Incontro con i Rappresentanti del Consiglio Ecumenico delle Chiese e alcune Comunità Ebraiche dell’Ungheria nella Sala dei Marmi del Museo delle Belle Arti di Budapest
Discorso del Santo Padre
Traduzione in lingua francese
Traduzione in lingua inglese
Traduzione in lingua tedesca
Traduzione in lingua spagnola
Traduzione in lingua portoghese
Traduzione in lingua polacca
Traduzione in lingua araba
Questa mattina, nella Sala dei Marmi del Museo delle Belle Arti di Budapest, il Santo Padre Francesco ha incontrato i Rappresentanti del Consiglio Ecumenico delle Chiese e alcune Comunità Ebraiche dell’Ungheria.
Dopo gli indirizzi di saluto Saluto del Vescovo calvinista József Steinbach, Presidente del Consiglio Ecumenico delle Chiese d’Ungheria, e del Dr. Róbert Fröhlich, Rabbino Capo d’Ungheria, il Papa ha pronunciato il suo discorso. Al termine, dopo la recita del Salmo e la foto di gruppo, Papa Francesco si è recato in auto a Piazza degli Eroi per la Santa Messa a conclusione del 52° Congresso Eucaristico Internazionale.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Santo Padre ha pronunciato nel corso dell’incontro con i Rappresentanti del Consiglio Ecumenico delle Chiese e di alcune Comunità Ebraiche dell’Ungheria:
Discorso del Santo Padre
Cari fratelli!
Sono felice di incontrarvi. Le vostre parole, di cui vi ringrazio, e la vostra presenza l’uno accanto all’altro esprimono un grande desiderio di unità. Raccontano un cammino, a volte in salita, in passato faticoso, ma che affrontate con coraggio e buona volontà, sorreggendovi a vicenda sotto lo sguardo dell’Altissimo, il quale benedice i fratelli che vivono insieme (cfr Sal 133,1).
Vedo voi, fratelli nella fede in Cristo, e benedico il percorso di comunione che portate avanti. Mi hanno toccato le parole del fratello calvinista [vescovo József Steinbach, Presidente del Consiglio Ecumenico delle Chiese d’Ungheria], grazie. Con la mente mi dirigo all’abbazia di Pannonhalma, centro spirituale pulsante di questo Paese, dove tre mesi fa vi siete trovati per riflettere e per pregare insieme. Pregare insieme, gli uni per gli altri, e darci da fare insieme nella carità, gli uni con gli altri, per questo mondo che Dio tanto ama (cfr Gv 3,16): ecco la via più concreta verso la piena unità.
Vedo voi, fratelli nella fede di Abramo nostro padre, e grazie a Lei [rabbino Zoltán Radnóti], per quelle parole così profonde che mi hanno toccato il cuore. Apprezzo tanto l’impegno che avete testimoniato ad abbattere i muri di separazione del passato; ebrei e cristiani, desiderate vedere nell’altro non più un estraneo, ma un amico; non più un avversario, ma un fratello. Questo è il cambio di sguardo benedetto da Dio, la conversione che apre nuovi inizi, la purificazione che rinnova la vita. Le solenni feste di Rosh Hashanah e dello Yom Kippur, che cadono proprio in questo periodo e per le quali vi faccio i migliori auguri, sono occasioni di grazia per rinnovare l’adesione a questi inviti spirituali. Il Dio dei padri apre sempre strade nuove: come ha trasformato il deserto in una via verso la Terra Promessa, così desidera portarci dai deserti aridi dell’astio e dell’indifferenza alla sospirata patria della comunione.
Non è un caso che quanti nella Scrittura sono chiamati a seguire in modo speciale il Signore debbano sempre uscire, camminare, raggiungere terre inesplorate e spazi inediti. Pensiamo ad Abramo, che lasciò casa, parentela e patria. Chi segue Dio è chiamato a lasciare. A noi è chiesto di lasciare le incomprensioni del passato, le pretese di avere ragione e di dare torto agli altri, per metterci in cammino verso la sua promessa di pace, perché Dio ha sempre progetti di pace, mai di sventura (cfr Ger 29,11).
Vorrei riprendere con voi l’evocativa immagine del Ponte delle Catene, che collega le due parti di questa città: non le fonde insieme, ma le tiene unite. Così devono essere i legami tra di noi. Ogni volta che c’è stata la tentazione di assorbire l’altro non si è costruito, ma si è distrutto; così pure quando si è voluto ghettizzarlo, anziché integrarlo. Quante volte nella storia è accaduto! Dobbiamo vigilare, dobbiamo pregare perché non accada più. E impegnarci a promuovere insieme una educazione alla fraternità, così che i rigurgiti dell’odio che vogliono distruggerla non prevalgano. Penso alla minaccia dell’antisemitismo, che ancora serpeggia in Europa e altrove. È una miccia che va spenta. Ma il miglior modo per disinnescarla è lavorare in positivo insieme, è promuovere la fraternità. Il Ponte ci istruisce ancora: esso è sorretto da grandi catene, formate da tanti anelli. Siamo noi questi anelli e ogni anello è fondamentale: perciò non possiamo più vivere nel sospetto e nell’ignoranza, distanti e discordi.
Un ponte mette insieme due parti. In questo senso richiama il concetto, fondamentale nella Scrittura, di alleanza. Il Dio dell’alleanza ci chiede di non cedere alle logiche dell’isolamento e degli interessi di parte. Non desidera alleanze con qualcuno a discapito di altri, ma persone e comunità che siano ponti di comunione con tutti. In questo Paese voi, che rappresentate le religioni maggioritarie, avete il compito di favorire le condizioni perché la libertà religiosa sia rispettata e promossa per tutti. E avete un ruolo esemplare verso tutti: nessuno possa dire che dalle labbra degli uomini di Dio escono parole divisive, ma solo messaggi di apertura e di pace. In un mondo lacerato da troppi conflitti è questa la testimonianza migliore che deve offrire chi ha ricevuto la grazia di conoscere il Dio dell’alleanza e della pace.
Il Ponte delle Catene, oltre a essere il più noto, è anche il più antico di questa città. Molte generazioni l’hanno attraversato. Esso invita così a fare memoria del passato. Vi troveremo sofferenze e oscurità, incomprensioni e persecuzioni ma, andando alle radici, scopriremo un patrimonio spirituale comune più grande. È questo il tesoro che ci permette di costruire insieme un avvenire diverso. Penso anche con commozione a tante figure di amici di Dio che hanno irradiato la sua luce nelle notti del mondo. Cito, tra i tanti, un grande poeta di questo Paese, Miklós Radnóti, la cui brillante carriera fu spezzata dall’odio accecato di chi, solo perché era di origini ebraiche, prima gli impedì di insegnare e poi lo sottrasse alla famiglia.
Rinchiuso in un campo di concentramento, nell’abisso più oscuro e depravato dell’umanità, continuò a scrivere poesie, fino alla morte. Il suo Taccuino di Bor è l’unica raccolta poetica sopravvissuta alla Shoah: testimonia la forza di credere al calore dell’amore nel gelo del lager e di illuminare il buio dell’odio con la luce della fede. L’autore, soffocato dalle catene che gli stringevano l’anima, trovò in una libertà superiore il coraggio di scrivere: «Prigioniero, ho preso la misura a ogni speranza» (Taccuino di Bor, Lettera alla moglie). E pose una domanda, che risuona anche per noi oggi: «E tu, come vivi? Trova eco la tua voce in questo tempo?» (Taccuino di Bor, Prima Ecloga). Le nostre voci, cari fratelli, non possono che farsi eco di quella Parola che il Cielo ci ha donato, eco di speranza e di pace. E se anche non veniamo ascoltati o siamo incompresi, non smentiamo mai con i fatti la Rivelazione di cui siamo testimoni.
Alla fine, nella solitudine desolata del campo di concentramento, mentre si rendeva conto che la vita stava appassendo, Radnóti scrisse: «Sono anch’io una radice adesso… Ero fiore, sono diventato radice» (Taccuino di Bor, Radice). Anche noi siamo chiamati a diventare radici. Spesso cerchiamo i frutti, i risultati, l’affermazione. Ma Colui che fa fruttare la sua Parola in terra con la stessa dolcezza della pioggia che fa germogliare il campo (cfr Is 55,10), ci ricorda che i nostri cammini di fede sono semi: semi che si trasformano in radici sotterranee, radici che alimentano la memoria e fanno germogliare l’avvenire. È questo che il Dio dei nostri padri ci chiede, perché – come scriveva un altro poeta – «Dio aspetta da un’altra parte, aspetta proprio al fondo di tutto. Giù. Dove ci sono le radici» (R.M. Rilke, Wladimir, il pittore di nuvole). Si giunge in alto solo se radicati in profondità. Radicati nell’ascolto dell’Altissimo e degli altri aiuteremo i nostri contemporanei ad accogliersi e amarsi. Soltanto se saremo radici di pace e germogli di unità saremo credibili agli occhi del mondo, che guarda a noi, con la nostalgia che sbocci la speranza. Grazie, e buon cammino insieme, grazie! Scusate se ho parlato seduto, ma non ho 15 anni. Grazie.
[01187-IT.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
Chers frères !
Je suis heureux de vous rencontrer. Vos paroles, pour lesquels je vous remercie, ainsi que votre présence l’un à côté de l’autre, expriment un grand désir d’unité. Elles disent un cheminement, parfois en montée, pénible par le passé, mais que vous affrontez avec courage et bonne volonté, en vous soutenant mutuellement sous le regard du Très-Haut qui bénit les frères vivant ensemble (cf. Ps 133, 1).
Je vous vois comme des frères dans la foi au Christ, et je bénis le parcours de communion que vous poursuivez. Les paroles du frère calviniste [évêque József Steinbach, Président du Conseil Œcuménique des Eglises de Hongrie] m’ont touché, merci. Je me rends par la pensée dans l’Abbaye de Pannonhalma, centre spirituel vivant de ce pays où vous vous êtes retrouvés, il y a trois mois, pour réfléchir et prier ensemble. Prier ensemble, les uns pour les autres, et œuvrer ensemble dans la charité, les uns avec les autres, pour ce monde que Dieu aime tant (cf. Jn 3, 16): voilà la voie la plus concrète vers la pleine unité.
Je vous vois comme des frères dans la foi d’Abraham notre père, et merci à vous [rabbin Zoltán Radnóti], pour ces paroles si profondes qui m’ont touché le cœur. J’apprécie beaucoup l’engagement dont vous avez fait preuve afin d’abattre les murs de séparation du passé. Juifs et chrétiens, vous désirez voir dans l’autre non plus un étranger, mais un ami; non plus un adversaire, mais un frère. C’est le changement de regard béni par Dieu, la conversion qui ouvre de nouveaux départs, la purification qui renouvelle la vie. Les fêtes solennelles de Rosh Hashanah et du Yom Kippour, qui tombent justement en cette période-ci, et pour lesquelles je vous présente mes meilleurs vœux, sont des occasions de grâce pour renouveler l’adhésion à ces invitations spirituelles. Le Dieu de nos pères ouvre toujours de nouvelles voies: de même qu’il a transformé le désert en une voie vers la Terre Promise, de même il désire nous conduire des déserts arides de la haine et de l’indifférence vers la patrie tant désirée de la communion.
Ce n’est pas un hasard si, dans l’Ecriture, ceux qui sont appelés à suivre de manière spéciale le Seigneur doivent toujours sortir, marcher, rejoindre des terres inexplorées et des espaces inédits. Pensons à Abraham qui a laissé maison, parenté et patrie. Celui qui suit Dieu est appelé à quitter. Il nous est demandé de laisser les incompréhensions du passé, les prétentions d’avoir raison et de donner tort aux autres, pour nous mettre en chemin vers sa promesse de paix, car Dieu a toujours des projets de paix, jamais de malheur. (cf. Jr 29, 11).
Je voudrais reprendre avec vous l’image évocatrice du Pont des Chaînes, qui relie les deux parties de cette ville: il ne fusionne pas celles-ci mais les maintient unies. C’est ainsi que doivent être les liens entre nous. Chaque fois qu’il y a eu la tentation d’absorber l’autre, on n’a pas construit mais on a détruit. De même lorsqu’on a voulu le mettre dans un ghetto, au lieu de l’intégrer. Que de fois c’est arrivé dans l’histoire! Nous devons veiller, nous devons prier pour que ça ne se reproduise plus. Et nous engager à promouvoir ensemble une éducation à la fraternité, afin que les relents de la haine qui veulent la détruire ne prévalent pas. Je pense à la menace de l’antisémitisme qui circule encore en Europe et ailleurs. C’est une mèche qui doit être éteinte. Mais le meilleur moyen de la désamorcer c’est de travailler ensemble de manière positive, c’est de promouvoir la fraternité. Le Pont nous instruit encore: il est soutenu par de grandes chaînes, formées de nombreux anneaux. Nous sommes ces anneaux et chaque anneau est fondamental: c’est pourquoi nous ne pouvons plus vivre dans la suspicion et dans l’ignorance, distants et discordants.
Un pont met ensemble deux parties. Dans ce sens, il fait appel au concept, fondamental dans l’Ecriture, d’alliance. Le Dieu de l’alliance nous demande de ne pas céder aux logiques d’isolement et d’intérêts partisans. Il ne veut pas d’alliances avec l’un au détriment des autres, mais des personnes et des communautés qui soient des ponts de communion avec tout le monde. Dans ce pays, vous qui représentez les religions majoritaires, vous avez le devoir de favoriser les conditions pour que la liberté religieuse soit respectée et promue par tous. Et vous avez un rôle exemplaire envers chacun: que personne ne puisse dire que des paroles qui divisent sortent de la bouche d’hommes de Dieu, mais seulement des messages d’ouverture et de paix. Dans un monde déchiré par de nombreux conflits, c’est le meilleur témoignage que doivent offrir ceux qui ont reçu la grâce de connaître le Dieu de l’alliance et de la paix.
Le Pont des Chaînes, outre le fait d’être le plus célèbre, est aussi le plus ancien de cette ville. Plusieurs générations l’ont traversé. Il nous invite ainsi à faire mémoire du passé. Nous y trouverons souffrances et obscurités, incompréhensions et persécutions mais, en allant aux racines, nous découvrirons un plus grand patrimoine spirituel commun. C’est là le trésor qui nous permet de construire ensemble un avenir différent. Je pense aussi avec émotion à de nombreuses figures d’amis de Dieu qui ont irradié sa lumière dans les nuits du monde. Je cite, entre autres, un grand poète de ce pays, Miklós Radnóti, dont la carrière brillante a été brisée par la haine aveugle de ceux qui, seulement parce qu’il était d’origine juive, lui ont d’abord interdit d’enseigner et l’ont ensuite enlevé à sa famille.
Enfermé dans un camp de concentration, l’abîme le plus obscure et dépravé de l’humanité, il a continué à écrire des poésies jusqu’à sa mort. Son Carnet de Bor est l’unique recueil poétique qui a survécu à la Shoah: il témoigne de la force de croire à la chaleur de l’amour dans le froid du lager et d’illuminer l’obscurité de la haine avec la lumière de la foi. L’auteur, étouffé par les chaînes qui lui oppressaient l’âme, a trouvé dans une liberté supérieure le courage d’écrire: «Captif, de tout espoir j’ai appris la mesure » (Carnet de Bor, Lettre à sa femme). Et il a posé une question qui résonne encore pour nous aujourd’hui: «Et toi comment vis-tu? Trouve-t-elle écho, ta voix, dans cette époque ?» (Carnet de Bor, Première Eglogue). Nos voix, chers frères, ne peuvent que se faire l’écho de cette Parole que le Ciel nous a donnée, écho d’espérance et de paix. Et même si nous ne sommes pas écoutés, ou si nous sommes incompris, ne démentons jamais par les faits la Révélation dont nous sommes témoins.
A la fin, dans la solitude désolée du camp de concentration, alors qu’il se rendait compte que sa s’en allait, Radnóti a écrit: «Moi-même je suis racine à présent… J’étais une fleur, je suis devenu racine» (Carnet de Bor, Racine). Nous sommes appelés, nous aussi, à devenir des racines. Nous cherchons souvent les fruits, les résultats, l’affirmation. Mais celui qui fait fructifier sa Parole en terre, avec la même douceur que la pluie qui fait germer le champ (cf. Is 55, 10), nous rappelle que nos chemins de foi sont semences: des semences qui se transforment en racines souterraines, des racines qui alimentent la mémoire et font germer l’avenir. C’est ce que nous demande le Dieu de nos pères, car – comme l’écrivait un autre poète – «Dieu attend ailleurs, il attend tapi au fond de toute chose. En bas. Enfoui profondément. Là où sont les racines» (R.M. Rilke, Wladmir, le peintre des nuages). On rejoint la hauteur seulement si l’on est enraciné en profondeur. Enracinés dans l’écoute du Très-Haut et des autres, nous aiderons nos contemporains à s’accueillir et à s’aimer. C’est seulement lorsque nous serons des racines de paix et des germes d’unité que nous serons crédibles aux yeux du monde qui nous regarde, avec la nostalgie que fleurisse l’espérance. Merci et bon cheminement ensemble, merci! Désolé si j’ai parlé assis, mais je n’ai pas 15 ans. Merci.
[01187-FR.02] [Texte original: Italien]
Traduzione in lingua inglese
Dear Brothers,
I am happy that we are able to meet and I thank you for your kind words and for your presence today, side by side. These are signs of a great desire for unity. They tell us of a journey, often demanding and in past times not always easy, that you have undertaken with courage and good will, supporting one another under the watchful eye of the Most High, who blesses brothers and sisters who dwell in unity (cf. Ps 133:1).
As I look out at you, my brothers and fellow Christians, I bless your continuing journey towards full communion. I was moved by the words of our Calvinist brother – thank you. I think of the Abbey of Pannonhalma, the pulsing spiritual heart of this country, where three months ago you met to reflect and pray together. To pray together for one another and to cooperate in charity with one another for the sake of this world which God loves so much (cf. Jn 3:16): this is the most concrete route to full unity.
In greeting you, my dear brothers in the faith of our father Abraham, I am grateful for those very profound words that touched my heart. I express my appreciation for your efforts to break down the walls that separated us in the past. Jews and Christians alike, you strive to view one another no longer as strangers but as friends, no longer as foes but as brothers and sisters. This change of outlook is blessed by God; it is a conversion that makes possible new beginnings, a purification that brings new life. These days are marked by the solemn celebrations of Rosh Hashanah and Yom Kippur; I offer my best wishes for these feasts, which are moments of grace and a summons to spiritual renewal. The God of our fathers always points us in new directions. Just as he transformed the desert into a highway to the Promised Land, so he wishes to bring us out of the barren deserts of bitterness and indifference, to that land of fellowship for which we long.
It is not by chance that, in the Scriptures, those especially called to follow the Lord must always set out on a journey towards unexplored lands and unfamiliar places. We think of Abraham, who had to leave behind his home, family and native land. Those who follow God are called to leave certain things behind. We too are being asked to leave behind our past misunderstandings, our claims to being right while others are wrong, and to take the path that leads towards God’s promise of peace. For his plans are always for peace, and never for misfortune (cf. Jer 29:11).
Here I would like to reflect with you on the evocative image of the Chain Bridge connecting the two halves of this city. The bridge does not fuse those two parts together, but rather holds them together. That is how it should be with us too. Whenever we were tempted to absorb the other, we were tearing down instead of building up. Or when we tried to ghettoize others instead of including them. How often has this happened throughout history! We must be vigilant and must pray that it never happens again. And commit ourselves to fostering together an education in fraternity, so that the outbursts of hatred that would destroy that fraternity will never prevail. I think of the threat of antisemitism still lurking in Europe and elsewhere. This is a fuse that must not be allowed to burn. And the best way to defuse it is to work together, positively, and to promote fraternity.
The bridge has yet another lesson to teach us. It is supported by great chains made up of many rings. We are those rings, and each of us is essential to the chain. We can no longer live apart, without making an effort to know one another, prey to suspicion and conflict.
A bridge unites. In this sense, it reminds us of the concept, so fundamental in Scripture, of covenant. The God of the covenant asks us not to yield to separatism or partisan interests. He does not want us to ally ourselves with some at the expense of others. Rather, he wants individuals and communities to be bridges of fellowship with all. In this country, you who represent the majority religions are responsible for promoting the conditions that enable religious freedom to be respected and encouraged for all. You are likewise called to be role models for everyone. Let it never be said that divisive words come from the mouths of religious leaders, but only words of openness and peace. In our world, torn by so many conflicts, this is the best possible witness on the part of those who have been graced to know the God of the covenant and of peace.
The Chain Bridge is not only the best-known, but also the oldest in the city. Many generations have crossed over it. It invites us to think back on the past. There we will encounter suffering and bleak moments, misunderstandings and persecutions, but on a deeper level we will find a greater, shared spiritual heritage. This precious patrimony can enable us, together, to build a different future. I am moved by the thought of all those friends of God who shone his light on the darkness of this world. I think in particular of Miklós Radnóti, a great poet of this country. His brilliant career was cut short by the blind hatred of those who, for no other reason than his Jewish origins, first prevented him from teaching and then separated him from his family.
Imprisoned in a concentration camp, in the darkest and most depraved chapter of human history, Radnóti continued until his death to write poetry. His Bor Notebook was his only collection of poems to survive the Shoah. It testifies to the power of his belief in the warmth of love amid the icy coldness of the camps, illumining the darkness of hatred with the light of faith. The author, crushed by the chains that constrained his soul, discovered a higher freedom and the courage to write that, “as a prisoner… I have taken the measure of all that I had hoped for” (Bor Notebook, Letter to his Wife). He also posed a question that resonates with us today: “And you, how do you live? Does your voice find an echo in this time?” (Bor Notebook, First Eclogue). Our voices, dear brothers and sisters, must not fail to echo that Word given us from Heaven, echoes of hope and peace. Even if no one listens or we are misunderstood, may our actions never deny the Revelation to which we are witnesses.
Finally, in the solitude and desolation of the concentration camp, as he realized his life was fading away, Radnóti wrote: “I am now myself a root... Once a flower, I have become a root” (Bor Notebook, Root). We too are called to become roots. For our part, we usually look for fruits, results or affirmation. Yet God makes his word fruitful on the earth with a soft rain that makes the fields flower (cf. Is 55:10). He reminds us that our faith journeys are but seeds, seeds that then become deep roots nourishing the memory and enabling the future to blossom. This is what the God of our fathers asks of us, because – as another poet wrote – “God waits in other places; he waits beneath everything. Where the roots are. Down below” (Rainer Maria Rilke, Vladimir, the Cloud Painter). We can only reach the heights if we have deep roots. If we are rooted in listening to the Most High and to others, we will help our contemporaries to accept and love one another. Only if we become roots of peace and shoots of unity, will we prove credible in the eyes of the world, which look to us with a yearning that can bring hope to blossom. I thank you and I encourage you to persevere in your journey together, thank you! Please forgive me for speaking while seated, but I am no longer fifteen years old! Thank you.
[01187-EN.02] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua tedesca
Liebe Brüder und Schwestern!
Ich bin sehr froh, hier bei euch zu sein. Eure Worte, für die ich euch danke, und eure Teilnahme Seite an Seite bei dieser Begegnung sind Ausdruck einer großen Sehnsucht nach Einheit. Dies alles erzählt von einem Weg, der manchmal steil und in der Vergangenheit bisweilen mühevoll war, den ihr aber mit Mut und gutem Willen auf euch nehmt, wobei ihr euch gegenseitig beisteht unter dem Blick des Allerhöchsten, der die Brüder und Schwestern segnet, die in Eintracht zusammenwohnen (vgl. Ps 133,1).
Ich schaue auf euch, Brüder und Schwestern im Glauben an Christus, und ich segne den gemeinschaftlichen Weg, den ihr immer weiter voranschreitet. Mich haben die Worte des kalvinistischen Bruders [Bischof Jószef Steinbach, Präsident des Ökumenischen Rates der Kirchen Ungarns] berührt. Danke! In Gedanken bin ich in der Abtei Pannonhalma, dem pulsierenden geistlichen Zentrum dieses Landes, wo ihr vor drei Monaten zum gemeinsamen Austausch und Beten zusammengekommen seid. Gemeinsam füreinander zu beten und sich in Liebe miteinander für diese Welt einsetzen, die Gott so sehr liebt (vgl. Joh 3,16): das ist der konkreteste Weg zur vollen Einheit.
Ich schaue auf euch, Brüder und Schwestern im Glauben unseres Vaters Abraham, und ich danke Ihnen [Rabbiner Zoltán Radnóti] für jene so tiefgründigen Worte, die mir das Herz berührt haben. Ich schätze euer Engagement und Zeugnis sehr, mit dem ihr die trennenden Mauern der Vergangenheit niederreißt. Ihr, Juden wie Christen, wollt im Anderen nicht länger einen Fremden, sondern einen Freund sehen – nicht länger einen Gegner, sondern einen Bruder und eine Schwester. Das ist die von Gott gesegnete Veränderung der Sichtweise, die Umkehr, die einen neuen Anfang ermöglicht, die Reinigung, die das Leben erneuert. Die hohen Feste Rosch Haschana und Jom Kippur, die gerade in diese Zeit fallen und zu deren Anlass ich euch die besten Wünsche ausspreche, sind Gnadenmomente, um die Wertschätzung für diese geistlichen Ereignisse zu erneuern. Der Gott der Väter eröffnet immer neue Wege: Wie er die Wüste in einen Weg ins Gelobte Land verwandelt hat, so möchte er uns aus den öden Wüsten des Grolls und der Gleichgültigkeit in die ersehnte Heimat der Gemeinschaft führen.
Es ist kein Zufall, dass diejenigen, die in der Heiligen Schrift dazu berufen sind, dem Herrn in besonderer Weise nachzufolgen, immer wieder hinausgehen, weiterziehen und unerforschte Territorien und neue Räume betreten müssen. Denken wir an Abraham, der sein Zuhause, seine Verwandtschaft und seine Heimat verließ. Wer Gott folgt, ist gerufen loszulassen. Von uns wird verlangt, das Unverständnis der Vergangenheit, die Anmaßung, selbst im Recht zu sein und dies den anderen abzusprechen, hinter uns zu lassen, um seiner Verheißung des Friedens zu folgen, denn Gott hegt immer Pläne des Heils, niemals des Unheils (vgl. Jer 29,11).
Ich möchte mit euch das suggestive Bild der Kettenbrücke aufgreifen, welche die beiden Teile dieser Stadt miteinander verbindet: Sie lässt diese nicht verschmelzen, aber hält sie zusammen. So sollen auch die Beziehungen zwischen uns sein. Wann immer die Versuchung bestand, den anderen zu absorbieren, wurde nicht aufgebaut, sondern zerstört; ebenso war es, als man die Anderen gettoisieren wollte, anstatt sie zu integrieren. Wie oft ist das in der Geschichte schon geschehen! Wir müssen wachsam sein. Wir müssen dafür beten, dass dies nicht mehr vorkommt. Und wir müssen uns gemeinsam um eine Erziehung zur Geschwisterlichkeit bemühen, damit die Hassausbrüche, die die Geschwisterlichkeit zerstören wollen, nicht die Oberhand gewinnen. Ich denke dabei an die Bedrohung durch den Antisemitismus, der immer noch in Europa und anderswo schwelt. Das ist eine Lunte, die gelöscht werden muss. Aber der beste Weg, sie unschädlich zu machen, besteht darin, positiv zusammenzuarbeiten und die Geschwisterlichkeit zu fördern. Die Brücke lehrt uns noch mehr: Sie wird von großen Ketten getragen, die aus vielen Gliedern bestehen. Diese Glieder sind wir, und jedes Glied ist von grundlegender Bedeutung. So können wir nicht länger in Misstrauen und Ignoranz leben, weit auf Distanz und entzweit.
Eine Brücke bringt zwei Teile zusammen. In diesem Sinne erinnert sie an einen Grundbegriff der Heiligen Schrift, den Begriff des Bundes. Der Gott des Bundes verlangt von uns, nicht der Logik der Isolation und der Partikularinteressen nachzugeben. Er will keine Bündnisse mit den einen auf Kosten der anderen, sondern Personen und Gemeinschaften, die Brücken der Gemeinschaft mit allen sind. An euch, den Vertretern der Mehrheitsreligionen, liegt es, in diesem Land die Voraussetzungen dafür zu schaffen, dass die Religionsfreiheit für alle respektiert und gefördert wird. Und ihr besitzt eine Vorbildfunktion für alle: Niemand soll sagen können, dass von den Lippen von Gottesmännern entzweiende Worte kommen, sondern nur Botschaften der Offenheit und des Friedens. In einer Welt, die von zu vielen Konflikten zerrissen ist, ist dies das beste Zeugnis, das diejenigen geben können, die die Gnade erhalten haben, den Gott des Bundes und des Friedens zu kennen.
Die Kettenbrücke ist nicht nur die bekannteste, sondern auch die älteste Brücke der Stadt. Viele Generationen haben sie überquert. So lädt sie uns ein, uns an die Vergangenheit zu erinnern. Da gibt es Leid und Dunkelheit, Unverständnis und Verfolgung, aber wenn wir zu den Wurzeln gehen, werden wir ein größeres gemeinsames geistiges Erbe entdecken. Dies ist der Schatz, der es uns ermöglicht, gemeinsam eine andere Zukunft zu gestalten. Ich denke auch mit Rührung an so viele Freunde Gottes, die sein Licht in den dunklen Nächten der Welt ausgestrahlt haben. Ich erwähne neben vielen anderen einen großen Dichter dieses Landes, Miklós Radnóti, dessen glanzvolle Karriere durch den blinden Hass derer beendet wurde, die ihn, nur weil er jüdischer Herkunft war, zuerst an seiner Lehrtätigkeit hinderten und ihn dann von seiner Familie wegholten.
Eingesperrt in ein Lager, in den dunkelsten und unmenschlichsten Abgrund, schrieb er bis zu seinem Tod weiter Gedichte. Seine Notizen aus Bor ist die einzige Gedichtsammlung, die den Holocaust überlebt hat. Sie zeugt von der Kraft, in der Kälte des Lagers an die Wärme der Liebe zu glauben und die Dunkelheit des Hasses mit dem Licht des Glaubens zu erhellen. Der Autor, bedrückt von den Ketten, die seine Seele umklammerten, fand in einer höheren Freiheit den Mut zu schreiben: »Als Gefangener habe ich jede Hoffnung gemessen« (Notizen aus Bor, Brief an seine Ehefrau). Und er stellte eine Frage, die auch für uns heute gilt: »Und du, wie lebst du? Findet deine Stimme in dieser Zeit Widerhall?« (Notizen aus Bor, Erste Ekloge). Unsere Stimmen, liebe Brüder und Schwestern, können nur ein Echo jenes Wortes sein, das der Himmel uns geschenkt hat, ein Echo der Hoffnung und des Friedens. Und selbst, wenn wir nicht gehört oder nicht verstanden werden, sollten wir niemals durch unser Handeln die Offenbarung leugnen, deren Zeugen wir sind.
Am Ende, in der trostlosen Einsamkeit des Lagers, als er merkte, dass das Leben dahinwelkte, schrieb Radnóti: »Auch ich bin jetzt eine Wurzel ... Ich war Blume, ich wurde zur Wurzel« (Notizen aus Bor, Wurzel). Auch wir sind aufgerufen, Wurzeln zu werden. Oft suchen wir nach den Früchten, nach Ergebnissen, nach Bestätigung. Aber der, der sein Wort in der Erde mit der gleichen Sanftheit fruchtbar macht wie der Regen, der den Acker zum Sprießen bringt (vgl. Jes 55,10), erinnert uns daran, dass unsere Glaubenswege Samen sind: Samen, die zu unterirdischen Wurzeln werden, Wurzeln, die die Erinnerung nähren und die Zukunft zum Sprießen bringen. Das ist es, was der Gott unserer Väter von uns verlangt, denn – wie ein anderer Dichter schrieb – »Und Gott wartet anderswo - wartet - ganz am Grund von Allem. Tief. Wo die Wurzeln sind« (R.M. Rilke, Wladimir, der Wolkenmaler). Man gewinnt nur dann an Höhe, wenn man in der Tiefe verwurzelt ist. Verwurzelt im Hören auf den Allerhöchsten und auf unsere Mitmenschen werden wir unseren Zeitgenossen helfen, sich gegenseitig anzunehmen und zu lieben. Nur wenn wir Wurzeln des Friedens und Sprosse der Einheit sind, werden wir in den Augen der Welt glaubwürdig sein, die auf uns blickt und sich danach sehnt, dass die Hoffnung erblüht. Vielen Dank und einen guten Weg gemeinsam, Danke! Verzeiht, dass ich im Sitzen gesprochen habe, aber ich bin keine fünfzehn Jahre alt. Danke.
[01187-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]
Traduzione in lingua spagnola
Queridos hermanos:
Me siento contento de encontrarme con ustedes. Sus palabras, que agradezco, y su presencia, uno junto al otro, expresan un gran deseo de unidad. Dan cuenta de un camino, a veces cuesta arriba, y difícil en el pasado, pero que ustedes afrontan con valor y buena voluntad, sosteniéndose recíprocamente bajo la mirada del Altísimo, que bendice a los hermanos que viven unidos (cf. Sal 133,1).
Los veo a ustedes, hermanos en la fe de Cristo, y bendigo el camino de comunión que llevan adelante. Me tocaron las palabras del hermano calvinista, gracias. Con la mente me dirijo a la abadía de Pannonhalma, corazón espiritual palpitante de este país, donde hace tres meses se han encontrado para reflexionar y rezar juntos. Rezar juntos, unos por otros, y ponernos a trabajar juntos en la caridad, unos con otros, por este mundo que Dios ama tanto (cf. Jn 3,16), este es el camino más concreto hacia la unidad plena.
Los veo a ustedes, hermanos en la fe de Abrahán nuestro padre y gracias a Usted, por esas palabras tan profundas que me tocaron el corazón. Aprecio mucho el compromiso que han mostrado para derribar los muros de separación del pasado. Ustedes, judíos y cristianos, desean ver en el otro ya no un extraño, sino un amigo; ya no un adversario, sino un hermano. Este es el cambio de mirada bendecido por Dios, la conversión que hace posibles nuevos comienzos, la purificación que renueva la vida. Las fiestas solemnes de Rosh Hashanah y del Yom Kippur, que caen precisamente en estas fechas y para las que les formulo mis mejores votos, son ocasiones de gracia para renovar la adhesión a estos llamados espirituales. El Dios de los padres abre siempre caminos nuevos. Así como transformó el desierto en un camino hacia la Tierra Prometida, también quiere llevarnos desde los desiertos áridos del hastío y de la indiferencia a la ansiada patria de la comunión.
No es casualidad que todos los que en la Escritura están llamados a seguir de un modo especial al Señor siempre tengan que salir, caminar, llegar a tierras inexploradas y a espacios desconocidos. Pensemos en Abrahán, que dejó casa, parientes y patria. Quien sigue a Dios está llamado a dejar. A nosotros se nos pide que dejemos atrás las incomprensiones del pasado, las pretensiones de tener razón y de culpar a los demás, para ponernos en camino hacia su promesa de paz, porque Dios tiene siempre planes de paz, nunca de aflicción (cf. Jr 29,11).
Quisiera retomar con ustedes la evocadora imagen del Puente de las Cadenas, que une las dos partes de esta ciudad. No las funde en una, pero las mantiene unidas. Así deben ser los vínculos entre nosotros. Cada vez que se ha tenido la tentación de absorber al otro no se ha construido, sino que se ha destruido; lo mismo cuando se ha querido marginarlo en un gueto, en vez de integrarlo. ¡Cuántas veces ha ocurrido esto en la historia! Debemos estar atentos y debemos rezar para que no se repita. Y comprometernos a promover juntos una educación para la fraternidad, para que los brotes de odio que quieren destruirla no prevalezcan. Pienso en la amenaza del antisemitismo, que todavía serpentea en Europa y en otros lugares. Es una mecha que hay que apagar y la mejor forma de desactivarla es trabajar en positivo juntos, es promover la fraternidad. El Puente nos sigue sirviendo de ejemplo, está sostenido por grandes cadenas, formadas por muchos eslabones. Nosotros somos estos eslabones y cada eslabón es fundamental, por eso no podemos seguir viviendo en la sospecha y en la ignorancia, distantes y divididos.
Un puente une dos partes. En este sentido evoca el concepto, fundamental en la Escritura, de alianza. El Dios de la alianza nos pide que no cedamos a la lógica del aislamiento y de los intereses creados. No desea las alianzas con alguno en detrimento de otros, sino personas y comunidades que sean puentes de comunión con todos. En este país ustedes, que representan las religiones mayoritarias, tienen la tarea de favorecer las condiciones para que se respete y fomente la libertad religiosa de todos. Y tienen también la función de ser ejemplo para todos. Que nadie pueda decir que de los labios de los hombres de Dios salen palabras de división, sino sólo mensajes de apertura y de paz. En un mundo desgarrado por demasiados conflictos, este es el mejor testimonio que pueden ofrecer quienes han recibido la gracia de conocer al Dios de la alianza y de la paz.
El Puente de las Cadenas no sólo es el más conocido, sino también el más antiguo de esta ciudad. Muchas generaciones lo han atravesado. Esto también invita a recordar el pasado. Encontraremos sufrimientos y oscuridad, incomprensiones y persecuciones pero, yendo a las raíces, descubriremos un patrimonio espiritual común mucho más grande. Es este el tesoro que nos permite construir juntos un futuro distinto. Pienso con emoción en tantas figuras de amigos de Dios que han irradiado su luz en las noches del mundo. Menciono, entre muchos, a un gran poeta de este país, Miklós Radnóti, cuya brillante carrera fue truncada por el odio ciego de quienes, sólo porque era de origen judío, primero le impidieron ejercer la docencia y luego lo arrancaron de su familia.
Encerrado en un campo de concentración, en el abismo más oscuro y depravado de la humanidad, siguió escribiendo poesías hasta su muerte. El Cuaderno de Bor es el único poemario que ha sobrevivido a la Shoah. En él da testimonio de la fuerza de creer en el calor del amor en medio del hielo del lager y de iluminar la oscuridad del odio con la luz de la fe. El autor, sofocado por las cadenas que le oprimían el alma, encontró el valor para escribir en una libertad superior: «Prisionero, he tomado la medida a toda esperanza» (El Cuaderno de Bor, Carta a mi esposa). Y puso una pregunta, que hoy todavía resuena para nosotros: «Y tú, ¿cómo vives? ¿Encuentra eco tu voz en este tiempo?» (El Cuaderno de Bor, Égloga Primera). Nuestras voces, queridos hermanos, tienen que hacerse eco de esa Palabra que el cielo nos ha dado, eco de esperanza y de paz. Y aunque no nos escuchen o no nos entiendan, no neguemos nunca con nuestras acciones la Revelación de la que somos testigos.
Al final, en la triste soledad del campo de concentración, mientras se daba cuenta de que la vida se estaba marchitando, Radnóti escribió: «Soy también yo una raíz ahora… Fui una flor, me he convertido en una raíz» (El Cuaderno de Bor, Raíz). También nosotros estamos llamados a convertirnos en raíces. A menudo buscamos frutos, resultados, afirmación. Pero Aquel que hace fructificar su Palabra en la tierra con la misma dulzura de la lluvia que hace germinar el campo (cf. Is 55,10), nos recuerda que nuestros caminos de fe son semillas, semillas que se transforman en raíces subterráneas, raíces que alimentan la memoria y hacen germinar el futuro. Esto es lo que nos pide el Dios de nuestros padres, porque —como escribía otro poeta— «Dios espera en otra parte, espera precisamente al final de todo. Abajo. Donde están las raíces» (R.M. Rilke, Vladimir, El pintor de nubes). Sólo si estamos profundamente arraigados podremos alcanzar la cima. Enraizados en la escucha del Altísimo y de los demás, ayudaremos a nuestros contemporáneos a acogerse y amarse. Solamente si somos raíces de paz y brotes de unidad seremos creíbles a los ojos del mundo, que nos mira con la nostalgia de que florezca la esperanza. Gracias, y buen camino. Juntos, gracias.
Les pido disculpas porque hablé sentado, pero no tengo 15 años. Gracias.
[01187-ES.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua portoghese
Queridos irmãos!
Sinto-me feliz por vos encontrar. Nas vossas palavras – que agradeço – e nesta vossa presença lado-a-lado, exprime-se um grande anseio de unidade. Falam dum caminho por vezes íngreme, e em tempos passados fatigoso, que enfrentais com coragem e boa vontade, apoiando-vos mutuamente sob o olhar do Altíssimo que abençoa os irmãos que vivem unidos (cf. Sal 133, 1).
Olhando-vos, vejo os irmãos na fé em Cristo e abençoo o percurso de comunhão que realizais. Tocaram-me as palavras do irmão calvinista, o bispo József Steinbach [Presidente do Conselho Ecuménico das Igrejas da Hungria]. Obrigado! Em pensamento, vou até à Abadia de Pannonhalma, centro espiritual palpitante deste país onde, há três meses, vos encontrastes para refletir e rezar juntos. Rezar juntos, uns pelos outros, e trabalhar unidos na caridade, uns com os outros, por este mundo que Deus tanto ama (cf. Jo 3, 16): tal é o caminho mais concreto para a plena unidade.
E vejo os irmãos na fé de Abraão, nosso pai. Agradeço ao rabino Zóltan Radnóti aquelas palavras tão profundas, que me tocaram o coração. Aprecio imenso o empenho que testemunhastes por derrubar os muros de separação do passado; vós, judeus e cristãos, quereis ver no outro, já não um estranho mas um amigo, já não um adversário mas um irmão. Esta é a mudança de perspetiva abençoada por Deus, a conversão que abre novos começos, a purificação que renova a vida. As festas solenes de Rosh Hashanah e do Yom Kippur – têm lugar precisamente neste período, formulando-vos os melhores votos – são ocasiões de graça para renovar a adesão a estes convites espirituais. O Deus de nossos pais abre sempre novos caminhos: tal como transformou o deserto em caminho para a Terra Prometida, assim também deseja conduzir-nos dos desertos áridos da aversão e da indiferença para a suspirada pátria da comunhão.
Não é por acaso que, na Escritura, quantos são chamados a seguir duma forma especial o Senhor sempre devem sair, caminhar, alcançar terras inexploradas e espaços inéditos. Pensemos em Abraão, que deixou para trás a casa, os parentes e a pátria. Quem segue a Deus é chamado a deixar. A nós, é pedido que deixemos as incompreensões do passado, as pretensões de nós termos razão e os outros estarem errados, para nos pormos a caminho rumo à sua promessa de paz, porque Deus sempre tem projetos de paz, nunca de desventura (cf. Jr 29, 11).
Apraz-me propor à vossa consideração a sugestiva imagem da Ponte das Correntes, que liga as duas partes desta cidade: não as funde numa só, mas mantém-nas unidas. Assim devem ser os laços entre nós. Sempre que houve a tentação de absorver o outro, em vez de construir, destruiu-se; e o mesmo se verificou quando se quis colocá-lo num gueto, em vez de o integrar. Quantas vezes aconteceu isto na história! Devemos estar vigilantes, devemos rezar para que não volte a suceder. Devemos empenhar-nos em promover juntos uma educação para a fraternidade, a fim de que não prevaleçam os surtos do ódio que a querem destruir. Penso na ameaça do antissemitismo, que ainda serpeja na Europa e não só; é um rastilho que deve ser apagado. Entretanto a melhor forma de o neutralizar é trabalhar positivamente juntos, é promover a fraternidade. Outra lição que nos dá a Ponte: é sustentada por grandes correntes, formadas por muitos elos. Estes elos somos nós, e cada um é fundamental; por isso, já não podemos viver na suspeita e na ignorância, distantes e discordes.
Uma ponte une duas partes. Neste sentido, lembra o conceito de aliança, fundamental na Escritura. O Deus da aliança pede-nos para não cedermos às lógicas do isolamento e dos interesses de parte. Não deseja alianças feitas com alguém em detrimento dos outros, mas pessoas e comunidades que sejam pontes de comunhão com todos. Vós que representais as religiões maioritárias neste país, tendes o dever de fomentar as condições para que a liberdade religiosa seja respeitada e promovida para todos. E desempenhais uma função exemplar para todos: ninguém possa dizer que, dos lábios dos homens de Deus, saem palavras que dividem, mas apenas mensagens de abertura e de paz. Num mundo dilacerado por tantos conflitos, este é o melhor testemunho que deve oferecer quem recebeu a graça de conhecer o Deus da aliança e da paz.
A Ponte das Correntes, além de ser a mais conhecida, é também a mais antiga da cidade. Muitas gerações passaram por ela, que assim nos convida a recordar o passado. Aqui encontraremos sofrimentos e sombras, incompreensões e perseguições, mas, se formos às raízes, descobriremos um património espiritual comum ainda maior. Este é o tesouro que nos permite construir juntos um futuro diferente. Comovido, penso também em tantas figuras de amigos de Deus que irradiaram a sua luz nas noites do mundo. Cito, entre muitos outros, um grande poeta deste país, Miklós Radnóti, cuja brilhante carreira foi truncada pelo ódio cego de quem, só por ele ser de origem judaica, primeiro impediu-o de lecionar e depois arrebatou-o à sua família.
Encerrado num campo de concentração, no abismo mais obscuro e depravado da humanidade, continuou a escrever poesia até à morte. A sua obra Notas de Bor é a única coleção poética que sobreviveu à Shoah: testemunha a força de acreditar no calor do amor no meio do gélido campo de concentração e iluminar as trevas do ódio com a luz da fé. Sufocado pelas correntes que lhe comprimiam a alma, o autor encontrou, numa liberdade superior, a coragem de escrever: «Prisioneiro, tirei as medidas a cada esperança» (Notas de Bor, Carta à Esposa). E faz uma pergunta, válida para nós ainda hoje: «E tu, como vives? A tua voz encontra eco nestes tempos?» (Notas de Bor, Primeira écloga). O eco das nossas vozes, queridos irmãos, só pode ser o daquela Palavra que o Céu nos deu: eco de esperança e de paz. E mesmo que não sejamos ouvidos ou acabemos por ser mal compreendidos, nunca reneguemos com os factos a Revelação de que somos testemunhas.
Por fim, na desolada solidão do campo de concentração, ao perceber que a vida estava definhando, Radnóti escreveu: «Agora também eu sou uma raiz... Era flor, tornei-me raiz» (Notas de Bor, Raiz). Também nós somos chamados a tornar-nos raízes. Com frequência, buscamos os frutos, os resultados, a afirmação. Mas Aquele que faz a sua Palavra frutificar na terra, com a mesma mansidão com que a chuva faz germinar o campo (cf. Is 55, 10), lembra-nos que os nossos caminhos de fé são sementes: sementes que se transformam em raízes subterrâneas, raízes que alimentam a memória e fazem germinar o futuro. É isto que nos pede o Deus de nossos pais, porque – como escreveu outro poeta – «Deus espera noutro lugar, espera mesmo no fundo de tudo. Lá em baixo; onde estão as raízes» (R. M. Rilke, Vladimir, o pintor de nuvens). Só radicados em profundidade é que se chega alto. Enraizados na escuta do Altíssimo e dos outros, ajudaremos os nossos contemporâneos a acolher-se e amar-se. Só se formos raízes de paz e rebentos de unidade é que seremos críveis aos olhos do mundo, que nos olha com a nostalgia de ver desabrochar a esperança. Obrigado e bom caminho juntos, obrigado! Desculpai por ter falado sentado; já não tenho 15 anos. Obrigado!
[01187-PO.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua polacca
Drodzy bracia!
Cieszę się ze spotkania z wami. Wasze słowa, za które dziękuję, i wasza obecność jeden obok drugiego, wyrażają wielkie pragnienie jedności. Opowiadają o drodze, czasem wiodącej pod górę, w przeszłości trudnej, ale którą pokonujecie z odwagą i dobrą wolą, wspierając się nawzajem pod okiem Najwyższego, który błogosławi braciom mieszkającym razem (por. Ps 133, 1).
Patrzę na was, bracia w wierze w Chrystusa, i błogosławię drogę komunii, którą podążacie. Wzruszyły mnie słowa brata kalwinisty [biskup József Steinbach, Przewodniczący Ekumenicznej Rady Kościołów Węgier], dziękuję. Myślami przenoszę się ku opactwu Pannonhalma, tętniącego życiem centrum duchowego tego kraju, gdzie przed trzema miesiącami spotkaliście się, aby wspólnie rozmyślać i modlić się. Modlić się razem za siebie nawzajem i pracować razem w miłości, ramię w ramię, dla tego świata, który Bóg tak bardzo miłuje (por. J 3, 16): oto najbardziej konkretna droga ku pełnej jedności.
Patrzę na was, bracia w wierze Abrahama naszego ojca, i dziękuję Panu [rabbin Zoltán Radnóti], za tak głębokie słowa, które dotknęły mojego serca. Bardzo doceniam zaangażowanie, jakie okazaliście, na rzecz burzenia murów podziału z przeszłości; jako Żydzi i chrześcijanie, chcecie widzieć w drugim już nie obcego, ale przyjaciela; już nie przeciwnika, ale brata. Jest to zmiana spojrzenia, pobłogosławiona przez Boga; nawrócenie, które otwiera nowe początki; oczyszczenie, które odnawia życie. Uroczyste święta Rosz ha-Szana, i Jom Kipur, które przypadają właśnie w tym okresie i z okazji których składam wam najlepsze życzenia, są czasem łaski, by odnowić przywiązanie do tych duchowych zaproszeń. Bóg naszych ojców zawsze otwiera nowe drogi: podobnie, jak przemienił pustynię w drogę do Ziemi Obiecanej, tak też pragnie wyprowadzić nas z jałowych pustyń niechęci i obojętności ku upragnionej ojczyzny jedności.
To nie przypadek, że osoby, które w Piśmie Świętym zostały powołane do szczególnego naśladowania Pana, muszą zawsze wychodzić, iść, docierać do niezbadanych lądów i nowych przestrzeni. Pomyślmy o Abrahamie, który opuścił dom, krewnych i ojczyznę. Kto idzie za Bogiem, jest wezwany do opuszczania. Jesteśmy wezwani do pozostawienia za sobą nieporozumień z przeszłości, roszczeń do posiadania racji i zrzucania winy na innych, aby wyruszyć ku Jego obietnicy pokoju, ponieważ Bóg ma zawsze zamiary pokoju, nigdy zaś nieszczęścia (por. Jr 29, 11).
Chciałbym przywołać sugestywny obraz Mostu Łańcuchowego, który łączy dwie części tego miasta: nie miesza ich ze sobą, lecz je łączy. Takie muszą być więzi między nami. Ilekroć pojawiała się pokusa wchłonięcia drugiego, nie prowadziło to do budowania, lecz niszczenia; podobnie było, gdy chciano raczej tworzyć getta, niż integrować. Ileż razy miało to miejsce w naszych w dziejach! Musimy być czujni, musimy modlić się, aby to się nie powtórzyło. I musimy starać się o wspólne promowanie edukacji do braterstwa, aby nie zwyciężyły te ataki nienawiści, które chcą to braterstwo zniszczyć. Mam na myśli zagrożenie antysemityzmem, który czai się w Europie i innych miejscach. Jest to jest to lont, który należy przeciąć. A najlepszym sposobem rozbrojenia tej bomby jest pozytywna współpraca, promowanie braterstwa. Most jest dla nas jeszcze jednym pouczeniem: podtrzymują go wielkie łańcuchy, składające się z wielu ogniw. Jesteśmy tymi ogniwami, a każde ogniwo ma fundamentalne znaczenie: nie możemy więc dalej żyć w podejrzliwości i ignorancji, dalecy od siebie nawzajem i skłóceni.
Most łączy dwie części. W tym sensie przypomina fundamentalne w Piśmie Świętym pojęcie przymierza. Bóg przymierza prosi nas, abyśmy nie ulegali logice izolacji i partykularnych interesów. Nie chce przymierzy z jednymi, kosztem drugich, ale pragnie osób i wspólnot, które są mostami komunii ze wszystkimi. W tym kraju wy, którzy reprezentujecie religie większościowe, macie za zadanie stworzenie warunków, w których wolność religijna będzie respektowana i promowana przez wszystkich. I macie być wzorem dla wszystkich: niech nikt nie mówi, że z ust mężów Bożych wychodzą słowa dzielące, lecz tylko przesłania otwartości i pokoju. W świecie rozdartym przez nazbyt wiele konfliktów jest to najlepsze świadectwo, jakie mogą dać ci, którzy otrzymali łaskę poznania Boga przymierza i pokoju.
Most Łańcuchowy jest nie tylko najbardziej znanym, ale i najstarszym mostem w tym mieście. Przechodziło nim wiele pokoleń. Jest to dla nas zachęta do przypomnienia sobie przeszłości. Znajdziemy w niej cierpienie i ciemność, nieporozumienia i prześladowania, ale sięgając do korzeni, odkryjemy większe od nich wspólne dziedzictwo duchowe. To jest skarb, który pozwala nam wspólnie budować inną przyszłość. Ze wzruszeniem myślę też o wielu przyjaciołach Boga, którzy promieniowali Jego światłem podczas nocy tego świata. Wśród wielu innych wspominam wielkiego poetę tego kraju, Miklósa Radnótiego, którego błyskotliwa kariera została przerwana przez ślepą nienawiść tych, którzy tylko dlatego, że był pochodzenia żydowskiego, najpierw uniemożliwili mu nauczanie, a następnie oderwali go od rodziny.
Uwięziony w obozie koncentracyjnym, w najciemniejszej i najbardziej zdeprawowanej otchłani człowieczeństwa, aż do śmierci pisał wiersze. Jego Notes z Bori (Bori notesz) to jedyny zbiór wierszy, który ocalał z Zagłady: jest świadectwem silnej wiary w ciepło miłości pośród chłodu lagru i w to, że światło wiary może rozproszyć ciemności nienawiści. Autor, spętany kajdanami, które oplatały jego duszę, znalazł w doskonalszej wolności odwagę, by napisać: „Będąc więźniem, pojąłem miarę wszelkiej nadziei” (Notes z Bori, List do żony). I stawia pytanie, które jest skierowane także do nas dzisiaj: „A ty, jak żyjesz? Czy twój głos znajduje echo w tym czasie? (Notes z Bori, Pierwsza Ekloga). Nasze głosy, drodzy bracia, mogą być jedynie echem tego Słowa, które zostało nam dane z Nieba, echem nadziei i pokoju. A nawet jeśli nie zostaniemy wysłuchani lub zostaniemy źle zrozumiani, swoim postępowaniem nie zaprzeczajmy nigdy Objawieniu, którego jesteśmy świadkami.
Na koniec, w odosobnieniu obozu koncentracyjnego, kiedy zdał sobie sprawę, że jego życie chyli się ku końcowi, Radnóti napisał: „Ja też jestem teraz korzeniem... Byłem kwiatem, a stałem się korzeniem" (Notes z Bori, Korzeń). My także jesteśmy wezwani, aby stać się korzeniami. Często szukamy owoców, rezultatów, afirmacji. Lecz Ten, który sprawia, że Jego Słowo owocuje w ziemi z taką samą łagodnością, z jaką deszcz sprawia, że ziemia wypuszcza pędy (por. Iz 55, 10), przypomina nam, że nasze drogi wiary są ziarnami: ziarnami, które przemieniają się w korzenie podziemne, korzenie, które ożywiają pamięć i sprawiają, że rodzi się przyszłość. Tego domaga się od nas Bóg naszych ojców, bo – jak pisał inny poeta – „Bóg czeka gdzie indziej - czeka - na samym dnie wszystkiego. Głęboko. Tam, gdzie są korzenie” (R.M. Rilke, Wladimir der Wolkenmaler). Szczyty zdobywa się jedynie wówczas, gdy jest się zakorzenionym w głębinach. Zakorzenieni w słuchaniu Najwyższego i innych, będziemy pomagać tym, wśród których żyjemy w we wzajemnej akceptacji i miłowaniu. Tylko jeśli będziemy zakorzenieni w pokoju i jeśli staniemy się zarodkami jedności, będziemy wiarygodni w oczach świata, który patrzy na nas z utęsknieniem, oczekując rozkwitu nadziei. Dziękuję i życzę dobrej drogi razem! Dziękuję! Wybaczcie, że mówiłem siedząc, ale nie mam już 15 lat. Dziękuję.
[01187-PL.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua araba
الزّيارة الرسوليّة
إلى بودابست في مناسبة القداس الختامي للمؤتمر الإفخارستي الدولي الثاني والخمسين وإلى سلوفاكيا
كلمة قداسة البابا فرنسيس
في اللقاء مع ممثلي مجلس الكنائس المسكوني وبعض الجماعات اليهوديّة
في متحف الفنون الجميلة
الأحد 12 أيلول/سبتمبر 2021
إخوتي الأعزّاء!
يسعدني أن ألتقي بكم. أشكركم على كلماتكم، وإنّها وحضورَكم معًا تعبّر عن رغبتكم الكبيرة في الوَحدة. إنّها تَروِي مسيرة، كانت في بعض الأحيان شاقّة، في ماضٍ صعب، لكنّكم واجهتموها بشجاعة وإرادة حسنة، وساندتم بعضكم بعضًا تحت أنظار العليّ، الذي يبارك الإخوة الذين يسكنون معًا (راجع مزمور 133، 1).
أراكم أيّها الإخوة في الإيمان بالمسيح، وأُبارك طريق الشَّركة الذي تسلكونه. لقد تأثرت بكلمات الأخ من أتباع مذهب كالفين [المطران جوزيف شتاينباخ، رئيس مجلس الكنائس المسكوني في المجر (هنغاريا)]، شكرًا لك. أتوجّه بفكري إلى دير بانّونهالما (Pannonhalma)، المركز الروحيّ النّابض لهذا البلد، حيث التقيتم قبل ثلاثة أشهر للتّفكير والصّلاة معًا. أن نصلّي معًا، بعضنا من أجل بعض، وأن نعمل معًا في المحبّة، بعضنا مع بعض، من أجل هذا العالم الذي يحبّه الله كثيرًا (راجع يوحنّا 3، 16): هذا هو الطّريق العملي نحو الوَحدة الكاملة.
أراكم إخوةً في إيمان أبينا إبراهيم، وشكرًا لك [الحاخام زولتان رادنوتي] على هذه الكلمات العميقة التي أثرّت في قلبي. وأقدّر كثيرًا الالتزام الذي أبديتموه في هدم جدران الماضي الفاصلة. يهودًا ومسيحيّين، تريدون أن تَرَوا في الآخر لا إنسانًا غريبًا، بل صديقًا، لا خصمًا، بل أخًا. هذا هو التغيير في النّظرة الذي يباركه الله، والتّوبة التي تفتح البدايات الجديدة، والتّطهير الذي يجدّد الحياة. أعياد رأس السّنة ويوم الغفران، التي تقع على وجه التحديد في هذه الفترة، وفي مناسبتها أقدّم لكم أفضل التمنّيات، هي مناسبات مُباركَة لتجديد التزامكم بهذه النداءات الروحيّة. يفتح إلهُ الآباء دائمًا طرقًا جديدة: كما حوّل الصحراء إلى طريق نحو أرض الميعاد، هكذا يرغب في أن يأخذنا من صحراء الحقد واللامبالاة القاحلة إلى وطن الشَّركة الذي نتوق إليه.
ليس صدفة أنّ المدعوّين في الكتاب المقدّس لاتّباع الرّبّ بصورة خاصّة يجب عليهم دائمًا أن يخرجوا، وأن يسيروا، وأن يصلوا إلى أراضٍ غيرِ مكتشفة وأماكن مجهولة. لنفكّر في إبراهيم الذي ترك البيت والأهل والوطن. مَن يتبع الله فهو مدعوٌّ إلى أن يترك. يُطلَب منّا أن نترك سوء فهم الماضي، والادّعاءات بأنّنا على صواب، وتخطيء الآخرين، لكي نسير نحو وعده بالسّلام، لأنّ الله لديه دائمًا خِطَطٌ للسّلام، وليس للبلوى (راجع إرميا 29، 11).
أودّ أن أستعيد معكم الصّورة الشهيرة لجسر السّلاسل، الذي يربط بين جزئي هذه المدينة: إنّه لا يدمجهما معًا، ولكنّه يوحِّدهما معًا. هكذا يجب أن تكون الرّوابط بيننا. في كلّ مرّة كان هناك تجربة لامتصاص الآخر، لم يكن بناء، بل دمار. كذلك، لما أردنا عزل الآخر في الجيتوهات، بدل قبوله. كم مرّة حدث هذا في التاريخ! يجب أن ننتبه ويجب أن نصلّي حتّى لا يحدث ذلك مرّة أُخرى. وأن نلتزم معًا في التّشجيع على التربية على الأخوّة، حتّى لا تسود نوبات الكراهية التي تريد تدميرها. أفكّر في خطر اللاساميّة، الذي لا يزال كامنًا في أوروبّا وفي أماكن أخرى. إنّه فتيلٌ يجب إطفاؤه. ولكن أفضل طريقة لنزع الفتيل هي العمل معًا بشكل إيجابيّ، وتعزيز الأخوة. مازال الجسر يعلّمنا: إنّه مدعوم بسلاسل كبيرة، مكوّنة من حلقات عديدة. نحن الحلقات، وكلّ حلقة هي أساسيّة، لذلك لا نستطيع بعد أن نعيش في الشّكّ وفي الجهل، بعيدين ومتخاصمين.
يجمع الجسر الجزأين معًا. وبهذا المعنى، فإنّه يذكّر بالمفهوم الأساسيّ للعهد في الكتاب المقدّس. يطلب منّا إله العهد عدم الاستسلام لمنطق العزلة والمصالح الخاصّة. إنّه لا يريد أن يقيم عهودًا مع البعض، على حساب الآخرين، بل مع أشخاصٍ وجماعات تكون جسورًا للشّركة مع الجميع. في هذا البلد، أنتم الذين تمثّلون ديانات الأغلبيّة، عليكم واجب توفير الظّروف اللازمة حتى يتّم احترام الحريّة الدينيّة وتعزيزها للجميع. ولكم أيضًا دور المثال تجاه الجميع: فلا يستطيع أحد أن يقول إنّ الكلام الذي يفرق بين الناس يأتي من شفاه رجال الله، بل (ليكن كلامكم) فقط رسائل انفتاح وسلام. هذه أفضل شهادة يجب أن يقدّمها من نال نعمة معرفة إله العهد والسّلام، في عالم تمزّقه النزاعات الكثيرة.
جسر السّلاسل، بالإضافة إلى شهرته، هو أيضًا الأقدم في هذه المدينة. لقد عبرت من فوقه أجيال عديدة. فهو يدعونا إلى أن نتذكّر الماضي. سنجد فيه المعاناة، والظّلام، وسوء الفهم والاضطهاد، ولكن، إذا عُدنا إلى الجذور، سنكتشف تراثًا روحيًّا مشتركًا أكبر بكثير. هذا هو الكنز الذي يسمح لنا معًا ببناء مستقبل مختلف. أفكّر أيضًا بتأثّر في العديد من الشخصيّات أصدقاء الله الذين شَعّوا نور الله في ليالي العالم المظلمة. أذكر من بين العديدين، شاعرًا كبيرًا من هذا البلد، ميكلوس رادنوتي، الذي تحطّمت مسيرته المهنيّة الرّائعة بسبب الكراهية العمياء من الذين، لمجرّد أنّه من أصل يهوديّ، منعوه أوّلاً من التّدريس ثمّ أبعدوه عن عائلته.
وبينما كان مُحتجزًا في معسكر الاعتقال، في الهاوية الأكثر ظلامًا وفسادًا في الإنسانيّة، استمرّ في كتابة الشّعر حتّى وفاته. كتابه ”Taccuino di Bor “ هو المجموعة الشعريّة الوحيدة التي نجت من المحرقة: فهي تشهد على قوّة الإيمان بدفء الحبّ في جليد المُعتقل وإنارة ظلام الكراهية بنور الإيمان. الكاتب، الذي خنقته السّلاسل التي قيّدت روحه، وجد في حرية أسمى الشّجاعة للكتابة: "أنا سجين وما زلت أقيس (أي متمسك ب) كلّ أمل" (Taccuino di Bor، رسالة إلى زوجته). وطرح سؤالاً يتردّد صداه على مسامعنا حتى اليوم: "وأنت كيف تعيش؟ هل تجد صدى لصوتك في هذا الزمن؟" (Taccuino di Bor، الجزء الأوّل). لا يمكن لأصواتنا، إخوتي الأعزّاء، إلّا أن تُرَدِّد صدى تلك الكلمة التي أعطتنا إيّاها السماء، صدى الرّجاء والسّلام. وحتّى لو لم يُصغِ أحد إلينا أو أُسيءَ فهمُنا، لا ننكِرْ نحن، بأعمالنا، الوحيَ الذي نحن شهودٌ له.
أخيرًا، في العزلة الموحشة في معسكر الاعتقال، وبينما كان يدرك أنّ الحياة كانت تنساب شيئًا فشيئًا، كتب رادنوتي: "أنا أيَضًا الآن جِذر... كنت زهرة، وصرت جِذرًا" (Taccuino di Bor، الجذر). نحن أيضًا مدعوّون إلى أن نصير جذورًا. نبحث غالبًا عن الثّمار والنّتائج وتثبيت أنفسنا. ولكن الله الذي يجعل كلمته تثمر على الأرض، وبعذوبة المطر نفسها ينبت الزرع في الحقل (راجع أشعيا 55، 10)، يذكّرنا أنّ طرق إيماننا هي بذور: بذور تتحوّل إلى جذور تحت الأرض، الجذور التي تغذّي الذاكرة وتنبت المستقبل. هذا ما يطلبه منّا إله آبائنا، لأنّه - كما كتب شاعر آخر - "الله ينتظر في مكان آخر، إنّه ينتظر بالتّحديد في عمق كلّ شيء. في الأسفل، حيث تكون الجذور" (رانير ماريّا ريلكه، فلاديمير، رسّام الغيوم). يمكننا أن نصل إلى القمّة فقط إذا كنّا متجذّرين في العمق. إن كنا متجذّرين في الإصغاء إلى العليّ وإلى الآخرين، سنساعد معاصرينا على قبول ومحبّة بعضهم بعضًا. فقط إن كنّا جذور سلام وبراعم وَحدة، ستكون لنا مصداقية في أعين العالم، الذي ينظر إلينا، وفيه شوقٌ كبير لأن يزهر الرّجاء. شكرًا، وأتمنّى لكم مسيرة سعيدة معًا، شكرًا! أعذروني إن تكلمت معكم جالسًا، فأنا لا أبلغ من العمر 15 عامًا. شكرًا.
[01187-AR.02] [Testo originale: Italiano]
[B0559-XX.02]