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Incontro promosso dalla Comunità di Sant’Egidio: Religioni e Culture in dialogo “Popoli fratelli, terra futura” alla presenza del Santo Padre Francesco, 07.10.2021


Discorso del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Questo pomeriggio, al Colosseo in Roma, ha avuto luogo l’Incontro internazionale promosso dalla Comunità di Sant’Egidio: Religioni e Culture in dialogo “Popoli fratelli, terra futura”, in corso dal 6 al 7 ottobre.

Alle ore 16.20 il Santo Padre Francesco ha presieduto la preghiera dei cristiani insieme ai rappresentanti delle altre religioni. Al termine, il Papa si è recato sul palco insieme ai vari rappresentanti dove ha avuto luogo l’Incontro internazionale e l’inizio della cerimonia. Nel corso della cerimonia è stato letto l’Appello di Pace.

Pubblichiamo di seguito il discorso che il Santo Padre Francesco ha rivolto ai partecipanti all’Incontro:

Discorso del Santo Padre

Cari fratelli e sorelle!

Saluto e ringrazio tutti voi, Capi di Chiese, Autorità politiche e Rappresentanti delle grandi religioni mondiali. È bello essere qui insieme, portando nel cuore e nel cuore di Roma i volti delle persone di cui ci prendiamo cura. Ed è importante soprattutto pregare e condividere, in modo limpido e accorato, le preoccupazioni per il presente e l’avvenire del nostro mondo. In questi giorni tanti credenti sono convenuti, manifestando come la preghiera sia quella forza umile che dona pace e disarma i cuori dall’odio. In vari incontri, è stata espressa anche la convinzione che occorre cambiare i rapporti tra i popoli e dei popoli con la terra. Perché qui oggi, insieme, sogniamo popoli fratelli e una terra futura.

Popoli fratelli. Lo diciamo avendo alle spalle il Colosseo. Questo anfiteatro, in un lontano passato, fu luogo di brutali divertimenti di massa: combattimenti tra uomini o tra uomini e bestie. Uno spettacolo fratricida, un gioco mortale fatto con la vita di molti. Ma anche oggi si assiste alla violenza e alla guerra, al fratello che uccide il fratello quasi fosse un gioco guardato a distanza, indifferenti e convinti che mai ci toccherà. Il dolore degli altri non mette fretta. E nemmeno quello dei caduti, dei migranti, dei bambini intrappolati nelle guerre, privati della spensieratezza di un’infanzia di giochi. Ma con la vita dei popoli e dei bambini non si può giocare. Non si può restare indifferenti. Occorre, al contrario, entrare in empatia e riconoscere la comune umanità a cui apparteniamo, con le sue fatiche, le sue lotte e le sue fragilità. Pensare: “Tutto questo mi tocca, sarebbe potuto accadere anche qui, anche a me”. Oggi, nella società globalizzata che spettacolarizza il dolore ma non lo compatisce, abbiamo bisogno di “costruire compassione”. Di sentire l’altro, di fare proprie le sue sofferenze, di riconoscerne il volto. Questo è il vero coraggio, il coraggio della compassione, che fa andare oltre il quieto vivere, oltre il non mi riguarda e il non mi appartiene. Per non lasciare che la vita dei popoli si riduca a un gioco tra potenti. No, la vita dei popoli non è un gioco, è cosa seria e riguarda tutti; non si può lasciare in balia degli interessi di pochi o in preda a passioni settarie e nazionaliste.

È la guerra a prendersi gioco della vita umana. È la violenza, è il tragico e sempre prolifico commercio delle armi, che si muove spesso nell’ombra, alimentato da fiumi di denaro sotterranei. Voglio ribadire che «la guerra è un fallimento della politica e dell’umanità, una resa vergognosa, una sconfitta di fronte alle forze del male» (Lett. enc. Fratelli tutti, 261). Dobbiamo smettere di accettarla con lo sguardo distaccato della cronaca e sforzarci di vederla con gli occhi dei popoli. Due anni fa, ad Abu Dhabi, con il caro fratello qui presente, il Grande Imam di Al Azhar, abbiamo invocato la fratellanza umana per la pace, parlando «in nome dei popoli che hanno perso la sicurezza, la pace e la comune convivenza, divenendo vittime delle distruzioni, delle rovine e delle guerre» (Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, 4 febbraio 2019). Siamo chiamati, come rappresentanti delle religioni, a non cedere alle lusinghe del potere mondano, ma a farci voce di chi non ha voce, sostegno dei sofferenti, avvocati degli oppressi, delle vittime dell’odio, scartate dagli uomini in terra ma preziose davanti a Colui che abita i cieli. Oggi hanno timore, perché in troppe parti del mondo, anziché prevalere il dialogo e la cooperazione, riprende forza il confronto militare come strumento decisivo per imporsi.

Vorrei dunque esprimere nuovamente l’esortazione che feci ad Abu Dhabi sul compito non più rimandabile che spetta alle religioni «in questo delicato frangente storico: smilitarizzare il cuoredell’uomo» (Discorso nell’Incontro Interreligioso, 4 febbraio 2019). È nostra responsabilità, cari fratelli e sorelle credenti, aiutare a estirpare dai cuori l’odio e condannare ogni forma di violenza. Con parole chiare incoraggiamo a questo: a deporre le armi, a ridurre le spese militari per provvedere ai bisogni umanitari, a convertire gli strumenti di morte in strumenti di vita. Non siano parole vuote, ma richieste insistenti che eleviamo per il bene dei nostri fratelli, contro la guerra e la morte, in nome di Colui che è pace e vita. Meno armi e più cibo, meno ipocrisia e più trasparenza, più vaccini distribuiti equamente e meno fucili venduti sprovvedutamente. I tempi ci chiedono di farci voce di tanti credenti, persone semplici, disarmate, stanche della violenza, perché chi detiene responsabilità per il bene comune si impegni non solo a condannare guerre e terrorismo, ma a creare le condizioni perché essi non divampino.

Perché i popoli siano fratelli, la preghiera deve salire incessante al Cielo e una parola non può smettere di risuonare in terra: pace. San Giovanni Paolo II sognò un cammino comune dei credenti, che si snodasse da quell’evento verso il futuro. Cari amici, siamo in questo cammino, ciascuno con la propria identità religiosa, per coltivare la pace in nome di Dio, riconoscendoci fratelli. Papa Giovanni Paolo ci indicò questo compito, affermando: «La pace attende i suoi profeti. La pace attende i suoi artefici» (Discorso ai Rappresentanti delle Chiese cristiane, delle Comunità Ecclesiali e delle Religioni Mondiali convenuti in Assisi, 27 ottobre 1986). Ad alcuni parve vuoto ottimismo. Ma negli anni è cresciuta la condivisione e sono maturate storie di dialogo tra mondi religiosi diversi, che hanno ispirato percorsi di pace. È questa la vera via. Se c’è chi vuole dividere e creare scontri, noi crediamo nell’importanza di camminare insieme per la pace: gli uni con gli altri, mai più gli uni contro gli altri.

Fratelli, sorelle, il nostro è un cammino che chiede costantemente di purificare il cuore. Francesco di Assisi, mentre chiedeva ai suoi di vedere negli altri dei «fratelli, perché creati dall’unico Creatore», faceva questa raccomandazione: «La pace che annunziate con la bocca, abbiatela ancor più copiosa nei vostri cuori» (Leggenda dei tre compagni, XIV,5: FF 1469). La pace non è anzitutto un accordo da negoziare o un valore di cui parlare, ma principalmente un atteggiamento del cuore. Nasce dalla giustizia, cresce nella fraternità, vive di gratuità. Spinge a «servire la verità e dichiarare senza paure e infingimenti il male quando è male, anche e soprattutto quando viene commesso da chi si professa seguace del nostro stesso credo» (Messaggio ai Partecipanti al G20 Interfaith Forum 2021, 7 settembre 2021). In nome della pace disinneschiamo, vi prego, in ogni tradizione religiosa, la tentazione fondamentalista, ogni insinuazione a fare del fratello un nemico. Mentre tanti sono presi da antagonismi, da fazioni e giochi di parte, noi facciamo risuonare quel detto dell’Imam Ali: “Le persone sono di due tipi: o tuoi fratelli nella fede o tuoi simili nell’umanità”. Non c’è un’altra divisione.

Popoli fratelli per sognare la pace. Ma il sogno della pace oggi si coniuga con un altro, il sogno della terra futura. È l’impegno per la cura del creato, per la casa comune che lasceremo ai giovani. Le religioni, coltivando un atteggiamento contemplativo e non predatorio, sono chiamate a porsi in ascolto dei gemiti della madre terra, che subisce violenza. Il caro fratello, il Patriarca Bartolomeo, qui presente, ci ha aiutato a maturare la consapevolezza che «un crimine contro la natura è un crimine contro noi stessi e un peccato contro Dio» (Discorso a Santa Barbara, 8 novembre 1997, cit. in Lett. Enc. Laudato si’, 8).

Ribadisco quanto la pandemia ci ha mostrato, ovvero che non possiamo restare sempre sani in un mondo malato. Negli ultimi tempi tanti si sono malati di dimenticanza, dimenticanza di Dio e dei fratelli. Ciò ha portato a una corsa sfrenata all’autosufficienza individuale, deragliata in un’avidità insaziabile, di cui la terra che calpestiamo porta le cicatrici, mentre l’aria che respiriamo è piena di sostanze tossiche e povera di solidarietà. Abbiamo così riversato sul creato l’inquinamento del nostro cuore. In questo clima deteriorato, consola pensare che le medesime preoccupazioni e lo stesso impegno stiano maturando e diventando patrimonio comune di tante religioni. La preghiera e l’azione possono riorientare il corso della storia. Coraggio, fratelli e sorelle! Abbiamo davanti agli occhi una visione, che è la stessa di tanti giovani e uomini di buona volontà: la terra come casa comune, abitata da popoli fratelli. Sì, sogniamo religioni sorelle e popoli fratelli! Religioni sorelle, che aiutino popoli a essere fratelli in pace, custodi riconciliati della casa comune del creato. Grazie.

[01378-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Chers frères et sœurs !

Je salue et remercie chacun d’entre vous, Chefs d’Eglises, Autorités politiques et Représentants des grandes religions mondiales. Il est beau d’être ici ensemble, portant dans nos cœurs et dans le cœur de Rome les visages des personnes dont nous avons la charge. Il est surtout important de prier et de partager, d’une façon claire et sincère, nos préoccupations pour le présent et l’avenir de notre monde. Ces jours-ci, beaucoup de croyants se sont retrouvés manifestant combien la prière est cette humble force qui procure la paix et désarme les cœurs de toute haine. Au cours de plusieurs rencontres, une conviction a aussi été exprimée: il faut changer les relations entre les peuples, et le rapport des peuples à la terre. Parce que ici, aujourd’hui, ensemble, nous rêvons de peuples frères et d’une terre future.

Peuples frères. Nous disons cela avec le Colisée juste derrière nous. Cet amphithéâtre, dans un passé lointain, abrita des divertissements de masse brutaux : des combats entre des hommes, ou entre des hommes et des bêtes. Un spectacle fratricide, un jeu mortel avec la vie de tant de personnes. Aujourd’hui encore, on assiste à la violence et à la guerre, au frère qui tue son frère, parfois comme un jeu regardé à distance, indifférents et convaincus que jamais il ne nous touchera. La douleur des autres ne nous presse pas, ni même celle des victimes, des migrants, des enfants piégés par les guerres, privés de l’insouciance d’une jeunesse qui joue. Mais on ne peut pas jouer avec la vie des peuples et des enfants. On ne peut pas rester indifférents. Il faut au contraire entrer en empathie et reconnaître l’humanité commune à laquelle nous appartenons, avec ses peines, ses luttes et ses fragilités. Il nous faut penser: «Tout cela m’atteint, tout cela aurait pu se passer ici, à moi aussi». Aujourd’hui, dans la société globalisée qui fait de la souffrance un spectacle, mais sans y compatir, nous avons besoin de “construire la compassion”. De sentir l’autre, de faire sienne ses souffrances, d’en reconnaître le visage. Voilà le vrai courage, le courage de la compassion, qui fait aller au-delà d’une vie tranquille, au-delà du cela ne me regarde pas et du cela ne m’appartient pas. Afin de ne pas laisser la vie des peuples se réduire à un jeu entre puissants. Non, la vie des peuples n’est pas un jeu, elle est une chose sérieuse et concerne tout le monde; on ne peut la laisser à la merci des intérêts de quelques-uns, ou en proie aux passions sectaires et nationalistes.

C’est la guerre qui se moque de la vie humaine. C’est la violence, c’est le tragique et commerce des armes toujours plus prolifique, qui se tapit souvent dans l’ombre, alimenté par des rivières souterraines d’argent. Je souhaite redire que «la guerre est toujours un échec de la politique et de l’humanité, une capitulation honteuse, une déroute devant les forces du mal» (Lett. enc. Fratelli tutti, n. 261). Nous ne devons plus l’accepter avec le regard distancié de l’actualité, et nous efforcer de la regarder avec les yeux des peuples. Il y a deux ans, à Abou Dhabi, avec mon cher frère, le Grand Imam d’Al-Azhar ici présent, nous avons invoqué la fraternité humaine pour la paix, parlant «au nom des peuples qui ont perdu la sécurité, la paix et la coexistence commune, devenant victimes des destructions, des ruines et des guerres» (Document sur la fraternité humaine pour la paix mondiale et la coexistence commune, 4 février 2019). Nous sommes appelés, en tant que représentants des religions, à ne pas céder aux flatteries du pouvoir mondain, mais être la voix des sans-voix, le soutien des souffrants, les avocats des opprimés, des victimes de la haine, rejetées par les hommes en ce monde, mais précieuses devant Celui qui habite dans les Cieux. Aujourd’hui, ils ont peur, parce que dans trop de parties du monde, plutôt que le dialogue et la coopération, c’est l’affrontement militaire qui s’impose comme moyen décisif.

Je voudrais donc renouveler l’exhortation que j’ai faite à Abou Dhabi sur la tâche qui appartient aux religions etque l’on ne peut plus reporter : «Dans cette délicate conjoncture historique, démilitariser le cœur de l’homme» (Discours à l’occasion de la rencontre Interreligieuse, 4 février 2019). Il est de notre responsabilité, chers frères et sœurs croyants, d’aider à extirper des cœurs la haine et de condamner toute forme de violence. Avec des mots clairs nous l’encourageons: déposer les armes, réduire les dépenses militaires pour contribuer aux besoins humanitaires, convertir les instruments de mort en instruments de vie. Il ne s’agit pas là de paroles creuses, mais des demandes instantes que nous formulons pour le bien de nos frères, contre la guerre et la mort, au nom de Celui qui est paix et vie. Moins d’armes et plus de nourriture, moins d’hypocrisie et plus de transparence, plus de vaccins distribués équitablement et moins de fusils vendus imprudemment. Les temps actuels nous imposent de nous faire la voix de nombreux croyants, personnes simples et désarmées, fatiguées de la violence, pour que ceux qui sont responsables du bien commun s’engagent, non seulement à condamner la guerre et le terrorisme, mais à créer les conditions pour les empêcher.

Pour que les peuples soient frères, notre prière doit s’élever sans cesse vers le Ciel et une parole doit toujours résonner sur la terre : paix. Saint Jean-Paul II rêva d'un cheminement commun des croyants qui, à partir de cet événement, se déroulerait vers l'avenir. Chers amis, nous sommes en chemin, chacun avec sa propre identité religieuse, pour cultiver la paix au nom de Dieu, en nous reconnaissant frères. Le Pape Jean-Paul nous a indiqué cette tâche lorsqu’il a déclaré: «La paix attend ses prophètes. La paix attend ses artisans » (Discours aux représentants des Eglises chrétiennes, des communautés ecclésiales et des religions mondiales réunis à Assise, 27 octobre 1986). Pour certains, cela semblait être un optimisme vide de sens. Mais au fil des années, le partage s'est effectivement développé et des histoires de dialogue entre différents mondes religieux ont mûri, en inspirant des chemins de paix. Voilà le vrai chemin. S’il y en a qui veulent diviser et créer des affrontements, nous nous croyons à l'importance de marcher ensemble pour la paix : les uns avec les autres, jamais plus les uns contre les autres.

Frères et sœurs, notre chemin demande une constante purification de nos cœurs. François d'Assise, tout en demandant à ses fidèles de voir dans les autres « des frères, parce qu'ils ont été créés par le seul Créateur », leur faisait cette recommandation : « La paix que vous proclamez de votre bouche, ayez-la, encore plus abondante dans vos cœurs » (Légende des trois compagnons, XIV, 5 : FF 1469). La paix n'est pas d'abord un accord à négocier ou une valeur à évoquer, mais principalement une attitude du cœur. Elle naît de la justice, elle grandit dans la fraternité, elle vit de gratuité. Elle nous pousse à «servir la vérité et à dénoncer le mal sans crainte et sans faux-semblants quand il est mal, même et surtout lorsqu’il est commis par ceux qui professent notre propre credo» (Message aux participants au G20 Interfaith Forum 2021, 7 septembre 2021). Au nom de la paix, je vous en prie, désamorçons dans chaque tradition religieuse la tentation intégriste, toute suggestion de faire du frère un ennemi. Alors que beaucoup sont enfermés dans des antagonismes, des factions et des jeux d’influence, nous faisons résonner cette maxime de l'Imam Ali : « Il y a deux sortes de personnes : nos frères dans la foi, ou nos semblables en humanité». Il n’y a pas d’autre division.

Des peuples frères pour rêver de la paix. Mais le rêve de la paix se conjugue aujourd'hui avec un autre, le rêve de la terre future. Il s’agit de l'engagement pour le soin de la création, pour la maison commune que nous laisserons aux jeunes. Les religions, en cultivant une attitude contemplative et non prédatrice, sont appelées à écouter les gémissements de notre terre mère qui subit tant de violence. Mon cher frère, le Patriarche Bartholomée, ici présent, nous a aidés à prendre conscience qu’ « un crime contre la nature est un crime contre nous-mêmes et un péché contre Dieu » (Discours à Santa Barbara, 8 novembre 1997, cit. in Lett. enc. Laudato si, n. 8).

Je répète ce que la pandémie nous a montré, à savoir qu'on ne peut pas toujours rester en bonne santé dans un monde malade. Ces derniers temps, beaucoup sont tombés malades de l'oubli, oubli de Dieu et de nos frères. Cela a conduit à une ruée effrénée vers l'autosuffisance individuelle qui a déraillé dans une cupidité insatiable. La terre que nous foulons en porte les cicatrices, l'air que nous respirons est rempli de substances toxiques et pauvre en solidarité. Nous avons ainsi déversé la souillure de notre cœur sur la création. Dans ce climat dégradé, il est réconfortant de penser que les mêmes préoccupations et le même engagement mûrissent et deviennent l'héritage commun de nombreuses religions. La prière et l'action peuvent réorienter le cours de l'histoire. Courage, frères et sœurs! Nous avons devant les yeux une vision, qui est la même que celle de tant de jeunes gens et d'hommes de bonne volonté : la terre comme maison commune, habitée par des peuples frères. Oui, nous rêvons de religions sœurs et de peuples frères ! Des religions sœurs, qui aident les peuples à être des frères en paix, gardiens réconciliés de la maison commune de la création. Merci.

[01378-FR.02] [Texte original: Italien]

 

Traduzione in lingua inglese

Dear brothers and sisters!

I greet all of you – heads of Churches, political authorities and representatives of the great world religions – and I thank you for your presence. It is good that we have gathered here, carrying in our own hearts and in the heart of Rome the faces of those entrusted to our care. Above all, it is important to pray and share, clearly and sincerely, our deep concern for the present and future of the world. Many, many believers have come together in these days to show how prayer is that quiet source of strength which brings peace and disarms hate-filled hearts. In the various meetings, we shared our conviction that a change is needed in relationships between peoples, and between peoples and the earth. That is why, here today, together we dream of peoples as brothers and sisters and a future earth.

Peoples as brothers and sisters. We proclaim this against the backdrop of the Colosseum. Long ago, this amphitheatre was the site of brutal mass entertainment: fights between men or between men and beasts. Spectacles of fratricide, deadly games played at the cost of human lives. Today, we too can be spectators of violence and war, of brothers killing brothers, like games we watch from a safe distance, indifferent, certain that they will never affect us. The suffering of others scarcely troubles us. Not even the sufferings of victims of war, migrants, young boys and girls trapped in conflicts and robbed of the carefree games of childhood. The lives of peoples and young children are not playthings. We may not be indifferent onlookers. On the contrary, we need to empathize with those who share our humanity, its aspirations, its struggles and its frailties. We need to realize, “All of this affects me, it could have happened here too, even to me”. Today, in a globalized society that sensationalizes suffering, yet remains incapable of sympathizing with it, we need to “construct compassion”. We need to listen to others, make their sufferings our own and look into their faces. This takes real courage: the courage of compassion, a courage that goes beyond complacency, beyond the mindset of “it doesn’t concern me” and “it has nothing to do with my life”. We cannot allow the lives of entire peoples to become mere pawns in a game of power. The life of peoples is not part of a game: it is something serious and of concern to everyone. The life of peoples cannot be subject to the interests of a few, or prey to sectarian and nationalistic fervour.

War plays games with human lives. So does violence and the bane of a burgeoning arms trade, often moving in the shadows, fed by underground streams of money. I can only reiterate that “war is a failure of politics and of humanity, a shameful capitulation, a stinging defeat before the forces of evil” (Fratelli Tutti, 261). We cannot continue to accept wars with the detachment with which we watch the evening news, but rather make an effort to see them through the eyes of the peoples involved. Two years ago in Abu Dhabi, along with my dear brother, the Grand Imam of Al-Azhar, present here, we appealed to human fraternity for the sake of peace. We spoke “in the name of peoples who have lost their security, peace and the possibility of living together, becoming victims of destruction, calamity and war” (Document on Human Fraternity for World Peace and Living Together, 4 February 2019). As representatives of different religious traditions, all of us are called to resist the lure of worldly power, to be the voice of the voiceless, the support of the suffering, advocates of the oppressed and victims of hatred, people discarded by men and women on earth, yet precious in the sight of the One who dwells in heaven. Today they are fearful, because in all too many parts of the world, rather than dialogue and cooperation prevailing, military confrontation is once again becoming the decisive means for imposing one’s own ends.

Consequently, I would repeat my words in Abu Dhabi about the urgent task of religions “in this delicate historical situation: to demilitarize the human heart” (Address at the Interreligious Meeting, 4 February 2019). Dear brothers and sisters, as believers it is our responsibility to help eradicate hatred from human hearts and to condemn every form of violence. Let us unambiguously urge that arms be set aside and military spending reduced, in order to provide for humanitarian needs, and that instruments of death be turned into instruments of life. May ours not be empty words, but insistent appeals for the welfare of our brothers and sisters, opposing war and death in the name of the One who is peace and life. Fewer arms and more food, less hypocrisy and more transparency, more vaccines distributed fairly and fewer weapons marketed indiscriminately. Our times demand that we be the voice of all those believers, ordinary people, defenceless and weary of violence, so that those who have responsibility for the common good will commit themselves not only to condemn wars and terrorism, but also to create the conditions to prevent them from flaring up.

If peoples are to remain brothers and sisters, prayers must rise unceasingly to heaven, and one single word constantly echo on earth. That word is peace. Saint John Paul II dreamed of a common journey of believers, starting from the Assisi meeting and advancing towards the future. Dear friends, we are making that journey, each with his or her own religious identity, to cultivate peace in the name of God and to acknowledge that we are brothers and sisters. Pope John Paul II raised this challenge when he said, “Peace awaits its prophets. Peace awaits its builders” (Address to the Representatives of the Christian Churches and Ecclesial Communities and of the World Religions, 27 October 1986). To some this seemed empty optimism. Over the years, however, sharing and forms of dialogue between different religious worlds have increased, thus creating paths to peace. This is the true way forward. If there are those who work to foment division and conflict, we ourselves believe in the importance of journeying together for peace: with one another, and never again against one another.

Brothers and sisters, ours is a journey that demands a constant purification of the heart. Francis of Assisi asked his followers to see others as “brothers and sisters, for they were created by the one Creator”. He told them: “The peace that you proclaim with your lips, you should possess even more abundantly in your hearts” (The Legend of the Three Companions, XIV, 5: FF 1469). Peace is not primarily an agreement to be negotiated or a value to be celebrated, but mostly an attitude of the heart. It is born of justice; it grows in fraternity and it flourishes in gratuitousness. It summons us to “serve the truth and declare what is evil when it is evil, without fear or pretence, even and especially when it is committed by those who profess to follow the same creed as us” (Message to the Participants in the G20 Interfaith Forum 2021, 7 September 2021). For the sake of peace, please, in every religious tradition let us defuse the temptation to fundamentalism and every tendency to view a brother or sister as an enemy. If there are those in the grip of hostility, factions and partisan games, we ourselves repeat the words of the Imam Ali: “There are two types of people: your brothers and sisters in faith, and those who are your fellow human beings”. There is no other distinction.

Peoples as brothers and sisters who dream of peace. Today the dream of peace is linked to another dream, that of the future earth. This is a commitment to care for creation, for the common home that we will leave to the young who will come after us. By cultivating a contemplative and non-predatory approach, the religions are called to listen to the groans of mother earth, which suffers violence. My dear brother, Patriarch Bartholomew, present here, has helped us to realize that “to commit a crime against the natural world is a sin against ourselves and a sin against God” (Address in Saint Barbara, 8 November 1997, cited in the Encyclical Laudato Si’, 8).

Let us remember what the pandemic has shown us, namely that we cannot remain healthy in a world that is sick. In recent times, many people have contracted the sickness of forgetfulness, forgetfulness of God and of our brothers and sisters. This has led to unbridled individualism and the desire for self-sufficiency, which has overflowed in insatiable greed. The earth we inhabit bears the scars of this, while the air we breathe is rich in toxins but poor in solidarity. We have thus poured the pollution of our hearts upon creation. In this climate of deterioration, it is encouraging to think that the same concerns and commitments are increasingly becoming the shared patrimony of many religions. Prayer and action can change the course of history. Brothers and sisters, be courageous! We have before us a vision, the same vision shared by so many young people and men and women of good will: the earth as a common home, in which peoples dwell as brothers and sisters. Yes, let us dream of religions as sisters and peoples as brothers! Sister religions to help peoples be brothers and sisters living in peace, reconciled stewards of creation, our common home. Thank you.

[01378-EN.02] [Original text: Italian]

 

Traduzione in lingua tedesca

Liebe Brüder und Schwestern!

Ich grüße Sie und danke Ihnen allen, den Oberhäuptern der Kirchen, den Politikern und den Vertretern der großen Weltreligionen. Es ist schön, dass wir hier zusammen sind – im Herzen Roms – und dabei die Menschen, die unserer Fürsorge anvertraut sind, im Herzen tragen. Besonders wichtig ist es, dass wir beten und uns hinsichtlich unserer Sorgen um Gegenwart und Zukunft unserer Welt offen und beherzt austauschen. Viele Gläubige sind in diesen Tagen zusammengekommen und haben gezeigt, dass das Gebet jene demütige Kraft ist, die Frieden schenkt und die Herzen von Hass befreit. Bei verschiedenen Treffen wurde auch die Überzeugung geäußert, dass wir die Beziehungen zwischen den Völkern und zwischen den Völkern und der Erde ändern müssen. Denn hier und heute träumen wir gemeinsam von einer Geschwisterlichkeit unter den Völkern und der Zukunft der Erde.

Geschwisterlichkeit unter den Völkern. Wir sagen dies vor dem Hintergrund des Kolosseums. Dieses Amphitheater war vor langer Zeit ein Ort brutaler Massenunterhaltung: Kämpfe zwischen Menschen oder zwischen Mensch und Tier. Ein Spektakel wie ein Bruderkrieg, ein tödliches Spiel mit dem Leben vieler Menschen. Aber auch heute erleben wir Gewalt und Krieg, Brüder und Schwestern, die einander töten, fast so, als wäre es ein Spiel, das wir aus der Ferne beobachten, gleichgültig und in der Überzeugung, dass es uns nie betreffen wird. Der Schmerz der anderen drängt nicht zur Eile. Ebenso wenig wie das Leid der Gefallenen, der Migranten, der in Kriege hineingezogenen Kinder, die der Unbeschwertheit einer spielerischen Kindheit beraubt sind. Aber mit dem Leben von Völkern und mit dem Leben von Kindern kann man nicht spielen. Man kann nicht gleichgültig bleiben. Im Gegenteil, wir müssen Empathie zeigen und die Nöte, Kämpfe und Schwächen der Menschengemeinschaft, der auch wir angehören, anerkennen. Wir sollten so denken: „Das alles betrifft mich, das hätte auch hier passieren können, auch mir.“ Heute, in einer globalisierten Gesellschaft, die den Schmerz zwar zum Spektakel macht, aber kein Mitleid zeigt, müssen wir „Mitgefühl aufbauen“. Den Mitmenschen anhören, seine Leiden zu unseren eigenen machen, sein Gesicht kennen. Das ist der wahre Mut, der Mut des Mitgefühls, der uns befähigt, über ein beruhigtes Leben hinauszugehen, über ein Das-ist-nicht-mein-Problem und ein Das-geht-mich-nichts-an. Wir dürfen nicht zulassen, dass das Leben der Völker zu einem Spiel der Mächtigen wird. Nein, das Leben der Menschen ist kein Spiel, es ist ernst und geht alle an; es darf nicht den Interessen einiger weniger oder parteiischen und nationalistischen Bestrebungen überlassen bleiben.

Der Krieg treibt sein Spiel mit Menschenleben. Ebenso die Gewalt, der tragische und immer blühende Waffenhandel, der sich oft im Verborgenen abspielt und von unterirdischen Geldströmen gespeist wird. Ich möchte bekräftigen: »Krieg ist ein Versagen der Politik und der Menschheit, eine beschämende Kapitulation, eine Niederlage gegenüber den Mächten des Bösen« (Enzyklika Fratelli tutti, 261). Wir müssen aufhören, den Krieg aus der distanzierten Perspektive einer Reportage zu akzeptieren, und uns bemühen, ihn mit den Augen der Menschen zu sehen. Vor zwei Jahren haben wir uns in Abu Dhabi zusammen mit unserem lieben Bruder, dem Großimam von Al Azhar, »im Namen der Völker, die der Sicherheit, des Friedens und des gemeinsamen Zusammenlebens entbehren und Opfer von Zerstörung, Niedergang und Krieg wurden«, für die Geschwisterlichkeit aller Menschen und ein friedliches Zusammenleben ausgesprochen (Dokument über die Brüderlichkeit aller Menschen für ein friedliches Zusammenleben in der Welt, 4. Februar 2019). Als Vertreter der Religionen sind wir aufgerufen, nicht den Verlockungen der weltlichen Macht nachzugeben, sondern zur Stimme derer zu werden, die keine Stimme haben, zur Stütze für die Leidenden, zu Anwälten der Unterdrückten, der Opfer des Hasses, die von den Menschen auf der Erde verworfen werden, aber wertvoll sind vor dem, der im Himmel wohnt. Heute haben sie Angst, weil in zu vielen Teilen der Welt anstelle von Dialog und Zusammenarbeit die militärische Konfrontation als entscheidendes Durchsetzungsinstrument wieder an Stärke gewinnt.

Ich möchte daher die Mahnung wiederholen, die ich in Abu Dhabi ausgesprochen habe. Die Religionen haben »in dieser heiklen geschichtlichen Situation eine Aufgabe, die nicht mehr aufgeschoben werden kann: einen aktiven Beitrag zurEntmilitarisierung des menschlichen Herzenszu leisten« (Ansprache beim Interreligiösen Treffen, 4. Februar 2019). Es liegt in unserer Verantwortung, liebe Brüder und Schwestern im Glauben, dazu beizutragen, dass der Hass aus den Herzen verschwindet und jede Form von Gewalt verurteilt wird. Mit klaren Worten ermutigen wir dazu, die Waffen niederzulegen, die Militärausgaben zu reduzieren, um humanitäre Bedürfnisse zu befriedigen und Werkzeuge des Todes in Werkzeuge des Lebens zu verwandeln. Dies sollen keine leeren Worte sein, sondern eindringliche Forderungen gegen Krieg und Tod, die wir um unserer Brüder willen und im Namen dessen stellen, der der Friede und das Leben ist. Weniger Waffen und mehr Lebensmittel, weniger Heuchelei und mehr Transparenz, mehr gerecht verteilte Impfstoffe und weniger unbedacht verkaufte Waffen. Die Zeiten verlangen von uns, dass wir unsere Stimme für viele Gläubigen erheben, einfache und wehrlose Menschen, die der Gewalt überdrüssig sind, auf dass diejenigen, die Verantwortung für das Gemeinwohl tragen, sich nicht nur dafür einsetzen, Kriege und Terrorismus zu verurteilen, sondern auch die Voraussetzungen dafür schaffen, dass sie nicht wieder aufflammen.

Damit die Völker geschwisterlich zusammenleben, muss das Gebet unaufhörlich zum Himmel steigen, und ein Wort muss auf der Erde immer weiter erklingen: Frieden. Der heilige Johannes Paul II. träumte von einem gemeinsamen Weg der Gläubigen, der sich von diesem Ereignis an in die Zukunft hinein fortsetzen sollte. Liebe Freunde, wir sind auf diesem Weg, jeder mit seiner eigenen religiösen Identität, um im Namen Gottes den Frieden zu kultivieren, indem wir uns als Brüder und Schwestern anerkennen. Papst Johannes Paul II. wies uns auf diese Aufgabe hin und sagte: »Der Frieden wartet auf seine Propheten. Der Friede wartet auf seine Erbauer« (Ansprache des Papstes zum Abschluss des Weltgebetstags der Religionen für den Frieden in Assisi (27. Oktober 1986). Manchen erschien das wie leerer Optimismus. Doch im Laufe der Jahre wuchs das gegenseitige Verständnis, und es kam zu Dialogprozessen zwischen den verschiedenen religiösen Welten, die dann Wege des Friedens eröffneten. Dies ist der wahre Weg. Wenn es auch diejenigen gibt, die spalten und Konflikte heraufbeschwören wollen, glauben wir daran, dass es wichtig ist, gemeinsam für den Frieden zu kämpfen: miteinander, nie wieder gegeneinander.

Brüder und Schwestern, unser Weg verlangt von uns eine fortwährende Reinigung des Herzens. Franz von Assisi forderte die Seinen auf, in den Anderen Geschwister zu sehen, »insofern sie von dem einen Schöpfer geschaffen sind«, und er empfahl: »Wenn ihr mit dem Mund den Frieden verkündet, so versichert euch, ob ihr ihn auch, ja noch mehr, in eurem Herzen habt« (Dreigefährtenlegende, XIV,5). Frieden ist nicht in erster Linie eine Vereinbarung, die man aushandelt, oder ein Wert, über den man spricht, sondern in erster Linie eine Herzenshaltung. Sie wird aus der Gerechtigkeit geboren, sie wächst in der Geschwisterlichkeit, sie lebt von der Unentgeltlichkeit. Sie treibt uns an, »der Wahrheit zu dienen und ohne Furcht und ohne Verstellung das Böse anzuprangern, wenn es böse ist, auch und gerade dann, wenn es von denen begangen wird, die sich zu demselben Glauben bekennen wie wir« (Botschaft an die Teilnehmer G20 Interfaith Forum 2021, 7. September 2021). Bitte, lasst uns im Namen des Friedens in jeder religiösen Tradition die fundamentalistische Versuchung entschärfen, jede Neigung, den Bruder zum Feind zu machen. Während viele in Feindseligkeiten, Spaltung und parteipolitische Spiele verwickelt sind, wollen wir uns an den Ausspruch von Imam Ali halten: „Es gibt zwei Arten von Menschen: entweder sind sie deine Brüder und Schwestern im Glauben oder sie sind deine Mitmenschen.“ Es gibt keine weitere Unterscheidung.

Geschwisterlichkeit unter den Völkern heißt vom Frieden zu träumen. Aber dieser Traum vom Frieden ist heute mit einem anderen Traum verbunden, nämlich dem von der Zukunft der Erde. Es geht um die Verpflichtung zur Bewahrung der Schöpfung und des gemeinsamen Hauses, das wir den jungen Menschen hinterlassen werden. Die Religionen, die eine kontemplative und nicht ausbeuterische Haltung kultivieren, sind aufgerufen, auf das Stöhnen der Mutter Erde zu hören, die Gewalt erleidet. Unser lieber Bruder, Patriarch Bartholomäus, der hier anwesend ist, hat uns geholfen, ein Bewusstsein dafür zu entwickeln, dass ein Verbrechen gegen die Natur ein Verbrechen gegen uns selbst und eine Sünde gegen Gott ist (vgl. Rede in Santa Barbara, 8. November 1997, zitiert in der Enzyklika Laudato si', 8).

Ich möchte noch einmal bekräftigen, was uns die Pandemie gezeigt hat, nämlich, dass wir in einer kranken Welt nicht dauerhaft gesund bleiben können. In letzter Zeit sind viele an Vergesslichkeit erkrankt, an Vergesslichkeit gegenüber Gott und gegenüber den Brüdern und Schwestern. Dies hat zu einem ungezügelten Wettlauf um individuelle Unabhängigkeit geführt, der aufgrund unersättlicher Gier entgleist ist, deren Narben die Erde, auf der wir herumtrampeln, trägt, während die Luft, die wir atmen, voller giftiger Stoffe und arm an Solidarität ist. So haben wir die Verschmutzung unseres Herzens auf die Schöpfung übertragen. In diesem geschädigten Klima ist es tröstlich zu wissen, dass dieselben Anliegen und das gleiche Engagement in vielen Religionen heranreifen und zum gemeinsamen Erbe werden. Das Gebet und das Handeln können den Lauf der Geschichte umlenken. Nur Mut, liebe Brüder und Schwestern! Wir haben eine Vision vor Augen, die sich mit derjenigen vieler junger Leute und vieler anderer Menschen guten Willens deckt: die Erde als gemeinsames Haus, das bewohnt wird von Menschen, die sich als Brüder und Schwestern verstehen. Ja, träumen wir von Schwesterreligionen und Brudervölkern! Schwesterreligionen, die den Völkern helfen, Brüder im Frieden zu sein, versöhnte Hüter des gemeinsamen Hauses der Schöpfung. Danke.

[01378-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

 

Traduzione in lingua spagnola

Queridos hermanos y hermanas:

Saludo y agradezco a todos ustedes, líderes de las Iglesias, autoridades políticas y representantes de las grandes religiones mundiales. Es hermoso estar aquí juntos, llevando en el corazón y al corazón de Roma los rostros de las personas que tenemos a nuestro cargo. Y, sobre todo, es importante rezar y compartir, claramente y con sinceridad, las preocupaciones por el presente y el futuro de nuestro mundo. En estos días, muchos creyentes se han reunido, manifestando cómo la oración es la fuerza humilde que da la paz y quita el odio de los corazones. En varios encuentros se expresó también la convicción de que es necesario cambiar las relaciones entre los pueblos y de los pueblos con la tierra. Porque aquí hoy, juntos, soñamos pueblos hermanos y una tierra futura.

Pueblos hermanos. Lo decimos teniendo el Coliseo a nuestras espaldas. Este anfiteatro, en un pasado lejano, fue lugar de brutales entretenimientos de masas: combates entre hombres o entre hombres y animales. Un espectáculo fratricida, un juego mortal hecho con la vida de muchos. Pero también hoy se asiste a la violencia y a la guerra, al hermano que mata al hermano como si fuera un juego que miramos de lejos, indiferentes y convencidos de que nunca nos tocará. El dolor de los otros no nos urge. Y ni siquiera el dolor de los que han caído, de los migrantes, de los niños atrapados en las guerras, privados de la despreocupación de una infancia de juegos. Pero con la vida de los pueblos y de los niños no se puede jugar. No podemos permanecer indiferentes. Por el contrario, es necesario empatizar y reconocer la humanidad común a la que pertenecemos, con sus fatigas, sus luchas y sus fragilidades. Pensar: “Todo esto me toca, hubiera podido suceder también aquí, también a mí”. Hoy, en la sociedad globalizada, que hace del dolor un espectáculo, pero no lo compadece, necesitamos “construir compasión”. Sentir con el otro, hacer propios sus sufrimientos, reconocer su rostro. Esta es la verdadera valentía, la valentía de la compasión, que nos lleva a ir más allá de la vida tranquila, más allá del no es asunto mío y del no me pertenece, para no dejar que la vida de los pueblos se reduzca a un juego entre los poderosos. No, la vida de los pueblos no es un juego, es cosa seria y nos concierne a todos; no se puede dejar en manos de los intereses de unos pocos o a merced de pasiones sectarias y nacionalistas.

Es la guerra la que se burla de la vida humana. Es la violencia, es el trágico y cada vez más prolífico comercio de las armas, el que se mueve a menudo en las sombras, alimentado de ríos subterráneos de dinero. Quiero reafirmar que «la guerra es un fracaso de la política y de la humanidad, una claudicación vergonzosa, una derrota frente a las fuerzas del mal» (Carta enc. Fratelli tutti, 261). Debemos dejar de aceptarla con la mirada indiferente de las noticias y esforzarnos por verla con los ojos de los pueblos. Hace dos años, en Abu Dabi, con un querido hermano aquí presente, el Gran Imán de Al-Azhar, suplicamos la fraternidad humana por la paz, hablando «en el nombre de los pueblos que han perdido la seguridad, la paz y la convivencia común, siendo víctimas de la destrucción, de la ruina y de las guerras» (Documento sobre la fraternidad humana por la paz mundial y la convivencia común, 4 febrero 2019). Estamos llamados, como representantes de las religiones, a no ceder a los halagos del poder mundano, sino a ser voz de quienes no tienen voz, apoyo de los que sufren, abogados de los oprimidos, de las víctimas del odio, que son descartadas por los hombres en la tierra, pero preciosas ante Aquel que habita en los cielos. Hoy tienen miedo, porque en demasiadas partes del mundo, más que prevalecer el diálogo y la cooperación, retoma fuerza el enfrentamiento militar como instrumento decisivo para imponerse.

Por tanto, quisiera expresar nuevamente el llamamiento que hice en Abu Dabi sobre una tarea que ya no puede posponerse y que corresponde a las religiones «en esta delicada situación histórica [...]: la desmilitarización del corazón del hombre» (Discurso en el Encuentro interreligioso, 4 febrero 2019). Es nuestra responsabilidad, queridos hermanos y hermanas creyentes, ayudar a extirpar el odio de los corazones y condenar toda forma de violencia. Con palabras claras, exhortamos a deponer las armas, a reducir los gastos militares para proveer a las necesidades humanitarias y a convertir los instrumentos de muerte en instrumentos de vida. Que no sean palabras vacías, sino peticiones insistentes que elevamos por el bien de nuestros hermanos, contra la guerra y la muerte, en nombre de Aquel que es la paz y la vida. Menos armas y más comida, menos hipocresía y más transparencia, más vacunas distribuidas equitativamente y menos fusiles vendidos neciamente. Los tiempos nos piden que seamos voz de tantos creyentes, personas sencillas e inermes cansadas de la violencia, para que quienes tienen responsabilidades por el bien común no sólo se comprometan a condenar las guerras y el terrorismo, sino también a crear las condiciones para que no se extiendan.

Para que los pueblos sean hermanos, la oración debe subir al cielo incesantemente y una palabra no puede dejar de resonar en la tierra: paz. San Juan Pablo II, soñó un camino común de los creyentes, que se articulara desde aquel evento hacia el futuro. Queridos amigos, estamos en este camino, cada uno con su propia identidad religiosa, para cultivar la paz en nombre de Dios, reconociéndonos hermanos. El Papa Juan Pablo II nos indicó esta labor, afirmando: «La paz espera a sus profetas. La paz espera a sus artífices» (Discurso a los Representantes de las Iglesias cristianas, las Comunidades eclesiales y las Religiones mundiales reunidos en Asís, 27 octubre 1986). A algunos les pareció un optimismo vacío. Pero a lo largo de los años la participación ha ido creciendo y han madurado historias de diálogo entre mundos religiosos diversos, que han inspirado procesos de paz. Este es el verdadero camino. Si hay personas que quieren dividir y crear enfrentamientos, nosotros creemos en la importancia de caminar juntos por la paz: unos con otros, pero nunca unos contra otros.

Hermanos, hermanas, nuestro camino nos exige que purifiquemos el corazón constantemente. Francisco de Asís, mientras pedía a los suyos que vieran a los demás como «hermanos, en cuanto han sido creados por el mismo Creador», les recomendaba: «Que la paz que anunciáis de palabra, la tengáis, y en mayor medida, en vuestros corazones» (Leyenda de los tres compañeros, XIV,5: FF 1469). La paz no es principalmente un acuerdo que se negocia o un valor del que se habla, sino una actitud del corazón. Nace de la justicia, crece en la fraternidad, vive de la gratuidad. Impulsa a «servir a la verdad y declarar sin miedo ni ambages el mal cuando es mal, también y sobre todo cuando lo cometen quienes se profesan seguidores de nuestro mismo credo» (Mensaje a los participantes en el Foro interreligioso del G20, 7 septiembre 2021). Les ruego, en nombre de la paz, que en toda tradición religiosa desactivemos la tentación fundamentalista, cualquier insinuación a hacer del hermano un enemigo. Mientras muchos están atrapados por antagonismos, por facciones y maniobras partidistas, nosotros hacemos resonar aquel dicho del Imán Alí: “Las personas son de dos tipos: tus hermanos en la fe o tus semejantes en la humanidad”. No hay otra división.

Pueblos hermanos para soñar la paz. Pero el sueño de la paz hoy se conjuga con otro, el sueño de la tierra futura. Es el compromiso por el cuidado de la creación, por la casa común que dejaremos a los jóvenes. Las religiones, cultivando una actitud contemplativa y no depredadora, están llamadas a ponerse a la escucha de los gemidos de la madre tierra, que sufre a causa de la violencia. Un querido hermano, el Patriarca Bartolomé, aquí presente, nos ayudó a madurar en la conciencia de que «un crimen contra la naturaleza es un crimen contra nosotros mismos y un pecado contra Dios» (Discurso en Santa Bárbara, 8 noviembre 1997, cit. en Carta enc. Laudato si’, 8).

Insisto en lo que la pandemia nos ha mostrado, me refiero a que no podemos permanecer siempre sanos en un mundo enfermo. En los últimos tiempos muchos están enfermos de olvido, olvido de Dios y de los hermanos. Eso ha llevado a una carrera desenfrenada en pos de una autosuficiencia individual, degenerada en una avidez insaciable, de la cual la tierra que pisamos lleva las cicatrices, mientras el aire que respiramos está lleno de sustancias tóxicas y pobre de solidaridad. De este modo, hemos arrojado en la creación la contaminación de nuestro corazón. En este clima deteriorado, consuela pensar que las mismas preocupaciones y el mismo compromiso están madurando y convirtiéndose en patrimonio común de tantas religiones. La oración y la acción pueden reorientar el curso de la historia. ¡Ánimo! Hermanos y hermanas tenemos ante nuestros ojos una visión, que es la misma de numerosos jóvenes y hombres de buena voluntad: la tierra como casa común, habitada por pueblos hermanos. Sí, soñamos religiones hermanas y pueblos hermanos. Religiones hermanas, que ayuden a los pueblos a ser hermanos en paz, custodios reconciliados de la casa común de la creación. Gracias

[01378-ES.02] [Texto original: Italiano]

 

Traduzione in lingua portoghese

Queridos irmãos e irmãs!

Saúdo e agradeço a todos vós, Líderes de Igrejas, Autoridades políticas e Representantes das grandes religiões mundiais. É bom estarmos aqui juntos, trazendo no coração – e ao coração de Roma – os rostos das pessoas que temos ao nosso cuidado. E sobretudo é importante rezar e partilhar, de forma clara e sincera, as preocupações com o presente e o futuro do nosso mundo. Nestes dias, reuniram-se muitos crentes, mostrando como a oração é aquela força humilde que dá paz e desarma os corações do ódio. Em vários encontros, foi expressa também a convicção de que é preciso mudar as relações entre os povos e as relações dos povos com a terra. Pois aqui hoje, juntos, sonhamos povos irmãos e uma terra futura.

Povos irmãos: dizemo-lo, tendo como cenário o Coliseu. Este anfiteatro, num passado distante, foi lugar de brutais divertimentos de multidões: lutas entre homens ou entre homens e feras. Um espetáculo fratricida, um jogo mortal feito com a vida de muitos. Mas ainda hoje se assiste à violência e à guerra, ao irmão que mata o irmão como se fosse um jogo visto à distância, indiferentes e convencidos de que nunca nos vai tocar a nós. O sofrimento dos outros não nos faz apressar o passo; nem sequer o dos mortos, dos migrantes, das crianças reféns das guerras, privadas duma infância despreocupada a brincar. Mas não se pode brincar com a vida dos povos e das crianças. Não se pode ficar indiferente. Pelo contrário, é preciso criar empatia e reconhecer a humanidade comum a que pertencemos, com as suas canseiras, lutas e fragilidades. É preciso pensar: «Tudo isto me toca! Poderia ter acontecido também aqui, também a mim». Hoje, na sociedade globalizada que faz espetáculo do sofrimento mas sem o sentir, precisamos de «construir compaixão»: sentir o outro, assumir os seus sofrimentos, reconhecer o seu rosto. Esta é a verdadeira coragem, a coragem da compaixão, que faz ultrapassar o não te rales, o não me diz respeito, o não é da minha competência. Para não deixar que a vida dos povos se reduza a um jogo entre poderosos. Não; a vida dos povos não é uma brincadeira; é um assunto sério e diz respeito a todos; não se pode deixar à mercê dos interesses de alguns ou prisioneira de paixões sectárias e nacionalistas.

É a guerra que brinca com a vida humana. É a violência, é o trágico e sempre prolífico comércio das armas, que muitas vezes se move na sombra, alimentado por subterrâneos rios de dinheiro. Quero reiterar que «a guerra é um fracasso da política e da humanidade, uma rendição vergonhosa, uma derrota perante as forças do mal» (Francisco, Carta enc. Fratelli tutti, 261). Devemos deixar de a aceitar com aquele olhar neutral do noticiário e esforçar-nos por vê-la com os olhos dos povos. Há dois anos, em Abu Dhabi, juntamente com um querido irmão aqui presente, o Grande Imã de Al-Azhar, invocamos a fraternidade humana em prol da paz, falando «em nome dos povos que perderam a segurança, a paz e a convivência comum, tornando-se vítimas das destruições, das ruínas e das guerras» (Documento sobre A fraternidade humana em prol da paz mundial e da convivência comum, 04/II/2019). Como representantes das religiões, somos chamados a não ceder às seduções do poder mundano, mas a fazer-nos voz de quem não têm voz, apoio dos atribulados, defensores dos oprimidos, das vítimas do ódio, descartadas pelos homens na terra, mas preciosas aos olhos d’Aquele que habita nos Céus. Hoje têm medo, porque em demasiadas partes do mundo, em vez de prevalecer o diálogo e a cooperação, ganha força o confronto militar como instrumento decisivo para se impor.

Por isso gostaria de renovar aqui a exortação que fiz em Abu Dhabi a propósito da tarefa inadiável que cabe às religiões «neste delicado momento histórico: desmilitarizar o coração do homem» (Discurso no Encontro Inter-religioso, 04/II/2019). É nossa responsabilidade, queridos irmãos e irmãs crentes, ajudar a erradicar dos corações o ódio e condenar toda a forma de violência. Com palavras claras, encorajemos a isto: depor as armas, reduzir as despesas militares para prover às carências humanitárias, converter os instrumentos de morte em instrumentos de vida. Que não sejam palavras vazias, mas pedidos insistentes que elevamos pelo bem dos nossos irmãos, contra a guerra e a morte, em nome d’Aquele que é paz e vida. Menos armas e mais comida, menos hipocrisia e mais transparência, mais vacinas distribuídas equitativamente e menos armas vendidas imprudentemente. Os tempos pedem para nos fazermos voz de tantos crentes, pessoas simples e desarmadas, cansadas da violência, a fim de que quantos detêm a responsabilidade pelo bem comum se empenhem não só a condenar guerras e terrorismo, mas a criar as condições para que não irrompam.

Para que os povos sejam irmãos, deve subir incessante ao céu a oração e não pode deixar de ressoar na terra uma palavra: paz. São João Paulo II sonhou um caminho comum dos crentes que partisse daquele acontecimento rumo ao futuro. Queridos amigos, estamos neste caminho, cada um com a própria identidade religiosa, para cultivar a paz em nome de Deus, reconhecendo-nos irmãos. O Papa João Paulo indicou-nos esta tarefa, ao afirmar que «a paz aguarda os seus profetas. (…) A paz espera os seus construtores» (Discurso aos Representantes das Igrejas cristãs, das Comunidades Eclesiais e das Religiões Mundiais congregadas em Assis, 27/X/1986). A alguns pareceu otimismo vazio. Mas, com o passar dos anos, cresceu a partilha e amadureceram histórias de diálogo entre mundos religiosos diferentes, que inspiraram percursos de paz. Este é o verdadeiro caminho. Pode haver quem queira dividir e criar confrontos; nós acreditamos na importância de caminhar juntos pela paz: uns com os outros, nunca mais uns contra os outros.

Irmãos, irmãs, o nosso é um caminho que nos pede constantemente para purificar o coração. Francisco de Assis, ao mesmo tempo que pedia aos seus para verem, nos outros, «irmãos porque criados pelo único Criador», fazia esta recomendação: «A paz que proclamais com a vossa boca, tende-a ainda mais abundante nos vossos corações» (Legenda dos três companheiros, XIV, 5: Fontes Franciscanas, 1469). A paz não é, primariamente, um acordo a negociar nem um valor de que falar, mas principalmente uma atitude do coração. Nasce da justiça, cresce na fraternidade, vive de gratuidade. Impele-nos a «servir a verdade e declarar, sem medos nem fingimentos, o mal quando é mal, até e especialmente quando é cometido por quem se professa seguidor do nosso próprio credo» (Mensagem aos participantes no G20 Interfaith Forum 2021, 07/IX/2021). Em nome da paz, por favor, desativemos em cada tradição religiosa a tentação fundamentalista, toda e qualquer insinuação a fazer do irmão um inimigo. Enquanto muitos se ocupam com antagonismos, com fações e jogos partidários, nós façamos ressoar aquele dito do Imã Ali: «As pessoas são de dois tipos: ou teus irmãos na fé ou teus semelhantes em humanidade». Não há outra subdivisão.

Povos irmãos, para sonhar a paz. Mas, hoje, o sonho da paz conjuga-se com outro: o sonho da terra futura. É o compromisso de cuidar da criação, da casa comum que deixaremos aos jovens. As religiões, cultivando uma atitude contemplativa e não predatória, são chamadas a ouvir os gemidos da mãe-terra, que sofre violência. O querido irmão, Patriarca Bartolomeu, aqui presente ajudou-nos a maturar a consciência de que «um crime contra a natureza é um crime contra nós mesmos e um pecado contra Deus» (Discurso em Santa Bárbara, 08/XI/1997, citado na Carta enc. Laudato si’, 8).

Volto a dizer aquilo que a pandemia nos fez ver, ou seja, que não podemos continuar sempre sãos num mundo doente. Nos últimos tempos, muitos adoeceram de esquecimento, esquecimento de Deus e dos irmãos. Isto levou a uma corrida desenfreada à autossuficiência individual, que descarrilou numa ganância insaciável, cujas cicatrizes trá-las a terra que pisamos, enquanto o ar que respiramos está cheio de substâncias tóxicas e pobre de solidariedade. Assim, derramamos sobre a criação a poluição do nosso coração. Neste clima deteriorado, consola pensar que as mesmas preocupações e o mesmo compromisso estejam amadurecendo e tornando-se património comum de muitas religiões. A oração e a ação podem endireitar o curso da história. Coragem, irmãos e irmãs! Temos diante dos nossos olhos uma visão, que é a mesma de muitos jovens e homens de boa vontade: a terra como casa comum, habitada por povos irmãos. Sim, sonhamos religiões irmãs e povos irmãos! Religiões irmãs, que ajudem povos a ser irmãos em paz, guardiões reconciliados da casa comum que é a criação. Obrigado!

[01378-PO.02] [Texto original: Italiano]

 

Traduzione in lingua polacca

Drodzy bracia i siostry!

       Pozdrawiam i dziękuję wam wszystkim, zwierzchnikom Kościołów, władzom politycznym i przedstawicielom wielkich religii świata. Dobrze być tu razem, w sercu Rzymu, nosząc w sercach oblicza osób, o które się troszczymy. Szczególnie ważna jest modlitwa i dzielenie się, w sposób jasny i żarliwy, naszymi troskami o teraźniejszość i przyszłość naszego świata. Wiele osób wierzących przybyło w tych dniach ukazując, że modlitwa jest ową pokorną siłą, która obdarza pokojem i rozbraja serca z nienawiści. Podczas różnych spotkań wyrażano również przekonanie, że musimy zmienić relacje między narodami, a także między narodami a ziemią. Dzisiaj w tym miejscu marzymy bowiem o braterstwie narodów i o przyszłej ziemi.

       Braterstwo narodów. Mówimy to mając za plecami Koloseum. W odległej przeszłości ten amfiteatr był miejscem brutalnych masowych rozrywek: walk między ludźmi, lub między ludźmi a zwierzętami. Bratobójcze widowisko, śmiertelna gra, w której stawką jest życie wielu osób. Ale także dzisiaj widzimy przemoc i wojnę, brata, który zabija brata, jakby to była gra, którą oglądamy z daleka, obojętni i przekonani, że nas to nigdy nie dotknie. Cierpienie innych nie ponagla. Nie ponagla też cierpienie  poległych, migrantów, dzieci usidlonych w wojnach, pozbawionych beztroski dzieciństwa spędzonego na zabawie. Ale nie można igrać z życiem ludów i dzieci. Nie możemy pozostać obojętnymi. Wręcz przeciwnie, trzeba się wczuć i uznać wspólne człowieczeństwo, do którego należymy, z jego trudami, zmaganiami i słabościami. Trzeba pomyśleć: „To wszystko mnie dotyczy, to mogło się zdarzyć także tutaj, także i mnie". Dziś, w zglobalizowanym społeczeństwie, które czyni widowisko z cierpienia, ale nie współczuje, musimy „budować współczucie”. Wczuć się w drugą osobę, uczynić jej cierpienie naszym własnym, rozpoznać jej oblicze. To jest prawdziwa odwaga, odwaga współczucia, która powoduje wyjście poza spokojne życie, poza „to nie moja sprawa” i „to do mnie nie należy”, by nie pozwolić, żeby życie narodów zostało sprowadzone do gry między mocarstwami. Nie, życie narodów nie jest zabawą, jest na serio i dotyczy wszystkich. Nie można go pozostawić na łasce interesów nielicznych, lub na łasce sekciarskich i nacjonalistycznych namiętności.

       Wojna kpi sobie z ludzkiego życia. To przemoc, to tragiczny i zawsze przynoszący zyski handel bronią, dokonuje się w cieniu, napędzany tajnymi strumieniami pieniędzy. Chcę raz jeszcze stwierdzić, że „wojna jest porażką polityki i ludzkości, haniebną kapitulacją, porażką w obliczu sił zła” (Enc. Fratelli tutti, 261). Musimy zaprzestać akceptowania go ze zdystansowanym spojrzeniem serwisów informacyjnych, a starać się postrzegać go oczami ludzi. Dwa lata temu, w Abu Zabi, z obecnym tu naszym drogim bratem, Wielkim Imamem Al Azhar, przywołaliśmy ludzkie braterstwo na rzecz pokoju, przemawiając „w imię ludów, które utraciły swe bezpieczeństwo, pokój i możliwość życia razem, stając się ofiarami zniszczenia, katastrofy i wojny” (Dokument o ludzkim braterstwie dla pokoju światowego i współistnienia, 4 lutego 2019 r.). Jako przedstawiciele religii jesteśmy wezwani do nie ulegania pochlebstwom władzy światowej, lecz bycia głosem osób pozbawionych głosu, wsparciem dla cierpiących, obrońcami uciśnionych, ofiar nienawiści, odrzuconych przez ludzi na ziemi, ale cennych przed Tym, który mieszka w niebie. Dziś się lękają, ponieważ w zbyt wielu częściach świata zamiast dialogu i współpracy, zyskuje na sile konfrontacja militarna, jako decydujące narzędzie dominacji. 

       Chciałbym zatem powtórzyć wezwanie, które wygłosiłem w Abu Zabi, dotyczące zadania, którego nie można już dłużej odkładać na później, a które spoczywa na religiach „w tej delikatnej sytuacji historycznej […] trzeba zdemilitaryzować ludzkie serce” (Por. Przemówienie na spotkaniu międzyreligijnym, 4 lutego 2019 r.). Naszym obowiązkiem, drodzy wierzący bracia i siostry, jest pomoc w wykorzenieniu z serc nienawiści i potępienie wszelkich form przemocy. Zachęcamy do tego w jasnych słowach: do złożenia broni, do zmniejszenia wydatków na cele wojskowe, aby zaspokoić potrzeby humanitarne, do przekształcenia narzędzi śmierci w narzędzia życia. Niech to nie będą puste słowa, ale natarczywe żądania, które wznosimy dla dobra naszych braci, przeciwko wojnie i śmierci, w imię Tego, który jest pokojem i życiem. Mniej broni a więcej żywności, mniej hipokryzji a więcej przejrzystości, więcej szczepionek rozprowadzanych sprawiedliwie, a mniej lekkomyślnie sprzedawanej broni. Czasy wymagają od nas, abyśmy stali się głosem wielu ludzi wierzących, osób prostych i bezbronnych znużonych przemocą, aby ci, którzy ponoszą odpowiedzialność za dobro wspólne, zobowiązali się nie tylko do potępienia wojen i terroryzmu, ale także do stworzenia warunków, aby nie dochodziło do ich wybuchu.

       Aby narody były braćmi, modlitwa musi nieustannie wznosić się do nieba, a jedno słowo nie może przestać rozbrzmiewać na ziemi: pokój. Święty Jan Paweł II marzył o wspólnej drodze ludzi wierzących, rozciągającej się od tamtego wydarzenia w przyszłość. Drodzy przyjaciele, jesteśmy na tej drodze, każdy z własną tożsamością religijną, aby czynić pokój w imię Boga, uznając, że jesteśmy braćmi. Na to zadanie wskazał nam papież Jan Paweł II, mówiąc: „Pokój czeka na swoich proroków. Pokój czeka na swoich budowniczych” (Przemówienie do przedstawicieli Kościołów chrześcijańskich, Wspólnot kościelnych i religii świata zgromadzonych w Asyżu, 27 października 1986 r.). Niektórym zdawało się to pustym optymizmem. Jednak z biegiem lat wzrastało dzielenie się i dojrzewały historie dialogu między różnymi światami religijnymi, inspirując drogi do pokoju. To jest droga prawdziwa. Jeśli są tacy, którzy chcą dzielić i wywoływać konflikty, to my wierzymy w znaczenie wspólnego dążenia do pokoju: jedni z drugimi, nigdy więcej jedni przeciwko drugim.

       Bracia, siostry, nasza droga nieustannie wymaga od nas oczyszczania naszych serc. Franciszek z Asyżu, prosząc swoich, by postrzegali innych jako „braci, ponieważ zostali stworzeni przez jednego Stwórcę”, dał następujące zalecenie: „Jak głosicie pokój ustami, tak, a nawet jeszcze bardziej, miejcie go w sercach waszych” (Legenda Trzech Towarzyszy, XIV, 5). Pokój nie jest przede wszystkim porozumieniem, które trzeba wynegocjować, lub wartością, o której trzeba mówić, ale przede wszystkim postawą serca. Rodzi się ze sprawiedliwości, rozwija w braterstwie, żyje bezinteresownością. Pobudza, by „służyć prawdzie, i bez lęku i obłudy oznajmiać zło, gdy jest ono złem, nawet, a zwłaszcza wtedy, gdy popełniają je ci, którzy deklarują się jako wyznawcy tej samej wiary, co my” (Przesłanie do Uczestników G20 Interfaith Forum 2021, 7 września 2021). Proszę, w imię pokoju, rozbrójmy w każdej tradycji religijnej pokusę fundamentalistyczną, wszelkie szkalowanie, dążące do uczynienia z naszego brata nieprzyjaciela. Podczas gdy tak wielu ogarniętych jest antagonizmami, frakcjami, tworzeniem stronnictw, sprawmy, aby rozbrzmiewało powiedzenie Imama Alego: „Ludzie są dwojakiego rodzaju: albo twoi bracia w wierze, albo twoi bliźni w człowieczeństwie”. Nie ma innego podziału.

       Bądźmy bratnimi ludami, aby marzyć o pokoju. Ale dzisiejsze marzenie o pokoju łączy się z innym, marzeniem o przyszłej ziemi. Jest to zaangażowanie na rzecz troski o stworzenie, o wspólny dom, który pozostawimy młodym. Religie, pielęgnując postawę kontemplacyjną, a nie drapieżną, są powołane do wsłuchiwania się w jęki matki ziemi, doznającej przemocy. Nasz drogi brat, tu obecny Patriarcha Bartłomiej, pomógł nam w dojrzewaniu świadomości, że „zbrodnia przeciw naturze jest zbrodnią przeciw nam samym i grzechem przeciw Bogu” (Przemówienie w Santa Barbara, 8 listopada 1997, cytowane w Enc. Laudato si', 8).

       Podkreślam to, co ukazała nam pandemia, a mianowicie, że nie możemy być stale zdrowi w chorym świecie. W ostatnich czasach wielu zachorowało na zapomnienie, zapomnienie o Bogu i o swoich braciach. Doprowadziło to do nieokiełznanej pogoni za  indywidualną samowystarczalnością, wypaczonej przez nienasyconą chciwość, czego blizny nosi ziemia, po której stąpamy. Natomiast powietrze, jakim oddychamy, jest pełne substancji toksycznych, ale ubogie w solidarność. W ten sposób przelaliśmy zanieczyszczenia z naszych serc na stworzenie. W tym pogarszającym się klimacie pocieszająca jest myśl, że te same troski i zaangażowanie dojrzewają i stają się wspólnym dziedzictwem wielu religii. Modlitwa i działanie mogą zmienić bieg dziejów. Odwagi, bracia i siostry! Mamy przed sobą wizję, która jest tożsama z wizją wielu młodych i ludzi dobrej woli: ziemia jako wspólny dom, zamieszkany przez bratnie narody. Tak, marzymy o siostrzanych religiach i bratnich narodach! Religiach siostrzanych, które pomagają narodom być braćmi w pokoju, pojednanymi opiekunami wspólnego domu stworzenia. Dziękuję.

[01378-PL.02] [Testo originale: Italiano]

 

Traduzione in lingua araba

كلمة قداسة البابا فرنسيس

في الحفل الختامي للقاء الأديان

الذي نظمته جماعة سانت إيجيديو

”شعوب متآخية، أرض المستقبل. ديانات وثقافات في حوار“

7 تشرين الأوّل/أكتوبر 2021

ساحة مدرج الكولوسيوم

الإخوة والأخوات الأعزّاء!

أحييكم وأشكركم جميعًا، رؤساء الكنائس والسّلطات السياسيّة وممثّلي الأديان العالميّة الكبرى. جميلٌ أن نكون هنا معًا، ونحمل في قلوبنا وفي قلب روما وجوه الأشخاص الذين نعتني بهم. ومهمّ، قبل كلّ شيء، أن نصلّي ونشارك، بطريقة واضحة وصادقة، في اهتمامات حاضر ومستقبل عالمنا. اجتمع في هذه الأيام العديد من المؤمنين، وأعلنوا أنّ الصّلاة هي القوّة المتواضعة التي تمنح السّلام وتنزع الكراهية من القلوب. وفي لقاءات مختلفة، عبّر المجتمعون عن قناعتهم بضرورة تغيير العلاقات بين الشّعوب، وعلاقات الشّعوب مع الأرض. لأنّنا نحلَم، هنا اليوم معًا، بشعوبٍ متآخية وبأرض المستقبل.

شعوب متآخية. نقول هذا ومدرج الكولوسيوم خلفنا. كان هذا المدرّج، في الماضي البعيد، مكانًا لترفيه الجماعات بطرق متوحشة: كانت معارك بين رجال ورجال، وبين رجال وحيوانات. كان مشهدًا لقتل الإخوة، ولعبة الموت مادتها حياة الكثيرين. ولكن، حتّى اليوم، نحن نشهد العنف والحرب، حيث يقتل الأخ أخاه، وكأنّها لعبة ننظر إليها من بعيد، غيرَ مبالين، ومقتنعين بأنّها لن تطالنا أبدًا. وألَمُ الآخرين لا يستعجلنا. ولا حتّى ألم الذين سقطوا، والمهجّرين، والأطفال المحاصرين في الحروب، والمحرومين من الطّفولة الهانئة وألعابها. لذا، لا يمكن أن نلعب بحياة الشّعوب والأطفال. ولا يمكننا أن نبقى غير مبالين. على العكس، من الضّروري أن نتعاطف ونعترف بالإنسانيّة المشتركة التي ننتمي إليها، بما فيها من متاعب، وصراعات، وضعف. ونفكر: ”كلّ هذا يهمني، كان يمكن أن يحدث هنا أيضًا، لي أيضًا“. في مجتمع مُعَولَم، يجعل الألم ”مشهدًا“ للفرجة، لكن لا للشفقة، نحن بحاجة اليوم إلى ”بناء الرّحمة“. إلى الشّعور بالآخر، وأن نجعل ألمَه ألمَنا، وأن نتعرّف على وجهه. هذه هي الشّجاعة الحقيقيّة، شجاعة الرّحمة، التي تجعلنا نتخطّى الحياة الهادئة، ونتخطّى موقف ”هذا لا يعنيني ولا يخصّني“، حتّى لا تتحوّل حياة الشّعوب إلى لعبة بين الأقوياء. لا. حياة الشّعوب ليست لعبة، إنّها مسألة جديّة وتخصّ الجميع. لا يمكن أن نتركها تحت رحمة مصالح البعض أو فريسة لأهواء طائفيّة وقوميّة.

إنّها الحرب التي تسخر من حياة الإنسان. إنّه العنف وإنّها تجارة الأسلحة المأساويّة والذي يزداد إنتاجها، التي تتحرّك غالبًا في الظلّ، وتغذّيها أنهار خفية سُفلِيّة من المال. أريد أن أكرّر أنّ "الحرب هي فشل السياسة وفشل الإنسانيّة، وهي استسلامٌ مُخجل، وهزيمة أمام قوى الشرّ" (الرّسالة العامّة البابوية،Fratelli tutti (كلّنا أخوة)، 261). يجب أن نتوقف عن النظر إليها غير مبالين وكأنّها أخبار فقط نسمعها، بل لنجتهد ولننظر إليها ونراها من خلال عيون الشعوب. قبل عامين، في أبو ظبي، ومع أخي العزيز الحاضر هنا، فضيلة الإمام الأكبر، إمام الأزهر، دعَونا إلى الأخوّة الإنسانيّة من أجل السّلام، وتكلّمنا "باسمِ الشُّعُوبِ التي فقَدَتِ الأَمْنَ والسَّلامَ والتَّعايُشَ، وحَلَّ بها الدَّمارُ والخَرَابُ والتَّناحُر" (وثيقة الأخوة الإنسانية من أجل السلام العالمي والعيش المشترك، 4 شباط/فبراير 2019). نحن، الممثلين للأديان، مدعوون إلى ألّا نستسلم لإغراءات السّلطات الأرضيّة، ولنكون صوتًا لمن لا صوت له، وسندًا للمتألمين، ومحامين عن المظلومين، وضحايا الكراهية، والذين يرفضهم الناس على الأرض، ولكنّهم عزيزون أمام ساكن السّموات. اليوم هم خائفون، لأنّه في أنحاء كثيرة من العالم، بدلاً من أن يسود الحوار والتعاون، تستعيد المواجهة العسكرية حِدَّتها لتكون أداة حاسمة ليفرض الإنسان نفسه على غيره.

لذلك أودّ أن أعبّر مرة أخرى عن الإرشاد الذي قدمته في أبو ظبي في الواجب الذي لا يمكن تأجيله والذي يخص الأديان "في هذه المرحلة التاريخيّة الدقيقة: أن نجرّد قلب الإنسان من السّلاح" (كلمة في لقاء الحوار بين الأديان، 4 شباط / فبراير 2019). إنّها مسؤوليتنا، أيّها الإخوة والأخوات المؤمنون، أن نساعد في استئصال الكراهية من القلوب والتنديد بجميع أشكال العنف. بكلمات واضحة لنشجع على هذا: إلقاء السّلاح، وتقليص الإنفاق العسكري لتوفير الاحتياجات الإنسانيّة، وتحويل أدوات الموت إلى أدوات حياة. يجب ألّا تكون هذه كلمات فارغة، بل طلبات ملحة نرفعها لخير إخوتنا، وضد الحرب والموت، باسم من هو السّلام والحياة. أسلحة أقل وطعام أكثر، ونفاق أقل ومزيد من الشفافيّة، ومزيد من اللقاحات الموزعة بشكل عادل، وتقليص الأسلحة المباعة بطريقة عبثية. هذا الزمن يطلب منا أن نكون صوت العديد من المؤمنين البسطاء العُزّل الذين سئموا العنف، حتى يلتزم الذين في يدهم مسؤوليّة الخير العام، ليس فقط بإدانة الحروب والإرهاب، بل بخلق الظروف المناسبة حتى لا تشتعل.

حتى تكون الشعوب إخوة، يجب أن تصعد الصّلاة باستمرار إلى السّماء، ويجب ألّا يكف صدى كلمة واحدة عن التردّد على الأرض: السّلام. كان القديس يوحنا بولس الثاني يحلم بمسيرة مشتركة للمؤمنين، تنطلق من ذلك الحدث نحو المستقبل. أيّها الأصدقاء الأعزّاء، نحن اليوم في هذه المسيرة، لكلّ منا هويته الدينيّة الخاصة، لنزرع السّلام باسم الله، وللاعتراف بأنفسنا إخوةً. أشار البابا يوحنا بولس إلينا بهذا الواجب وقال: "السّلام ينتظر أنبياءه. السّلام ينتظر صانعيه" (كلمة أمام ممثلي الكنائس المسيحية والجماعات الكنسية وأديان العالم المجتمعين في أسيزي، 27 تشرين الأوّل/أكتوبر 1986). بدا ذلك التفاؤل للبعض فارغًا. ولكن على مرّ السّنين نمت المشاركة ونضجت قصص الحوار في عالم الأديان المختلفة، وألهمت مسارات السّلام. هذا هو الطريق الصحيح. قد يُوجد من يريد الانقسام وخَلق الصّدامات، أمّا نحن فنؤمن بأهمية أن نسير معًا من أجل السّلام: بعضُنا مع بعض، وليس بعضُنا ضد بعض، أبدًا.

أيّها الإخوة والأخوات، مسيرتنا تتطلب باستمرار أن ننقي قلوبنا. فرنسيس الأسيزي، الذي كان يطلب من أتباعه أن يروا في الآخرين "إخوة، لأنّهم خُلقوا جميعًا من الخالق الواحد"، كان يوصي بهذه الوصية: "السّلام الذي تعلنوه بأفواهكم، اجعلوه وافرًا في قلوبكم" (قصة الرفقاء الثلاثة، XIV، 5: FF 1469). السّلام ليس قبل كلّ شيء اتفاقًا يتم التفاوض عليه، أو قيمةٌ وموضوع حديث، لكنّه بشكل رئيسي موقف في القلب. إنّه يولد من العدل، وينمو في الأخوّة، ويعيش من المجانية. ويحُثُنا على "أن نخدم الحقيقة وعلى القول، بدون خوف ولا أعذار، إنّ الشّر شر متى وقع، وأيضًا وخصوصًا عندما يقول صانع الشّر إنّه من أتباع ديانتنا" (رسالة للمشاركين في منتدى الأديان 2021 G20، 7 أيلول/سبتمبر 2021). باسم السّلام، من فضلكم، لننزع في كلّ تقليد ديني، فتيل تجربة الأصوليّة، وكلّ تلميح لجعل الأخ عدوًا. بينما يقع الكثيرون في المعارضات، والتحزبات، وألاعيب المخاصمات، نحن لنردّد قول الإمام علي: "الناس اثنان: إمّا أخوك في الدين، أو نظيرك في الخلق". ولن يكون انقسام آخر.

الشعوب المتآخية يحلمون بالسّلام. لكن حِلم السّلام اليوم يقترن بحِلم آخر، وهو حِلم أرض المستقبل. إنّه الالتزام برعاية الخليقة، من أجل البيت المشترك الذي سنتركه للشباب. الأديان، التي تُنَمِّي موقفَ تأمٌّل لا موقف استملاك، مدعوةٌ إلى الإصغاء إلى أنّات الأرض الأم التي تعاني من العنف. ساعدنا الأخ العزيز، البطريرك برثلماوس، الحاضر هنا، على أن ننمِّيَ وعينا بأنّ "كلّ جريمة ضد الطبيعة هي جريمة ضد أنفسنا وهي خطيئة ضد الله" (كلمة في عيد القديسة بربارة، 8 تشرين الثاني/نوفمبر 1997، اقتباس، في الرسالة العامة البابوية، كُنْ مُسَبَّحًا، 8).

أكرّر ما أظهرته لنا الجائحة، وهو أنّه لا يمكننا أن نبقى دائمًا معافين في عالم مريض. في الآونة الأخيرة، أصيب الكثيرون بمرض النسيان، نسيان الله والإخوة. وقد أدى ذلك إلى سباق جامح من أجل الاكتفاء الذاتي الفردي، خرج عن مساره في جشع لا يشبع، والأرض التي نسير عليها تحمل أثر جراحهم، والهواء الذي نتنفسه مليء بالمواد السامة وفقير في التضامن. وهكذا، فقد سكبنا تلوث قلوبنا على الخليقة. في هذا المناخ المترَدِّي، يعزينا أن نفكر في أنّ نفس الاهتمامات ونفس الالتزام آخذة بالنضوج لتكوِّن تراثًا مشتركًا لأديان كثيرة. الصّلاة والعمل يمكن أن يصحِّحا توجيه مسار التاريخ. تشجعوا أيّها الإخوة والأخوات! أمام أعيننا رؤية، هي رؤية شباب وأناس كثيرين ذوي إرادة صالحة: الأرض بيت مشترك تسكنه شعوب متآخية. نعم، لنحلم، ديانات أخوات، وشعوب إخوة! والديانات الأخوات تساعد الشعوب على أن يكونوا إخوة في سلام، وحراسًا متصالحين لبيت الخليقة المشترك. شكرًا.

[01378-AR.01] [Testo originale: Italiano]

[B0645-XX.02]