. It is this that we Catholics want to experience in the next few years, as we rediscover the synodal dimension essential to being Church. In this, we feel the need to walk more closely alongside you, dear brethren, who, through your experience of synodality, can truly help us. Thank you for your fraternal cooperation, manifested also in active participation in the International Mixed Commission for Theological Dialogue between the Catholic Church and the Orthodox Church.

It is my heartfelt hope that there will be increased opportunities for encounter, for coming to know one another better, for eliminating preconceptions and for listening with docility to our respective experiences of faith. This will prove for each of us an exhortation and incentive to do better, and bring a spiritual fruit of consolation. The apostle Paul, from whom we descend, speaks often of consolation, and it is pleasant to think that Barnabas, the son of consolation, was the inspiration for some of his words. Like those with which, at the beginning of the Second Letter to the Corinthians, Paul urges to us to console one another with the same consolation with which we have been consoled by God (cf. 2 Cor 1:3-5). In this sense, dear brethren, I wish to assure you of my own prayer and closeness, and that of the Catholic Church, in the most troubling problems that beset you and in the best and boldest hopes that spur you on. Your sorrows and your joys are also ours; we sense them as our own. At the same time, we feel great need of your prayers.

The Acts of the Apostles also – and here is a second aspect – present Saint Barnabas as “a Levite, a native of Cyprus” (4:32). The text adds no other details, either about his appearance or his person, but immediately shows us what kind of man Barnabas was by one of his actions: “he sold a field that belonged to him, then brought the money, and laid it at the apostles’ feet” (v. 37). This splendid gesture suggests that, in order to be revitalized in communion and mission, we too need to have the courage to divest ourselves of all that, however precious, is earthly, in order to favour the fullness of unity. Clearly, I am not speaking of what is sacred and helps us to encounter the Lord, but of the risk of absolutizing certain customs and habits that do not require uniformity and assent on the part of all. Let us not become paralyzed by fear of openness or bold gestures, or give in to talk of “irreconcilable differences” that in fact have nothing to do with the Gospel! Let us not permit the “traditions”, in the plural and with a small “t”, to prevail over “Tradition”, in the singular and with a capital “T”. That Tradition bids us imitate Barnabas and leave behind everything, however good, that could compromise the fullness of communion, the primacy of charity and the need for unity.

Laying all he had at the feet of the apostles, Barnabas entered into their heart. We too are asked by the Lord to realize that we are members of the same body and to bow down, even to the feet of our brethren. Certainly, where our relations are concerned, history has opened broad furrows between us, but the Holy Spirit desires that with humility and respect we once more draw close to one another. He invites us not to grow resigned to our past divisions and to cultivate together the field of the kingdom with patience, perseverance and concrete gestures. For if we set aside abstract concepts and cooperate, for example in works of charity, education and the promotion of human dignity, we will rediscover our fraternity, and communion will mature by itself, to the praise of God. Each will maintain his own customs and identity, but in time, our joint efforts will increase concord and bear fruit. Just as these beautiful Mediterranean lands are embellished by respectful and patient human labour, so too, with God’s help and humble perseverance, may we cultivate our apostolic communion!

One good fruit, for example, is all that has taken place here in Cyprus at the Church of Panaghia Chryssopolitissa, “Our Lady of the Golden City”, today a place of worship for the various Christian confessions, much loved by the people and often chosen for celebrations of marriage. It is thus a sign of communion in faith and life under the gaze of the Holy Mother of God who gathers her children together. Within the complex is also the column where, according to tradition, Saint Paul received thirty lashes for having proclaimed the faith in Paphos. Mission, like communion, always passes through sacrifices and trials.

Precisely one such trial – and this is the third aspect that I would draw from the figure of Barnabas – is associated with the initial spread of the Gospel in this land. Upon his return to Cyprus with Paul and Mark, Barnabas found Elymas, “a magician and false prophet” (Acts 13:6), who maliciously opposed them, seeking to make crooked the straight paths of the Lord (cf. vv. 8, 10). Today too, there is no lack of falsehood and deception that the past can set before us to hinder our journey. Centuries of division and separation have made us assimilate, even involuntarily, hostility and prejudice with regard to one another, preconceptions often based on scarce and distorted information, and spread by an aggressive and polemical literature. This too makes crooked the path of God, which is straight and directed to concord and unity. Dear brethren, the holiness of Barnabas speaks eloquently to us as well! How many times in history have we Christians been more concerned to oppose others than to accept docilely the path of God, which leads to resolving disagreements in charity! How many times have we magnified and spread prejudices about others, rather than following the Lord’s own exhortation, so often repeated in the Gospel of Mark, who accompanied Barnabas on this island, to make ourselves small and to serve one another (cf. Mk 9:35; 10:43-44).

Your Beatitude, today, in our dialogue, I was moved when you spoke of the Church as Mother. Our Church is a mother, and a mother always gathers her children with tender love. We have trust in this Mother Church, which gathers all of us and, with patience, tender love and courage, makes us advance in the way of the Lord. Yet to feel the motherhood of the Church, all of us have to go there, where the Church is a mother. All of us, with our differences, but all children of Mother Church. Thank you for that reflection that you shared with me today.

Let us ask the Lord to grant us the wisdom and courage to follow his ways, not our own. Let us ask this through the intercession of the saints. Leontios Machairas, a fifteenth-century chronicler, defined Cyprus as a “Holy Island” because of the great number of martyrs and confessors that these lands have known over the centuries. In addition to those known and venerated, like Barnabas, Paul and Mark, Epiphanius, Barbara and Spyridon, there are many, many others: countless ranks of saints who, united in the one heavenly Church – the Mother Church – urge us to sail together towards that harbour to which we all aspire. From on high, they encourage us to make of Cyprus, already a bridge between East and West, a bridge between heaven and earth. So be it, to the praise of the Most Holy Trinity, for our good and for the good of all. Thank you.

[01681-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Eure Seligkeit, liebe Bischöfe des Heiligen Synod,

ich freue mich, unter euch zu sein, und ich bin dankbar für die herzliche Aufnahme. Ich danke Ihnen, lieber Bruder, für Ihre Worte, für Ihre Offenheit des Herzens und für Ihr Engagement, den Dialog unter uns zu fördern. Ich möchte die Priester, Diakone und alle Gläubigen der orthodoxen Kirche Zyperns grüßen und dabei besonders an die Mönche und Nonnen denken, die durch ihr Gebet den Glauben aller läutern und erheben.

Die Gnade, hier zu sein, erinnert mich daran, dass wir einen gemeinsamen apostolischen Ursprung haben: Paulus zog durch Zypern und kam danach nach Rom. Wir entstammen also demselben apostolischen Eifer, und ein einziger Weg verbindet uns, nämlich der des Evangeliums. Es freut mich zu sehen, dass wir den gleichen Weg gehen, auf der Suche nach immer größerer Geschwisterlichkeit und vollständiger Einheit. In diesem Teil des Heiligen Landes, der die Gnade jener Orte am Mittelmeerraum ausstrahlt, ist es ganz natürlich, an viele Episoden und Figuren der Bibel zu denken. Unter ihnen möchte ich wieder auf den heiligen Barnabas verweisen und einige Aspekte hervorheben, die uns auf unserem Weg leiten können.

»Josef, […] der von den Aposteln Barnabas […] genannt wurde« (Apg 4,36). So wird er in der Apostelgeschichte vorgestellt. Wir kennen und verehren ihn unter seinem Beinamen, der so bezeichnend für seine Person war. Das Wort Barnabas bedeutet sowohl „Sohn des Trostes“ als auch „Sohn der Ermahnung“. Es ist schön, dass in seiner Gestalt beide Eigenschaften, die für die Verkündigung des Evangeliums unerlässlich sind, miteinander verschmelzen. Jeder echte Trost kann nämlich nicht auf der Gefühlsebene bleiben, sondern muss in eine Ermahnung übersetzt werden, die die Freiheit zum Guten hinführt. Gleichzeitig kann sich jede Ermahnung im Glauben nur auf die tröstende Gegenwart Gottes stützen und von brüderlicher Liebe begleitet sein.

So ermahnt Barnabas, der Sohn des Trostes, uns, seine Brüder, dieselbe Sendung zu übernehmen, den Menschen das Evangelium zu bringen, und lädt uns ein zu verstehen, dass die Verkündigung nicht nur auf allgemeinen Ermahnungen, auf der Wiederholung von Geboten und zu beachtenden Normen beruhen kann, wie es oft geschehen ist. Sie muss dem Weg der persönlichen Begegnung folgen und auf die Fragen der Menschen, auf ihre existenziellen Bedürfnisse achten. Um Kinder des Trostes zu sein, muss man, bevor man etwas sagt, zuhören, sich in Frage stellen lassen, den anderen entdecken, teilen. Denn das Evangelium wird durch Gemeinschaft weitergegeben. Das ist es, was wir als Katholiken in den kommenden Jahren leben wollen, indem wir die synodale Dimension wiederentdecken, die für das Kirche-Sein konstitutiv ist. Und dabei haben wir das Bedürfnis, noch intensiver mit euch, liebe Brüder, zusammenzuarbeiten, die ihr uns durch die Erfahrung eurer Synodalität wirklich helfen könnt. Ich danke euch für eure brüderliche Zusammenarbeit, die auch durch eure aktive Teilnahme an der Gemeinsamen Internationalen Kommission für den theologischen Dialog zwischen der römisch-katholischen Kirche und der orthodoxen Kirche zum Ausdruck kommt.

Ich hoffe aufrichtig, dass die Möglichkeiten, einander zu begegnen, sich besser kennen zu lernen, viele Vorurteile abzubauen und den Glaubenserfahrungen der anderen offen zuzuhören, zunehmen werden. Es wird für jeden von uns eine anregende Ermutigung sein, es besser zu machen, und wird uns beiden geistigen Trost spenden. Der Apostel Paulus, von dem wir abstammen, spricht oft vom Trost, und es ist gut vorstellbar, dass Barnabas, der Sohn des Trostes, die Inspiration für einige seiner Worte war, wie zum Beispiel für jene Empfehlung zu Beginn des zweiten Korintherbriefes, dass wir einander mit demselben Trost trösten sollen, mit dem wir von Gott getröstet worden sind (vgl. 2 Kor 1,3-5). In diesem Sinne, liebe Brüder, möchte ich euch meiner Gebete und der Nähe meinerseits und der katholischen Kirche zu euch versichern, sowohl in den schmerzlichsten Problemen, die euch bedrücken, als auch in den schönsten und kühnsten Hoffnungen, die euch beseelen. Eure Traurigkeit und eure Freuden gehören zu uns, wir empfinden sie, als wären sie die unseren! Und wir spüren auch, dass wir eure Gebete sehr nötig haben.

Dann – als ein zweiter Aspekt – wird der heilige Barnabas in der Apostelgeschichte als »ein Levit, gebürtig aus Zypern« (Apg 4,36) vorgestellt. Der Text fügt keine weiteren Einzelheiten hinzu, weder über sein Aussehen noch über seine Person, aber gleich danach wird Barnabas durch eine bedeutungsreiche Handlung von ihm offenbart: er »verkaufte einen Acker, der ihm gehörte, brachte das Geld und legte es den Aposteln zu Füßen« (V. 37). Diese großartige Geste deutet darauf hin, dass auch wir, um die Fülle der Einheit zu fördern, den Mut haben müssen, das Irdische abzulegen, auch wenn es kostbar ist, wenn wir die Gemeinschaft und Sendung neu beleben wollen. Ich spreche sicher nicht von dem, was heilig ist und uns hilft, dem Herrn zu begegnen, sondern von der Gefahr der Verabsolutierung bestimmter Sitten und Gebräuche, die nicht wesentlich sind, um den Glauben zu leben. Lassen wir uns nicht von der Angst lähmen, uns zu öffnen und mutige Zeichen zu setzen, geben wir uns nicht jener „Unversöhnlichkeit der Unterschiede“ hin, die sich nicht im Evangelium widerspiegelt! Wir dürfen nicht zulassen, dass die Traditionen im Sinne eines kulturellen Erbes gegenüber der Tradierung der Botschaft Jesu die Oberhand gewinnen. Diese ermutigt uns, Barnabas nachzuahmen, alles, auch das Gute, zurückzulassen, was die Fülle der Gemeinschaft, den Vorrang der Liebe und die Notwendigkeit der Einheit beeinträchtigen kann.

Barnabas legte den Aposteln seine Habseligkeiten zu Füßen und fand somit Einlass in ihre Herzen. Auch wir sind vom Herrn eingeladen, uns als Teil desselben Leibes wiederzuentdecken und uns zu den Füßen unserer Brüder und Schwestern niederzubeugen. Sicherlich hat die Geschichte auf dem Gebiet unserer Beziehungen tiefe Gräben zwischen uns aufgerissen, aber der Heilige Geist will, dass wir uns in Demut und Respekt wieder einander annähern. Er lädt uns ein, uns nicht mit den Spaltungen der Vergangenheit abzufinden und gemeinsam das Feld des Reiches Gottes geduldig, eifrig und tätkräftig zu bestellen. Denn wenn wir abstrakte Theorien beiseitelassen und Seite an Seite zusammenarbeiten, zum Beispiel in der Nächstenliebe, in der Erziehung, in der Förderung der Menschenwürde, werden wir den Bruder und die Schwester wiederentdecken und die Gemeinschaft wird von selbst reifen, zum Lob Gottes. Jeder wird seine eigene Art und seinen eigenen Stil beibehalten, aber mit der Zeit wird unsere gemeinsame Arbeit mehr Harmonie schaffen und sich als fruchtbar erweisen. So wie diese Mittelmeerländer durch die respektvolle und geduldige Arbeit der Menschen verschönert wurden, so wollen wir mit Gottes Hilfe und demütiger Beharrlichkeit unsere apostolische Gemeinschaft pflegen!

Eine gute Frucht ist zum Beispiel das, was hier auf Zypern in der Kirche der Allheiligen von der Goldenen Stadt geschieht. Die der Panaghia Chrysopolitissa geweihte Kirche ist heute nur eine Kultstätte für verschiedene christliche Konfessionen, sondern sie wird auch von der Bevölkerung geliebt und wird oft für die Feier von Eheschließungen gewählt. Sie ist somit ein Zeichen der Gemeinschaft des Glaubens und des Lebens unter dem Blick der heiligen Mutter Gottes, die ihre Kinder versammelt. Der Komplex beherbergt auch die Säule, an der der Überlieferung zufolge der heilige Paulus neununddreißig Peitschenhiebe erlitt, weil er in Paphos den Glauben verkündete. Die Mission geht, so wie die Gemeinschaft, immer durch Opfer und Prüfungen hindurch.

Es ist gerade eine Prüfung – das ist der dritte Aspekt, den ich aus der Figur des Barnabas herauslese –, die sein Leben und die Anfänge der Ausbreitung des Evangeliums in diesen Ländern kennzeichnet. Als er mit Paulus und Markus nach Zypern zurückkehrte, traf er auf Elymas, »einen Zauberer und falschen Propheten« (Apg 13,6), der sich ihnen böswillig widersetzte und versuchte, die geraden Wege des Herrn zu verdrehen (vgl. VV. 8.10). Auch heute mangelt es nicht an Irrtümern und Täuschungen, die uns die Vergangenheit vorgesetzt hat und die den Weg behindern. Jahrhunderte der Teilung und Distanz haben dazu geführt, dass wir uns, wenn auch unfreiwillig, nicht wenige feindselige Vorurteile gegenüber anderen angeeignet haben, Vorurteile, die oft auf unzureichenden und verzerrten Informationen beruhen und durch eine aggressive und polemische Literatur verbreitet wurden. Aber all das verzerrt den Weg Gottes, der auf Eintracht und Einheit abzielt. Liebe Brüder, die Heiligkeit des Barnabas ist auch für uns beredt! Wie oft in der Geschichte haben wir Christen uns damit beschäftigt, andere zu bekämpfen, anstatt den Weg Gottes sanftmütig anzunehmen, der danach strebt, die Spaltungen in Nächstenliebe wieder zusammenzufügen! Wie oft haben wir Vorurteile über andere übertrieben und verbreitet, anstatt die Ermahnung zu befolgen, die der Herr besonders im von Markus verfassten Evangelium, der mit Barnabas auf dieser Insel war, wiederholt: Macht euch klein, werdet einander zu Dienern (vgl. Mk 9,35; 10,43-44).

Seligkeit, ich war heute bewegt, als Sie in unserem Gespräch über die Mutter Kirche sprachen. Unsere Kirche ist Mutter, und eine Mutter führt ihre Kinder immer mit Zärtlichkeit zusammen. Lasst uns dieser Mutter Kirche vertrauen, die uns alle mit Geduld, Zärtlichkeit und Mut auf dem Weg des Herrn weiterführt. Um die Mütterlichkeit der Kirche zu spüren, müssen wir alle dorthin gehen, wo die Kirche Mutter ist. Wir alle, mit unseren Unterschieden, aber alle Kinder der Mutter Kirche. Danke für diese Betrachtung, die Sie heute mit mir gemacht haben.

Bitten wir den Herrn um Weisheit und Mut, seinen Wegen zu folgen und nicht den unseren. Bitten wir darum auf die Fürbitte der Heiligen. Leontios Machairas, ein Chronist aus dem 15. Jahrhundert, bezeichnete Zypern aufgrund der vielen Märtyrer und Seligen, die dieses Land im Laufe der Jahrhunderte hervorgebracht hat, als „heilige Insel“. Neben den bekanntesten und am meisten verehrten, wie Barnabas, Paulus und Markus, Epiphanios, Barbara und Spyridon, gibt es noch viele andere: unzählige Heerscharen von Heiligen, die, vereint in der einen himmlischen Kirche – der Mutter Kirche – uns aufrufen, gemeinsam dem Hafen entgegen zu segeln, nach dem wir uns alle sehnen. Von dort oben laden sie uns ein, aus Zypern, das bereits eine Brücke zwischen Ost und West ist, eine Brücke zwischen Himmel und Erde zu machen. So sei es, zur Ehre der Allerheiligsten Dreifaltigkeit, zu unserem Wohl und zum Wohl aller. Danke.

[01681-DE.02 [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

Beatitud, queridos obispos del Santo Sínodo:

Estoy contento de encontrarme entre ustedes y les agradezco la cordial acogida. Gracias, querido hermano, por sus palabras, por la apertura del corazón y por el compromiso de promover el diálogo entre nosotros. Deseo extender mi saludo a los sacerdotes, a los diáconos y a todos los fieles de la Iglesia ortodoxa de Chipre, recordando particularmente a los monjes y las monjas, que con su oración purifican y elevan la fe de todos.

La gracia de estar aquí me lleva a pensar que tenemos un origen apostólico común: Pablo atravesó Chipre y posteriormente llegó a Roma. Por tanto, descendemos del mismo ardor apostólico y nos une un único camino: el del Evangelio. Me agrada ver que seguimos caminando en la misma dirección, en busca de una fraternidad cada vez mayor y de la unidad plena. En este retazo de la Tierra Santa que difunde la gracia de los Santos Lugares en el Mediterráneo, viene con naturalidad el recuerdo de tantas páginas y figuras bíblicas. Entre todas, quisiera referirme de nuevo a san Bernabé, destacando algunos aspectos que pueden orientarnos en el camino.

«José, a quien los apóstoles llamaban “Bernabé”» (Hch 4,36): así es presentado en los Hechos de los Apóstoles. Lo conocemos y veneramos por su sobrenombre, debido a lo mucho que este definía su persona. Ahora bien, la palabra Bernabé significa al mismo tiempo “hijo del consuelo” e “hijo de la exhortación”. Es hermoso que en su figura se fundan ambas características, indispensables para el anuncio del Evangelio. En efecto, todo consuelo verdadero no puede ser intimista, sino que debe traducirse en exhortación, orientar la libertad hacia el bien. Al mismo tiempo, cada exhortación en la fe no puede más que fundarse en la presencia consoladora de Dios y estar acompañada por la caridad fraterna.

De este modo Bernabé, hijo del consuelo, nos exhorta a nosotros sus hermanos a emprender la misma misión de proclamar el Evangelio a los hombres, invitándonos a comprender que el anuncio no puede basarse en exhortaciones generales, en la repetición de preceptos y normas que observar, como se ha hecho con frecuencia. Hay que seguir el camino del encuentro personal, prestar atención a las preguntas de la gente, a sus necesidades existenciales. Para ser hijos del consuelo, antes de decir cualquier cosa, es necesario escuchar, dejarse interrogar, descubrir al otro, compartir: porque el Evangelio se transmite por la comunión. Esto es lo que, como católicos, deseamos vivir en los próximos años, redescubriendo la dimensión sinodal, constitutiva del ser de la Iglesia. Y en esto sentimos la necesidad de caminar más intensamente con ustedes, queridos hermanos, que por medio de la experiencia de su sinodalidad pueden sernos verdaderamente de gran ayuda. Gracias por su colaboración fraterna, que también se manifiesta en la participación activa en la Comisión mixta internacional para el diálogo teológico entre la Iglesia católica y la Iglesia ortodoxa.

Deseo de corazón que aumenten las posibilidades de encontrarnos, de conocernos mejor, de derribar muchos preconceptos y de disponernos para una escucha serena de las respectivas experiencias de fe. Será una exhortación estimulante para que cada uno ofrezca lo mejor y esto dará un fruto espiritual de consolación a todos. El apóstol Pablo, de quien descendemos, habla a menudo de consolación y es hermoso imaginar que Bernabé, hijo del consuelo, haya sido el inspirador de algunas palabras suyas, como aquellas del comienzo de la segunda Carta a los corintios, con las que recomienda que nos consolemos mutuamente con el mismo consuelo que recibimos de Dios (cf. 2 Co 1,3-5). En este sentido, queridos hermanos, deseo asegurarles mi oración y cercanía, así como la de la Iglesia católica, tanto en los problemas más dolorosos que los angustian como en las esperanzas más hermosas y audaces que los animan. Las tristezas y las alegrías de ustedes nos pertenecen, las sentimos nuestras; y también sentimos que necesitamos mucho de sus oraciones.

A continuación —segundo aspecto—, san Bernabé es presentado en los Hechos de los Apóstoles como «un levita nacido en Chipre» (Hch 4,36). El texto no agrega otros detalles, ni en cuanto a su aspecto ni en cuanto a su persona, pero inmediatamente después revela a Bernabé por medio de una acción emblemática: «vendió un campo de su propiedad, llevó el importe y lo puso a disposición de los apóstoles» (v. 37). Este magnífico gesto sugiere que para revitalizarnos en la comunión y en la misión también nosotros hemos de tener la valentía de despojarnos de aquello que, aun siendo valioso, es terreno, para favorecer la plenitud de la unidad. No me refiero ciertamente a lo que es sagrado y nos ayuda a encontrar al Señor, sino al riesgo de absolutizar ciertos usos y costumbres que no son esenciales para vivir la fe. No nos dejemos paralizar por el temor de abrirnos y de realizar gestos audaces, no secundemos el “carácter irreconciliable de las diferencias” que no encuentra correspondencia en el Evangelio. No permitamos que las tradiciones —en plural y con la “t” minúscula— tiendan a prevalecer sobre la Tradición —en singular y con la “t” mayúscula—. Esta nos exhorta a imitar a Bernabé, a dejar cuanto, aun siendo bueno, puede comprometer la plenitud de la comunión, el primado de la caridad y la necesidad de la unidad.

Bernabé, dejando todo lo que poseía a los pies de los apóstoles, entró en sus corazones. También nosotros estamos invitados por el Señor a redescubrirnos como parte del mismo Cuerpo, a abajarnos hasta los pies de los hermanos. Es cierto que la historia, en el campo de nuestras relaciones, ha abierto amplios surcos entre nosotros, pero el Espíritu Santo desea que volvamos a acercarnos con humildad y respeto. Él nos invita a no resignarnos frente a las divisiones del pasado y a cultivar juntos el campo del Reino, con paciencia, asiduidad y de modo concreto. Porque si dejamos de lado teorías abstractas y trabajamos juntos codo a codo —por ejemplo, en la caridad, en la educación y en la promoción de la dignidad humana—, redescubriremos al hermano y la comunión madurará por sí misma, para gloria de Dios. Cada uno mantendrá las propias maneras y el propio estilo pero, con el tiempo, el trabajo conjunto acrecentará la concordia y se mostrará fecundo. Así como estas tierras mediterráneas fueron embellecidas por el trabajo respetuoso y paciente del hombre, también nosotros cultivemos, con la ayuda de Dios y con humilde perseverancia, nuestra comunión apostólica.

Por ejemplo, es un buen fruto lo que sucede aquí en Chipre en la iglesia de “Nuestra Señora de la Ciudad de oro”. El templo, dedicado a la Panaghia Chrysopolitissa, es actualmente lugar de culto para varias confesiones cristianas, amado por la población y elegido con frecuencia para las celebraciones de los matrimonios. Es por tanto un signo de comunión de fe y de vida, bajo la mirada de la Santa Madre de Dios, que reúne a sus hijos. Además, dentro del complejo se conserva una columna donde, según la tradición, san Pablo sufrió treinta y nueve azotes por haber anunciado la fe en Pafos. La misión, así como la comunión, pasa siempre a través de sacrificios y pruebas.

El tercer aspecto que destaco de la figura de Bernabé es precisamente una prueba, la cual marcó su historia y los orígenes de la difusión del Evangelio en estas tierras. Al regresar a Chipre con Pablo y Marcos, Bernabé encontró a Elimas, “mago y falso profeta”, que se les opuso con malicia, tratando de torcer los caminos derechos del Señor (cf. Hch 13,6.8.10). Tampoco hoy faltan falsedades y engaños que el pasado nos pone delante y que obstaculizan el camino. Siglos de división y distancias que han llevado a asimilar, aun involuntariamente, no pocos prejuicios hostiles respecto a los demás, preconceptos basados a menudo en informaciones deficientes y distorsionadas, divulgadas por una lectura agresiva y polémica. Pero todo esto tuerce el camino de Dios, que se orienta hacia la concordia y la unidad. Queridos hermanos, la santidad de Bernabé es elocuente también para nosotros. Cuántas veces en la historia, entre los mismos cristianos nos hemos preocupado por oponernos a los demás, en lugar de acoger dócilmente el camino de Dios, que tiende a recomponer las divisiones en la caridad. Cuántas veces hemos agrandado y difundido prejuicios sobre los demás, en vez de cumplir la exhortación que el Señor repite especialmente en el Evangelio escrito por Marcos, quien fuera con Bernabé a esta isla: hacerse pequeños y servir a los demás (cf. Mc 9,35; 10,43-44).

Beatitud, hoy en nuestro diálogo he quedado conmovido cuando usted habló de la Iglesia Madre. Nuestra Iglesia es madre, es una madre que siempre reúne a sus hijos con ternura. Confiamos en esta Madre Iglesia, que nos reúne a todos y que, con paciencia, ternura y valentía, nos conduce hacia adelante en el camino del Señor. Pero, para sentir la maternidad de la Iglesia, todos nosotros tenemos que ir allí donde la Iglesia es madre. Todos nosotros, con nuestras diferencias, pero todos hijos de la Iglesia Madre. Gracias por esa reflexión que hoy ha hecho conmigo.

Supliquemos al Señor sabiduría y valentía para seguir sus caminos y no los nuestros. Pidámoslo por intercesión de los santos. Leontios Machairas, cronista del siglo XV, definió a Chipre como la “Isla santa” por la cantidad de mártires y beatos que esta tierra ha conocido a lo largo de los siglos. Además de los más célebres y venerados, como Bernabé, Pablo y Marcos, Epifanio, Bárbara, Espiridón, hay muchos otros, multitudes innumerables de santos que, unidos en la única Iglesia celestial —la Iglesia Madre—, nos impulsan a navegar juntos hacia el puerto por el que todos suspiramos. Desde el más allá invitan a que hagamos de Chipre —que ya es un puente entre Oriente y Occidente— un puente entre el cielo y la tierra. Que así sea, para gloria de la Santísima Trinidad, para nuestro bien y para el bien el de todos. Gracias.

[01681-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

Beatitude, queridos Bispos do Santo Sínodo!

Sinto-me feliz por estar convosco e agradeço o vosso cordial acolhimento. Obrigado, querido Irmão, pelas suas palavras, a abertura do coração e o empenho na promoção do diálogo entre nós. Desejo estender a minha saudação a todos os sacerdotes, diáconos e fiéis da Igreja Ortodoxa de Chipre, com um pensamento especial aos monges e monjas que, com a sua oração, purificam e elevam a fé de todos.

A graça de estar aqui lembra-me que temos uma origem apostólica comum: Paulo passou por Chipre e, depois, chegou a Roma. Por isso descendemos do mesmo ardor apostólico e interliga-nos um único caminho: o do Evangelho. Por isso, me comprazo em ver-nos caminhar na mesma estrada, à procura duma fraternidade cada vez maior e da plena unidade. Nesta fímbria de Terra Santa que difunde a graça daqueles Lugares no Mediterrâneo, vêm naturalmente ao pensamento tantas páginas e figuras bíblicas. Dentre todas, gostaria de fazer ainda referência a São Barnabé, destacando alguns aspetos que nos podem orientar no caminho.

«José, a quem os Apóstolos chamaram Barnabé» (At 4, 36): assim é apresentado pelos Atos dos Apóstolos. Por conseguinte conhecemo-lo e veneramo-lo pelo apelido com que se designava a pessoa. Ora, a palavra Barnabé significa ao mesmo tempo «filho da consolação» e «filho da exortação». É interessante ver que se baseiam na sua figura ambas as caraterísticas, indispensáveis para o anúncio do Evangelho. Com efeito, toda a consolação autêntica não pode permanecer intimista, mas deve traduzir-se em exortação, orientar a liberdade para o bem. Ao mesmo tempo, toda a exortação na fé não pode deixar de se basear na presença consoladora de Deus e ser acompanhada pela caridade fraterna.

Assim Barnabé, filho da consolação, exorta-nos, a nós seus irmãos, a abraçar a mesma missão de levar o Evangelho aos homens, convidando-nos a compreender que o anúncio – como muitas vezes se fez – não se pode basear apenas em genéricas exortações, na repetição de preceitos e normas que se devem observar. O anúncio deve seguir o caminho do encontro pessoal, prestar atenção às questões das pessoas, às suas necessidades existenciais. Para ser filhos da consolação, antes de dizer algo, é preciso ouvir, deixar-se questionar, descobrir o outro, compartilhar. Pois o Evangelho transmite-se por comunhão. É isto que nós, como católicos, desejamos viver nos próximos anos, redescobrindo a dimensão sinodal, constitutiva do ser Igreja. E nisto sentimos a necessidade de caminhar mais intensamente convosco, queridos Irmãos, que podeis verdadeiramente ajudar-nos através da experiência da vossa sinodalidade. Obrigado pela vossa colaboração fraterna, que se manifesta inclusivamente na participação ativa na Comissão Mista Internacional para o Diálogo Teológico entre a Igreja Católica e a Igreja Ortodoxa.

Espero com todo o coração que aumentem as possibilidades de nos encontrar, conhecer-nos melhor, derrubar tantos preconceitos e colocar-nos docilmente à escuta das respetivas experiências de fé. Constituirá uma estimulante exortação para cada um fazer melhor, e dará a ambos um fruto espiritual de consolação. O apóstolo Paulo, de quem descendemos, fala muitas vezes de consolação e apraz-me imaginar que Barnabé, filho da consolação, tenha sido o inspirador de algumas das suas palavras, como estas, no início da segunda Carta aos Coríntios, quando recomenda que nos consolemos uns aos outros com a mesma consolação com que fomos consolados por Deus (cf. 2 Cor 1, 3-5). Neste sentido, queridos Irmãos, desejo assegurar-vos a oração e a solidariedade, minhas e da Igreja Católica, tanto nos problemas mais dolorosos que vos angustiam como nas esperanças mais belas e audazes que vos animam. As vossas tristezas e alegrias pertencem-nos, sentimo-las como nossas. E sentimos também que temos tanta necessidade da vossa oração.

Depois – e é o segundo aspeto –, os Atos dos Apóstolos apresentam São Barnabé como «um levita cipriota» (At 4, 36). O texto não acrescenta mais detalhes sobre a sua fisionomia nem sobre a sua pessoa, mas imediatamente faz-nos descobrir Barnabé através duma ação emblemática dele: «possuía uma terra; vendeu-a e trouxe a importância, que depositou aos pés dos Apóstolos» (4, 37). Este gesto magnífico sugere que também nós, para nos revitalizar na comunhão e na missão, precisamos da coragem de nos despojarmos daquilo – até mesmo precioso – que é terreno, para promover a plenitude da unidade. Certamente não me refiro ao que é sacro e ajuda a encontrar o Senhor, mas ao risco de absolutizar certos usos e costumes, que não são essenciais para viver a fé. Não nos deixemos paralisar pelo temor de nos abrir e realizar gestos audazes; não apoiemos aquela «incompatibilidade das diferenças» que não está prevista no Evangelho. Não permitamos que as tradições (no plural e com «t» minúsculo) tendam a prevalecer sobre a Tradição (no singular e com «T» maiúsculo). Esta exorta-nos a imitar Barnabé, deixando para trás tudo, até mesmo de bom, que possa comprometer a plenitude da comunhão, o primado da caridade e a necessidade da unidade.

Ao depositar aos pés dos Apóstolos aquilo que possuía, Barnabé ganhou um lugar nos seus corações. Também nós somos convidados pelo Senhor a descobrir-nos de novo como parte do mesmo Corpo, a inclinar-nos até aos pés dos irmãos. É certo que, no campo das nossas relações, se abriram entre nós grandes sulcos ao longo da história, mas o Espírito Santo deseja que voltemos, com humildade e respeito, a aproximar-nos. Ele convida-nos a não nos resignarmos com as divisões do passado e a cultivarmos juntos o campo do Reino, com paciência, diligência e ações concretas. Pois se deixarmos de lado teorias abstratas e trabalharmos juntos lado a lado, por exemplo, na caridade, na educação, na promoção da dignidade humana, redescobriremos o irmão, e a comunhão amadurecerá por si mesma para louvor de Deus. Cada um manterá seus modos próprios de ser e o seu próprio estilo, mas, com o tempo, o trabalho conjunto aumentará a concórdia e revelar-se-á fecundo. Como estas terras mediterrânicas foram embelezadas pelo respeitoso e paciente trabalho do homem, assim, com a ajuda de Deus e com humilde perseverança, cultivemos a nossa comunhão apostólica.

Um bom fruto, por exemplo, é o que está a acontecer aqui em Chipre na igreja da «Toda Santa da Cidade de Ouro». O templo dedicado à Panaghia Chrysopolitissa é hoje lugar de culto para várias Confissões cristãs, amado pela população e escolhido frequentemente para a celebração dos matrimónios. É, pois, um sinal de comunhão de fé e vida, sob o olhar da Santa Mãe de Deus, que reúne os seus filhos. Além disso, no interior do complexo, está guardada a coluna onde, segundo a tradição, São Paulo sofreu trinta e nove chicotadas por ter anunciado a fé em Pafos. A missão, tal como a comunhão, passa sempre através de sacrifícios e provas.

Foi precisamente uma prova – e é o terceiro aspeto, extraído da figura de Barnabé – que marcou a sua história e os primórdios da difusão do Evangelho nestas terras. No seu regresso a Chipre acompanhado por Paulo e Marcos, encontrou aqui Elimas, «um mago, falso profeta» (At 13, 6), que se lhes opôs com astúcia, procurando tornar tortuosos os retos caminhos do Senhor (cf. 13, 8.10). Também hoje não faltam falsidades e enganos que o passado coloca diante de nós e que atrapalham o caminho. Séculos de divisão e distanciamento fizeram-nos assimilar, mesmo involuntariamente, não poucos preconceitos hostis a respeito dos outros, preconceitos baseados muitas vezes sobre informações escassas e distorcidas, divulgadas por uma literatura agressiva e polémica. Mas tudo isto desvirtua o caminho de Deus, que tende para a concórdia e a unidade. Queridos irmãos, a santidade de Barnabé é eloquente também para nós. Quantas vezes, na história entre cristãos, a nossa preocupação foi a de nos opormos aos outros, em vez de acolhermos docilmente o caminho de Deus, que tende a harmonizar as divisões na caridade! Quantas vezes amplificamos e difundimos preconceitos sobre os outros, em vez de obedecer à exortação que o Senhor repetiu de forma especial no Evangelho escrito por Marcos, que esteve com Barnabé nesta ilha: fazer-se pequeno, colocar-se ao serviço uns dos outros (cf. Mc 9, 35; 10, 43-44).

Beatitude, fiquei comovido hoje, no nosso diálogo, quando falou da Igreja Mãe. A nossa Igreja é mãe, e uma mãe sempre reúne os seus filhos com ternura. Tenhamos confiança nesta Mãe Igreja, que a todos nos reúne e, com paciência, ternura e coragem, faz-nos avançar no caminho do Senhor. Mas, para sentir a maternidade da Igreja, todos devemos caminhar rumo ao ponto onde a Igreja é mãe: todos nós, com as nossas diferenças, mas todos filhos da Igreja Mãe. Obrigado por aquela reflexão que fez comigo hoje.

Imploremos do Senhor sabedoria e coragem para seguir, não os nossos caminhos, mas os d’Ele. Peçamo-lo por intercessão dos Santos. Leontios Machairas, cronista do século XV, definiu Chipre como «Ilha Santa» pela quantidade de Mártires e Bem-aventurados que estas terras conheceram ao longo dos séculos. Além dos mais conhecidos e venerados como Barnabé, Paulo e Marcos, Epifânio, Bárbara, Espiridião, há muitos outros: falanges inumeráveis de Santos que, unidos na única Igreja celeste – a Igreja Mãe –, nos impelem a navegar juntos rumo ao porto por que todos suspiramos. Lá de cima, convidam a fazer de Chipre, que já é ponte entre Oriente e Ocidente, uma ponte entre o Céu e a terra. Assim seja, para glória da Santíssima Trindade, para o nosso bem e para o bem de todos. Obrigado!

[01681-PO.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Wasza Świątobliwość, drodzy biskupi Świętego Synodu,

Cieszę się, że jestem pośród was i jestem wdzięczny za wasze serdeczne przyjęcie. Dziękuję ci, drogi Bracie, za twoje słowa, za twoją otwartość serca i za twoje zaangażowanie w promowanie dialogu między nami. Pragnę także pozdrowić kapłanów, diakonów i wszystkich wiernych Cypryjskiego Kościoła  Prawosławnego, myśląc szczególnie o mnichach i mniszkach, którzy swoją modlitwą oczyszczają i uwznioślają wiarę wszystkich.

Łaska bycia tutaj przypomina mi, że mamy wspólne pochodzenie apostolskie: Paweł przemierzył Cypr, a następnie przybył do Rzymu. Jesteśmy zatem spadkobiercami tego samego zapału apostolskiego i łączy nas jedna droga - droga Ewangelii. Cieszy mnie, gdy widzę, że podążamy tą samą drogą, w poszukiwaniu coraz większego braterstwa i pełnej jedności. Znajdując się a tym skrawku Ziemi Świętej, który szerzy łaskę tych miejsc w basenie Morza Śródziemnego, jest rzeczą naturalną, że wracamy myślami do wielu kart i postaci biblijnych. Wśród nich chciałbym ponownie odwołać się do św. Barnaby, podkreślając pewne aspekty, które mogą być dla nas drogowskazem na naszej drodze.

„Józef, nazwany przez Apostołów Barnabas” (Dz 4, 36). Tak został on przedstawiony w Dziejach Apostolskich. Znamy go zatem i czcimy dzięki jego pseudonimowi, który tak bardzo wskazywał na jego osobę. Słowo Barnaba oznacza zarówno „syn pociechy”, jak i „syn napomnienia”. Piękne jest to, że w jego postaci łączą się obie cechy, które są niezbędne do głoszenia Ewangelii. Każde prawdziwe pocieszenie nie może bowiem pozostać czysto osobistym doświadczeniem, lecz musi się przełożyć na napomnienie, kierujące wolność ku dobru. Jednocześnie każde napomnienie w wierze może opierać się jedynie na pocieszającej obecności Boga i winna mu towarzyszyć miłość braterska.

Barnaba, syn pocieszenia, zachęca nas, swoich braci, do podjęcia tej samej misji niesienia ludziom Ewangelii, zapraszając nas do zrozumienia, że głoszenie nie może opierać się jedynie na ogólnikowych napomnieniach, na powtarzaniu nakazów i norm, które należy zachować, jak to często czyniono. Musi ono postępować drogą spotkania osobistego, zwracając uwagę na pytania ludzi, na ich potrzeby egzystencjalne. Aby być synami pocieszenia, trzeba słuchać zanim coś powiemy, pozwolić by nas pytano, odkrywać drugiego, dzielić się. Ponieważ Ewangelia jest przekazywana poprzez komunię. To jest to, czym my, jako katolicy, chcemy żyć w najbliższych latach, odkrywając na nowo wymiar synodalny, który jest konstytutywny dla bycia Kościołem. I w tym odczuwamy potrzebę bardziej intensywnej współpracy z Wami, drodzy Bracia, którzy poprzez doświadczenie Waszej synodalności możecie nam naprawdę pomóc. Dziękuję za waszą braterską współpracę, która przejawia się także w waszym aktywnym udziale w Międzynarodowej Komisji Mieszanej do spraw Dialogu Teologicznego między Kościołem katolickim a Kościołem prawosławnym.

Całym sercem pragnę zwiększenia możliwości wzajemnych spotkań, lepszego poznania się, pokonania wielu uprzedzeń i uważnego wsłuchiwania się we wzajemne doświadczenia wiary. Będzie to dla każdego pobudzająca zachęta do lepszego działania i przyniesie obydwu wspólnotom duchowy owoc pociechy. Apostoł Paweł, od którego się wywodzimy, często mówi o pocieszeniu i można sobie wyobrazić, że Barnaba, syn pocieszenia, był tym, który zainspirował niektóre jego słowa, jak na przykład te, w których na początku Drugiego Listu do Koryntian zaleca, abyśmy pocieszali się nawzajem tą samą pociechą, którą zostaliśmy pocieszeni przez Boga (por. 2 Kor 1, 3-5). W związku z tym, drodzy bracia, pragnę was zapewnić o mojej modlitwie i o bliskości Kościoła katolickiego z wami, zarówno w najbardziej bolesnych problemach, które was trapią, jak i w najpiękniejszych i najśmielszych nadziejach, które was ożywiają. Wasze smutki i radości odczuwamy jako własne! Czujemy też, że bardzo potrzebujemy waszej modlitwy.

 Następnie – to drugi aspekt – Barnaba jest przedstawiony w Dziejach Apostolskich jako „lewita rodem z Cypru” (Dz 4, 36). Tekst nie podaje innych szczegółów, ani dotyczących jego wyglądu, ani jego osoby, ale zaraz potem ukazuje Barnabę poprzez znamienne dla niego działanie: „sprzedał ziemię, którą posiadał, a pieniądze przyniósł i złożył u stóp Apostołów” (w. 37). Ten wspaniały gest sugeruje, że, aby odrodzić się w komunii i misji, my także potrzebujemy odwagi, by ogołocić się z tego, co doczesne, chociaż cenne, aby krzewić pełnię jedności. Nie chodzi mi oczywiście o to, co jest święte i pomaga nam spotkać się z Panem, ale o ryzyko absolutyzowania pewnych zwyczajów i obyczajów, które nie wymagają jednolitości i aprobaty wszystkich. Nie pozwólmy, aby sparaliżował nas strach przed otwarciem się i odważnymi gestami, nie ulegajmy owej „niemożliwości pogodzenia różnic”, która nie znajduje odzwierciedlenia w Ewangelii! Nie pozwólmy, aby tradycje, w liczbie mnogiej i pisane małą literą „t”, przeważały nad Tradycją, w liczbie pojedynczej i pisaną wielką literą „T”. Tradycja przez duże „T” zachęca nas bowiem do naśladowania Barnaby, do pozostawienia za sobą tego, co, nawet jeśli dobre, może zagrozić pełni komunii, prymatowi miłości i potrzebie jedności.

Barnaba, składając wszystko, co posiadał u stóp Apostołów, wniknął w ich serca. Także i my, aby odkryć, że jesteśmy częścią tego samego Ciała, jesteśmy zaproszeni przez Pana do uniżenia się do stóp naszych braci i sióstr. Oczywiście, w dziedzinie naszych relacji, historia wprowadziła pośród nas głębokie rozłamy, ale Duch Święty chce, abyśmy z pokorą i szacunkiem zbliżali się do siebie. Zachęca nas, abyśmy nie godzili się z podziałami z przeszłości, ale razem, cierpliwie, wytrwale i konkretnie, uprawiali pole królestwa Bożego. Bo jeśli odłożymy na bok abstrakcyjne pojęcia i będziemy pracowali razem, ramię w ramię, na przykład w działalności charytatywnej, w dziedzinie edukacji, w promowaniu ludzkiej godności, odkryjemy na nowo brata, a komunia będzie dojrzewała sama z siebie, na chwałę Boga. Każdy zachowa swój sposób działania i swój własny styl, ale z czasem nasza wspólna praca zwiększy harmonię i okaże się owocna. Podobnie, jak te piękne ziemie śródziemnomorskie zostały upiększone przez pełną szacunku i cierpliwą pracę człowieka, tak i my, z Bożą pomocą i pokorną wytrwałością, pielęgnujmy naszą apostolską komunię!

Dobrym owocem jest na przykład to, co dzieje się tutaj, na Cyprze, w kościele „Matki Boskiej Złotego Miasta”. Świątynia dedykowana Panaghia Chrysopolitissa jest dziś miejscem kultu dla różnych wyznań chrześcijańskich, a także umiłowanym przez mieszkańców i często wybieranym na celebrowanie zawierania małżeństw. Jest więc znakiem komunii wiary i życia, pod spojrzeniem Świętej Matki Bożej, która gromadzi swoje dzieci. W kompleksie tym znajduje się również kolumna, przy której, zgodnie z tradycją, św. Paweł otrzymał trzydzieści dziewięć uderzeń bicza za głoszenie wiary w Pafos. Misja, podobnie jak komunia, zawsze wymaga przejścia przez ofiary i próby.

To właśnie próba – trzeci aspekt, który zaczerpnąłem z postaci Barnaby – naznaczyła jego życie i początki rozprzestrzeniania się Ewangelii na tych ziemiach. Wracając z Pawłem i Markiem na Cypr, zastał tam Elimasa, „maga, fałszywego proroka” (Dz 13, 6), który złośliwie im się przeciwstawiał, chcąc wykrzywiać proste drogi Pańskie (por. w. 8 i 10). Także dzisiaj nie brakuje fałszu i oszustw, jakie podsuwa nam przeszłość, a które utrudniają drogę. Wieki podziału i oddalenia sprawiły, że przyswoiliśmy sobie, nawet nieświadomie, wiele wrogich uprzedzeń wobec innych, uprzedzeń opartych często na niedostatecznych i wypaczonych informacjach, rozpowszechnianych przez literaturę agresywną i polemiczną. Ale to wszystko zniekształca Bożą drogę, która jest prosta, prowadzi do zgody i jedności. Drodzy bracia, świętość Barnaby jest wymowna także dla nas! Ileż to razy w historii pośród chrześcijan zajęci byliśmy przeciwstawianiem się innym, zamiast twórczo przyjmować drogę Boga, która w miłości dąży do zażegnania podziałów! Ileż to razy przesadzaliśmy i szerzyliśmy uprzedzenia wobec innych, zamiast wypełniać wezwanie, które Pan powtarzał zwłaszcza w Ewangelii spisanej przez św. Marka, przebywającego wraz z Barnabą na tej wyspie: stawajcie się maluczkimi, pomagajcie sobie nawzajem (por. Mk 9, 35; 10, 43-44).

Wasza Świątobliwość, byłem poruszony dzisiaj, podczas naszego dialogu, kiedy mówiłeś o Matce Kościele. Nasz Kościół jest matką, a matka zawsze z czułością gromadzi swoje dzieci. Ufamy tej Matce Kościołowi, która gromadzi nas wszystkich razem i która z cierpliwością, czułością i odwagą prowadzi nas drogą Pana. Ale, aby poczuć macierzyństwo Kościoła, musimy wszyscy udać się tam, gdzie Kościół jest matką. My wszyscy, z naszymi różnicami, ale wszyscy dzieci Matki Kościoła. Dziękuję za tę refleksję, którą dziś ze mną przeprowadziłeś.

Prośmy Pana o mądrość i odwagę, abyśmy podążali Jego drogami, a nie naszymi. Prośmy o to za wstawiennictwem świętych. Leontios Machairas, XV-wieczny kronikarz, nazwał Cypr „świętą wyspą” ze względu na liczbę męczenników i błogosławionych, których ta ziemia zaznała na przestrzeni wieków. Oprócz tych najbardziej znanych i czczonych, takich jak Barnaba, Paweł i Marek, Epifaniusz, Barbara i Spirydon, jest jeszcze wielu innych: niezliczone zastępy świętych, którzy zjednoczeni w jednym niebiańskim Kościele – Kościele Matce –, wzywają nas do wspólnego żeglowania ku portowi, za którym wszyscy tęsknimy. Z wysokości Nieba zapraszają nas do uczynienia z Cypru, już teraz mostu między Wschodem a Zachodem, mostu między Niebem a Ziemią. Niech tak się stanie, ku chwale Trójcy Przenajświętszej, dla dobra naszego i dla dobra wszystkich. Dziękuję!

[01681-PL.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

كلمة قداسة البابا فرنسيس

في اللقاء مع المجمع المقدّس

في الكاتدرائيّة الأرثوذكسيّة في نيقوسيا - قبرص

الجمعة 3 كانون الأوّل/ديسمبر 2021

صاحب الغبطة، وأصحاب السيادة أساقفة السّينودس المقدّس الأعزّاء،

يسعدني أن أكون معكم، وأنا شاكرٌ لاستقبالكم الحارّ. شكرًا، أيّها الأخ العزيز، على كلماتكم، وقلبكم الرّحب، والتزامكم بتعزيز الحوار بيننا. أودّ أن أوجّه تحيّتي إلى الكهنة، والشّمامسة، وجميع المؤمنين في الكنيسة الأرثوذكسيّة في قبرص، وتحيّة خاصة إلى الرّهبان والرّاهبات، فَهُم، بصلواتهم، يطهّرون ويرفعون إيمان الجميع إلى العُلى.

تذكّرني نعمة وجودي هنا، بأنّ لدينا أصولًا رسوليّةً مشتركة: فقد اجتاز بولس قبرص ثم جاء إلى روما. فنحن ننحدر من الاندفاع الرّسوليّ نفسه، ويربطنا طريق واحد، هو طريق الإنجيل. يسرّني أن أرى أنّنا نسير معًا على الطّريق نفسه، نبحث عن مزيد من الأخوّة وعن الوَحدة الكاملة. في هذا الجزء من الأرض المقدّسة، والذي ينشر نعمة تلك الأماكن في البحر الأبيض المتوسّط​​، من الطّبيعي أن نُعيد التّفكير في العديد من الصّفحات والشّخصيات من الكتاب المقدس. ومن بين الجميع، أودّ أن أشير مرّة أخرى إلى القدّيس برنابا، وأُبيّن بعض الجوانب التي يمكن أن توجّهنا في مسيرتنا.

"يوسُف، ولَقَّبَه الرُّسُلُ بَرنابا" (أعمال الرّسل 4، 36). هكذا يقدّمه سفر أعمال الرّسل. لذلك، نحن نعرفه ونكرّمه بلقبه، فهو الذي يدلّ على الشّخص. والآن، كلمة برنابا تعني في الوقت نفسه ”ابن التّعزية“ و ”ابن الإرشاد“. وجميل أنّ هاتَين الميزتَين اللتَين تؤسِّسان شخصيته لا غنى عنهما لإعلان الإنجيل. في الواقع، كلّ تعزية حقيقيّة لا يمكنها أن تبقى باطنيّة، بل يجب أن تتحوّل إلى إرشاد، وإلى توجيه الحرّيّة نحو الخير. وفي الوقت نفسه، كلّ إرشاد إيمانيّ لا يمكنه إلّا أن يكون مبنيًّا على حضور الله المعزّي، وأن يكون مصحوبًا بمحبّة أخويّة.

هكذا يرشدنا ويحثّنا برنابا، ابن التّعزية، نحن إخوته، على القيام بالمهمّة نفسها، في إيصال الإنجيل إلى البشر، ويدعونا إلى أن نفهم أنّ البشارة لا يمكن أن تقوم فقط على إرشادات عامّة، وعلى تكرار التّعاليم والقوانين التي يجب مراعاتها، مثلما يحدث غالبًا. البشارة يجب أن تتبع طريق اللقاء الشّخصي، وتهتمّ بأسئلة النّاس واحتياجاتهم الوجوديّة. حتّى نكون أبناء التّعزية، قبل أن نتفوّه بشيء، علينا أن نستمع، ونتساءل، ونكتشف الآخر، ونشارك. لأنّ الإنجيل يُنقل من أجل الشّركة. هذا ما نرغب في أن نعيشه، نحن الكاثوليك، في السّنوات القادمة، لنكتشف البعد السينودي من جديد، وهو المكوِّن الذي نكُون به كنيسة. وفي هذا، نشعر بالحاجة إلى السّير معكم بشكل مكثّف، أيّها الإخوة الأعزّاء، إذ يمكنكم حقًّا مساعدتنا بخبرتكم السينوديّة. أشكركم على تعاونكم الأخويّ، والذي يتجلّى أيضًا في المشاركة الفعّالة في اللجنة الدوليّة المشتركة للحوار اللاهوتي بين الكنيسة الكاثوليكيّة والكنيسة الأرثوذكسيّة.

أتمنّى من قلبي أن تزداد الفرص كي نلتقي، ونتعرّف بعضنا على بعض بشكل أفضل، فنهدم العديد من الأفكار المسبقة ونستمع إلى خبراتنا الإيمانيّة. سيكون ذلك إرشادًا مُحفِّزًا لكلّ واحدٍ منّا، لكي نعمل بصورة أفضل، وسيحمل إلى كِلَيْنَا ثمرة تعزية روحيّة. تكلّم الرّسول بولس، الذي ننحدر منه، كثيرًا على التّعزية، وجميل أن نتخيّل أنّ برنابا، ابن التّعزية، كان مصدر إلهام لبعض كلماته، مثل التي في بداية رسالته الثّانية إلى أهل قورنتس، والتي فيها أوصانا أن نعزّي بعضنا بعضًا بالتّعزية نفسها التي عزّانا الله بها (راجع الرّسالة الثّانية إلى أهل قورنتس 1، 3-5). بهذا المعنى، أيّها الإخوة الأعزّاء، أودّ أن أؤكّد لكم صلاتي وقُربي، أنا والكنيسة الكاثوليكيّة، في أصعب المشاكل التي تؤلمكم وتقلقكم، وفي أجمل وأجرأ الآمال التي تنعشكم. أحزانكم وأفراحكم تهُمُّنا، ونشعر أنّها أحوالنا وأفراحنا! ونشعر أيضًا أنّنا بحاجة ماسّة إلى صلاتكم.

فيما بعد – وهذا هو الجانب الثاني - قدّم سفر أعمال الرّسل القدّيس برنابا على أنّه "لاوِي قُبرُسِي" (أعمال الرّسل 4، 36). لا يضيف النّصّ تفاصيلَ أخرى، لا على مظهره ولا على شخصه، ولكن بعد ذلك مباشرة، يكشف عن ميزة في برنابا من خلال عمل رمزيّ له: "كانَ يَملِكُ حَقلاً فباعَه وأَتى بِثَمَنِه فأَلقاهُ عِندَ أَقدامِ الرُّسُل" (آية 37). تشير هذه البادرة الرّائعة إلى أنّه، ومن أجل أن نفعّل أنفسنا في الشّركة وفي الرّسالة، نحن بحاجة أيضًا إلى الشّجاعة لنجرّد أنفسنا ممّا هو أرضيّ، حتّى لو كان ثمينًا، لتعزيز كمال الوَحدة. بالتّأكيد لا أشير إلى ما هو مقدّس ويساعد على لقاء الرّبّ يسوع، بل إلى خطر إضفاء صفة المطلق والضروري على بعض الأعراف والعادات، غير الضرورية لعيش الإيمان. لا نسمَحْ أن يشلّنا الخوف ويمنعنا من الانفتاح على الآخر والقيام بمبادرات جريئة، ولا نسانِدْ مبدأ ”عدم إمكانية التوفيق بين الاختلافات“ والتي ليس لها مقابل في الإنجيل! لا نسمح للتّقاليد بصيغة الجمع أن تسود على التّقليد بصيغة المفرد. التقليد (بالمفرد) يحثّنا على الاقتداء ببرنابا، فنتخلّى عن كلّ ما يمكن أن يضرّ بالشّركة الكاملة، وأولويّة المحبّة، وضرورة الوَحدة.

دخل برنابا إلى قلب الرّسل، عندما وضع عند أقدامهم ما كان يملك. نحن أيضًا يدعونا الرّبّ يسوع، لنكتشف أنّنا جزءٌ من الجسد نفسه، وننحني أمام أقدام الإخوة. بالتّأكيد، في مجال علاقاتنا، حفر التّاريخ أخاديد عميقة بيننا، ولكن الرّوح القدس يريد أن نقترب بعضنا من بعض بتواضع واحترام. إنّه يدعونا إلى ألّا نرضخ أمام انقسامات الماضي، وأن نعمل معًا في حقل الملكوت بالصّبر والمثابرة والأعمال. لأنّنا إذا تركنا النظريات المجرّدة جانبًا، وعملنا معًا جنبًا إلى جنب، على سبيل المثال، في أعمال المحبّة، وفي التّربية، وفي تعزيز الكرامة الإنسانيّة، سوف نعيد اكتشاف الأخ، وسوف تنضج الشّركة من تلقاء نفسها، لتسبيح الله. سيحافظ كلّ واحدٍ على طرقه وأسلوبه الخاصّ، ولكن، مع مرور الوقت، سيزيد العمل المشترك من الوفاق، وسيَثبُت أنّه مُثمِر. كما ازدادت جمالًا هذه الأراضي حول البحر الأبيض المتوسّط، بعمل الإنسان المشبَع بالصبر والاحترام، هكذا، وبمعونة الله والمثابرة المتواضعة، ننمّي شركتنا الرسوليّة!

على سبيل المثال، إنّه رمز جميل، ما يحدث هنا في قبرص، في كنيسة السّيّدة العذراء الكاملة القداسة. الهيكل المكرّس إلى ”الباناجيّا كريسوبوليتيسّا“ (Panaghia Chrysopolitissa) هو اليوم مكان عبادة لمختلف الطوائف المسيحيّة، والسّكان يحبّونه وغالبًا ما يتمّ اختياره للاحتفال بسرّ الزواج. هو إذن علامة شركة إيمان وحياة، تحت أنظار والدة الإله القديسة التي تجمع أبناءها. وحُفِظ داخل المُجمَّع أيضًا العمود الذي، بحسب التقليد، جُلِدَ عليه القدّيس بولس تسعًا وثلاثين جلدة، لأنه بشَّر بالإيمان في بافوس. تَمُرُّ الرّسالة، مثل الشّركة، دائمًا عبر التّضحيات والمِحَن.

ميّزت المحن بالتّحديد - وهو الجانب الثّالث الذي استخلصته من شخصيّة برنابا - قصّته وبدايات انتشار الإنجيل في هذه الأراضي. فعند عودته إلى قبرص مع بولس ومرقس، لَقِيَ عَليم"ساحِرًا نَبِيًّا كذَّابًا" (أعمال الرّسل 13، 6)، قاومهم بخبث، محاولًا أن يعوّج طرق الرّبّ المستقيمة (راجع الآيات 8. 10). حتّى اليوم، قد نلقى الزّيف والخداع اللذين يضعهما الماضي أمامنا ويعيقان مسيرتنا. قرون من الانقسام والتّباعد جعلتنا نستوعب، حتّى بطريقة لا إراديّة، عددًا ليس بقليلٍ من الأحكام المسبقة العدائيّة للآخرين، وهي أحكام مسبقة تستند غالبًا على معلومات ضئيلة ومحرّفة، نُشرت في مؤلّفات عدوانيّة وجدليّة. كلّ هذا يُعوِّج طريق الله المستقيم، الذي يهدف إلى الانسجام والوَحدة. أيّها الإخوة الأعزّاء، قداسة برنابا كلام بليغ لنا أيضًا! كم مرّة في التّاريخ، نحن المسيحيّين، كنّا مهتمّين بمقاومة الآخرين، بدلًا من قبول طريق الله طواعيّة، والذي ينزع إلى تسوية الانقسامات في المحبّة! كم مرّة بالغنا ونشرنا أحكامًا مسبقة ضدّ الآخرين، بدلاً من اتباع الإرشاد الذي كرّره الرّبّ يسوع، وخاصّة في الإنجيل الذي كتبه مرقس، والذي كان مع برنابا على هذه الجزيرة: أن نصير صغارًا، ونخدم بعضنا بعضًا (راجع مرقس 9، 35؛ 10، 43-44).

صاحب الغبطة، لقد تأثرت اليوم في حوارنا عندما تكلّمت على الكنيسة الأم. كنيستنا أُم، والأم دائمًا تجمع أبناءها بالحنان. لدينا ثقة بهذه الكنيسة الأم، التي تجمعنا جميعًا والتي تقودنا بصبر وحنان وشجاعة إلى الأمام على طريق الرّبّ. ولكن لكي نشعر بأمومة الكنيسة، علينا جميعًا أن نذهب إلى هناك، حيث الكنيسة هي الأم. جميعنا، مع اختلافاتنا، جميعنا أبناء الكنيسة الأم. شكرًا على هذا التفكير الذي شاركته معي اليوم.

لنطلب من الرّبّ يسوع الحكمة والشّجاعة من أجل أن نتبع طرقه، لا طرقنا. ولنسأله بشفاعة القدّيسين. ليونتيوس ماتشيراس، وهو مؤرّخ من القرن الخامس عشر، عرّف قبرص بأنّها ”الجزيرة المقدّسة“ لعدد الشّهداء والطّوباويّين الذين عرفتهم هذه الأراضي على مرّ القرون. ما عدا المشهورين منهم، مثل برنابا، وبولس ومرقس، وإبيفانوس، وبربارة، وسبيريدون، هناك آخرون كثيرون: جوقات لا تُحصى من القدّيسين، الذين اتّحدوا في الكنيسة السماويّة الواحدة – الكنيسة الأم - يدفعوننا إلى أن نبحر معًا نحو الميناء الذي نتوق إليه جميعًا. ومن العُلى يدعوننا إلى أن نجعل قبرص، وهي من قبل جسر بين الشّرق والغرب، جسرًا بين السّماء والأرض. لِيَكُنْ ذلك، لمجد الثّالوث الأقدس، من أجل خيرنا وخير الجميع. شكرًا.

[01681-AR.02] [Testo originale: Italiano]

[B0810-XX.02]