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Viaggio Apostolico di Sua Santità Francesco a Budapest in occasione della Santa Messa conclusiva del 52.mo Congresso Eucaristico Internazionale e in Slovacchia (12-15 settembre 2021) – Accoglienza ufficiale all’Aeroporto di Budapest, Incontro con il Presidente della Repubblica e con il Primo Ministro e Incontro con i Vescovi, 12.09.2021


Accoglienza ufficiale all’Aeroporto di Budapest, Incontro con il Presidente della Repubblica e con il Primo Ministro nella Sala Romanica del Museo delle Belle Arti

Incontro con i Vescovi nella Sala Rinascimentale del Museo delle Belle Arti di Budapest

Accoglienza ufficiale all’Aeroporto di Budapest, Incontro con il Presidente della Repubblica e con il Primo Ministro nella Sala Romanica del Museo delle Belle Arti

All’arrivo all’Aeroporto Internazionale di Budapest, alle ore 7.45, il Santo Padre Francesco è stato accolto dal Vice-Primo Ministro della Repubblica di Ungheria, Sig. Zsolt Semjén. Due bambini in abito tradizionale hanno consegnato un omaggio floreale al Papa.

Dopo la presentazione delle rispettive Delegazioni, il Papa e il Vice-Primo Ministro si sono trasferiti in auto al Museo delle Belle Arti di Budapest.

Al Suo arrivo al Museo, il Santo Padre è stato accolto dal Presidente della Repubblica, Sig. János Áder, e dal Primo Ministro, Sig. Viktor Orbán, e insieme si sono recati nella Sala Romanica del Museo. Quindi, dopo la foto ufficiale, ha avuto luogo l’incontro privato.

Al termine dell’incontro, dopo lo scambio dei doni, Papa Francesco si è recato nella Sala Rinascimentale del Museo delle Belle Arti dove ha incontrato i Vescovi della Conferenza Episcopale Ungherese.

[01205-IT.01]

Incontro con i Vescovi nella Sala Rinascimentale del Museo delle Belle Arti di Budapest

Discorso del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Alle ore 9.15, nella Sala Rinascimentale del Museo delle Belle Arti di Budapest, il Santo Padre Francesco ha incontrato i Vescovi della Conferenza Episcopale Ungherese.

Dopo il saluto di benvenuto del Presidente della Conferenza Episcopale, S.E. Mons. András Veres, Vescovo di Győr, il Papa ha pronunciato il suo discorso. Quindi, dopo la recita del Padre Nostro e la benedizione finale, Papa Francesco ha salutato individualmente i Vescovi e, dopo la foto di gruppo, si è recato nella Sala dei Marmi per incontrare i Rappresentanti del Consiglio Ecumenico delle Chiese e alcune Comunità Ebraiche dell’Ungheria.

Pubblichiamo di seguito il discorso che il Santo Padre ha pronunciato ai presenti:

Discorso del Santo Padre

Cari fratelli nell’Episcopato, buongiorno!

Sono molto contento di trovarmi qui in mezzo a voi in occasione della conclusione del 52° Congresso Eucaristico Internazionale. Sono grato a Mons. András Veres per il benvenuto che mi ha rivolto e anche per il regalo che mi ha fatto a nome di tutti voi: molto bello, molto bello! Grazie. E saluto tutti voi, ringraziandovi per l’accoglienza e per la promozione di questo evento, che ci ricorda la centralità dell’Eucaristia nella vita della Chiesa.

Desidero condividere alcuni pensieri proprio partendo dal gesto eucaristico: nel Pane e nel Vino vediamo Cristo che offre il suo Corpo e il suo Sangue per noi. La Chiesa di Ungheria, con la sua lunga storia, segnata da una incrollabile fede, da persecuzioni e dal sangue dei martiri, è associata in modo particolare al sacrificio di Cristo. Tanti fratelli e sorelle, tanti vescovi e presbiteri hanno vissuto ciò che celebravano sull’altare: sono stati macinati come chicchi di grano, perché tutti potessero essere sfamati dall’amore di Dio; sono stati torchiati come l’uva, perché il sangue di Cristo diventasse linfa di vita nuova; sono stati spezzati, ma la loro offerta d’amore è stata un seme evangelico di rinascita piantato nella storia di questo popolo.

Guardando a quella storia, storia passata, fatta di martirio e di sangue, possiamo incamminarci verso il futuro con lo stesso desiderio dei martiri: vivere la carità e testimoniare il Vangelo. Ma sempre bisogna tenere insieme, nella vita della Chiesa, queste due realtà: custodire il passato e guardare al futuro. Custodire le nostre radici religiose, custodire la storia da cui proveniamo, senza però restare con lo sguardo rivolto indietro: guardare al futuro, guardare avanti e trovare nuove vie per annunciare il Vangelo.

Conservo vivo nel cuore il ricordo delle Suore ungheresi della Società di Gesù (Englische Fräulein), le quali, a causa della persecuzione religiosa, dovettero lasciare la loro patria. Con il coraggio della loro personalità e la fedeltà alla vocazione fondarono il Collegio “Maria Ward” nella città di Plátanos, vicino alla capitale Buenos Aires. Dalla loro fortezza, dal loro coraggio, dalla loro pazienza e dal loro amore alla patria ho imparato molto; per me sono state una testimonianza. Ricordandole oggi qui, rendo anche omaggio a tanti uomini e donne che dovettero andare in esilio e anche a quanti hanno dato la vita per la patria e per la fede.

Come Pastori siete chiamati anzitutto a ricordare questo al vostro popolo: la tradizione cristiana – come affermava Benedetto XVI – «non è una collezione di cose, di parole, come una scatola di cose morte; la Tradizione è il fiume della vita nuova che viene dalle origini, da Cristo fino a noi, e ci coinvolge nella storia di Dio con l’umanità» (Udienza generale, 3 maggio 2006). Avete scelto come tema del Congresso un versetto del Salmo 88: «Sono in te tutte le mie sorgenti». Ecco, la Chiesa proviene dalla sorgente che è Cristo ed è inviata perché il Vangelo, come un fiume d’acqua viva, infinitamente più largo e accogliente del vostro grande Danubio, raggiunga l’aridità del mondo e del cuore dell’uomo, purificandolo e dissetandolo. Il ministero episcopale, allora, non serve a ripetere una notizia del passato, ma è voce profetica della perenne attualità del Vangelo, nella vita del Popolo santo di Dio e nella storia di oggi.

Vorrei suggerirvi alcune indicazioni per portare avanti questa missione.

La prima: essere annunciatori del Vangelo. Non dimentichiamo che al centro della vita della Chiesa c’è l’incontro con Cristo. A volte, specialmente quando la società che ci circonda non sembra entusiasta della nostra proposta cristiana, la tentazione è quella di chiuderci nella difesa delle istituzioni e delle strutture. Il vostro Paese, oggi, è attraversato da grandi cambiamenti che investono in generale l’Europa intera. Dopo il lungo tempo in cui è stato impedito di professare la fede, con l’avvento della libertà ci sono sfide nuove da affrontare, in un contesto in cui cresce il secolarismo e si affievolisce la sete di Dio. Ma ricordiamoci: la sorgente d’acqua viva, che sempre scorre e disseta, è Cristo. Le strutture, le istituzioni, la presenza della Chiesa nella società servono solo a risvegliare nelle persone la sete di Dio e a portare loro l’acqua viva del Vangelo. Perciò, a voi Vescovi è richiesto anzitutto questo: non la burocratica amministrazione delle strutture, questo lo facciano altri; non la ricerca di privilegi e vantaggi. Per favore, siate servi. Servitori, non principi. Che cosa vi chiedo? La passione ardente per il Vangelo, così com’è: il Vangelo. Fedeltà e passione al Vangelo. Essere testimoni e annunciatori della Buona Notizia, diffusori di gioia, vicini ai sacerdoti – vicini ai sacerdoti – e ai religiosi con cuore paterno, esercitando l’arte dell’ascolto.

Mi permetto di uscire dal testo e di ricordarvi le quattro vicinanze del vescovo. La vicinanza a Dio è la prima. Io, come fratello, ti domando: tu preghi? O vai solo a dire il breviario? Il tuo cuore prega? Tu, prendi tempo per pregare? “Ma, è che sono tanto indaffarato…”. Ma nell’indaffaratismo di ogni giorno, metti anche quello: pregare. Secondo: vicinanza tra voi. La fratellanza episcopale, la conferenza episcopale, è una grazia. Nessuno di voi la pensa uguale all’altro: questa è ricchezza. Cercate però di mettere nell’unità dell’episcopato anche le differenze e non cercate la strada delle cordate. Tutti fratelli. Tu la pensi diversamente da me, ma sei fratello. Discutiamo? Discutiamo. Gridiamo? Gridiamo. Ma come fratelli, questo non si tocca: l’unità della Conferenza episcopale. È una grazia: dobbiamo chiederla. È custodire il popolo di Dio nell’unità dei vescovi. La terza vicinanza è quella che ho citato: vicinanza ai sacerdoti. Il “prossimo più prossimo” del vescovo è il prete. Io vi dico una cosa che mi addolora tanto. Ho trovato, in alcune diocesi, sia nella mia patria, quando stavo lì, nella diocesi precedente, sia adesso che sono a Roma, preti che si lamentano, difficili: ma si lamentano perché hanno voglia, hanno necessità di parlare con il vescovo. Così dicono. E tante volte ho sentito questo: “Ho chiamato e la segretaria ha detto che è troppo indaffarato, che ha guardato e mi ha detto: ‘entro tre settimane può darsi, vi darà un appuntamento di un quarto d’ora’”. E il prete dice: “no, grazie, così non voglio”, oppure: “sì”. Ma non va. Il prete sente lontano il vescovo, non lo sente padre. Vi do un consiglio, da fratello: quando voi tornerete in vescovado dopo una missione, dopo una visita a una parrocchia, stanchi, e vedrete la chiamata di un prete, chiamatelo: lo stesso giorno o al massimo il giorno seguente: non oltre. La vicinanza. E quel prete, se viene chiamato subito, saprà che ha un padre. Questo è molto importante. Vicinanza ai preti, e ciò significa anche ai religiosi. “Eh, ma sa, questo prete è difficile…”. Ma, dimmi, quale padre non ha un figlio difficile? Tutti. I figli si amano come sono, non come io vorrei che fossero. E poi, la quarta vicinanza: vicinanza al santo popolo fedele di Dio. Per favore, non dimenticatevi del vostro popolo, da dove il Signore vi ha preso. “Io ti ho preso da dietro il gregge”: non dimenticarti del gregge dal quale sei stato tolto. Paolo, che cosa raccomandava a Timoteo? “Ricorda tua mamma e tua nonna, il tuo popolo”. L’autore della Lettera agli Ebrei diceva: “Ricordati di coloro che ti hanno iniziato alla fede”. Quanti umili catechisti, quante nonne ci sono dietro. Il cuore stia vicino al popolo. È brutto quando il cuore di un vescovo si allontana dal popolo. Le quattro vicinanze. Fate un esame di coscienza su come vanno: credo bene, ma mi piace ribadirle. Vicinanza a Dio, vicinanza tra voi – “vedo alcuni con una peculiarità speciale storica, liturgica, e altri così differenti”: vicinanza alla loro liturgia, alla loro storia, senza voglia di prenderli, latinizzarli: no, per favore, no. Vicinanza tra voi, vicinanza con i sacerdoti e vicinanza al santo popolo fedele di Dio. Per essere vescovo oggi – sempre, ma sottolineo, oggi – bisogna esercitare l’arte dell’ascolto. E non è facile. Non abbiate paura di dare spazio alla Parola di Dio e di coinvolgere i laici: saranno i canali attraverso i quali il fiume della fede irrigherà nuovamente l’Ungheria.

Una seconda indicazione: essere testimoni di fraternità. Il vostro Paese è luogo in cui convivono da tempo persone provenienti da altri popoli. Varie etnie, minoranze, confessioni religiose e migranti hanno trasformato anche questo Paese in un ambiente multiculturale. Questa realtà è nuova e, almeno in un primo momento, spaventa. La diversità fa sempre un po’ paura perché mette a rischio le sicurezze acquisite e provoca la stabilità raggiunta. Tuttavia, è una grande opportunità per aprire il cuore al messaggio evangelico: «Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati» (Gv 15,12). Davanti alle diversità culturali, etniche, politiche e religiose, possiamo avere due atteggiamenti: chiuderci in una rigida difesa della nostra cosiddetta identità oppure aprirci all’incontro con l’altro e coltivare insieme il sogno di una società fraterna. Mi piace qui ricordare che proprio in questa Capitale europea, nel 2017, vi siete incontrati con i rappresentanti di altre Conferenze Episcopali dell’Europa centro-orientale e avete ribadito che l’appartenenza alla propria identità non deve mai diventare motivo di ostilità e di disprezzo degli altri, bensì un aiuto per dialogare con culture diverse. Dialogare, senza negoziare la propria appartenenza.

Sopra il grande fiume che attraversa questa città si staglia l’imponente Ponte delle Catene: sostituì un fragile ponte di legno e servì a unire Buda e Pest. Se vogliamo che il fiume del Vangelo raggiunga la vita delle persone, facendo germogliare anche qui in Ungheria una società più fraterna e solidale, abbiamo bisogno che la Chiesa costruisca nuovi ponti di dialogo. Come Vescovi, vi chiedo di mostrare sempre, insieme ai sacerdoti e ai collaboratori pastorali, il volto vero della Chiesa: è madre. È madre! Un volto accogliente verso tutti, anche verso chi proviene da fuori, un volto fraterno, aperto al dialogo. Siate Pastori che hanno a cuore la fraternità. Non padroni del gregge, ma padri e fratelli. Lo stile della fraternità, che vi chiedo di coltivare con i sacerdoti e con tutto il Popolo di Dio, diventi un segno luminoso per l’Ungheria. Così, prenderà forma una Chiesa in cui specialmente i laici, in ogni ambito della loro vita quotidiana, familiare, sociale e professionale, diventeranno lievito di fraternità evangelica. La Chiesa ungherese sia costruttrice di ponti e promotrice di dialogo!

Infine, la terza cosa, essere costruttori di speranza. Se mettiamo il Vangelo al centro e lo testimoniamo nell’amore fraterno, possiamo guardare al futuro con speranza, anche se oggi attraversiamo piccole o grandi tempeste. Questo è ciò che la Chiesa è chiamata a diffondere nella vita delle persone: la certezza rasserenante che Dio è misericordia, che ci ama in ogni istante della vita ed è sempre pronto a perdonarci e a rialzarci. Non dimenticatevi lo stile di Dio, che è uno stile di prossimità, compassione e tenerezza. Questo è lo stile di Dio. Andiamo su questa strada, con lo stesso stile. La tentazione di abbatterci e scoraggiarci non viene mai da Dio. Mai. Viene dal nemico, ma si alimenta in tante situazioni: dietro la facciata del benessere, dietro un vestito di tradizioni religiose si possono nascondere tanti lati oscuri. La Chiesa in Ungheria ha avuto recentemente modo di riflettere su come il passaggio dall’epoca della dittatura a quello di una ritrovata libertà sia una transizione segnata da contraddizioni: il degrado della vita morale, l’aumento della malavita, il commercio della droga, fino alla piaga del traffico di organi e a tanti fatti di bambini, assassinati per questo. Ci sono problemi sociali: le difficoltà delle famiglie, la povertà, le ferite che colpiscono il mondo giovanile, in un contesto nel quale la democrazia ha ancora bisogno di consolidarsi. La Chiesa non può che essere protagonista di vicinanza, dispensatrice di attenzione e consolazione per le persone, affinché non si lascino mai rubare la luce della speranza. L’annuncio del Vangelo rinvigorisce la speranza perché ci ricorda che in tutto ciò che viviamo Dio è presente, ci accompagna, ci dà coraggio, ci dà creatività per iniziare sempre una storia nuova. È commovente ricordare quanto affermava il Venerabile Cardinale József Mindszenty, figlio e padre di questa Chiesa e di questa terra, il quale, alla fine di una vita colma di sofferenze a causa della persecuzione, ha lasciato queste parole di speranza: «Dio è giovane. Il futuro è suo. È Lui che evoca ciò che è nuovo, giovane e il domani negli individui e nei popoli. Perciò non possiamo abbandonarci alla disperazione» (Messaggio al Presidente del Comitato organizzatore e agli ungheresi in esilio, in J. Közi Horváth, Mindszenty bíboros, 111). Dio è giovane.

Davanti alle crisi, sociali o ecclesiali, possiate sempre essere costruttori di speranza. Come Vescovi del Paese, avere sempre parole di incoraggiamento. Non si trovino sulle vostre labbra espressioni che segnano distanze e impongono giudizi, ma che aiutino il Popolo di Dio a guardare con fiducia al futuro, aiutino le persone a diventare protagoniste libere e responsabili della vita, che è un dono di grazia da accogliere, non un rompicapo da risolvere. Il cubo del vostro bravo e celebre architetto Rubik rimane un gioco geniale, non un modello per la vita! E ricordatevi: pastori del gregge. Il pastore deve essere dentro al gregge: all’inizio del gregge per indicare il cammino, in mezzo al gregge per capirne l’odore, dietro al gregge per aiutare coloro che rimangono indietro e anche per lasciare che il gregge vada un po’ avanti, perché ha un fiuto speciale per indicare dove ci sono i terreni buoni, nutrienti.

Cari fratelli, anche l’Ungheria ha bisogno di un rinnovato annuncio del Vangelo, di una nuova fraternità sociale e religiosa, di una speranza da costruire giorno per giorno per guardare al futuro con gioia. Voi siete i Pastori protagonisti di questo processo storico, di questa bella avventura. Fratelli, Dio vi confermi nella gioia della missione – la gioia della missione! Io vi ringrazio per tutto quello che fate e vi benedico di cuore. La Madonna vi protegga e San Giuseppe vi custodisca. E, se avete un po’ di tempo, pregate per il Papa. Grazie.

[01186-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Chers frères dans l’Episcopat, bonjour !

Je suis très content de me trouver ici au milieu de vous à l’occasion de la conclusion du 52e Congrès Eucharistique International. Je suis reconnaissant à Mgr András Veres pour la bienvenue qu’il m’a souhaitée, ainsi que pour le cadeau qu’il m’a fait en votre nom à tous : très beau, très beau ! Merci. Et je vous salue tous, vous remerciant pour l’accueil et pour la promotion de cet évènement, qui rappelle la centralité de l’Eucharistie dans la vie de l’Eglise.

Je voudrais partager quelques réflexions en partant du geste eucharistique : dans le Pain et dans le Vin nous voyons le Christ qui offre son Corps et son Sang pour nous. L’Eglise en Hongrie, avec sa longue histoire – marquée par une foi inébranlable, par des persécutions et par le sang des martyrs – est associée de façon particulière au sacrifice du Christ. Beaucoup de frères et sœurs, beaucoup d’évêques et de prêtres ont vécu ce qu’ils célébraient sur l’autel : ils ont été moulus comme des grains de blé afin que tous puissent être nourris par l’amour de Dieu ; ils ont été pressés comme des raisins pour que le sang du Christ devienne la lymphe d’une vie nouvelle ; ils ont été brisés, mais leur offrande d’amour a été une semence évangélique de renaissance plantée dans l’histoire de ce peuple.

En regardant cette histoire, une histoire passée, faite de martyre et de sang, nous pouvons marcher vers l’avenir avec le même désir des martyrs : vivre la charité et témoigner l’Evangile. Mais dans la vie de l’Eglise il faut toujours tenir ensemble ces deux réalités : veiller sur le passé et regarder vers l’avenir. Garder nos racines religieuses, garder l’histoire d’où nous venons, sans cependant regarder en arrière : regarder vers l’avenir, regarder devant et trouver de nouvelles voies pour annoncer l’Evangile.

Je conserve vivant dans le cœur le souvenir des Sœurs hongroises de la Société de Jésus (Englische Fräulein), qui, à cause de la persécution religieuse, ont dû laisser leur patrie. Avec le courage de leur personnalité et leur fidélité à leur vocation, elles ont fondé le Collège “Maria Ward” dans la ville de Plátanos, proche de la capitale Buenos Aires. De leur force, leur courage, leur patience et leur amour de la patrie j’ai beaucoup appris ; pour moi elles ont été un témoignage. En me souvenant d’elles ici aujourd’hui, je rends aussi hommage à de nombreux hommes et femmes qui ont dû aller en exil mais encore à tous ceux qui ont donné la vie pour la patrie et pour la foi.

Comme Pasteurs, vous êtes d’abord appelés à rappeler ceci à votre peuple : la tradition chrétienne – comme affirmait Benoît XVI – « n’est pas une collection de choses, de mots, comme une boîte remplie de choses mortes ; la Tradition est le fleuve de la vie nouvelle qui vient des origines, du Christ jusqu'à nous, et qui nous fait participer à l'histoire de Dieu avec l'humanité » (Audience générale, 3 mai 2006). Vous avez choisi comme thème du Congrès un verset du Psaume 88 : « En toi, toutes nos sources ». L’Eglise vient de la source qui est le Christ et est envoyée afin que l’Evangile, comme un fleuve d’eau vive, infiniment plus large et accueillant que votre grand Danube, atteigne l’aridité du monde et du cœur de l’homme, en le purifiant et en le désaltérant. Le ministère épiscopal ne sert donc pas répéter une nouvelle du passé, mais il est la voix prophétique de l’actualité perpétuelle de l’Evangile dans la vie du Peuple saint de Dieu et dans l’histoire d’aujourd’hui.

Je voudrais vous suggérer quelques indications pour poursuivre votre mission.

La première : être annonciateurs de l’Evangile. N’oublions pas qu’au centre de la vie de l’Eglise il y a la rencontre avec le Christ. Parfois, spécialement lorsque la société qui nous entoure ne semble pas enthousiaste par notre proposition chrétienne, la tentation est celle de s’enfermer dans la défense des institutions et des structures. Votre pays aujourd’hui est traversé par de grands changements qui touchent en général toute l’Europe. Après un long moment où il était interdit de professer la foi, avec l’avènement de la liberté de nouveaux défis à affronter se présentèrent, dans un contexte où le sécularisme grandit et la soif de Dieu s’affaiblit. Mais rappelons-nous : la source d’eau vive, qui coule toujours et désaltère, est le Christ. Les structures, les institutions, la présence de l’Eglise dans la société servent seulement à réveiller dans les personnes la soif de Dieu et à leur porter l’eau vive de l’Evangile. C’est pourquoi il vous est demandé avant tout, à vous les évêques, ceci : non pas la bureaucratie administrative des structures, que d’autres fassent cela ; non pas la recherche des privilèges et avantages. S’il vous plaît, soyez des serviteurs. Des serviteurs, non pas des princes. Qu’est-ce que je vous demande ? La passion ardente pour l’Evangile, tel qu’il est : l’Evangile. Fidélité et passion à l’Evangile. Etre des témoins et des annonciateurs de la Bonne Nouvelle, diffuseurs de joie, proches des prêtres – proches des prêtres – et des religieux avec un cœur paternel, exerçant l’art de l’écoute.

Je me permets de sortir du texte et de vous rappeler les quatre proximités de l’évêque. La proximité à Dieu est la première. Moi, comme frère, je te demande : tu pries ? Ou vas-tu seulement dire le bréviaire ? Ton cœur prie-t-il ? Toi, prends-tu le temps pour prier ? “Mais, c’est que je suis trop occupé…” Mais dans ton activisme de chaque jour, mets aussi ceci : prier. Deuxièmement : proximité entre vous. La fraternité épiscopale, la conférence épiscopale, est une grâce. Aucun de vous ne pense la même chose que l’autre : c’est une richesse. Mais cherchez à mettre aussi dans l’unité de l’épiscopat les différences et ne cherchez pas la voie des réseaux d’influence. Tous frères. Tu penses différemment de moi, mais tu es frère. Discutons ? Discutons. Crions ? Crions. Mais comme des frères, on ne touche pas à ceci : l’unité de la Conférence épiscopale. C’est une grâce : nous devons la demander. C’est garder le peuple de Dieu dans l’unité des évêques. La troisième proximité est celle que j’ai citée : proximité aux prêtres. Le “prochain le plus proche” de l’évêque est le prêtre. Je vous dis une chose qui me fait tant de peine. J’ai trouvé, dans certains diocèses, que ce soit dans ma patrie, quand j’étais là-bas, dans le diocèse précédent, que ce soit maintenant à Rome où je suis, des prêtres qui se plaignent, difficiles : mais ils se plaignent parce qu’ils ont envie, ils ont besoin de parler avec l’évêque. Ainsi disent-ils. Et plusieurs fois j’ai entendu ceci : “J’ai appelé et la secrétaire a dit qu’il est très occupé, qu’il a vu et elle m’a dit : ‘dans trois semaines, peut-être, il vous donnera une rendez-vous d’un quart d’heure’”. Et le prêtre dit : “Non, merci, je ne veux pas”, ou : “oui”. Mais ça ne va pas. Le prêtre sent son évêque loin, il ne le sent pas père. Je vous conseille, comme frère : quand vous rentrerez à l’évêché après une mission, après une visite dans une paroisse, fatigués, et vous verrez l’appel d’un prêtre, appelez-le : le même jour ou au plus tard le jour suivant : pas plus. La proximité. Et ce prêtre, s’il est appelé immédiatement, saura qu’il a un père. C’est très important. Proximité aux prêtres, et cela signifie aussi aux religieux. “Eh, mais vous savez, ce prêtre est difficile…” Mais, dis-moi, quel père n’a pas un enfant difficile ? Tous. Les enfants, on les aime tels qu’ils sont, non pas comme je voudrais qu’ils soient. Et puis, la quatrième proximité : proximité au saint peuple fidèle de Dieu. S’il vous plaît, n’oubliez pas votre peuple, d’où le Seigneur vous a pris. “Je t’ai pris derrière le troupeau” : n’oublie pas le troupeau d’où tu as été enlevé. Paul, qu’est-ce qu’il recommandait à Timothée ? “Souviens-toi de ta maman et de ta grand-mère, ton peuple”. L’auteur de la Lettre aux Hébreux disait : “Souviens-toi de ceux qui t’ont initié à la foi”. Combien d’humbles catéchistes, combien de grands-mères sont derrière nous. Que le cœur soit proche du peuple. C’est mauvais quand le cœur d’un évêque s’éloigne du peuple. Les quatre proximités. Faites un examen de conscience sur la façon dont elles vont : je crois qu’elles vont bien, mais j’aime le répéter. Proximité à Dieu, proximité entre vous – “je vois certains avec une spéciale particularité historique, liturgique, et d’autres très différents : proximité à leur liturgie, à leur histoire, sans envie de les prendre, de les latiniser : non, s’il vous plaît, non. Proximité entre vous, proximité avec les prêtres et proximité au saint peuple fidèle de Dieu. Pour être évêque aujourd’hui – toujours, mais je souligne, aujourd’hui – il faut exercer l’art de l’écoute. Et ce n’est pas facile.” N’ayez pas peur de mettre à l’honneur la Parole de Dieu et d’impliquer les laïcs : ils seront des canaux par lesquels le fleuve de la foi irriguera de nouveau la Hongrie.

Une deuxième indication : être témoins de fraternité. Votre pays est l’endroit où cohabitent depuis longtemps des personnes venant d’autres peuples. Différentes ethnies, minorités, confessions religieuses et migrants ont aussi transformé ce pays en un environnement multiculturel. Cette réalité est nouvelle et, au moins au début, faisait peur. La diversité fait toujours un peu peur parce qu’elle met en péril les sécurités acquises et brave la stabilité atteinte. Cependant, elle est une grande opportunité pour ouvrir son cœur au message évangélique : « Aimez-vous les uns les autres comme je vous ai aimés » (Jn 15, 12). Devant les diversités culturelles, ethniques, politiques et religieuses, nous pouvons avoir deux attitudes : nous enfermer dans une défense radicale de notre soi-disant identité ou nous ouvrir à la rencontre avec l’autre et cultiver ensemble le rêve d’une société fraternelle. J’aime rappeler ici que dans cette capitale européenne, en 2017, vous vous êtes rencontrés avec les représentants d’autres Conférences Episcopales de l’Europe centrale et orientale et vous avez alors réaffirmé que l’appartenance à son identité ne doit jamais devenir un motif d’hostilité et de mépris des autres, mais plutôt une aide pour dialoguer avec des cultures différentes. Dialoguer, sans négocier son appartenance.

Sur le grand fleuve qui traverse cette ville se dresse l’imposant Pont des Chaînes : il a remplacé un fragile pont de bois et a servi à unir Buda et Pest. Si nous voulons que le fleuve de l’Evangile atteigne la vie des personnes, en faisant germer aussi ici en Hongrie une société plus fraternelle et solidaire, nous avons besoin que l’Eglise construise de nouveaux ponts de dialogue. Comme Evêques, je vous demande de montrer toujours, avec les prêtres et les collaborateurs pastoraux, le visage vrai de l’Eglise : elle est mère. Elle est mère ! Un visage accueillant envers tous, y compris ceux qui viennent de l’extérieur, un visage fraternel, ouvert au dialogue. Soyez des Pasteurs qui ont à cœur la fraternité. Non pas des patrons du troupeau, mais des pères et frères. Que le style de la fraternité, que je vous demande de cultiver avec les prêtres et avec tout le Peuple de Dieu, devienne un signe lumineux pour la Hongrie. Ainsi prendra forme une Eglise où spécialement les laïcs, dans chaque domaine de leur vie quotidienne, familiale, sociale et professionnelle, deviendront le levain de fraternité évangélique. Que l’Eglise hongroise soit construite de ponts et promotrice de dialogue !

Enfin, la troisième chose, être constructeurs d’espérance. Si nous mettons l’Evangile au centre et le témoignons dans l’amour fraternel, nous pouvons regarder l’avenir avec espérance, même si aujourd’hui nous traversons de petites ou de grandes tempêtes. C’est ce que l’Eglise est appelée à répandre dans la vie des personnes : la certitude rassurante que Dieu est miséricorde, qu’il nous aime à chaque instant de la vie et est toujours prêt à nous pardonner et à nous relever. N’oubliez pas le style de Dieu, qui est un style de proximité, compassion et tendresse. C’est le style de Dieu. Allons sur cette route, avec le même style. La tentation de nous abattre et de nous décourager ne vient jamais de Dieu. Jamais. Elle vient de l’ennemi, mais elle s’alimente de nombreuses situations : derrière la façade du bien-être, derrière un vêtement de traditions religieuses peuvent se cacher de nombreux côtés obscurs. L’Eglise en Hongrie a récemment eu l’occasion de réfléchir sur la façon dont le passage de l’ère de la dictature à celle d’une liberté retrouvée est une transition marquée par des contradictions : la dégradation de la vie morale, l’augmentation de la mafia, le commerce de la drogue, jusqu’à la plaie du trafic des organes et de nombreux faits d’enfants, assassinés pour cela. Il y a des problèmes sociaux : les difficultés des familles, la pauvreté, les blessures qui frappent le monde des jeunes, dans un contexte où la démocratie a encore besoin de se consolider. L’Eglise ne peut qu’être protagoniste de proximité, dispensatrice d’attention et de consolation pour les personnes, afin qu’elles ne se laissent jamais voler la lumière de l’espérance. L’annonce de l’Evangile revigore l’espérance parce qu’elle nous rappelle qu’en tout ce que nous vivons Dieu est présent, nous accompagne, nous donne courage, nous donne créativité pour commencer toujours une histoire nouvelle. C’est émouvant de rappeler ce qu’affirmait le Vénérable Cardinal József Mindszenty, fils et père de cette Eglise et de cette terre, qui, à la fin d’une vie remplie de souffrances à cause de la persécution, a laissé ces paroles d’espérance : « Dieu est jeune. Le futur lui appartient. C’est lui qui évoque ce qui est nouveau, jeune et l’avenir des individus et des peuples. C’est pourquoi nous ne pouvons pas nous abandonner au désespoir » (Message au Président du Comité organisateur et aux Hongrois en exil, in J. Közi Horváth, Mindszenty bíboros, p. 111). Dieu est jeune.

Devant les crises, sociales ou ecclésiales, puissiez-vous toujours être des constructeurs d’espérance. Comme Evêques du pays, avoir toujours des paroles d’encouragement. Qu’on ne trouve pas sur vos lèvres des expressions qui marquent des distances et imposent des jugements, mais qui aident le Peuple de Dieu à regarder avec confiance l’avenir, aident les personnes à devenir des protagonistes libres et responsables de la vie qui est un don de grâce à accueillir, non pas un casse-tête à résoudre. Le cube de votre valeureux et célèbre architecte Rubik demeure un jeu génial, mais non un modèle pour la vie ! Et rappelez-vous : pasteurs du troupeau. Le pasteur doit être au sein du troupeau : au début du troupeau pour indiquer le chemin, au milieu du troupeau pour en saisir l’odeur, derrière le troupeau pour aider ceux qui restent en arrière et pour laisser aussi que le troupeau aille un peu de l’avant, parce qu’il a un flair spécial pour indiquer où se trouvent les terrains bons, nourrissants.

Chers frères, même la Hongrie a besoin d’une annonce renouvelée de l’Evangile, d’une nouvelle fraternité sociale et religieuse, d’une espérance à construire jour après jour pour regarder l’avenir avec joie. Vous êtes des Pasteurs protagonistes de ce processus historique, de cette belle aventure. Frères, que Dieu vous confirme dans la joie de la mission – la joie de la mission ! Je vous remercie pour tout ce que vous faites et vous bénis de cœur. Que la Vierge Marie vous protège et que saint Joseph vous garde. Et, si vous avez un peu de temps, priez pour le Pape. Merci.

[01186-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

Dear Brother Bishops: good morning!

I am very happy to join you for the conclusion of the 52nd International Eucharistic Congress. I thank Bishop András Veres for his kind words and for the very beautiful gift presented on behalf of all of you – very beautiful, thank you. I greet all of you with gratitude for your welcome and for your support of this event, which reminds us of the centrality of the Eucharist in the life of the Church.

I would like to share a few thoughts inspired by the Eucharistic action itself. In the consecrated Bread and Wine, we see Christ who offers his body and his blood for us. In a particular way, the Church in Hungary, with its long history of unwavering faith, persecutions and the blood shed by its martyrs, has been associated with Christ’s sacrifice. How many of our brothers and sisters, bishops and priests, experienced in their lives what they celebrated on the altar! They were crushed like grains of wheat, in order to fill others with the love of God; they were pressed like grapes, so that the blood of Christ could become a source of new life; they were broken, but their loving sacrifice was an evangelical seed of rebirth sown in the history of your people.

As we look back on this history of martyrdom and of sacrifice, we can also look to the future, sharing the same desire of the martyrs: to exercise charity and to bear witness to the Gospel. In the life of the Church, these two things must remain inseparable: preserving the past and looking to the future. Preserving our religious roots and our past history, while not keeping our gaze fixed only on the past, and looking to the future, looking forward to find ever new ways to proclaim the Gospel.

I have vivid memories of the Hungarian sisters of the Congregation of Jesus (“the English Ladies”), who had to leave their homeland due to religious persecution. With typical strength of character and fidelity to their vocation, they established Maria Ward College in the city of Plátanos, near the capital (Buenos Aires). From their strength, their courage, their patience and their love for their native land, I learned much; for me they were a powerful witness. Remembering them here today, I also pay tribute to all those men and women who were forced into exile and to all those who gave their lives for their country and for the faith.

As Bishops, you are called in the first place to remind your people that the Christian tradition, as Benedict XVI told us, “is not a collection of things or words, like a box of dead things. Tradition is the river of new life that flows from the origins, from Christ down to us, and makes us participate in God’s history with humanity” (General Audience, 3 May 2006). For the theme of this Congress, you chose a verse from Psalm 88: “All my springs are in you”. Indeed, the Church herself flows from the wellspring which is Christ, and is sent forth so that the Gospel, as a stream of living water infinitely more vast and welcoming than your great Danube, may refresh the deserts present in our world and in the human heart, to purify and quench every thirst. As Bishops, your ministry is not to repeat a message from days of yore, but to be a prophetic voice loudly proclaiming the perennial timeliness of the Gospel in the life of the holy people of God and in today’s world.

I would like to suggest a few pointers for carrying out this mission.

First, be heralds of the Gospel. Let us not forget that the heart of the Church’s life is our encounter with Christ. Sometimes, especially when society around us is less than enthusiastic about the Christian message, we can be tempted to retreat into a defence of our institutions and structures. Your country today is caught up in the great changes affecting Europe as a whole. After the long years when the practice of the faith met with opposition, the growth of freedom has brought new challenges, with the advance of secularism and a lessened thirst for God. Let us not forget: Christ is an ever-flowing spring of water that quenches every thirst. Structures, institutions and the Church’s presence in society are meant to awaken in men and women the thirst for God and to offer them the living water of the Gospel. As Bishops, you are not called to be primarily bureaucrats and managers; other people can fulfil these tasks. Nor are you called to seek privileges and benefits. Please be servants. Servants, not princes. What is it I am asking of you? To demonstrate a burning passion for the Gospel. Fidelity and passion for the Gospel. Be witnesses and preachers of the Good News, abounding in joy, close to your priests – close to your priests – and religious with the heart of a father, ever ready to lend a listening ear.

Allow me to depart from my text and remind you of the four kinds of closeness that a Bishop should have. First is closeness to God. As a brother, I ask you: do you pray? Or only recite the Breviary? Do you pray from the heart? Do you take time to pray? “But I am so busy…”. Yet in the multitude of things to do every day, make time to pray.

Second, closeness among yourselves. The Episcopal Conference, fraternity among the Bishops, is a grace. None of you thinks the same as the other: this is a treasure. Try to express your differences within the unity of the episcopate rather than give rise to factions. We are all brothers. You think differently from me, but you are a brother. Do we need to discuss? Let’s discuss. Do we need to shout? Let’s shout. But as brothers. What should not be harmed is the unity of the Episcopal Conference. This is a grace: we must ask for it. It means preserving (the unity of) the people of God within the unity of the Bishops.

The third kind of closeness is one I have mentioned: closeness to your priests. The priest is “the closest neighbour” of the Bishop. I will tell you something that saddens me a great deal. In some dioceses, both in my own country when I was there in my previous diocese, and now that I am in Rome, there are priests who complain; they can be difficult, but they complain because they feel a need, they need to talk to the Bishop. They say this. And many times I have heard priests say: “I called and the secretary said that the Bishop is too busy, that he checked and then said to me, ‘Maybe in three weeks he will give you an appointment for fifteen minutes’”. And the priest says, “No, thank you, I don’t want that”, or he says, “All right”. This should not be. The priest feels his Bishop is distant, he does not feel that the Bishop is his father. I will give you some advice, as a brother: when you go back to your residence tired after a mission or after visiting a parish, and you see that a priest has called, call him back: either the same day, or at most the next day, but not later than that. Closeness. That priest, if he is called right away, knows that he has a father. This is very important. Closeness to your priests, and this means also closeness to your religious. “Yes, but you know, this priest is difficult…”. Yet tell me, what father does not have a difficult son? All fathers have them. Sons should be loved as they are, not as I would like them to be.

Lastly, closeness to the holy and faithful people of God. Please do not forget your people, from whom the Lord took you. “I took you from the flock”: do not forget the flock from which you have been taken. What does Paul recommend to Timothy? “Remember your mother and your grandmother, your people”. The author of the Letter to the Hebrews said: “Remember those who raised you in the faith”. How many humble catechists, how many grandmothers are behind us. May your hearts be close to your people. It is not good when the heart of a Bishop is far from his people.

The four kinds of closeness. Make an examination of conscience on how they are going. I think well, but I would like to repeat them. Closeness to God, closeness among yourselves – I see some here with their own particular historical and liturgical traditions and differences: be close to their liturgy, their history, without wanting to impinge on them or Latinize them: no, please, no. Closeness among yourselves, closeness to your priests and closeness to the holy and faithful people of God. Being a Bishop nowadays – in every period, but I would emphasize nowadays – requires the art of listening. And this is not easy. Do not be afraid to give priority to the word of God and to involve the laity: they will be the streams by which Hungary will once again be watered by the river of faith.

Second, be witnesses of fraternity. Your country is a place where men and women from other peoples have long lived together. Various ethnic groups, minorities, religious confessions and migrants have made yours a multicultural country. This is something new and, at least initially, can be troubling. Diversity always proves a bit frightening, for it challenges our securities and the status quo. Yet it also provides a precious opportunity to open our hearts to the Gospel message: “Love one another as I have loved you” (Jn 15:12). In the face of cultural, ethnic, political and religious diversity, we can either retreat into a rigid defense of our supposed identity, or become open to encountering others and cultivating together the dream of a fraternal society. I recall with pleasure that in 2017, here in this European capital, you assembled with representatives of the other Episcopal Conferences of Central and Eastern Europe to affirm once again that attachment to one’s own identity must never become a motive of hostility and contempt for others, but rather an aid to dialogue with different cultures. Dialogue without negotiating away one’s own attachment.

Above the great river passing through this city stands the imposing Chain Bridge, which replaced an unsteady wooden bridge and served to unite Buda and Pest. If we want the river of the Gospel, also here in Hungary, to penetrate people’s lives and lead to a more fraternal and solidary society, the Church needs to build new bridges of dialogue. I ask you, as Bishops, together with your priests and pastoral workers, always to show the true face of the Church: she is a mother. A mother! A face that is welcoming to all, including those coming from elsewhere, one that is fraternal and open to dialogue. Be shepherds who take fraternity to heart, not lording it over the flock but acting as fathers and brothers. May the “style” of fraternity, which I ask you to cultivate with your priests and with the whole people of God, become a luminous sign for Hungary. This will help shape a Church in which the laity, in every aspect of their daily lives, the lives of their families, the life of society and the workplace, will be a leaven of evangelical fraternity. May the Church in Hungary be a builder of bridges and an advocate of dialogue!

Finally, a third point: be builders of hope. If we put the Gospel at the centre and bear witness to it with fraternal love, we will be able to look to the future with hope, whatever the tempests, great or small, we may experience today. What is the Church called to bring to the lives of all men and women, if not the serene certainty that God is mercy, that he loves us at every moment of our lives and is ever ready to forgive us and lift us up? Remember God’s style, which is a style of closeness, compassion and tender love. This is God’s style. Let us travel the same path, with the same style. Temptation to discouragement never comes from God, never. It comes from the enemy, and can be fueled by any number of situations: behind the façade of prosperity, or under the guise of religious traditions, many dark areas can lurk. The Church in Hungary has recently had cause to reflect on how the transition from the age of dictatorship to that of recovered freedom has had its contradictions: a decline in morality and a surge in organized crime, the narcotics trade and even organ trafficking, and so many cases of children killed for this purpose. There are social problems: the troubles experienced by families, poverty, the problems faced by young people, all in a context where democracy remains to be solidly established. The Church must not fail to be an advocate of closeness, a source of care and consolation, lest people end up being robbed of the light of hope. The preaching of the Gospel reinvigorates hope because it reminds us that in everything God is present; he accompanies us and gives us the courage and creativity we need to start ever anew. It is moving to think of Venerable Cardinal József Mindszenty, a son and father of this Church and of this land, who at the end of a life filled with sufferings born of persecution left us these words of hope: “God is young. The future is in his hands. He calls forth whatever is new, young and promising in individuals and in peoples. So we can never yield to despair” (Message to the President of the Organizing Committee and to Hungarians in Exile, in J. Közi Horváth, Mindszenty bíboros, 111). God is young.

In the face of crises, whether social or ecclesial, may you always be advocates of hope. As the Bishops of this country, always speak words of encouragement. May you never speak in ways that increase distances or impose judgements, but in ways that help God’s people to look confidently to the future, that help individuals to live lives of freedom and responsibility. Life is a gift of grace to be welcomed, not a riddle to be solved. The cube invented by your famous architect Rubik is a fascinating game, not a model for how to live our lives!

Remember: you are shepherds of the flock. The shepherd must be within the flock: at its head to show the way, in its midst to appreciate its odour, behind it to help those who are lagging and also to let the flock go a little forward, for it has a particular sense of where good and nourishing pastures are to be found.

Dear brothers, Hungary too needs a renewed preaching of the Gospel, a new social and religious fraternity, a daily-renewed hope that enables us to look to the future with joy. As Bishops, you are called to play a leading role in this historical process, this wonderful adventure. My brothers, may God confirm you in the joy of mission! I thank you for everything that you are doing and I grant you my heartfelt blessing. May Our Lady protect you and Saint Joseph watch over you. And, if you have some time, pray for the Pope. Thank you.

[01186-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Liebe Brüder im Bischofsamt, guten Morgen!

Ich freue mich sehr, aus Anlass des Abschlusses des 52. Internationalen Eucharistischen Kongresses hier in eurer Mitte zu sein. Ich danke Bischof András Veres für die freundlichen Begrüßungsworte und für das Geschenk, das er mir in euer aller Namen gemacht hat: Sehr hübsch, sehr hübsch! Vielen Dank. Und ich grüße euch alle, indem ich euch für diesen Empfang wie auch für die Förderung dieses Ereignisses danke, das uns die zentrale Bedeutung der Eucharistie im Leben der Kirche vor Augen führt.

Nun möchte ich mit euch einige Gedanken teilen, die auf dem eucharistischen Zeichen aufbauen: in Brot und Wein sehen wir Christus, der seinen Leib und sein Blut für uns darbringt. Die Kirche Ungarns ist in ihrer langen Geschichte mit ihrem unerschütterlichen Glauben unter Verfolgungen und mit dem Zeugnis der Märtyrer auf besondere Weise mit dem Opfer Christi verbunden. Viele Schwestern und Brüder, viele Bischöfe und Priester haben das, was sie auf dem Altar zelebrierten, auch persönlich erlebt: sie sind wie Weizenkörner zermahlen worden, damit alle von der Liebe Gottes genährt werden konnten; sie sind wie Trauben ausgepresst worden, damit das Blut Christi Saft des neuen Lebens werde; sie sind gebrochen worden, aber ihre liebende Hingabe ist ein wiederauflebender Same des Evangeliums gewesen, der in die Geschichte dieses Volkes eingepflanzt wurde.

Schauen wir auf jene Geschichte, jene vergangene Geschichte, die aus Martyrium und Blut gemacht ist, so können wir mit dem gleichen Verlangen der Märtyrer auf die Zukunft zugehen: die Nächstenliebe leben und das Evangelium bezeugen. Im Leben der Kirche sind diese beiden Wirklichkeiten immer zusammenzuhalten: die Vergangenheit bewahren und in die Zukunft schauen. Unsere religiösen Wurzeln bewahren, die Geschichte, von der wir kommen, bewahren, ohne jedoch ständig zurückzuschauen: in die Zukunft schauen, nach vorne schauen und neue Wege zur Verkündigung des Evangeliums finden.

In lebendiger Erinnerung sind mir die ungarischen Schwestern der Englischen Fräulein geblieben, die wegen der religiösen Verfolgung ihre Heimat verlassen mussten. Mit dem Mut ihres ausgeprägten Charakters und der Treue ihrer Berufung gründeten sie das Kolleg „Maria Ward“ in der Stadt Plátanos nahe der Hauptstadt Buenos Aires. Von ihrer Tapferkeit, ihrem Mut, ihrer Geduld und ihrer Liebe zur Heimat habe ich viel gelernt; sie waren für mich ein Zeugnis. Indem ich sie heute hier erwähne, möchte ich auch den vielen Männern und Frauen die Ehre erweisen, die ins Exil gehen oder sogar ihr Leben für die Heimat und den Glauben geben mussten.

Als Hirten seid ihr vor allem gerufen, eurem Volk klarzumachen, dass die christliche Tradition – wie Papst Benedikt XVI. einmal gesagt hat – »keine Ansammlung von Dingen oder Worten ist, kein Behältnis für tote Dinge; die Tradition ist der Fluss des neuen Lebens, der von den Ursprüngen kommt, von Christus bis zu uns, und uns in die Geschichte Gottes mit der Menschheit einbindet« (Generalaudienz, 3. Mai 2006). Als Thema des Kongresses habt ihr einen Vers aus Psalm 87 gewählt: »All meine Quellen entspringen in dir«. Die Kirche kommt also von der Quelle, die Christus ist, und sie wird auf den Weg gebracht, damit das Evangelium wie ein Fluss lebendigen Wassers – unendlich viel größer und einladender als eure große Donau – die Dürre der Welt und des Herzens des Menschen erreicht, reinigend und den Durst stillend. Das Bischofsamt dient also nicht dazu, eine Botschaft der Vergangenheit zu wiederholen, sondern ist prophetische Stimme der immerwährenden Aktualität des Evangeliums im Leben des heiligen Volkes Gottes und in der Geschichte heute.

Ich möchte euch einige Hinweise geben, um diese Sendung weiterzutragen.

Der erste: Verkünder des Evangeliums sein. Vergessen wir nicht, dass im Zentrum des Lebens der Kirche die Begegnung mit Christus steht. Zuweilen, besonders wenn die uns umgebende Gesellschaft gegenüber unseren christlichen Ansichten nicht aufgeschlossen zu sein scheint, dann besteht die Versuchung, dass wir uns in der Verteidigung der Institutionen und der Strukturen verschließen. Euer Land macht heute große Veränderungen durch, die überhaupt ganz Europa betreffen. Nach der langen Zeit, in der es verboten war, den Glauben zu bekennen, und mit dem Aufblühen der Freiheit sind neue Herausforderungen anzupacken, und dies in einem Umfeld, wo die Säkularisierung zunimmt und der Durst nach Gott schwindet. Aber erinnern wir uns daran, die Quelle des Wassers des Lebens, die immer fließt und den Durst stillt, ist Christus. Die Strukturen, die Institutionen, die Stellung der Kirche in der Gesellschaft dienen nur dazu, in den Menschen den Durst nach Gott wachzuhalten und ihnen das lebendige Wasser des Evangeliums zu bringen. Deshalb wird von euch Bischöfen vor allem dies gefordert: nicht die bürokratische Verwaltung der Strukturen – das machen andere –, nicht die Suche nach Privilegien und Vorteilen. Bitte seid Diener! Diener, nicht Fürsten. Was erbitte ich von euch? Die brennende Leidenschaft für das Evangelium, so wie es ist: das Evangelium. Treue und Leidenschaft für das Evangelium. Seid Zeugen und Verkünder der Frohen Botschaft, Freudenboten. Seid den Priestern und Ordensleuten mit väterlichem Herzen nahe – seid den Priestern nahe – und übt dabei die Kunst des Zuhörens aus.

Ich weiche hier vom Manuskript ab, um euch an die vier Weisen der „Nähe“ des Bischofs zu erinnern. Die erste ist die Nähe zu Gott. Ich frage dich als Bruder: Betest du? Oder gehst du nur das Brevier lesen? Betet dein Herz? Nimmst du dir Zeit zum Beten? „Aber ich bin so ausgelastet …“. Merke im Ausgelastetsein jedes Tages auch diesen Termin vor: „beten“.

Zweitens, die Nähe unter euch. Die bischöfliche Mitbrüderlichkeit, die Bischofskonferenz, dies ist eine Gnade. Keiner von euch halte sie für gleich wichtig wie anderes. Sie ist bereichernd. Sucht jedoch in der Einheit des Episkopats auch die Verschiedenheit einzubeziehen, und bildet keine Seilschaften. Ihr seid alle Brüder. Du denkst anders als ich? Gut. Wir sind Brüder. Wollen wir diskutieren, diskutieren wir. Wollen wir uns anschreien, schreien wir uns eben an. Aber als Brüder. Die Einheit der Bischofskonferenz wird nicht angerührt. Sie ist eine Gnade. Wir müssen sie erbitten. Es geht um das Hüten des Volkes Gottes in der Einheit der Bischöfe.

Die dritte Nähe habe ich schon genannt: die Nähe zu den Priestern. Der „Nächste unter den Nächsten“ des Bischofs ist der Priester. Ich erzähle euch eine Sache, die mich sehr betrübt. In einigen Diözesen, sei es in meiner Heimat, als ich dort lebte, in der vorherigen Diözese, sei es hier in Rom, habe ich Priester getroffen, die sich beklagen, schwierige Charaktere. Aber sie beklagen sich, weil sie den Willen und das Bedürfnis haben, mit dem Bischof zu reden. So sagen sie. Und oft habe ich dann gehört: „Ich habe angerufen, und die Sekretärin hat gesagt, dass er zu beschäftigt ist. Sie hat nachgeschaut und mit gesagt: ‚Vielleicht in drei Wochen, ich mache Ihnen einen Termin für eine Viertelstunde‘“. Und der Priester sagt dann: „Nein, danke, das will ich nicht“; oder er sagt „Ja“, geht aber dann doch nicht. Der Priester empfindet den Bischof als weit weg, er empfindet ihn nicht als Vater. Ich gebe euch einen brüderlichen Rat: wenn ihr nach einer Erledigung einer Aufgabe oder nach der Visitation einer Pfarrei müde in das Bischofshaus zurückkehrt und seht die Nachricht eines Priesters auf dem Anrufbeantworter. Ruft ihn an! Am gleichen Tag oder spätestens am nächsten Tag. Nicht später! Das ist Nähe! Und wenn dieser Priester sofort angerufen wird, weiß er, dass er einen Vater hat. Das ist sehr wichtig. Nähe zu den Priestern, und das gleiche gilt auch für die Ordensleute. „Ach, wissen sie, dieser Priester ist schwierig…“. Doch sag mir, welcher Vater hat nicht einen schwierigen Sohn? Alle. Die Söhne mögen sich wie sie sind, nicht wie ich möchte, dass sie sind.

Und dann, die vierte Nähe: die Nähe zum heiligen Volk Gottes. Bitte vergesst nicht euer Volk, aus dem der Herr euch geholt hat. »Ich habe dich von der Herde weggeholt« (2 Sam 7,8): Vergiss die Herde nicht, aus dem du geholt wurdest. Was empfahl Paulus dem Timotheus? Er solle sich an seine Mutter und seine Großmutter wie auch an sein Volk erinnern. Der Autor des Hebräerbriefes sagte: „Gedenke jener, die dir den Grund für den Glauben gelegt haben“. Wie viele demütige Katecheten, wie viele Großmütter stehen dahinter. Das Herz soll nahe beim Volk sein. Es ist schlimm, wenn das Herz eines Bischofs sich vom Volk entfernt. Die vier Weisen der Nähe. Macht eine Gewissenserforschung, wie sie ausgeübt werden. Ich glaube, es geht gut; aber ich möchte es nochmal bekräftigen. Nähe zu Gott, Nähe unter euch – „ich sehe einige mit einer speziellen historischen, liturgischen Eigenheit und andere ganz verschieden: sie behalten die Nähe zu ihrer Liturgie, zu ihrer Geschichte, ohne Lust, sie zu abzulegen oder zu latinisieren: nein, bitte nicht! Nein, es soll Nähe unter euch sein, Nähe mit den Priestern und Nähe zum heiligen Volk Gottes. Um Bischof zu sein heute – eigentlich immer, aber ich unterstreiche, heute –, muss man die Kunst des Zuhörens ausüben. Das ist nicht leicht. Habt keine Angst, dem Wort Gottes Raum zu geben und die Laien dabei einzubeziehen: sie werden die Kanäle sein, durch die der Fluss des Glaubens von neuem Ungarn bewässern wird.

Ein zweiter Hinweis lautet: Zeugen der Geschwisterlichkeit sein. Euer Land ist ein Platz, wo seit langem Menschen aus anderen Völkern zusammenleben. Verschiedene Ethnien, Minderheiten, religiöse Bekenntnisse und Migranten haben auch dieses Land in ein multikulturelles Milieu verwandelt. Diese Situation ist neu, und sie erschreckt einen im ersten Moment. Die Verschiedenheit macht immer ein wenig Angst, weil sie die erworbenen Sicherheiten aufs Spiel setzt und die erreichte Stabilität angreift. Zugleich ist es eine große Gelegenheit, das Herz der Botschaft des Evangeliums zu öffnen: »Liebt einander, so wie ich euch geliebt habe« (vgl. Joh 15,12). Angesichts der kulturellen, ethnischen, politischen und religiösen Unterschiede, können wir zwei Haltungen einnehmen: entweder verschließen wir uns in einer starren Verteidigung unserer sogenannten Identität, oder wir öffnen uns auf die Begegnung mit dem Anderen und kultivieren gemeinsam den Traum einer geschwisterlichen Gesellschaft. Gerne erinnere ich daran, dass ihr euch gerade in dieser Hauptstadt im Jahr 2017 mit den Vertretern der anderen Bischofskonferenzen Mittel-Ost-Europas versammelt habt. Dabei habt ihr bekräftigt, dass die Zugehörigkeit zur eigenen Identität nie Grund für eine Feindseligkeit gegen die Anderen werden darf, sondern vielmehr eine Hilfe, um mit anderen Kulturen in einen Dialog zu treten. Dialog führen, nicht etwas mit der eigenen Zugehörigkeit aushandeln.

Von dem großen Fluss, der diese Stadt durchquert, hebt sich die stattliche Kettenbrücke ab. Sie ersetzte eine zerbrechliche Holzbrücke und diente dazu, Buda und Pest zu verbinden. Wenn wir wollen, dass der Fluss des Evangeliums das Leben der Menschen erreicht, indem es auch hier in Ungarn eine mehr geschwisterliche und solidarische Gesellschaft aufblühen lässt, dann muss die Kirche neue Brücken des Dialogs errichten. Daher bitte ich euch, als Bischöfe, gemeinsam mit den Priestern und den pastoralen Mitarbeitern, das wahre Angesicht der Kirche sichtbar zu machen: Sie ist Mutter. Sie ist Mutter! Und ein Angesicht, das gegenüber allen, auch gegenüber dem, der von außen kommt; ein Angesicht, das empfänglich, geschwisterlich und dialogbereit ist. Ihr sollt Hirten sein, denen die Geschwisterlichkeit am Herzen liegt. Nicht Beherrscher der Herde, sondern Väter und Brüder. Der Stil der Geschwisterlichkeit, den ich euch mit den Priestern und mit dem ganzen Volk Gottes zu pflegen bitte, soll ein leuchtendes Zeichen für Ungarn werden. So wird eine Kirche Gestalt annehmen, in der besonders die Laien, in jedem Bereich ihres täglichen Lebens in Familie, Gesellschaft und Beruf Sauerteig der Geschwisterlichkeit des Evangeliums werden. Die Kirche in Ungarn baue Brücken und fördere den Dialog!

Schließlich der dritte Punkt: Erbauer von Hoffnung sein. Wenn wir das Evangelium ins Zentrum stellen und es mit geschwisterlicher Liebe bezeugen, können wir mit Hoffnung in die Zukunft schauen, auch wenn wir heute durch kleine und große Stürme gehen. Das ist es, was die Kirche im Leben der Menschen zu verbreiten berufen ist: die beruhigende Gewissheit, dass Gott Barmherzigkeit ist, der uns in jedem Augenblick des Lebens liebt und immer bereit ist, uns zu vergeben und uns wiederaufzurichten. Vergesst nicht den Stil Gottes, der ein Stil der Unmittelbarkeit, des Mitleids und der Zärtlichkeit ist. Das ist der Stil Gottes. Gehen wir auf dieser Straße weiter, mit dem glichen Stil. Die Versuchung, uns niederzudrücken und zu entmutigen, kommt nie von Gott. Nie! Sie kommt vom Feind, aber sie wird auch geschürt in vielen Situationen: hinter der Fassade des Wohlstands und unter einem Gewand religiöser Traditionen können sich viele dunkle Seiten verbergen. Die Kirche in Ungarn konnte in letzter Zeit darüber nachdenken, wie der Übergang von der Zeit der Diktatur zu jener einer wiedergefundene Freiheit auch eine Phase war, die von Gegensätzen gezeichnet war: vom Niedergang des moralischen Lebens, von der Zunahme der Verbrechen, vom Drogenhandel bis hin zur Plage des Handels mit menschlichen Organen, vielfach von Kindern genommen, die dazu getötet wurden. Es gibt soziale Probleme: die Schwierigkeiten der Familien, die Armut, die Verwundungen, die die Welt der jungen Leute betreffen, in einem Umfeld, in dem sich die Demokratie noch festigen muss. Die Kirche muss hier Stifterin von Nähe sowie Spenderin von Aufmerksamkeit und Trost für die Menschen sein, damit sie sich nie das Licht der Hoffnung rauben lassen. Die Botschaft des Evangeliums stärkt die Hoffnung; denn sie erinnert uns daran, dass in allem, was wir erleben, Gott gegenwärtig ist, dass er uns begleitet; er gibt uns Mut, er gibt uns Kreativität, um immer wieder eine neue Geschichte anzutreten. Es bewegt uns, wenn wir uns vor Augen führen, was der Ehrwürdige Kardinal József Mindszenty, Sohn und Vater dieser Kirche dieses Landes einmal gesagt hat: Am Ende seines vom Leid der Verfolgung erfüllten Lebens hinterließ er diese Worte der Hoffnung: »Gott ist jung. Sein ist die Zukunft. Er ist es, der ins Leben ruft, was neu, jung und das Morgen in den Menschen und in den Völkern ist. Deshalb dürfen wir uns nicht der Verzweiflung überlassen« (Botschaft an den Präsidenten des Organisationskomitees und an die Ungarn im Exil. In: J. Közi Horváth, Mindszenty bíboros, 111). Gott ist jung.

Angesichts der gesellschaftlichen oder kirchlichen Krisen mögt ihr immer Erbauer der Hoffnung sein. Als Bischöfe dieses Landes mögt ihr immer Worte der Ermutigung haben. Auf euren Lippen mögen sich keine Worte finden, die Distanz zeigen und Urteile aufzwingen, sondern die dem Volk Gottes helfen, mit Vertrauen in die Zukunft zu schauen. Eure Worte mögen den Menschen helfen, frei und verantwortlich ihr Leben zu meistern, das eine Gnadengabe ist, die wir empfangen dürfen, und kein Rätsel, das es zu lösen gilt. Der Zauberwürfel eures großartigen und berühmten Architekten Rubik bleibt ein geniales Spiel, aber kein Modell für das Leben. Und denkt daran, Hirten der Herde zu sein. Der Hirte muss von innen in der Herde sein: an der Spitze, um den Weg zu zeigen; in der Mitte, um ihren Geruch wahrzunehmen; hinter der Herde, um denen zu helfen, die etwas zurückbleiben, und auch um die Herde ein wenig Auslauf zu lassen, denn sie hat einen besonderen Geruchssinn für die guten, nahrhaften Weiden.

Liebe Brüder, auch Ungarn hat eine erneuerte Verkündigung des Evangeliums nötig, eine erneuerte gesellschaftliche und religiöse Geschwisterlichkeit, eine Hoffnung, die Tag für Tag aufzurichten ist, um mit Freude in die Zukunft zu schauen. Ihr seid die Hirten und Hauptakteure dieses historischen Prozesses, dieses schönen Abenteuers. Brüder, Gott stärke euch in der missionarischen Freude – in der Freude eurer Sendung! Ich danke euch für alles, was ihr tut, und segne euch von Herzen. Die Muttergottes beschütze euch und der heilige Josef wache über euch. Und wenn ihr etwas Zeit habt, betet für den Papst. Danke.

[01186-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

Queridos hermanos en el episcopado:

Me siento muy contento de estar aquí entre ustedes con motivo de la conclusión del 52º Congreso Eucarístico Internacional. Agradezco a Mons. András Veres las palabras de bienvenida que me ha dirigido y también por el regalo que me hizo en nombre de todos ustedes: ¡muy bonito! ¡muy bonito!, gracias. Y los saludo a todos, agradeciéndoles su acogida y la promoción de este evento, que nos recuerda la centralidad de la Eucaristía en la vida de la Iglesia.

Me gustaría compartir algunas reflexiones partiendo precisamente del gesto eucarístico: en el pan y el vino vemos a Cristo que ofrece su Cuerpo y su Sangre por nosotros. La Iglesia de Hungría, con su larga historia, marcada por una fe inquebrantable, por persecuciones y por la sangre de los mártires, está asociada de manera especial al sacrificio de Cristo. Muchos hermanos y hermanas, muchos obispos y sacerdotes vivieron lo que celebraban en el altar; fueron triturados como granos de trigo, para que todos pudieran nutrirse del amor de Dios; fueron prensados como las uvas, para que la sangre de Cristo se convirtiera en savia de vida nueva; fueron partidos como el pan, pero su ofrenda de amor fue una semilla evangélica de renacimiento plantada en la historia de este pueblo.

Mirando esa historia pasada, hecha de martirio y derramamiento de sangre, podemos encaminarnos hacia el futuro con el mismo deseo que los mártires: vivir la caridad y dar testimonio del Evangelio. Sin embargo, debemos mantener siempre juntas, en la vida de la Iglesia, estas dos realidades: custodiar el pasado y mirar al futuro. Custodiar nuestras raíces religiosas, custodiar la historia de la que procedemos, pero sin que nuestra mirada quede en el pasado, sino mirando al futuro, mirando hacia adelante y encontrando nuevas formas de proclamar el Evangelio.

Mantengo vivo en mi corazón el recuerdo de las Hermanas húngaras de la Sociedad de Jesús (Englische Fräulein), que tuvieron que abandonar su patria a causa de la persecución religiosa. Con la fuerza de su personalidad y la fidelidad a su vocación fundaron el Colegio “María Ward” en la ciudad de Plátanos, cerca de la capital Buenos Aires. De su fortaleza, de su valor, de su paciencia y de su amor a la patria aprendí mucho; para mí han sido un testimonio. Al recordarlas hoy aquí, rindo también homenaje a los numerosos hombres y mujeres que tuvieron que exiliarse, así como a los que dieron su vida por su país y por su fe.

Como pastores, ustedes sobre todo están llamados a recordar esto a vuestro pueblo: que la tradición cristiana —como afirmó Benedicto XVI— «no es una colección de cosas, de palabras, como una caja de cosas muertas. La Tradición es el río de la vida nueva, que viene desde los orígenes, desde Cristo, hasta nosotros, y nos inserta en la historia de Dios con la humanidad» (Audiencia general, 3 mayo 2006). Han elegido como tema del Congreso un versículo del Salmo 87: «Todas mis fuentes están en ti». Así es, la Iglesia surge del manantial que es Cristo y es enviada para que el Evangelio, como un río de agua viva ―infinitamente más ancho y acogedor que vuestro gran Danubio―, alcance la aridez del mundo y del corazón del hombre, purificándolo y saciando su sed. El ministerio episcopal, pues, no sirve para repetir una noticia del pasado, sino que es la voz profética de la perenne actualidad del Evangelio en la vida del Pueblo santo de Dios y en la historia de hoy.

Me gustaría sugerirles algunas indicaciones para llevar a cabo esta misión.

La primera es ser anunciadores del Evangelio. No olvidemos que en el centro de la vida de la Iglesia está el encuentro con Cristo. A veces, sobre todo cuando la sociedad que nos rodea no parece entusiasmada con nuestra propuesta cristiana, la tentación es encerrarse en la defensa de las instituciones y las estructuras. Vuestro país atraviesa hoy grandes cambios que afectan en general a toda Europa. Tras el largo tiempo en que se le impidió a la gente profesar su fe, con la llegada de la libertad hay nuevos retos que afrontar, en un contexto en el que crece el secularismo y disminuye la sed de Dios. Pero recordemos que la fuente de agua viva, que siempre corre y sacia nuestra sed, es Cristo. Las estructuras, las instituciones y la presencia de la Iglesia en la sociedad sólo sirven para despertar la sed de Dios que tienen las personas y llevarles el agua viva del Evangelio. Por eso, a ustedes obispos lo que se les pide, sobre todo, no es la administración burocrática de las estructuras, que esto lo hagan otros, ni la búsqueda de privilegios y ventajas. Por favor sean servidores, servidores y no príncipes. ¿Qué les estoy pidiendo? Una ardiente pasión por el Evangelio, tal como el Evangelio es. Fidelidad y pasión al Evangelio. Sean testigos y anunciadores de la Buena Noticia, propagadores de la alegría, cercanos a los sacerdotes, cercanos a los sacerdotes y religiosos con un corazón paternal, ejercitando el arte de la escucha.

Me permito salir del texto y recordarles las cuatro cercanías del obispo. La primera es la cercanía a Dios. Yo, como hermano, te pregunto: ¿tú rezas? ¿O sólo vas a recitar el breviario? ¿Tu corazón reza? ¿Te tomas tiempo para rezar? “Pero, es que estoy tan ocupado…”. Pero en medio de las ocupaciones de cada día, agrega también eso: rezar. Segundo: cercanía entre ustedes. La fraternidad episcopal, la conferencia episcopal, es una gracia. Ninguno de ustedes piensa igual al otro, esto es una riqueza. Pero busquen sumar también las diferencias a la unidad del episcopado y no el camino de las facciones. Todos hermanos. Aunque pienses distinto, eres un hermano. ¿Discutimos? Discutimos. ¿Gritamos? Gritamos. Pero como hermanos, la unidad de la Conferencia episcopal no se toca. Esto es una gracia que tenemos que pedir. Es custodiar al pueblo de Dios en la unidad de los obispos. La tercera cercanía es la que he citado: cercanía a los sacerdotes. El “prójimo más prójimo” del obispo es el sacerdote. Yo les digo algo que me duele mucho. Encontré, en algunas diócesis, tanto en mi patria, cuando estaba allá, en la diócesis anterior, como ahora que estoy en Roma, sacerdotes que se lamentan, difíciles. Pero se lamentan porque quieren hablar con el obispo, porque lo necesitan Así lo expresan. Y muchas veces escuché esto: “Llamé y la secretaria dijo que está muy ocupado, que ha controlado y luego me ha dicho: ‘puede ser dentro de tres semanas, les dará una cita de un cuarto de hora’.” Y el sacerdote dice: “no, gracias, así no quiero”, o bien: “sí”. Pero no va. El sacerdote siente lejano al obispo, no lo siente padre. Les doy un consejo, de hermano: cuando ustedes vuelvan al obispado después de una misión, después de una visita a una parroquia, cansados, y vean la llamada de un sacerdote, llámenlo, el mismo día o al máximo al día siguiente, no después. La cercanía. Y ese sacerdote, si se le llama enseguida, sabrá que tiene un padre. Esto es muy importante. Cercanía a los sacerdotes, y eso significa también a los religiosos. “Eh, pero sabe, este sacerdote es difícil…”. Pero, dime, ¿qué padre no tiene un hijo difícil? Todos. Los hijos se aman como son, no como yo querría que fuesen. Y después, la cuarta cercanía: cercanía al santo pueblo fiel de Dios. Por favor, no se olviden de vuestro pueblo, del lugar donde el Señor los ha tomado. “Yo te recogí de andar tras el rebaño”, no se olviden del rebaño del que los tomaron. ¿Qué recomendaba Pablo a Timoteo? “Recuerda a tu madre y a tu abuela, a tu pueblo”. El autor de la Carta a los Hebreos decía: “Acuérdate de aquellos que te han iniciado en la fe”. Cuántos humildes catequistas, cuántas abuelas hay detrás. Que el corazón esté cerca del pueblo. Es feo cuando el corazón de un obispo se aleja del pueblo. Las cuatro cercanías. Hagan un examen de conciencia sobre cómo van, creo que bien, pero me gusta recalcarlas. Cercanía a Dios, cercanía entre ustedes — veo a algunos con una peculiaridad especial histórica, litúrgica, y a otros tan diferentes: cercanía a su liturgia, a su historia, sin querer asimilarlos latinizarlos, eso no, por favor, no—. Cercanía entre ustedes, cercanía con los sacerdotes y cercanía al santo pueblo fiel de Dios. Para ser obispo hoy —siempre, pero subrayo hoy— es necesario ejercitar el arte de la escucha. Y no es fácil.

No tengan miedo de dar espacio a la Palabra de Dios y de involucrar a los laicos, serán los canales por los que el río de la fe irrigará de nuevo a Hungría.

Una segunda indicación es la de ser testigos de la fraternidad. Su país es un lugar en el que han convivido durante mucho tiempo personas de otros pueblos. Diversas etnias, minorías, confesiones religiosas e inmigrantes también han transformado este país en un ambiente multicultural. Esta realidad es nueva y, al menos en un primer momento, puede asustar. La diversidad siempre da un poco de miedo porque socava las seguridades adquiridas y desafía la estabilidad conseguida. Sin embargo, es una gran oportunidad para abrir el corazón al mensaje del Evangelio: «Ámense los unos a los otros como yo los he amado» (Jn 15,12). Ante la diversidad cultural, étnica, política y religiosa, podemos tener dos actitudes: encerrarnos en una rígida defensa de nuestra supuesta identidad, o abrirnos al encuentro con el otro y cultivar juntos el sueño de una sociedad fraterna. Me gusta recordar aquí que fue en esta misma capital europea, en el año 2017, donde ustedes se reunieron con representantes de otras Conferencias Episcopales de Europa Central y Oriental, y reafirmaron que la pertenencia a la propia identidad nunca debe convertirse en un motivo de hostilidad y desprecio hacia los demás, sino en una ayuda para el diálogo con las diferentes culturas. Diálogo, sin negociar la propia pertenencia.

Sobre el gran río que atraviesa esta ciudad se alza el imponente Puente de las Cadenas. Sustituyó a un frágil puente de madera y sirvió para unir Buda y Pest. Si queremos que el río del Evangelio llegue a la vida de las personas, haciendo germinar una sociedad más fraternal y solidaria también aquí en Hungría, necesitamos que la Iglesia construya nuevos puentes de diálogo. A ustedes, como obispos, les pido que muestren siempre, junto con sus sacerdotes y colaboradores pastorales, el verdadero rostro de la Iglesia que es madre. Es Madre. Un rostro que acoge a todos, también a los que vienen de fuera, un rostro fraterno, abierto al diálogo. Sean pastores que se interesan por la fraternidad. No dueños del rebaño, sino padres y hermanos. Que el estilo de la fraternidad, que les pido que cultiven con los sacerdotes y con todo el Pueblo de Dios, se convierta en un signo luminoso para Hungría. De este modo, se configurará una Iglesia en la que especialmente los laicos, en todos los ámbitos de su vida cotidiana, familiar, social y profesional, se convertirán en fermento de fraternidad evangélica. ¡Que la Iglesia húngara sea constructora de puentes y promotora de diálogo!

Lo tercero y último, ser constructores de esperanza. Si ponemos el Evangelio en el centro y lo testimoniamos con el amor fraterno, podemos mirar al futuro con esperanza, aunque hoy atravesemos pequeñas o grandes tormentas. Lo que la Iglesia está llamada a difundir en la vida de las personas es la certeza tranquilizadora de que Dios es misericordia, que nos ama en todo momento de la vida y que siempre está dispuesto a perdonarnos y a levantarnos. No olviden el estilo de Dios, que es un estilo de cercanía, compasión y ternura. Este es el estilo de Dios. Avancemos por este camino, con el mismo estilo. La tentación de derrumbarse y desanimarse nunca viene de Dios; viene del enemigo, pero se alimenta de muchas situaciones. Detrás de la fachada del bienestar, detrás de un ropaje de tradiciones religiosas, pueden esconderse muchos lados oscuros. La Iglesia en Hungría ha tenido ocasión de reflexionar recientemente sobre cómo la transición de la época de la dictadura a la de la libertad reencontrada sea una transición marcada por contradicciones tales como la degradación de la vida moral, el auge de la mafia, el tráfico de drogas, hasta incluso la lacra del tráfico de órganos y a tantos niños asesinados por eso. Hay problemas sociales, como las dificultades de las familias, la pobreza, las heridas que afectan al mundo de los jóvenes, en un contexto en el que la democracia aún debe consolidarse. La Iglesia tiene que ser cercana, dispensando atención y consuelo a las personas, para que no se dejen robar nunca la luz de la esperanza. El anuncio del Evangelio reaviva la esperanza porque nos recuerda que en todo lo que nos toca vivir Dios está presente, nos acompaña, nos da valentía y nos da creatividad para comenzar siempre una nueva historia. Es conmovedor recordar las palabras del venerable cardenal József Mindszenty, hijo y padre de esta Iglesia y de esta tierra, quien, al final de una vida llena de sufrimiento por la persecución, dejó estas palabras de esperanza: «Dios es joven. El futuro es suyo. Es Él quien evoca lo que es nuevo, lo joven y el mañana de las personas y de los pueblos. Por eso no podemos abandonarnos a la desesperación» (Mensaje al Presidente del Comité Organizador y a los húngaros en el exilio, en J. Közi Horváth, Mindszenty bíboros, 111). Dios es joven.

Que ante las crisis, sociales o eclesiales, ustedes sean siempre constructores de esperanza. Como obispos del país, tengan siempre palabras de aliento. Que no encuentren en vuestros labios expresiones que marquen distancia e impongan juicios, sino que ayuden al Pueblo de Dios a mirar el futuro con confianza, que ayuden a las personas a ser protagonistas libres y responsables de la vida, que es un don de gracia que hay que acoger, no un rompecabezas que hay que resolver. El cubo de vuestro magnífico y famoso arquitecto Rubik sigue siendo un juego ingenioso y no un modelo para la vida. Y recuerden: pastores del rebaño. El pastor debe estar dentro del rebaño: adelante del rebaño para mostrar el camino, en medio del rebaño para sentir el olor, detrás del rebaño para ayudar a los que se quedan rezagados y también para dejar que el rebaño avance un poco, porque tiene un don especial para indicar dónde están los campos buenos y nutritivos.

Queridos hermanos, también Hungría necesita un renovado anuncio del Evangelio, una nueva fraternidad social y religiosa, una esperanza que se construya día a día para mirar al futuro con alegría. Ustedes son los pastores protagonistas de este proceso histórico, de esta hermosa aventura. Hermanos ¡Que Dios los confirme en la alegría de la misión!, en la alegría de la misión. Les agradezco todo lo que hacen y los bendigo de corazón. Que la Virgen los proteja y que san José los guarde. Y si tienen un poco de tiempo recen por el Papa. Gracias.

[01186-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

Queridos Irmãos no Episcopado, bom dia!

Estou muito feliz por me encontrar aqui no vosso meio por ocasião do encerramento do LII Congresso Eucarístico Internacional. Agradeço a D. András Veres as boas-vindas que me dirigiu e também pelo presente que me ofereceu em nome de vós todos: é muito lindo! Obrigado. E saúdo a todos vós, grato pelo acolhimento e a dinamização deste evento que nos recorda a centralidade da Eucaristia na vida da Igreja.

Desejo partilhar algumas reflexões partindo precisamente do gesto eucarístico: no Pão e no Vinho, vemos Cristo que oferece o seu Corpo e o seu Sangue por nós. A Igreja na Hungria, com a sua longa história, marcada por uma fé inabalável, por perseguições e pelo sangue dos mártires, está particularmente associada ao sacrifício de Cristo. Muitos irmãos e irmãs, muitos bispos e presbíteros viveram o que celebravam no altar: foram moídos como os grãos de trigo, para que todos pudessem ser alimentados pelo amor de Deus; foram espremidos como as uvas, para que o sangue de Cristo se tornasse seiva de vida nova; foram dilacerados, mas a sua amorosa oferta foi uma semente de renascimento evangélico implantada na história deste povo.

Tendo diante dos olhos aquela história, a história passada feita de martírio e sangue, podemo-nos encaminhar para o futuro com o mesmo anseio dos mártires: viver a caridade e testemunhar o Evangelho. Na vida da Igreja, devemos manter sempre juntas estas duas realidades: preservar o passado e olhar para o futuro. Salvaguardar as nossas raízes religiosas, salvaguardar a história donde provimos, mas sem ficar com o olhar parado no passado: olhar para o futuro, olhar para a frente e encontrar novos caminhos para anunciar o Evangelho.

No coração, conservo viva a memória das Irmãs húngaras da Sociedade de Jesus (Englische Fräulein), que, por causa da perseguição religiosa, tiveram de deixar a sua pátria. Com a sua coragem pessoal e a fidelidade à vocação, fundaram o Colégio «Maria Ward» na cidade de Plátanos, perto da capital Buenos Aires. Muito aprendi com a sua fortaleza, coragem, paciência e amor à pátria; foram um testemunho para mim. Ao recordá-las aqui, hoje, presto homenagem também a tantos homens e mulheres que tiveram de ir para o exílio e quantos deram a vida pela pátria e a fé.

Como Pastores, sois chamados antes de mais nada a recordar isto ao vosso povo: a tradição cristã – como dizia Bento XVI – «não é uma coleção de objetos, de palavras, como uma caixa que contém coisas mortas; a Tradição é o rio da vida nova que vem das origens, de Cristo até nós, e envolve-nos na história de Deus com a humanidade» (Audiência Geral, 03/V/2006). Escolhestes como tema do Congresso o versículo 7 do Salmo 87: «Em Ti estão todas as minhas fontes». Sim! A Igreja provém da fonte que é Cristo, sendo enviada para que o Evangelho, como um rio de água viva, infinitamente mais largo e acolhedor do que o vosso grande Danúbio, alcance a aridez do mundo e do coração do homem, purificando-o e saciando a sua sede. Assim, o ministério episcopal não existe para repetir uma notícia do passado, mas é voz profética da perene atualidade do Evangelho na vida do povo santo de Deus e na história atual.

Para realizardes esta missão, gostaria de vos deixar algumas indicações.

A primeira: ser anunciadores do Evangelho. Não esqueçamos que no centro da vida da Igreja está o encontro com Cristo. Às vezes, especialmente quando a sociedade em redor não parece entusiasta da nossa proposta cristã, a tentação é fechar-nos na defesa das instituições e estruturas. Atualmente, o vosso país está passando por grandes mudanças que de modo geral afetam toda a Europa. Com a chegada da liberdade, depois do longo período em que vos foi impedido de professar a fé, há novos desafios a enfrentar num contexto onde cresce o secularismo e definha a sede de Deus. Entretanto recordemo-nos: a fonte de água viva, que constantemente flui e sacia, é Cristo. As estruturas, as instituições, a presença da Igreja na sociedade servem apenas para despertar nas pessoas a sede de Deus e levar-lhes a água viva do Evangelho. Por isso o que se vos pede, a vós Bispos, é acima de tudo isto: não a administração burocrática das estruturas (isto seja feito por outros), nem a busca de privilégios e vantagens. Por favor, sede servos. Servidores, não príncipes. Que vos peço? A ardente paixão pelo Evangelho, tal como o Evangelho é. Fidelidade e paixão pelo Evangelho. Ser testemunhas e anunciadores da Boa Nova, difundindo a alegria, acompanhando os sacerdotes – mostrai-vos próximo dos sacerdotes – e os religiosos com coração paterno, exercitando a arte da escuta. Não tenhais medo de dar espaço à Palavra de Deus, envolvendo nisso os leigos: serão eles os canais por onde o rio da fé irrigará novamente a Hungria.

Permitam que me afaste do texto [preparado] para vos lembrar as quatro proximidades do bispo. Primeiro: a proximidade com Deus. Como irmão, pergunto: Tu rezas? Ou limitas-te a dizer o breviário? O teu coração reza? Tu reservas tempo para rezar? «Sabe?! Estou tão ocupado…» Bem, na correria de cada dia, coloca também isto: rezar. Segundo: proximidade entre vós. A fraternidade episcopal, a conferência episcopal, é uma graça. Nenhum de vós pensa as coisas de igual modo que o outro: isto é riqueza. Procurai inserir na unidade do episcopado também as diferenças e não confieis na estrada dos consórcios. Todos irmãos. Tu pensas isso diferente de mim, mas és irmão. E discute-se? Discutamos. Grita-se? Gritemos… mas como irmãos. Isto não se toca: a unidade da Conferência Episcopal. É uma graça: devemos pedi-la. É guardar o povo de Deus na unidade dos bispos. A terceira proximidade é a que já mencionei: a proximidade com os padres. O «próximo mais próximo» do bispo é o padre. Digo-vos uma coisa que muito me entristece. Encontrei, em algumas dioceses, tanto na minha pátria – quando estava lá, na diocese anterior – como agora que estou em Roma, padres que se lamentam. Difíceis; mas lamentam-se porque têm vontade, têm necessidade – dizem eles – de falar com o bispo. E muitas vezes ouvi isto: «Eu liguei e a secretária disse que ele está muito ocupado, que verificou e afirmou: talvez dentro de três semanas, reservar-te-á um quarto de hora». E o padre disse: «Não, obrigado! Assim não quero», ou então: «sim». Mas não funciona. O padre sente o bispo longe, não o sente como pai. Dou-vos um conselho, como irmão: quando regressardes ao paço episcopal depois duma missão, depois duma visita a uma paróquia, cansados, mas virdes o telefonema dum padre, chamai-o nesse mesmo dia ou, o mais tardar, no dia seguinte. A proximidade. E este padre, se for chamado imediatamente, saberá que tem um pai. Isto é muito importante. Proximidade com os padres, e o mesmo se diga com os religiosos. «Sabe? Este padre é difícil...» Mas diz-me: Qual é o pai que não tem um filho difícil? Todos têm. Os filhos amam-se como são, não como eu gostaria que fossem. E depois, a quarta proximidade: a proximidade com o santo povo fiel de Deus. Por favor, não vos esqueçais do vosso povo, donde o Senhor vos tirou. «Eu tomei-te de trás do rebanho»: não te esqueças do rebanho donde foste tirado. Que recomendava Paulo a Timóteo? «Lembra-te da tua mãe e da tua avó, do teu povo». O autor da Carta aos Hebreus dizia: «Lembra-te daqueles que te iniciaram na fé». Quantos catequistas humildes, quantas mulheres idosas estão por trás de nós. Que o coração esteja perto do povo. É feio quando o coração dum bispo se afasta do povo. As quatro proximidades. Creio que já fazeis um exame de consciência sobre como elas estão, mas gosto de repeti-las. Proximidade com Deus, proximidade entre vós - «vejo alguns com uma especial peculiaridade histórica, litúrgica… e outros tão diferentes!» Pois bem! Proximidade com a sua liturgia, a sua história, sem pretender tomá-los, latinizá-los… Isto não, por favor! Proximidade entre vós, proximidade com os sacerdotes e proximidade com o santo povo fiel de Deus. Para ser bispo hoje – sempre, mas insisto, hoje –, é preciso praticar a arte da escuta. E não é fácil. Não tenhais medo de dar espaço à Palavra de Deus, envolvendo nisso os leigos: serão eles os canais por onde o rio da fé irrigará novamente a Hungria.

Uma segunda indicação: ser testemunhas de fraternidade. O vosso país é um lugar onde há muito convivem pessoas provenientes doutros povos. As variadas etnias, minorias, confissões religiosas e migrantes transformaram este país num ambiente multicultural. Trata-se duma realidade que pode, pelo menos num primeiro momento, assustar. A diversidade cria sempre um pouco de medo, porque coloca em risco seguranças adquiridas e compromete a estabilidade alcançada. Todavia é uma grande oportunidade para abrir o coração à mensagem do Evangelho: «Que vos ameis uns aos outros, como Eu vos amei» (Jo 15, 12). Face às diferenças culturais, étnicas, políticas e religiosas, podemos ter duas atitudes: fechar-nos numa defesa rígida da nossa dita identidade, ou abrir-nos ao encontro com o outro e cultivar, juntos, o sonho duma sociedade fraterna. Apraz-me recordar aqui que em 2017, precisamente nesta capital europeia, vos encontrastes com os representantes doutras Conferências Episcopais da Europa centro-oriental e reiterastes que a pertença a uma identidade nunca deve ser motivo de hostilidade e desprezo para com os outros, mas antes uma ajuda para dialogar com culturas diversas. Dialogar, sem negociar a própria pertença.

Por cima do grande rio que atravessa esta cidade ergue-se, imponente, a Ponte das Correntes: substituiu uma frágil ponte de madeira, servindo para unir Buda e Pest. Se quisermos que o rio do Evangelho alcance a vida das pessoas, fazendo germinar uma sociedade mais fraterna e solidária também aqui na Hungria, precisamos que a Igreja construa novas pontes de diálogo. Como Bispos, peço-vos que mostreis sempre, juntamente com os sacerdotes e colaboradores pastorais, o verdadeiro rosto da Igreja: é mãe. É mãe! Um rosto acolhedor para com todos, incluindo quem provem de fora, um rosto fraterno, aberto ao diálogo. Sede pastores que têm a peito a fraternidade. Não senhores do rebanho, mas pais e irmãos. Que se torne um sinal luminoso para a Hungria o estilo da fraternidade, que vos peço para cultivardes com os sacerdotes e todo o Povo de Deus. Assim, ganhará forma uma Igreja onde especialmente os leigos se hão de tornar fermento de fraternidade evangélica em todos os âmbitos da sua vida diária, familiar, social e profissional. Que a Igreja húngara seja construtora de pontes e promotora de diálogo!

Por fim, a terceira coisa, ser construtores de esperança. Se colocarmos no centro o Evangelho e o testemunharmos com o amor fraterno, poderemos olhar para o futuro com esperança, apesar das pequenas ou grandes tempestades que tivermos de atravessar hoje. Isto constitui o que a Igreja é chamada a difundir na vida das pessoas: a apaziguadora certeza de que Deus é misericórdia, ama-nos em todos os momentos da vida e está sempre pronto a perdoar-nos e levantar-nos de novo. Não esqueçais o estilo de Deus, que é um estilo de proximidade, compaixão e ternura. Este é o estilo de Deus. Sigamos por esta estrada, com o mesmo estilo. A tentação de se deixar abater e desanimar nunca vem de Deus. Nunca. Vem do inimigo, alimentando-se em muitas situações: por trás da fachada do bem-estar, por trás duma roupagem de tradições religiosas, podem esconder-se muitos lados sombrios. Recentemente, a Igreja na Hungria teve oportunidade de refletir como a transição da era da ditadura para a da reencontrada liberdade aparece marcada por contradições: a degradação da vida moral, o aumento da criminalidade, a comercialização da droga, o flagelo do tráfico de órgãos e tantos casos de crianças assassinadas para isso. Existem problemas sociais: as dificuldades das famílias, a pobreza, as feridas que afetam o mundo dos jovens, num contexto em que a democracia ainda precisa de se consolidar. A Igreja não pode deixar de ser protagonista de proximidade, dispensadora de solicitude e conforto às pessoas para que nunca se deixem roubar a luz da esperança. O anúncio do Evangelho revigora a esperança, porque nos lembra que, em tudo o que vivemos, Deus está presente, acompanha-nos, dá-nos coragem, dá-nos criatividade para começar sempre uma história nova. É comovente recordar o Venerável Cardeal József Mindszenty, filho e pai desta Igreja e desta terra, quando, no final duma vida repleta de sofrimentos por causa da perseguição, nos deixou estas palavras de esperança: «Deus é jovem. O futuro pertence-Lhe. É Ele que faz surgir o novo, o jovem e o amanhã nos indivíduos e nos povos. Por isso, não podemos abandonar-nos ao desespero» (“Mensagem ao Presidente da Comissão Organizadora e aos Húngaros no exílio”, in J. Közi Horváth, Mindszenty bíboros, 111). Deus é jovem.

Perante as crises, sociais ou eclesiais, oxalá possais sempre ser construtores de esperança. Que tenhais sempre, como Bispos do país, palavras de encorajamento. Não haja nos vossos lábios expressões que criem distâncias e imponham juízos, mas expressões que ajudem o povo de Deus a olhar para o futuro com confiança, ajudem as pessoas a tornar-se protagonistas livres e responsáveis pela vida, dom de graça que deve ser acolhido e não um quebra-cabeças para ser resolvido. O cubo do vosso talentoso e conhecido arquiteto Rubik continua a ser um jogo genial, não um modelo para a vida! E lembrai-vos: pastores do rebanho! O pastor deve estar dentro do rebanho: à frente do rebanho para indicar o caminho, no meio do rebanho para lhe compreender o cheiro, atrás do rebanho para ajudar aqueles que atrasam e também para deixar o rebanho ir à frente um pouco, porque tem um dom especial para apontar onde estão os solos bons e nutritivos.

Queridos irmãos, também a Hungria precisa dum anúncio renovado do Evangelho, uma nova fraternidade social e religiosa, uma esperança construída dia-a-dia, para poder encarar o futuro com alegria. Vós sois os pastores protagonistas deste processo histórico, desta bela aventura. Irmãos, que Deus vos confirme na alegria da missão – a alegria da missão! Agradeço tudo o que fazeis e, de coração, vos abençoo. Nossa Senhora vos proteja e São José vos guarde. E, se tiverdes um pouco de tempo, rezai pelo Papa. Obrigado!

[01186-PO.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Drodzy Bracia w Biskupstwie, dzień dobry!

Bardzo się cieszę, że jestem tutaj, pośród was z okazji zakończenia 52. Międzynarodowego Kongresu Eucharystycznego. Jestem wdzięczny za słowa powitania, jakie skierował do mnie biskup András Veres, jak też za dar przekazany mi w imieniu wszystkich: bardzo piękny, bardzo piękny! Dziękuję. I pozdrawiam was wszystkich, dziękując za gościnę i za zorganizowanie tego wydarzenia, które przypomina nam o centralnym miejscu Eucharystii w życiu Kościoła.

Chciałbym podzielić się z wami kilkoma refleksjami, zaczynając od gestu eucharystycznego: w chlebie i winie widzimy Chrystusa ofiarującego za nas swoje Ciało i swoją Krew. Kościół węgierski, ze swoją długą historią, naznaczoną niezachwianą wiarą, prześladowaniami i krwią męczenników, jest w szczególny sposób związany z ofiarą Chrystusa. Tak liczni bracia i siostry, tak liczni biskupi i kapłani przeżywali we własnym życiu to, co sprawowali na ołtarzu: zostali przemieleni jak ziarna pszenicy, aby wszyscy mogli zostać nakarmieni Bożą miłością; zostali wyciśnięci jak winogrona, aby krew Chrystusa mogła stać się limfą nowego życia; zostali złamani, ale ich ofiara miłości stała się ewangelicznym ziarnem odrodzenia wsianym w historię tego narodu.

Patrząc na tę historię, minione dzieje, na które składają się męczeństwo i krew, możemy wyruszyć ku przyszłości z tym samym pragnieniem męczenników: życia miłością i dawania świadectwa Ewangelii. Ale w życiu Kościoła musimy zawsze łączyć te dwie rzeczywistości: strzec przeszłości i patrzeć w przyszłość. Strzec naszych korzeni religijnych, strzec historii, z której się wywodzimy, nie oglądając się jednak wstecz, lecz patrząc w przyszłość, patrząc przed siebie i znajdując nowe sposoby głoszenia Ewangelii.

W moim sercu żywa jest pamięć o węgierskich siostrach Towarzystwa Jezusowego (Damy Angielskie), które musiały opuścić swoją ojczyznę z powodu prześladowań religijnych. Z  osobistą odwagą i wiernością swojemu powołaniu założyły Kolegium „Maria Ward” w mieście Plátanos, w pobliżu stolicy (Buenos Aires). Wiele się nauczyłem z ich hartu ducha, odwagi, cierpliwości i miłości do ojczyzny; stały się one dla mnie świadectwem. Wspominając je dzisiaj w tym miejscu, składam również hołd wielu mężczyznom i kobietom, zmuszonym by udać się na wygnanie, a także tym, którzy oddali życie za swą ojczyznę i za wiarę.

Jako pasterze jesteście wezwani przede wszystkim do przypominania swoim wiernym o tym, że tradycja chrześcijańska – jak powiedział Benedykt XVI – „nie jest zbiorem rzeczy i słów, niczym szkatuła pełna martwych przedmiotów. Tradycja to strumień nowego życia, który wypływa ze źródeł, ma początek w Chrystusie, dociera aż do nas i włącza nas w dzieje Boga i ludzkości” (Audiencja generalna, 3 maja 2006 r.). Jako temat Kongresu wybraliście werset z Psalmu 88: „Wszystkie moje źródła są w Tobie”. Otóż Kościół wypływa ze źródła, którym jest Chrystus, i jest posłany, aby Ewangelia, jak rzeka wody żywej, nieskończenie szersza i bardziej gościnna niż wasz wielki Dunaj, ogarnęła pustynie świata i ludzkiego serca, oczyszczając je i nawadniając. Posługa biskupia nie służy więc powtarzaniu wiadomości z przeszłości, ale jest prorockim głosem wiecznej aktualności Ewangelii w życiu świętego ludu Bożego i w historii dnia dzisiejszego.

Chciałbym zasugerować wam kilka wskazówek, dotyczących realizowania tej misji.

Pierwszą z nich jest być głosicielami Ewangelii. Nie zapominajmy, że w centrum życia Kościoła znajduje się spotkanie z Chrystusem. Czasami, zwłaszcza gdy społeczeństwo wokół nas nie wydaje się zachwycone tym, co proponujemy jako chrześcijanie, pojawia się pokusa, by zamknąć się w obronie instytucji i struktur. Wasz kraj przechodzi dziś wielkie przemiany, które generalnie dotykają całej Europy. Po długim okresie, kiedy ludziom uniemożliwiano wyznawanie wiary, wraz z nadejściem wolności pojawiają się nowe wyzwania, którym trzeba stawić czoło w kontekście rosnącego sekularyzmu i osłabienia pragnienia Boga. Ale pamiętajmy: źródłem wody żywej, która zawsze płynie i gasi nasze pragnienie, jest Chrystus. Struktury, instytucje i obecność Kościoła w społeczeństwie służą jedynie temu, by obudzić w ludziach pragnienie Boga i przynieść im żywą wodę Ewangelii. Dlatego od was, biskupów, oczekuje się przede wszystkim tego: nie biurokratycznego zarządzania strukturami, niech to robią inni; nie szukania przywilejów i korzyści. Proszę, bądźcie sługami. Sługami, nie książętami. O co was proszę? O żarliwe umiłowanie Ewangelii, takiej, jaką ona jest: Ewangelii. Wierność i umiłowanie Ewangelii. Być świadkami i zwiastunami Dobrej Nowiny, głosicielami radości, z ojcowskim sercem trwać blisko kapłanów – blisko kapłanów – i zakonników, praktykując sztukę słuchania.

Pozwolę sobie odejść od tekstu i przypomnieć wam o czterech bliskościach biskupa. Bliskość z Bogiem jest pierwszą. Ja, jako brat, pytam ciebie: modlisz się? Czy tylko odmawiasz brewiarz? Twoje serce modli się? Poświęcasz czas na modlitwę? „Ale, jestem bardzo zajęty…” Ale pośród tych zajęć każdego dnia umieść również to: modlitwę. Druga: bliskość między wami. Braterstwo biskupie, konferencja biskupów, to łaska. Nikt z was nie myśli identycznie jak inny: to jest bogactwo. Starajcie się jednak wprowadzać różnice w jedność episkopatu i nie szukajcie drogi układów. Wszyscy bracia. Myślisz inaczej niż ja, ale jesteś bratem. Podyskutujemy? Dyskutujmy. Będziemy krzyczeć? Krzyczmy. Ale jako bracia, to jest nietykalne: jedność Konferencji Episkopatu. To łaska: musimy o nią prosić. Jedność biskupów jest strzeżeniem Ludu Bożego. Trzecia bliskość to ta, o której wspomniałem: bliskość wobec kapłanów. „Najbliższym z bliskich” biskupa jest ksiądz. Powiem ci coś, co mnie bardzo boli. Spotykałem w niektórych diecezjach, zarówno w mojej ojczyźnie, kiedy tam byłem, w poprzedniej diecezji, jak i teraz, kiedy jestem w Rzymie, księży, którzy narzekają, trudnych: ale narzekają, bo chcą, potrzebują rozmawiać z biskupem. Tak mówią. I wiele razy słyszałem to: „Zadzwoniłem i sekretarka powiedziała, że jest zbyt zajęty, że sprawdził i powiedział: 'być może w ciągu trzech tygodni może umówić się na kwadrans'”. A ksiądz mówi: „nie, dziękuję, tak to nie chcę”, albo: „tak”. Ale to nie w porządku. Ksiądz czuje biskupa jako dalekiego, nie czuje, że jest ojcem. Dam wam pewną radę jako brat: kiedy wracacie do domu po misji, po wizycie w parafii, zmęczeni i widzicie, że jakiś ksiądz dzwonił, zadzwońcie do niego: tego samego dnia lub najpóźniej następnego dnia: nie później. Bliskość. A ten ksiądz, jeśli od razu zostanie wezwany, będzie wiedział, że ma ojca. To jest bardzo ważne. Bliskość wobec księży, a to oznacza także zakonników. "Ech, ale wiesz, ten ksiądz jest trudny...". Ale powiedz mi, który ojciec nie ma trudnego syna? Wszyscy. Dzieci kocha się takimi, jakimi są, a nie takimi, jakimi chciałbym, żeby były. A potem czwarta bliskość: bliskość ze świętym, wiernym ludem Bożym. Proszę, nie zapominajcie o waszym ludzie, skąd was Pan zabrał. „Zabrałem cię ze stada”: nie zapomnij o owczarni, z której cię zabrano. Co Paweł polecił Tymoteuszowi? „Pamiętaj o swojej matce i babci, o swoim ludzie”. Autor Listu do Hebrajczyków powiedział: „Pamiętaj o tych, którzy cię wtajemniczyli w wiarę”. Ilu pokornych katechetów, ile babć jest za tym się kryje. Serce niech będzie blisko ludu. Źle jest, gdy serce biskupa odwraca się od ludzi. Cztery bliskości. Zróbcie rachunek sumienia, jak to wygląda: sądzę, że dobrze, ale lubię o nich przypominać. Bliskość z Bogiem, bliskość między wami – „widzę niektórych o szczególnej historycznej, liturgicznej osobliwości, a innych tak różnych: bliskość z ich liturgią, z ich historią, bez chęci zawłaszczenia ich, latynizacji: nie, proszę, nie. Bliskość między wami, bliskość z kapłanami i bliskość ze świętym, wiernym ludem Bożym Aby być dzisiaj biskupem – zawsze, ale podkreślam, dzisiaj – trzeba ćwiczyć sztukę słuchania. A to nie jest łatwe. Nie bójcie się dawać miejsce Słowu Bożemu i angażować świeckich: oni będą kanałami, przez które rzeka wiary ponownie nawodni Węgry.

Druga wskazówka: być świadkami braterstwa. Wasz kraj jest miejscem, gdzie od dawna współistnieją ze sobą osoby wywodzące się z różnych narodów. Różne grupy etniczne, mniejszości, wyznania religijne i migranci przekształcili również ten kraj w środowisko wielokulturowe. Jest to coś nowego i, przynajmniej na początku, przerażającego. Różnorodność zawsze trochę przeraża, ponieważ stanowi zagrożenie dla nabytych pewników i mąci osiągniętą stabilność. Jest to jednak wspaniała okazja, aby otworzyć swoje serce na przesłanie Ewangelii: „Miłujcie się wzajemnie, tak jak Ja was umiłowałem” (J 15, 12). Wobec różnorodności kulturowej, etnicznej, politycznej i religijnej możemy przyjąć dwie postawy: możemy zamknąć się w sztywnej obronie naszej tak zwanej tożsamości, albo otworzyć się na spotkanie z innymi i wspólnie pielęgnować marzenie o społeczeństwie braterskim. Pragnę w tym miejscu przypomnieć, że właśnie w tej europejskiej stolicy, w 2017 roku, spotkaliście się z przedstawicielami innych konferencji biskupich Europy Środkowo-Wschodniej i podkreśliliście, że przynależność do własnej tożsamości nigdy nie może się stać powodem wrogości i pogardy względem innych, lecz powinna być pomocą w dialogu z odmiennymi kulturami. Prowadzić dialog, bez wystawiania na sprzedaż swojej przynależności.

Nad wielką rzeką, która przepływa przez to miasto wznosi się imponujący Most Łańcuchowy: zastąpił on kruchy drewniany most i służył połączeniu Budy i Pesztu. Jeśli chcemy, aby rzeka Ewangelii dotarła do życia ludzi, sprawiając, że również tutaj, na Węgrzech, będzie rozkwitać społeczeństwo bardziej braterskie i zjednoczone, potrzebujemy, aby Kościół budował nowe mosty dialogu. Proszę was, abyście jako biskupi zawsze ukazywali, wraz z waszymi kapłanami i współpracownikami duszpasterskimi, prawdziwe oblicze Kościoła: jest matką. Jest matką! Oblicze gościnne dla wszystkich, również dla tego, kto przychodzi z zewnątrz, oblicze braterskie, otwarte na dialog. Bądźcie pasterzami, którym leży na sercu braterstwo. Nie panami trzody, ale ojcami i braćmi. Niech styl braterstwa, o którego pielęgnowanie wraz z kapłanami i z całym Ludem Bożym was proszę, stanie się świetlistym znakiem dla Węgier. W ten sposób będzie kształtował się Kościół, w którym zwłaszcza świeccy, staną się zaczynem ewangelicznego braterstwa, na wszystkich płaszczyznach życia codziennego, rodzinnego, społecznego i zawodowego. Niech Kościół węgierski będzie budowniczym mostów i promotorem dialogu!

Wreszcie, trzecia rzecz, być budowniczymi nadziei. Jeśli postawimy Ewangelię w centrum i damy o niej świadectwo poprzez miłość braterską, możemy z nadzieją patrzeć w przyszłość, nawet jeśli dziś przeżywamy małe i wielkie burze. To jest właśnie to, do czego upowszechniania w życiu ludzi wezwany jest Kościół: uspokajająca pewność, że Bóg jest miłosierdziem, że kocha nas w każdym momencie życia i zawsze jest gotów nam przebaczyć i nas podnieść. Nie zapominajcie o tym stylu Boga, który jest stylem bliskości, współczucia i czułości. To jest Boży styl. Idźmy tą drogą, w tym stylu. Pokusa załamania się i zniechęcenia nigdy nie pochodzi od Boga. Nigdy. Pochodzi od nieprzyjaciela, ale jest podsycana w wielu sytuacjach: za fasadą dobrobytu, za szatą tradycji religijnych może być ukrytych wiele ciemnych aspektów. Kościół na Węgrzech miał ostatnio okazję zastanawiać się nad tym, jak wieloma sprzecznościami naznaczone jest przejście od epoki dyktatury do epoki odzyskanej wolności: upadek życia moralnego, wzrost przestępczości, handel narkotykami, aż po plagę handlu narządami ludzkimi, w wielu przypadkach pochodzącymi od dzieci, po to zamordowanych. Istnieją problemy społeczne: trudności rodzin, ubóstwo, rany dotykające świat ludzi młodych. Kościół nie może nie być promotorem bliskości, szafarzem szacunku i pociechy dla ludzi, by nigdy nie dali się oni okraść ze światła nadziei. Głoszenie Ewangelii ożywia nadzieję, ponieważ przypomina nam, że we wszystkim, co przeżywamy, obecny jest Bóg, towarzyszy nam, obdarza nas odwagą, obdarza nas kreatywnością, by zawsze rozpoczynać nową historię. Ze wzruszeniem przypominam słowa czcigodnego kardynała Józsefa Mindszenty'ego, syna i ojca tego Kościoła i tej ziemi, który u kresu życia wypełnionego cierpieniem z powodu prześladowań pozostawił następujące słowa nadziei: „Bóg jest młody. Przyszłość należy do niego. To on wywołuje w jednostkach i narodach to, co jest nowe, młode i jutrzejsze. Dlatego nie możemy poddać się rozpaczy”. (Messaggio al Presidente del Comitato organizzatore e agli ungheresi in esilio, in J. Közi Horváth, Mindszenty bíboros, 111). Bóg jest młody.

Obyście zawsze, w obliczu kryzysów, czy to społecznych czy kościelnych, byli budowniczymi nadziei. Jako biskupi tego kraju zawsze winniście mieć słowa otuchy. Niech w waszych ustach nie pojawia się mowa, która stwarza dystans i narzuca osąd, lecz taka, która pomaga Ludowi Bożemu patrzeć z ufnością w przyszłość, niech pomaga ona ludziom stawać się wolnymi i odpowiedzialnymi promotorami życia, będącego darem łaski, który należy przyjąć, a nie zagadką do rozwiązania. Kostka Rubika – waszego utalentowanego i sławnego architekta – niech pozostaje genialną grą, a nie wzorcem życia! I zapamiętajcie: pasterze owczarni. Pasterz musi być pośród owczarni: na czele owczarni, aby wskazywać kierunek drogi; pośrodku owczarni, aby poznać jego zapach; z tyłu owczarni, aby wspierać te, które zostają na końcu, a także po to, aby pozwolić, żeby owczarnia poszła nieco dalej, bo ma specjalny węch, który wskazuje, gdzie są dobre, pożywne tereny.

Drodzy bracia, także Węgry potrzebują odnowionego głoszenia Ewangelii, nowego braterstwa społecznego i religijnego, nadziei, którą należy budować dzień po dniu, aby z radością patrzeć w przyszłość. To wy jesteście pasterzami, budowniczymi tego procesu historycznego, tej pięknej przygody. Bracia, niech Bóg utwierdza was w radości waszej misji – w radości waszej misji! Dziękuję wam za wszystko, co czynicie i błogosławię wam z całego serca. Niech Matka Boża was chroni i święty Józef strzeże. A, jeśli będziecie mieli trochę czasu, pomódlcie się za Papieża. Dziękuję.

[01186-PL.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

الزّيارة الرسوليّة

إلى بودابست في مناسبة القداس الختامي للمؤتمر الإفخارستي الدولي الثاني والخمسين وإلى سلوفاكيا

كلمة قداسة البابا فرنسيس

في اللقاء مع الأساقفة

في متحف الفنون الجميلة

الأحد 12 أيلول/سبتمبر 2021

إخوتي الأعزّاء في الأسقفيّة، صباح الخير!

يسعدني كثيرًا أن أكون بينكم في مناسبة اختتام المؤتمر الإفخارستيّ الدّولي الثاني والخمسين. أشكر المونسنيور أندراس فيريس على كلمات التّرحيب التي وجّهها إلي، وأيضًا على الهدية التي قدمها لي نيابة عنكم جميعًا: إنّها جميلة جدًا، إنّها جميلة جدًا! شكرًا. وأحيّيكم جميعًا، وأشكركم على الاستقبال والإعداد لهذا الحدث، الذي يذكّرنا بمركزيّة الإفخارستيّا في حياة الكنيسة.

أودّ أن أشارككم بعض الأفكار، استنادًا على واقع الإفخارستيّة: في الخبز والخمر نرى المسيح يقدّم جسده ودمه من أجلنا. كنيسة هنغاريا، بتاريخها الطويل، الموسوم بالإيمان الرّاسخ، وبالاضطهاد ودماء الشهداء، ترتبط ارتباطًا خاصًّا بذبيحة المسيح. لقد عاش إخوة وأخوات كثيرون، وأساقفة وكهنة كثيرون ما احتفلوا به وقدّموه على المذبح: طُحنوا مثل حبّات القمح، كي يتمكّن الجميع من إشباع جوعهم بمحبّة الله. وعُصروا مثل العنب، حتّى يصير دم المسيح مُهجة حياة جديدة لهم. وحُطِمُوا تحطيمًا، لكن تقدمة حبّهم، كانت بذرة إنجيليّة زُرعت في تاريخ هذا الشعب، لولادة جديدة.

إذا نظرنا إلى هذا التاريخ، التاريخ الذي انقضى، المصنوع بالاستشهاد والدّم، يمكننا أن نسير نحو المستقبل، تملأنا رغبة الشهداء نفسها: أن نعيش المحبّة ونشهد للإنجيل. ولكن يجب أن نحافظ دائمًا على هاذين الواقعين معًا في حياة الكنيسة: المحافظة على الماضي والنظر إلى المستقبل. يجب أن نحافظ على جذورنا الدينيّة، وأن نحافظ على التاريخ الذي ننحدر منه، ولكن من دون البقاء ونظَرُنا إلى الوراء، بل ننظر إلى المستقبل، ننظر إلى الأمام ونجد سُبُلًا جديدة للبشارة بالإنجيل.

أحتفظ في قلبي حيةً ذكرى الرّاهبات الهنغاريّات من "جمعيّة يسوع" (Englische Fräulein)، الّلواتي أُجبرن على مغادرة وطنهنّ بسبب الاضطهاد الديني. وبشجاعتهنّ، وإخلاصهنَّ لدعوتهنَّ، أسّسْنَ دير ”ماريّا وارد“ (Maria Ward) في مدينة بلاتانوس بالقرب من العاصمة بوينس آيرس. تعلّمتُ الكثير من قوّتهنَّ، وشجاعتهنَّ، وصبرهنَّ وحبّهنَّ لوطنهنَّ. كانوا بالنّسبة لي شهادة. وبذِكرِي لهنَّ هنا اليوم، أعبِّر عن تقديري أيضًا للعديد من الرجال والنساء الذين اضطرّوا إلى الذّهاب إلى المنفى، وأحيّي أيضًا الكثيرين الذين ضحّوا بحياتهم من أجل وطنهم ومن أجل الإيمان.

أنتم الرعاة مدعوّون، قبل كلّ شيء، إلى تذكير شعبكم بهذا: التّقليد المسيحي - كما قال بنديكتوس السادس عشر - "ليس مجموعة من الأشياء، أو الكلمات، مثل صندوق مليء بالأشياء الميّتة. التّقليد هو نهر الحياة الجديدة الذي ينبع من الأصل، من المسيح، إلى أن يصل إلينا، ويُشركنا في تاريخ الله مع البشرية" (المقابلة العامّة، 3 مايو/أيّار 2006). لقد اخترتم موضوعًا للمؤتمر آيةً من المزمور 88: "فيكِ جَميعُ يَنابيعي". الكنيسة تأتي من الينبوع الذي هو المسيح، وهي مُرسَلة حتّى يصل الإنجيل، مثلَ نهرٍ ماء حيّ، أوسع بما لا حد له، وأرحب، من نهر الدانوب الكبير، إلى جفاف العالم وقلب الإنسان، كي يطهّره ويروي عطشه. لا تفيد الخدمة الأسقفيّة، إذن، بتكرار أخبار الماضي، بل هي صوت نبويّ لحضور الإنجيل الدّائم، في حياة شعب الله المقدّس وفي تاريخ اليوم.

أودّ أن أقترح عليكم بعض الإرشادات لإتمام هذه الرسالة.

الإرشاد الأول: كونوا مبشّرين بالإنجيل. ولا ننسَ أنّ الّلقاء بالمسيح هو محور حياة الكنيسة. أحيانًا، وخاصّة عندما لا يبدو المجتمع من حولنا متحمّسًا لرأينا المسيحيّ، تكون التجربة هي الانغلاق على أنفسنا في محاولة الدفاع عن المؤسّسات وعن البُنى. يمرّ بلدكم اليوم بتغيّرات كبيرة تؤثّر على أوروبّا بأكملها بشكل عام. بعد الوقت الطويل الذي مُنع فيه من إعلان إيمانه، ومع مجيء الحريّة، ظهرت تحدّيات جديدة يجب مواجهتها، في سياق تنمو فيه العلمانيّة ويضعف العطش إلى الله. ولكن لنتذكّر أنّ: المياه الحيّة، التي تتدفّق دائمًا وتروي هي المسيح. إنّ البُنى والمؤسّسات وحضور الكنيسة في المجتمع يُفيد فقط لإيقاظ العطش إلى الله في الناس وتوصيل ماء الإنجيل الحيّ إليهم. لذلك، مطلوب منكم أيّها الأساقفة، قبل كلّ شيء، ما يلي: لا الإدارة البيروقراطيّة للبُنى، دعوا الآخرين يفعلون ذلك، ولا البحث عن الامتيازات والمنافع. من فضلكم كونوا خدامًا. خدام وليس أمراء. ماذا اطلب منكم؟ الحبّ الشديد للإنجيل، كما هو الإنجيل. الأمانة والحبّ الشديد للإنجيل. كونوا شهودًا ومبشّرين بالإنجيل، انشروا الفرح، وكونوا قريبين من الكهنة - قريبين من الكهنة- والرهبان بقلب والدي، ومارسوا فنّ الإصغاء.

اسمح لنفسي بأن أستخدم من النص وأذكركم بنقاط القرب الأربعة للأسقف. القرب من الله هو الأمر الأوّل. بصفتي أخ أسألك: هل تصلّي؟ أم أنك فقط تذهب لتلاوة الفرض؟ هل يصلي قلبك؟ هل تعطي نفسك وقتًا للصلاة؟ ”لكن يحدث أنّني أكون مشغولًا جدًا...“. لكن مع كونك غارقًا في الأشغال، أضِف أيضا الصلاة: صَلِّ. الأمر الثاني: القرب فيما بينكم. الأخُوّة الأسقفيّة، ومجلس الأساقفة، هذه نعمة. لا أحد منكم يفكر مثل الآخر. هذا غنى. ومع ذلك، حاولوا أن تسَخِّروا الاختلافات أيضًا لوحَدة الأسقفية ولا تبحثوا عن طريق المخاصمات. الجميع إخوة. أنت تفكر غير ما أفكر. لكنك أخي. لنتناقش؟ لنتناقش. لنصرخ؟ لنصرخ. لكن مثل الإخوة، هذه لا يجوز المساس بها: وحدة مجلس الأساقفة. هي نعمة: يجب أن نطلبها. هي أن نحفظ شعب الله في وَحدة الأساقفة. والقرب الثالث هو ما ذكرته: القرب من الكهنة. "القريب الأقرب" من الأسقف هو الكاهن. أقول لكم أمرًا يؤلمني كثيرًا. لقد وجدت، في بعض الأبرشيات، إمّا في موطني، عندما كنت هناك، في الأبرشية السابقة، وإمّا الآن بكوني في روما، كهنةً يشتكون، وهم صَعْبون: لكنّهم يشتكون لأنّهم يريدون، وهم في حاجة لأن يتكلّموا مع الأسقف. هكذا كانوا يقولون. وقد سمعت هذا مرات عديدة: "اتصلت به وقال السكرتير إنّه مشغول للغاية، أو نظر في المواعيد وقال: ”بعد ثلاثة أسابيع يمكن أن يعطيك موعدًا لمدة ربع ساعة“. ويقول الكاهن: ”لا، شكرًا، لا أريد مثل هذا الموعد“، أو يقول: ”نعم“. ثم لا يذهب. يشعر الكاهن بأن الأسقف بعيد عنه، ولا يشعر أنّه أب. أعطيكم نصيحة من أخ: عندما تعودون إلى المطرانية بعد مهمة ما، أو بعد زيارة رعيّة، متعبين، وترون أن كاهنًا اتصل بكم، اتصلوا به: في نفس اليوم أو على الأقل في اليوم التالي: وليس بعد ذلك. القرب. وهذا الكاهن، إذا تم استدعاؤه فورًا، سيعرف أنّ له أبًا. هذا مهم جدًا. القرب من الكهنة، وهذا يعني أيضًا القرب من الرهبان. ”لكنّك تعلم أنّ هذا الكاهن صعب...“. لكن قل لي، أي أب ليس لديه ابن صعب؟ الجميع. الأبناء نحبّهم كما هم، وليس كما أريد أن يكونوا. ثمّ القرب الرابع: القرب من شعب الله المقدس الأمين لله. من فضلكم، لا تنسوا شعبكم، فمنه دعاكم الله. ”أنا دعوتك من خلف القطيع“: لا تنسوا القطيع الذي دُعِيتم منه. بماذا أوصى بولس تيموثاوس؟ ”اذكر والدتك وجدتك وشعبك“. قال كاتب الرسالة إلى العبرانيين: ”اذكروا الذين ربوكم على الإيمان". كم من المعلمين للتّعليم المسيحي المتواضعين، وكم من الجدات كانوا وراءهم. ليكن القلب قريبًا من الناس. إنّه أمر سيء أن يبتعد قلب الأسقف عن الشعب. هذه هي نقاط القرب الأربعة. افحصوا ضميركم: أين أنتم من هذه النقاط الأربع: أظن أنّ وَضْعَكم جيد. لكنّي أحب أن أكرر. القرب من الله، القرب فيما بينكم -أرى البعض له خصوصية تاريخية وليتورجية خاصة، وأرى البعض الآخر مختلفين تمامًا: القرب من ليتورجيتهم، ومن تاريخهم، دون الرغبة في أخذهم، وتحويلهم إلى الطقس اللاتيني: لا، من فضلكم، لا. القرب فيما بينكم، والقرب من الكهنة والقرب من شعب الله المقدس والأمين. لكي تكون أسقفًا اليوم -دائمًا، لكنّني أركز على "اليوم" - يجب أن تمارس فن الاستماع. وهذا ليس بالأمر السهل. لا تخافوا من تخصيص مكان في حياتكم لكلمة الله، ولا تخافوا من إشراك العلمانيّين: هم سيكونون القنوات التي من خلالها سوف يسقي نهر الإيمان هنغاريا مرّة أُخرى.

الإرشاد الثاني: كونوا شهودًا للأخوّة. يعتبر بلدكم المكان الذي يعيش فيه معًا منذ زمن أُناس قادمون من شعوب أخرى. أعراق مختلفة، وأقلّيّات، ومذاهب دينيّة ومهاجرون، حَوّلوا هذا البلد إلى بيئة متعدّدة الثقافات. هذا الواقع جديد، وقد يبدو لأوّل وهلة مخيفًا. التنوّع يخلق دائمًا بعض الخوف، لأنّه يُعَرِّض الأمن المُكتسب للخطر ويهدّد الاستقرار المحقّق. ومع ذلك، فهو فرصة كبيرة لفَتح القلب على رسالة الإنجيل: "أَحِبُّوا بَعْضُكم بَعضًا كما أَحبَبتُكم" (يوحنّا 15، 12). أمام الاختلافات الثقافيّة، والعرقيّة، والسياسيّة، والدينيّة، يمكن أن نتّخذ أحد الموقفين: أن ننغلق على أنفسنا في محاولة دفاع شديد عن ما يسمّى هويّتنا أو أن ننفتح للقاء الآخر ونُنَمّي معًا حلم المجتمع الأخويّ. أحبّ أن أذكّر هنا أنّه في هذه العاصمة الأوروبيّة بالتحديد، في عام 2017، اجتمعتم مع ممثّلي المجالس الأسقفيّة الأخرى لأوروبّا الوُسطى والشرقيّة وأكدتّم أنّ الانتماء إلى الهويّة يجب ألّا يصبح أبدًا سببًا للعداء ولاحتقار الآخرين، بل يجب أن يساعد لدعم الحوار مع الثقافات المختلفة. تحاوروا، لكن دون أن تتفاوضوا على انتماءاتكم الخاصة.

فوق النّهر الكبير الذي يعبر هذه المدينة بُني جسر السّلاسل المهيب: لقد حلّ مكان جسر خشبيّ هشّ وعمل على توحيد بودا وبيست. إذا أردنا أن يصل نهر الإنجيل إلى حياة الناس، وأن نعمل على خلق مجتمع أكثر أخوّة وتضامن هنا في هنغاريا أيضًا، نحن بحاجة إلى أن تبني الكنيسة جسورًا جديدة للحوار. أطلب منكم، كأساقفة، أن تُظهروا دائمًا، مع الكهنة والمعاونين الرّاعويّين، الوجه الحقيقي للكنيسة: هي أم. هي أم. وجهًا يرحّب بالجميع، حتّى بالقادمين من الخارج، ووجهًا أخويًّا، ومنفتحًا على الحوار. كونوا الرّعاة الذين يكترثون للأخوّة، لا أسيادًا للقطيع، بل آباء وإخوة. أتمنّى أن يصبح أسلوب الأخوّة، الذي أطلب منكم أن تمارسوه مع الكهنة ومع كلّ شعب الله، علامة مُشرقة لهنغاريا. وهكذا ستتكوَّن كنيسة، وسيصير فيها العلمانيّون خاصّة، في كلّ مجال من مجالات حياتهم اليوميّة، والعائليّة، والاجتماعيّة، والمهنيّة، خميرة الأخوّة الإنجيليّة. لتكن الكنيسة الهنغاريّة بَنّاءَة للجسور وداعية للحوار!

أخيرًا، الإرشاد الثالث، كونوا بُناة للرّجاء. إذا جعلنا الإنجيل محور حياتنا وشهدنا له بمحبّة أخويّة، يمكننا أن ننظر إلى المستقبل برجاء، حتّى لو كنّا نمرّ اليوم بعواصف صغيرة أو كبيرة. هذا ما دُعيت الكنيسة إلى نشره في حياة الناس: اليقين المُطَمْئِن بأنّ الله رحمة، وأنّه يحبّنا في كلّ لحظة من الحياة وهو مستعدٌّ دائمًا أن يغفر لنا وأن يقيمنا من جديد. لا تنسوا أسلوب الله الذي هو أسلوب القرب والرحمة والحنان. هذا هو أسلوب الله. لنسر في هذا الطريق بنفس الأسلوب. تجربةُ انهيارنا وإحباطنا لا تأتي من الله إطلاقًا. أبدًا. بل تأتي من العدو، ولكنّها تجد لها غذاء في مواقف كثيرة: خلف واجهة الرفاهيّة، وخلف رداء التقاليد الدينيّة، يمكن أن تختفي جوانب عديدة مظلمة. لقد أُتيحت الفرصة للكنيسة في هنغاريا مؤخّرًا للتّفكير في كيفيّة الانتقال من عصر الديكتاتوريّة إلى عصر الحريّة الجديدة، وهو انتقال يتميّز بالتناقضات: ظهر تدهور الحياة الأخلاقيّة، وزيادة الرذيلة والإجرام، وتجارة المخدّرات، وصولًا إلى آفة الاتجار بالأعضاء والعديد من الأحداث مع الأطفال، الذين قُتلوا من أجل هذا. وهناك مشاكل اجتماعيّة: صعوبات في حياة الأُسَر، والفقر، والجراح في عالم الشباب، في سياق لا تزال الديمقراطية بحاجة إلى توطيد نفسها. لا يمكن للكنيسة إلّا أن تكون رائدة بقربها من الناس، وباهتمامها بالناس والعزاء الذي تقدّمه لهم، حتّى لا يسمحوا بأن يُسرق منهم نور الرّجاء. يُعيد إعلان الإنجيل تنشيط الرّجاء لأنّه يذكّرنا بأنّ الله حاضر في كلّ شيء نعيشه، ويرافقنا، ويمنحنا الشجاعة ويمنحنا الإبداع لبدء قصّة جديدة دائمًا. من المؤثّر أن نتذكّر ما قاله الكاردينال المكرّم جوزيف ميندزنتي، ابنُ وأبو هذه الكنيسة وهذه الأرض، والذي ترك، في نهاية حياة مليئة بالألم والاضطهاد، كلمات الرّجاء هذه: "الله شاب. والمستقبل له. وهو الذي يجعل حاضرًا الجديد والشباب والغد في الأفراد والشعوب. لذلك لا يمكننا أن نستسلم لليأس" (رسالة إلى رئيس الّلجنة المنظمة وإلى الهنغاريّين في المنفى،in J. Közi Horváth،Mindszenty bíboros ، 111). الله شاب.

أمام الأزمات الاجتماعيّة أو الكنسيّة، كونوا دائمًا بُناةً للرّجاء. فليكن لديكم دائمًا، كأساقفة للبلاد، كلمات مشجّعة. يجب ألّا يظهر على شفاهكم تعابير تحدّد المسافات وتَفرض الأحكام، بل يجب أن تساعدوا شعب الله على التطلّع إلى المستقبل بثقة، وتساعدوا الأشخاص على أن يصبحوا أبطالًا أحرارًا ومسؤولين في الحياة، لأنّها عطيّة من النعمة تستحق أن نرحّب بها، وليست مشكلة يجب حلّها. يظلّ مكعّب روبيك، المهندس المعماري الموهوب والمشهور من بلدكم، لعبة عبقريّة، لكنّها ليست نموذجًا للحياة! وتذكروا: كونوا رعاة القطيع. يجب أن يكون الراعي داخل القطيع، وفي مقدمة القطيع ليشير إلى الطريق، وفي وسط القطيع ليعرف رائحته، وخلف القطيع لمساعدة الذين بقوا في الخلف، وأيضًا للسماح للقطيع بأن يتقدم قليلًا إلى الأمام، لأنّ لديه شمًّا خاصًا يعرف به أين توجد الأرض الطيبة والمغذية.

أيّها الإخوة الأعزّاء، تحتاج هنغاريا أيضًا إلى بشارة جديدة للإنجيل، وإلى أخوّة اجتماعيّة ودينيّة جديدة، وإلى رجاءٍ يتمّ بناؤه يومًا بعد يوم من أجل التطلّع إلى المستقبل بفرح. أنتم الرّعاة، صُنّاعُ هذه المسيرة التاريخيّة وهذه المغامرة الجميلة. إخوتي، ثبّتكم الله في فرح الرّسالة- فرح الرّسالة! أشكركم على كلّ ما تفعلونه وأبارككم من كلّ قلبي. لتحميكم السّيدة العذراء وليحفظكم القدّيس يوسف. وإذا كان لديكم قليل من الوقت، صلّوا من أجل البابا. شكرًا.

[01186-AR.02] [Testo originale: Italiano]

[B0558-XX.02]