Accoglienza Ufficiale all’Aeroporto di Larnaca
Incontro con i Sacerdoti, i Religiosi, le Religiose, i Diaconi, i Catechisti, le Associazioni e i Movimenti Ecclesiali di Cipro, nella Cattedrale maronita di Nostra Signora delle Grazie
Accoglienza Ufficiale all’Aeroporto di Larnaca
All’arrivo all’Aeroporto Internazionale di Larnaca, il Santo Padre Francesco è stato accolto dalla President of the House of Parliament. Tre bambini in abito tradizionale hanno consegnato un omaggio floreale al Papa.
Dopo la Guardia d’Onore e la presentazione delle rispettive Delegazioni, il Papa e la President of the House of Parliament si sono recati verso la Vip Lounge. Quindi il Santo Padre si è trasferito in auto alla Cattedrale maronita di Nostra Signora delle Grazie a Nicosia per l’Incontro con i Sacerdoti, i Religiosi, le Religiose, i Diaconi, i Catechisti, le Associazioni e i Movimenti Ecclesiali di Cipro.
[01696-IT.01]
Incontro con i Sacerdoti, i Religiosi, le Religiose, i Diaconi, i Catechisti, le Associazioni e i Movimenti Ecclesiali di Cipro, nella Cattedrale maronita di Nostra Signora delle Grazie
Discorso del Santo Padre
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Questo pomeriggio, alle ore 16.05 (15.05 ora di Roma), il Santo Padre Francesco ha incontrato i Sacerdoti, i Religiosi, le Religiose, i Diaconi, i Catechisti, le Associazioni e i Movimenti Ecclesiali di Cipro nella Cattedrale maronita di Nostra Signora delle Grazie.
Al Suo arrivo, il Papa è stato accolto all’ingresso principale dal Patriarca di Antiochia dei Maroniti, Em.mo Card. Béchara Boutros Raï, O.M.M., e dall’Arcivescovo di Cipro dei Maroniti, S.E. Mons. Selim Jean Sfeir. Quindi si sono recati insieme all’interno della Cattedrale.
Dopo il canto iniziale, seguito dall’indirizzo di saluto del Patriarca di Antiochia dei Maroniti, e dall’alternarsi di canti e dalle testimonianze di una suora francescana e di una suora giuseppina e dalla Lettura degli Atti degli Apostoli, Papa Francesco ha pronunciato il Suo discorso.
Al termine, dopo la recita delle litanie, la benedizione finale e l’offerta di un dono al Santo Padre, il Papa si è trasferito in auto al Palazzo Presidenziale di Nicosia per la Cerimonia di Benvenuto, la Visita di cortesia al Presidente della Repubblica e l’Incontro con le Autorità, la Società Civile e il Corpo Diplomatico.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Santo Padre Francesco ha rivolto alla Comunità Cattolica nel corso dell’Incontro:
Discorso del Santo Padre
Beatitudini, cari fratelli Vescovi,
cari sacerdoti, religiose e religiosi,
cari catechisti, fratelli e sorelle, Χαίρετε! [Salve!]
Sono felice di essere in mezzo a voi. Desidero esprimere la mia gratitudine al Cardinale Béchara Boutros Raï per le parole che mi ha rivolto e salutare con affetto il Patriarca Pierbattista Pizzaballa. Grazie a tutti voi, per il vostro ministero e il vostro servizio; in particolare a voi, sorelle, per l’opera educativa che portate avanti nella scuola, tanto frequentata dai ragazzi dell’isola, luogo di incontro, di dialogo, apprendimento dell’arte di costruire ponti. Grazie! Grazie a tutti per la vostra vicinanza alle persone, specialmente nei contesti sociali e lavorativi dove è più difficile.
Condivido la mia gioia di visitare questa terra, camminando come pellegrino sulle orme del grande Apostolo Barnaba, figlio di questo popolo, discepolo innamorato di Gesù, intrepido annunciatore del Vangelo che, passando tra le nascenti comunità cristiane, vedeva la grazia di Dio all’opera e se ne rallegrava «ed esortava tutti a restare, con cuore risoluto, fedeli al Signore» (At 11,23). E io vengo con lo stesso desiderio: vedere la grazia di Dio all’opera nella vostra Chiesa e nella vostra terra, rallegrarmi con voi per le meraviglie che il Signore opera ed esortarvi a perseverare sempre, senza stancarvi, senza mai scoraggiarvi. Dio è più grande! Dio è più grande delle nostre contraddizioni. Avanti!
Vi guardo e vedo la ricchezza della vostra diversità. È vero, una bella “macedonia”! Tutti diversi. Saluto la Chiesa maronita, che nel corso dei secoli è approdata a più riprese nell’isola e, spesso attraversando molte prove, ha perseverato nella fede. Quando penso al Libano provo tanta preoccupazione per la crisi in cui versa e avverto la sofferenza di un popolo stanco e provato dalla violenza e dal dolore. Porto nella mia preghiera il desiderio di pace che sale dal cuore di quel Paese. Vi ringrazio per ciò che fate nella Chiesa, per Cipro. I cedri del Libano sono citati tante volte nella Scrittura come modelli di bellezza e grandezza. Ma anche un grande cedro comincia dalle radici e lentamente germoglia. Voi siete queste radici, trapiantate a Cipro per diffondere la fragranza e la bellezza del Vangelo. Grazie!
Saluto anche la Chiesa latina, qui presente da millenni, che nel tempo ha visto crescere, insieme ai suoi figli, l’entusiasmo della fede e che oggi, grazie alla presenza di tanti fratelli e sorelle migranti, si presenta come un popolo “multicolore”, un vero e proprio luogo di incontro tra etnie e culture diverse. Questo volto di Chiesa rispecchia il ruolo di Cipro nel continente europeo: una terra dai campi dorati, un’isola accarezzata dalle onde del mare, ma soprattutto una storia che è intreccio di popoli e mosaico di incontri. Così è anche la Chiesa: cattolica, cioè universale, spazio aperto in cui tutti sono accolti e raggiunti dalla misericordia di Dio e dall’invito ad amare. Non ci sono e non ci siano muri nella Chiesa cattolica. E questo, non dimentichiamolo! Nessuno di noi è stato chiamato qui per proselitismo di predicatore, mai. Il proselitismo è sterile, non dà vita. Tutti noi siamo stati chiamati dalla misericordia di Dio, che non si stanca di chiamare, non si stanca di essere vicino, non si stanca di perdonare. Dove sono le radici della nostra vocazione cristiana? Nella misericordia di Dio. Non bisogna dimenticarlo mai. Il Signore non delude; la sua misericordia non delude. Sempre ci aspetta. Non ci sono e non ci siano muri nella Chiesa cattolica, per favore! È una casa comune, è il luogo delle relazioni, è la convivenza delle diversità: quel rito, quell’altro rito…; uno la pensa in quel modo, quella suora l’ha vista in quel modo, quell’altra l’ha vista in quell’altro… La diversità di tutti e, in quella diversità, la ricchezza dell’unità. E chi fa l’unità? Lo Spirito Santo. E chi fa la diversità? Lo Spirito Santo. Chi può capire capisca. Lui è l’autore della diversità ed è l’autore dell’armonia. San Basilio lo diceva: “Ipse harmonia est”. Lui è Colui che fa la diversità dei doni e l’unità armonica della Chiesa.
Carissimi, vorrei ora condividere con voi qualcosa a proposito di san Barnaba, vostro fratello e patrono, traendo dalla sua vita e dalla sua missione due parole.
La prima è pazienza. Si parla di Barnaba come di un grande uomo di fede e di equilibrio, che viene scelto dalla Chiesa di Gerusalemme – si può dire dalla Chiesa madre – come la persona più idonea per visitare una nuova comunità, quella di Antiochia, composta da diversi neoconvertiti dal paganesimo. Viene inviato per andare a vedere cosa sta succedendo, quasi come un esploratore. Vi trova persone che provengono da un altro mondo, un’altra cultura, un’altra sensibilità religiosa; persone che hanno appena cambiato vita e perciò hanno una fede piena di entusiasmo, ma ancora fragile, come all’inizio. In tutta questa situazione l’atteggiamento di Barnaba è di grande pazienza. Sa aspettare. Sa aspettare che l’albero cresca. È la pazienza di mettersi costantemente in viaggio; la pazienza di entrare nella vita di persone fino ad allora sconosciute; la pazienza di accogliere la novità senza giudicarla frettolosamente; la pazienza del discernimento, che sa cogliere i segni dell’opera di Dio ovunque; la pazienza di “studiare” altre culture e tradizioni. Barnaba ha soprattutto la pazienza dell’accompagnamento: lascia crescere, accompagnando. Non schiaccia la fede fragile dei nuovi arrivati con atteggiamenti rigorosi, inflessibili, o con richieste troppo esigenti in merito all’osservanza dei precetti. No. Li lascia crescere, li accompagna, li prende per mano, dialoga con loro. Barnaba non si scandalizza, come un papà e una mamma non si scandalizzano dei figli, li accompagnano, li aiutano a crescere. Tenete a mente questo: le divisioni, il proselitismo dentro la Chiesa non vanno. Lascia crescere e accompagna. E se devi rimproverare qualcuno, rimprovera, ma con amore, con pace. È l’uomo della pazienza.
Abbiamo bisogno di una Chiesa paziente, cari fratelli e sorelle. Di una Chiesa che non si lascia sconvolgere e turbare dai cambiamenti, ma accoglie serenamente la novità e discerne le situazioni alla luce del Vangelo. In quest’isola è prezioso il lavoro che svolgete voi nell’accogliere i nuovi fratelli e sorelle che giungono da altre rive del mondo: come Barnaba, anche voi siete chiamati a coltivare uno sguardo paziente e attento, a essere segni visibili e credibili della pazienza di Dio che non lascia mai nessuno fuori casa, mai nessuno privo del suo tenero abbraccio. La Chiesa in Cipro ha queste braccia aperte: accoglie, integra, accompagna. È un messaggio importante anche per la Chiesa in tutta Europa, segnata dalla crisi della fede: non serve essere impulsivi, non serve essere aggressivi o nostalgici o lamentosi, ma è bene andare avanti leggendo i segni dei tempi e anche i segni della crisi. Occorre ricominciare ad annunciare il Vangelo con pazienza, prendere in mano le Beatitudini, soprattutto annunciarle alle nuove generazioni. A voi, fratelli Vescovi, vorrei dire: siate pastori pazienti nella vicinanza, non stancatevi mai di cercare Dio nella preghiera, cercare i sacerdoti nell’incontro, i fratelli di altre confessioni cristiane con rispetto e premura, i fedeli dove abitano. E a voi, cari sacerdoti che siete qui, vorrei dire: siate pazienti con i fedeli, sempre pronti a incoraggiarli, siate ministri instancabili del perdono e della misericordia di Dio. Mai giudici rigorosi, sempre padri amorevoli.
Quando leggo la Parabola del figlio prodigo: il fratello più grande era un giudice rigoroso, ma il papà era misericordioso, l’immagine del Padre che sempre perdona, anzi, che sempre ci sta aspettando per perdonare! L’anno scorso un gruppo di giovani che fanno degli spettacoli, pop music, hanno voluto fare la parabola del figlio prodigo, cantata in musica pop e i dialoghi… Bellissimo! Ma la cosa più bella è la discussione finale, quando il figlio prodigo va da un amico e dice: “Io così non posso andare avanti. Voglio tornare a casa, ma ho paura che papà mi chiuda la porta in faccia, mi cacci via. Ho questa paura e non so come fare” – “Ma il tuo papà è buono!” – “Sì, ma sai... c’è mio fratello lì, che gli scalda la testa”. Verso la fine di quell’opera pop sul figlio prodigo, l’amico gli dice: “Fai una cosa: scrivi al tuo papà e digli che hai voglia di tornare ma hai paura che non ti accolga bene. Di’ al tuo papà che, se vuole accoglierti bene, metta un fazzoletto sulla finestra più alta della casa, così il tuo papà ti dirà prima se ti accoglierà bene o ti caccerà via”. Si chiude quell’atto. Nell’altro atto, il figlio è in cammino verso la casa del papà. E quando è in cammino, gira, e si vede la casa del papà: era piena di fazzoletti bianchi! Piena! Questo è Dio per noi. Questo è Dio per noi. Non si stanca di perdonare. E quando il figlio incomincia a parlare: “Ah, signore, io ho fatto…” – “Zitto”, gli tappa la bocca.
A voi sacerdoti: per favore, non siate rigoristi nella confessione. Quando vedete che qualche persona è in difficoltà dite: “Ho capito, ho capito”. Questo non vuol dire “manica larga”, no. Vuol dire cuore di padre, come cuore di padre è Dio. L’opera che il Signore compie nella vita di ogni persona è una storia sacra: lasciamocene appassionare. Nella multiforme varietà del vostro popolo, pazienza significa anche avere orecchie e cuore per diverse sensibilità spirituali, diversi modi di esprimere la fede, diverse culture. La Chiesa non vuole uniformare – per favore, no! – ma integrare tutte le culture, tutte le psicologie della gente, con pazienza materna, perché la Chiesa è madre. È quello che desideriamo fare con la grazia di Dio nell’itinerario sinodale: preghiera paziente, ascolto paziente per una Chiesa docile a Dio e aperta all’uomo. Questa era la pazienza, uno degli aspetti di Barnaba.
Nella storia di Barnaba c’è un secondo aspetto importante che vorrei sottolineare: il suo incontro con Paolo di Tarso e la loro fraterna amicizia, che li porterà a vivere insieme la missione. Dopo la conversione di Paolo, prima accanito persecutore dei cristiani, «tutti avevano paura di lui, non credendo ancora che fosse un discepolo» (At 9,26). Qui il Libro degli Atti degli Apostoli dice una cosa molto bella: «Barnaba lo prese con sé» (v. 27). Lo presenta alla comunità, racconta che cosa gli è successo, garantisce per lui. Ascoltiamo questo “lo prese con sé”. L’espressione richiama la stessa missione di Gesù, che ha preso con sé i discepoli per le strade della Galilea, che ha preso su di sé la nostra umanità ferita dal peccato. È un atteggiamento di amicizia, un atteggiamento di condivisione di vita. Prendere con sé, prendere su di sé è farsi carico della storia dell’altro, darsi il tempo per conoscerlo senza etichettarlo – il peccato di etichettare la gente, per favore! –, caricarlo sulle spalle quando è stanco o ferito, come fa il buon samaritano (cfr Lc 10,25-37). Questa si chiama fraternità. E questa è la seconda parola che io vorrei dirvi. La prima, pazienza; la seconda, fraternità.
Barnaba e Paolo, come fratelli, viaggiano insieme per annunciare il Vangelo, anche in mezzo alle persecuzioni. Nella Chiesa di Antiochia, «rimasero insieme un anno intero e istruirono molta gente» (At 11,26). Entrambi, poi, per volontà dello Spirito Santo, furono riservati per una missione più grande e «salparono verso Cipro» (At 13,4). E la Parola di Dio correva e cresceva non solo per le loro qualità umane, ma soprattutto perché erano fratelli nel nome di Dio e questa loro fraternità faceva risplendere il comandamento dell’amore. Fratelli diversi, differenti – come le dita di una mano, tutte diverse –, ma tutti con la stessa dignità. Fratelli. Poi, come succede nella vita, accade un fatto inaspettato: gli Atti raccontano che i due hanno un forte dissidio e le loro strade si separano (cfr At 15,39). Anche tra i fratelli si discute, a volte si litiga. Paolo e Barnaba, però, non si separano per motivi personali, ma perché stanno discutendo sul loro ministero, su come portare avanti la missione, e hanno visioni diverse. Barnaba desidera portare in missione anche il giovane Marco, Paolo non vuole. Discutono, ma da alcune successive lettere di Paolo si intuisce che tra i due non rimase rancore. Addirittura a Timoteo, che deve raggiungerlo in seguito, Paolo scrive: «Cerca di venire presto da me […] Prendi con te Marco [proprio lui!] e portalo, perché mi sarà utile per il ministero» (2 Tm 4,9.11). Questa è la fraternità nella Chiesa: si può discutere sulle visioni, sui punti di vista – e conviene farlo, conviene, questo fa bene, un po’ di discussione fa bene – su sensibilità e idee diverse, perché è brutto non discutere mai. Quando c’è questa pace troppo rigorista, non è di Dio. In una famiglia i fratelli discutono, scambiano i punti di vista. Io sospetto di coloro che non discutono mai, perché hanno “agende” nascoste, sempre. Questa è la fraternità della Chiesa: si può discutere sulle visioni, su sensibilità, su idee diverse, e in certi casi dirsi le cose in faccia con franchezza, questo aiuta in certi casi, e non dirle da dietro con un chiacchiericcio che non fa bene a nessuno. È occasione di crescita e cambiamento la discussione. Ma ricordiamo sempre: si discute non per farsi la guerra, non per imporsi, ma per esprimere e vivere la vitalità dello Spirito, che è amore e comunione. Si discute, ma si rimane fratelli. Io ricordo, da bambino, eravamo in cinque. Si discuteva fra noi, fortemente a volte, non tutti i giorni, e poi a tavola eravamo tutti insieme. La discussione della famiglia che ha una madre, la madre Chiesa: i figli discutono.
Cari fratelli e sorelle, abbiamo bisogno di una Chiesa fraterna che sia strumento di fraternità per il mondo. Qui a Cipro esistono tante sensibilità spirituali ed ecclesiali, varie storie di provenienza, di riti, di tradizioni diverse; ma non dobbiamo sentire la diversità come una minaccia all’identità, né dobbiamo ingelosirci e preoccuparci dei rispettivi spazi. Se cadiamo in questa tentazione cresce la paura, la paura genera diffidenza, la diffidenza sfocia nel sospetto e prima o poi porta alla guerra. Siamo fratelli, amati da un unico Padre. Siete immersi nel Mediterraneo: un mare di storie diverse, un mare che ha cullato tante civiltà, un mare dal quale ancora oggi sbarcano persone, popoli e culture da ogni parte del mondo. Con la vostra fraternità potete ricordare a tutti, all’Europa intera, che per costruire un futuro degno dell’uomo occorre lavorare insieme, superare le divisioni, abbattere i muri e coltivare il sogno dell’unità. Abbiamo bisogno di accoglierci e integrarci, di camminare insieme, di essere sorelle e fratelli tutti!
Vi ringrazio per quello che siete e per quello che fate, per la gioia con cui annunciate il Vangelo e per le fatiche e le rinunce con cui lo sostenete e fate progredire. È questa la via disegnata dai santi Apostoli Paolo e Barnaba. Vi auguro di essere sempre una Chiesa paziente, che discerne, che non si spaventa mai, discerne, che accompagna e che integra; e una Chiesa fraterna, che fa spazio all’altro, discute ma rimane unita, e cresce nella discussione. Vi benedico, ognuno di voi. E, per favore, continuate a pregare per me, perché ne ho bisogno! Efcharistó! [Grazie!]
[01679-IT.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
Béatitudes, chers frères Évêques,
chers prêtres, religieuses et religieux,
chers catéchistes, frères et sœurs, Χαίρετε! [Salut]
Je suis heureux d’être parmi vous.Je désire exprimer ma gratitude au Cardinal Béchara Boutros Raï pour les paroles qu’il m’a adressées et saluer affectueusement le Patriarche Pierbattista Pizzaballa.Merci à tous, pour votre ministère et votre service ;en particulier à vous, mes sœurs, pour l’œuvre éducative que vous accomplissez dans les écoles, très fréquentées par les jeunes de l’île, lieu de rencontre, de dialogue, d’apprentissage dans l’art de construire des ponts.Merci! Merci à tous pour votre proximité avec les personnes, en particulier dans les contextes sociaux et de travail où cela est plus difficile.
J’exprime ma joie de visiter cette terre, en marchant comme pèlerin sur les traces du grand Apôtre Barnabé, fils de ce peuple, disciple amoureux de Jésus, intrépide annonciateur de l’Évangile qui, passant parmi les communautés chrétiennes naissantes, voyait la grâce de Dieu à l’œuvre, s’en réjouissait et « les exhortait tous à rester d’un cœur ferme attachés au Seigneur » (Ac 11, 23).Et je viens avec le même désir: voir la grâce de Dieu à l’œuvre dans votre Église et sur votre terre, me réjouir avec vous pour les merveilles que le Seigneur opère et vous exhorter à toujours persévérer, sans vous fatiguer, sans jamais vous décourager. Dieu est plus grand! Dieu est plus grand que nos contradictions! Allons de l’avant!
Je vous regarde et je vois la richesse de votre diversité. En effet, une belle «macédoine»! Vous êtes tous différents. Je salue l’Église maronite qui a accosté sur l’île à plusieurs reprises au cours des siècles, souvent en traversant de nombreuses épreuves, et qui a persévéré dans la foi.Quand je pense au Liban, je suis très préoccupé par la crise dans laquelle il se trouve et je ressens la douleur d’un peuple fatigué et éprouvé par la violence et la souffrance. Je porte dans ma prière le désir de paix qui monte du cœur de ce pays. Je vous remercie pour ce que vous faites ici dans l’Eglise, pour Chypre. Les cèdres du Liban sont souvent cités dans l’Écriture comme des modèles de beauté et de grandeur. Mais même un grand cèdre commence par les racines et pousse lentement.Vous êtes ces racines, transplantées à Chypre pour répandre le parfum et la beauté de l’Évangile.Merci !
Je salue aussi l’Église latine, présente ici depuis des millénaires, qui a vu croître dans le temps, en même temps que ses fils, l’enthousiasme de la foi et qui aujourd’hui, grâce à la présence de beaucoup de frères et de sœurs migrants, se présente comme un peuple “multicolore”, un véritable lieu de rencontre entre différentes ethnies et cultures.Ce visage d’Église reflète le rôle de Chypre au sein du continent européen: une terre aux champs dorés, une île caressée par les vagues de la mer, mais surtout une histoire qui est un enchevêtrement de peuples, une mosaïque de rencontres. Il en est de même pour l’Église: catholique, c’est-à-dire universelle, un espace ouvert où tous sont accueillis et rejoints par la miséricorde de Dieu et par l’invitation à aimer. Il n’y a pas et il ne doit pas y avoir pas de murs dans l’Église catholique. N’oublions pas cela! Aucun d’entre nous n’a été appelé à être un prédicateur prosélyte, jamais. Le prosélytisme est stérile, il ne donne pas la vie. Nous avons tous été appelés par la miséricorde de Dieu, qui ne s’épuise jamais à appeler, qui ne s’épuise jamais à être proche, qui ne s’épuise jamais à pardonner. Où sont les racines de notre vie chrétienne? Dans la miséricorde de Dieu. Nous ne devons jamais l’oublier. Le Seigneur ne déçoit pas; sa miséricorde ne déçoit pas. Elle nous attend toujours. Dans l’Eglise catholique, n’y a pas de murs et, s’il vous plaît, qu’il n’y en ait jamais! Elle est une maison commune, le lieu des relations, la coexistence des diversités. Tel rite, tel autre rite… untel voit les choses de cette manière, telle sœur les voit ainsi, telle autre les voit autrement… C’est la diversité de chacun et, dans cette diversité, la richesse de l’unité. Et qui fait l’unité? L’Esprit Saint. Comprenne qui pourra. C’est lui l’auteur de la diversité et le créateur de l’harmonie. Saint Basile le disait: «Ipse harmonia est». C’est lui qui permet la diversité des dons et l’unité harmonique de l’Eglise.
Très chers amis, je voudrais maintenant partager avec vous quelque chose à propos de saint Barnabé, votre frère et patron, en tirant de sa vie et de sa mission deux mots.
Le premier est patience. On parle de Barnabé comme étant un grand homme de foi et d’équilibre, qui est choisi par l’Église de Jérusalem - on peut dire de l’Église mère - comme la personne la plus apte à visiter une nouvelle communauté, celle d’Antioche, composée de plusieurs néo-convertis du paganisme.Il est envoyé pour aller voir ce qui se passe, presque comme un explorateur. Il y trouve des personnes qui proviennent d’un autre monde, d’une autre culture, d’une autre sensibilité religieuse; des personnes qui viennent à peine de changer de vie et qui ont donc une foi pleine d’enthousiasme, mais encore fragile, comme toujours dans les débuts. Dans cette situation, l’attitude de Barnabé est d’une grande patience. Il sait attendre. Il sait attendre que l’arbre grandisse. C’est la patience de se mettre constamment en voyage ;la patience d’entrer dans la vie de personnes jusque-là inconnues ;la patience d’accueillir la nouveauté sans la juger à la hâte ;la patience du discernement qui sait saisir partout les signes de l’œuvre de Dieu ;la patience pour “étudier” d’autres cultures et traditions.Barnabé a surtout la patience de l’accompagnement: il laisse grandir, il accompagne. Il n’écrase pas la foi fragile des nouveaux arrivés par des attitudes rigoureuses, inflexibles, ou par des demandes trop exigeantes quant à l’observance des préceptes. Non. Il laisse grandir, il les accompagne, les prend par la main, leur parle. Barnabé ne se scandalise pas, comme un papa et une maman ne sont pas scandalisés par leurs enfants, mais les accompagnent, les aident à grandir. Gardez cela en mémoire: les divisions, le prosélytisme dans l’Eglise, cela ne va pas. Laisse grandir et accompagne. Et si tu dois reprendre quelqu’un, fais-le, mais avec amour, paisiblement. Barnabé est l’homme de la patience.
Nous avons besoin d’une Église patiente, chers frères et sœurs. D’une Église qui ne se laisse pas bouleverser ni troubler par les changements, mais qui accueille sereinement la nouveauté et discerne les situations à la lumière de l’Évangile. Sur cette île, le travail que vous accomplissez pour accueillir les nouveaux frères et sœurs qui arrivent d’autres rives du monde est précieux. Comme Barnabé, vous êtes appelés vous aussi à cultiver un regard patient et attentif, à être des signes visibles et crédibles de la patience de Dieu qui ne laisse jamais personne hors de la maison, jamais personne privé de sa tendre étreinte.L’Église qui est à Chypre a ses bras ouverts: elle accueille, elle intègre, elle accompagne.C’est un message important pour l’Église dans toute l’Europe, marquée par la crise de la foi: il ne sert à rien d’être impulsifs, il ne sert à rien d’être agressifs, ou nostalgiques, ou plaintifs, mais il est bon d’aller de l’avant en lisant les signes des temps, et aussi les signes de la crise.Il faut recommencer à annoncer l’Évangile avec patience, avec en main les Béatitudes, en les annonçant surtout aux nouvelles générations. À vous frères évêques, je voudrais dire: soyez des pasteurs patients dans la proximité, ne vous lassez jamais de chercher Dieu dans la prière, de chercher les prêtres dans la rencontre, les frères des autres confessions chrétiennes avec respect et sollicitude, les fidèles là où ils habitent.Et à vous, chers prêtres qui êtes parmi nous, je voudrais dire: soyez patients avec les fidèles, toujours prêts à les encourager, soyez les ministres inlassables du pardon et de la miséricorde de Dieu.Jamais des juges rigoureux, mais toujours des pères aimants.
Lorsque je lis la parabole du fils prodigue… le frère aîné était un juge sévère, mais le père était miséricordieux, l'image du Père qui pardonne toujours, et même, qui attend de pouvoir nous pardonner! L'année dernière, un groupe de jeunes qui produisent des concerts de musique pop a voulu présenter la parabole du Fils prodigue, chantée sur de la musique pop et avec les dialogues... C’était magnifique ! Mais le plus beau était cette discussion finale, lorsque le fils prodigue va voir un ami et lui dit : «Je ne peux pas continuer comme ça. Je veux rentrer à la maison, mais j'ai peur que papa me ferme la porte au nez et me mette dehors. J'ai peur et je ne sais pas quoi faire» - «Mais ton père est bon !» - «Oui, mais tu sais... mon frère est là, il lui monte la tête contre moi ». Vers la fin de cet opéra pop sur le fils prodigue, cet ami lui dit : «Fais une chose : écris à ton père et dis-lui que tu veux revenir mais que tu as peur qu'il ne t'accueille pas. Dis à ton père que, s'il veut bien t'accueillir à nouveau, il mette un mouchoir sur la plus haute fenêtre de la maison, afin qu’il te prévienne à l'avance s'il va t'accueillir à nouveau ou te jeter dehors». L’acte prend fin. Dans l’acte suivant, le fils est en route pour la maison de son père. Et, alors qu’il est en route, il se retourne et l’on voit la maison de son père : elle est pleine de mouchoirs blancs ! Recouverte ! Voilà qui est Dieu pour nous. Voilà qui est Dieu pour nous. Il ne se lasse jamais de pardonner. Et quand le fils commence à parler : «Ah, Seigneur, j'ai fait...» - «Chut», il le fait taire.
A vous, les prêtres : s'il vous plaît, ne soyez pas rigoristes dans vos confessions. Lorsque vous voyez que quelqu'un est en difficulté, dites: «Je comprends, je comprends». Cela ne veut pas dire «tolérance», non. Cela signifie avoir un cœur de père, tout comme Dieu a un cœur de père. L’œuvre que le Seigneur accomplit dans la vie de toute personne est une histoire sacrée: laissons-nous nous passionner par elle.Dans la variété multiforme de votre peuple, la patience c’est aussi avoir des oreilles et des cœurs pour différentes sensibilités spirituelles, différentes manières d’exprimer la foi, différentes cultures.L’Église ne veut pas uniformiser – je vous en prie, surtout pas! –, mais intégrer toutes les cultures, toutes les préoccupations des personnes, avec une patience maternelle, parce que l’Eglise est une mère.C’est ce que nous désirons faire avec la grâce de Dieu dans l’itinéraire synodal: prière patiente, écoute patiente pour une Église docile à Dieu et ouverte à l’homme. Voilà pour la patience, l’une des caractéristiques de Barnabé.
Dans l’histoire de Barnabé, il y a un second aspect important que je voudrais souligner: sa rencontre avec Paul de Tarse et leur amitié fraternelle, qui les conduira à vivre la mission ensemble. Après la conversion de Paul, d’abord persécuteur acharné des chrétiens, «tous avaient peur de lui, car ils ne croyaient pas que lui aussi était un disciple» (Ac 9, 26). Le Livre des Actes des Apôtres dit ici une chose très belle: «Barnabé le prit avec lui» (v. 27). Il le présente à la communauté, il raconte ce qui lui est arrivé, il se porte garant pour lui.Écoutons ceci, “il le prit avec lui”.L’expression rappelle la mission même de Jésus qui a pris avec lui les disciples sur les routes de la Galilée, qui a pris sur lui notre humanité blessée par le péché.C’est une attitude d’amitié, une attitude de partage de vie.Prendre avec soi, prendre sur soi, c’est prendre en charge l’histoire de l’autre, se donner le temps pour le connaître sans l’étiqueter – ce péché d’étiqueter les personnes, par pitié! –, le porter sur les épaules quand il est fatigué ou blessé, comme le fait le bon samaritain (cf. Lc 10, 25-37).Cela s’appelle la fraternité.Voici le deuxième mot que je voulais vous dire. Le premier: patience; le second: fraternité.
Barnabé et Paul voyagent ensemble comme des frères pour annoncer l’Évangile, même dans les persécutions. Dans l’Église d’Antioche, ils restèrent ensemble«pendant toute une année et instruisirent une foule considérable» (Ac 11, 26). Tous deux sont ensuite, par la volonté de l’Esprit Saint, réservés pour une mission plus grande et «s’embarquent pour Chypre » (Ac 13, 4). Et la Parole de Dieu courait et grandissait non seulement à cause de leurs qualités humaines, mais surtout parce qu’ils étaient frères au nom de Dieu et que leur fraternité faisait resplendir le commandement de l’amour. Des frères différents– comme les doigts de la main, tous divers –, mais tous également dignes. Des frères. Puis, comme il arrive dans la vie, un fait inattendu se produit: les Actes racontent que les deux ont un fort désaccord et leurs routent se séparent (cf. Ac 15, 39). Même entre frères on discute, parfois on se dispute. Paul et Barnabé, cependant, ne se séparent pas pour des raisons personnelles, mais parce qu’ils discutent de leur ministère, sur la façon de mener la mission, et ils ont des visions différentes. Barnabé désire emmener le jeune Marc en mission, Paul ne veut pas. Ils discutent, mais de quelques-unes des lettres ultérieures de Paul, on comprend qu’il n’est pas resté de rancune entre les deux. Paul écritmême à Timothée, qui doit le rejoindre tout de suite : «Efforce-toi de me rejoindre au plus vite, [...] Amène Marc avec toi, [lui précisément!] il m’est très utile pour le ministère » (2 Tm 4, 9.11). Voilà la fraternité dans l’Église: on peut discuter à propos de visions, de points de vues – et il est bien de le faire, cela fait du bien, un peu de discussion fait toujours du bien –, de sensibilités et d’idées différentes, parce qu’il est dommage de ne jamais discuter. Une paix trop rigoriste n’est pas de Dieu. Dans une famille, les frères discutent, échangent leurs points de vue. Je suspecte ceux qui ne contredisent jamais, parce qu’ils ont un «agenda caché», toujours. Voilà la fraternité dans l’Eglise: on peut confronter les visions, les sensibilités, les idées différentes, et, dans certains cas, se dire les choses en face avec franchise, cela aide, dans certains cas, plutôt que de le dire par derrière, dans un bavardage qui ne fait de bien à personne. La discussion est une occasion de croissance et de changement. Mais rappelons-nous toujours: on discute non pour se faire la guerre, non pour s’imposer, mais pour exprimer et vivre la vitalité de l’Esprit qui est amour et communion. On discute, mais on reste frères. Je me souviens qu’enfant, nous étions cinq. On discutait entre nous, parfois avec vigueur, pas tous les joursnon plus ; et puis nous nous retrouvions tous ensemble à table. Voilà, ce sont les échanges dans une famille qui a une mère, la mère Eglise: les enfants discutent.
Chers frères et sœurs, nous avons besoin d’une Église fraternelle qui soit un instrument de fraternité pour le monde. Ici à Chypre, il y a beaucoup de sensibilités spirituelles et ecclésiales, des histoires d’origine variées, des rites, des traditions différentes. Mais nous ne devons pas percevoir la diversité comme une menace pour l’identité, ni nous jalouser ou nous soucier de nos espaces respectifs. Si nous tombons dans cette tentation, la peur grandit, la peur engendre la méfiance, la méfiance débouche sur la suspicion et conduit tôt ou tard à la guerre. Nous sommes frères, aimés par un unique Père. Vous êtes immergés dans la Méditerranée: une mer d’histoires différentes, une mer qui a bercé tant de civilisations, une mer d’où débarquent, aujourd’hui encore, des personnes, des peuples et des cultures de toutes les parties du monde. Par votre fraternité, vous pouvez rappeler à tous, à l’Europe tout entière, que pour construire un avenir digne de l’homme, il faut travailler ensemble, dépasser les divisions, abattre les murs et cultiver le rêve de l’unité. Nous avons besoin de nous accueillir et de nous intégrer, de marcher ensemble, d’être frères et sœurs de tous!
Je vous remercie pour ce que vous êtes et pour ce que vous faites, pour la joie avec laquelle vous annoncez l’Évangile et pour les efforts et les renoncements avec lesquels vous le soutenez et le faites progresser. C’est la voie tracée par les saints Apôtres Paul et Barnabé. Je vous souhaite d’être toujours une Église patiente, qui ne s’épouvante jamais, qui discerne, qui accompagne et qui intègre ; et une Église fraternelle, qui fait place à l’autre, qui discute mais reste unie, et qui grandit dans la discussion. Je vous bénis, chacun d’entre vous, et s’il vous plaît, continuez à prier pour moi, parce que j’en ai besoin ! Efcharistó! [Merci!]
[01679-FR.02] [Texte original: Italien]
Traduzione in lingua inglese
Your Beatitudes,
Dear Brother Bishops,
Dear Priests, Men and Women Religious, and Catechists,
Dear Brothers and Sisters, Χαίρετε! [Greetings!]
I am pleased to be here among you. I express my gratitude to Cardinal Béchara Boutros Raï for his kind words, and I cordially greet Patriarch Pierbattista Pizzaballa. I am grateful to all of you for your ministry and your service, especially to you, sisters, for the educational work you carry on in the schools, so well attended by the children of the island, and which are places of encounter, dialogue and instruction in the art of building bridges. Thank you all for your closeness to people, especially in social and work settings where it is more difficult.
I share with you my joy in visiting this land and journeying as a pilgrim in the footsteps of the great apostle Barnabas, a son of this people, a disciple who loved Jesus and a fearless herald of the Gospel. As he visited the emerging Christian communities, he saw the grace of God at work; he rejoiced and urged everyone “to remain faithful to the Lord with steadfast purpose” (cf. Acts 11:23). I come with the same desire: to see the grace of God at work in your Church and in your land, to rejoice with you at the wondrous things the Lord has done, and to urge you to persevere always, without growing weary or discouraged. God is greater! He is always greater than our own contradictions. Always persevere!
In looking out at you, I see the wealth of your diversity, each of you truly different, like a good “fruit salad”! I greet the Maronite Church, which arrived on the island in successive stages over the centuries and, frequently passing through many trials, has maintained the faith. When I think of Lebanon, I am greatly concerned for the crisis it is facing; I am sensitive to the sufferings of a people wearied and tested by violence and adversity. I carry in my prayer the desire for peace that rises from the heart of that country. I thank you for all that you are doing in the Church, and for Cyprus. The cedars of Lebanon are mentioned many times in Scripture as examples of beauty and grandeur. Yet even a great cedar rises from its roots and grows slowly. You are those roots, transplanted to Cyprus in order to spread the fragrance and beauty of the Gospel. Thank you!
I also greet the Latin Church, present here for more than a millennium, which over time has witnessed the enthusiasm of the faith increase, together with her children. Now, thanks to the presence of many of our migrant brothers and sisters, it appears as a “polychrome” people, a true point of encounter between different ethnicities and cultures. This face of the Church reflects Cyprus’ own place in the European continent: it is a land of golden fields, an island caressed by the waves of the sea, but above all else a history of intertwined peoples, a mosaic of encounters. The Church, as catholic, universal, is an open space in which all are welcomed and gathered together by God’s mercy and invitation to love. Walls do not and should not exist in the Catholic Church. Let us never forget that! None of us has been called here to proselytize as preachers, never. Proselytism is sterile and does not give life. We have all been called by the mercy of God, who never tires of calling, never tires of being near, never tires of forgiving. Where do we find the roots of our Christian vocation? In God’s mercy. We must never forget that. The Lord does not disappoint us; his mercy does not disappoint us. He is always waiting for us. Please remember, walls do not and should not exist in the Catholic Church. For the Church is a common home, a place of relationships and of coexistence in diversity, with a variety of rites. One person thinks this way, another sees things that way, this Sister sees things in a different way… This is the diversity of the whole; and there, in that diversity, is the richness of unity. Who makes this unity? The Holy Spirit. Who makes this diversity? The Holy Spirit. Whoever sees this will understand. The Holy Spirit is the author of diversity and the author of harmony. Saint Basil used to put it this way: “Ipse harmonia est”. The Spirit is the one who gives the diversity of gifts and makes the harmonious unity of the Church.
Dear brothers and sisters, I want to reflect with you about Saint Barnabas, your brother and patron, using two words that describe his life and mission.
The first word is patience. Of Barnabas, it was said that he was a great man of faith and wisdom chosen by the Church in Jerusalem – the Mother Church, we could say – as the person best suited to visit a new community, that of Antioch, made up of a number of recent converts from paganism. He was sent to go and see what was happening, to scout things out. There he found people coming from another whole world, another culture, another religious sensibility. They were people who had just had a life-changing experience; theirs was a faith full of enthusiasm, yet still fragile, like at the beginning. In this situation, Barnabas’ attitude was one of utmost patience. He knew how to wait for the tree to grow. This is the patience to keep moving forward; the patience to enter into the lives of hitherto unknown individuals; the patience to accept what was new without rushing to judgement. His was the patience of discernment that is capable of perceiving the signs of God’s work in every place, the patience to “study” other cultures and traditions. Above all else, Barnabas had the patience of accompaniment: he knew how to accompany and allow growth to occur. He did not overwhelm the fragile faith of the newcomers by taking a rigorous and inflexible approach, or by making excessive demands about the observance of precepts. No. He allowed them to grow. He accompanied them, taking them by the hand and dialoguing with them. Barnabas was not scandalized; he was like mothers and fathers who are not scandalized by their children, who accompany them and help them to grow. Bear this in mind: divisions and proselytism within the Church are not right. Accompany others, allowing them to grow. And if you need to correct someone, do it with love, with peace. Barnabas is the man of patience.
Dear brothers and sisters, we need a patient Church. A Church that does not allow itself to be upset and troubled by change, but calmly welcomes newness and discerns situations in the light of the Gospel. The work you are carrying out on this island, as you welcome new brothers and sisters arriving from other shores of the world, is precious. Like Barnabas, you too are called to foster a patient and attentive outlook, to be visible and credible signs of the patience of God, who never leaves anyone outside the home, never leaves anyone bereft of his loving embrace. The Church of Cyprus has these same open arms: it welcomes, integrates and accompanies. This is also an important message for the Church throughout Europe, marked by the crisis of faith. It does little good to be impulsive and tempestuous, nostalgic or querulous; instead, we do well to march forward, reading the signs of the times as well as the signs of the crisis. We need to start proclaiming the Gospel anew, patiently, closely following the Beatitudes, above all proclaiming them to the next generation. I would ask you, my brother Bishops, to be pastors patient in closeness. Be tireless in seeking God in prayer, in encountering your priests, in encountering with respect and kindness your brothers and sisters of other Christian confessions, in encountering the faithful wherever they may be. To you, dear priests, I would say: be patient with the faithful, always ready to encourage them; be untiring ministers of God’s forgiveness and mercy. Never be harsh judges, but loving fathers.
When I read the Parable of the Prodigal Son, the older brother was a harsh judge, but the father was merciful, the image of the Father who always forgives; indeed, the Father who is always waiting to forgive us. Last year, a group of young people who put on pop music performances wanted to perform the Parable of the Prodigal Son, with music and dialogue… Wonderful! Yet the most beautiful part was the final conversation, when the prodigal son went to a friend and said: “I can’t go on like this. I want to go back home, but I’m afraid my father will close the door in my face and throw me out. I’m afraid and I don’t know what to do”. “But your father is a good man!” “Yes, but you know… my brother is there, who is a hothead”. Towards the end of this performance about the prodigal son, his friend tells him: “Do this one thing: write to your father and tell him that you want to come home but that you’re afraid he won’t welcome you. Say to your father that if he wants to welcome you, he should put a handkerchief on the highest window of the house. In that way, your father will tell you first whether he will welcome you or chase you away”. That act ends. In the next act, the son is on his way to his father’s house. And when he is on his way, he turns, and you see his father’s house: it was full of white handkerchiefs! Full! This is what God is like for us. This is God for us. He never tires of forgiving. And when the son begins to speak: “Father, I did…”, the father says, “Hush” and covers his mouth.
Dear priests: please, do not be strict in confession. When you see that someone is in difficulty, say: “I understand, I understand”. This does not mean being “over-indulgent”, no. Yet it does mean having the heart of a father, like the heart of the father who is God. The work that the Lord accomplishes in each person is a “sacred history”: let us be enthused about it. Given the multifaceted variety of your people, patience also means having open ears and hearts for different spiritual sensibilities, different ways of expressing the faith, different cultures. The Church does not want to reduce everything to uniformity, far from it, but to integrate all cultures, all the mentalities of people with maternal patience, for the Church is a mother. This is what, with the grace of God, we want to achieve on the synodal path, through patient prayer and patient listening, for a Church docile to God and open to humanity. This is patience, one of the aspects of Barnabas.
There is a second important aspect in Barnabas’ history that I want to highlight: his encounter with Paul of Tarsus and their fraternal friendship, which led them to carry out their mission together. After Paul’s conversion, “they were all afraid of him, for they did not believe he was a disciple” (Acts 9:26), since he had previously been a ruthless persecutor of Christians. Here the Acts of the Apostles tells us something very touching: “Barnabas took him” (v. 27), brought him to the community, recounted what had happened to him and vouched for him. Let us listen to those words, “he took him”. They evoke Jesus’ own mission, for he took the disciples with him through the streets of Galilee and took upon himself our humanity wounded by sin. His was an approach of friendship and sharing of life. “Taking with oneself”, “taking upon oneself” means taking up the history of others, taking the time to get to know them without labeling them – the sin of labeling people! – bearing them on our shoulders when they are tired or wounded, as the good Samaritan did (cf. Lk 10:25-37). This is fraternity, and these are the words I want to say to you: the first is patience, the second fraternity.
Barnabas and Paul, as brothers, journeyed together to proclaim the Gospel, even amid persecution. At Antioch, “for a whole year they met with the Church and taught a large number of people” (Acts 11:26). Later, by the will of the Holy Spirit, both were set apart for a much greater mission, and so “they sailed to Cyprus” (Acts 13:4). The word of God sped along and grew, not only because of their human qualities, but above all because they were brothers in the name of God, and their fraternity radiated the commandment of love. They were brothers who were different – like the fingers on our hands, each different – yet with the same dignity. Brothers. Later, as happens in life, an unexpected event occurred: the Acts of the Apostles tell us that the two had a sharp disagreement and they went their separate ways (cf. Acts 15:39). Brothers can argue and at times fight. Yet Paul and Barnabas did not go their separate ways for personal reasons, but because they disagreed about their ministry, about how to carry out their mission, and in this regard they had different ideas. Among other things, Barnabas wanted to bring the young Mark on their mission, but Paul did not. They argued, yet from some later letters of Paul, we see that there was no rancour between the two of them. Paul even wrote to Timothy, who had to join him shortly after: “Do your best to come to me soon… Get Mark [Mark!] and bring him with you; for he is very useful in serving me” (2 Tim 4:9, 11). This is what fraternity in the Church means: we can argue about visions, points of view – and we do well to do so, for a little disagreement does us good – perceptions and differing ideas, because it is not good never to argue. When there is too strict a peace, God is not present. In a family, brothers and sisters argue and exchange points of view. I am suspicious of those who never argue, because they always have hidden agendas. Fraternity in the Church means that we can argue about visions, perceptions, differing ideas and in certain cases, saying things frankly to each other can help, not saying them behind someone’s back, with gossip that benefits no one. Arguing can be an opportunity for growth and change. Yet let us always remember: we argue not for the sake of fighting or imposing our own ideas, but in order to express and live the vitality of the Spirit who is love and communion. We may argue, yet we remain brothers and sisters. I remember, growing up, there were five of us. We argued among ourselves, strongly at times, yet not every day. Later at table we were all together. In the family that has a mother, Mother Church, there are arguments: her children argue.
Dear brothers and sisters, we need a fraternal Church, one that is an agent of fraternity in our world. Here in Cyprus there are many spiritual and ecclesial sensibilities, different backgrounds and histories, different rites and traditions. Yet we should not experience diversity as a threat to identity; we should not be jealous or defensive. If we fall into this temptation, then fear grows, and fear gives rise to distrust, distrust leads to suspicion and then, sooner or later, to conflict. We are brothers and sisters, loved by a single Father. You are immersed in the Mediterranean, a sea rich in history, a sea that has been the cradle of many civilizations, a sea from which today many individuals, peoples and cultures from every part of the world still disembark. By your spirit of fraternity, you can remind everyone, and Europe as a whole, that we need to work together to build a future worthy of humanity, to overcome divisions, to break down walls, to dream and work for unity. We need to welcome and integrate one another, and to walk together as brothers and sisters, all of us!
I thank you for what you are and what you do, for the joy with which you proclaim the Gospel and for the effort and sacrifice with which you strive patiently to embody and spread its message. This was the path traced out for you by the holy Apostles Paul and Barnabas. It is my hope that you will always be a patient Church that discerns, that is never frightened, but discerns, accompanies and integrates, a fraternal Church that makes room for others, and can disagree while always remaining united and that grows through such disagreements. I bless each of you and I ask you, please, to continue to pray for me, for I am in great need! Efcharistó! [Thank you!]
[01679-EN.02] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua tedesca
Seligkeiten, liebe Brüder im Bischofsamt,
liebe Priester, Ordensfrauen und Ordensmänner,
liebe Katecheten, Brüder und Schwestern, Χαίρετε! [Seid gegrüßt!]
Ich bin froh, in eurer Mitte zu sein. Ich möchte Kardinal Béchara Boutros Raï meinen Dank für die Worte aussprechen, die er an mich gerichtet hat, und den Patriarchen Pierbattista Pizzaballa herzlich grüßen. Ich danke euch allen für euren Dienst, besonders euch, liebe Schwestern, für die pädagogische Arbeit, die ihr in der Schule leistet, die von so vielen Kindern der Insel besucht wird und die ein Ort der Begegnung und des Dialogs ist, wo man auch die Kunst des Brückenbauens erlernen kann. Danke! Ich danke euch allen für eure Nähe zu den Menschen, vor allem in den besonders schwierigen sozialen und beruflichen Umfeldern.
Ich möchte meine Freude darüber zum Ausdruck bringen, dass ich dieses Land besuchen und als Pilger auf den Spuren des großen Apostels Barnabas wandeln darf, der ein Sohn dieses Volkes war und ein Jünger, der Jesus liebte und das Evangelium unerschrocken verkündete. Als er die gerade entstehenden christlichen Gemeinden besuchte und das Wirken der Gnade Gottes sah, freute er sich »und ermahnte alle, dem Herrn treu zu bleiben, wie sie es sich im Herzen vorgenommen hatten« (Apg 11,23). Und ich komme mit demselben Wunsch: die Gnade Gottes in eurer Kirche und in eurem Land wirken zu sehen, mich mit euch über die Wunder zu freuen, die der Herr wirkt, und euch zu ermahnen, immer standhaft zu bleiben, ohne müde zu werden und euch niemals entmutigen zu lassen. Gott ist größer! Gott ist größer als unsere Widersprüche. Macht weiter!
Wenn ich euch anschaue, sehe ich den Reichtum eurer Vielfalt. Das ist wirklich ein schöner „Obstsalat“. Alle verschieden. Ich grüße die maronitische Kirche, die im Laufe der Jahrhunderte immer wieder neu auf die Insel gekommen ist und, oft unter großen Schwierigkeiten, im Glauben ausgeharrt hat. Wenn ich an den Libanon denke, macht mir die Krise, in der sich das Land befindet, große Sorgen und ich spüre das Leid eines Volkes, das erschöpft und von Gewalt und Schmerz geprüft ist. In meine Gebete lege ich den Wunsch nach Frieden, der aus dem Herzen dieses Landes aufsteigt, mit hinein Ich danke euch für das, was ihr in der Kirche für Zypern tut. Die Zedern des Libanon werden in der Heiligen Schrift oft als Sinnbilder für Schönheit und Größe erwähnt. Aber auch eine große Zeder beginnt mit den Wurzeln und sprießt langsam. Ihr seid diese Wurzeln, die nach Zypern umgepflanzt wurden, um den Duft und die Schönheit des Evangeliums zu verbreiten. Ich danke euch!
Ich grüße auch die lateinische Kirche, die hier seit Jahrtausenden präsent ist, und die hier über diese Zeit mit ihren Söhnen und Töchtern den Enthusiasmus des Glaubens wachsen sah und die sich heute, dank der Anwesenheit so vieler Brüder und Schwestern mit Migrationshintergrund, als ein „vielfarbiges“ Volk präsentiert, als ein wahrer Ort der Begegnung verschiedener ethnischer Gruppen und Kulturen. Diese Gestalt der Kirche spiegelt die Rolle Zyperns auf dem europäischen Kontinent wider: es ist ein Land mit goldenen Feldern, eine Insel, die von den Wellen des Meeres umspült wird, vor allem aber ist sie geschichtlich ein Geflecht von Völkern und ein Mosaik von Begegnungen. So ist auch die Kirche: katholisch, d.h. universal, ein offener Raum, in dem alle willkommen sind und wo alle Gottes Barmherzigkeit und die Einladung zum Lieben erreicht. In der katholischen Kirche gibt es keine Mauern und soll es keine Mauern geben. Das dürfen wir nicht vergessen! Keiner von uns ist hier als Prediger berufen, um Proselyten zu machen, nie. Die Proselytenmacherei ist steril, sie stiftet kein Leben. Wir sind alle von der Barmherzigkeit Gottes gerufen worden, die nicht müde wird zu rufen, die nicht müde wird, uns nahe zu sein, die nicht müde wird zu verzeihen. Wo liegen die Wurzeln unserer christlichen Berufung? In der Barmherzigkeit Gottes. Das dürfen wir nie vergessen. Der Herr enttäuscht nie. Er wartet immer auf uns. Es gibt und es darf keine Mauern in der katholischen Kirche geben, bitte! Sie ist ein gemeinsames Haus, sie ist ein Ort der Beziehung, sie ist ein Zusammenleben der Vielfalt: jener Ritus, jener andere Ritus …; einer denkt über die Kirche in einer Weise, jene Schwester hat sie so gesehen, eine andere wieder anders … Die Verschiedenheit aller, und in dieser Verschiedenheit der Reichtum der Einheit. Wer stiftet die Einheit? Der Heilige Geist. Und wer schafft die Verschiedenheit? Der Heilige Geist. Wer es fassen kann, der fasse es. Er ist der Urheber der Verschiedenheit und ist der Urheber der Harmonie. Der heilige Basilius sagte über ihn: „Ipse harmonia est.“ – „Er selbst ist Harmonie“ –. Er ist jener, der die Verschiedenheit der Gaben und die harmonische Einheit der Kirche schafft.
Liebe Anwesende, ich möchte mit euch nun einige Gedanken über den heiligen Barnabas, euren Bruder und Patron, teilen und dazu zwei Worte aus seinem Leben und seiner Sendung herausgreifen.
Das erste lautet Geduld. Wir sprechen von Barnabas als einem großen Mann des Glaubens und des Ausgleichs, der von der Kirche Jerusalems – wir können sagen, von der Mutterkirche – als die am besten geeignete Person ausgewählt wurde, um eine neue Gemeinschaft, nämlich die von Antiochia, zu besuchen, welche aus einigen erst kürzlich aus dem Heidentum bekehrten Menschen bestand. Er wird losgeschickt, um zu sehen, was vor sich geht, fast wie ein Entdecker. Er trifft dort auf Menschen, die aus einer anderen Welt und einer anderen Kultur kommen und ein anderes religiöses Empfinden besitzen; Menschen, die gerade ihr Leben geändert haben und deshalb einen Glauben haben, der voller Begeisterung, aber noch zerbrechlich ist, wie im anfänglichen Zustand. In dieser Situation zeichnete sich Barnabas durch eine große Geduld aus. Er kann abwarten. Er kann darauf warten, dass der Baum wächst. Es ist die Geduld, dauernd auf Reisen zu sein, die Geduld, in das Leben bisher unbekannter Menschen einzutreten, die Geduld, Neues aufzunehmen, ohne es vorschnell zu verurteilen, die Geduld der Unterscheidung, die überall die Zeichen des Wirkens Gottes erkennen kann, die Geduld, andere Kulturen und Traditionen zu „studieren“. Barnabas hat vor allem die Geduld des Begleitens: Er lässt sie wachsen und begleitet sie. Er erdrückt den zerbrechlichen Glauben der Neuankömmlinge nicht mit einer strengen, unflexiblen Haltung oder mit überzogenen Forderungen hinsichtlich der Einhaltung der Vorschriften. Nein. Er lässt sie wachsen. Er begleitet sie, nimmt sie an die Hand und steht mit ihnen im Dialog. Er entrüstet sich nicht, wie ein Vater oder eine Mutter sich nicht über ihre Kinder entrüsten, sie begleiten sie vielmehr und helfen ihnen zu wachsen. Behaltet das im Gedächtnis: Die Trennungen und die Proselytenmacherei gehen in der Kirche nicht. Lass es wachsen und begleite es! Und wenn du jemanden tadeln musst, tadele ihn mit Liebe und friedvoll. Das ist der Mensch der Geduld.
Wir brauchen eine geduldige Kirche, liebe Brüder und Schwestern. Eine Kirche, die sich von Veränderungen nicht erschüttern und stören lässt, sondern das Neue gelassen aufnimmt und die Gegebenheiten im Licht des Evangeliums erwägt. Wertvoll sind eure Bemühungen, die ihr vollbringt, wenn ihr die neuen Brüder und Schwestern aufnehmt, die aus anderen Gegenden der Welt auf diese Insel kommen. Wie Barnabas seid auch ihr gerufen, einen geduldigen und aufmerksamen Blick zu pflegen und sichtbare und glaubwürdige Zeichen der Geduld Gottes zu sein, der niemals jemanden draußen vor der Tür und niemals jemanden ohne seine zärtliche Umarmung stehen lässt. Die Kirche in Zypern hat diese offenen Arme: Sie nimmt auf, integriert und begleitet. Das ist eine wichtige Botschaft auch für die Kirche in ganz Europa, die von einer Glaubenskrise gezeichnet ist: Es nützt nichts, impulsiv zu sein, es nützt nichts, aggressiv oder nostalgisch oder klagend zu reagieren, sondern es ist gut, vorwärts zu gehen und die Zeichen der Zeit und auch die Zeichen der Krise zu lesen. Wir müssen wieder anfangen, geduldig das Evangelium zu verkünden, die Seligpreisungen in die Hand zu nehmen und sie vor allem den jungen Generationen zu verkünden. Euch, meinen lieben Brüdern im Bischofsamt, möchte ich sagen: Seid Hirten, die geduldig Nähe suchen, werdet nicht müde, Gott im Gebet zu suchen, die Priester zu begegnen suchen, die Brüder und Schwestern der anderen christlichen Konfessionen mit Respekt und Achtsamkeit, die Gläubigen, wo sie leben. Liebe Priester, die ihr hier seid, euch möchte ich sagen: Seid geduldig mit den Gläubigen, immer bereit, sie zu ermutigen; seid unermüdliche Diener der Vergebung und Barmherzigkeit Gottes. Seid niemals strenge Richter, sondern immer liebevolle Väter.
Wenn ich das Gleichnis vom Verlorenen Sohn lese: der ältere Bruder war ein rigoroser Richter, doch der Vater war barmherzig, das Bild des Vaters, der immer verzeiht, mehr noch, der immer darauf wartet zu verzeihen! Im vergangenen Jahr hat eine Gruppe junger Leute, die Musikstücke aufführen, Popmusik, das Gleichnis vom verlorenen Sohn als Musical mit Dialogen inszeniert … Wunderschön! Doch das Schönste war der abschließende Dialog, wo der Verlorene Sohn zu einem Freund geht und sagt: „So kann ich nicht weitermachen. Ich möchte nach Hause zurückkehren. Doch ich habe Angst, dass mir der Vater die Tür vor der Nase zuschlägt und wegjagt. Ich habe diese Angst und weiß nicht, wie ich es machen soll“. – „Aber dein Vater ist doch gütig!“ – „Ja, aber weißt du … da ist mein Bruder, der ihn aufstachelt“. Am Ende dieses Musikstücks über den Verlorenen Sohn, sagt ihm der Freund: „Mach es so: schreibe deinem Vater und sag ihm, dass du gerne zurückkehren willst, doch Angst hast, dass er dich nicht gut aufnimmt. Sag deinem Vater, er möge, falls er dich gerne empfangen will, ein Taschentuch an das oberste Fenster im Haus anheften, so sagt dir dein Vater im Voraus, ob er dich gut empfangen wird oder wegjagt“. So endet der Akt. Im nächsten Akt ist der Sohn auf dem Weg zum Haus des Vaters. Und als er auf dem Weg ist, wechselt die Szene und man sieht das Haus des Vaters. Es ist voll von weißen Taschentüchern! Voll! So ist Gott für uns. Das ist Gott für uns. Er wird nicht müde zu verzeihen. Und als der Sohn zu sprechen beginnt: „Ach Herr, ich habe …“ – „Still“, und er tippt ihm auf den Mund.
Euch Priestern sage ich: Bitte, seid nicht rigoros in der Beichte. Wenn ihr seht, dass ein Mensch in Schwierigkeiten ist, sagt: „Ich habe verstanden, ich habe verstanden“. Das heißt nicht, nachsichtig zu sein, nein. Es will sagen, dass ihr das Herz eines Vaters habt, wie Gott das Herz eines Vaters hat. Das Werk, das der Herr im Leben eines jeden Menschen tut, ist etwas Heiliges: Lassen wir uns davon begeistern. Angesichts der bunten Vielfalt in eurem Volk bedeutet Geduld auch, ein Ohr und ein Herz zu haben für unterschiedliche geistliche Empfindungen, unterschiedliche Ausdrucksformen des Glaubens und unterschiedliche Kulturen. Die Kirche will nicht vereinheitlichen – bitte nicht! –, sondern sie will alle Kulturen, alle Psychologien der Menschen, mit mütterlicher Geduld integrieren; denn die Kirche ist Mutter. Das ist es, was wir mit Gottes Gnade auf dem synodalen Weg tun wollen: geduldiges Gebet und geduldiges Zuhören, damit die Kirche fügsam gegenüber Gott und den Menschen gegenüber offen ist. Das war die Geduld, eine der Eigenschaften des Barnabas.
In der Geschichte von Barnabas gibt es einen zweiten wichtigen Aspekt, den ich hervorheben möchte: seine Begegnung mit Paulus von Tarsus und ihre brüderliche Freundschaft, die sie dazu bringen wird, gemeinsam zu missionieren. Nach der Bekehrung des Paulus, der zuvor ein erbitterter Christenverfolger gewesen war, »fürchteten sich [alle] vor ihm, weil sie nicht glaubten, dass er ein Jünger war« (Apg 9,26). Hier sagt die Apostelgeschichte etwas sehr Schönes: »Barnabas jedoch nahm sich seiner an« (V. 27). Er stellt ihn der Gemeinde vor, erzählt, was mit ihm geschehen ist, und bürgt für ihn. Hören wir auf dieses „er nahm sich seiner an“. Der Ausdruck erinnert an die Sendung Jesu, der die Jünger auf die Straßen Galiläas mitnahm, der unsere von der Sünde verwundete Menschheit auf sich nahm. Dies ist eine Haltung der Freundschaft, eine Haltung der Lebensgemeinschaft. Mitnehmen, auf sich nehmen bedeutet, sich der Geschichte des anderen anzunehmen, sich die Zeit zu nehmen, ihn kennen zu lernen, ohne ihn zu etikettieren, - die Sünde, Menschen zu etikettieren, bitte! –, ihn auf den Schultern zu tragen, wenn er müde oder verletzt ist, wie es der barmherzige Samariter tut (vgl. Lk 10,25-37). Das nennt man Geschwisterlichkeit. Und dies ist das zweite Wort, das ich euch sagen möchte. Das erste lautet Geduld, das zweite Geschwisterlichkeit.
Barnabas und Paulus sind wie Brüder gemeinsam unterwegs, um das Evangelium zu verkünden, selbst inmitten von Verfolgungen. In Antiochia »blieben sie miteinander ein volles Jahr in der Gemeinde und lehrten eine große Zahl von Menschen« (Apg 11,26). Beide waren dann nach dem Willen des Heiligen Geistes für eine größere Mission bestimmt und »segelten nach Zypern« (Apg 13,4). Und das Wort Gottes verbreitete sich rasch und wuchs nicht nur wegen ihrer menschlichen Qualitäten, sondern vor allem, weil sie Brüder im Namen Gottes waren, und weil diese ihre Brüderlichkeit ein Widerschein des Gebots der Liebe war. Verschiedene, unterschiedliche Brüder – wie die Finger an einer Hand, die alle verschieden sind –, doch alle mit der gleichen Würde. Brüder. Dann geschieht, wie das im Leben so ist, etwas Unerwartetes: Die Apostelgeschichte berichtet, dass die beiden eine heftige Auseinandersetzung haben und ihre Wege sich trennen (vgl. Apg 15,39). Auch unter Brüdern gibt es Diskussionen, manchmal Streit. Paulus und Barnabas trennen sich jedoch nicht aus persönlichen Gründen, sondern weil sie über ihren Dienst und die Art und Weise, wie sie ihre Mission durchführen wollen, diskutieren und unterschiedliche Vorstellungen haben. Barnabas will auch den jungen Markus mit auf die Mission nehmen, Paulus nicht. Sie diskutieren, aber aus einigen späteren Briefen des Paulus geht hervor, dass die beiden keinen Groll mehr hegten. An Timotheus, der danach zu ihm stoßen soll, schreibt Paulus sogar: »Beeil dich, bald zu mir zu kommen […] Nimm Markus [eben diesen!] und bring ihn mit, denn er ist für mich nützlich zum Dienst« (2 Tim 4,9.11). Das ist die Geschwisterlichkeit in der Kirche: Über die verschiedenen Ansichten kann man diskutieren, über die Standpunkte – und das soll man tun, das ist nötig, das tut gut, ein wenig diskutieren tut gut – und über die unterschiedlichen Empfindungen und Ideen, denn es ist schlimm, nie zu diskutieren. Wenn dieser zu rigorose Frieden vorherrscht, ist Gott nicht da. In einer Familie diskutieren die Geschwister, tauschen ihre Ansichten aus. Ich vermute von denen, die nie diskutieren, dass sie versteckte „Agenden“ haben, immer. Das ist die Geschwisterlichkeit der Kirche: Man kann diskutieren über die Ansichten, über Empfindungen, über verschiedene Ideen, und in manchen Fällen hilft es, sich die Dinge offen ins Gesicht zu sagen. Das hilft in bestimmten Fällen, und sagt es nicht hinten herum. So ein Geschwätz hilft keinem weiter. Die Diskussion hingegen ist eine Chance für Wachstum und Veränderung. Aber denken wir immer daran: Man diskutiert nicht, um sich zu bekriegen, nicht, um sich durchzusetzen, sondern um die Lebendigkeit des Geistes, der Liebe und Gemeinschaft ist, zum Ausdruck zu bringen und zu erfahren. Man diskutiert, aber man bleibt einander Bruder oder Schwester. Ich erinnere mich an meine Kindheit, da waren wir zu fünft. Wir haben miteinander diskutiert, manchmal heftig, nicht jeden Tag, und dann waren wir am Tisch alle vereint. Das ist die Diskussion in einer Familie, die eine Mutter hat: Die Söhne und Töchter diskutieren miteinander.
Liebe Brüder und Schwestern, wir brauchen eine geschwisterliche Kirche, die für die Welt ein Werkzeug der Geschwisterlichkeit sein möge. Hier in Zypern gibt es viele geistliche und kirchliche Sensibilitäten, verschiedene Herkunftsgeschichten, unterschiedliche Riten und Traditionen; aber wir dürfen die Vielfalt nicht als Bedrohung für unsere Identität empfinden, und wir dürfen auch nicht eifersüchtig werden und uns um unsere jeweiligen Räume sorgen. Wenn wir dieser Versuchung erliegen, wächst die Angst, Angst erzeugt Misstrauen, Misstrauen führt zu Verdächtigungen und früher oder später zu Krieg. Wir sind Geschwister und alle sind wir geliebt von dem einem Vater. Ihr seid vom Mittelmeer umgeben: ein Meer das verschiedene Geschichten verbindet, ein Meer, das so viele Zivilisationen beherbergt hat, ein Meer, über das auch heute noch Menschen, Völker und Kulturen aus aller Welt ankommen. Mit eurer Geschwisterlichkeit könnt ihr alle, ganz Europa, daran erinnern, dass man zusammenarbeiten, Spaltungen überwinden, Mauern niederreißen und den Traum von der Einheit pflegen muss, um eine menschenwürdige Zukunft aufzubauen. Wir müssen uns gegenseitig annehmen und integrieren, gemeinsam gehen und alle Brüder und Schwestern sein, fratelli tutti!
Ich danke euch für das, was ihr seid und was ihr tut, für die Freude, mit der ihr das Evangelium verkündet, und für die Mühen und Entbehrungen, mit denen ihr für es eintretet und es fördert. Dies ist der Weg, den die heiligen Apostel Paulus und Barnabas vorgezeichnet haben. Ich wünsche euch, dass ihr immer eine geduldige Kirche seid, eine Kirche, die unterscheidet – die sich nie erschreckt, sondern unterscheidet –, die begleitet und die integriert, und eine geschwisterliche Kirche, die dem anderen Raum lässt, die diskutiert, aber geeint bleibt und in der Diskussion wächst. Ich segne euch, jeden von euch, und bitte euch, weiterhin für mich zu beten! Ich brauche es! Efcharistó! [Danke!]
[01679-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]
Traduzione in lingua spagnola
Beatitudes, queridos hermanos obispos,
queridos sacerdotes, religiosas y religiosos,
queridos catequistas, hermanos y hermanas: Χαίρετε! [¡Hola!]
Me siento contento de estar entre ustedes. Deseo expresar mi gratitud al Cardenal Béchara Boutros Raï por las palabras que me ha dirigido y saludar con afecto al Patriarca Pierbattista Pizzaballa. Gracias a todos ustedes por su ministerio y su servicio; en particular a ustedes, hermanas, por la obra educativa que llevan adelante en la escuela, a la que asisten tantos jóvenes de la isla, lugar de encuentro, de diálogo y aprendizaje del arte de construir puentes. ¡Gracias! Gracias a todos por su cercanía a las personas, especialmente en los contextos sociales y laborales donde es más difícil.
Comparto mi alegría de visitar esta tierra, caminando como peregrino tras las huellas del gran apóstol Bernabé, hijo de este pueblo, discípulo enamorado de Jesús, intrépido anunciador del Evangelio que, pasando por las nacientes comunidades cristianas, veía cómo actuaba la gracia de Dios y se alegraba de ello, exhortando «a todos para que permanecieran unidos al Señor con firmeza de corazón» (Hch 11,23). Y yo vengo con el mismo deseo: ver la gracia de Dios obrando en su Iglesia y en su tierra, alegrándome con ustedes por las maravillas que el Señor obra y exhortándolos a perseverar siempre, sin cansarse, sin desanimarse nunca. ¡Dios es más grande! Dios es más grande que nuestras contradicciones. ¡Adelante!
Los miro y veo la riqueza de su diversidad. Es cierto, ¡una hermosa “macedonia”! Todos diferentes. Saludo a la Iglesia maronita, que en el curso de los siglos ha llegado en varias ocasiones a la isla y que, a menudo atravesando muchas pruebas, ha perseverado en la fe. Cuando pienso en el Líbano siento mucha preocupación por la crisis en la que se encuentra y noto el sufrimiento de un pueblo cansado y probado por la violencia y el dolor. Llevo a mi oración el deseo de paz que sube desde el corazón de ese país. Les agradezco lo que hacen en la Iglesia, por Chipre. Los cedros del Líbano se citan numerosas veces en la Escritura como modelos de belleza y grandeza. Pero incluso un gran cedro surge desde las raíces y crece lentamente. Ustedes son estas raíces, trasplantadas en Chipre para difundir la fragancia y la belleza del Evangelio. ¡Gracias!
Saludo también a la Iglesia latina, presente aquí por milenios, que ha visto crecer en el tiempo, junto a sus hijos, el entusiasmo de la fe y que hoy, gracias a la presencia de tantos hermanos y hermanas migrantes, se presenta como un pueblo “multicolor”, un auténtico lugar de encuentro entre etnias y culturas diferentes. Este rostro de la Iglesia refleja el rol de Chipre en el continente europeo: una tierra de campos dorados, una isla acariciada por las olas del mar, pero sobre todo una historia que es cruce de pueblos y mosaico de encuentros. Así es también la Iglesia: católica, es decir, universal, espacio abierto en el que todos son acogidos y alcanzados por la misericordia de Dios y su invitación a amar. No hay ni debe haber muros en la Iglesia católica. Y esto no lo olvidemos. Ninguno de nosotros ha sido llamado aquí para hacer proselitismo como predicadores, eso jamás. El proselitismo es estéril, no da vida. Todos hemos sido llamados por la misericordia de Dios, que nunca se cansa de llamar, nunca se cansa de estar cerca, nunca se cansa de perdonar. ¿Dónde están las raíces de nuestra vocación cristiana? En la misericordia de Dios. Nunca debemos olvidar eso. El Señor no defrauda; su misericordia no defrauda. Siempre nos espera. No hay y no debe haber muros en la Iglesia católica, por favor. Es una casa común, es el lugar de las relaciones, es la convivencia de la diversidad: ese rito, ese otro rito; uno lo piensa así, esa monja lo vio así, la otra lo vio de otro modo. La diversidad de todos y, en esa diversidad, la riqueza de la unidad. ¿Y quién hace la unidad? El Espíritu Santo. ¿Y quién hace la diversidad? El Espíritu Santo. Quien puede entender que entienda. Él es el autor de la diversidad y el autor de la armonía. San Basilio solía decirlo: “Ipse harmonia est”. Él es quien hace la diversidad de dones y la unidad armoniosa de la Iglesia.
Queridos amigos, ahora quisiera compartir algo con ustedes a propósito de san Bernabé, su hermano y patrono, inspirándome en dos palabras de su vida y de su misión.
La primera palabra es paciencia. Se habla de Bernabé como de un gran hombre de fe y de equilibrio, que fue elegido por la Iglesia de Jerusalén —se puede decir de la Iglesia madre— como la persona más idónea para visitar una nueva comunidad, la de Antioquía, que estaba compuesta por diversas personas que se habían convertido recientemente del paganismo. Fue enviado para ir y ver qué estaba sucediendo, casi como un explorador. Allí encontró personas que provenían de otro mundo, de otra cultura y sensibilidad religiosa; personas que acababan de cambiar de vida y por eso tenían una fe llena de entusiasmo, pero todavía frágil, como al inicio. En toda esta situación, la actitud de Bernabé fue de gran paciencia. Sabe esperar. Sabe esperar que el árbol crezca. Es la paciencia de estar dispuesto a salir constantemente de viaje, la paciencia de entrar en la vida de personas hasta ese momento desconocidas, la paciencia de acoger la novedad sin juzgarla apresuradamente, la paciencia del discernimiento, que sabe captar los signos de la obra de Dios en todas partes, la paciencia de “estudiar” otras culturas y tradiciones. Bernabé tuvo sobre todo la paciencia del acompañamiento, deja crecer, acompañando. No sofocó la fe frágil de los recién llegados con actitudes estrictas, inflexibles, o con requerimientos demasiado exigentes en cuanto a la observancia de los preceptos. No. Los dejaba crecer, los acompañaba, los tomaba de la mano, dialogaba con ellos. Bernabé no se escandaliza, como un padre y una madre no se escandalizan de sus hijos, sino que los acompañan, los ayudan a crecer. Tengan en cuenta esto: las divisiones, el proselitismo dentro de la Iglesia no van. Deja crecer y acompaña; y si tienes que regañar a alguien, regaña, pero con amor, con paz. Es el hombre de la paciencia.
Necesitamos una Iglesia paciente, queridos hermanos y hermanas. Una Iglesia que no se deja turbar y desconcertar por los cambios, sino que acoge serenamente la novedad y discierne las situaciones a la luz del Evangelio. En esta isla es precioso el trabajo que llevan adelante en la acogida de nuevos hermanos y hermanas que llegan desde otros lugares del mundo. Como Bernabé, también ustedes están llamados a cultivar una mirada paciente y atenta, a ser signos visibles y creíbles de la paciencia de Dios que nunca deja a nadie fuera de casa, nadie privado de su tierno abrazo. La Iglesia en Chipre tiene estos brazos abiertos: acoge, integra y acompaña. Es un mensaje importante también para la Iglesia en toda Europa, marcada por la crisis de fe. No sirve ser impulsivos, no sirve ser agresivos, nostálgicos o quejumbrosos, es mejor seguir adelante leyendo los signos de los tiempos y también los signos de la crisis. Es necesario volver a comenzar y anunciar el Evangelio con paciencia, tomar en mano las Bienaventuranzas, sobre todo anunciarlas a las nuevas generaciones. A ustedes, hermanos obispos, quisiera decirles: sean pastores pacientes en la cercanía, no se cansen nunca de buscar a Dios en la oración; busquen a los sacerdotes en el encuentro; a los hermanos de otras confesiones cristianas con respeto y solicitud; y a los fieles allí donde viven. Y a ustedes, queridos sacerdotes que están aquí, quisiera decirles: sean pacientes con los fieles, siempre dispuestos a animarlos, sean ministros incansables del perdón y de la misericordia de Dios. Nunca jueces severos, siempre padres amorosos.
Cuando leo la Parábola del hijo pródigo: el hermano mayor era un juez riguroso, pero el padre era misericordioso, la imagen del Padre que siempre perdona, es más, que siempre está esperando para perdonar. El año pasado un grupo de jóvenes que hacen espectáculos de música pop, quisieron representar la parábola del hijo pródigo, cantada con música pop y diálogos. ¡Hermoso! Pero lo más lindo fue el diálogo final, cuando el hijo pródigo se acercó a un amigo y le dijo: “No puedo seguir así. Quiero irme a casa, pero tengo miedo de que papá me cierre la puerta en la cara, que me eche. Tengo ese miedo y no sé cómo hacer. —Pero, ¡tu papá es bueno! —Sí, pero ya sabes... mi hermano está ahí calentándole la cabeza”. Hacia el final de la obra sobre el hijo pródigo, su amigo le dice: “Haz una cosa, escribe a tu papá y dile que quieres volver, pero tienes miedo de que no te reciba bien. Dile a tu papá que, si quiere darte la bienvenida, ponga un pañuelo en la ventana más alta de la casa, así tu papá te dirá primero si te dará la bienvenida o te rechazará”. Ese acto termina. En el acto siguiente, el hijo se dirige a la casa de su padre. Y cuando está en camino, se vuelve y ve la casa de su padre, que estaba llena de pañuelos blancos. ¡Llena! Este es Dios para nosotros. Nunca se cansa de perdonar. Y cuando el hijo empieza a hablar: “Ah, señor, yo hice…”, le dice “cállate”, y le tapa la boca.
A ustedes sacerdotes: por favor, no sean rigurosos en la confesión. Cuando ves que alguien está en problemas, di: “Entiendo, entiendo”. Esto no significa “manga ancha”, no. Significa corazón de padre, como corazón de padre tiene Dios. La obra que el Señor realiza en la vida de cada persona es una historia sagrada, dejémonos apasionar por ella. En la multiforme variedad de su pueblo, paciencia significa también tener oídos y corazón para acoger sensibilidades espirituales diferentes, modos de expresar la fe distintos y culturas diversas. La Iglesia no quiere uniformar, por favor, no, sino integrar todas las culturas, todas las psicologías de las personas, con paciencia materna, porque la Iglesia es madre. Es lo que deseamos hacer con la gracia de Dios en el itinerario sinodal: la oración paciente, la escucha paciente de una Iglesia dócil a Dios y abierta al hombre. La paciencia era uno de los aspectos de Bernabé.
En la historia de Bernabé hay un segundo aspecto importante que quisiera subrayar: su encuentro con Pablo de Tarso y la amistad fraterna entre ellos, que los conducirá a vivir juntos la misión. Después de la conversión de Pablo —que antes había sido un encarnizado perseguidor de los cristianos— «todos le temían, porque no creían que él también fuera discípulo» (Hch 9,26). Aquí el libro de los Hechos de los Apóstoles dice algo muy hermoso: Bernabé lo tomó consigo, lo presentó a la comunidad, contó lo que le había sucedido y respondió por él (cf. v. 27). Escuchemos este “lo tomó consigo”. La expresión hace referencia a la misma misión de Jesús, que tomó consigo a los discípulos por los caminos de Galilea, que tomó sobre sí nuestra humanidad herida por el pecado. Es una actitud de amistad, una actitud de compartir la vida. “Tomar consigo”, “tomar sobre sí” significa hacerse cargo de la historia del otro, darse tiempo para conocerlo sin etiquetarlo —cuidado con el pecado de etiquetar a la gente—, cargarlo sobre los hombros cuando está cansado o herido, como hace el buen samaritano (cf. Lc 10,25-37). Esto se llama fraternidad, y es la segunda palabra que quiero decirles. La primera es paciencia y la segunda, fraternidad.
Bernabé y Pablo, como hermanos, viajaron juntos para anunciar el Evangelio, aun en medio de persecuciones. En la Iglesia de Antioquía «estuvieron juntos todo un año e instruyeron a mucha gente» (Hch 11,26). Luego ambos tenían reservada una misión más grande y, enviados por el Espíritu Santo, «se embarcaron para Chipre» (Hch 13,4). Y la Palabra de Dios corría y crecía no sólo por sus cualidades humanas, sino sobre todo porque eran hermanos en el nombre de Dios y esta fraternidad entre ellos hacía resplandecer el mandamiento del amor. Hermanos distintos, como los dedos de una mano, todos diversos, pero todos con la misma dignidad. Hermanos. Después, como sucede en la vida, pasó algo inesperado. Los Hechos cuentan que los dos tuvieron un fuerte desacuerdo y sus caminos se separaron (cf. Hch 15,39). También entre los hermanos se discute, a veces hay disputas. Pero Pablo y Bernabé no se separaron por motivos personales, sino que estaban discutiendo acerca de su ministerio, sobre cómo llevar adelante la misión, y tenían visiones diferentes. Bernabé también quería llevar a la misión al joven Marcos, y Pablo no quería. Discutieron, pero por algunas cartas sucesivas se intuye que no quedó rencor entre ellos. Incluso a Timoteo, que tenía que alcanzarlo más adelante, Pablo le escribió: «Ven a verme cuanto antes […] Recoge a Marcos [¡justamente a él!] y tráelo contigo, pues será de gran ayuda en mi ministerio» (2 Tm 4,9.11). Esta es la fraternidad en la Iglesia, se puede discutir sobre puntos de vista, es bueno hacerlo, un poco de discusión es siempre bueno; en particular sobre diferentes sensibilidades e ideas, no discutir nunca tampoco es bueno. Cuando hay una paz demasiado rígida, no es de Dios. En una familia los hermanos discuten, intercambian puntos de vista. Sospecho de los que nunca discuten, porque todo el tiempo tienen “agendas” ocultas. Esta es la fraternidad de la Iglesia: se pueden discutir visiones, sensibilidades, ideas diferentes, y en algunos casos decir cosas con franqueza, esto ayuda, y no decirlas por detrás con una crítica que no hace bien a nadie. La discusión es una oportunidad para el crecimiento y el cambio. Pero recordemos siempre que no se discute para hacerse la guerra, para imponerse, sino para expresar y vivir la vitalidad del Espíritu, que es amor y comunión. Se discute, pero seguimos siendo hermanos. Recuerdo que cuando era niño éramos cinco. Discutíamos entre nosotros, a veces con fuerza, no todos los días, y luego estábamos todos juntos en la mesa. La discusión de la familia que tiene una madre, la madre Iglesia: los hijos discuten.
Queridos hermanos y hermanas, necesitamos una Iglesia fraterna que sea instrumento de fraternidad para el mundo. Aquí en Chipre existen muchas sensibilidades espirituales y eclesiales, varias historias de procedencia, de ritos y de tradiciones diferentes; pero no debemos sentir la diversidad como una amenaza contra la identidad, ni debemos recelar y preocuparnos de los respectivos espacios. Si caemos en esta tentación crece el miedo, el miedo genera desconfianza, la desconfianza conduce a la sospecha y, antes o después, lleva a la guerra. Somos hermanos amados por un único Padre. Ustedes están inmersos en el Mediterráneo, un mar con diferentes historias, un mar que ha mecido numerosas civilizaciones, un mar del que todavía hoy desembarcan personas, pueblos y culturas de todas partes del mundo. Con su fraternidad pueden recordar a todos, a toda Europa, que para construir un futuro digno del hombre es necesario trabajar juntos, superar las divisiones, derribar los muros y cultivar el sueño de la unidad. Necesitamos acogernos e integrarnos, caminar juntos, ser todos hermanos y hermanas.
Les agradezco lo que son y lo que hacen, la alegría con la que anuncian el Evangelio, las fatigas y renuncias con las que lo sostienen y lo hacen avanzar. Este es el camino trazado por los santos apóstoles Pablo y Bernabé. Les deseo que sean siempre una Iglesia paciente, que discierne, que no se asusta nunca, que acompaña y que integra; y una Iglesia fraterna, que hace espacio al otro, que discute pero permanece unida y crece en la discusión. Los bendigo a cada uno de ustedes. Y, por favor, sigan rezando por mí, porque lo necesito. Efcharistó! [¡Gracias!]
[01679-ES.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua portoghese
Beatitudes, queridos irmãos Bispos,
Queridos sacerdotes, religiosas e religiosos,
Caros catequistas,
irmãos e irmãs, Χαίρετε [salve]!
Estou feliz por estar no meio de vós. Desejo expressar a minha gratidão ao Cardeal Béchara Boutros Raï pelas palavras que me dirigiu e saudar com afeto o Patriarca Pierbattista Pizzaballa. Obrigado a todos vós pelo vosso ministério e serviço; e de modo particular a vós, Irmãs, pela obra educativa que realizais na escola, muito frequentada pelas crianças e adolescentes da ilha, lugar de encontro, de diálogo, de aprendizagem da arte de construir pontes. Obrigado! Obrigado a todos pela vossa proximidade às pessoas, especialmente nos contextos sociais e laborais onde é mais difícil.
Confidencio-vos a alegria que sinto por visitar esta terra, caminhando como peregrino pelas pegadas do grande apóstolo Barnabé, filho deste povo, discípulo enamorado de Jesus, intrépido arauto do Evangelho que, ao passar pelas comunidades cristãs recém-nascidas, se regozijou vendo a graça de Deus em ação «e exortou-os a todos a que se conservassem unidos ao Senhor, de coração firme» (At 11, 23). E eu venho com o mesmo desejo: ver a graça de Deus em ação na vossa Igreja e na vossa terra, alegrar-me convosco pelas maravilhas que o Senhor realiza e exortar-vos a perseverar sempre, sem vos cansardes, sem nunca desanimardes. Deus é maior! Deus é maior do que as nossas contradições. Avante!
Contemplo-vos e vejo a riqueza da vossa diversidade. É verdade; uma bela «salada de fruta»! Todos diferentes. Saúdo a Igreja Maronita, que ao longo dos séculos desembarcou várias vezes na ilha e, atravessando frequentemente muitas provações, perseverou na fé. Quando penso no Líbano, sinto tanta preocupação com a crise em que o país se encontra e dou-me conta da grande tribulação dum povo cansado e provado pela violência e o sofrimento. Levo à minha oração o desejo de paz que sobe do coração daquele país. Agradeço-vos pelo que fazeis na Igreja, por Chipre. Na Sagrada Escritura, refere-se muitas vezes os cedros do Líbano como modelos de beleza e grandiosidade. Mas mesmo um cedro grande começa pelas raízes e germina lentamente. Vós sois estas raízes, transplantadas para Chipre a fim de espalhar a fragrância e a beleza do Evangelho. Obrigado!
Saúdo também a Igreja latina, aqui presente há milénios, que ao longo do tempo viu crescer, na pessoa dos seus filhos, o entusiasmo da fé e que hoje, graças à presença de muitos irmãos e irmãs migrantes, se apresenta como um povo «multicolor», um verdadeiro e concreto lugar de encontro entre etnias e culturas diferentes. Este rosto eclesial reflete o papel de Chipre no continente europeu: uma terra com os campos dourados, uma ilha acariciada pelas ondas do mar, mas sobretudo uma história que é entrelaçamento de povos e mosaico de encontros. Assim é também a Igreja: católica, isto é, universal, espaço aberto onde todos são acolhidos e abrangidos pela misericórdia de Deus e pelo convite a amar. Não há – e oxalá nunca existam – muros na Igreja Católica. Não nos esqueçamos disto: ninguém de nós aqui foi chamado por proselitismo dum pregador. Nunca o esqueçamos! O proselitismo é estéril, não dá vida. Todos nós fomos chamados pela misericórdia de Deus, que não Se cansa de chamar, não Se cansa de estar perto, não Se cansa de perdoar. Onde estão as raízes da nossa vocação cristã? Na misericórdia de Deus. É preciso que nunca o esqueçamos. O Senhor não desilude; a sua misericórdia não dececiona. Sempre espera por nós. Não há – e oxalá nunca existam – muros na Igreja Católica. Vo-lo peço por favor! É uma casa comum, é o lugar das relações, é a convivência da diversidade: este rito, aquele rito...; um pensa assim, esta irmã viu dum modo, aquela viu doutro… A diversidade de todos e, nesta diversidade, a riqueza da unidade. E quem faz a unidade? O Espírito Santo. E quem faz a diversidade? O Espírito Santo. Quem puder compreender, compreenda. Ele é o autor da diversidade, tal como é o autor da harmonia. Assim o dizia São Basílio: «Ipse harmonia est – Ele próprio é a harmonia». É Ele Quem faz a diversidade dos dons e a unidade harmoniosa da Igreja.
Caríssimos, gostaria agora de partilhar convosco algo sobre São Barnabé, vosso irmão e padroeiro, tirando da sua vida e missão duas palavras.
A primeira é paciência. Fala-se de Barnabé como um grande homem de fé e equilíbrio, que foi escolhido pela Igreja de Jerusalém – pode-se dizer pela Igreja Mãe – como a pessoa mais idónea para visitar uma nova comunidade, a de Antioquia, formada por recém-convertidos do paganismo. Foi enviado para ir ver o que estava a acontecer, quase como um explorador. Encontra lá pessoas originárias dum mundo diferente, com outra cultura, outra sensibilidade religiosa; pessoas que acabaram de se converter e por isso têm uma fé cheia de entusiasmo, mas ainda frágil, como ao princípio. Em toda esta situação, o comportamento de Barnabé é de grande paciência. Sabe esperar. Sabe esperar que a árvore cresça. É a paciência de se pôr constantemente em viagem; a paciência de entrar na vida de pessoas até então desconhecidas; a paciência de acolher a novidade sem formular juízos apressados; a paciência do discernimento, que sabe captar por toda a parte os sinais da ação de Deus; a paciência de «estudar» outras culturas e tradições. Barnabé tem sobretudo a paciência do acompanhamento: deixa crescer, acompanhando. Não esmaga a fé frágil dos recém-chegados com atitudes rigorosas, inflexíveis, nem com solicitações demasiado exigentes quanto à observância dos preceitos. Não. Deixa-os crescer, acompanha-os, toma-os pela mão, conversa com eles. Barnabé não se escandaliza, tal como um pai e uma mãe não se escandalizam com os filhos, acompanham-nos, ajudam-nos a crescer. Guardai isto na vossa mente: as divisões, o proselitismo dentro da Igreja não ajudam. Deixa crescer e acompanha. E se tiveres de repreender alguém, repreende, mas com amor, em paz. É o homem da paciência.
Precisamos duma Igreja paciente, queridos irmãos e irmãs, duma Igreja que não se deixa abalar e perturbar pelas mudanças, mas serenamente acolhe a novidade e discerne as situações à luz do Evangelho. Nesta ilha, é precioso o trabalho que vós realizais no acolhimento dos novos irmãos e irmãs que chegam doutras margens do mundo: como Barnabé, também vós sois chamados a cultivar um olhar paciente e solícito, ser sinais visíveis e credíveis da paciência de Deus que nunca deixa ninguém fora de casa, nunca deixa ninguém privado do seu terno abraço. A Igreja em Chipre vive de braços abertos: acolhe, integra, acompanha. É uma mensagem importante também para a Igreja em toda a Europa, marcada pela crise da fé: não adianta ser impulsivos, não adianta ser agressivos ou nostálgicos ou lamurientos, mas sim progredir lendo os sinais dos tempos e também os sinais da crise. É preciso recomeçar a anunciar o Evangelho com paciência, tomar na mão as Bem-aventuranças, anunciá-las sobretudo às novas gerações. A vós, irmãos Bispos, gostaria de dizer: sede pastores pacientes na proximidade, nunca vos canseis de procurar Deus na oração, procurar os sacerdotes no encontro, os irmãos doutras Confissões cristãs com respeito e solicitude, os fiéis no local onde moram. E a vós, queridos sacerdotes que aqui vos encontrais, gostaria de dizer: sede pacientes com os fiéis, sempre prontos a encorajá-los, sede ministros incansáveis do perdão e da misericórdia de Deus. Nunca sejais juízes rigorosos, mas sempre pais amorosos.
Quando leio a parábola do filho pródigo, vejo que o irmão mais velho era um juiz rigoroso, enquanto o pai era misericordioso, a imagem do Pai que sempre perdoa; mais, que sempre está à espera de nós para nos perdoar! No ano passado, um grupo de jovens que faz espetáculos, com música pop, quiseram apresentar a parábola do filho pródigo cantada em música pop e criando diálogos... Muito lindo! Mas o mais bonito foi a discussão final, quando o filho pródigo vai ter com um amigo e diz-lhe: «Não posso continuar assim. Quero voltar para casa, mas tenho medo que o pai me feche a porta na cara, me expulse. Tenho medo disto e não sei como fazer» - «Mas o teu pai é bom!» - «Sim, mas – sabes? – está lá o meu irmão, que lhe dá voltas à cabeça». Quase no final daquela ópera pop sobre o filho pródigo, o amigo diz-lhe: «Faz assim: escreve ao teu pai e diz-lhe que queres regressar, mas tens medo de ser mal acolhido por ele. Diz ao teu pai que, se quiser acolher-te bem, coloque um lenço na janela mais alta da casa; assim o teu pai te dirá, antes, se te acolherá bem ou te expulsará». E termina aquele Ato. No Ato seguinte, o filho está a caminho da casa do pai. E quando ele percorria a estrada, ao fazer uma curva, dá com os olhos na casa do pai: estava cheia de lenços brancos! Cheia! Assim é Deus para nós. Assim é Deus para nós. Não Se cansa de perdoar. E quando o filho começa a falar: «Ai, senhor! Eu fiz...» - «Calado»; tapa-lhe a boca.
Vós, sacerdotes, por favor, não sejais rigoristas na Confissão. Quando virdes que uma pessoa está com dificuldade, dizei: «Compreendi, já compreendi». Isso não significa ser de «manga larga», não. Significa coração de pai, tal como Deus é coração de pai. A obra que o Senhor realiza na vida de cada pessoa é uma história sagrada: deixemo-nos apaixonar por ela. Na variedade multiforme do vosso povo, ter paciência significa também ter ouvidos e coração para diferentes sensibilidades espirituais, diversas formas de expressar a fé, variadas culturas. A Igreja não quer uniformizar – por favor, isto não! – mas integrar todas as culturas, todas as psicologias das pessoas, com paciência materna, porque a Igreja é mãe. É isto que desejamos fazer, com a graça de Deus, no itinerário sinodal: oração paciente, escuta paciente para uma Igreja dócil a Deus e aberta ao homem. Esta era a paciência, um dos aspetos de Barnabé.
Na história de Barnabé, há um segundo aspeto importante que gostaria de sublinhar: o seu encontro com Paulo de Tarso e a amizade fraterna entre ambos, que os levará a viverem juntos a missão. Depois da conversão de Paulo – antes era um perseguidor implacável dos cristãos, pelo que «todos tinham medo dele, não querendo acreditar que fosse um discípulo» (At 9, 26). Neste ponto, o livro dos Atos dos Apóstolos regista uma coisa belíssima –, «Barnabé tomou-o consigo» (9, 27). Apresenta-o à comunidade, conta o que se passou com ele, garante por ele. Debrucemo-nos sobre a frase «tomou-o consigo». A expressão lembra a própria missão de Jesus, que tomou consigo os discípulos pelos caminhos da Galileia, que tomou sobre Si a nossa humanidade ferida pelo pecado. É uma atitude de amizade, uma atitude de partilha de vida. Tomar consigo, tomar sobre si é ocupar-se da história do outro, esperar para o conhecer sem rotulá-lo – por favor, evite-se o pecado de rotular o outro –, carregá-lo às costas quando está cansado ou ferido, como fez o bom samaritano (cf. Lc 10, 25-37). Isto chama-se fraternidade. E esta é a segunda palavra, que gostava de vos dizer. A primeira, paciência; a segunda, fraternidade.
Como irmãos, Barnabé e Paulo viajam juntos para anunciar o Evangelho, mesmo no meio das perseguições. «Durante um ano inteiro, mantiveram-se juntos nesta Igreja [de Antioquia] e ensinaram muita gente» (At 11, 26). Depois, por vontade do Espírito Santo, ambos foram destinados para uma missão maior e «meteram-se num barco, rumo à ilha de Chipre» (At 13, 4). E a Palavra de Deus corria e crescia não só pelas qualidades humanas deles, mas sobretudo porque eram irmãos no nome de Deus e esta sua fraternidade fazia resplandecer o mandamento do amor. Irmãos diversos, diferentes – como os dedos duma mão, que são todas diferentes –, mas todos com a mesma dignidade. Irmãos. Mas, como sucede na vida, deu-se um facto inesperado: os Atos contam que os dois tiveram uma discussão tão violenta que os seus caminhos se separaram (cf. At 15, 39). Entre os irmãos também se discute, e às vezes até se litiga. Contudo Paulo e Barnabé separam-se, não por motivos pessoais, mas por uma divergência sobre o seu ministério, sobre como realizar a missão, e têm visões diferentes. Barnabé deseja levar em missão também o jovem Marcos; Paulo não quer. Discutem, mas a partir dalgumas cartas posteriores intui-se que não ficou rancor entre os dois. Ao escrever a Timóteo, que deve vir ter com ele em seguida, Paulo diz: «Vem ter comigo quanto antes. (…) Traz contigo Marcos [precisamente ele!], pois me será de grande ajuda no ministério» (2 Tm 4, 9.11). Isto é a fraternidade na Igreja: pode-se discutir sobre perspetivas, sobre pontos de vista – e convém fazê-lo, é conveniente, isto faz bem, um pouco de discussão faz bem – sobre sensibilidades e ideias diferentes, porque é mau nunca discutir. Quando existe esta paz demasiado rigorista, não é de Deus. Numa família, os irmãos discutem, trocam pontos de vista. Eu desconfio de quem nunca discute, porque sempre têm «agendas» escondidas. Esta é a fraternidade da Igreja: pode-se discutir sobre perspetivas, sobre sensibilidades, sobre ideias diferentes, e em alguns casos dizer coisas um ao outro com franqueza, isso ajuda em alguns casos, e não dizê-las por trás numa coscuvilhice que não faz bem a ninguém. A discussão é uma oportunidade de crescimento e mudança. Mas lembremo-nos sempre disto: discute-se, não para se fazer guerra nem para se impor, mas para expressar e viver a vitalidade do Espírito, que é amor e comunhão. Discute-se, mas continuamos irmãos. Nas minhas recordações de criança, lembro-me que éramos cinco e discutíamos entre nós, às vezes fortemente, não todos os dias, mas depois, à mesa, estávamos todos juntos. A discussão da família que tem uma mãe, a mãe Igreja: os filhos discutem.
Queridos irmãos e irmãs, temos necessidade duma Igreja fraterna, que seja instrumento de fraternidade para o mundo. Aqui, em Chipre, existem muitas sensibilidades espirituais e eclesiais, histórias de proveniência diversas, de diferentes ritos, de várias tradições. Mas não devemos sentir a diversidade como uma ameaça à identidade, nem devemos tornar-nos ciumentos e apoquentar-nos com os respetivos espaços. Se cairmos nesta tentação, cresce o medo; o medo gera desconfiança; a desconfiança desemboca na suspeita e, mais cedo ou mais tarde, leva à guerra. Somos irmãos, com um único Pai que nos ama. Estais imersos no Mediterrâneo: um mar de histórias diferentes, um mar que deu o berço a várias civilizações, um mar do qual ainda hoje desembarcam pessoas, povos e culturas de todo o mundo. Com a vossa fraternidade, podeis recordar a todos, à Europa inteira que, para construir um futuro digno da humanidade, é preciso trabalhar juntos, superar as divisões, derrubar os muros e cultivar o sonho da unidade. Temos necessidade de nos acolhermos e integrarmos, de caminharmos juntos, de sermos todos irmãs e irmãos!
Agradeço-vos pelo que sois e pelo que fazeis, pela alegria com que anunciais o Evangelho e pelos esforços e as renúncias com que o sustentais e fazeis progredir. Este é o caminho traçado pelos santos apóstolos Paulo e Barnabé. Faço votos de que sejais sempre uma Igreja paciente, que discerne, que nunca se assusta, mas discerne, que acompanha e que integra; e uma Igreja fraterna, que abre espaço ao outro, discute mas permanece unida e cresce na discussão. Abençoo-vos a cada um de vós. E, por favor, continuai a rezar por mim, porque preciso! Efcharistó [obrigado]!
[01679-PO.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua polacca
Wasze Świątobliwości, drodzy bracia biskupi,
drodzy kapłani, siostry i bracia zakonni,
drodzy katecheci, bracia i siostry, Χαίρετε! [Witajcie]
Cieszę się, że jestem pośród was. Pragnę wyrazić wdzięczność kardynałowi Bécharze Boutrosowi Raï za słowa, które do mnie skierował, i serdecznie pozdrowić patriarchę Pierbattistę Pizzaballę. Dziękuję wam wszystkim za waszą posługę i służbę; szczególnie wam, siostry, za dzieło wychowawcze, które prowadzicie w szkole, do której tak licznie uczęszczają dzieci z tej wyspy, szkoły, będącej miejscem spotkań, dialogu, uczenia się sztuki budowania mostów. Dziękuję! Dziękuję wam wszystkim za waszą bliskość z ludźmi, zwłaszcza w środowiskach społecznych i zawodowych, w których jest to trudniejsze.
Dzielę się moją radością z odwiedzenia tej ziemi, pielgrzymując śladami wielkiego apostoła Barnaby, syna tego ludu, ucznia rozmiłowanego w Jezusie, nieustraszonego głosiciela Ewangelii, który, przechodząc pośród rodzących się wspólnot chrześcijańskich, dostrzegał działanie łaski Bożej i radował się, „i zachęcał wszystkich, aby całym sercem wytrwali przy Panu” (Dz 11, 23). A ja przybywam z tym samym pragnieniem: aby zobaczyć działanie łaski Bożej w waszym Kościele i na waszej ziemi, aby ucieszyć się razem z wami z cudów, których Pan dokonuje, i aby zachęcać was do trwania zawsze, bez znużenia, nigdy się nie zniechęcając. Bóg jest większy! Bóg jest większy od naszych przeciwieństw. Odwagi!
Patrząc na was, widzę bogactwo waszej różnorodności. To prawda, piękna „macedonia”! Wszyscy różni. Pozdrawiam Kościół maronicki, który w ciągu wieków kilkakrotnie docierał na wyspę i, często przechodząc przez wiele prób, wytrwale trwał w wierze. Myśląc o Libanie, odczuwam wielki niepokój z powodu kryzysu, jaki go dotknął, i dostrzegam cierpienie narodu znużonego i doświadczonego przemocą i cierpieniem. W mojej modlitwie zanoszę pragnienie pokoju, które wypływa z serca tego kraju. Dziękuję wam za to, co robicie w Kościele dla Cypru. Cedry Libanu są wielokrotnie wymieniane w Piśmie Świętym jako wzorce piękna i wielkości. Ale nawet wielki cedr ma swój początek w korzeniach i rozwija się powoli. Wy jesteście tymi korzeniami, przesadzonymi na Cypr, aby szerzyć woń i piękno Ewangelii. Dziękuję!
Pozdrawiam również Kościół łaciński, obecny tutaj od tysięcy lat, który z upływem czasu wraz ze swymi dziećmi rozwijał entuzjazm wiary i który dzisiaj, dzięki obecności wielu braci i sióstr migrantów, jawi się jako lud „wielobarwny”, jako prawdziwe miejsce spotkania różnych grup etnicznych i kultur. To oblicze Kościoła odzwierciedla rolę Cypru na kontynencie europejskim: kraina pozłacanych pól, wyspa pieszczona morskimi falami, ale przede wszystkim historia, która jest splotem ludów i mozaiką spotkań. Taki jest też Kościół: katolicki, to znaczy powszechny, będący otwartą przestrzenią, w której wszyscy są przyjmowani i ogarnięci Bożym miłosierdziem oraz zaproszeniem do miłości. W Kościele katolickim nie ma i niech nie będzie murów. I o tym nie zapominajmy! Nikt z nas nie został tu nigdy wezwany do kaznodziejskiego prozelityzmu, nigdy. Prozelityzm jest bezpłodny, nie daje życia. Wszyscy zostaliśmy wezwani przez miłosierdzie Boga, który niestrudzenie wzywa, niestrudzenie jest blisko, niestrudzenie przebacza. Gdzie są korzenie naszego chrześcijańskiego powołania? W miłosierdziu Bożym. O tym nigdy nie wolno nam zapomnieć. Pan nie zawodzi; Jego miłosierdzie nie zawodzi. Zawsze na nas czeka. W Kościele katolickim nie ma i niech nie będzie murów, proszę! To jest wspólny dom, jest to miejsce relacji, jest to współistnienie różnorodności: ten obrządek, tamten obrządek...; ktoś tak to myśli, ta zakonnica widziała to w ten sposób, inna widziała to inaczej... Różnorodność wszystkich i, w tej różnorodności, bogactwo jedności. A kto tworzy jedność? Duch Święty. A kto tworzy różnorodność? Duch Święty. Kto może zrozumieć, niech zrozumie. On jest autorem różnorodności i jest autorem harmonii. Święty Bazyli mawiał to: „Ipse harmonia est”. On jest Tym, który czyni różnorodność darów i harmonijną jedność Kościoła.
Umiłowani, pragnę teraz podzielić się z wami pewnymi myślami o świętym Barnabie, waszym bracie i patronie, zaczerpnąwszy dwa słowa z jego życia i misji.
Pierwszym z nich jest cierpliwość. Mówimy o Barnabie jako o człowieku wielkiej wiary i równowagi, który został wybrany przez Kościół jerozolimski – można by powiedzieć – przez Kościół macierzysty – jako osoba najbardziej odpowiednia do odwiedzenia nowej wspólnoty, wspólnoty antiocheńskiej, składającej się z osób dopiero co nawróconych z pogaństwa. Zostaje wysłany, by pójść i zobaczyć, co się wśród nich dzieje, niemal niczym odkrywca. Spotyka tam ludzi, którzy pochodzą z innego świata, innej kultury, innej wrażliwości religijnej; ludzi, którzy właśnie zmienili swoje życie i dlatego posiadają wiarę pełną entuzjazmu, ale wciąż kruchą, jak to na początku. W tej sytuacji postawa Barnaby jest nacechowana niezwykłą cierpliwością. Umie czekać. Umie czekać, aż drzewo wyrośnie. To jest cierpliwość pozwalająca na nieustanne wyruszanie w drogę; cierpliwość, pozwalająca na wchodzenie w życie osób dotąd nieznanych; cierpliwość, pozwalająca na przyjmowanie nowych rzeczy, nie oceniając ich pochopnie; cierpliwość rozeznawania, potrafiącego dostrzegać wszędzie znaki działania Boga; cierpliwość, uzdalniająca do „studiowania” innych kultur i tradycji. Barnaba ma nade wszystko cierpliwość towarzyszenia: pozwala wzrastać, towarzysząc. Nie miażdży kruchej wiary nowo przybyłych rygorystyczną, nieelastyczną postawą, ani nadmiernymi wymaganiami co do przestrzegania przykazań. Nie. Pozwala im wzrastać, towarzyszy im, bierze ich za rękę, rozmawia z nimi. Barnaba nie gorszy się, tak jak ojciec i matka nie gorszą się swoimi dziećmi, towarzyszą im, pomagają im wzrastać. Miej to na uwadze: nie może być podziałów, prozelityzmu w Kościele. Pozwól róść i towarzysz. A jeśli masz kogoś skarcić, skarć go, ale z miłością, ze spokojem. To jest człowiek cierpliwości.
Potrzeba nam Kościoła cierpliwego, drodzy bracia i siostry. Kościoła, który nie pozwala, by zmiany powodowały w nim wstrząsy i niepokoje, lecz który z pogodą ducha przyjmuje to, co nowe i rozeznaje sytuacje w świetle Ewangelii. Cenna jest praca, jaką wy wykonujecie na tej wyspie, przyjmując nowych braci i siostry, docierających z innych stron świata. Podobnie jak Barnaba, także i wy jesteście wezwani do pielęgnowania spojrzenia cierpliwego i wrażliwego, do bycia widzialnymi i wiarygodnymi znakami Bożej cierpliwości, która nigdy nie pozostawia nikogo poza domem, nigdy nikogo, bez czułego uścisku. Kościół na Cyprze ma te otwarte ramiona: przyjmuje, integruje, towarzyszy. Jest to ważne przesłanie także dla Kościoła w całej Europie, naznaczonej kryzysem wiary: nie warto być impulsywnym, na nic się zda być agresywnym lub nostalgicznym i narzekającym, ale dobrze jest iść naprzód, odczytując znaki czasu, a także znaki kryzysu. Trzeba ponownie podjąć cierpliwe głoszenie Ewangelii, wziąć do ręki Błogosławieństwa, zwłaszcza głosić nowym pokoleniom. Wam, bracia biskupi, chciałbym powiedzieć: bądźcie cierpliwymi i bliskimi pasterzami, niestrudzenie poszukujcie Boga w modlitwie, szukajcie kapłanów w spotkaniu, braci innych wyznań chrześcijańskich z szacunkiem i troską, a wiernych tam, gdzie mieszkają. Wam zaś, drodzy kapłani, którzy tu jesteście, pragnę powiedzieć: bądźcie cierpliwi wobec wiernych, zawsze gotowi dodawać im otuchy, bądźcie niestrudzonymi szafarzami Bożego przebaczenia i miłosierdzia. Nigdy nie bądźcie surowymi sędziami, a zawsze kochającymi ojcami.
Kiedy czytam przypowieść o synu marnotrawnym: starszy brat był surowym sędzią, ale ojciec był miłosierny, obraz Ojca, który zawsze przebacza, co więcej, który zawsze czeka, aby przebaczyć! W zeszłym roku grupa młodych ludzi, którzy tworzą spektakle, muzykę pop, zapragnęła stworzyć przypowieść o synu marnotrawnym, śpiewaną w stylu pop i dialogach... Pięknie! Ale najpiękniejsza jest końcowa dyskusja, kiedy syn marnotrawny idzie do przyjaciela i mówi: „Nie mogę tak dalej ciągnąć. Chcę wrócić do domu, ale boję się, że tata zamknie mi drzwi przed nosem, wyrzuci mnie. Boję się tego i nie wiem jak to zrobić" - "Ale twój tata jest dobry!" - "Tak, ale wiesz... mój brat tam jest, on go źle nastawia". Pod koniec tej popowej opery o synu marnotrawnym, jego przyjaciel mówi mu: „Zrób jedną rzecz: napisz do taty i powiedz mu, że chcesz wrócić, ale boisz się, że nie przyjmie cię dobrze. Powiedz tacie, że jeśli chce cię dobrze przywitać, niech umieści chusteczkę w najwyższym oknie domu. W ten sposób tata uprzedzi cię, czy cię przyjmie, czy przegoni”. Ten akt się kończy. W drugim akcie syn jest w drodze do domu ojca. A idąc, odwraca się i widzisz dom swego ojca: był pełen białych chusteczek! Pełen! To jest Bóg dla nas. To jest Bóg dla nas. Nigdy nie męczy się przebaczaniem. A kiedy syn zaczyna mówić: „Ach, panie, zrobiłem…” - „Zamilcz”, zamyka mu usta.
Do was kapłanów: proszę, nie bądźcie rygorystyczni w spowiedzi. Kiedy widzicie, że ktoś ma kłopoty, mówcie: „Rozumiem, rozumiem”. Nie oznacza to „szerokiego rękawa”, nie. Oznacza serce ojca, jak sercem ojca jest Bóg. Dzieło, którego Pan dokonuje w życiu każdego człowieka, jest świętą historią: bądźmy pasjonatami tego dzieła. W wielorakiej różnorodności waszego ludu cierpliwość oznacza również posiadanie uszu i serca otwartych na różne wrażliwości duchowe, różne sposoby wyrażania wiary, różne kultury. Kościół nie chce ujednolicać – bardzo proszę, nie! - ale integrować wszystkie kultury, wszystkie psychologie ludów, z matczyną cierpliwością, bo Kościół jest matką. To właśnie pragniemy czynić z pomocą łaski Bożej w czasie procesu synodalnego: cierpliwa modlitwa, cierpliwe słuchanie, dla Kościoła posłusznego Bogu i otwartego na człowieka. To była cierpliwość, jedna z cech Barnaby.
Jest jeszcze drugi ważny aspekt historii Barnaby, który chciałbym podkreślić: jego spotkanie z Pawłem z Tarsu i ich braterska przyjaźń, która doprowadziła ich do wspólnego przeżywania misji. Po nawróceniu Pawła, wcześniej zaciekłego prześladowcy chrześcijan, „wszyscy bali się go, nie wierząc, że jest uczniem” (Dz 9, 26). Tutaj Księga Dziejów Apostolskich mówi coś bardzo pięknego: „Barnaba przygarnął go” (w. 27). Przedstawia go wspólnocie, opowiada, co mu się przydarzyło, i ręczy za niego. Posłuchajmy tego „przygarnął go”. Wyrażenie to przypomina misję Jezusa, który zabrał ze sobą uczniów na drogi Galilei, który przyjął nasze człowieczeństwo zranione grzechem. Jest to postawa przyjaźni i postawa dzielenia się życiem. Przygarnąć, wziąć na siebie, to obarczyć się dziejami drugiej osoby, poświęcić czas na poznanie nie szufladkując go – grzech szufladkowania ludzi, proszę! - wziąć go na swoje ramiona, gdy jest zmęczony lub zraniony, jak czyni to miłosierny Samarytanin (por. Łk 10, 25-37). To się nazywa braterstwo. I to jest drugie słowo, jakie chciałem wam powiedzieć. Pierwsze, cierpliwość, drugie, braterstwo.
Barnaba i Paweł, jako bracia, podróżują razem, aby głosić Ewangelię, nawet pośród prześladowań. W kościele w Antiochii „przez cały rok pracowali razem nauczając wielką rzeszę ludzi” (Dz 11, 26). Obydwaj następnie, z woli Ducha Świętego, zostali przeznaczeni dla większej misji i „odpłynęli na Cypr” (Dz 13, 4). A Słowo Boże rozwijało się i rosło nie tylko ze względu na ich ludzkie zdolności, ale przede wszystkim dlatego, że byli braćmi w imię Boże i to ich braterstwo sprawiało, że jaśniało przykazanie miłości. Różni bracia, odmienni – jak palce ręki, wszystkie inne - ale wszyscy z tą samą godnością. Bracia. Potem, jak to w życiu bywa, następuje nieoczekiwane wydarzenie: Dzieje Apostolskie relacjonują, że obydwaj bardzo się poróżnili i ich drogi się rozdzieliły (por. Dz 15, 39). Także między braćmi dochodzi do sporów, czasem kłótni. Paweł i Barnaba nie rozdzielają się jednak z powodów osobistych, ale dlatego, że spierają się o swoją posługę, o to jak realizować misję, i mają różne wizje. Barnaba chce między innymi zabrać w podróż misyjną także młodego Marka, a Paweł nie. Spierają się, ale z niektórych późniejszych listów Pawła wynika, że nie ma między nimi urazy. Nawet do Tymoteusza, który ma do niego dołączyć wkrótce potem, Paweł pisze: „Pospiesz się, by przybyć do mnie szybko. (...) Weź Marka [właśnie jego!] i przyprowadź ze sobą ze sobą; jest mi bowiem przydatny do posługiwania” (2 Tm 4, 9. 11). Na tym polega braterstwo w Kościele: możemy spierać się o wizje, o punkty widzenia – i warto to zrobić, warto, to dobrze robi, trochę dyskusji dobrze robi – o różnych wrażliwościach i różnych ideach, bo źle jest nigdy nie dyskutować. Kiedy jest ten zbyt rygorystyczny pokój, nie jest on od Boga. W rodzinie bracia dyskutują, wymieniają poglądy. Podejrzewam, że ci, którzy nigdy się nie kłócą, cały czas mają ukryte „programy”. To jest braterstwo Kościoła: można dyskutować o wizjach, o wrażliwościach, o różnych ideach, a w niektórych przypadkach pomaga szczere mówienie sobie rzeczy prosto w oczy, to pomaga w niektórych przypadkach, a nie mówienie za plecami, plotkowanie, które nie przynosi nic dobrego nikomu. Dyskusja jest okazją do rozwoju i zmiany. Ale pamiętajmy zawsze: dyskutujemy nie po to, by prowadzić wojnę, nie po to, by narzucać swoje zdanie, ale aby wyrażać i żyć żywotnością Ducha, która jest miłością i komunią. Spieramy się, lecz pozostajemy braćmi. Pamiętam, że jako dziecko było nas pięcioro. Kłóciliśmy się między sobą, czasem mocno, nie codziennie, a potem wszyscy razem siedzieliśmy przy stole. Dyskusja w rodzinie, która ma matkę, matkę Kościół: dzieci się kłócą.
Drodzy bracia i siostry, potrzebujemy Kościoła braterskiego, który będzie narzędziem braterstwa dla świata. Tutaj na Cyprze współistnieje wiele wrażliwości duchowych i kościelnych, różne historie pochodzenia, różne obrzędy i tradycje. Nie możemy jednak odczuwać różnorodności jako zagrożenia dla tożsamości, ani nie możemy być zazdrośni i martwić się o przestrzenie, jakie są zajmowane przez poszczególne wspólnoty. Jeśli ulegniemy tej pokusie, będzie narastał strach, strach zaś rodzi nieufność, a nieufność prowadzi do podejrzeń i prędzej czy później do wojny. Jesteśmy braćmi, miłowanymi przez tego samego Ojca. Jesteście zanurzeni w Morzu Śródziemnym: morzu odmiennych historii, morzu, które było kolebką wielu cywilizacji, morzu, którym wciąż przepływają ludzie, narody i kultury z całego świata. Dzięki waszemu braterstwu możecie przypomnieć wszystkim, całej Europie, że, aby zbudować przyszłość godną ludzkości, musimy pracować razem, przezwyciężać podziały, burzyć mury i podtrzymywać marzenie o jedności. Musimy się wzajemnie akceptować i integrować, podążać razem, być wszyscy braćmi!
Dziękuję wam za to, kim jesteście i za to, co czynicie, za radość, z jaką głosicie Ewangelię, za ciężką pracę i poświęcenie, z jakim ją wspieracie i rozwijacie. Taką drogę wyznaczyli święci Apostołowie Paweł i Barnaba. Życzę wam, abyście zawsze byli Kościołem cierpliwym, który rozeznaje, nigdy się nie lęka, rozeznaje, który towarzyszy i który integruje; i Kościołem braterskim, który czyni miejsce dla innych, dyskutuje, ale pozostaje jednością, wzrasta w dyskusji. Błogosławię Was, każdego z was. I proszę, nadal módlcie się za mnie, bo tego potrzebuję! Συχαριστώ! [Dziękuję!]
[01679-PL.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua araba
الزيارة الرسوليّة إلى قبرص واليونان
كلمة قداسة البابا فرنسيس
في اللقاء مع الكهنة والرهبان والراهبات ومعلّمي التّعليم المسيحيّ والجمعيّات والحركات الكنسيّة
في كاتدرائيّة سيدة النعمة للكنيسة المارونيّة في نيقوسيا – قبرص
الخميس 2 كانون الأوّل / ديسمبر 2021
أصحاب الغبطة، إخوتي الأساقفة الأعزّاء،
الكهنة والرهبان والراهبات الأعزّاء،
معلِّمي التّعليم المسيحيّ، أيّها الإخوة والأخوات، تحيّة.
أنا سعيد لوجودي بينكم. أودّ أن أعبّر عن شكري وتقديري للبطريرك الكاردينال مار بشارة بطرس الراعي على الكلمات التي وجهها إلي، وأحيّي بمودّة البطريرك بييرباتيستا بيتسابالا. شكرًا لكم جميعًا على مهامكم وخدماتكم. شكرًا لكُنَّ، أيتها الأخوات الراهبات، للعمل التربوي الذي تقُمْنَ به في المدرسة التي يتردّد عليها أبناء الجزيرة، فهي مكان لقاء وحوار وتعلُّمِ فنِّ بناء الجسور. شكرًا! شكرًا لكم جميعًا على قربكم من الناس، لا سيّما في الظروف الاجتماعيّة وأماكن العمل، حيث تَصعُب الحياة.
إنّي أشارككم فرحي بزيارة هذه الأرض، سائرًا حاجًّا على خطى الرسول الكبير برنابا، ابنِ هذا الشعب، والتلميذِ المحِبِّ ليسوع، والمبشِّر الجريء للإنجيل، الذي كان يتنقَّل بين الجماعات المسيحيّة الناشئة وقد رأى نعمة الله تعمل فيها وابتهج، "وحَثَّهم جَميعًا على التَّمَسُّكِ بِالرَّبِّ مِن صَميمِ القَلب" (أعمال الرسل 11، 23). أتيت وفيَّ الرغبة نفسها: أن أرى نعمة الله تعمل في كنيستكم وفي أرضكم، ولأبتهج معكم بالعجائب التي يعملها الرّبّ، ولأحثكم على المثابرة دائمًا، دون تعب، ودون أن تهبط عزيمتكم أبدًا.
أَنظُر إليكم وأرى غِنَى التنوع في جماعتكم. هذا صحيح، إنّها ”خليط من الفواكه“ وجميل! الجميع مختلف. أحيّي الكنيسة المارونيّة، التي جاءت إلى هذه الجزيرة عبر القرون في مناسبات عديدة، وقد اجتازت مرارًا عبر محن شديدة، وثبتت في الإيمان. عندما أفكّر في لبنان، أشعر بقلق شديد للأزمة التي يواجهها، وأشعر بمعاناة شعب مُتعَب وممتحَنٍ بالعنف والألم. إنّي أحمل في صلاتي الرغبة في السّلام التي تنبع من قلب ذلك البلد. أشكركم لما تصنعون في الكنيسة ومن أجل قبرص. لقد ورد ذكر أرز لبنان عدة مرات في الكتاب المقدس، نموذجًا للجمال والعظمة. ولكن حتى الأرز العالي يبدأ من الجذور ويرتفع ببطء. وهذه الجذور هي أنتم، منزرعين في قبرص لتنشروا عبير وجمال الإنجيل. شكرًا لكم!
أحيّي أيضًا الكنيسة اللاتينيّة، الحاضرة هنا منذ آلاف السنين، والتي شهدت مع أبناء هذه الأرض، مع مرور الزمن، نمو الإيمان واندفاعه، وهي اليوم، بفضل وجود العديد من الإخوة والأخوات المهاجرين، شعب متعدد الألوان، ومكان لقاء حقيقي بين مجموعات عرقيّة وثقافات مختلفة. يعكس وجه الكنيسة هذا دور قبرص في القارة الأوروبية: فهي أرض الحقول الذهبية، وجزيرة تداعبها أمواج البحر، وهي قبل كلّ شيء تاريخ تتشابك فيه الشعوب، وفسيفساء لقاءات. هكذا هي الكنيسة: كاثوليكيّة، أي جامعة، وفضاء مفتوح يرحِّب بالجميع، وتشمل الجميعَ رحمة الله ونداؤه إلى المحبّة. لا توجد أسوار، ويجب ألّا توجد، في الكنيسة الكاثوليكيّة. ولا ننسى هذه الأمر! لم يُدع أي منا هنا للبحث عن أتباع لنا، أبدًا. البحث عن أتباع لنا عقيم لا يعطي الحياة. دُعينا جميعًا من رحمة الله، الذي لا يتعب من أن يدعونا، ولا يتعب من أن يكون قريبًا منا، ولا يتعب من أن يغفر لنا. أين جذور دعوتنا المسيحية؟ إنهّا من رحمة الله. يجب ألّا ننسى ذلك أبدًا. الرّبّ لا يخذلنا، ورحمته لا تخذلنا. دائمًا ينتظرنا. لا توجد أسوار، ويجب ألّا توجد، في الكنيسة الكاثوليكيّة، من فضلكم! إنّها بيت مشترك، ومكان للعلاقات، وللعيش معًا للجماعات المتنوعة: ذلك الطقس الديني، وذلك الطقس الديني الأخر...، واحد يفكر في البيت المشترك بهذه الطريقة، وتلك الراهبة رأت البيت المشترك بهذه الطريقة، وراهبة أخرى رأته بهذه الطريقة... إنّه تنوع الجميع، وفي هذا التنوع، غنى الوَحدة. ومن يصنع الوَحدة؟ الرّوح القدس. ومن يصنع التنوع؟ الرّوح القدس. من يستطيع أن يفهم فليفهم. هو صانع التنوع والتناغم. كان القديس باسيليوس يقول:”Ipse harmonia est“. الرّوح القدس هو الذي يمنح تنوع المواهب ووَحدة الكنيسة المتناغمة.
أيّها الأعزاء، أودّ الآن أن أشارككم شيئًا عن القديس برنابا، أخيكم وشفيعكم، فأقتبس من حياته ورسالته كلمتين:
الأولى هي الصبر. يُذكَر برنابا على أنّه رجل كبير بإيمانه واتزانه، اختارته كنيسة القدس - يمكننا أن نقول الكنيسة الأم - باعتباره الشخص الأنسب لزيارة جماعة جديدة، جماعة أنطاكية، وفيها عدة أشخاص اهتدوا حديثًا من الوثنية. تمَّ إرساله للذهاب ليرى ما يحدث، مثل المستكشف تقريبًا. فوجد أناسًا يأتون من عالم آخر، وثقافة أخرى، ولهم أحاسيس دينية أخرى، وهم أناس غيروا حياتهم حديثًا، فهم ممتلئون بإيمان مندفع، لكنّه ما زال ضعيفًا، كما في البداية. في هذا الوضع، اتسم موقف برنابا بصبر كبير. عرف كيف ينتظر. عرف كيف ينتظر أن تنموا الشجرة. إنّه الصبر للانطلاق والسفر باستمرار، والصبر للدخول في حياة أناس مجهولين له حتى الآن، والصبر لقبول الأمور الجديدة دون تسرع في الحكم عليها، والصبر في التمييز الذي يعرف كيف يرى العلامات التي تدل على عمل الله في كلّ مكان، والصبر لـ”دراسة“ ثقافات وتقاليد أخرى. وتمتع برنابا قبل كلّ شيء بصبر المرافقة: تركهم ينمون، ورافقهم. فهو لا يسحق الإيمان الضعيف، في القادمين الجدّد، بمواقف صارمة غير مرنة، أو بطلبات متشدّدة فيما يختص بالمحافظة على الشريعة. لا. تركهم ينمون ورافقهم وأخذ بيدهم وأقام حوارًا معهم. برنابا لا يُشهر، مثل أب وأم لا يُشهران بأبنائهم، بل يرافقانهم، ويساعدانهم على النمو. ضعوا هذا في الاعتبار: الانقسامات والبحث عن أتباع لنا لا تصحّ داخل الكنيسة. أتركوهم لينموا ورافقوهم. وإذا اضطررت إلى توبيخ شخص ما، فوبخه، ولكن بالمحبّة والسّلام. هذا هو رجل الصبر.
أيّها الإخوة والأخوات الأعزّاء، نحن بحاجة إلى كنيسة صابرة، كنيسة لا تسمح لنفسها بأن تضطرب وتخاف بسبب التغيّرات، بل ترحّب بهدوء بما هو جديد، وتميّز المواقف في ضوء الإنجيل. إنّ العمل الذي تقومون به في هذه الجزيرة، أي الترحيب بإخوة وأخوات جدّد يأتون من شواطئ أخرى في العالم، إنّما هو عمل له قيمة كبيرة. مثل برنابا، أنتم أيضًا مدعوّون لتنَمُّوا في أنفسكم نظرة صابرة ويقظة، لتكونوا علامات مرئية وصادقة لصبر الله الذي لا يترك أحدًا أبدًا خارج البيت، غيرَ مشمول بحنانه. الكنيسة في قبرص أذرعها مفتوحة: لترحّب وتستوعب وترافق. إنّها أيضًا رسالة مهمة للكنيسة في جميع أنحاء أوروبا، الموسومة بأزمة الإيمان: لا يفيد الاندفاع ولا تفيد العدوانية أو الحنين إلى ما كان أو التشكّي، لكن المفيد هو متابعة السير وقراءة علامات الأزمنة، وأيضًا علامات الأزمة. من الضروري أن نبدأ من جديد بإعلان الإنجيل بصبر، وعيش التطويبات، وإعلانها خاصة للأجيال الجديدة. أودّ أن أقول لكم، أيّها الإخوة الأساقفة: كونوا رعاة صابرين في قربكم من الناس، ولا تملّوا أبدًا من البحث عن الله في الصّلاة، ومن البحث عن الكهنة في اللقاءات، وعن الإخوة في سائر الطوائف المسيحيّة باحترام واهتمام، وعن المؤمنين حيثما يعيشون. ولكم أيّها الكهنة الأعزّاء، المتواجدون هنا، أودّ أن أقول: كونوا صابرين مع المؤمنين، ومستعدين دائمًا لتشجيعهم، وكونوا خدّامًا لا يتعبون لمغفرة الله ورحمته. لا تكونوا أبدًا قضاة صارمين بل كونوا دائمًا آباءً ودودين.
عندما قرأت مثل الابن الضّال: كان الأخ الأكبر قاضيًا صارمًا، ولكن الأب كان رحيمًا، وهي صورة الأب الذي يغفر دائمًا، بل الذي ينتظرنا دائمًا حتّى يغفر لنا! في السنة الماضية، مجموعة من الشّباب الذين يقدّمون عروضًا موسيقيّة، موسيقى البوب، أرادت أن يقدّموا مَثل الابن الضّال بطريقة غنائيّة وحواريّة مع موسيقى البوب... جميل جدًّا! ولكن الأجمل كان الحوار الأخير، عندما ذهب الابن الضّال إلى صديق وقال له: ”لا يمكنّني أن أستمرّ هكذا. أريد أن أعود إلى البيت، ولكنّي خائف أن يغلق أبي الباب في وجهي ويطردني. أنا خائف ولا أعرف ماذا أعمل“ - ”ولكن والدك صالح!“ - ”نعم، ولكنّك تعلم... يوجد أخي هناك، والذي يقوّيه عليَّ“. في نهاية أوبرا البوب عن الابن الضّال، قال له صديقه: ”افعل ما يلي: اكتب إلى والدك وقل له أنّك تريد العودة، ولكنّك تخاف ألّا يستقبلك جيّدًا. قُل لوالدك إنّه إذا أراد أن يستقبلك جيّدًا، أن يضع منديلًا على أعلى نافذة في البيت، حتّى يقول لك أوّلاً إذا كان سيستقبلك جيّدًا أم سيطردك“. انتهى هذا المشهد. في المشهد الآخر، كان الابن في طريقه إلى بيت والده. وعندما كان سائرًا، استدار، ورأى بيت والده: كان مليئًا بالمناديل البيضاء! مليئًا! هذا هو الله بالنّسبة لنا. هذا هو الله بالنّسبة لنا. لا يتعب من أن يغفر لنا. وعندما بدأ الابن في الكلام وقال: ”آه، يا سيّدي، لقد فعلت...“ – قال له والده: ”أسكت“، وأوقفه عن الكلام.
وأنتم أيّها الكهنة: من فضلكم، لا تكونوا صارمين في سرّ الاعتراف. وعندما ترون أنّ هناك شخصًا ما في مشكلة، قولوا له: ”أنا فهمت، أنا فهمت“. وهذا لا يعني ”التساهُل“، لا. بل يعني أن يكون لدينا قلب الأب، مثل قلب الله. إنّ العمل الذي يقوم به الرّبّ في حياة كلّ شخص هو تاريخ مقدس: فأحبُّوه. مع التنوُّع الكبير في شعبكم، يعني الصبر أيضًا أن يكون لكم آذان وقلوب تشعر بالحساسيات الرّوحيّة المختلفة، وبطرق التعبير المختلفة عن الإيمان، والثقافات المختلفة. الكنيسة لا تريد تسوية الخصائص – من فضلكم، لا! - بل تريد الترحيب بكلّ الثقافات، وبكلّ نفسيّات النّاس، بصبر أموميّ، لأنّ الكنيسة أمٌّ. هذا ما نريد أن نعمله بنعمة الله في مسيرة السينودس: صلاة صابرة، وإصغاء صابر في كنيسة مطيعة لله ومنفتحة على الإنسان. هذا كان الصّبر، واحدٌ من جوانب برنابا.
في قصة برنابا جانب ثانٍ مهم أوَدُّ التأكيد عليه: لقاؤه مع بولس الطرسوسي وصداقتهما الأخويّة، التي ستقودهما إلى عيش الرسالة معًا. بعد اهتداء بولس، الذي كان في السابق مضطهدًا عنيفًا للمسيحيين، "كانوا كُلُّهم يَخافوَنه غَيرَ مُصَدِّقينَ أَنَّه تِلْميذ" (أعمال الرسل 9، 26). هنا يقول سفر أعمال الرسل شيئًا جميلًا جدًّا: "أَخَذَ بَرْنابا بِيَدِه" (آية ٢٧). وقدَّمه للجماعة، وروى ما حدث له، وتكفَّله. لنستمع إلى هذه الكلمات: ”أخذ بيده، أخذه معه“. يشير التعبير إلى نفس رسالة يسوع، الذي أخذ معه التلاميذ على طرق الجليل، والذي أخذ على عاتقه إنسانيتنا المجروحة بسبب الخطيئة. إنّه موقف صداقة ومشاركة في الحياة. أن يأخذ الإنسان معه، أن يأخذ على عاتقه ويتولى مسؤولية تاريخ الآخر، ويمنح نفسه وقتًا للتعرف عليه دون أن يصنفه – خطيئة تصنيف النّاس، من فضلكم! -، وأن يحمله على كتفيه إذا تعب، أو كان جريحًا، كما فعل السامري الرحيم (راجع لوقا 10، 25-37)، هذا يسمّى أخُوّة. وهذه هي الكلمة الثانية التي أريد أن أقولها لكم. الأولى هي الصّبر، والثّانية هي الأخوّة.
سافر برنابا وبولس، كإخوة، معًا ليبشروا بالإنجيل، حتى في وسط الاضطهادات. في كنيسة أنطاكية "أَقاما سَنةً كامِلةً يَعمَلانِ مَعًا [...] وُيعَلِّمانِ خَلقًا كثيرًا" (أعمال الرسل 11، 26). وكلاهما، بمشيئة الرّوح القدس، أُفرِزا لرسالة أكبر و"أَبْحَرا إِلى قبرص" (أعمال الرسل 13، 4). وكانت كلمة الله تنمو ليس فقط بسبب صفاتهم البشرية، ولكن قبل كلّ شيء لأنّهما كانا إخوة باسم الله وهذه الأخُوّة جعلت وصية المحبَّة تتألّق فيهما. كانا إخوة مختلفَين، ومتباينَين - مثل أصابع اليد، كلّها مختلفة – ولكن كان لهما الكرامة نفسها. كانا إخوة. ثم، كما يحدث في الحياة، حدث أمر غير متوقع. يقول لنا سفر أعمال الرسل إنّه وقع بينهما خلاف شديد، فاختلفت طرقهم. (راجع أعمال الرسل 15، 39). حتى بين الإخوة يقع الجدال، وأحيانا الخصام. ومع ذلك، لم ينفصل بولس وبرنابا لأسباب شخصيّة، ولكن لأنّهما تناقشا في الرسالة، كيف يتابعون السّير بها. كانت لهما رؤى مختلفة. كان برنابا يريد أن يصطحب معهما مرقس الشاب. وبولس لا يريد. فتجادلا. ويظهر من بعض الرسائل اللاحقة لبولس، أنّه لم تبقَ بينهما ضغينة. كتب بولس لطيموتاوس، الذي كان يجب أن ينضم إليه لاحقًا: "عَجِّلْ في المَجيءِ إِلَيَّ مُسْرعًا [...] إِستَصحِبْ مَرقُس [هو نفسه!] وَأتِ بِه، فإِنَّه يُفيدُني في الخِدمَة" (الرسالة الثانية إلى طيموتاوس 4، 9. 11). هذه هي الأخوّة في الكنيسة: يمكن أن نتناقش في الرؤى، ووجهات النّظر - ومن الجيّد فعله، إنّه جيّد، هذا مفيد، القليل من المناقشة مفيد - والحساسيات والأفكار المختلفة. لأنّه من السّيّئ عدم النّقاش. عندما يكون هناك سلام صارم جدًّا، فهو ليس من الله. في العائلة، الإخوة يتناقشون، ويتبادلون وجهات النّظر. أنا أشكّ بالذين لا يناقشون، لأنّهم يخفون ”جدول أعمال“ دائمًا. هذه هي أخوّة الكنيسة: يمكن أن نتناقش في الرؤى والحساسيّات والأفكار المختلفة، وفي بعض الحالات، المواجهة والمصارحة، وهذه تفيد في بعض الحالات، وعدم قولها من الخلف من خلال الثّرثرة والتي لا تفيد أحدًا. المناقشة هي فرصة للنمو والتغيير. لكن لنتذكر دائمًا: لا نناقش لكي نقيم حربًا بيننا، ولا لفرض أنفسنا، ولكن لكي نظهر ونعيش حيويّة الرّوح، التي هي حبّ وشركة. نتجادل، لكنّنا نظل إخوة. أتذكّر، عندما كنت طفلًا، وكنّا خمسة إخوة. كنّا نتناقش فيما بيننا، وبقوّة في بعض الأحيان، ليس كلّ يوم، ثمّ كنّا نجلس جميعًا على المائدة. المناقشة في العائلة التي لها أُم، والكنيسة هي أُم، أبناؤها يتناقشون.
أيّها الإخوة والأخوات الأعزاء، نحن بحاجة إلى كنيسة أخويّة، تكون أداة أخوّة للعالم. يوجد هنا في قبرص العديد من الحساسيات الروحية والكنسيّة وقصص مختلفة عن الأصل، وعن طقوس وتقاليد مختلفة. لكن يجب ألّا نشعر بالتنوع كأنّه تهديد للهوية، ويجب ألّا نشعر بالغيرة والقلق للمكان الذي يشغله كلّ واحد منا. إذا وقعنا في هذه التجربة، يزداد الخوف، والخوف يولد عدم الثقة، وعدم الثقة يؤدي إلى الشّك، وينتهي عاجلًا أم آجلًا إلى الحرب. نحن إخوة يحِبُّنا أب واحد. وكلّكم حول بحر واحد، البحر الأبيض المتوسط: بحر يروي قصصًا مختلفة، وهو مهد حضارات عديدة، وينزل على شواطئه، حتى اليوم، أناس وشعوب وثقافات من جميع أنحاء العالم. بأخُوَّتكم يمكنكم تذكير الجميع، وأوروبا بأسرّها، أنّه من أجل بناء مستقبل يليق بالإنسان، من الضروري العمل معًا، والتغلب على الانقسامات، وتحطيم الجدران، وتغذيّة حِلم الوَحدة. نحن بحاجة إلى الترحيب والاندماج، والسّير معًا، لنكون جميعًا إخوة وأخوات!
أشكركم لما أنتم عليه ولما تعملون، وللفرح الذي به تبشرون بالإنجيل، وللجهود والتّضحيّات التي بها تدعمونه وتجعلونه يتقدم. هذه هي الطريقة التي رسمها الرسولان بولس وبرنابا. أتمنى لكم أن تكونوا دائمًا كنيسة صابرة، تميِّز، ولا تخاف أبدًا، أن تميِّز، وترافق وتستوعب، كنيسة أخويّة، تفسح المجال للآخر، وتناقش لكنّها تبقى متّحدة، وتنمو في النّقاش. أبارككم، أبارك كلّ واحدٍ منكم. وأرجوكم أن تستمروا في الصّلاة من أجلي، لأنّي بحاجة إلى الصّلاة! Efcharistó! [شكرًا!]
[01679-AR.02] [Testo originale: Italiano]
[B0807-XX.02]