Sala Stampa

www.vatican.va

Sala Stampa Back Top Print Pdf
Sala Stampa


Santa Messa del Crisma nella Basilica Vaticana, 01.04.2021


Omelia del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Alle ore 10.00 di questa mattina, nella ricorrenza del Giovedì Santo, il Santo Padre Francesco ha presieduto all’Altare della Cattedra, nella Basilica Vaticana, la Santa Messa Crismale.

La Messa del Crisma è stata concelebrata dal Santo Padre con alcuni Cardinali e Vescovi, con i Superiori della Segreteria di Stato e con i Membri del Consiglio presbiteriale della Diocesi di Roma.

Nel corso della Celebrazione Eucaristica, i sacerdoti hanno rinnovato le promesse fatte al momento della Sacra ordinazione; quindi ha avuto luogo la benedizione dell’olio degli infermi, dell’olio dei catecumeni e del crisma.

Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa ha pronunciato dopo la proclamazione del Santo Vangelo:

Omelia del Santo Padre

Il Vangelo ci presenta un cambiamento di sentimenti nelle persone che ascoltano il Signore. Il cambiamento è drammatico e ci mostra quanto la persecuzione e la Croce sono legate all’annuncio del Vangelo. L’ammirazione suscitata dalle parole di grazia che uscivano dalla bocca di Gesù durò poco nell’animo della gente di Nazaret. Una frase che qualcuno mormorò a bassa voce: “Ma questo chi è? Il figlio di Giuseppe?” (cfr Lc 4,22). Quella frase si “viralizzò” insidiosamente. E tutti: “Ma chi è questo? Non è il figlio di Giuseppe?”.

Si tratta di una di quelle frasi ambigue che si lasciano cadere di passaggio. Uno la può usare per esprimere con gioia: “Che meraviglia che uno di origini così umili parli con questa autorità!”. E un altro può usarla per dire con disprezzo: “E questo da dove è uscito? Chi crede di essere?”. Se ci facciamo caso, la frase si ripete quando gli Apostoli, nel giorno di Pentecoste, pieni di Spirito Santo cominciano a predicare il Vangelo. Qualcuno disse: «Tutti costoro che parlano non sono forse i Galilei?» (At 2,7). E mentre alcuni accolsero la Parola, altri li presero per ubriachi.

Formalmente sembrerebbe che si lasciasse aperta una scelta ma, se consideriamo gli effetti, in quel contesto concreto, queste parole contenevano un germe di violenza che si è scatenata contro Gesù.

Si tratta di una “frase trainante”,[1] come quando uno dice: “Questo è troppo!” e aggredisce l’altro oppure se ne va.

Il Signore, che a volte faceva silenzio o se ne andava all’altra riva, questa volta non rinunciò a commentare, ma smascherò la logica maligna che si nascondeva sotto l’apparenza di un semplice pettegolezzo di paese. «Voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao, fallo anche qui, nella tua patria!» (Lc 4,23). “Cura te stesso…”.

“Che salvi se stesso”. Qui sta il veleno! È la stessa frase che seguirà il Signore fino alla Croce: «Ha salvato altri! Salvi se stesso» (Lc 23,35); “e salvi anche noi”, aggiungerà uno dei due ladroni (cfr v. 39).

Il Signore, come sempre, non dialoga con lo spirito maligno, risponde soltanto con la Scrittura. Nemmeno i profeti Elia ed Eliseo furono accettati dai loro compatrioti e invece lo furono da parte di una vedova fenicia e di un siro malato di lebbra: due stranieri, due persone di altra religione. I fatti colpiscono nel segno e provocano l’effetto che aveva profetizzato Simeone, quell’anziano carismatico: che Gesù sarebbe stato «segno di contraddizione» (semeion antilegomenon) (Lc 2,34).[2]

La parola di Gesù ha il potere di far uscire alla luce ciò che uno porta nel cuore, che di solito è un miscuglio, come il grano e la zizzania. E questo provoca combattimento spirituale. Vedendo i gesti di misericordia sovrabbondante del Signore e ascoltando le sue beatitudini e i “guai a voi!” del Vangelo, ci si trova obbligati a discernere e a scegliere. In questo caso la sua parola non fu accolta e questo fece sì che la folla, accesa d’ira, tentasse di togliergli la vita. Ma non era ancora “l’ora” e il Signore, ci dice il Vangelo, «passando in mezzo a loro, si mise in cammino» (Lc 4,30).

Non era l’ora, ma la velocità con cui si scatenarono la furia e la ferocia dell’accanimento, capace di uccidere il Signore in quello stesso momento, ci mostra che sempre è l’ora. E questo è ciò che desidero condividere oggi con voi, cari sacerdoti: che l’ora dell’annuncio gioioso e l’ora della persecuzione e della Croce vanno insieme.

L’annuncio del Vangelo è sempre legato all’abbraccio di una Croce concreta. La luce mite della Parola genera chiarezza nei cuori ben disposti e confusione e rifiuto in quelli che non lo sono. Questo lo vediamo costantemente nel Vangelo.

Il seme buono seminato nel campo porta frutto – il cento, il sessanta, il trenta per uno –, ma risveglia anche l’invidia del nemico che ossessivamente si mette a seminare zizzania durante la notte (cfr Mt 13,24-30.36-43).

La tenerezza del padre misericordioso attrae irresistibilmente il figlio prodigo perché ritorni a casa, ma suscita anche l’indignazione e il risentimento del figlio maggiore (cfr Lc 15,11-32).

La generosità del padrone della vigna è motivo di gratitudine per gli operai dell’ultima ora, ma è anche motivo di aspri commenti per i primi, che si sentono offesi perché il loro padrone è buono (cfr Mt 20,1-16).

La vicinanza di Gesù che va a mangiare con i peccatori guadagna cuori come quello di Zaccheo, quello di Matteo, quello della Samaritana…, ma provoca anche sentimenti di disprezzo in coloro che si credono giusti.

La magnanimità di quell’uomo che manda il suo figlio pensando che sarà rispettato dai vignaioli, scatena tuttavia in essi una ferocia fuori da ogni misura: siamo di fronte al mistero dell’iniquità, che porta a uccidere il Giusto (cfr Mt 21,33-46).

Tutto questo, cari fratelli sacerdoti, ci fa vedere che l’annuncio della Buona Notizia è legato misteriosamente alla persecuzione e alla Croce.

Sant’Ignazio di Loyola, nella contemplazione della Natività – scusatemi questa pubblicità di famiglia -, in quella contemplazione della Natività esprime questa verità evangelica quando ci fa osservare e considerare quello che fanno San Giuseppe e la Madonna: «Per esempio, camminano e si danno da fare perché il Signore nasca in un’estrema povertà e, dopo aver tanto sofferto fame e sete, caldo e freddo, ingiurie e oltraggi, muoia in croce. E tutto questo per me. Poi – aggiunge Ignazio –, riflettendo, ricavare qualche frutto spirituale» (Esercizi spirituali, 116). La gioia della nascita del Signore, il dolore della Croce, la persecuzione.

Che riflessione possiamo fare per trarre profitto per la nostra vita sacerdotale contemplando questa precoce presenza della Croce – dell’incomprensione, del rifiuto, della persecuzione – all’inizio e nel cuore stesso della predicazione evangelica?

Mi vengono in mente due riflessioni.

La prima: non meraviglia constatare che la Croce è presente nella vita del Signore all’inizio del suo ministero e perfino prima della sua nascita. È presente già nel primo turbamento di Maria davanti all’annuncio dell’Angelo; è presente nell’insonnia di Giuseppe al sentirsi obbligato ad abbandonare la sua promessa sposa; è presente nella persecuzione di Erode e nei disagi che patisce la Santa Famiglia, uguali a quelle di tante famiglie che devono andare in esilio dalla propria patria.

Questa realtà ci apre al mistero della Croce vissuta “da prima”. Ci fa comprendere che la Croce non è un fatto a posteriori, un fatto occasionale, prodotto da una congiuntura nella vita del Signore. È vero che tutti i crocifissori della storia fanno apparire la Croce come se fosse un danno collaterale, ma non è così: la Croce non dipende dalle circostanze. Le grandi croci dell’umanità e le piccole – diciamo così – croci nostre, di ognuno di noi non dipendono dalle circostanze.

Perché il Signore ha abbracciato la Croce in tutta la sua integrità? Perché Gesù ha abbracciato la passione intera? Ha abbracciato il tradimento e l’abbandono dei suoi amici già dall’ultima cena, ha accettato la detenzione illegale, il giudizio sommario, la sentenza sproporzionata, la cattiveria senza motivo degli schiaffi e degli sputi gratuiti… Se le circostanze determinassero il potere salvifico della Croce, il Signore non avrebbe abbracciato tutto. Ma quando è stata la sua ora, Egli ha abbracciato la Croce intera. Perché nella Croce non c’è ambiguità! La Croce non si negozia.

La seconda riflessione è la seguente. È vero che c’è qualcosa della Croce che è parte integrante della nostra condizione umana, del limite e della fragilità. Però è anche vero che c’è qualcosa di ciò che accade nella Croce che non è inerente alla nostra fragilità, bensì è il morso del serpente, il quale, vedendo il crocifisso inerme, lo morde e tenta di avvelenare e screditare tutta la sua opera. Morso che cerca di scandalizzare - questa è un’epoca degli scandali-, morso che cerca di immobilizzare e rendere sterile e insignificante ogni servizio e sacrificio d’amore per gli altri. È il veleno del maligno che continua a insistere: salva te stesso.

E in questo morso, crudele e doloroso, che pretende di essere mortale, appare alla fine il trionfo di Dio. San Massimo il Confessore ci ha fatto vedere che con Gesù crocifisso le cose si sono invertite: mordendo la carne del Signore, il demonio non lo ha avvelenato – in Lui ha trovato solo mansuetudine infinita e obbedienza alla volontà del Padre – ma, al contrario, unita all’amo della Croce ha inghiottito la Carne del Signore, che è stata veleno per lui ed è diventata per noi l’antidoto che neutralizza il potere del maligno.[3]

Queste sono le riflessioni. Chiediamo al Signore la grazia di trarre profitto da questi insegnamenti: c’è Croce nell’annuncio del Vangelo, è vero, ma è una Croce che salva. Pacificata con il Sangue di Gesù, è una Croce con la forza della vittoria di Cristo che sconfigge il male, che ci libera dal Maligno. Abbracciarla con Gesù e come Lui, già “da prima” di andare a predicare, ci permette di discernere e respingere il veleno dello scandalo con cui il demonio cercherà di avvelenarci quando inaspettatamente sopraggiungerà una croce nella nostra vita.

«Noi però non siamo di quelli che cedono (hypostoles)» (Eb 10,39) dice l’autore della Lettera agli Ebrei. «Noi però non siamo di quelli che cedono», è il consiglio che ci dà: noi non ci scandalizziamo, perché non si è scandalizzato Gesù vedendo che il suo lieto annuncio di salvezza ai poveri non risuonava puro, ma in mezzo alle urla e alle minacce di quelli che non volevano udire la sua Parola o volevano ridurla a legalismi (moralisti, clericalisti...).

Noi non ci scandalizziamo perché non si è scandalizzato Gesù dovendo guarire malati e liberare prigionieri in mezzo alle discussioni e alle controversie moralistiche, legalistiche, clericali che suscitava ogni volta che faceva il bene.

Noi non ci scandalizziamo perché non si è scandalizzato Gesù dovendo dare la vista ai ciechi in mezzo a gente che chiudeva gli occhi per non vedere o guardava dall’altra parte.

Noi non ci scandalizziamo perché non si è scandalizzato Gesù del fatto che la sua predicazione dell’anno di grazia del Signore – un anno che è la storia intera – abbia provocato uno scandalo pubblico in ciò che oggi occuperebbe appena la terza pagina di un giornale di provincia.

E non ci scandalizziamo perché l’annuncio del Vangelo non riceve la sua efficacia dalle nostre parole eloquenti, ma dalla forza della Croce (cfr 1 Cor 1,17).

Dal modo in cui abbracciamo la Croce annunciando il Vangelo – con le opere e, se necessario, con le parole – si manifestano due cose: che le sofferenze procurateci dal Vangelo non sono nostre, ma «le sofferenze di Cristo in noi» (2 Cor 1,5) e che «non annunciamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore» e noi siamo «servitori a causa di Gesù» (2 Cor 4,5).

Desidero concludere con un ricordo. Una volta, in un momento molto buio della mia vita, chiedevo una grazia al Signore, che mi liberasse da una situazione dura e difficile. Un momento buio. Sono andato a predicare gli Esercizi spirituali ad alcune religiose e l’ultimo giorno, com’era abituale in quel tempo, si sono confessate. È venuta una suora molto anziana, con gli occhi chiari, proprio luminosi. Era una donna di Dio. Allora ho sentito il desiderio di chiederle per me e le ho detto: “Suora, come penitenza preghi per me, perché ho bisogno di una grazia. La chieda al Signore. E se Lei la chiede al Signore, me la darà di sicuro”. Lei ha fatto silenzio, ha aspettato un bel po’, come se pregasse, e poi mi ha guardato e mi ha detto: “Certamente il Signore Le darà la grazia, ma non si sbagli: la darà con il suo modo divino”. Questo mi ha fatto tanto bene: sentire che il Signore ci dà sempre quello che chiediamo, ma lo fa nel suo modo divino. Questo modo implica la croce. Non per masochismo, ma per amore, per amore sino alla fine.[4]

__________________________________

[1] Come quelle che indica un maestro spirituale, padre Claude Judde; una di quelle frasi che accompagnano le nostre decisioni e contengono “l’ultima parola”, quella che conduce alla decisione e muove una persona o un gruppo ad agire. Cfr C. Judde, Œuvres spirituaelles II, 1883, Instruction sur la connaissance de soi même, 313-319, en M.Á. FIORITO, Buscar y hallar la voluntad de Dios, Bs. As., Paulinas, 2000, 248ss.

[2]Antilegomenon” vuol dire che si sarebbe parlato contro di Lui, che alcuni ne avrebbero parlato bene e altri male.

[3] Cfr Centuria 1, 8-13.

[4] Cfr Omelia nella Messa a S. Marta, 29 maggio 2013.

[00444-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

L’Evangile nous présente un changement de sentiments chez les personnes qui écoutent le Seigneur. Le changement est dramatique et il nous montre combien la persécution et la Croix sont liées à l’annonce de l’Evangile. L’admiration suscitée par les paroles de grâce qui sortent de la bouche de Jésus a peu duré dans l’esprit des gens de Nazareth. Une phrase que quelqu’un a murmuré à voix basse: “Mais celui-là, qui est-il? Le fils de Joseph?” (cf. Lc 4, 22) Cette phrase s’est propagée insidieusement. Et tous: “ Mais qui est-il, celui-là? N’est-il pas le fils de Joseph?”.

Il s’agit de l’une de ces phrases ambigües qu’on lâche en passant. On peut l’utiliser pour exprimer avec joie: “Quelle merveille que quelqu’un d’origine si humble parle avec cette autorité”. Et un autre peut l’utiliser pour dire avec mépris: “Et celui-ci, d’où est-il sorti? Qui croit-il être?”. Si nous regardons bien, la phrase se répète quand les apôtres, le jour de la Pentecôte, remplis de l’Esprit Saint, commencent à prêcher l’Evangile. Quelqu’un a dit: «Ces gens qui parlent ne sont-ils pas tous Galiléens?» (Ac 2, 7). Et tandis que les uns ont accueilli la Parole, les autres les ont pris pour des ivrognes.

Formellement il semblerait qu’une option a été laissée ouverte mais, si nous considérons les fruits, dans ce contexte concret, ces paroles contenaient un germe de violence qui s’est déchainée contre Jésus.

Il s’agit d’une “phrase moteur”[1], comme quand on dit: “C’en est trop!” et on agresse l’autre ou on s’en va.

Le Seigneur, qui parfois se taisait ou allait sur l’autre rive, cette fois n’a pas renoncé à commenter, au contraire, il a démasqué la logique perverse qui se cachait sous le couvert d’un simple commérage de campagne. «Vous allez me citer le dicton: “Médecin, guéris-toi toi-même”. Nous avons appris tout ce qui s’est passé à Capharnaüm; fais donc de même ici, dans ton lieu d’origine!» (Lc 4, 23). “Guéris-toi toi-même…”.

“Qu’il se sauve lui-même”. Ici se trouve le venin! C’est la même phrase qui suivra le Seigneur jusqu’à la Croix: «Il en a sauvé d’autres! qu’il se sauve lui-même» (Lc 23, 35); “et qu’il nous sauve nous aussi”, ajoutera un des deux malfaiteurs (cf. v. 39).

Le Seigneur, comme toujours, ne dialogue pas avec l’esprit mauvais, il répond seulement avec l’Ecriture. Les prophètes Elie et Elisée n’ont pas non plus été acceptés par leurs compatriotes mais par contre ils le furent par une veuve phénicienne et un syrien souffrant de la lèpre: deux étrangers, deux personnes d’une autre religion. Les faits sont un signe fort et provoquent l’effet qu’avait prophétisé Siméon, ce vieillard charismatique: que Jésus aurait été «signe de contradiction» (semeion antilegomenon) (Lc 2, 34)[2]

La parole de Jésus a le pouvoir de mettre en lumière ce que l’on a dans le cœur, qui d’habitude est un mélange, comme le grain et l’ivraie. Et cela provoque un combat spirituel. En voyant les gestes de la miséricorde débordante du Seigneur et en écoutant ses béatitudes et les “malheur à vous!” de l’Evangile, on est obligé de discerner et de choisir. Dans ce cas sa parole n’a pas été acceptée et cela a fait que la foule, furieuse, a tenté de mettre fin à sa vie. Mais ce n’était pas encore “l’heure” et le Seigneur, nous dit l’Evangile, «passant au milieu d’eux, allait son chemin» (Lc 4, 30).

Ce n’était pas l’heure mais la rapidité avec laquelle se sont déclenchées la fureur et la férocité de l’acharnement, capables de tuer le Seigneur à ce moment même, montre que c’est toujours l’heure. Et c’est ce que je voudrais partager aujourd’hui avec vous, chers prêtres: l’heure de l’annonce joyeuse et l’heure de la persécution et de la Croix vont ensemble.

L’annonce de l’Evangile est toujours liée à l’étreinte d’une croix concrète. La douce lumière de la Parole produit clarté dans les cœurs bien disposés et confusion et rejet dans ceux qui ne le sont pas. Cela, nous le voyons constamment dans l’Evangile.

La bonne semence semée dans un champ donne du fruit – cent, soixante, trente pour un –, mais elle réveille aussi la jalousie de l’ennemi qui se met avec obsession à semer l’ivraie durant la nuit (cf. Mt 13, 24-30.36-43).

La tendresse du père miséricordieux attire irrésistiblement le fils prodigue pour qu’il retourne à la maison, mais elle suscite aussi l’indignation et la rancœur du fils aîné (cf. Lc 15, 11-32).

La générosité du propriétaire de la vigne est un motif de reconnaissance pour les ouvriers de la dernière heure, mais elle est aussi un motif de commentaires aigres de la part des premiers, qui se sentent offensés parce que leur maître est bon (cf. Mt 20, 1-16).

La proximité de Jésus qui va manger avec les pécheurs gagne des cœurs comme celui de Zachée, celui de Matthieu, celui de la Samaritaine…, mais elle provoque aussi des sentiments de mépris chez ceux qui se croient justes.

La magnanimité de cet homme qui envoie son fils en pensant qu’il sera respecté par les vignerons, déchaîne cependant en eux une férocité hors de toute mesure: nous sommes face au mystère de l’iniquité qui conduit à tuer le Juste (cf. Mt 21, 33-46).

Tout cela, chers frères prêtres, nous fait voir que l’annonce de la Bonne Nouvelle est liée – mystérieusement – à la persécution et à la Croix.

Saint Ignace de Loyola, dans la contemplation de la Nativité – pardonnez-moi cette publicité pour ma famille -, dans cette contemplation de la Nativité il exprime cette vérité évangélique quand il nous fait observer et considérer ce que font saint Joseph et la Vierge: «par exemple, ils marchent et travaillent pour que le Seigneur naisse dans une extrême pauvreté, et meure sur la croix après avoir souffert de faim, de soif, de chaleur et de froid, d’injures et d’affronts. Et tout cela pour moi. Puis – ajoute Ignace –, réfléchissant, pour obtenir un bénéfice spirituel» (Exercices spirituels, 116). La joie de la naissance du Seigneur, la souffrance de la Croix, la persécution.

Quelle réflexion pouvons-nous faire afin de tirer profit pour notre vie sacerdotale en contemplant cette présence précoce de la Croix – de l’incompréhension, du rejet, de la persécution – au début et au cœur même de la prédication évangélique?

Deux réflexions me viennent à l’esprit.

La première: il n’est pas étonnant de constater que la Croix est présente dans la vie du Seigneur au début de son ministère et même avant sa naissance. Elle est déjà présente dans le premier trouble de Marie à l’annonce de l’ange; elle est présente dans l’insomnie de Joseph, se sentant obligé d’abandonner son épouse promise; elle est présente dans la persécution d’Hérode et dans les épreuves que subit la Sainte Famille, semblables à celles de nombreuses familles qui doivent s’exiler de leur patrie.

Cette réalité nous ouvre au mystère de la Croix vécue bien avant. Elle nous amène à comprendre que la Croix n’est pas un évènement à posteriori, un fait occasionnel, produit d’une conjoncture dans la vie du Seigneur. Il est vrai que tous ceux qui crucifient dans l’histoire font apparaître la Croix comme si elle était un dommage collatéral, mais ce n’est pas ainsi: la Croix ne dépend pas des circonstances. Les grandes Croix de l’humanité et les petites Croix – disons ainsi – de chacun de nous, ne dépendent pas des circonstances.

Pourquoi le Seigneur a-t-il embrassé la Croix dans toute son intégrité? Pourquoi Jésus a-t-il embrassé toute la passion: il a embrassé la trahison et l’abandon de ses amis dès la dernière cène, il a accepté la détention illégale, le jugement sommaire, la sentence démesurée, la méchanceté sans motif des gifles et des crachats gratuits…? Si les circonstances avaient déterminé le pouvoir salvifique de la Croix, le Seigneur n’aurait pas tout embrassé. Mais quand ce fut son heure, il a embrassé toute la Croix. Parce que dans la Croix, il n’y a pas d’ambigüité! La Croix ne se négocie pas.

La seconde réflexion est la suivante. Il est vrai qu’il y a quelque chose de la Croix qui est partie intégrante de notre condition humaine, de la limite et de la fragilité. Cependant il est aussi vrai qu’il y a quelque chose de ce qui se passe sur la Croix, qui n’est pas inhérent à notre fragilité. C’est bien la morsure du serpent, qui, en voyant le crucifié sans défense, le mord et tente d’empoisonner et de discréditer toute son œuvre. Une morsure qui cherche à scandaliser – nous sommes dans une époque à scandales –, une morsure à immobiliser et à rendre stériles et insignifiants tout service et tout sacrifice d’amour pour les autres. C’est le venin du malin qui continue d’insister: sauve-toi toi-même.

Et dans cette morsure, cruelle et douloureuse, qui prétend être mortelle, apparait finalement le triomphe de Dieu. Saint Maxime le Confesseur nous a fait voir qu’avec Jésus crucifié les choses ont été inversées: en mordant la chair du Seigneur, le démon ne l’a pas empoisonné – il a seulement trouvé en lui mansuétude infinie et obéissance à la volonté du Père – En revanche, avec l’appât de la Croix, il a avalé la Chair du Seigneur qui a été un venin pour lui et est devenue pour nous l’antidote qui neutralise le pouvoir du malin.[3]

Ce sont mes réflexions. Demandons au Seigneur la grâce de tirer profit de ces enseignements: il y a la Croix dans l’annonce de l’Evangile, c’est vrai, mais c’est une Croix qui sauve. Pacifiée avec le Sang de Jésus, c’est une Croix avec la force de la victoire du Christ qui vainc le mal, qui nous libère du Malin. L’embrasser avec Jésus et comme lui, déjà “bien avant” d’aller prêcher, nous permet de discerner et de refuser le poison du scandale avec lequel le démon cherchera à nous empoisonner quand surviendra à l’improviste une croix dans notre vie.

«Or nous ne sommes pas, nous, de ceux qui abandonnent (hypostoles)» (He 10, 39), dit l’auteur de la Lettre aux Hébreux. «Nous ne sommes pas, nous, de ceux qui abandonnent», et le conseil qu’il nous donne: ne nous scandalisons pas, parce que Jésus ne s’est pas scandalisé en voyant que sa joyeuse annonce de salut aux pauvres ne retentissait pas pur, mais au milieu des cris et des menaces de ceux qui ne voulaient pas entendre sa Parole ou voulaient la réduire à un légalisme (moraliste, cléricaliste…).

Ne nous scandalisons pas parce que Jésus ne s’est pas scandalisé quand il devait guérir les malades et libérer les prisonniers au milieu des discussions et des controverses moralistes, juridiques, cléricales qui surgissaient chaque fois qu’il faisait du bien.

Ne nous scandalisons pas parce que Jésus ne s’est pas scandalisé quand il devait rendre la vue aux aveugles au milieu de gens qui fermaient les yeux pour ne pas voir ou regardaient autre part.

Ne nous scandalisons pas parce que Jésus ne s’est pas scandalisé du fait que sa proclamation de l’année de grâce du Seigneur – une année qui est toute l’histoire – ait provoqué un scandale public dans ce qui occuperait aujourd’hui à peine la troisième page d’un journal de province.

Et ne nous scandalisons pas parce que l’annonce de l’Evangile ne reçoit pas son efficacité de nos paroles éloquentes, mais de la force de la Croix (cf. 1 Co 1, 17).

De la façon dont nous embrassons la Croix en annonçant l’Evangile – avec les œuvres, si nécessaire, avec les paroles – deux choses apparaissent: les souffrances qui nous sont procurées par l’Evangile ne sont pas nôtres mais sont «les souffrances du Christ en nous» (2 Co 1, 5), et que «nous ne nous annonçons pas nous-mêmes, mais le Seigneur Jésus Christ», nous sommes « serviteurs à cause de Jésus» (2 Co 4, 5).

Je voudrais terminer par un souvenir. Une fois, dans un moment très obscur de ma vie, je demandais une grâce au Seigneur, qu’il me libère d’une situation dure et difficile. Un moment obscur. Je suis allé prêcher les Exercices Spirituels à des religieuses et, le dernier jour, comme c’était habituel à cette époque, elles se sont confessées. Une sœur très âgée est venue, avec des yeux clairs, réellement lumineux. C’était une femme de Dieu. Alors j’ai senti le désir de lui demander de prier pour moi et je lui ai dit: “Ma Sœur, comme pénitence priez pour moi, parce que j’ai besoin d’une grâce. Demandez-la au Seigneur. Et si vous la demandez au Seigneur, certainement qu’il me la donnera”. Elle a fait silence, elle a attendu un long moment, comme si elle priait, et après elle m’a regardé et elle m’a dit ceci: “Certainement que le Seigneur vous donnera la grâce, mais ne vous y trompez pas: il la donnera à sa manière divine”. Cela m’a fait beaucoup de bien: sentir que le Seigneur nous donne toujours ce que nous demandons mais le fait à sa manière divine. Cette façon implique la croix. Non pas par masochisme, mais pas amour, par amour jusqu’à la fin[4].

_______________________

[1] Comme celles signalées par un maître spirituel, le père Claude Judde; une de ces phrases qui accompagnent nos décisions et contiennent “le dernier mot”, celui qui conduit à la décision et pousse une personne ou un groupe à agir. Cf. C. Judde, Œuvres spirituelles, II, 1883 Instruction sur la connaissance de soi-même, 313-319, en M.Á. Fioritto, Buscar y hallar la voluntad de Dios, Bs. As., Paulinas, 2000, p. 248 ss.

[2] “Antilegomenon” veut dire qu’on parlerait contre lui, que certains parleraient bien de lui et que d’autres parleraient mal.

[3] Cf. Centuria 1, 8-13.

[4] Cf. Homélie de la Messe à Sainte Marthe, 29 mai 2013.

[00444-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

The Gospel shows us a change of heart among the people who were listening to the Lord. The change was dramatic, and it reveals the extent to which persecution and the cross are linked to the proclamation of the Gospel. The admiration aroused by the grace-filled words spoken by Jesus did not last long in the minds of the people of Nazareth. A comment that someone murmured went insidiously viral: “Is not this Joseph’s son?” (Lk 4:22).

It was one of those ambiguous expressions that are blurted out in passing. One person can use it approvingly to say: “How wonderful that someone of such humble origin speaks with this authority!” Someone else can use it to say in scorn: “And this one, where did he come from? Who does he think he is?” If we think about it, we can hear the same words spoken on the day of Pentecost, when the apostles, filled with the Holy Spirit, began to preach the Gospel. Some said: “Are not all these who are speaking Galileans?” (Acts 2:7). While some received the word, others merely thought that the apostles were drunk.

Strictly speaking, those words spoken in Nazareth might go either way, but if we look at what followed, it is clear that they contained a seed of violence that would then be unleashed against Jesus.

They were “words of justification”,[1] as, for example, when someone says: “That is altogether too much!” and then either attacks the other person or walks away.

This time, the Lord, who at times said nothing or simply walked away, did not let the comment pass. Instead, he laid bare the malevolence concealed in the guise of simple village gossip. “You will quote me the proverb: ‘Physician, heal yourself’. What we have heard that you did in Capernaum, do here also in your own country!” (Lk 4:23). “Heal yourself…”

“Let him save himself”. There is the poison! Those same words will follow the Lord to the cross: “He saved others, let him save himself” (Lk 23:35). “And save us”, one of the thieves will add (cf. v. 39).

As always, the Lord refuses to dialogue with the evil spirit; he only replies in the words of Scripture. The prophets Elijah and Elisha, for their part, were accepted not by their own countrymen but by a Phoenician widow and a Syrian who had contracted leprosy: two foreigners, two people of another religion. This is itself striking and it shows how true was the inspired prophecy of the aged Simeon that Jesus would be a “sign of contradiction (semeion antilegomenon)” (Lk 2:34)[2].

Jesus’ words have the power to bring to light whatever each of us holds in the depths of our heart, often mixed like the wheat and the tares. And this gives rise to spiritual conflict. Seeing the signs of the Lord’s superabundant mercy and hearing the “beatitudes” but also the “woes” found in the Gospel, we find ourselves forced to discern and decide. In this case, Jesus’ words were not accepted and this made the enraged crowd attempt to kill him. But it was not yet his “hour”, and the Lord, so the Gospel tells us, “passing through the midst of them, went away”.

It was not his hour, yet the swiftness with which the crowd’s fury was unleashed, and the ferocity of a rage prepared to kill the Lord on the spot, shows us that it is always his hour. That is what I would like to share with you today, dear priests: that the hour of joyful proclamation, the hour of persecution and the hour of the cross go together.

The preaching of the Gospel is always linked to the embrace of some particular cross. The gentle light of God’s word shines brightly in well-disposed hearts, but awakens confusion and rejection in those that are not. We see this over and over again in the Gospels.

The good seed sown in the field bears fruit – a hundred, sixty and thirty-fold – but it also arouses the envy of the enemy, who is driven to sow weeds during the night (cf. Mt 13:24-30.36-43).

The tender love of the merciful father irresistibly draws the prodigal son home, but also leads to anger and resentment on the part of the elder son (cf. Lk 15:11-32).

The generosity of the owner of the vineyard is a reason for gratitude among the workers called at the last hour, but it also provokes a bitter reaction by one of those called first, who is offended by the generosity of his employer (cf. Mt 20:1-16).

The closeness of Jesus, who dines with sinners, wins hearts like those of Zacchaeus, Matthew and the Samaritan woman, but it also awakens scorn in the self-righteous.

The magnanimity of the king who sends his son, thinking that he will be respected by the tenant farmers, unleashes in them a ferocity beyond all measure. Here we find ourselves before the mystery of iniquity, which leads to the killing of the Just One (cf. Mt 21:33-46).

All this, dear brother priests, enables us to see that the preaching of the Good News is mysteriously linked to persecution and the cross.

Saint Ignatius of Loyola – excuse the “family advertising” – expresses this evangelical truth in his contemplation on the Nativity of the Lord. There he invites us “to see and consider what Saint Joseph and Our Lady did in setting out on their journey so that the Lord could be born in extreme poverty and after many labours – experiencing hunger, thirst, heat and cold, injuries and indignities – die on the Cross, and all this for me”. He then invites us, “in reflecting on this, to draw some spiritual profit” (Spiritual Exercises, 116). The joy of the Lord’s birth; the pain of the Cross; persecution.

What reflection can we make to “draw some profit” for our priestly life by contemplating this early appearance of the cross – of misunderstanding, rejection and persecution – at the beginning and at the very heart of the preaching of the Gospel?

Two thoughts occur to me.

First: we are taken aback to see the cross present in the Lord’s life at the very beginning of his ministry, even before his birth. It is already there in Mary’s initial bewilderment at the message of the angel; it is there in Joseph's sleeplessness, when he felt obliged to send Mary away quietly. It is there in the persecution of Herod and in the hardships endured by the Holy Family, like those of so many other families obliged to live in exile from their homeland.

All this makes us realize that the mystery of the cross is present “from the beginning”. It makes us understand that the cross is not an afterthought, something that happened by chance in the Lord’s life. It is true that all who crucify others throughout history would have the cross appear as collateral damage, but that is not the case: the cross does not appear by chance. The great and small crosses of humanity, the crosses of each of us, do not appear by chance.

Why did the Lord embrace the cross fully and to the end? Why did Jesus embrace his entire Passion: his betrayal and abandonment by his friends after the Last Supper, his illegal arrest, his summary trial and disproportionate sentence, the gratuitous and unjustifiable violence with which he was beaten and spat upon...? If mere circumstances conditioned the saving power of the cross, the Lord would not have embraced everything. But when his hour came, he embraced the cross fully. For on the cross there can be no ambiguity! The cross is non-negotiable.

A second thought: true, there is an aspect of the cross that is an integral part of our human condition, our limits and our frailty. Yet it is also true that something happens on the Cross that does not have to do with our human weakness but is the bite of the serpent, who, seeing the crucified Lord defenceless, bites him in an attempt to poison and undo all his work. A bite that tries to scandalize – and this is an era of scandals – a bite that seeks to disable and render futile and meaningless all service and loving sacrifice for others. It is the venom of the evil one who keeps insisting: save yourself.

It is in this harsh and painful “bite” that seeks to bring death, that God’s triumph is ultimately seen. Saint Maximus the Confessor tells us that in the crucified Jesus a reversal took place. In biting the flesh of the Lord, the devil did not poison him, for in him he encountered only infinite meekness and obedience to the will of the Father. Instead, caught by the hook of the cross, he devoured the flesh of the Lord, which proved poisonous to him, whereas for us it was to be the antidote that neutralizes the power of the evil one.[3]

These are my reflections. Let us ask the Lord for the grace to profit from this teaching. It is true that the cross is present in our preaching of the Gospel, but it is the cross of our salvation. Thanks to the reconciling blood of Jesus, it is a cross that contains the power of Christ’s victory, which conquers evil and delivers us from the evil one. To embrace it with Jesus and, as he did before us, to go out and preach it, will allow us to discern and reject the venom of scandal, with which the devil wants to poison us whenever a cross unexpectedly appears in our lives.

“But we are not among those who shrink back (hypostoles)” (Heb 10:39), says the author of the Letter to the Hebrews. “We are not among those who shrink back”. This is the advice that the author gives us. We are not scandalized, because Jesus himself was not scandalized by seeing that his joyful preaching of salvation to the poor was not received wholeheartedly, but amid the shouts and threats of those who refused to hear his word or wanted to reduce it to legalisms such as moralism or clericalism.

We are not scandalized because Jesus was not scandalized by having to heal the sick and to set prisoners free amid the moralistic, legalistic and clerical squabbles that arose every time he did some good.

We are not scandalized because Jesus was not scandalized by having to give sight to the blind amid people who closed their eyes in order not to see, or looked the other way.

We are not scandalized because Jesus was not scandalised that his proclamation of a year of grace of the Lord – a year that embraces all of history - provoked a public scandal in matters that today would barely make the third page of a local newspaper.

We are not scandalized because the preaching of the Gospel is effective not because of our eloquent words but because of the power of the cross (cf. 1 Cor 1:17).

The way we embrace the cross in our preaching of the Gospel – with deeds and, when necessary, with words – makes two things clear. That the sufferings that come from the Gospel are not ours, but rather “the sufferings of Christ in us” (2 Cor 1:5), and that “we do not preach ourselves but Jesus Christ as Lord and ourselves as servants of all for the love of Jesus” (2 Cor 4:5).

I would like to end by sharing one of my memories. “Once, at a dark moment in my life, I asked the Lord for the grace to free me from a difficult and complex situation. A dark moment. I had to preach the Spiritual Exercises to some women religious, and on the last day, as was customary in those days, they all went to confession. One elderly Sister came; she had a clear gaze, eyes full of light. A woman of God. At the end of the confession, I felt the urge to ask her a favour, so I said to her, ‘Sister, as your penance pray for me, because I need a particular grace. Ask the Lord for it. If you ask the Lord, surely he will give it to me’. She paused in silence for a moment and seemed to be praying, then she looked at me and said, ‘The Lord will certainly give you that grace, but make no mistake about it: he will give it to you in his own divine way’. This did me much good, hearing that the Lord always gives us what we ask for, but that he does so in his divine way. That way involves the cross. Not for masochism. But for love, love to the very end”.[4]

______________________

[1] A master of the spiritual life, Father Claude Judde speaks of expressions that accompany our decisions and contain “the final word”, the word that prompts a decision and moves a person or a group to act. Cf. C. JUDDE, Oeuvres spirituelles, II, 1883 (Instruction sur la connaissance de soi-même), pp. 313-319), in M. Á. FIORITO, Buscar y hallar la voluntad de Dios, Buenos Aires, Paulinas, 2000, 248 s.

[2] “Antilegomenon” means they would speak in different ways about him: some would speak well of him and others ill.

[3] Cf. Cent. I, 8-13.

[4] Homily at Mass in Santa Marta, 29 May 2013.

[00444-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Das Evangelium zeigt uns einen Gefühlswandel bei den Zuhörern des Herrn. Der Eindruck ist dramatisch und zeigt uns, wie sehr Verfolgung und Kreuz mit der Verkündigung des Evangeliums in Verbindung stehen. Die Bewunderung, die durch die Worte der Gnade aus Jesu Mund hervorgerufen wurde, war bei den Menschen von Nazaret von kurzer Dauer. Ein Satz, den jemand mit leiser Stimme murmelte: „Wer ist das? Ist das der Sohn Josefs?“ Jener Satz ging auf hinterhältige Weise „viral“: „Wer ist denn der? Ist das nicht Josefs Sohn?“ (vgl. Lk 4,22).

Es handelt sich um einen jener zweideutigen Sätze, die man beiläufig in den Raum stellt. Der eine mag ihn aufgreifen, um Freude zum Ausdruck zu bringen: „Wie wunderbar, dass einer aus so bescheidenen Verhältnissen mit solch einer Vollmacht redet!“. Und ein anderer kann ihn benutzen, um mit Verachtung zu sagen: „Wo kommt der denn her? Für den hält er sich?“. Achten wir darauf, dass der Satz sich wiederholt, als die Apostel am Pfingsttag vom Heiligen Geist erfüllt beginnen, das Evangelium zu predigen. Jemand sagte: »Sind das nicht alles Galiläer, die hier reden?« (Apg 2,7). Und während einige das Wort annahmen, hielten sie andere für betrunken.

Theoretisch könnte es so scheinen, als gäbe keine der Meinungen den Ausschlag, aber wenn wir das Ergebnis in diesem konkreten Zusammenhang betrachten, enthielten diese Worte doch einen Keim der Gewalt, die sich gegen Jesus entfesselt hat.

Es handelt sich um einen „mitreißenden Satz“ [1], wie wenn einer sagt: „Das ist zu viel!“, und den anderen angreift oder aber weggeht.

Der Herr, der zuweilen schwieg oder sich auf die andere Seite des Ufers zurückzog, verzichtete dieses Mal nicht auf seinen Kommentar. Er entlarvte vielmehr die bösartige Logik, die sich hinter dem Anschein eines einfachen Geredes in einem Dorf verbarg. »Sicher werdet ihr mir das Sprichwort vorhalten: Arzt, heile dich selbst! Wenn du in Kafarnaum so große Dinge getan hast, wie wir gehört haben, dann tu sie auch hier in deiner Heimat!« (Lk 4,23). „Heile dich selbst…“

„Er soll sich selbst retten“. Hier liegt das Gift! Es ist derselbe Satz, der dem Herrn bis zum Kreuz folgen wird: »Andere hat er gerettet, nun soll er sich selbst retten« (Lk 23,35); „und rette auch uns“, so wird einer der Verbrecher hinzufügen (vgl. V. 39).

Der Herr führt wie immer keinen Dialog mit dem bösen Geist, er antwortet nur mit der Schrift. Nicht einmal die Propheten Elija und Elischa wurden von ihren Landsleuten akzeptiert, wohl hingegen von einer phönizischen Witwe und von einem leprakranken Syrer: zwei Fremden, zwei Menschen, die einer anderen Religion angehörten. Die Fakten beeindrucken in ihrer Zeichenhaftigkeit und bringen die Wirkung hervor, welche Simeon, jener geistbegabte Greis, prophezeit hatte: dass Jesus ein »Zeichen sein wird, dem widersprochen wird« (semeion antilegomenon) (Lk 2,34).[2]

Das Wort Jesu hat die Macht, all das zu Tage zu bringen, was man im Herzen trägt: Es ist gewöhnlich ein Gemisch wie Weizen und Unkraut. Und dies ruft einen geistlichen Kampf hervor. Wenn wir die Gesten der überreichen Barmherzigkeit des Herrn sehen und seine Seligpreisungen und seine Wehrufe im Evangelium hören, so sind wir zur Unterscheidung und zur Entscheidung verpflichtet. In diesem Fall wurde sein Wort nicht angenommen, und dies hatte zur Folge, dass die Menge zornentbrannt versuchte, ihm das Leben zu nehmen. Aber die „Stunde“ war noch nicht gekommen und der Herr, so sagt uns das Evangelium, »schritt mitten durch sie hindurch und ging weg« (Lk 4,30).

Die Stunde war nicht gekommen, aber die Geschwindigkeit, mit der die tobende und verbissene Wut sich entlud, die den Herrn in diesem Augenblick zu töten im Stande gewesen wäre, zeigt uns, dass die Stunde immer da ist. Und dies möchte ich heute mit euch teilen, liebe Priester: dass die Stunde der freudigen Verkündigung und die Stunde der Verfolgung und des Kreuzes Hand in Hand gehen.

Die Verkündigung des Evangeliums ist immer an die Annahme eines konkreten Kreuzes gebunden. Das sanfte Licht des Wortes bringt in den bereitwilligen Herzen Klarheit hervor und in denen, die es nicht sind, Ablehnung. Dies sehen wir ständig im Evangelium.

Der gute Samen, der auf das Feld gesät wurde, bringt Frucht – hundertfach, sechzigfach, dreißigfach –, aber er weckt auch den Neid des Feindes, der sich nachts wie ein Besessener daranmacht, Unkraut zu streuen (vgl. Mt 13,24-30.36-43).

Die Sanftmut des barmherzigen Vaters zieht unwiderstehlich den verlorenen Sohn an, nach Hause zurückzukehren, aber sie ruft auch die Empörung und den Groll des älteren Sohnes hervor (vgl. Lk 15,11-32).

Die Großzügigkeit des Weinbergbesitzers ist Grund zur Dankbarkeit für die Arbeiter der letzten Stunde, aber sie ist auch Grund für bittere Aussprüche der Ersten, die sich verletzt fühlen, weil ihr Gutsherr gut ist (vgl. Mt 20,1-16).

Die Nähe Jesu, der mit den Sündern essen geht, gewinnt Herzen wie die von Zachäus, von Matthäus, von der Samariterin…, aber sie erregt auch Gefühle der Verachtung in denen, die sich für gerecht halten.

Die Großmut jenes Mannes, der seinen Sohn mit dem Gedanken aussendet, dass die Winzer vor ihm Achtung haben würden, entfacht in ihnen jedoch eine Grausamkeit über alle Maßen: Wir stehen vor dem Geheimnis des Bösen, das zur Tötung des Gerechten führt (vgl. Mt 21,33-46).

Das alles, liebe priesterliche Mitbrüder, zeigt uns, dass die Verkündigung der Frohen Botschaft geheimnisvoll mit Verfolgung und Kreuz in Verbindung steht.

Der heilige Ignatius von Loyola – verzeiht mir diese Eigenwerbung – bringt in jener Betrachtung des Weihnachtsgeheimnisses diese Wahrheit aus dem Evangelium zum Ausdruck, wenn er uns das schauen und erwägen lässt, was der heilige Josef und die Gottesmutter tun: »wie etwa das Wandern und Sich-Mühen, damit der Herr in höchster Armut geboren werde und damit er am Ende so vieler Mühen in Hunger, in Durst, in Hitze und in Kälte, in Beleidigungen und Anfeindungen am Kreuz sterbe; und dies alles für mich. Danach, indem ich mich zurückbesinne«, so fügt Ignatius reflektierend hinzu, soll ich »irgendeinen geistlichen Nutzen ziehen« (Geistliche Übungen, 116). Die Freude über die Geburt des Herrn und der Schmerz des Kreuzes, die Verfolgung.

Worüber können wir nachdenken, um für unser priesterliches Leben Nutzen zu ziehen, wenn wir diese frühzeitige Gegenwart des Kreuzes – des Unverständnisses, der Ablehnung, der Verfolgung – zu Beginn und im Mittelpunkt der Verkündigung des Evangeliums selbst betrachten?

Es kommen mir zwei Gedanken in den Sinn.

Der erste: Es ist nicht verwunderlich festzustellen, dass das Kreuz im Leben des Herrn zu Beginn seines Wirkens und sogar vor seiner Geburt gegenwärtig ist. Es ist schon im ersten Schrecken Marias über die Botschaft des Engels zugegen; es ist gegenwärtig in der Schlaflosigkeit Josefs, der sich gezwungen sah, seine Verlobte zu verlassen; es ist gegenwärtig in der Verfolgung des Herodes und in den von der Heiligen Familie erduldeten Beschwernissen, die denen so vieler Familie ähnlich sind, die aus ihrem Heimatland ins Exil gehen müssen.

Diese Wirklichkeit öffnet uns für das Geheimnis des Kreuzes, das im Voraus gelebt wird. Sie lässt uns begreifen, dass das Kreuz nicht ein Folgegeschehen, ein situationsbedingtes Faktum ist, das einem Zusammentreffen von Umständen im Leben des Herrn geschuldet ist. Es ist wahr, dass alle Kreuziger der Geschichte das Kreuz als einen Kollateralschaden erscheinen lassen möchten, aber dem ist nicht so: das Kreuz hängt nicht von den Umständen ab. Die großen Kreuze der Menschheit und die kleinen Kreuze – sagen wir mal – unsere Kreuze, die Kreuze von jedem von uns hängen nicht von den Umständen ab.

Warum hat der Herr das Kreuz in seinem vollen Umfang angenommen? Warum hat Jesus die gesamte Passion über sich ergehen lassen? Warum hat er schon vom Letzten Abendmahl an den Verrat und die Abkehr seiner Freunde akzeptiert und die gesetzeswidrige Gefangennahme, den oberflächlichen Prozess, die unverhältnismäßige Strafe, die grundlose Bosheit der Ohrfeigen und des unverdienten Bespuckens hingenommen…? Wenn die Umstände die Heilsmacht des Kreuzes bestimmen würden, so hätte der Herr nicht alles gebilligt. Aber als seine Stunde gekommen war, hat er das Kreuz gänzlich ergriffen. Denn im Kreuz gibt es keine Zweideutigkeit! Mit dem Kreuz verhandelt man nicht.

Die zweite Überlegung: Es ist wahr, dass es etwas im Kreuz gibt, was einen wesentlichen Bestandteil unserer menschlichen Verfasstheit, ihrer Begrenztheit und Zerbrechlichkeit bildet. Es ist aber auch wahr, dass etwas von dem, was am Kreuz geschieht, nicht an unserer Zerbrechlichkeit hängt, sondern vielmehr der Biss der Schlange ist, welche, als sie den wehrlosen Gekreuzigten sieht, zubeißt und versucht, sein ganzes Werk zu vergiften und herabzusetzen. Ein Biss, der versucht, Ärgernis zu erwecken, – und dies ist eine Zeit der Skandale und Ärgernisse – ein Biss, der danach trachtet, zu lähmen und jeden Dienst und jedes Liebesopfer für die anderen unfruchtbar und unbedeutend zu machen. Es ist das Gift des bösen Feindes, der weiterhin auf dem „Rette dich selbst!“ besteht.

Und in diesem grausamen und schmerzhaften Biss, der tödlich sein will, erscheint schließlich der Triumph Gottes. Der heilige Maximus der Bekenner hat uns gezeigt, dass sich mit der Kreuzigung Jesu die Dinge umgekehrt haben: Als der Teufel in das Fleisch des Herrn biss, hat er ihn nicht vergiftet – in ihm hat er nur unendliche Sanftmut und Gehorsam zum Willen des Vaters vorgefunden –, sondern im Gegenteil, er hat zusammen mit dem Angelhaken des Kreuzes das Fleisch des Herrn verschluckt, welches Gift für ihn war und für uns zum Gegengift geworden ist, das die Macht des bösen Feindes ausschaltet.[3]

Dies sind die Überlegungen. Bitten wir den Herrn um die Gnade, aus diesen Lehren Nutzen zu ziehen: Es gibt in der Verkündigung des Evangeliums das Kreuz, es ist wahr, aber es ist ein Kreuz, das rettet. Durch das Blut Jesu geglättet ist es ein Kreuz mit der Kraft des Sieges Christi: Er besiegt das Böse und befreit uns vom bösen Feind. Es mit und wie Jesus zu umfassen, schon bevor man zum Predigen hinausgeht, erlaubt uns, das Gift des Ärgernisses zu erkennen und zurückzuweisen, mit dem der Teufel versuchen wird, uns zu vergiften, wenn in unser Leben unerwartet ein Kreuz eintreten wird.

»Wir aber gehören nicht zu denen, die zurückweichen (hypostolēs)« (Hebr 10,39), sagt der Autor des Hebräerbriefes. »Wir gehören nicht zu denen, die zurückweichen« ist der Rat, den er uns gibt: Wir nehmen keinen Anstoß, weil Jesus keinen Anstoß genommen hat, als er sah, dass seine frohe Botschaft des Heils an die Armen nicht in Reinheit erklang, sondern inmitten der Schreie und Drohungen derer, die sein Wort nicht hören oder es zu einem Legalismus (von Moralisten, Klerikalisten usw.) reduzieren wollten.

Wir nehmen keinen Anstoß, weil Jesus keinen Anstoß genommen hat, als er die Kranken heilen und die Gefangenen inmitten aller moralistischen, legalistischen und klerikalen Diskussionen und Auseinandersetzungen befreien wollte, die er jedes Mal hervorrief, wenn er etwas Gutes tat.

Wir nehmen keinen Anstoß, weil Jesus keinen Anstoß an der Tatsache genommen hat, als er den Blinden das Augenlicht inmitten von Leuten geben wollte, die die Augen verschlossen, um nicht zu sehen, oder auf die andere Seite schaute.

Wir nehmen keinen Anstoß, weil Jesus keinen Anstoß an der Tatsache genommen hat, dass seine Verkündigung vom Gnadenjahr des Herrn – ein Jahr, das die gesamte Geschichte ist –, ein öffentliches Ärgernis erregt hat für etwas, das es heute gerade einmal auf die dritte Seite einer Lokalzeitung schaffen würde.

Und wir nehmen keinen Anstoß, weil die Verkündigung des Evangeliums ihre Wirksamkeit nicht von unseren gewandten Worten erhält, sondern aus der Kraft des Kreuzes (vgl. 1 Kor 1,17).

Aus der Weise, in der wir bei der Verkündigung das Kreuz annehmen, mit Taten, sofern nötig, und mit den Worten, zeigen sich zwei Dinge: dass die Leiden, die das Evangelium uns bringt, nicht die unseren sind, sondern »die Leiden Christi in uns« (vgl. 2 Kor 1,5) und dass »wir nicht uns selbst verkünden, sondern Jesus Christus als den Herrn« und wir »Knechte um Jesu willen« (vgl. 2 Kor 4,5) sind.

Ich möchte mit einer Erinnerung abschließen. Einmal bat ich in einem sehr dunklen Augenblick meines Lebens den Herrn um eine Gnade, dass er mich von einer harten und schwierigen Situation befreien möge. Ein trüber Moment. Ich bin einigen Ordensfrauen Exerzitien predigen gegangen und am letzten Tag haben sie, so wie es zu jener Zeit üblich war, gebeichtet. Es kam eine sehr alte Ordensschwester mit hellen, geradezu strahlenden Augen. Sie war eine Frau Gottes. Da habe ich den Wunsch verspürt, sie für mich um etwas zu bitten, und habe ihr gesagt: „Schwester, als Buße beten Sie für mich, weil ich einer Gnade bedarf. Erbitten Sie dies vom Herrn. Wenn Sie den Herrn darum bitten, wird er sie mir gewiss gewähren“. Sie schwieg und wartete eine gute Weile, als ob sie beten würde. Dann schaute sie mich an und sagte zu mir: „Sicherlich wird der Herr Ihnen die Gnade geben, aber täuschen Sie sich nicht: er wird sie auf seine göttliche Weise geben“. Dies hat mir sehr gut getan: zu spüren, dass der Herr uns immer das gibt, worum wir bitten, aber er tut es auf seine göttliche Weise. Diese Weise bringt das Kreuz mit sich. Nicht aus Masochismus, sondern aus Liebe, aus Liebe bis zum Ende.[4]

______________________

[1] Wie jene Sätze, auf die ein geistlicher Meister Pater Claude Judde hinweist: solche Sätze, die unsere Entscheidungen begleiten und „das letzte Wort“ enthalten, welches zur Entscheidung führt und eine Person oder eine Gruppe zum Handeln antreibt. Vgl. C. Judde, Œuvres spirituaelles II, 1883, Instruction sur la connaissance de soi même, 313-319, in M.Á. FIORITO, Buscar y hallar la voluntad de Dios, Buenos Aires, Paulinas, 2000, 248ff.

[2]Antilegomenon” bedeutet, dass man „gegen“ ihn sprechen würde, dass einige gut über ihn sprechen würden und andere schlecht.

[3] Vgl. Centuria 1, 8-13.

[4] Vgl. Homilie bei der heiligen Messe in Santa Marta, 29. Mai 2013.

[00444-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

El Evangelio nos presenta un cambio de sentimientos en las personas que escuchan al Señor. El cambio es dramático y nos muestra cuánto la persecución y la Cruz están ligadas al anuncio del Evangelio. La admiración que suscitan las palabras de gracia que salían de la boca de Jesús duró poco en el ánimo de la gente de Nazaret. Una frase que alguien murmuró en voz baja: «pero ¿quién es este? ¿ El hijo de José?» (Lc 4,22). Esa frase se “viralizó” insidiosamente. Y todos: «pero ¿quién es este? ¿No es el hijo de José?.

Se trata de una de esas frases ambiguas que se sueltan al pasar. Uno la puede usar para expresar con alegría: “Qué maravilla que alguien de origen tan humilde hable con esta autoridad”. Y otro la puede usar para decir con desprecio: “Y éste, ¿de dónde salió? ¿Quién se cree que es?”. Si nos fijamos bien, la frase se repite cuando los apóstoles, el día de Pentecostés, llenos del Espíritu Santo comienzan a predicar el Evangelio. Alguien dijo: «¿Acaso no son Galileos todos estos que están hablando?» (Hch 2,7). Y mientras algunos recibieron la Palabra, otros los dieron por borrachos.

Formalmente parecería que se dejaba abierta una opción, pero si nos guiamos por los frutos, en ese contexto concreto, estas palabras contenían un germen de violencia que se desencadenó contra Jesús.

Se trata de una “frase motiva”[1], como cuando uno dice: “¡Esto ya es demasiado!” y agrede al otro o se va.

El Señor, que a veces hacía silencio o se iba a la otra orilla, esta vez no dejó pasar el comentario, sino que desenmascaró la lógica maligna que se escondía debajo del disfraz de un simple chisme pueblerino. «Ustedes me dirán este refrán: “¡Médico, sánate a ti mismo!”. Tienes que hacer aquí en tu propia tierra las mismas cosas que oímos que hiciste en Cafarnaún» (Lc 4,23). “Sánate a ti mismo…”.

“Que se salve a sí mismo”. ¡Ahí está el veneno! Es la misma frase que seguirá al Señor hasta la Cruz: «¡Salvó a otros! ¡Que se salve a sí mismo!» (cf. Lc 23,35); “y que nos salve a nosotros”, agregará uno de los dos ladrones (cf. v. 39).

El Señor, como siempre, no dialoga con el mal espíritu, sólo responde con la Escritura. Tampoco los profetas Elías y Eliseo fueron aceptados por sus compatriotas y sí por una viuda fenicia y un sirio enfermo de lepra: dos extranjeros, dos personas de otra religión. Los hechos son contundentes y provocan el efecto que había profetizado Simeón, aquel anciano carismático: que Jesús sería «signo de contradicción» (semeion antilegomenon) (Lc 2,34)[2].

La palabra de Jesús tiene el poder de sacar a la luz lo que cada uno tiene en su corazón, que suele estar mezclado, como el trigo y la cizaña. Y esto provoca lucha espiritual. Al ver los gestos de misericordia desbordante del Señor y al escuchar sus bienaventuranzas y los “¡ay de ustedes!” del Evangelio, uno se ve obligado a discernir y a optar. En este caso su palabra no fue aceptada y esto hizo que la multitud, enardecida, intentara acabar con su vida. Pero no era “la hora” y el Señor, nos dice el Evangelio, «pasando en medio de ellos, se puso en camino» (Lc 4,30).

No era la hora, pero la rapidez con que se desencadenó la furia y la ferocidad del encarnizamiento, capaz de asesinar al Señor en ese mismo momento, nos muestra que siempre es la hora. Y esto es lo que quiero compartir hoy con ustedes, queridos sacerdotes: que la hora del anuncio gozoso y la hora de la persecución y de la Cruz van juntas.

El anuncio del Evangelio siempre está ligado al abrazo de alguna Cruz concreta. La luz mansa de la Palabra genera claridad en los corazones bien dispuestos y confusión y rechazo en los que no lo están. Esto lo vemos constantemente en el Evangelio.

La semilla buena sembrada en el campo da fruto —el ciento, el sesenta, el treinta por uno—, pero también despierta la envidia del enemigo que compulsivamente se pone a sembrar cizaña durante la noche (cf. Mt 13,24-30.36-43).

La ternura del padre misericordioso atrae irresistiblemente al hijo pródigo para que regrese a casa, pero también suscita la indignación y el resentimiento del hijo mayor (cf. Lc 15,11-32).

La generosidad del dueño de la viña es motivo de agradecimiento en los obreros de la última hora, pero también es motivo de comentarios agrios en los primeros, que se sienten ofendidos porque su patrón es bueno (cf. Mt 20,1-16).

La cercanía de Jesús que va a comer con los pecadores gana corazones como el de Zaqueo, el de Mateo, el de la Samaritana…, pero también despierta sentimientos de desprecio en los que se creen justos.

La magnanimidad del rey que envía a su hijo pensando que será respetado por los viñadores, desata sin embargo en ellos una ferocidad fuera de toda medida: estamos ante al misterio de la iniquidad, que lleva a matar al Justo (cf. Mt 21,33-46).

Todo esto, queridos hermanos sacerdotes, nos hacer ver que el anuncio de la Buena Noticia está ligado misteriosamente a la persecución y a la Cruz.

San Ignacio de Loyola, en la contemplación del Nacimiento, -discúlpenme esta publicidad de familia-, en esa contemplación del Nacimiento expresa esta verdad evangélica cuando nos hace mirar y considerar lo que hacen san José y nuestra Señora: «como es el caminar y trabajar, para que el Señor sea nacido en suma pobreza, y al cabo de tantos trabajos, de hambre, de sed, de calor y de frío, de injurias y afrentas, para morir en cruz; y todo esto por mí. Después —agrega Ignacio—, reflexionando, sacar algún provecho espiritual» (Ejercicios Espirituales, 116). El gozo del nacimiento del Señor, el dolor de la Cruz y la persecución.

¿Qué reflexión podemos hacer para sacar provecho para nuestra vida sacerdotal al contemplar esta temprana presencia de la Cruz —de la incomprensión, del rechazo, de la persecución— en el inicio y en el centro mismo de la predicación evangélica?

Se me ocurren dos reflexiones.

La primera: nos causa estupor comprobar que la Cruz está presente en la vida del Señor al inicio de su ministerio e incluso desde antes de su nacimiento. Está presente ya en la primera turbación de María ante el anuncio del Ángel; está presente en el insomnio de José, al sentirse obligado a abandonar a su prometida esposa; está presente en la persecución de Herodes y en las penurias que padece la Sagrada Familia, iguales a las de tantas familias que deben exiliarse de su patria.

Esta realidad nos abre al misterio de la Cruz vivida desde antes. Nos lleva a comprender que la Cruz no es un suceso a posteriori, un suceso ocasional, producto de una coyuntura en la vida del Señor. Es verdad que todos los crucificadores de la historia hacen aparecer la Cruz como si fuera un daño colateral, pero no es así: la Cruz no depende de las circunstancias. Las grandes y pequeñas cruces de la humanidad –por decirlo de algún modo- nuestras cruces, no dependen de las circunstancias.

¿Por qué el Señor abrazó la Cruz en toda su integridad? ¿Por qué Jesús abrazó la pasión entera, abrazó la traición y el abandono de sus amigos ya desde la última cena, aceptó la detención ilegal, el juicio sumario, la sentencia desmedida, la maldad innecesaria de las bofetadas y los escupitajos gratuitos…? Si lo circunstancial afectara el poder salvador de la Cruz, el Señor no habría abrazado todo. Pero cuando fue su hora, Él abrazó la Cruz entera. ¡Porque en la Cruz no hay ambigüedad! La Cruz no se negocia.

La segunda reflexión es la siguiente. Es verdad que hay algo de la Cruz que es parte integral de nuestra condición humana, del límite y de la fragilidad. Pero también es verdad que hay algo, que sucede en la Cruz, que no es inherente a nuestra fragilidad, sino que es la mordedura de la serpiente, la cual, al ver al crucificado inerme, lo muerde, y pretende envenenar y desmentir toda su obra. Mordedura que busca escandalizar, esta es una época de escándalos, mordedura que busca inmovilizar y volver estéril e insignificante todo servicio y sacrificio de amor por los demás. Es el veneno del maligno que sigue insistiendo: sálvate a ti mismo.

Y en esta mordedura, cruel y dolorosa, que pretende ser mortal, aparece finalmente el triunfo de Dios. San Máximo el Confesor nos hizo ver que con Jesús crucificado las cosas se invirtieron: al morder la Carne del Señor, el demonio no lo envenenó —sólo encontró en Él mansedumbre infinita y obediencia a la voluntad del Padre— sino que, por el contrario, junto con el anzuelo de la Cruz se tragó la Carne del Señor, que fue veneno para él y pasó a ser para nosotros el antídoto que neutraliza el poder del Maligno.[3]

Estas son las reflexiones. Pidamos al Señor la gracia de sacar provecho de esta enseñanza: hay cruz en el anuncio del Evangelio, es verdad, pero es una Cruz que salva. Pacificada con la Sangre de Jesús, es una Cruz con la fuerza de la victoria de Cristo que vence el mal, que nos libra del Maligno. Abrazarla con Jesús y como Él, “desde antes” de salir a predicar, nos permite discernir y rechazar el veneno del escándalo con que el demonio nos querrá envenenar cuando inesperadamente sobrevenga una cruz en nuestra vida.

«Pero nosotros no somos de los que retroceden (hypostoles)» (Hb 10,39) dice el autor de la Carta a los Hebreos. «Pero nosotros no somos de los que retroceden», es el consejo que nos da, nosotros no nos escandalizamos, porque no se escandalizó Jesús al ver que su alegre anuncio de salvación a los pobres no resonaba puro, sino en medio de los gritos y amenazas de los que no querían oír su Palabra o deseaban reducirla a legalismo (moralistas, clericalista).

Nosotros no nos escandalizamos porque no se escandalizó Jesús al tener que sanar enfermos y liberar prisioneros en medio de las discusiones y controversias moralistas, leguleyas, clericales que se suscitaban cada vez que hacía el bien.

Nosotros no nos escandalizamos porque no se escandalizó Jesús al tener que dar la vista a los ciegos en medio de gente que cerraba los ojos para no ver o miraba para otro lado.

Nosotros no nos escandalizamos porque no se escandalizó Jesús de que su proclamación del año de gracia del Señor —un año que es la historia entera— haya provocado un escándalo público en lo que hoy ocuparía apenas la tercera página de un diario de provincia.

Y no nos escandalizamos porque el anuncio del Evangelio no recibe su eficacia de nuestras palabras elocuentes, sino de la fuerza de la Cruz (cf. 1 Co 1,17).

Del modo como abrazamos la Cruz al anunciar el Evangelio —con obras y, si es necesario, con palabras— se transparentan dos cosas: que los sufrimientos que sobrevienen por el Evangelio no son nuestros, sino «los sufrimientos de Cristo en nosotros» (2 Co 1,5), y que «no nos anunciamos a nosotros mismos, sino a Jesús como Cristo y Señor» y nosotros somos «servidores por causa de Jesús» (2 Co 4,5).

Quiero terminar con un recuerdo. Una vez, en un momento muy oscuro de mi vida, pedía una gracia al Señor, que me liberara de una situación dura y difícil. Un momento oscuro. Fui a predicar Ejercicios Espirituales a unas religiosas y el último día, como solía ser habitual en aquel tiempo, se confesaron. Vino una hermana muy anciana, con los ojos claros, realmente luminosos. Era una mujer de Dios. Al final sentí el deseo de pedirle por mí y le dije: “Hermana, como penitencia rece por mí, porque necesito una gracia. Pídale al Señor. Si usted la pide al Señor, seguro que me la dará”. Ella hizo silencio, se detuvo un largo momento, como si rezara, y luego me miro y me dijo esto: “Seguro que el Señor le dará la gracia, pero no se equivoque: se la dará a su modo divino”. Esto me hizo mucho bien: sentir que el Señor nos da siempre lo que pedimos, pero lo hace a su modo divino. Este modo implica la cruz. No por masoquismo, sino por amor, por amor hasta el final[4].

________________________

[1] Como las que señala un maestro espiritual, el padre Claude Judde; una de esas frases que acompañan nuestras decisiones y contienen “la última palabra”, esa que inclina la decisión y mueve a una persona o a un grupo a actuar. Cf. C. Judde, Oeuvres spirituaelles II, 1883, Instruction sur la connaisance de soi même, 313-319, en M.A. Fiorito, Buscar y hallar la voluntad de Dios, Bs. As., Paulinas 2000, 248 ss.

[2]Antilegomenon” quiere decir que se hablaría en contra de Él, que algunos hablarían bien y otros mal.

[3] Cf. Centuria 1, 8-13.

[4] Cf. Homilía en la Misa en Santa Marta, 29 mayo 2013.

[00444-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

No Evangelho, vemos uma mudança de sentimentos nas pessoas que estavam a escutar o Senhor. É uma mudança dramática que nos mostra quão ligadas estão a perseguição e a cruz ao anúncio do Evangelho. A admiração suscitada pelas palavras repletas de graça que saíam da boca de Jesus durou pouco no espírito do povo de Nazaré. Uma frase que alguém murmurou em voz baixa: «Mas este, quem é? O filho de José?» (cf. Lc 4, 22). Aquela frase tornou-se insidiosamente «viral»: «Mas, quem é este? Não é o filho de José?»

Trata-se de uma daquelas frases ambíguas que se dizem por dizer. Uma pessoa pode usá-la para exprimir alegria: «Que maravilha ver alguém de origens tão humildes falar com esta autoridade!» Mas outra pode usá-la com desdém: «E isto, donde lhe veio? Que pensa ser?» Se notarmos bem, o caso repete-se quando os Apóstolos, no dia de Pentecostes, cheios do Espírito Santo, começam a pregar o Evangelho. Alguém disse: «Esses que estão a falar, não são todos galileus?» (At 2, 7). E enquanto alguns acolheram a Palavra, outros consideraram-nos bêbados.

Formalmente, parecia que se deixava em aberto uma escolha; mas, se considerarmos os frutos, naquele contexto concreto tais palavras continham um germe de violência que se desencadeou contra Jesus.

É uma «frase motivadora»,[1] como quando se diz: «Isto é demais!» e agride o outro ou deixa-o e vai-se embora.

O Senhor, que às vezes ficava calado ou passava à outra margem, aqui não renunciou a comentar, desmascarando a lógica maligna que se escondia sob a aparência duma simples bisbilhotice de aldeia. «Certamente ides citar-me o provérbio: “Médico, cura-te a ti mesmo”. Tudo o que ouvimos dizer que fizeste em Cafarnaum, fá-lo também aqui na tua terra» (Lc 4, 23). «Cura-te a ti mesmo…»

«Salve-se a si mesmo». Aqui está o veneno! É a mesma frase que acompanhará o Senhor até à cruz: «Salvou os outros; salve-Se a Si mesmo» (Lc 23, 35); «e – acrescentará um dos dois ladrões – salve a nós também» (23, 39).

Como sempre faz, o Senhor não dialoga com o espírito maligno; responde apenas com a Sagrada Escritura. Nem mesmo os profetas Elias e Eliseu foram aceites pelos seus compatriotas, mas foram-no por uma viúva fenícia e um sírio leproso: dois estrangeiros, duas pessoas doutra religião. Os factos são contundentes e provocam o efeito que profetizara aquele idoso carismático do Simeão: Jesus seria «sinal de contradição» (Lc 2, 34; semeion antilegomenon[2]).

A palavra de Jesus tem o poder de trazer à luz aquilo que uma pessoa guarda no coração, sendo habitualmente uma mistura de coisas como o trigo e o joio. E isto provoca luta espiritual. Ao ver os gestos de superabundante misericórdia do Senhor e ao ouvir as suas bem-aventuranças seguidas das invetivas «ai de vós!» no Evangelho, a pessoa vê-se obrigada a discernir e escolher. Neste caso, a sua palavra não foi acolhida, acabando a multidão, enfurecida, por tentar tirar-Lhe a vida. Mas ainda não era «a hora»; e o Senhor – diz-nos o Evangelho –, «passando pelo meio deles, seguiu o seu caminho» (Lc 4, 30).

Não era a hora, mas a rapidez com que se desencadeou a fúria e a brutalidade do encarniçamento, capaz de matar o Senhor naquele preciso momento, mostra-nos que é sempre a hora. E isto mesmo é o que desejo partilhar hoje convosco, queridos sacerdotes: andam juntas a hora do anúncio jubiloso e a hora da perseguição e da cruz.

A proclamação do Evangelho está sempre ligada ao abraço duma cruz concreta. A luz suave da Palavra gera clareza nos corações bem-dispostos, e confusão e rejeição naqueles que o não estão. Vemos isto constantemente no Evangelho.

A boa semente lançada no campo dá fruto – cento, sessenta, trinta por um –, mas desperta também a inveja do inimigo que obsessivamente começa a semear joio durante a noite (cf. Mt 13, 24-30.36-43).

A ternura do pai misericordioso atrai irresistivelmente o filho pródigo para que regresse a casa, mas suscita também a indignação e o ressentimento do filho mais velho (cf. Lc 15, 11-32).

A generosidade do dono da vinha é motivo de gratidão nos trabalhadores da última hora, mas é motivo também de comentários azedos nos primeiros, que se sentem ofendidos porque o dono é bom (cf. Mt 20, 1-16).

A proximidade de Jesus, que vai comer com os pecadores, ganha corações como o de Zaqueu, o de Mateus, o da Samaritana..., mas provoca também sentimentos de desprezo naqueles que se consideram justos.

A magnanimidade daquele homem que manda o seu filho pensando que seria respeitado pelos vinhateiros, desencadeia todavia neles uma brutalidade sem medida: estamos perante o mistério da iniquidade, que leva a matar o Justo (cf. Mt 21, 33-46).

Tudo isto, queridos irmãos sacerdotes, nos mostra que a proclamação da Boa Nova está misteriosamente ligada à perseguição e à cruz.

Santo Inácio de Loyola, na contemplação do Presépio (desculpai-me a publicidade de família!), naquela contemplação do Presépio, exprime esta verdade evangélica quando nos faz observar e considerar o que fazem São José e Nossa Senhora, como, «por exemplo, caminham e trabalham porque o Senhor nasce na extrema pobreza e, no final de tantos trabalhos, de fome e sede, de calor e frio, de injúrias e afrontas, morre na cruz. E tudo isto por mim. Depois – acrescenta Inácio –, refletindo, tira algum proveito espiritual» (Exercícios espirituais, 116). A alegria pelo nascimento do Senhor, o sofrimento da Cruz, a perseguição.

Ora, a fim de «tirar algum proveito» para a nossa vida sacerdotal, que reflexão poderemos fazer ao contemplar esta presença precoce da cruz (da incompreensão, da rejeição, da perseguição) no início e no meio da pregação evangélica? Vêm-me à mente duas reflexões.

A primeira: não nos deve maravilhar a constatação de estar presente a cruz na vida do Senhor no início de seu ministério, pois estava já antes do seu nascimento: já está presente no primeiro turbamento de Maria ao ouvir o anúncio do Anjo; está presente nas insónias de José, sentindo-se obrigado a abandonar a sua esposa prometida; está presente na perseguição de Herodes e nas agruras sofridas pela Sagrada Família, iguais às de tantas famílias que têm de exilar-se da sua pátria.

Esta realidade abre-nos ao mistério da cruz experimentada antes. Faz-nos compreender que a cruz não é um facto indutivo, um facto ocasional produzido por uma conjuntura na vida do Senhor. É verdade que todos os crucificadores da história fazem aparecer a cruz como um dano colateral, mas não é assim: a cruz não depende das circunstâncias. As grandes cruzes da humanidade e as pequenas – digamos assim! – cruzes nossas, de cada um de nós não dependem das circunstâncias.

Porque é que o Senhor abraçou a cruz em toda a sua integridade? Porque é que Jesus abraçou a paixão inteira: abraçou a traição e o abandono dos seus amigos já desde a Última Ceia, aceitou a prisão ilegal, o julgamento sumário, a sentença desproporcionada, a malvadez sem motivo das bofetadas e cuspidelas? Se as circunstâncias determinassem o poder salvífico da cruz, o Senhor não teria abraçado tudo. Mas quando chegou a sua hora, abraçou a cruz inteira. Porque a cruz não tolera ambiguidade; com a cruz, não se regateia!

E a segunda reflexão é esta. É verdade que há algo na cruz que é parte integrante da nossa condição humana, com os seus limites e fragilidades. Mas é verdade também que, daquilo que acontece na cruz, há algo que não é inerente à nossa fragilidade, mas é a mordedura da serpente que, vendo o Crucificado indefeso, morde-O e tenta envenenar e desacreditar toda a sua obra. Mordedura, que procura escandalizar – esta é uma época dos escândalos –, mordedura que procura imobilizar e tornar estéril e insignificante todo o serviço e sacrifício de amor pelos outros. É o veneno do maligno que continua a insistir: salva-te a ti mesmo.

E nesta mordedura, cruel e dolorosa, que pretende ser mortal, aparece finalmente o triunfo de Deus. São Máximo, o Confessor, fez-nos ver que a situação se inverteu com Jesus crucificado: ao morder a carne do Senhor, o demónio não O envenenou – n’Ele, só encontrou mansidão infinita e obediência à vontade do Pai – antes, pelo contrário, unida ao anzol da cruz engoliu a carne do Senhor, que foi veneno para ele e tornou-se para nós o antídoto que neutraliza o poder do maligno.[3]

Estas são as reflexões que me vieram à mente. Peçamos ao Senhor a graça de tirar proveito destes ensinamentos: é verdade que, no anúncio do Evangelho, há cruz; mas é uma cruz que salva. Pacificada com o Sangue de Jesus, é uma cruz com a força da vitória de Cristo que vence o mal e liberta-nos do maligno. Abraçá-la com Jesus e como Ele, desde «antes» de ir pregar, permite-nos discernir e repelir o veneno do escândalo com que o demónio procurará envenenar-nos quando chegar inesperadamente uma cruz na nossa vida.

«Nós, porém, não somos daqueles que voltam atrás (hypostolos)»: diz o autor da Carta aos Hebreus (10, 39). «Nós, porém, não somos daqueles que voltam atrás», é o conselho que nos dá: nós não nos escandalizamos, porque Jesus não Se escandalizou ao ver que o seu jubiloso anúncio de salvação aos pobres não ressoava puro, mas no meio dos gritos e ameaças de quem não queria ouvir a sua Palavra ou queria reduzi-la a legalismos (moralistas, clericalistas…).

Não nos escandalizamos porque Jesus não Se escandalizou por ter de curar doentes e libertar prisioneiros no meio das discussões e controvérsias moralistas, legalistas e clericais que suscitava sempre que fazia o bem.

Não nos escandalizamos porque Jesus não Se escandalizou por ter de dar a vista a cegos no meio de gente que fechava os olhos para não ver ou olhava para o lado.

Não nos escandalizamos porque Jesus não Se escandalizou pelo facto da sua proclamação do ano de graça do Senhor – um ano que é a história inteira – ter provocado um escândalo público que hoje ocuparia apenas a terceira página dum jornal de província.

E não nos escandalizamos porque o anúncio do Evangelho não recebe a sua eficácia das nossas palavras eloquentes, mas da força da cruz (cf. 1 Cor 1, 17).

Pelo modo como abraçamos a cruz ao anunciar o Evangelho – com as obras e, se necessário, com as palavras –, manifestam-se duas coisas: primeira, os sofrimentos que derivam do Evangelho não são nossos, mas «os sofrimentos de Cristo em nós» (2 Cor 1, 5), e, segunda, «não nos pregamos a nós mesmos, mas a Cristo Jesus, o Senhor» e somos «servos, por amor de Jesus» (2 Cor 4, 5).

Quero concluir com uma recordação que tenho dum momento muito escuro da minha vida. Eu pedia ao Senhor a graça de me libertar daquela situação dura e difícil. Era um momento negro. Uma vez, fui pregar o Retiro a algumas religiosas, que, no último dia – como era costume então –, se confessaram. Veio uma irmã muito idosa, com olhos límpidos, mesmo luminosos. Era uma mulher de Deus. No fim, senti vontade de lhe pedir que rezasse por mim, dizendo-lhe: «Irmã, como penitência reze por mim, porque preciso duma graça. Peça-a ao Senhor. É que, se for a Irmã a pedi-la, com certeza o Senhor me la dará». Ela ficou em silêncio, parou um bom bocado, como se estivesse a rezar, depois olhou para mim e disse-me: «Certamente o Senhor conceder-lhe-á a graça, mas não se engane: dá-la-á segundo o seu modo divino». Isto fez-me muito bem: ouvir que o Senhor nos dá sempre o que Lhe pedimos, mas fá-lo ao modo divino. Este modo envolve a cruz. Não por masoquismo, mas por amor, por amor até ao fim.[4]

________________________

[1] Como as frases de que fala um mestre espiritual, Padre Claude Judde; uma daquelas frases que acompanham as nossas decisões e contém «a última palavra», aquela que leva à decisão e move à ação uma pessoa ou um grupo. Cf. C. JUDDE, «Instructión sur la connaisance de soi même», Œuvres spirituelles, II (1883), 313-319): em M. Á. FIORITO, Buscar y hallar la voluntad de Dios (Bs. As. – Paulinas 2000), 248ss.

[2] «Antilegomenon» significa que teriam falado contra Ele: se alguns falavam bem, outros falavam mal.

[3] Cf. Centúria 1, 8-13.

[4] Cf. Homilia da Missa em Santa Marta, 29/V/2013.

[00444-PO.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Ewangelia ukazuje nam przemianę uczuć w osobach, które słuchają Pana. Zmiana jest dramatyczna i pokazuje nam, jak bardzo z głoszeniem Ewangelii związane są prześladowanie i krzyż. W sercach mieszkańców Nazaretu zachwyt wzbudzony przez słowa łaski, które wyszły z ust Jezusa, trwał bardzo krótko. Zdanie, które ktoś szepnął po cichu: „A kim on jest? Czy nie jest to syn Józefa?” (por. Łk 4, 22). To zdanie rozeszło się podstępnie jak wirus. I wszyscy: „A kim on jest? Czy nie jest to syn Józefa?”.

To jeden z tych dwuznacznych zwrotów, które czasem padają mimochodem. Można go użyć, by wyrazić z radością: „Jakże to cudowne, że ktoś o tak skromnym pochodzeniu przemawia z takim autorytetem!”. A inny może go użyć, by powiedzieć z pogardą: „A ten, skąd się wziął? Za kogo się uważa?”. Jeśli dobrze się temu przyjrzeć, to zdanie to jest powtarzane, gdy apostołowie w dniu Pięćdziesiątnicy, napełnieni Duchem Świętym, zaczynają głosić Ewangelię. Ktoś powiedział: „Czyż ci wszyscy, którzy przemawiają, nie są Galilejczykami? (Dz 2, 7). I podczas, gdy jedni przyjmowali Słowo z radością, inni brali ich za pijanych.

Formalnie zdawać by się mogło, że wybór pozostaje otwarty, ale jeśli weźmiemy pod uwagę owoce, w tym konkretnym kontekście, słowa te zawierały zaczyn przemocy, która rozpętała się przeciwko Jezusowi.

Jest to „zdanie pociągające skutek”[1], jak wtedy, gdy jeden mówi: „Tego już za wiele!” i atakuje drugiego, lub odchodzi.

Pan, który czasami milczał lub odchodził na drugi brzeg, tym razem nie zrezygnował z komentarza, ale obnażył złośliwą logikę, która czaiła się pod pozorami zwykłej wiejskiej plotki. „Z pewnością powiecie Mi to przysłowie: Lekarzu, ulecz samego siebie; dokonajże i tu w swojej ojczyźnie tego, co wydarzyło się, jak słyszeliśmy, w Kafarnaum” (Łk 4, 23). „Ulecz samego siebie...”

„Niech sam się ocali”. W tym tkwi trucizna! To ten sam zwrot, który będzie towarzyszył Panu aż po krzyż: „Innych wybawiał, niechże teraz siebie wybawi” (Łk 23, 35); „i nas też wybaw” - doda jeden z dwóch złoczyńców (por. w. 39).

Pan, jak zawsze, nie rozmawia ze złym duchem, odpowiada jedynie słowami Pisma Świętego. Także prorocy Eliasz i Elizeusz nie zostali zaakceptowani przez swoich rodaków, ale przez fenicką wdowę i Syryjczyka cierpiącego na trąd: dwoje cudzoziemców, dwoje ludzi innej religii. Fakty trafiły w sedno i wywołały efekt, który Symeon, ów charyzmatyczny starzec, przepowiedział: że Jezus będzie „znakiem sprzeciwu” (semeion antilegomenon) (Łk 2, 34)[2].

Słowo Jezusa ma moc wydobyć na światło dzienne to, co nosimy w sercu, co jest zazwyczaj mieszaniną, jak pszenica i kąkol. A to powoduje walkę duchową. Widząc przeobfite czyny miłosierdzia Pana, słysząc Jego błogosławieństwa i ewangeliczne „biada wam!”, człowiek jest zmuszony do rozeznania i dokonania wyboru. W tym przypadku Jego słowo nie zostało przyjęte i sprawiło, iż tłum, rozpalony gniewem, próbował odebrać mu życie. Ale nie nadeszła jeszcze „godzina" i Pan, jak mówi nam Ewangelia, „przeszedłszy pośród nich oddalił się” (Łk 4, 30).

Nie nadeszła godzina, ale szybkość, z jaką rozpętała się furia i zaciekłość gniewu, zdolna, by zabić Pana w tej właśnie chwili, pokazuje nam, że zawsze jest to godzina. I tym chcę się właśnie dziś z wami podzielić, drodzy kapłani: że godzina radosnego głoszenia i godzina prześladowania i krzyża są ze sobą powiązane.

Głoszenie Ewangelii jest zawsze związane z przyjęciem konkretnego krzyża. Łagodne światło Słowa rodzi jasność w sercach dobrze usposobionych, a zamieszanie i odrzucenie w tych, które takimi nie są. Widzimy to nieustannie w Ewangelii.

Dobre ziarno zasiane na polu przynosi owoc – sto-, sześćdziesięcio-, trzydziestokrotny – ale budzi też zazdrość nieprzyjaciela, który obsesyjnie sieje w nocy kąkol (por. Mt 13, 24-30, 36-43).

Czułość miłosiernego ojca nieodparcie pobudza syna marnotrawnego, by powrócił do domu, ale budzi też oburzenie i niechęć starszego syna (por. Łk 15, 11-32).

Hojność pana winnicy jest powodem do wdzięczności dla robotników ostatniej godziny, ale dla pierwszych jest powodem do gorzkich komentarzy, bo czują się urażeni, ponieważ ich pan jest dobry (por. Mt 20, 1-16).

Bliskość Jezusa, który jada z grzesznikami, zdobywa serca takie jak Zacheusza, Mateusza, Samarytanki..., ale wywołuje też uczucie pogardy u tych, którzy uważają się za sprawiedliwych.

Wielkoduszność owego człowieka, który posyła swojego syna, sądząc, że rolnicy go uszanują, rozpętuje w nich jednak dzikość ponad wszelką miarę: mamy do czynienia z tajemnicą nieprawości, która prowadzi do zabicia Sprawiedliwego (por. Mt 21, 33-46).

To wszystko, drodzy bracia kapłani, pokazuje nam, że głoszenie Dobrej Nowiny jest w tajemniczy sposób związane z prześladowaniem i krzyżem.

Św. Ignacy Loyola, wpatrując się w Narodzenie Pańskie – wybaczcie mi tę rodzinną reklamę – wpatrując się w Narodzenie Pańskie, wyraża tę ewangeliczną prawdę, gdy każe nam obserwować i rozważać to, co czynią święty Józef i Matka Boża: „jak podróżują i trudzą się, aby Pan narodził się w skrajnym ubóstwie, a po tylu trudach, doznawszy głodu i pragnienia, upału i zimna, krzywd i zniewag, umarł wreszcie na krzyżu; a to wszystko dla mnie”. Następnie – dodaje Ignacy – „wchodząc w siebie i pożytek jakiś duchowny wyciągnąć” (Ćwiczenia duchowne, 116). Radość narodzenia Pana, ból Krzyża, prześladowanie.

Jaką refleksję możemy podjąć, aby czerpać korzyści dla naszego życia kapłańskiego, rozważając tę wczesną obecność krzyża – niezrozumienia, odrzucenia, prześladowania – na samym początku i w samym sercu ewangelicznego przepowiadania?

Przychodzą mi na myśl dwie refleksje.

Po pierwsze, nie jest zaskakujące, że krzyż jest obecny w życiu Pana na początku Jego posługi, a nawet przed Jego narodzeniem. Jest on już obecny w pierwszym niepokoju Maryi wobec zwiastowania anioła; jest obecny w bezsenności Józefa, który czuje się zmuszony do opuszczenia swojej oblubienicy; jest obecny w prześladowaniach Heroda i w trudnościach, jakich doznaje Święta Rodzina, takich samych, jakie dotykają wiele rodzin, które muszą udać się na wygnanie ze swojej ojczyzny.

Ta rzeczywistość otwiera nas na tajemnicę krzyża przeżywaną od początku. Pozwala nam zrozumieć, że krzyż nie jest faktem a posteriori, faktem okazjonalnym, powstałym w wyniku zbiegu okoliczności w życiu Pana. To prawda, że wszyscy krzyżujący w dziejach sprawiają wrażenie, jakby krzyż był szkodą uboczną, ale tak nie jest: krzyż nie zależy od okoliczności. Wielkie krzyże ludzkości i małe – powiedzmy tak – krzyże nasze, każdego z nas nie zależą od okoliczności.

Dlaczego Pan przyjął krzyż w całej jego rozciągłości? Dlaczego Jezus przyjął całą mękę: przyjął zdradę i opuszczenie przez swych przyjaciół już podczas Ostatniej Wieczerzy, czy zaakceptował bezprawne uwięzienie, wyrok w trybie doraźnym, nieproporcjonalne orzeczenie, niegodziwość bezpodstawnych policzków i plwocin...? Gdyby okoliczności decydowały o zbawczej mocy krzyża, Pan nie przyjąłby tego wszystkiego. Ale ponieważ nastała Jego godzina, przyjął krzyż w całej pełni. W krzyżu bowiem nie ma dwuznaczności! Krzyż nie podlega negocjacjom.

Druga refleksja jest następująca. To prawda, że w krzyżu jest coś, co stanowi integralną część naszej ludzkiej kondycji, ograniczenia i kruchości. Jest jednak również prawdą, że w krzyżu dzieje się coś, co nie jest nieodłącznie związane z naszą słabością, ale jest ukąszeniem węża, który widząc ukrzyżowanego bezradnym, kąsa go i próbuje otruć i zdyskredytować całe jego dzieło. Ukąszenie, które ma na celu zgorszenie – to jest epoka zgorszeń -, ukąszenie, które ma na celu unieruchomienie i czyni bezowocną i nieistotną każdą posługę i poświęcenie miłości dla innych. Jest to trucizna złego, która stale nalega: wybaw sam siebie.

I w tym ukąszeniu, okrutnym i bolesnym, które chciałoby być śmiertelnym, pojawia się wreszcie triumf Boga. Święty Maksym Wyznawca ukazał nam, że w przypadku Jezusa ukrzyżowanego sytuacja uległa odwróceniu: diabeł, kąsając ciało Pana, nie zatruł go - w Nim znalazł jedynie bezgraniczną łagodność i posłuszeństwo woli Ojca - lecz przeciwnie, zjednoczony z miłością krzyża połknął Ciało Pańskie, które było dla niego trucizną, a dla nas stało się antidotum unieszkodliwiającym moc złego[3].

Oto refleksje. Prośmy Pana o łaskę wyciągnięcia korzyści z tego nauczania: w głoszeniu Ewangelii zawarty jest krzyż, to prawda, ale jest to krzyż, który zbawia. Ukojony krwią Jezusa, jest on krzyżem z mocą Chrystusowego zwycięstwa, które pokonuje zło, które uwalnia nas od Złego. Przyjęcie go wraz z Jezusem i tak jak On, nawet „zanim” pójdziemy głosić, pozwala nam rozeznać i odrzucić truciznę zgorszenia, którą diabeł będzie próbował nas zatruć, gdy krzyż niespodziewanie pojawi się w naszym życiu.

„My zaś nie należymy do odstępców” (hypostoles) (Hbr 10, 39) – mówi autor Listu do Hebrajczyków. „My zaś nie należymy do odstępców”, to rada jaką nam daje: nie gorszmy się, bo Jezus nie był zgorszony, gdy widział, że Jego radosna nowina zbawienia ubogich nie rozbrzmiewała czystym głosem, lecz pośród krzyków i gróźb tych, którzy nie chcieli usłyszeć Jego Słowa, albo chcieli zredukować je do legalizmów (moralizmów, klerykalizmów…).

Nie gorszymy się, ponieważ Jezus nie był zgorszony, musząc uzdrawiać chorych i uwalniać więźniów pośród dyskusji i sporów moralistycznych, legalistycznych, klerykalnych, które pojawiały się za każdym razem, gdy czynił dobro.

Nie gorszymy się, ponieważ Jezus nie był zgorszony, musząc dawać wzrok ślepym pośród ludzi, którzy zamykali oczy, aby nie widzieć lub odwracali wzrok.

Nie gorszymy się, ponieważ Jezus nie był zgorszony faktem, że jego przepowiadanie roku łaski Pana – roku, który jest całą historią – wywołało publiczny skandal, który dzisiaj zająłby ledwie trzecią stronę prowincjonalnej gazety.

I nie gorszymy się, że głoszenie Ewangelii nie czerpie swej skuteczności z naszych elokwentnych słów, ale z mocy krzyża (por. 1 Kor 1, 17).

Od sposobu, w jaki przyjmujemy krzyż głosząc Ewangelię – przez nasze uczynki, a jeśli trzeba, przez nasze słowa – ukazują się dwie rzeczy: że cierpienia, które przynosi nam Ewangelia, nie są naszymi własnymi cierpieniami, ale „cierpieniami Chrystusa w nas” (2 Kor 1, 5) oraz że „nie głosimy siebie samych, lecz Chrystusa Jezusa” i jesteśmy „sługami ze względu na Jezusa” (2 Kor 4, 5).

Chciałbym zakończyć pewnym wspomnieniem. Pewnego razu, w mrocznym okresie mojego życia, poprosiłem Pana o łaskę, która wybawiłaby mnie z trudnej i ciężkiej sytuacji. Mroczny moment. Poszedłem głosić rekolekcje pewnym zakonnicom i ostatniego dnia, jak to było wtedy w zwyczaju, spowiadały się. Przyszła bardzo stara zakonnica, z czystymi oczami, wręcz jaśniejącymi. Była to Boża niewiasta. Poczułem pragnienie, by prosić ją za mnie i powiedziałam jej: „Siostro, jako pokutę módl się za mnie, bo potrzebuję łaski. Proś o nią Pana. A jeśli poprosisz o to Pana, to na pewno mi to da”. Odczekała dobrą chwilę, jakby się modląc, a potem popatrzyła na mnie i powiedziała: „Z pewnością Pan da ci łaskę, ale nie pomyl się: da ją na swój Boski sposób”. Zrobiło mi to bardzo dobrze, kiedy usłyszałem, że Pan daje nam zawsze to, o co prosimy, ale na swój boski sposób. Ten sposób wiąże się z krzyżem. Nie ze względu na masochizm, ale z miłości, z miłości aż do końca[4].

_______________

[1] Jak te wskazane przez mistrza duchowego, ojca Claude Judde; jedno z tych sformułowań, które towarzyszą naszym decyzjom i zawierają „ostatnie słowo”, to, które prowadzi do decyzji i pobudza osobę lub grupę do działania. Por. C. JUDDE, Œuvres spirituaelles II, 1883, Instruction sur la connaissance de soi même, 313-319,

[2] Słowo “antilegomenon” oznacza, że będzie się mówiło przeciwko Niemu, że jedni będą mówili o Nim dobrze, a inni źle.

[3] Por. Centuria 1, 8-13, w: Liturgia godzin, tom I, wydanie II (Pallottinum 2006), s. 458.

[4] Por. Homilia podczas Mszy św, w Domu św, Marty, 29 maja 2013.

[00444-PL.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

عظة قداسة البابا فرنسيس

خلال قدّاس الميرون المقدّس

الخميس 1 نيسان / أبريل 2021

بازليك القدّيس بطرس

يقدّم لنا الإنجيلُ اليوم التغييرَ الذي يحدث في مشاعر الناس الذين يصغون إلى الربّ. وهذا التغيير شديد ويُظهِر لنا مدى ارتباط إعلان الإنجيل بالاضطهاد والصّليب. فالإعجاب الذي أثاره الكلام المملوء بالنعمة الذي كان يخرج من فم يسوع لم يَدُمْ طويلًا في أذهان أهل الناصرة. فقد تمتم أحدهم جملة صغيرة بصوت خافت: "مَن هذا؟ أليس ابنُ يوسُف؟" (را. لو 4، 22). وانتشرت هذه الجملة مثل الفيروس. قال جميعهم: "مَن هذا؟ أليس ابنُ يوسُف؟".

وهي إحدى العبارات المُبهَمة التي تُقال بطريقة عابرة. قد يستخدمها أحدهم ليعبّر بفرح عن دهشته: "ما أجمل أن يتكلّم شخص من أصل متواضع بهذا السلطان". وقد يستخدمها شخص آخر ليقول بازدراء: "وهذا من أين أتى؟ من يظنّ نفسه؟". إذا نظرنا عن كثب، فهذه العبارة تكرّرت عندما بدأ الرسل يوم العنصرة، بالكرازة بالإنجيل وقد ملأهم الرّوح القدس. قال أحدهم: "أليسَ هؤُلاءِ المُتَكَلِّمونَ جليليِّينَ بِأَجمَعِهم؟" (رسل 2، 7). وفيما قَبِلَ البعضُ كلمةَ الله، اعتبَرَهم آخرون سكارى.

خارجيًّا، يبدو أنه لا يزال هناك خيار مفتوح، ولكن إذا نظرنا إلى ثمار هذه العبارات، في هذا السياق المحدّد، فإنّها تحتوي على بذرة من عنفٍ أطلقَ عنانَه ضدّ يسوع.

إنّها "عبارة تحفيزية"[1]، وكأننا نقول: "هذا كثير!" ونهاجم الآخر أو نغادر المكان.

الرّبّ يسوع، الذي كان يصمت أحيانًا أو يذهب إلى الشاطئ الآخر، لم يسمح لهذا التعليق أن يمرّ هذه المرّة، بل كشف المنطق الشرير الذي كان مخفيًّا تحت ستار ثرثرةِ بلدةٍ بسيطة. "لا شكَّ أَنَّكم تَقولونَ لي هذا المَثَل: يا طَبيبُ اشفِ نَفسَكَ. فاصنَعْ ههُنا في وَطَنِكَ كُلَّ شَيءٍ سَمِعْنا أَنَّه جَرى في كَفَرناحوم" (لو 4، 23). "اشفِ نَفسَكَ…".

"ليخلّص نفسه". هنا يكمن السمّ! فسوف تتبعُ الربَّ يسوع هذه العبارةُ نفسها حتى الصّليب: "خَلَّصَ غَيرَه فَلْيُخَلِّصْ نَفْسَه" (لو 23، 35)، (وأضاف أحد اللصوص "خَلِّصْ نَفْسَكَ وخَلِّصْنا") (را. آية 39).

كالمعتاد، لم يتحاور الربّ يسوع مع الروح الشرّير، بل أجاب مستعينًا بالكتاب المقدّس. لم يقبل الشعبُ سابقًا النبيّين إيليا وإليشاع، بل أرملةٌ فينيقيّة ورجلٌ سوريٌّ أبرص: أي شخصان غريبان ينتميان إلى شعبين من ديانة أخرى. الوقائع واضحة وهي توقظ الشعور الذي تنبّأ به سمعان، ذلك الرجل المتقدّم بالسن والكاريزمي: أن يسوع سوف يكون "آيَةً مُعَرَّضةً لِلرَّفْض" (semeion antilegomenon) [2] (لو 2، 34).

إنّ كلمة يسوع تمتلك القدرة على تسليط الضوء على كلّ ما في قلب الإنسان، والذي هو عادة مزيج من الحنطة والزؤان. وهذا يسبّب الكفاح الروحي. عندما نرى أعمال الرحمة الفائضة التي يصنعها الربّ يسوع ونسمع ما يعلنه من تطويبات ومن "الويل لكم"! في الإنجيل، نُجبَر على أن نميّز ونختار. لم تُقبَل كلمتُه يومَ ذاك ودَفعَ هذا الأمرُ الحشدَ، غاضبًا، لأن يحاول قتله. لكن الإنجيل يقول لنا أن "ساعته" لم تكن قد حانَت بعد، فمرّ الربّ "مِن بَينِهم ومَضى" (لو 4، 30).

لم تكن قد أتت ساعته بعد، ولكن السرعة التي ثار بها ثائرهم وضراوة الشراسة القادرة على قتل الربّ يسوع في تلك اللحظة بالذات، تُبَيِّنُ لنا أن ساعته تأتى على الدوام. وهذا ما أريد أن أشارككم فيه اليوم، أيّها الكهنة الأعزاء: أن ساعة البشارة وساعة الاضطهاد والصّليب تأتيان معًا.

إنّ البشارة بالإنجيل يصحبها دومًا صليبٌ ملموس. لأن نورُ الكلمة الوديع يولِّد نورًا في القلوب المستعدّة ولكنه يخلق ارتباكًا ورفضًا في القلوب غير المستعدّة. ونرى هذا باستمرار في الإنجيل.

إنّ البذرة الجيّدة التي زُرِعَت في الحقل أتت ثمارها - مائة وستون وثلاثون - لكنها أيضًا أثارت حسدَ العدوّ الذي يزرع الزؤان ليلًا بكلّ قواه (را. متى 13، 24- 30. 36- 43).

إنّ حنان الأب الرحيم جذب الابنَ الضال دون مقاومة، لكنه أثار أيضًا سخطَ الابن الأكبر واستياءه (را. لو 15، 11- 32).

إنّ سخاء صاحب الكَرم سبّب الامتنان لدى عمّال الساعة الأخيرة، ولكنه سبّب أيضًا تعليقات سيّئة لدى عمّال الساعة الأولى، الذين شعروا بالاستياء لأنّ صاحب العمل صالح (را. متى 20، 1- 16).

إنّ قرب يسوع الذي يأكل مع الخطأة ربح قلوبًا مثل قلب زكّا ومتّى والمرأة السامريّة... ولكنه أيقظ أيضًا مشاعر الاحتقار لدى الذين يظنّون أنفسهم أبرارًا.

إنّ شهامة الملك الذي أرسل ابنه ظنًّا منه أنّ الكرامين سيحترمونه قد خلقَت فيهم ضراوةً تفوق كلّ المقاييس: إنّنا أمام سرّ الإثم الذي يدفع إلى قتل البار (را. متى 21، 33- 46).

يبيّن لنا كلُّ هذا، أيّها الإخوة الكهنة الأعزاء، إنّ إعلان البشارة يرافقه دومًا –بشكل يفوق الفهم- الاضطهادَ والصّليب.

عبّر القدّيس إغناطيوس دي لويولا – اعذروني على هذه الدعاية العائلية - عن هذه الحقيقة الإنجيليّة، متأمّلًا في ميلاد الرّبّ يسوع، عندما جعلنا "نتأمّل وننظر في ما فعله القدّيس يوسف والسيّدة العذراء: حين سارا، على سبيل المثال، وعَمِلا جاهدًا، حتى يولد الرّبّ يسوع في فقر مدقع، ويموت صلبًا بعد أن عانى الجوع والعطش، والحرارة والبرد، والإهانات والشتائم. وكلّ هذا من أجلي. ثم - يضيف القدّيس إغناطيوس – متأمّلاً، الحصول على بعض الفوائد الروحية" (الرياضات الروحية، عدد 116). فرح ميلاد الربّ ثم آلام الصليب والاضطهاد.

أيّ تأمّل يمكننا أن نقوم به حتى "نستفيد" من حياتنا الكهنوتية إذ نتمعّن في هذا الحضور المُبكِر للصليب -سوء الفهم، والرفض، والاضطهاد- في بداية الكرازة الإنجيلية وفي قلبها؟

تتبادر إلى ذهني فكرتان:

الفكرة الأولى: نشعر بالدهشة لرؤية الصليب حاضرًا في حياة الربّ في بداية خدمته وحتى قبل ولادته. كان حاضرًا في اضطراب مريم الأوّل إزاء إعلان الملاك؛ كان حاضرًا في أرق يوسف، عندما شعر بأنه عليه أن يتخلّى عن خطّيبته الموعودة؛ وكان حاضرًا في اضطهاد هيرودس وفي المصاعب التي واجهتها العائلة المقدّسة، مثل الكثير من العائلات التي اضطرّت أن تهجر أوطانها.

هذه الحقيقة تجعلنا ننفتح على سرّ الصّليب الذي عاشه الرّبّ يسوع "مسبقًا". وتقودنا لأن نفهم أنّ الصّليب ليس حدثًا عرضيًّا، ينتج عن ظروف في حياة الرّبّ. صحيح أنّ كلّ الذين اعتمدوا عقوبة الصلب في التاريخ جعلوا من الصّليب يبدو كما لو كان ضررًا تبعيًّا، لكن الأمر ليس كذلك: الصّليب لا يعتمد على الظروف. إنّ صلبان البشريّة، الكبيرة منها والصغيرة - إذا جاز التعبير -، أي صلباننا، صلبان كلّ واحد منّا، ليست وليدة الظروف.

لماذا عانق الرّبُّ يسوع الصّليبَ بكامله؟ لماذا عانق يسوعُ كلَّ الآلام: لقد عانق خيانةَ أصدقائه وتخلّي أصدقائه عنه بعد العشاء الأخير، وقَبِل الاحتجاز غير القانوني والمحاكمة الفوريّة والعقوبة القصوى والشرّ الفائض مِن صفعاتٍ وبصقٍ غير مبرّر...؟ لو أنّ الظروف هي التي حدّدت قوّة الصّليب الخلاصية، لما عانق الرّبّ يسوع الصّليب بكامله. ولكن عندما أتت ساعته، عانق الصّليب بكامله. لأنّه ليس هناك أيّ التباس في الصّليب! لا نستطيع التفاوض على الصّليب.

أمّا الفكرة الثانية فهي: صحيح أنّ الصّليب، نوعًا ما، هو جزء لا يتجزّأ من حالتنا البشرية، من حدودها وهشاشتها. ولكن صحيحٌ أيضًا أنّ هناك شيء ممّا يحدث على الصّليب، ليس متأصّلًا في هشاشتنا، بل هو لدغة الحيّة التي رأت المصلوبَ أعزلًا، فلدغته وحاولت أن تسمّم كلّ عمله وتُفقِدُهُ مصداقيّته. وتسعى هذه اللدغة إلى تحويل كلّ خدمةٍ أو عملِ محبّة تجاه الآخرين إلى فضيحة –وزمننا هذا هو زمن فضائح- وتسعى إلى شلّه وجعله عقيمًا وغير مهمًّا. إنّه سمّ الشرير الذي يصرّ على الـ "خلّص نفسك".

وفي هذه اللدغة القاسية والمؤلِمَة، التي تَهدِف للقتل، يَظهَر أخيرًا انتصارُ الله. وقد بيَّنَ القدّيسُ مكسيموس المُعَرِّف أنّ الأشياء قد انقلبت مع يسوع المصلوب: لم يسمّم الشيطان جسد الرّبّ يسوع عندما لدغه –لأنه لم يجد فيه إلّا وداعةً لامتناهية وطاعة لإرادة الآب- بل على العكس من ذلك، فقد ابتلعَ الشيطانُ خطافَ الصّليب مع جسد الربّ فأصبح له سمًّا، أمّا لنا فقد أصبح الترياق الذي يُبطِل قوّة الشرير[3].

كانت هذه الفكرتان. لنطلب من الرّبّ يسوع نعمة الاستفادة من هذين التعليمَين: الصّليب موجودٌ في إعلان الإنجيل، هذا صحيح، لكنه صليبٌ يخلّص. بعد أن حوّل دمُ يسوع الصّليبَ إلى مصدر سلام، اتّسم بقوّة انتصار المسيح الذي يغلب الشرّ ويحرّرنا من الشرير. وإذا عانقناه مع يسوع ومثله "مسبقًا" قبل الذهاب للكرازة، يسمح لنا بأن نميّز ونرفض سمّ العثرة الذي يريد الشيطان أن يسمّمنا به عندما يدخل الصّليب في حياتنا بشكل غير متوقّع.

"لَسْنا أَبناءَ الاِرتِدادِ" (عب 10، 39) يقول كاتب الرسالة إلى العبرانيين. "لَسْنا أَبناءَ الاِرتِدادِ". هذه هي النصيحة التي قدّمها لنا: نحن لا نغضب، لأن يسوع لم يغضب عندما رأى أن بشارته بالخلاص للفقراء لم تكن لها صدى نقيّ، بل تمّت وسط صيحات وتهديدات الذين لم يرغبوا في سماع كلامه. أرادوا اعتباره مجرّد كلام تشريعي (أخلاقي وكهنوتيّ...).

نحن لا نغضب لأن يسوع لم يغضب عندما كان عليه أن يشفي المرضى ويحرّر الأسرى في خضمّ المناقشات والخلافات الأخلاقية والتشريعية والكهنوتيّة التي نشأت في كلّ مرّة قام فيها بعمل صالح.  

نحن لا نغضب لأنّ يسوع لم يغضب عندما كان عليه أن يعيد البصر للمكفوفين وسط الذين أغلقوا أعينهم حتى لا يروا أو حوّلوا نظرهم في الاتّجاه الآخر.

نحن لا نغضب لأنّ يسوع لم يغضب عندما سبّب إعلانه عن سَنَة رِضاً عِندَ الرَّبّ - سنة هي التاريخ كلّه – عثرةً لدى الجميع بسبب ما قد يحتلّ اليوم أقلّ من الصفحة الثالثة من صحيفة مقاطعة ما.

ونحن لا نغضب لأنّ البشارة بالإنجيل لا تنال فعاليّتها من كلامنا البليغ، بل من قوّة الصّليب (را. 1 قور 1، 17).

هناك أمران يتّضحان من الطريقة التي نعانق بها الصّليب عندما نبشّر بالإنجيل - بالأعمال، وإذا لزم الأمر بالكلام - وهما: أنّ الآلام التي تأتي من الإنجيل ليست لنا بل هي فيضُ "آلام المسيح علينا" (2 قور 1، 5)، وأننا "لَسْنا نَدْعو إِلى أَنْفُسِنا، بل إِلى يسوعَ المسيحِ الرَّبّ. وما نَحنُ إِلاَّ خَدَمٌ لَكم مِن أَجْلِ يسوع" (2 قور 4، 5).

أودّ أن أختتم كلامي مسترجعًا إحدى ذكرياتي. «ذات مرّة، في لحظة مظلمة للغاية من حياتي، طلبت من الرّبّ نعمةً ليخلّصني من موقف شاقّ وصعب. في لحظة مظلمة. ذهبت لأعظ بعض الراهبات خلال رياضة روحية، وفي اليوم الأخير، كما جرت العادة في ذلك الوقت، أتت الراهبات للتقرّب من سرّ الاعتراف. جاءت أختٌ كبيرة في السّن، عيونها صافية، ومضيئة حقًا. كانت من نساء الله. في النهاية شعرتُ بالرغبة في أن أطلب منها خدمةً فقلتُ: "أختي، كفّارة عن خطاياك صلّي من أجلي، لأني بحاجة إلى نعمة. اطلبي هذه النعمة لي من الرّبّ. إذا طلبتها لي من الرّبّ، فسوف يعطيني إياها بالتأكيد". صمتت، ثم انتظرت لحظة طويلة، كما لو كانت تصلّي، ثم نظرت إليّ وقالت لي: "إن الرّبّ سوف يمنحك هذه النعمة، ولكن لا تخدع نفسك: سوف يمنحك إيّاها على طريقته الإلهيّة". لقد أفادني كثيرًا أن أشعر بأن الرّبّ يمنحنا دائمًا ما نطلبه ولكنه يفعل ذلك بطريقته الإلهية. وهذه الطريقة تتضمّن الصّليب. ليس من منطلق ماسوشي، ولكن من منطلق المحبّة، المحبّة حتى النهاية[4].   

 

___________________

[1] مثل العبارات التي أشار إليها المعلم الروحي، الأب كلود جود؛ إحدى تلك العبارات التي تصحب قراراتنا وتحتوي على "الكلمة الأخيرة"، تلك التي تميل إلى اتخاذ القرار وتحرك شخصًا أو مجموعة للعمل. راجع كز جود، الأعمال الروحية (Oeuvres Spirituelles)، II، 1883، (تعليمات لمعرفة الذات ص. 313- 319)، في M. Á. FIORITO، Buscar y hallar la voluntad de Dios، Bs. As., Paulinas, 2000, 248 s.

 

 

[2] كلمة “Antilegomenon” تعني أنهم سوف يتكلّمون عنه بالسوء، وأنّ البعض سوف يتكلّم بالخير وآخرون بالسوء.

 

 

[3] را. Máximo el Confesor, Centuria 1, 8-13.

 

 

[4] عظة البابا فرنسيس في بيت القديسة مارتا، خلال القداس الإلهي، 29 أيار/مايو 2013.

 [00444-AR.02] [Testo originale: Italiano]

[B0199-XX.02]