Omelia del Santo Padre
Traduzione in lingua inglese
Traduzione in lingua spagnola
Alle ore 10 di questa mattina, nella Basilica Vaticana, il Santo Padre Francesco ha celebrato la Santa Messa in occasione dei 500 anni dell’evangelizzazione delle Filippine.
Riportiamo di seguito l’omelia che il Papa ha pronunciato dopo la proclamazione del Vangelo:
Omelia del Santo Padre
«Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito» (Gv 3,16). Qui c’è il cuore del Vangelo, qui c’è il fondamento della nostra gioia. Il contenuto del Vangelo, infatti, non è un’idea o una dottrina, ma è Gesù, il Figlio che il Padre ci ha donato perché noi avessimo la vita. Gesù è il fondamento della nostra gioia: non è una bella teoria su come essere felici, ma è sperimentare di essere accompagnati e amati nel cammino della vita. “Ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio”. Soffermiamoci, fratelli e sorelle, un momento su questi due aspetti: “ha tanto amato” e “ha dato”.
Prima di tutto, Dio ha tanto amato. Queste parole, che Gesù rivolge a Nicodemo – un anziano giudeo che voleva conoscere il Maestro – ci aiutano a scorgere il vero volto di Dio. Egli da sempre ci ha guardati con amore e per amore è venuto in mezzo a noi nella carne del Figlio suo. In Lui ci è venuto a cercare nei luoghi in cui ci siamo smarriti; in Lui è venuto a rialzarci dalle nostre cadute; in Lui ha pianto le nostre lacrime e guarito le nostre piaghe; in Lui ha benedetto per sempre la nostra vita. Chiunque crede in Lui, dice il Vangelo, non va perduto (ibid.). In Gesù, Dio ha pronunciato la parola definitiva sulla nostra vita: tu non sei perduto, tu sei amato. Sempre amato.
Se l’ascolto del Vangelo e la pratica della nostra fede non ci allargano il cuore per farci cogliere la grandezza di questo amore, e magari scivoliamo in una religiosità seriosa, triste, chiusa, allora è segno che dobbiamo fermarci un po’ e ascoltare di nuovo l’annuncio della buona notizia: Dio ti ama così tanto da darti tutta la sua vita. Non è un dio che ci guarda indifferente dall’alto, ma è un Padre, un Padre innamorato che si coinvolge nella nostra storia; non è un dio che si compiace della morte del peccatore, ma un Padre preoccupato che nessuno vada perduto; non è un dio che condanna, ma un Padre che ci salva con l’abbraccio benedicente del suo amore.
E veniamo alla seconda parola: Dio “ha dato” il suo Figlio. Proprio perché ci ama così tanto, Dio dona sé stesso e ci offre la sua vita. Chi ama esce sempre da sé stesso – non dimenticatevi di questo: chi ama esce sempre da sé stesso. L’amore sempre si offre, si dona, si spende. La forza dell’amore è proprio questa: frantuma il guscio dell’egoismo, rompe gli argini delle sicurezze umane troppo calcolate, abbatte i muri e vince le paure, per farsi dono. Questa è la dinamica dell’amore: è farsi dono, darsi. Chi ama è così: preferisce rischiare nel donarsi piuttosto che atrofizzarsi trattenendosi per sé. Per questo Dio esce da sé stesso, perché “ha tanto amato”. Il suo amore è così grande che non può fare a meno di donarsi a noi. Quando il popolo in cammino nel deserto fu attaccato dai serpenti velenosi, Dio fece fare a Mosè il serpente di bronzo; in Gesù, però, innalzato sulla croce, Lui stesso è venuto a guarirci dal veleno che dà la morte, si è fatto peccato per salvarci dal peccato. Non ci ama a parole Dio: ci dona suo Figlio perché chiunque lo guarda e crede in Lui sia salvato (cfr Gv 3,14-15).
Più si ama e più si diventa capaci di donare. Questa è anche la chiave per comprendere la nostra vita. È bello incontrare persone che si amano, che si vogliono bene e condividono la vita; di loro si può dire come di Dio: si amano così tanto da dare la loro vita. Non conta solo ciò che possiamo produrre o guadagnare, conta soprattutto l’amore che sappiamo donare.
E questa è la sorgente della gioia! Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio. Da qui prende senso l’invito che la Chiesa rivolge in questa domenica: «Rallegrati […]. Esultate e gioite, voi che eravate nella tristezza: saziatevi dell’abbondanza della vostra consolazione» (Antifona d’ingresso; cfr Is 66,10-11). Ripenso a ciò che abbiamo vissuto una settimana fa in Iraq: un popolo martoriato ha esultato di gioia; grazie a Dio, alla sua misericordia.
A volte cerchiamo la gioia dove non c’è, la cerchiamo nelle illusioni che svaniscono, nei sogni di grandezza del nostro io, nell’apparente sicurezza delle cose materiali, nel culto della nostra immagine, e tante cose… Ma l’esperienza della vita ci insegna che la vera gioia è sentirci amati gratuitamente, sentirci accompagnati, avere qualcuno che condivide i nostri sogni e che, quando facciamo naufragio, viene a soccorrerci e a condurci in un porto sicuro.
Cari fratelli e sorelle, sono passati cinquecento anni da quando per la prima volta l’annuncio cristiano è arrivato nelle Filippine. Avete ricevuto la gioia del Vangelo: che Dio ci ha amato a tal punto da dare il suo Figlio per noi. E questa gioia si vede nel vostro popolo, si vede nei vostri occhi, nei vostri volti, nei vostri canti e nelle vostre preghiere. La gioia con cui portate la vostra fede in altre terre. Tante volte ho detto che qui a Roma le donne filippine sono “contrabbandiere” di fede! Perché dove vanno a lavorare, lavorano, ma seminano la fede. Questa è – permettetemi la parola – una malattia generazionale [genetica], ma una beata malattia! Conservatela! Portate la fede, quell’annuncio che voi avete ricevuto 500 anni fa, e che portate adesso. Voglio dirvi grazie per la gioia che portate nel mondo intero e nelle comunità cristiane. Penso, come ho detto, a tante esperienze belle nelle famiglie romane – ma è così in tutto il mondo –, dove la vostra presenza discreta e laboriosa ha saputo farsi anche testimonianza di fede. Con lo stile di Maria e di Giuseppe: Dio ama portare la gioia della fede con il servizio umile e nascosto, coraggioso e perseverante.
E In questa ricorrenza così importante per il santo popolo di Dio nelle Filippine, voglio anche esortarvi a non smettere l’opera di evangelizzazione – che non è proselitismo, è un’altra cosa. Quell’annuncio cristiano che avete ricevuto è sempre da portare agli altri; il vangelo della vicinanza di Dio chiede di esprimersi nell’amore verso i fratelli; il desiderio di Dio che nessuno vada perduto domanda alla Chiesa di prendersi cura di chi è ferito e vive ai margini. Se Dio ama così tanto da donarci sé stesso, anche la Chiesa ha questa missione: non è inviata a giudicare, ma ad accogliere; non a imporre ma a seminare; la Chiesa è chiamata non a condannare ma a portare Cristo che è la salvezza.
So che questo è il programma pastorale della vostra Chiesa: l’impegno missionario che coinvolge tutti e arriva a tutti. Non scoraggiatevi mai nel camminare su questa strada. Non abbiate paura di annunciare il Vangelo, di servire, di amare. E con la vostra gioia potrete fare in modo che si dica anche della Chiesa: “ha tanto amato il mondo!”. È bella e attraente una Chiesa che ama il mondo senza giudicarlo e che per il mondo dona sé stessa. Cari fratelli e sorelle, mi auguro che sia così, nelle Filippine e in ogni parte della terra.
[00333-IT.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua inglese
“God so loved the world that he gave his only-begotten Son” (Jn 3:16). This is the heart of the Gospel; this is the source of our joy. The Gospel message is not an idea or a doctrine. It is Jesus himself: the Son whom the Father has given us so that we might have life. Jesus is the source of our joy is not some lovely theory about how to find happiness, but the actual experience of being accompanied and loved throughout the journey of life. “God so loved the world that he gave his only-begotten Son”. Brothers and sisters, let us dwell on these two thoughts for a moment: “God so loved” and “God gave”.
First of all, God so loved. Jesus’ words to Nicodemus – a Jewish elder who wanted to know the Master – help us to see the true face of God. He has always looked at us with love, and for the sake of love, he came among us in the flesh of his Son. In Jesus, he went in search of us when we were lost. In Jesus, he came to raise us up when we fell. In Jesus, he wept with us and healed our wounds. In Jesus, he blessed our life forever. The Gospel tells us that whoever believes in him will not perish (ibid.). In Jesus, God spoke the definitive word about our life: you are not lost, you are loved. Loved forever.
If hearing the Gospel and practicing our faith don’t enlarge our hearts and make us grasp the immensity of God’s love – maybe because we prefer a glum, sorrowful and self-absorbed religiosity – then this is a sign that we need to stop and listen once more to the preaching of the Good News. God loves you so much that he gave you his entire life. He is not a god who looks down upon us from on high, indifferent, but a loving Father who becomes part of our history. He is not a god who takes pleasure in the death of sinners, but a Father concerned that that no one be lost. He is not a god who condemns, but a Father who saves us with the comforting embrace of his love.
We now come to the second aspect: God “gave” his Son. Precisely because he loves us so much, God gives himself; he offers us his life. Those who love always go out of themselves. Don’t forget this: those who love go out of themselves. Love always offers itself, gives itself, expends itself. That is the power of love: it shatters the shell of our selfishness, breaks out of our carefully constructed security zones, tears down walls and overcomes fears, so as to give freely of itself. That is what loves does: it gives itself. And that is how lovers are: they prefer to risk self-giving over self-preservation. That is why God comes to us: because he “so loved” us. His love is so great that he cannot fail to give himself to us. When the people were attacked by poisonous serpents in the desert, God told Moses to make the bronze serpent. In Jesus, however, exalted on the cross, he himself came to heal us of the venom of death; he became sin to save us from sin. God does not love us in words: he gives us his Son, so that whoever looks at him and believes in him will be saved (cf. Jn 3:14-15).
The more we love, the more we become capable of giving. That is also the key to understanding our life. It is wonderful to meet people who love one another and share their lives in love. We can say about them what we say about God: they so love each other that they give their lives. It is not only what we can make or earn that matters; in the end, it is the love we are able to give.
This is the source of joy! God so loved the world that he gave his Son. Here we see the meaning of the Church’s invitation this Sunday: “Rejoice... Rejoice and be glad, you who mourn: find contentment and consolation” (Entrance Antiphon; cf. Is 66:10-11). I think of what we saw a week ago in Iraq: a people who had suffered so much rejoiced and were glad, thanks to God and his merciful love.
Sometimes we look for joy where it is not to be found: in illusions that vanish, in dreams of glory, in the apparent security of material possessions, in the cult of our image, and in so many other things. But life teaches us that true joy comes from realizing that we are loved gratuitously, knowing that we are not alone, having someone who shares our dreams and who, when we experience shipwreck, is there to help us and lead us to a safe harbor.
Dear brothers and sisters, five hundred years have passed since the Christian message first arrived in the Philippines. You received the joy of the Gospel: the good news that God so loved us that he gave his Son for us. And this joy is evident in your people. We see it in your eyes, on your faces, in your songs and in your prayers. In the joy with which you bring your faith to other lands. I have often said that here in Rome Filipino women are “smugglers” of faith! Because wherever they go to work, they sow the faith. It is part of your genes, a blessed “infectiousness” that I urge you to preserve. Keeping bringing the faith, the good news you received five hundred years ago, to others. I want to thank you, then, for the joy you bring to the whole world and to our Christian communities. I think, as I mentioned, of the many beautiful experiences in families here in Rome – but also throughout the world – where your discreet and hardworking presence became a testimony of faith. In the footsteps of Mary and Joseph, for God loves to bring the joy of faith through humble, hidden, courageous and persevering service.
On this very important anniversary for God’s holy people in the Philippines, I also want to urge you to persevere in the work of evangelization – not proselytism, which is something else. The Christian proclamation that you have received needs constantly to be brought to others. The Gospel message of God’s closeness cries out to be expressed in love for our brothers and sisters. God desires that no one perish. For this reason, he asks the Church to care for those who are hurting and living on the fringes of life. God so loves us that he gives himself to us, and the Church has this same mission. The Church is called not to judge but to welcome; not to make demands, but to sow seeds; not to condemn, but to bring Christ who is our salvation.
I know that this is the pastoral program of your Church: a missionary commitment that involves everyone and reaches everyone. Never be discouraged as you walk this path. Never be afraid to proclaim the Gospel, to serve and to love. With your joy, you will help people to say of the Church too: “she so loved the world!” How beautiful and attractive is a Church that loves the world without judging, a Church that gives herself to the world. May it be so, dear brothers and sisters, in the Philippines and in every part of the earth.
[00333-EN.02] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua spagnola
«Tanto amó Dios al mundo que dio a su Hijo único» (Jn 3,16) Este es el corazón del Evangelio, este es el fundamento de nuestra alegría. El contenido del Evangelio, en efecto, no es una idea o una doctrina, sino que es Jesús, el Hijo que el Padre nos ha dado para que tengamos vida. Jesús es fundamento de nuestra alegría, y no una bella teoría sobre cómo ser felices, sino experimentar que somos acompañados y amados en el camino de la vida. «Porque tanto amó Dios al mundo que dio a su Hijo único». Detengámonos, hermanos y hermanas, un momento en estos dos aspectos: "tanto amó" y "dio".
En primer lugar, Dios amó tanto. Estas palabras que Jesús dirigió a Nicodemo ―un judío anciano que quería conocer al Maestro― nos ayudan a descubrir el verdadero rostro de Dios. Él siempre nos ha mirado con amor y por amor vino entre nosotros en la carne de su Hijo. En Él vino a buscarnos a los lugares donde nos habíamos perdido; en Él vino a levantarnos de nuestras caídas; en Él lloró nuestras lágrimas y curó nuestras heridas; en Él bendijo nuestra vida para siempre. Quien cree en Él, dice el Evangelio, no se pierde (ibíd.). En Jesús, Dios pronunció la palabra definitiva sobre nuestra vida: tú no estás perdido, tú eres amado. Siempre amado.
Si la escucha del Evangelio y la práctica de nuestra fe no ensanchan nuestro corazón para hacernos comprender la grandeza de este amor, y si nos inclinamos inclinemos hacia una religiosidad formal, triste y cerrada, entonces es señal de que debemos detenernos un momento y escuchar de nuevo el anuncio de la buena noticia: Dios te ama tanto que te da toda su vida. No es un Dios que nos mira con indiferencia desde lo alto, sino es un Padre, un Padre enamorado que se involucra en nuestra historia; no es un dios que se complace en la muerte del pecador, sino un Padre preocupado de que nadie se pierda; no es un dios que condena, sino un Padre que nos salva con su abrazo amoroso de bendición.
Y llegamos a la segunda palabra: Dios "dio" a su Hijo. Precisamente porque nos ama tanto, Dios se entrega totalmente y nos ofrece su vida. Quien ama siempre sale de sí mismo ―no olviden esto: siempre quien ama sale de sí mismo―. El amor siempre se ofrece, se da, se gasta. La fuerza del amor es precisamente ésta: resquiebra el caparazón del egoísmo, rompe las barreras de las seguridades humanas, derriba los muros y supera los miedos, para hacerse don. Esta es la dinámica del amor: hacerse don, darse. El que ama es así: prefiere arriesgarse a entregarse antes que atrofiarse encerrándose en sí mismo. Por eso Dios sale de sí mismo: porque “amó tanto”. Su amor es tan grande que no puede evitar entregarse a nosotros. Cuando el pueblo que caminaba por el desierto fue atacado por serpientes venenosas, Dios ordenó a Moisés hacer la serpiente de bronce; pero en Jesús, clavado en la cruz, Él mismo vino a sanarnos del veneno que da la muerte, y se hizo pecado para salvarnos del pecado. Dios no nos ama con palabras: nos da a su Hijo para que todo el que lo mire y crea en él se salve (cf. Jn 3,14-15).
Cuanto más amamos, más somos capaces de dar. Esta es también la clave para entender nuestra vida. Es hermoso encontrar personas que se aman, que se quieren y comparten la vida; de ellas se puede decir como de Dios: se aman tanto que dan la vida. No es importante sólo lo que podemos producir o ganar, sino sobre todo el amor que sepamos dar.
Y ¡esta es la fuente de la alegría! Dios tanto amó al mundo que dio a su Hijo. Este hecho da sentido a la invitación de la Iglesia en este domingo: «Alégrense [...]. Desborden de alegría los que estaban tristes, vengan a saciarse de la abundancia de su consolación» (Antífona de entrada; cf. Is 66,10-11). Reflexiono sobre lo que vivimos hace una semana en Irak: un pueblo martirizado exultó de alegría; gracias a Dios y a su misericordia.
A veces buscamos la alegría donde no está, la buscamos en ilusiones que se desvanecen, en los sueños de grandeza de nuestro yo, en la aparente seguridad de las cosas materiales, en el culto a nuestra propia imagen, y en tantas cosas más... Pero la experiencia de la vida nos enseña que la verdadera alegría es sentirnos amados gratuitamente, sentirnos acompañados, tener a alguien que comparte nuestros sueños y que, cuando naufragamos, viene a rescatarnos y nos lleva a puerto seguro.
Queridos hermanos y hermanas, han pasado quinientos años desde que el anuncio cristiano llegó por primera vez a Filipinas. Habéis recibido la alegría del Evangelio: Dios nos amó tanto que dio a su Hijo por nosotros. Y esta alegría se ve en vuestro pueblo, se puede ver en vuestros ojos, en vuestros rostros, en vuestros cantos y en vuestras oraciones. La alegría con las que ustedes llevan su fe a otras tierras. ¡Muchas veces he dicho que aquí en Roma las mujeres filipinas son “contrabandistas” de fe! Porque a donde van a trabajar, trabajan, pero también siembran la fe. Ésta es ―permítanme la palabra― una enfermedad hereditaria, pero ¡una dichosa enfermedad! ¡Consérvenla! Lleven la fe, ese anuncio que ustedes recibieron hace 500 años, y que ahora traen. Quiero darles las gracias por la alegría que traen al mundo entero y a las comunidades cristianas. Pienso en tantas lindas experiencias en las familias romanas ―pero es así en todo el mundo― donde vuestra presencia discreta y trabajadora se ha convertido también en un testimonio de fe. Con el estilo de María y José: Dios ama traer la alegría de la fe a través del servicio humilde y oculto, valiente y perseverante.
En este aniversario tan importante para el santo pueblo de Dios en Filipinas, quisiera también exhortarlos a no detener la obra de evangelización, que no es proselitismo, es otra cosa. El anuncio cristiano que habéis recibido debe llevarse siempre a los demás; el evangelio de la cercanía de Dios se debe manifestar en el amor a los hermanos; el deseo de Dios de que nadie se pierda pide a la Iglesia que se ocupe de los heridos y marginados. Si Dios ama tanto que se entrega a nosotros, también la Iglesia tiene esta misión: no es enviada a juzgar, sino a acoger; no a imponer, sino a sembrar; la Iglesia está llamada no a condenar, sino llevar a Cristo que es la salvación.
Sé que éste es el programa pastoral de vuestra Iglesia: el compromiso misionero que involucra a todos y llega a todos. Nunca se desanimen de caminar por esta senda. No tengan miedo de anunciar el Evangelio, de servir y de amar. Y con vuestra alegría podrán hacer que se diga también de la Iglesia: “¡tanto amó al mundo!” Una Iglesia que ama al mundo sin juzgarlo y que se entrega por el mundo es bella y atractiva. Queridos hermanos y hermanas que así sea, en Filipinas y en todas partes del mundo.
[00333-ES.01] [Texto original: Italiano]
[B0154-XX.02]