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Benedizione dei Palli e Celebrazione Eucaristica nella Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, 29.06.2021


Omelia del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Nella Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, alle ore 9.30 nella Basilica Vaticana, il Santo Padre Francesco ha benedetto i Palli, presi dalla Confessione dell’Apostolo Pietro e destinati agli Arcivescovi Metropoliti nominati nel corso dell’anno. Il Pallio verrà poi imposto a ciascun Arcivescovo Metropolita dal Rappresentante Pontificio nella rispettiva Sede Metropolitana.

Dopo il rito di benedizione dei Palli, il Papa ha presieduto la Celebrazione Eucaristica con i Cardinali, con gli Arcivescovi Metropoliti e con i Vescovi Sacerdoti.

Come di consueto in occasione della Festa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, Patroni della Città di Roma, era presente alla Santa Messa una Delegazione del Patriarcato Ecumenico guidata dal Metropolita di Calcedonia Emmanuel Adamakis, accompagnato dal Metropolita greco ortodosso di Buenos Aires Iosif Bosch e dal Diacono Patriarcale Barnabas Grigoriadis.

Nel corso della Celebrazione Eucaristica, dopo la lettura del Vangelo, il Santo Padre ha pronunciato l’omelia che riportiamo di seguito:

Omelia del Santo Padre

Due grandi Apostoli, Apostoli del Vangelo, e due colonne portanti della Chiesa: Pietro e Paolo. Oggi festeggiamo la loro memoria. Guardiamo da vicino questi due testimoni della fede: al centro della loro storia non c’è la loro bravura, ma al centro c’è l’incontro con Cristo che ha cambiato la loro vita. Hanno fatto l’esperienza di un amore che li ha guariti e liberati e, per questo, sono diventati apostoli e ministri di liberazione per gli altri.

Pietro e Paolo sono liberi solo perché sono stati liberati. Soffermiamoci su questo punto centrale.

Pietro, il pescatore di Galilea, è stato anzitutto liberato dal senso di inadeguatezza e dall’amarezza del fallimento, e questo è avvenuto grazie all’amore incondizionato di Gesù. Pur essendo un esperto pescatore, ha sperimentato più volte, nel cuore della notte, il gusto amaro della sconfitta per non aver pescato nulla (cfr Lc 5,5; Gv 21,5) e, davanti alle reti vuote, ha avuto la tentazione di tirare i remi in barca; pur essendo forte e impetuoso, si è fatto prendere spesso dalla paura (cfr Mt 14,30); pur essendo un appassionato discepolo del Signore, ha continuato a ragionare secondo il mondo senza riuscire a comprendere e accogliere il significato della Croce del Cristo (cfr Mt 16,22); pur dicendosi pronto a dare la vita per Lui, gli è bastato sentirsi sospettato di essere dei suoi per spaventarsi e arrivare a rinnegare il Maestro (cfr Mc 14,66-72).

Eppure Gesù lo ha amato gratuitamente e ha scommesso su di lui. Lo ha incoraggiato a non arrendersi, a gettare ancora le reti in mare, a camminare sulle acque, a guardare con coraggio alla propria debolezza, a seguirlo sulla via della Croce, a dare la vita per i fratelli, a pascere le sue pecore. Così lo ha liberato dalla paura, dai calcoli basati sulle sole sicurezze umane, dalle preoccupazioni mondane, infondendogli il coraggio di rischiare tutto e la gioia di sentirsi pescatore di uomini. Ha chiamato proprio lui a confermare nella fede i fratelli (cfr Lc 22,32). A lui ha dato – lo abbiamo ascoltato nel Vangelo – le chiavi per aprire le porte che conducono all’incontro con il Signore e il potere di legare e sciogliere: legare i fratelli a Cristo e sciogliere i nodi e le catene della loro vita (cfr Mt 16,19).

Tutto ciò è stato possibile solo perché – come ci ha raccontato la prima Lettura – Pietro per primo è stato liberato. Le catene che lo tengono prigioniero vengono spezzate e, proprio come era accaduto nella notte della liberazione degli Israeliti dalla schiavitù dell’Egitto, gli viene chiesto di alzarsi in fretta, di mettere la cintura e legarsi i sandali per uscire. E il Signore spalanca le porte davanti a lui (cfr At 12,7-10). È una nuova storia di apertura, di liberazione, di catene spezzate, di uscita dalla prigionia che rinchiude. Pietro fa l’esperienza della Pasqua: il Signore lo ha liberato.

Anche l’Apostolo Paolo ha sperimentato la liberazione da parte di Cristo. È stato liberato dalla schiavitù più opprimente, quella del suo io, e da Saulo, nome del primo re di Israele, è diventato Paolo, che significa “piccolo”. È stato liberato anche dallo zelo religioso che lo aveva reso accanito nel sostenere le tradizioni ricevute (cfr Gal 1,14) e violento nel perseguitare i cristiani. È stato liberato. L’osservanza formale della religione e la difesa a spada tratta della tradizione, invece che aprirlo all’amore di Dio e dei fratelli, lo avevano irrigidito: era un fondamentalista. Da questo Dio lo liberò; e, invece, non gli risparmiò tante debolezze e difficoltà che resero più feconda la sua missione evangelizzatrice: le fatiche dell’apostolato, l’infermità fisica (cfr Gal 4,13-14); le violenze, e le persecuzioni, i naufragi, la fame e la sete, e, come egli stesso racconta, una spina che lo tormentò nella carne (cfr 2 Cor 12,7-10).

Paolo ha così compreso che «Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti» (1 Cor 1,27), che tutto possiamo in Lui che ci dà forza (cfr Fil 4,13), che niente può mai separarci dal Suo amore (cfr Rm 8,35-39). Per questo, alla fine della sua vita – ce lo ha narrato la Seconda Lettura – Paolo può dire: «il Signore mi è stato vicino» e «mi libererà da ogni male» (2 Tm 4,17.18). Paolo ha fatto l’esperienza della Pasqua: il Signore lo ha liberato.

Cari fratelli e sorelle, la Chiesa guarda a questi due giganti della fede e vede due Apostoli che hanno liberato la potenza del Vangelo nel mondo, solo perché sono stati prima liberati dall’incontro con Cristo. Egli non li ha giudicati, non li ha umiliati, ma ha condiviso la loro vita con affetto e vicinanza, sostenendoli con la sua stessa preghiera e, qualche volta, richiamandoli per scuoterli al cambiamento. A Pietro, Gesù dice teneramente: «Io ho pregato per te, affinché non venga meno la tua fede» (Lc 22,32); a Paolo chiede: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?» (At 9,4). Così Gesù fa anche con noi: ci assicura la sua vicinanza pregando per noi e intercedendo presso il Padre; e ci rimprovera con dolcezza quando sbagliamo, perché possiamo ritrovare la forza di rialzarci e riprendere il cammino.

Toccati dal Signore, anche noi veniamo liberati. E abbiamo sempre bisogno di venire liberati, perché solo una Chiesa libera è una Chiesa credibile. Come Pietro, siamo chiamati a essere liberi dal senso della sconfitta dinanzi alla nostra pesca talvolta fallimentare; a essere liberi dalla paura che ci immobilizza e ci rende timorosi, chiudendoci nelle nostre sicurezze e togliendoci il coraggio della profezia. Come Paolo, siamo chiamati a essere liberi dalle ipocrisie dell’esteriorità; a essere liberi dalla tentazione di imporci con la forza del mondo anziché con la debolezza che fa spazio a Dio; liberi da un’osservanza religiosa che ci rende rigidi e inflessibili; liberi dai legami ambigui col potere e dalla paura di essere incompresi e attaccati.

Pietro e Paolo ci consegnano l’immagine di una Chiesa affidata alle nostre mani, ma condotta dal Signore con fedeltà e tenerezza – è Lui che conduce la Chiesa –; di una Chiesa debole, ma forte della presenza di Dio; l’immagine di una Chiesa liberata che può offrire al mondo quella liberazione che da solo non può darsi: la liberazione dal peccato, dalla morte, dalla rassegnazione, dal senso dell’ingiustizia, dalla perdita della speranza che abbruttisce la vita delle donne e degli uomini del nostro tempo.

Chiediamoci oggi, in questa celebrazione e dopo, chiediamoci: le nostre città, le nostre società, il nostro mondo, quanto hanno bisogno di liberazione? Quante catene vanno spezzate e quante porte sbarrate devono essere aperte! Noi possiamo essere collaboratori di questa liberazione, ma solo se per primi ci lasciamo liberare dalla novità di Gesù e camminiamo nella libertà dello Spirito Santo.

Oggi i nostri fratelli Arcivescovi ricevono il Pallio. Questo segno di unità con Pietro ricorda la missione del pastore che dà la vita per il gregge. È donando la vita che il Pastore, liberato da sé, diventa strumento di liberazione per i fratelli. Oggi è con noi la Delegazione del Patriarcato Ecumenico, inviata in questa occasione dal caro fratello Bartolomeo: la vostra gradita presenza è un prezioso segno di unità nel cammino di liberazione dalle distanze che scandalosamente dividono i credenti in Cristo. Grazie per la vostra presenza.

Preghiamo per voi, per i Pastori, per la Chiesa, per tutti noi: perché, liberati da Cristo, possiamo essere apostoli di liberazione nel mondo intero.

[00926-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Deux grands Apôtres, Apôtres de l’Evangile, et deux colonnes portantes de l’Eglise: Pierre et Paul.Nous fêtons aujourd’hui leur mémoire. Regardons de près ces deux témoins de la foi: au centre de leur histoire, ce n’est pas la bravoure, mais au centre c’est la rencontre avec le Christ qui a changé leur vie.Ils ont fait l’expérience d’un amour qui les a guéris et libérés et c’est pourquoi ils sont devenus apôtres et ministres de libération pour les autres.

Pierre et Paul sont libres seulement parce qu’ils ont été libérés.

Arrêtons-nous sur ce point central.

Pierre, le pêcheur de Galilée, a été tout d’abord libéré du sentiment d’inaptitude et de l’amertume de l’échec, et cela s’est produit grâce à l’amour inconditionnel de Jésus.Bien que pêcheur expérimenté, il a expérimenté plusieurs fois, au cœur de la nuit, le goût amer de la défaite de n’avoir rien pêché (cf. Lc 5, 5 ;Jn 21, 5) et, devant les filets vides, il a eu la tentation de tirer les rames dans la barque ;bien que fort et impétueux, il s’est souvent laissé prendre par la peur (cf. Mt 14, 30) ;bien que disciple passionné du Seigneur, il a continué à raisonner selon le monde sans parvenir à comprendre et accueillir la signification de la Croix du Christ (cf. Mt 16, 22) ;bien que se disant prêt à donner sa vie pour lui, il a suffi qu’il se sente soupçonné d’être des siens pour s’effrayer au point de renier le Maître (cf. Mc 14, 66-72).

Pourtant, Jésus l’a aimé gratuitement et a misé sur lui. Il l’a encouragé à ne pas abandonner, à jeter encore les filets à la mer, à marcher sur les eaux, à regarder avec courage sa faiblesse, à le suivre sur la voie de la croix, à donner sa vie pour ses frères, à paître ses brebis. Il l’a ainsi libéré de la peur, des calculs basés sur les seules sécurités humaines, des soucis mondains, en lui donnant le courage de tout risquer, et la joie de se sentir pêcheur d’hommes.Il l’a appelé lui à confirmer dans la foi ses frères (cf. Lc 22, 32). Il lui a donné – nous l’avons entendu dans l’Evangile – les clefs pour ouvrir les portes qui conduisent à la rencontre avec le Seigneur et le pouvoir de lier et de délier: de lier les frères au Christ et de délier les nœuds et les chaînes de leur vie (cf. Mt 16, 19).

Tout cela a été possible seulement parce que – comme nous l’a raconté la première lecture – Pierre a d’abord été libéré. Les chaînes qui le retenaient prisonnier ont été brisées et,comme cela s’était produit dans la nuit de la libération des Israélites de l’esclavage d’Égypte, il lui a été demandé de se lever rapidement, de mettre sa ceinture et de s’attacher les sandales pour sortir.Et le Seigneur ouvre grand les portes devant lui (cf. Ac 12, 7-10). C’est une nouvelle histoire d’ouverture, de libération, de chaînes brisées, de sortie de la prison qui enferme.Pierre fait l’expérience de la Pâque: le Seigneur l’a libéré.

L’Apôtre Paul a également expérimenté la libération du Christ. Il a été libéré de l’esclavage le plus oppressant, celui de son moi, et de Saul, nom du premier roi d’Israël, il est devenu Paul qui signifie “petit”. Il a également été libéré du zèle religieux qui l’avait rendu acharné à soutenir les traditions reçues (cf. Ga 1, 14) et violent dans la persécution des chrétiens. Il a été libéré. L’observance formelle de la religion et sa défense par l’épée tirée de la tradition, au lieu de l’ouvrir à l’amour de Dieu et des frères, l’avaient rendu rigide. Il était un fondamentaliste. Dieu l’a libéré de cela. Par contre,il ne lui a pas épargné de nombreuses faiblesses et difficultés qui ont rendu sa mission évangélisatriceplus féconde : les fatigues de l’apostolat, l’infirmité physique (cf. Ga 4, 13-14) ;les violences et les persécutions, les naufrages, la faim et la soif, et, comme il le raconte lui-même, une épine qui le tourmente dans la chair (cf. 2 Co 12, 7-10).

Paul a ainsi compris que «Dieu a choisi ce qu’il y a de faible dans le monde pour couvrir de confusion ce qui est fort» (1 Co 1, 27), que nous pouvons tout en lui qui nous donne force (cf. Ph 4, 13),que rien ne peut jamais nous séparer de son amour (cf. Rm 8, 35-39). C’est pourquoi, à la fin de sa vie – la Deuxième Lecture nous l’a raconté – Paul peut dire: «Le Seigneur, lui, m’a assisté» (2 Tm 4, 17) et «il m’arrachera encore à tout ce qu’on fait pour me nuire » (2 Tm 4, 18). Paul a fait l’expérience de la Pâque: le Seigneur l’a libéré.

Chers frères et sœurs, l’Eglise regarde ces deux géants de la foi et voit deux Apôtres qui ont libéré la puissance de l’Evangile dans le monde, uniquement parce qu’ils ont d’abord été libérés par la rencontre avec le Christ.Il ne les a pas jugés, il ne les a pas humiliés, mais il a partagé leur vie avec affection et proximité, en les soutenant de sa prière et, parfois, en les reprenant pour les provoquer au changement.A Pierre, Jésus dit tendrement : « J’ai prié pour toi, afin que ta foi ne défaille pas» (Lc 22, 32); il demande à Paul: « Saul, Saul, pourquoi me persécuter?» (Ac 9, 4). Jésus fait de même avec nous: il nous assure de sa proximité en priant pour nous et en intercédant auprès du Père ; et il nous reproche avec douceur quand nous faisons erreur, afin que nous puissions trouver la force de nous relever et de reprendre le chemin.

Touchés par le Seigneur, nous sommes libérés nous aussi.Et nous avons toujours besoin d’être libérés, car seule une Eglise libre est une Eglise crédible.Comme Pierre, nous sommes appelés à être libres du sentiment de défaite face à notre pêche parfois faible ; libres de la peur qui nous immobilise et nous rend craintifs, en nous enfermant dans nos sécurités et en nous ôtant le courage de la prophétie.Comme Paul, nous sommes appelés à être libres des hypocrisies de l’apparence; libres de la tentation de nous imposer par la force du monde plutôt que par la faiblesse qui fait place à Dieu ; libres d’une observance religieuse qui nous rend rigides et inflexibles; libres des liens ambigus avec le pouvoir et de la peur d’être incompris et attaqués.

Pierre et Paul nous livrent l’image d’une Eglise remise entre nos mains, mais conduite par le Seigneur avec fidélité et tendresse – c’est lui qui conduit l’Eglise - ;une Eglise faible, mais forte de la présence de Dieu ;l’image d’une Eglise libérée qui peut offrir au monde cette libération qu’il ne peut pas se donner tout seul : la libération du péché, de la mort, de la résignation, du sens de l’injustice, de la perte de l’espérance qui avilit la vie des femmes et des hommes de notre temps.

Demandons-nousaujourd’hui, dans cette célébration et ensuite, demandons-nous : nos villes, nos sociétés, notre monde, à quel point ont-ils besoin de libération ?Combien de chaînes doivent-elles être brisées et combien de portes fermées doivent-elles être ouvertes!Nous pouvons être des collaborateurs de cette libération, mais seulement si nous nous laissons d’abord libérer par la nouveauté de Jésus, et si nous marchons dans la liberté de l’Esprit Saint.

Aujourd’hui, nos frères Archevêques reçoivent le pallium. Ce signe d’unité avec Pierre rappelle la mission du pasteur qui donne sa vie pour le troupeau. C’est en donnant sa vie que le pasteur, libéré de lui-même, devient instrument de libération pour les frères. Aujourd’hui, la Délégation du Patriarcat œcuménique, envoyée en cette occasion par le cher frère Bartolomeo,est avec nous : votre présence appréciée est un précieux signe d’unité sur le chemin de libération des distances qui divisent scandaleusement ceux qui croient au Christ. Merci de votre présence.

Nous prions pour vous, pour les pasteurs, pour l’Eglise, pour nous tous: afin que, libérés par le Christ, nous puissions être des apôtres de libération dans le monde entier.

[00926-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

Two great Apostles of the Gospel and two pillars of the Church: Peter and Paul. Today we celebrate their memory. Let us take a closer look at these two witnesses of faith. At the heart of their story is not their own gifts and abilities; at the centre is the encounter with Christ that changed their lives. They experienced a love that healed them and set them free. They then became apostles and ministers of freedom for others.

Peter and Paul were free because they were set free. Let us reflect on this central point.

Peter, the fisherman from Galilee, was set free above all from his sense of inadequacy and his bitter experience of failure, thanks to the unconditional love of Jesus. Although a skilled fisher, many times, in the heart of the night, he tasted the bitterness of frustration at having caught nothing (cf. Lk 5:5; Jn 21:5) and, seeing his empty nets, was tempted to pull up his oars. Though strong and impetuous, Peter often yielded to fear (cf. Mt 14:30). Albeit a fervent disciple of the Lord, he continued to think by worldly standards, and thus failed to understand and accept the meaning of Christ’s cross (cf. Mt 16:22). Even after saying that he was ready to give his life for Jesus, the mere suspicion that he was one of Christ’s disciples led him in fright to deny the Master (cf. Mk 14:66-72).

Jesus nonetheless loved Peter and was willing to take a risk on him. He encouraged Peter not to give up, to lower his nets once more, to walk on water, to find the strength to accept his own frailty, to follow him on the way of the cross, to give his life for his brothers and sisters, to shepherd his flock. In this way, Jesus set Peter free from fear, from calculations based solely on worldly concerns. He gave him the courage to risk everything and the joy of becoming a fisher of men. It was Peter whom Jesus called to strengthen his brothers in faith (cf. Lk 22:32). He gave him – as we heard in the Gospel – the keys to open the doors leading to an encounter with the Lord and the power to bind and loose: to bind his brothers and sisters to Christ and to loosen the knots and chains in their lives (cf. Mt 16:19).

All that was possible only because – as we heard in the first reading – Peter himself had been set free. The chains that held him prisoner were shattered and, as on the night when the Israelites were set free from bondage in Egypt, he was told to arise in haste, fasten his belt and put on his sandals in order to go forth. The Lord then opened the doors before him (cf. Acts 12:7-10). Here we see a new history of opening, liberation, broken chains, exodus from the house of bondage. Peter had a Passover experience: the Lord set him free.

The Apostle Paul also experienced the freedom brought by Christ. He was set free from the most oppressive form of slavery, which is slavery to self. From Saul, the name of the first king of Israel, he became Paul, which means “small”. He was also set free from the religious fervour that had made him a zealous defender of his ancestral traditions (cf. Gal 1:14) and a cruel persecutor of Christians. Set free. Formal religious observance and the intransigent defence of tradition, rather than making him open to the love of God and of his brothers and sisters, had hardened him: he was a fundamentalist. God set him free from this, yet he did not spare him the frailties and hardships that rendered his mission of evangelization more fruitful: the strain of the apostolate, physical infirmity (cf. Gal 4:13-14); violence and persecution, shipwreck, hunger and thirst, and, as he himself tells us, a painful thorn in the flesh (cf. 2 Cor 12:7-10).

Paul thus came to realize that “God chose what is weak in the world to shame the strong” (1 Cor 1:27), that we can do all things through him who strengthens us (cf. Phil 4:13), and that nothing can ever separate us from his love (cf. Rom 8:35-39). For this reason, at the end of his life – as we heard in the second reading – Paul was able to say: “the Lord stood by me” and “he will rescue me from every evil attack” (2 Tim 4:17). Paul had a Passover experience: the Lord set him free.

Dear brothers and sisters, the Church looks to these two giants of faith and sees two Apostles who set free the power of the Gospel in our world, only because first they themselves had been set free by their encounter with Christ. Jesus did not judge them or humiliate them. Instead, he shared their life with affection and closeness. He supported them by his prayer, and even at times reproached them to make them change. To Peter, Jesus gently says: “I have prayed for you that your own faith may not fail” (Lk 22:32). And to Paul: “Saul, Saul, why do you persecute me?” (Acts 9:4). He does the same with us: he assures us of his closeness by praying and interceding for us before the Father, and gently reproaching us whenever we go astray, so that we can find the strength to arise and resume the journey.

We too have been touched by the Lord; we too have been set free. Yet we need to be set free time and time again, for only a free Church is a credible Church. Like Peter, we are called to be set free from a sense of failure before our occasionally disastrous fishing. To be set free from the fear that paralyzes us, makes us seek refuge in our own securities, and robs us of the courage of prophecy. Like Paul, we are called to be set free from hypocritical outward show, free from the temptation to present ourselves with worldly power rather than with the weakness that makes space for God, free from a religiosity that makes us rigid and inflexible; free from dubious associations with power and from the fear of being misunderstood and attacked.

Peter and Paul bequeath to us the image of a Church entrusted to our hands, yet guided by the Lord with fidelity and tender love, for it is he who guides the Church. A Church that is weak, yet finds strength in the presence of God. The image of a Church set free and capable of offering the world the freedom that the world by itself cannot give: freedom from sin and death, from resignation, and from the sense of injustice and the loss of hope that dehumanizes the lives of the women and men of our time.

Let us ask, today in this celebration but afterwards as well: to what extent do our cities, our societies and our world need freedom? How many chains must be shattered and how many doors long shut must be opened! We can help bring this freedom, but only if we first let ourselves be set free by the newness of Jesus, and walk in the freedom of the Holy Spirit.

Today our brother Archbishops receive the pallium. This sign of unity with Peter recalls the mission of the shepherd who gives his life for the flock. It is in giving his life that the shepherd, himself set free, becomes a means of bringing freedom to his brothers and sisters. Today, too, we are joined by a Delegation from the Ecumenical Patriarchate, sent for this occasion by our dear brother Bartholomew. Your welcome presence is a precious sign of unity on our journey of freedom from the distances that scandalously separate believers in Christ. Thank you for your presence.

We pray for you, for all Pastors, for the Church and for all of us: that, set free by Christ, we may be apostles of freedom throughout the world.

[00926-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Zwei große Apostel des Evangeliums und zwei tragende Säulen der Kirche: Petrus und Paulus. Heute begehen wir ihr feierliches Gedenken. Schauen wir uns diese beiden Glaubenszeugen näher an: Im Mittelpunkt ihrer Geschichte steht nicht ihre Tüchtigkeit, sondern im Mittelpunkt steht die Begegnung mit Christus, die ihr Leben verändert hat. Sie machten die Erfahrung einer Liebe, die sie heilte und befreite, und dadurch wurden sie zu Aposteln und Dienern der Befreiung für andere.

Petrus und Paulus sind nur deshalb frei, weil sie zuvor befreit wurden. Bleiben wir ein wenig bei diesem zentralen Punkt.

Petrus, der Fischer aus Galiläa, wurde vor allem von dem Gefühl der Unzulänglichkeit und der Bitterkeit des Versagens befreit, und das geschah dank der bedingungslosen Liebe Jesu. Obwohl er ein erfahrener Fischer war, erlebte er mehrmals mitten in der Nacht den bitteren Geschmack der Niederlage, weil er nichts gefangen hatte (vgl. Lk 5,5; Joh 21,5), und angesichts der leeren Netze war er versucht aufzugeben; obwohl er stark und ungestüm war, wurde er oft von Angst ergriffen (vgl. Mt 14,30); obwohl er ein leidenschaftlicher Jünger des Herrn war, folgte er weiter der Logik der Welt ohne die Bedeutung des Kreuzes Christi zu verstehen und anzunehmen (vgl. Mt 16,22); obwohl er sagte, er sei bereit, sein Leben für den Herrn hinzugeben, genügte schon die Verdächtigung, er gehöre zu Jesus, dass er Angst bekam und schließlich den Meister verleugnete (vgl. Mk 14,66-72).

Doch Jesus liebte ihn auch ohne Gegenleistung und er baute auf ihn. Er ermutigte ihn, nicht aufzugeben, seine Netze erneut ins Meer zu werfen, auf dem Wasser zu gehen, mutig auf seine Schwachheit zu schauen, ihm auf dem Kreuzweg zu folgen, sein Leben für seine Brüder und Schwestern zu geben, seine Schafe zu weiden. Auf diese Weise befreite er ihn von der Angst, von Berechnungen, die allein auf menschlichen Sicherheiten beruhen, von weltlichen Sorgen und gab ihm sowohl den Mut, alles zu riskieren als auch die Freude darüber, sich als Menschenfischer zu empfinden. Er berief gerade ihn dazu, seine Brüder und Schwestern im Glauben zu stärken (vgl. Lk 22,32). Ihm hat er – wie wir im Evangelium gehört haben – die Schlüssel übergegeben, um die Türen zu öffnen, die zur Begegnung mit dem Herrn führen, und die Macht, zu binden und zu lösen: die Brüder und Schwestern an Christus zu binden und die Knoten und Ketten ihres Lebens zu lösen (vgl. Mt 16,19).

All das war nur möglich, weil – wie die Erste Lesung erzählt – Petrus zuerst befreit wurde. Die Ketten, die ihn gefangen halten, werden zerbrochen, und genau wie in der Nacht der Befreiung der Israeliten aus der Sklaverei in Ägypten wird er aufgefordert, schnell aufzustehen, sich zu gürten und seine Sandalen anzuziehen, um hinauszugehen. Und der Herr öffnet ihm die Türen weit (vgl. Apg 12,7-10). Es ist eine neue Geschichte der Öffnung, der Befreiung, der zerbrochenen Ketten, des Herauskommens aus einengender Gefangenschaft. Petrus macht die Ostererfahrung: Der Herr hat ihn befreit.

Auch der Apostel Paulus erlebte diese Befreiung durch Christus. Er wurde von der bedrückendsten Sklaverei befreit, nämlich der seines eigenen Ich, und aus Saulus, das ist der Name des ersten Königs von Israel, wurde Paulus, was „Kleiner“ bedeutet. Er wurde auch von dem religiösen Eifer befreit, der ihn zu einem glühenden Verfechter der überkommenen Traditionen gemacht hatte (vgl. Gal 1,14) und zu einem gewalttätigen Verfolger der Christen. Er wurde befreit. Die formale Befolgung der Religion und die verbissene Verteidigung der Tradition hatten ihn starr werden lassen, anstatt ihn für die Liebe zu Gott und zu seinen Brüdern und Schwestern zu öffnen: Er war ein Fundamentalist. Davon hat Gott ihn befreit; zugleich aber verschonte er ihn nicht vor vielen Schwächen und Schwierigkeiten, die seinen Evangelisierungsauftrag fruchtbarer machten: vor den Mühen des Apostolats, vor körperlichen Gebrechen (vgl. Gal 4,13-14), vor Gewalt, Verfolgung, Schiffbruch, Hunger und Durst und, wie er selbst erzählt, vor einem Stachel im Fleisch, der ihn plagte (vgl. 2 Kor 12,7-10).

So verstand Paulus, dass Gott das Schwache in der Welt erwählt hat, um das Starke zuschanden zu machen (vgl.1 Kor 1,27), dass wir alles durch den vermögen, der uns stärkt (vgl. Phil 4,13), dass uns nichts jemals von seiner Liebe scheiden kann (vgl. Röm 8,35-39). Deshalb kann Paulus am Ende seines Lebens – wie uns die Zweite Lesung berichtet – sagen: »Der Herr stand mir zur Seite« und »er wird mich allem bösen Treiben entreißen« (2 Tim 4,18). Paulus machte die Ostererfahrung: Der Herr hat ihn befreit.

Liebe Brüder und Schwestern, die Kirche schaut auf diese beiden Giganten des Glaubens und sieht zwei Apostel, die die Kraft des Evangeliums nur deshalb in der Welt freisetzen konnten, weil sie zuvor durch die Begegnung mit Christus befreit worden waren. Er hat sie nicht verurteilt, er hat sie nicht gedemütigt, sondern ihr Leben mit Zuneigung und Nähe geteilt, indem er sie mit seinem Gebet unterstützte und sie manchmal ermahnte und wachrüttelte, um eine Veränderung hervorzurufen. Zu Petrus sagt Jesus liebevoll: »Ich aber habe für dich gebetet, dass dein Glaube nicht erlischt« (Lk 22,32); Paulus fragt er: »Saul, Saul, warum verfolgst du mich?« (Apg 9,4). Jesus tut dasselbe auch mit uns: Er versichert uns seiner Nähe, er betet für uns und legt beim Vater Fürsprache für uns ein; und er weist uns sanft zurecht, wenn wir Fehler machen, damit wir die Kraft finden, aufzustehen und uns wieder auf den Weg zu machen.

Vom Herrn berührt, werden auch wir befreit. Und wir bedürfen immer der Befreiung, denn nur eine freie Kirche ist eine glaubwürdige Kirche. Wie Petrus sind wir berufen, frei zu sein von dem Gefühl der Niederlage angesichts unseres manchmal erfolglosen Fischfangs; frei zu sein von der Angst, die uns lähmt und ängstlich macht, uns in unsere Sicherheiten verschließt und uns den Mut zur Prophetie nimmt. Wie Paulus sind wir berufen, frei zu sein von der Heuchelei der Äußerlichkeit; frei zu sein von der Versuchung, uns mit der Macht der Welt aufzudrängen statt mit der Schwäche, die Gott Raum gibt; frei von einer religiösen Observanz, die uns starr und unflexibel macht; frei von zweifelhaften Verbindungen mit der Macht und frei von der Angst, nicht verstanden und angegriffen zu werden.

Petrus und Paulus liefern uns das Bild einer Kirche, die uns anvertraut ist, aber vom Herrn mit Treue und Zärtlichkeit geführt wird - er ist es, der die Kirche führt; einer schwachen Kirche, in der Gott jedoch machtvoll gegenwärtig ist; das Bild einer befreiten Kirche, die der Welt jene Befreiung vermitteln kann, die sie sich selbst nicht geben kann: Befreiung von Sünde, Tod, Resignation, Ungerechtigkeit und vom Verlust der Hoffnung, der das Leben der Frauen und Männer unserer Zeit belastet.

Fragen wir uns heute, in dieser Feier und danach, fragen wir uns: Wie sehr bedürfen unsere Städte, unsere Gesellschaften, unsere Welt der Befreiung? Wie viele Ketten müssen gesprengt und wie viele verriegelte Türen müssen geöffnet werden! Wir können an dieser Befreiung mitwirken, aber nur, wenn wir uns zuerst selbst von der Neuheit Jesu befreien lassen und in der Freiheit des Heiligen Geistes wandeln.

Heute erhalten unsere Mitbrüder Erzbischöfe das Pallium. Dieses Zeichen der Einheit mit Petrus erinnert an die Sendung des Hirten, der sein Leben für die Herde hingibt. Indem er sein Leben hingibt, wird der von sich selbst befreite Hirte zu einem Werkzeug der Befreiung für seine Brüder und Schwestern. Bei uns ist heute die Delegation des Ökumenischen Patriarchats, die zu diesem Anlass von unserem lieben Bruder Bartholomäus entsandt wurde: Eure geschätzte Anwesenheit ist ein wertvolles Zeichen der Einheit auf dem Weg der Befreiung von der Fremdheit, die die Christen in skandalöser Weise trennt. Danke für eure Anwesenheit.

Wir beten für euch, für die Hirten, für die Kirche, für uns alle: dass wir, von Christus befreit, in der ganzen Welt Apostel der Befreiung sein können.

[00926-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

Dos grandes Apóstoles, Apóstoles del Evangelio, y columnas de la Iglesia: Pedro y Pablo. Hoy celebramos su memoria. Observemos de cerca a estos dos testigos de la fe. En el centro de su historia no están sus capacidades, sino que en el centro está el encuentro con Cristo que cambió sus vidas. Experimentaron un amor que los sanó y los liberó y, por ello, se convirtieron en apóstoles y ministros de liberación para los demás.

Pedro y Pablo son libres sólo porque fueron liberados. Detengámonos en este punto central.

Pedro, el pescador de Galilea, fue liberado ante todo del sentimiento de inadecuación y de la amargura del fracaso, y esto ocurrió gracias al amor incondicional de Jesús. Aunque era un pescador experto, varias veces experimentó, en plena noche, el amargo sabor de la derrota por no haber pescado nada (cf. Lc 5,5; Jn 21,5) y, ante las redes vacías, tuvo la tentación de abandonarlo todo. A pesar de ser fuerte e impetuoso, a menudo se dejó llevar por el miedo (cf. Mt 14,30). Si bien era un apasionado discípulo del Señor, siguió razonando según el mundo, sin ser capaz de entender y aceptar el significado de la cruz de Cristo (cf. Mt 16,22). Aunque decía que estaba dispuesto a dar la vida por Él, fue suficiente sentir que sospechaban que era uno de los suyos para asustarse y llegar a negar al Maestro (cf. Mc 14,66-72).

Sin embargo, Jesús lo amó gratuitamente y apostó por él. Lo animó a no rendirse, a echar de nuevo las redes al mar, a caminar sobre las aguas, a mirar con valentía su propia debilidad, a seguirlo en el camino de la cruz, a dar la vida por sus hermanos, a apacentar sus ovejas. De este modo lo liberó del miedo, de los cálculos basados únicamente en las seguridades humanas, de las preocupaciones mundanas, infundiéndole el valor de arriesgarlo todo y la alegría de sentirse pescador de hombres. Y lo llamó precisamente a él para que confirmara a sus hermanos en la fe (cf. Lc 22,32). A él le dio ―como hemos escuchado en el Evangelio― las llaves para abrir las puertas que conducen al encuentro con el Señor y el poder de atar y desatar: atar los hermanos a Cristo y desatar los nudos y las cadenas de sus vidas (cf. Mt 16,19).

Todo esto fue posible sólo porque ―como nos dice la primera lectura― Pedro fue el primero en ser liberado. Se rompieron las cadenas que lo tenían prisionero y, al igual que había ocurrido en la noche que los israelitas fueron liberados de la esclavitud en Egipto, se le pidió que se levantara rápidamente, que se pusiera el cinturón y se atara las sandalias para poder salir. Y el Señor le abrió las puertas de par en par (cf. Hch 12,7-10). Es una nueva historia de apertura, de liberación, de cadenas rotas, de salida del cautiverio que encierra. Pedro tuvo la experiencia de la Pascua: el Señor lo liberó.

También el apóstol Pablo experimentó la liberación de Cristo. Fue liberado de la esclavitud más opresiva, la de su ego. Y de Saulo, el nombre del primer rey de Israel, pasó a ser Pablo, que significa “pequeño”. Fue librado también del celo religioso que lo había hecho encarnizado defensor de las tradiciones que había recibido (cf. Gal 1,14) y violento perseguidor de los cristianos. Fue liberado. La observancia formal de la religión y la defensa a capa y espada de la tradición, en lugar de abrirlo al amor de Dios y de sus hermanos, lo volvieron rígido: era un fundamentalista. Dios lo libró de esto, pero no le ahorró, en cambio, muchas debilidades y dificultades que hicieron más fecunda su misión evangelizadora: las fatigas del apostolado, la enfermedad física (cf. Ga 4,13-14), la violencia, la persecución, los naufragios, el hambre y la sed, y —como él mismo contaba— una espina que lo atormentaba en la carne (cf. 2 Co 12,7-10).

Así, Pablo comprendió que «Dios eligió lo débil del mundo para confundir a los fuertes» (1 Co 1,27), que todo lo podemos en aquel que nos fortalece (cf. Flp 4,13), que nada puede separarnos de su amor (cf. Rm 8,35-39). Por eso, al final de su vida ―como nos dice la segunda lectura― Pablo pudo decir: «el Señor me asistió» y «me seguirá librando de toda obra mala» (2 Tm 4,17). Pablo tuvo la experiencia de la Pascua: el Señor lo liberó.

Queridos hermanos y hermanas, la Iglesia mira a estos dos gigantes de la fe y ve a dos Apóstoles que liberaron la fuerza del Evangelio en el mundo, sólo porque antes fueron liberados por su encuentro con Cristo. Él no los juzgó, no los humilló, sino que compartió su vida con afecto y cercanía, apoyándolos con su propia oración y a veces reprendiéndolos para moverlos a que cambiaran. A Pedro, Jesús le dice con ternura: «He rogado por ti para que no pierdas tu fe» (Lc 22,32), a Pablo le pregunta: «Saulo, Saulo, ¿por qué me persigues?» (Hch 9,4). Jesús hace lo mismo con nosotros: nos asegura su cercanía rezando por nosotros e intercediendo ante el Padre, y nos reprende con dulzura cuando nos equivocamos, para que podamos encontrar la fuerza de levantarnos y reanudar el camino.

Tocados por el Señor, también nosotros somos liberados. Siempre necesitamos ser liberados, porque sólo una Iglesia libre es una Iglesia creíble. Como Pedro, estamos llamados a liberarnos de la sensación de derrota ante nuestra pesca, a veces infructuosa; a liberarnos del miedo que nos inmoviliza y nos hace temerosos, encerrándonos en nuestras seguridades y quitándonos la valentía de la profecía. Como Pablo, estamos llamados a ser libres de las hipocresías de la exterioridad, a ser libres de la tentación de imponernos con la fuerza del mundo en lugar de hacerlo con la debilidad que da cabida a Dios, libres de una observancia religiosa que nos vuelve rígidos e inflexibles, libres de vínculos ambiguos con el poder y del miedo a ser incomprendidos y atacados.

Pedro y Pablo nos dan la imagen de una Iglesia confiada a nuestras manos, pero conducida por el Señor con fidelidad y ternura ―es Él quien guía a la Iglesia―; de una Iglesia débil, pero fuerte por la presencia de Dios; la imagen de una Iglesia liberada que puede ofrecer al mundo la liberación que no puede darse a sí mismo: liberación del pecado, de la muerte, de la resignación, del sentimiento de injusticia, de la pérdida de esperanza, que envilece la vida de las mujeres y los hombres de nuestro tiempo.

Preguntémonos hoy, en esta celebración y después de ella, preguntémonos, ¿cuánta necesidad de liberación tienen nuestras ciudades, nuestras sociedades, nuestro mundo? ¡Cuántas cadenas hay que romper y cuántas puertas con barrotes hay que abrir! Podemos ser colaboradores de esta liberación, pero sólo si antes nos dejamos liberar por la novedad de Jesús y caminamos en la libertad del Espíritu Santo.

Hoy nuestros hermanos arzobispos reciben el palio. Este signo de unidad con Pedro recuerda la misión del pastor que da su vida por el rebaño. Dando su vida, el pastor, liberado de sí mismo, se convierte en instrumento de liberación para sus hermanos. Hoy nos acompaña la Delegación del Patriarcado Ecuménico, enviada para esta ocasión por nuestro querido hermano Bartolomé: vuestra grata presencia es un precioso signo de unidad en el camino de liberación de las distancias que dividen escandalosamente a los creyentes en Cristo. Gracias por vuestra presencia.

Rezamos por vosotros, por los pastores, por la Iglesia, por todos nosotros para que, liberados por Cristo, seamos apóstoles de liberación en el mundo entero.

[00926-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

Dois grandes Apóstolos, Apóstolos do Evangelho, e duas colunas angulares da Igreja: Pedro e Paulo. Hoje celebramos a sua festa. Observemos de perto estas duas testemunhas da fé: no centro da sua história, não está a própria destreza; no centro, está o encontro com Cristo que lhes mudou a vida. Fizeram a experiência de um amor que os curou e libertou e, por isso, tornaram-se apóstolos e ministros de libertação para os outros.

Pedro e Paulo são livres unicamente porque foram libertados. Detenhamo-nos neste ponto central.

Pedro, o pescador da Galileia, foi libertado em primeiro lugar da sensação de ser inadequado e da amargura de ter falido, e isso verificou-se graças ao amor incondicional de Jesus. Embora fosse um hábil pescador, várias vezes experimentou, em plena noite, o sabor amargo da derrota por não ter pescado nada (cf. Lc 5, 5; Jo 21, 5) e, perante as redes vazias, sentiu a tentação do desânimo; apesar de forte e impetuoso, muitas vezes se deixou tomar pelo medo (cf. Mt 14, 30); embora fosse um discípulo apaixonado do Senhor, continuou a pensar à maneira do mundo, sem conseguir entender e aceitar o significado da Cruz de Cristo (cf. Mt 16, 22); apesar de dizer-se pronto a dar a vida por Ele, bastou sentir-se suspeitado de ser um dos Seus para se atemorizar chegando a negar o Mestre (cf. Mc 14, 66-72).

Mas Jesus amou-o desinteressadamente e apostou nele. Encorajou-o a não desistir, a lançar novamente as redes ao mar, a caminhar sobre as águas, a olhar com coragem para a sua própria fraqueza, a segui-Lo pelo caminho da Cruz, a dar a vida pelos irmãos, a apascentar as suas ovelhas. Deste modo libertou-o do medo, dos cálculos baseados apenas nas seguranças humanas, das preocupações mundanas, infundindo nele a coragem de arriscar tudo e a alegria de se sentir pescador de homens. Foi precisamente a ele que chamou para confirmar na fé os irmãos (cf. Lc 22, 32). Como ouvimos no Evangelho, deu-lhe as chaves para abrir as portas que levam a encontrar o Senhor e o poder de ligar e desatar: ligar os irmãos a Cristo e desatar os nós e as correntes das suas vidas (cf. Mt 16, 19).

Tudo isto só foi possível, porque antes, como nos dizia a primeira Leitura, Pedro foi libertado. As correntes que o mantêm prisioneiro são quebradas e, tal como aconteceu na noite da libertação dos israelitas da escravidão do Egito, é convidado a levantar-se depressa, colocar o cinto e calçar as sandálias para sair. E o Senhor abre as portas diante dele (cf. At 12, 7-10). É uma nova história de abertura, de libertação, de correntes quebradas, de saída do cárcere que o prende. Pedro faz a experiência da Páscoa: o Senhor libertou-o.

Também o apóstolo Paulo experimentou a libertação por obra de Cristo. Foi libertado da escravidão mais opressiva, a de si mesmo, e de Saulo – nome do primeiro rei de Israel – tornou-se Paulo, que significa «pequeno». Foi libertado também daquele zelo religioso que o tornara fanático na defesa das tradições recebidas (cf. Gal 1, 14) e violento ao perseguir os cristãos. Foi libertado. A observância formal da religião e a defesa implacável da tradição, em vez de o abrir ao amor de Deus e dos irmãos, haviam-no endurecido: era um fundamentalista. Foi disto que Deus o libertou; ao invés, não o poupou a tantas fraquezas e dificuldades que tornaram mais fecunda a sua missão evangelizadora: as canseiras do apostolado, a enfermidade física (cf. Gal 4, 13-14); as violências e perseguições, os naufrágios, a fome e sede, e – segundo as suas próprias palavras – um espinho que o atormentava na carne (cf. 2 Cor 12, 7-10).

Paulo compreendeu assim que «o que há de fraco no mundo é que Deus escolheu para confundir o que é forte» (1 Cor 1, 27), que tudo podemos n’Ele que nos dá força (cf. Flp 4, 13), que nada poderá jamais separar-nos do seu amor (cf. Rm 8, 35-39). Por isso, no final da sua vida, como nos dizia a segunda Leitura, Paulo pode dizer: «o Senhor esteve comigo» e «me livrará de todo o mal» (2 Tm 4, 17.18). Paulo fez a experiência da Páscoa: o Senhor libertou-o.

Queridos irmãos e irmãs, a Igreja olha para estes dois gigantes da fé e vê dois Apóstolos que libertaram a força do Evangelho no mundo, só porque antes foram libertados pelo encontro com Cristo. Ele não os julgou, nem humilhou, mas partilhou de perto e afetuosamente a sua vida, sustentando-os com a sua própria oração e, às vezes, admoestando-os para os impelir à mudança. A Pedro, disse Jesus com ternura: «Eu roguei por ti, para que a tua fé não desapareça» (Lc 22, 32); a Paulo, pergunta: «Saulo, Saulo, porque Me persegues?» (At 9, 4). De igual modo procede Jesus também connosco: assegura-nos a sua proximidade, rezando por nós e intercedendo junto do Pai; e repreende-nos com doçura quando erramos, para podermos encontrar a força de nos levantar novamente e retomar o caminho.

Tocados pelo Senhor, também nós somos libertados. E sempre temos necessidade de ser libertados, porque só uma Igreja liberta é uma Igreja credível. Como Pedro, somos chamados a ser libertos da sensação da derrota face à nossa pesca por vezes malsucedida; a ser libertos do medo que nos paralisa e torna medrosos, fechando-nos nas nossas seguranças e tirando-nos a coragem da profecia. Como Paulo, somos chamados a ser libertos das hipocrisias da exterioridade; libertos da tentação de nos impormos com a força do mundo, e não com a debilidade que deixa espaço a Deus; libertos duma observância religiosa que nos torna rígidos e inflexíveis; libertos de vínculos ambíguos com o poder e do medo de ser incompreendidos e atacados.

Pedro e Paulo oferecem-nos a imagem duma Igreja confiada às nossas mãos, mas conduzida pelo Senhor com fidelidade e ternura – é Ele que conduz a Igreja –; duma Igreja débil, mas forte com a presença de Deus; a imagem duma Igreja libertada que pode oferecer ao mundo aquela libertação que ele, sozinho, não se pode dar a si mesmo: a libertação do pecado, da morte, da resignação, do sentimento da injustiça, da perda da esperança que embrutece a vida das mulheres e dos homens do nosso tempo.

Hoje, nesta celebração e depois, interroguemo-nos: quanta necessidade de libertação têm as nossas cidades, as nossas sociedades, o nosso mundo? Quantas correntes devem ser quebradas e quantas portas trancadas devem ser abertas! Podemos ser colaboradores desta libertação, mas só se, primeiro, nos deixarmos libertar pela novidade de Jesus e caminharmos na liberdade do Espírito Santo.

Hoje os nossos irmãos Arcebispos recebem o Pálio. Este sinal de unidade com Pedro recorda a missão do pastor que dá a vida pelo rebanho. É dando a vida que o Pastor, liberto de si mesmo, se torna instrumento de libertação para os irmãos. Hoje temos connosco a Delegação do Patriarcado Ecuménico, enviada para esta ocasião pelo querido irmão Bartolomeu: a vossa amável presença é um sinal precioso de unidade no caminho de libertação das distâncias que, escandalosamente, dividem os crentes em Cristo. Obrigado pela vossa presença.

Rezamos por vós, pelos Pastores, pela Igreja, por todos nós: para que, libertados por Cristo, possamos ser apóstolos de libertação em todo o mundo.

[00926-PO.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Dwóch wielkich Apostołów, Apostołów Ewangelii, i dwa filary Kościoła: Piotr i Paweł. Dziś świętujemy ich pamięć. Przyjrzyjmy się bliżej tym dwóm świadkom wiary: w centrum ich historii nie są ich umiejętności, ale w centrum jest spotkanie z Chrystusem, które odmieniło ich życie. Doświadczyli miłości, która ich uzdrowiła i wyzwoliła, a dzięki temu stali się apostołami i sługami wyzwolenia dla innych.

Piotr i Paweł są wolni jedynie dlatego, że zostali wyzwoleni. Zatrzymajmy się nad tym głównym punktem.

Piotr, rybak z Galilei, został przede wszystkim wyzwolony z poczucia niegodności i goryczy porażki, a stało się to dzięki bezwarunkowej miłości Jezusa. Choć był wytrawnym rybakiem, wielokrotnie doświadczył w środku nocy gorzkiego smaku porażki, bo nic nie ułowił (por. Łk 5, 5; J 21, 5), a wobec pustych sieci ogarniała go pokusa, by się poddać; choć był silny i porywczy, często ogarniał go strach (por. Mt 14, 30); choć był gorliwym uczniem Pana, nadal rozumował według świata, nie mogąc zrozumieć i przyjąć znaczenia krzyża Chrystusowego (por. Mt 16, 22); choć mówił, że gotów jest oddać za Niego swe życie, wystarczyło, że poczuł się podejrzany o to, iż jest jednym z Jego uczniów, by się przestraszył i zaparł się Mistrza (por. Mk 14, 66 -72).

Jednak Jezus kochał go bezinteresownie i postawił na niego. Zachęcał go, by się nie poddawał, by znów zarzucił sieci w morze, by chodził po wodzie, by odważnie patrzył na własną słabość, by szedł za Nim drogą krzyżową, by oddał życie za braci i siostry, by karmił swoje owce. W ten sposób uwolnił go od lęku, od kalkulacji opartych wyłącznie na ludzkich pewnikach, od trosk doczesnych, zaszczepiając w nim odwagę do ryzykowania wszystkiego i radość z poczucia, że jest rybakiem ludzi. Powołał go, aby umacniał swoich braci i siostry w wierze (por. Łk 22, 32). Jemu dał - jak słyszeliśmy w Ewangelii - klucze, które otwierają drzwi prowadzące do spotkania z Panem, oraz władzę wiązania i rozwiązywania: wiązania braci i sióstr z Chrystusem i rozluźniania węzłów i okowów ich życia (por. Mt 16, 19).

Wszystko to było możliwe tylko dlatego, że - jak mówi nam pierwsze czytanie - Piotr był pierwszym, który został uwolniony. Okowy, które go więziły, zostają zerwane i, podobnie jak w noc wyzwolenia Izraelitów z niewoli egipskiej, zostaje wezwany, by szybko wstał, założył pas i zawiązał sandały, żeby wyjść. A Pan otwiera przed nim szeroko drzwi (por. Dz 12, 7-10). Jest to nowa opowieść o otwarciu, o wyzwoleniu, o zerwaniu łańcuchów, o wyjściu z niewoli, która zamyka. Piotr doświadcza Paschy: Pan go wyzwolił.

Apostoł Paweł również doświadczył wyzwolenia przez Chrystusa. Został wyzwolony z niewoli najbardziej przytłaczającej, z niewoli swego „ja”. i z niewoli Szawła-Saula, imienia pierwszego króla Izraela, a stał się Pawłem, co oznacza „mały”. Został też uwolniony od religijnej żarliwości, która czyniła go zapaleńcem w zachowywaniu tradycji, jakie otrzymał (por. Ga 1,14) i brutalnym w prześladowaniu chrześcijan. Został wyzwolony. Formalne przestrzeganie religii i obrona tradycji za pomocą miecza, zamiast otworzyć go na miłość wobec Boga i braci, uczyniły go surowym: był fundamentalistą. Od tego Bóg go uwolnił, ale nie oszczędził mu wielu słabości i trudności, które uczyniły jego misję ewangelizacyjną bardziej owocną: trudy apostolstwa, niedomagania fizyczne (por. Ga 4, 13-14), przemoc i prześladowania, rozbicie statku, głód i pragnienie, a także, jak sam wspomina, oścień, który dręczył jego ciało (por. 2 Kor 12, 7-10).

W ten sposób Paweł pojął, że „Bóg wybrał to, co niemocne, aby mocnych poniżyć” (1 Kor 1, 27), że wszystko możemy w Tym, który nas umacnia (por. Flp 4, 13), że nigdy nic nie może nas oddzielić od Jego miłości (por. Rz 8, 35-39). Dlatego u kresu swego życia - jak mówi nam drugie czytanie - Paweł może powiedzieć: „Pan stanął przy mnie” i „wybawi mnie od wszelkiego złego czynu” (2 Tm 4, 17). Paweł przeżył doświadczenie Paschy: Pan go wyzwolił.

Drodzy bracia i siostry, Kościół spogląda na tych dwóch olbrzymów wiary i widzi dwóch apostołów, którzy wyzwolili moc Ewangelii w świecie, jedynie dlatego, że sami zostali wyzwoleni przez spotkanie z Chrystusem. On ich nie osądzał, nie upokarzał, ale z czułością i bliskością dzielił ich życie, wspierając ich swoją modlitwą, a niekiedy nawołując ich, aby nimi wstrząsnąć i doprowadzić do zmiany. Do Piotra Jezus mówi z czułością: „prosiłem za tobą, żeby nie ustała twoja wiara” (Łk 22,32); a Pawła pyta: „Szawle, Szawle, dlaczego Mnie prześladujesz?” (Dz 9, 4). Jezus czyni to samo z nami: zapewnia nas o swojej bliskości, modląc się za nas i wstawiając się do Ojca; łagodnie upomina nas, gdy popełniamy błędy, abyśmy mogli znaleźć siłę do powstania i podjęcia drogi.

Dotknięci przez Pana, my także zostaliśmy uwolnieni. I zawsze potrzebujemy wyzwolenia, bo tylko wolny Kościół jest Kościołem wiarygodnym. Podobnie jak Piotr, jesteśmy wezwani do uwolnienia się od poczucia porażki w obliczu naszych niekiedy nieudanych połowów; do uwolnienia się od strachu, który nas obezwładnia i czyni nas bojaźliwymi, zamykając nas w naszych pewnikach i odbierając nam odwagę prorokowania. Podobnie jak Paweł, jesteśmy wezwani, by być wolnymi od obłudy zewnętrzności; aby być wolnymi od pokusy narzucania się z mocą świata, zamiast ze słabością, która czyni miejsce dla Boga; wolnymi od przestrzegania religijności, która czyni nas surowymi i nieelastycznymi; wolnymi od dwuznacznych związków z władzą i od lęku przed byciem niezrozumianymi i atakowanymi.

Piotr i Paweł przekazują nam obraz Kościoła powierzonego w nasze ręce, ale wiernie i czule prowadzonego przez Pana – to On prowadzi Kościół; obraz Kościoła słabego, ale mocnego obecnością Boga; obraz Kościoła wyzwolonego, który może ofiarować światu to wyzwolenie, jakiego nie może sobie dać o własnych siłach: wyzwolenia od grzechu, od śmierci, od rezygnacji, od poczucia niesprawiedliwości, od utraty nadziei, które tak bardzo upadla życie kobiet i mężczyzn naszych czasów.

Zadajmy sobie, dzisiaj, podczas tej celebracji i potem, pytanie: jak bardzo nasze miasta, nasze społeczeństwa, nasz świat potrzebują wyzwolenia? Ileż to łańcuchów trzeba zerwać i jak wiele trzeba otworzyć zabarykadowanych drzwi! Możemy być współpracownikami w tym wyzwoleniu, ale tylko wtedy, gdy jako pierwsi pozwolimy się wyzwolić nowością Jezusa i będziemy podążali w wolności Ducha Świętego.

Dzisiaj nasi współbracia arcybiskupi otrzymują paliusze. Ten znak jedności z Piotrem przypomina misję pasterza, który oddaje swoje życie za owczarnię. To właśnie przez oddanie życia Pasterz, wyzwolony od siebie, staje się narzędziem wyzwolenia dla braci. Dziś jest z nami delegacja Patriarchatu Ekumenicznego, przysłana z tej okazji przez naszego drogiego brata Bartłomieja: wasza miła obecność jest cennym znakiem jedności na drodze wyzwolenia z dystansów, które w sposób gorszący dzielą wierzących w Chrystusa. Dziękuję za wszą obecność.

Modlimy się za Was, za Pasterzy, za Kościół, za nas wszystkich: abyśmy wyzwoleni przez Chrystusa, byli apostołami wyzwolenia na całym świecie.

[00926-PL.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

عظة قداسة البابا فرنسيس

في القدّاس الإلهيّ

في مناسبة عيد القديسَين بطرس وبولس

الثلاثاء 29 يونيو/حزيران 2021

بازليكا القدّيس بطرس

رسولان عظيمان للإنجيل وعامودان حاملان للكنيسة هما: بطرس وبولس. نحتفل اليوم بعيدهما. لنلقِ نظرة على هذين الشاهدَين للإيمان: لا نجد في صلب تاريخهما أمورًا عظيمة منهما، بل نجد لقاءهما مع المسيح الذي غيّر حياتهما. لقد اختبروا الحبّ الذي شفاهم وحرّرهم، ولهذا السّبب أصبحوا رسلًا وخدّام تحريرٍ للآخرين.

بطرس وبولس أحرار فقط لأنّه تمّ تحريرهما. لنتوقف عند هذه النقطة الرئيسيّة.

تمّ تحرير بطرس، الصيّاد الجليلي، أوّلاً وقبل كلّ شيء من الشعور بالنقص ومرارة الفشل، وقد حدث هذا بفضل حبّ يسوع غير المشروط. على الرّغم من أنّه كان صيّادًا خبيرًا، فقد واجه عدّة مرّات، في منتصف الليل، طعم الهزيمة المرّة لأنّه لم يصطد شيئًا (راجع لوقا 5، 5؛ يوحنّا 21، 5)، ومقابل الشباك الفارغة، راودته التجربة أن يعيد المجاديف إلى القارب. كان رجلًا قويًّا ومندفعًا، إلّا أنّه كان يستسلم مرارًا للخوف (راجع متّى 14، 30). كان تلميذًا متحمّسًا للرّبّ يسوع، إلّا أنّه استمرّ في التفكير بحسب العالم دون أن يكون قادرًا على فهم وقبول معنى صليب المسيح (راجع متّى 16، 22). كان يقول إنّه مستعدٌّ للتضحية بحياته من أجل يسوع، إلّا أنّه ما إن شعر بأنّهم اشتبهوا به أنّه واحدٌ من تلاميذه، حتّى تملكه الخوف وبلغ به الأمر إلى حد إنكار المعلّم (مرقس 14، 66-72).

مع ذلك، أحبّه يسوع مجّانًا وراهن عليه. فشجّعه على عدم الاستسلام، وأن يلقي شباكه في البحر مرّة أخرى، وأن يسير على الماء، وأن ينظر بشجاعة إلى ضعفه، وأن يتبعه في طريق الصّليب، وأن يهب حياته من أجل إخوته، وأن يرعى خرافه. وهكذا حرّره من الخوف، ومن الحسابات التي تستند فقط إلى الأمن البشري، ومن الاهتمامات الدنيويّة، مانحًا إيّاه الشجاعة للمخاطرة بكلّ شيء، وفرحة الشّعور بأن يكون صيّاد بشر. لقد دعاه هو بالذّات لتثبيت إخوته في الإيمان (راجع لوقا 22، 32). وكما سمعنا في الإنجيل، أعطاه المفاتيح من أجل فتح الأبواب التي تؤدّي إلى اللقاء مع الله، وسلطان الرّبط والحلّ: لربط الإخوة بالمسيح وحلّ عُقَدِ حياتهم وسلاسلها (راجع متّى 16، 19).

كلّ هذا كان ممكنًا فقط لأنّ بطرس - كما سمعنا في القراءة الأولى - كان أوّل من تمّ تحريره. فتكسرت السّلاسل التي كانت تحتجزه وهو سجين، وبالضبط مثلما حدث ليلة تحرير الإسرائيليّين من العبوديّة في مصر، طُلب منه النهوض على عَجَلْ، وأن يشدّ وسطه بالزنّار ويربط نعليه للخروج. وفتح الله الأبواب أمامه على مصراعيها (راجع أعمال الرّسل 12، 7-10). إنّها قصّة جديدة من الانفتاح والتحرّر والسّلاسل المحطّمة والخروج من السجن الذي يحجز. اختبر بطرس الفصح: الله نفسه حرّره.

اختبر الرسول بولس أيضًا التحرّر على يد المسيح. تحرّر من أشد العبوديّات، عبوديّة الأنا، ومن شاول، اسم أوّل ملك لإسرائيل، وأصبح بولس، الذي يعني "الصّغير". تحرّر أيضًا من الغَيْرة الدينيّة التي جعلته مُتزمتًا في التمسّك بالتقاليد المتوارثة (راجع غلاطية 1، 14) وعنيفًا في اضطهاد المسيحيّين. لقد تحرّر. إنّ التقيّد الشكلي بالدين والدفاع بالسّيف عن التّقاليد، بدلاً من أن يوجهه إلى محبّة الله والإخوة، زاده تزمُّتًا. لقد كان أصوليًا. من هذا أنقذه الله. لكن، لم يبعد عنه الكثير من الضّعف والصّعوبات التي زادت خصوبةَ رسالتِه وكرازته: صعوبات في الرسالة، وضعف في الجسد (راجع غلاطية 4، 13-14)؛ ضروب من العنف والاضطهادات، والغرق والجوع والعطش، وكما يروي هو نفسه، شوكة تعذّبه في الجسد (راجع 2 قورنتس 12، 7-10).

هكذا فهم بولس أنّ "ما كانَ في العالَمِ ضَعِيفًا فذاكَ ما ٱختارَه اللهُ لِيُخزِيَ الأَقويَاء" (1قورنتس 1، 27)، وأنّنا نستَطيعُ كُلَّ شَيءٍ بِذاكَ الَّذي يُقوِّينا (راجع فيلبي 4، 13)، وأنّ لا شيء أبدًا يستطيع أن يفصلنا عن محبّته (رومة 8، 35-39). لهذا، في نهاية حياته – هذا ما سمعناه في القراءة الثانية – استطاع بولس أن يقول: "الرَّبّ كانَ معي" و "سيُنَجِّينِي الرَّبُّ مِن كُلِّ مَسْعًى خَبيث" (2طيموتاوس 4، 17). عاش بولس خبرة الفصح (أي التحرير): لقد حرّره الرّبّ.

أيّها الإخوة والأخوات الأعزّاء، تنظر الكنيسة إلى هذين العظيمَين في الإيمان وترى رسولَين أطلقَا قوّة الإنجيل في العالم، فقط لأنّهما تحرّرا أوّلاً بلقائهما مع المسيح. هو لم يحكم عليهما، ولم يفرض عليهما المذلة، لكنّه شارك حياتهما بقربه منهما وبمودته، وأيدهما بصلاته نفسها، وفي بعض الأحيان، كان يدعوهما ليهَزَّهما ويحملهما على التغيير. قال يسوع لبطرس بلطف: "ولكِنِّي دَعَوتُ لَكَ أَلاَّ تَفقِدَ إِيمانَكَ" (لوقا 22، 32)؛ وسأل بولس: "شاوُل، شاوُل، لِماذا تَضطَهِدُني؟" (أعمال الرسل 9، 4). هكذا يفعل معنا يسوع أيضًا: يؤكّد لنا قربه بالصّلاة من أجلنا وبشفاعته لدى الآب؛ ويعاتبنا بلطف عندما نخطئ، حتّى نتمكّن من وجود القوّة للنهوض واستئناف المسير.

بلمسة من الرّبّ يسوع، نحن أيضًا نُحرَّر. ونحن بحاجة دائمًا إلى أن نُحرَّر، لأنّ الكنيسة ذات المصداقيّة هي فقط الكنيسة الحرّة. مثل بطرس، نحن مدعوّون إلى أن نكون أحرارًا من الشعور بالهزيمة في مواجهة صيدنا الفاشل أحيانًا؛ أحرارًا من الخوف الذي يشلّ حركتنا ويجعلنا خائفين، فننغلق على أنفسنا في مواقفنا، وينزعُ منّا شجاعة النبوّة. ومثل بولس، نحن مدعوّون إلى أن نكون أحرارًا من رِياء المظاهر؛ أن نكون أحرارًا من التجربة التي تحملنا على فرض أنفسنا بقوّة العالم، بدلًا من الضعف الذي يفسح المجال لله أن يعمل فينا؛ أن نكون أحرارًا من محافظة دينية تجعلنا متصلّبين غير مرنين؛ أحرارًا من الروابط الملتَبَسة مع أصحاب السلطان والخوف من ألّا نُفهم ومن أن نُهاجَم.

يسلِّمُنا بطرس وبولس صورة كنيسة وُضِعَت بين أيدينا، ولكن الله يقودها بأمانة وحنان – إنّه هو من يقود الكنيسة -، كنيسة ضعيفة، لكنّها قويّة في حضرة الله. إنّ صورة كنيسة متحرّرة يمكنها أن تقدّم للعالم ذلك التحرّر الذي لا يمكن أن يمنحه لنفسه من تلقاء نفسه: التحرّر من الخطيئة، والموت، والاستسلام، والشعور بالظلم، وفقدان الرجاء الذي يجعل حياة النساء والرجال متوحشة في عصرنا.

لنسأل أنفسنا اليوم وفي هذا الاحتفال وبعده: كم تحتاج مدننا ومجتمعاتنا وعالمنا إلى التحرّر؟ كم من السّلاسل يجب تحطيمها وكم من الأبواب المقفلة يجب أن تُفتح! يمكننا أن نكون مشاركين في هذا التحرير، ولكن فقط إذا سمحنا لأنفسنا نحن أوّلًا بأن نحرَّر بما هو جديد في يسوع المسيح، وسرنا بحريّة الرّوح القدس.

إخوتنا رؤساء الأساقفة يقبلون اليوم "الباليوم". هذه علامة الوَحدة مع بطرس تذكِّر برسالة الرّاعي الذي يبذل حياته من أجل القطيع. إنّ الرّاعي، الذي تحرّر من نفسه، بإعطاء حياته، يصبح أداة تحرير للإخوة. معنا اليوم وفد البطريركيّة المسكونيّة، الذي أرسله بهذه المناسبة الأخ العزيز برثلماوس: إنّ حضوركم العزيز معنا اليوم هو علامة ثمينة على الوَحدة في طريق التحرّر من الشك الكبير والمسافات التي تفرّق بين المؤمنين بالمسيح. شكرًا لحضوركم.

نحن نصلّي من أجلكم، ومن أجل الرّعاة، ومن أجل الكنيسة، ومن أجلنا جميعًا: حتّى إذا ما حرّرَنا المسيح، صِرْنا رُسُلَ تحرير في جميع أنحاء العالم.

[00926-AR.02] [Testo originale: Italiano]

[B0422-XX.02]