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Conferenza Stampa sulle modifiche al Libro VI del Codice di Diritto Canonico, 01.06.2021


Intervento di S.E. Mons. Filippo Iannone, O. Carm.

Intervento di S.E. Mons. Juan Ignacio Arrieta Ochoa de Chinchetru

Alle ore 11.30 di questa mattina ha avuto luogo in diretta streaming dalla Sala Stampa della Santa Sede la Conferenza Stampa sulle modifiche al Libro VI del Codice di Diritto Canonico.

Sono intervenuti S.E. Mons. Filippo Iannone, O. Carm., Presidente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, e S.E. Mons. Juan Ignacio Arrieta Ochoa de Chinchetru, Segretario del medesimo Pontificio Consiglio.

Ne riportiamo di seguito gli interventi:

Intervento di S.E. Mons. Filippo Iannone, O. Carm.

Con la Costituzione Apostolica Pascite gregem Dei (Pascete il gregge di Dio), datata 23 maggio 2021, solennità di Pentecoste, Papa Francesco promulga il nuovo Libro VI del Codice di Diritto Canonico, contenente la normativa sulle sanzioni penali nella Chiesa. Il testo legislativo, “affinché tutti possano agevolmente informarsi e conoscere a fondo le disposizioni di cui si tratta,” entrerà in vigore il prossimo 8 dicembre, solennità dell’Immacolata Concezione.

Si tratta, come è noto, di uno dei 7 libri che formano il Codice di Diritto Canonico.

“Il Codice di diritto canonico – scriveva san Giovanni Paolo II - è estremamente necessario alla Chiesa. Poiché, infatti, è costituita come una compagine sociale e visibile, essa ha bisogno di norme: sia perché la sua struttura gerarchica e organica sia visibile; sia perché l'esercizio della sacra potestà, possa essere adeguatamente organizzato; sia perché le scambievoli relazioni dei fedeli possano essere regolate secondo giustizia, basata sulla carità, e possano essere garantiti e ben definiti i diritti dei singoli”. E aggiungeva: “le leggi canoniche, per loro stessa natura, esigono l'osservanza” (cf Costituzione apostolica Sacrae disciplinae leges, 25 gennaio 1983).

Papa Francesco ribadisce l’importanza dell’osservanza delle leggi per una ordinata vita ecclesiale, e di conseguenza richiama alla necessità di intervenire nel caso della loro violazione. “L’osservanza e il rispetto della disciplina penale – afferma il Santo Padre- è compito dell’intero Popolo di Dio, ma la responsabilità della sua corretta applicazione corrisponde specificamente ai Pastori e ai Superiori delle singole comunità. È un compito che appartiene in modo indissociabile al munus pastorale che viene loro affidato, e va esercitato come concreta e irrinunciabile esigenza di carità nei confronti della Chiesa, della comunità cristiana e delle eventuali vittime, ma anche nei confronti di chi ha commesso un reato, che ha bisogno insieme alla misericordia anche della correzione della Chiesa” (cf Pascite gregem Dei).

Detto con parole del Concilio “il pastore è chiamato ad esercitare il suo compito col consiglio, la persuasione, l’esempio, ma anche con l’autorità e la sacra potestà” (cf Lumen gentium, 27), e, “se necessario, anche con l’inflizione o la dichiarazione delle pene, secondo i precetti della legge, che sempre devono essere applicati con equità canonica” (cf can. 1311, § 2).

“La negligenza di un Pastore nel ricorrere al sistema penale -laddove richiesto- rende manifesto che egli non adempie rettamente e fedelmente la sua funzione”, (cf Lettere apostoliche date in forma di Motu proprio Come una madre amorevole, 4 giugno 2016, e Vos estis lux mundi, 7 maggio 2019).

È la carità che richiede, infatti, che i Pastori ricorrano al sistema penale tutte le volte che occorra, tenendo presenti i tre fini che lo rendono necessario, e cioè, il ristabilimento delle esigenze della giustizia, l’emendamento del delinquente e la riparazione degli scandali.

In più occasioni il Papa ha ripetuto che la sanzione canonica ha anche una funzione di riparazione e di medicina salutare e cerca soprattutto il bene dell’accusato, per cui «rappresenta un mezzo positivo per la realizzazione del Regno, per ricostruire la giustizia nella comunità dei fedeli, chiamati alla personale e comune santificazione» (Ai Partecipanti alla Sessione Plenaria del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, 21 febbraio 2020). S. Tommaso insegna che “La giustizia senza la pietà conduce alla crudeltà, ma la misericordia senza giustizia invece porta alla dissoluzione dell’ordine”. Per la creazione e il mantenimento di un ordine sociale e, quindi, per raggiungere e conservare un buon livello di comunione, c’è bisogno sia di giustizia che di amore misericordioso.

Negli ultimi anni, come è stato evidenziato da più parti durante il lavoro di revisione dell’apparato normativo, il rapporto di compenetrazione tra giustizia e misericordia, ha subito, talvolta, un'erronea interpretazione, che ha alimentato un clima di eccessiva rilassatezza nell'applicazione della legge penale, in nome di una infondata contrapposizione tra pastorale e diritto, e diritto penale in particolare.

La presenza all’interno delle comunità di alcune situazioni irregolari, ma soprattutto i recenti scandali, emersi dagli sconcertanti e gravissimi episodi di pedofilia, hanno, però, fatto maturare l'esigenza di rinvigorire il diritto penale canonico, integrandolo con puntuali riforme legislative; si “è avvertita l'esigenza di riscoprire il diritto penale, di utilizzarlo con maggior frequenza, di migliorarne le possibilità di concreta applicazione”, per meglio definire “un quadro sistematico e aggiornato della realtà in continua evoluzione”.

Questa riforma, che oggi viene presentata, quindi, necessaria e da lungo tempo attesa, ha lo scopo di rendere le norme penali universali sempre più adatte alla tutela del bene comune e dei singoli fedeli, più congruenti alle esigenze della giustizia e più efficaci e adeguate all’odierno contesto ecclesiale, evidentemente differente da quello degli anni ’70 del secolo scorso, epoca in cui vennero redatti i canoni del libro VI, ora abrogati. La normativa riformata vuole rispondere precisamente a quest’esigenza, offrendo agli Ordinari e ai Giudici uno strumento agile e utile, norme più semplici e chiare, per favorire il ricorso al diritto penale quando ciò si rende necessario affinché, rispettando le esigenze della giustizia, possano crescere la fede e la carità nel popolo di Dio.

Il diritto segue la vita, afferma un noto assioma. In questa linea il Papa scrive nella Pascite gregem Dei: “Nel contesto dei veloci cambiamenti sociali che sperimentiamo, per rispondere adeguatamente alle esigenze della Chiesa in tutto il mondo, appariva evidente la necessità di rivedere anche la disciplina penale promulgata da San Giovanni Paolo II, il 25 gennaio1983. Occorreva modificarla in modo che permettesse ai Pastori il suo utilizzo come più agile strumento terapeutico e correttivo, da impiegare tempestivamente e con caritas pastoralis per prevenire mali più grandi e sanare le ferite causate dalla debolezza umana”.

Così, il nuovo diritto penale ha introdotto nuove fattispecie delittuose e ha configurato meglio altri delitti già previsti, sanzionandoli anche con pene diverse. Sono, inoltre, previsti nuovi delitti in materia economico-finanziaria affinché “l’assoluta trasparenza delle attività istituzionali della Chiesa, soprattutto in questo campo, sia sempre perseguita e rispettata e sia sempre esemplare la condotta di tutti i titolari di incarichi istituzionali e di tutti gli operatori impegnati nell’amministrazione dei beni” (cf Discorso d’Inaugurazione dell'Anno Giudiziario del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano, 27 marzo 2021).

Sono state previste nuove pene, quali l’ammenda, il risarcimento del danno, la privazione di tutta o parte della remunerazione ecclesiastica, secondo i regolamenti stabiliti dalle singole Conferenze episcopali, fermo restando l’obbligo, nel caso la pena sia inflitta ad un chierico, di provvedere che non gli manchi il necessario per un onesto sostentamento. Inoltre si è posta attenzione ad elencare con più ordine e dettaglio le pene, in modo da permettere all’autorità ecclesiastica di individuare quelle più adeguate e proporzionate ai singoli delitti, e si è stabilito la possibilità di applicare la pena della sospensione a tutti i fedeli, e non più solo ai chierici. Si sono inoltre previsti strumenti d’intervento più idonei a correggere e prevenire i delitti. Merita inoltre di essere segnalata l’affermazione esplicita nel testo del principio fondamentale della presunzione d’innocenza e la modifica della norma sulla prescrizione, alfine di favorire la conclusione dei processi in termini ragionevolmente brevi.

Anche i delitti riservati alla Congregazione per la Dottrina della Fede, tipizzati dopo la promulgazione del CIC, sono stati inseriti nel libro VI: è necessario infatti che i reati in quanto tali siano presenti già nella norma universale generale, e non solo in quella speciale, la quale naturalmente, oltre alla stessa riserva della competenza, stabilisce opportunamente le disposizioni specifiche in merito.

Altre modifiche, anche nella denominazione dei titoli delle parti e dei capitoli in cui il libro risulta diviso, sono frutto dell’attenzione alla mutata sensibilità e alla sempre più diffusa esigenza presente nelle comunità di veder ristabilita la giustizia e l’ordine infranti dal delitto. In questo senso è anche da comprendere qualche modifica relativa allo spostamento dei canoni. Cito ad esempio il trasferimento dei canoni riguardanti il delitto di abuso sessuale su minorenni e i reati di pedopornografia dal capitolo sui “delitti contro obblighi speciali” a quello dei “delitti contro la vita, la dignità e la libertà della persona”. Una scelta redazionale, se si vuole, ma espressiva della volontà del Legislatore di ri-affermare la gravità di questo crimine e l’attenzione da riservare alle vittime. C’è da aggiungere che tali delitti vengono ora estesi dal Codice anche ai membri di Istituti di vita consacrata e Società di vita apostolica e ai fedeli laici che godono di una dignità o svolgono un ufficio o una funzione nella Chiesa.

Le norme penali, in genere considerate norme odiose, configurano e sanzionano azioni poste in essere in violazione di leggi che sono a tutela di diritti e di beni e quindi a danno di singoli fedeli e della comunità. Azioni che, sono convinto, si possa dire sono compiute da una esigua minoranza di membri della Chiesa. La giustizia esige in questi casi che l’ordine violato venga ristabilito, che la vittima eventualmente venga risarcita, che chi ha sbagliato sia punito, espii la colpa. Il Papa, però, a conclusione della Costituzione ci ricorda che anche le norme penali, come tutte le norme canoniche, devono sempre essere riportate alla norma suprema che vige nella Chiesa, la salus animarum. Per questo promulga il testo “nella speranza che esso risulti strumento per il bene delle anime”.

[00760-IT.01] [Testo originale: Italiano]

 

Intervento di S.E. Mons. Juan Ignacio Arrieta Ochoa de Chinchetru

Il nuovo Libro VI del Codice di Diritto Canonico

Ragioni della riforma

Negli anni immediatamente successivi alla promulgazione del Codice di Diritto Canonico del 1983 si poté constatare che la disciplina penale contenuta nel Libro VI non rispondeva alle attese che aveva suscitato. Giustamente i canoni riguardanti il diritto penale erano stati significativamente ridimensionati rispetto al Codex del 1917; ma, soprattutto, era cambiato l’orientamento di base del sistema. I nuovi testi erano spesso indeterminati, proprio perché si riteneva che i singoli Vescovi e i Superiori, ai quali spetta applicare la disciplina penale, avrebbero stabilito meglio quando e come punire nel modo più adeguato.

A differenza di altri testi del Codice che furono ridefiniti secondo l’esperienza proveniente dalle norme date ad experimentum nel periodo post-conciliare, le importanti modifiche contenute nel Libro VI non ebbero prima l’opportunità di confrontarsi con la realtà della Chiesa, e vennero direttamente promulgate nel 1983. L’esperienza dimostrò subito le difficoltà degli Ordinari nell’adoperare le norme penali in mezzo a tale indeterminazione, alla quale si aggiungeva la concreta difficoltà di molti di loro per coniugare le esigenze della carità con quelle richieste dalla giustizia. Inoltre, la difformità di reazioni da parte delle autorità risultava pure motivo di sconcerto nella comunità cristiana.

In tali circostanze la Santa Sede si trovò nella necessità di supplire con la propria autorità alle carenze dell’ordinario sistema punitivo che era stato previsto, riservando in via eccezionale a sé – già dal 1988, anche se, in modo effettivo, solo a partire dell’anno 2001 – la guida della disciplina penale nei casi di maggiore gravità.

Iter dei lavori

Questo generale contesto portò il Santo Padre Benedetto XVI, che possedeva una concreta esperienza dei limiti della disciplina penale per la sua pluriennale guida della Congregazione per la Dottrina della Fede, a dare formale incarico al Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi di avviare la revisione del Libro VI del Codice di Diritto Canonico. Era il mese di settembre del 2009 e subito venne costituito nel Dicastero un gruppo di studio con esperti canonisti in diritto penale, dando inizio alle riunioni di lavoro succedute poi lungo dodici anni.

I lavori di revisione del Libro VI si sono sviluppati nel contesto di una amplissima collaborazione collegiale e di un continuo interscambio di suggerimenti e osservazioni, coinvolgendo un elevato numero di persone in tutto il mondo. I lavori del gruppo di studio presente a Roma veniva sempre condiviso poi con un gruppo più ampio di canonisti. Giunti ad un primo Schema, nell’estate del 2011 venne inviato a tutte le Conferenze episcopali, ai Dicasteri della Curia romana, ai Superiori Maggiori degli Istituti di vita Consacrata, alle Facoltà di diritto canonico, a tutti i consultori e ad un ampio numero di altri canonisti. Dalla consultazione sono arrivati più di 150 corposi pareri che dopo essere sistematizzati, servirono per il successivo lavoro del gruppo, fino ad arrivare a metà dell’anno 2016 ad un nuovo Schema emendato.

Si aprì allora un periodo di riflessione per valutare se fosse il caso o meno di introdurre nel testo modifiche ancora più radicali. Dopo nuovi studi prevalse l’opinione che non era possibile al momento procedere ad ulteriori modifiche. Altre consultazioni con Dicasteri e consultori portarono a perfezionare il testo che venne approvato dalla Plenaria del Dicastero il 20 gennaio 2020. Tale documento, con alcuni ulteriori aggiustamenti, principalmente in materia economica, è stato definitivamente fissato dal Pontificio Consiglio e presentato all’attenzione del Santo Padre che ha firmato la Costituzione Apostolica nella Solennità di Pentecoste, stabilendo la sua promulgazione.

Come risultato dei lavori, degli 89 canoni che compongono questo Libro VI, ne sono stati modificati 63 (il 71%), spostati altri 9 (10%) mentre ne rimangono immutati solo 17 (19%).

Tre principali criteri direttivi

Le modifiche introdotte nel nuovo Libro VI rispondono fondamentalmente a tre criteri direttivi.

In primo luogo, il testo contiene adesso una adeguata determinatezza delle norme penali che prima non c’era, al fine di conferire un’indicazione precisa e sicura a chi le deve applicare. Per far sì che ci sia anche un impiego uniforme della norma penale in tutta la Chiesa, le nuove norme hanno ridotto l’ambito di discrezionalità lasciato prima all’autorità, senza eliminare del tutto la necessaria discrezionalità richiesta da alcuni tipi di reato particolarmente ampi che esigono volta per volta il discernimento del Pastore. Inoltre, i reati sono ora specificati meglio, distinguendo fattispecie che prima invece erano piuttosto accorpate; le sanzioni sono adesso tassativamente elencate dal can. 1336; e il testo riporta ovunque parametri di riferimento per guidare le valutazioni di chi deve giudicare le circostanze concrete.

Il secondo criterio che ha presieduto la riforma è la protezione della comunità e l’attenzione per la riparazione dello scandalo e per il risarcimento del danno. Il nuovo testo cerca di far rientrare lo strumento sanzionatorio penale nella forma ordinaria di governo pastorale delle comunità, evitando le formule elusive e dissuasorie che prima esistevano. In concreto, i nuovi testi invitano a imporre un precetto penale (can. 1319 § 2 CIC), o a avviare la procedura sanzionatoria (can. 1341), sempre che l’autorità lo ritenga prudentemente necessario o qualora abbia constatato che per altre vie non è possibile ottenere sufficientemente il ristabilimento della giustizia, l’emendamento del reo, e la riparazione dello scandalo (can. 1341). È questa una esigenza della caritas pastoralis, che trova poi riscontro in diversi elementi nuovi del sistema penale e, in particolare, nella necessità di riparare lo scandalo e il danno causato, per condonare una pena o per rinviare la sua applicazione. In termini generali il can. 1361 §4 esordisce dicendo che “non si deve dare la remissione – di una pena – finché, secondo il prudente giudizio dell’Ordinario, il reo non abbia riparato il danno eventualmente causato”.

Il terzo obiettivo che si è cercato di raggiungere è quello di fornire al Pastore i mezzi necessari per poter prevenire i reati, e poter intervenire per tempo nella correzione di situazioni che potrebbero diventare più gravi, senza rinunciare però alle cautele necessarie per la protezione del presunto reo, a garanzia di quanto adesso afferma il can. 1321 §1: “chiunque è ritenuto innocente finché non sia provato il contrario”.

Pur dovendo accettare come inevitabile l’impiego della procedura sanzionatoria amministrativa piuttosto che il processo giudiziale, si è sottolineata la necessità di osservare in tali casi tutte le esigenze del diritto di difesa, e di raggiungere la certezza morale sulla decisione finale, nonché l’obbligo dell’autorità di mantenere comunque lo stesso atteggiamento di indipendenza che è richiesto al giudice dal can. 1342 §3 CIC.

Altro strumento dato all’Ordinario, in ordine alla prevenzione dei reati, è l’insieme di rimedi penali ora configurati nel Libro VI: l’ammonizione, la riprensione, il precetto penale e la vigilanza. La vigilanza non era prevista prima e al precetto penale viene dato adesso una particolare regolamentazione. Queste non sono propriamente sanzioni penali, e possono essere adoperate anche senza una specifica procedura istruttoria, ma sempre nell’osservanza delle prescrizioni stabilite per l’emanazione di atti amministrativi.

Le nuove fattispecie penali

Con uguali criteri di maggior chiarezza si sono riordinate le fattispecie penali raggruppate nella seconda parte del Libro VI, spostando canoni e riorientando il senso delle rubriche dei singoli titoli ai fini di una migliore sistematica.

In tale senso, sono stati anzitutto incorporati al Codice reati tipizzati in questi ultimi anni in leggi speciali, come la tentata ordinazione di donne; la registrazione delle confessioni; la consacrazione con fine sacrilego delle specie eucaristiche.

Sono state incorporate poi alcune fattispecie presenti nel Codex del 1917 che non vennero accolte nel 1983. Ad esempio, la corruzione in atti di ufficio, l’amministrazione di sacramenti a soggetti cui è proibito amministrarli; l’occultamento all’autorità legittima di eventuali irregolarità o censure in ordine alla ricezione degli ordini sacri.

A queste vanno aggiunte alcune fattispecie nuove, come ad esempio la violazione del segreto pontificio; l’omissione dell’obbligo di eseguire una sentenza o decreto penale; l’omissione dell’obbligo di dare notizia della commissione di un reato; l’abbandono illegittimo del ministero. In modo particolare, sono stati tipizzati reati di tipo patrimoniale come l’alienazione di beni ecclesiastici senza le prescritte consultazioni; o i reati patrimoniali commessi per grave colpa o grave negligenza nell’amministrazione. Inoltre, è stato tipizzato un nuovo reato previsto per il chierico o il religioso che “oltre ai casi già previsti dal diritto, commette un delitto in materia economica – anche in ambito civile – o viola gravemente le prescrizioni contenute nel can. 285 § 4” che vieta ai chierici l’amministrazione di beni senza licenza del proprio Ordinario.

Infine, come ultima novità, il reato di abuso di minori è ora inquadrato non all’interno dei reati contro gli obblighi speciali dei chierici, bensì come reato commesso contro la dignità della persona. Il nuovo can. 1398 comprende dunque a questo riguardo le azioni compiute non solo da parte dei chierici, che come si sa appartengono alla giurisdizione riservata della Congregazione per la Dottrina della Fede, ma anche i reati di questo tipo commessi da religiosi non chierici e da laici che occupano alcuni ruoli nella Chiesa, così come eventuali comportamenti del genere, con persone adulte, ma commessi con violenza o abuso di autorità.

[00759-IT.01] [Testo originale: Italiano]

[B0349-XX.02]