Sala Stampa

www.vatican.va

Sala Stampa Back Top Print Pdf
Sala Stampa


Viaggio Apostolico di Sua Santità Francesco in Iraq (5-8 marzo 2021) – Incontro con i Vescovi, Sacerdoti, Religiosi e Religiose, Seminaristi e Catechisti nella Cattedrale Siro-Cattolica di “Nostra Signora della Salvezza”, 05.03.2021


Incontro con i Vescovi, i Sacerdoti, i Religiosi e le Religiose, i Seminaristi e i Catechisti nella Cattedrale Siro-Cattolica di “Nostra Signora della Salvezza”

Discorso del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Alle ore 16.40 locali (14.40 ora di Roma), il Santo Padre Francesco è arrivato alla Cattedrale Siro-Cattolica di “Nostra Signora della Salvezza”, sede dell’Arcieparchia Siro-Cattolica di Baghdad, per l’incontro con i Vescovi, i Sacerdoti, i Religiosi e le Religiose, i Seminaristi e i Catechisti.

Al Suo arrivo è stato accolto all’ingresso della Cattedrale da Sua Beatitudine Ignace Youssif III Younan, Patriarca di Antiochia dei Siri, e dall’Arcieparca Mons. Ephrem Yousif Abba.

Nel piazzale antistante la Cattedrale lo attendevano 12 disabili con i loro accompagnatori. All’ingresso della Cattedrale, dove erano presenti circa 100 persone, il Patriarca Younan e l’Arcieparca Abba hanno consegnato al Santo Padre il crocifisso e l’acqua benedetta per l’aspersione. Quindi due giovani gli hanno donato dei fiori che ha deposto davanti al tabernacolo, dove ha sostato in silenzio per un breve momento di preghiera.

Al termine, dopo aver raggiunto l’altare, introdotto dagli indirizzi di saluto del Patriarca Siro-Cattolico e del Presidente dell’Assemblea dei Vescovi Cattolici dell’Iraq, Sua Beatitudine Louis Raphaël Sako, Patriarca di Babilonia dei Caldei, Papa Francesco ha pronunciato il Suo discorso.

Al termine, dopo lo scambio dei doni, la recita del Padre Nostro e la Benedizione finale, il Santo Padre ha salutato i Vescovi e posato con loro per una foto di gruppo.

Dopo la firma del Libro d’Onore, il Papa ha lasciato la Cattedrale e si è trasferito in auto alla Nunziatura Apostolica di Baghdad dove è stato accolto dal Personale.

Pubblichiamo di seguito il discorso che il Santo Padre ha pronunciato nel corso dell’incontro con i Vescovi, i Sacerdoti, i Religiosi e le Religiose, i Seminaristi e i Catechisti.

Discorso del Santo Padre

Beatitudini, Eccellenze,
Cari Sacerdoti e Religiosi,
Care Suore,
cari fratelli e sorelle!

Vi abbraccio tutti con affetto paterno. Sono grato al Signore che nella sua provvidenza ci ha permesso di incontrarci oggi. Ringrazio Sua Beatitudine il Patriarca Ignace Youssif Younan e Sua Beatitudine il Cardinale Louis Sako per le parole di benvenuto. Siamo riuniti in questa Cattedrale di Nostra Signora della Salvezza, benedetti dal sangue dei nostri fratelli e sorelle che qui hanno pagato il prezzo estremo della loro fedeltà al Signore e alla sua Chiesa. Possa il ricordo del loro sacrificio ispirarci a rinnovare la nostra fiducia nella forza della Croce e del suo messaggio salvifico di perdono, riconciliazione e rinascita. Il cristiano infatti è chiamato a testimoniare l’amore di Cristo ovunque e in ogni tempo. Questo è il Vangelo da proclamare e incarnare anche in questo amato Paese.

Come vescovi e sacerdoti, religiosi e religiose, catechisti e responsabili laici, tutti voi condividete le gioie e le sofferenze, le speranze e le angosce dei fedeli di Cristo. I bisogni del popolo di Dio e le ardue sfide pastorali che affrontate quotidianamente si sono aggravate in questo tempo di pandemia. Tuttavia, ciò che mai dev’essere bloccato o ridotto è il nostro zelo apostolico, che voi attingete da radici antichissime, dalla presenza ininterrotta della Chiesa in queste terre fin dai primi tempi (cfr BENEDETTO XVI, Esort. ap. postsin. Ecclesia in Medio Oriente, 5). Sappiamo quanto sia facile essere contagiati dal virus dello scoraggiamento che a volte sembra diffondersi intorno a noi. Eppure il Signore ci ha dato un vaccino efficace contro questo brutto virus: è la speranza. La speranza che nasce dalla preghiera perseverante e dalla fedeltà quotidiana al nostro apostolato. Con questo vaccino possiamo andare avanti con energia sempre nuova, per condividere la gioia del Vangelo, come discepoli missionari e segni viventi della presenza del Regno di Dio, Regno di santità, di giustizia e di pace.

Quanto ha bisogno il mondo intorno a noi di ascoltare questo messaggio! Non dimentichiamo mai che Cristo è annunciato soprattutto dalla testimonianza di vite trasformate dalla gioia del Vangelo. Come vediamo dall’antica storia della Chiesa in queste terre, una fede viva in Gesù è “contagiosa”, può cambiare il mondo. L’esempio dei santi ci mostra che seguire Gesù Cristo «non è solamente una cosa vera e giusta, ma anche bella, capace di colmare la vita di un nuovo splendore e di una gioia profonda, anche in mezzo alle prove» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 167).

Le difficoltà fanno parte dell’esperienza quotidiana dei fedeli iracheni. Negli ultimi decenni, voi e i vostri concittadini avete dovuto affrontare gli effetti della guerra e delle persecuzioni, la fragilità delle infrastrutture di base e la continua lotta per la sicurezza economica e personale, che spesso ha portato a sfollamenti interni e alla migrazione di molti, anche tra i cristiani, in altre parti del mondo. Vi ringrazio, fratelli Vescovi e Sacerdoti, di essere rimasti vicini al vostro popolo – vicini al vostro popolo! –, sostenendolo, sforzandovi di soddisfare i bisogni della gente e aiutando ciascuno a fare la sua parte al servizio del bene comune. L’apostolato educativo e quello caritativo delle vostre Chiese particolari rappresentano una preziosa risorsa per la vita sia della comunità ecclesiale sia dell’intera società. Vi incoraggio a perseverare in questo impegno, al fine di garantire che la Comunità cattolica in Iraq, sebbene piccola come un granello di senape (cfr Mt 13,31-32), continui ad arricchire il cammino del Paese nel suo insieme.

L’amore di Cristo ci chiede di mettere da parte ogni tipo di egocentrismo e di competizione; ci spinge alla comunione universale e ci chiama a formare una comunità di fratelli e sorelle che si accolgono e si prendono cura gli uni degli altri (cfr Enc. Fratelli tutti, 95-96). Penso all’immagine familiare di un tappeto. Le diverse Chiese presenti in Iraq, ognuna con il suo secolare patrimonio storico, liturgico e spirituale, sono come tanti singoli fili colorati che, intrecciati insieme, compongono un unico, bellissimo tappeto, che non solo attesta la nostra fraternità, ma rimanda anche alla sua fonte. Perché Dio stesso è l’artista che ha ideato questo tappeto, che lo tesse con pazienza e lo rammenda con cura, volendoci sempre tra noi ben intrecciati, come suoi figli e figlie. Sia sempre nel nostro cuore l’esortazione di Sant’Ignazio di Antiochia: «Nulla esista tra voi che possa dividervi, […] ma vi sia un’unica preghiera, un unico spirito, un’unica speranza, nell’amore e nella gioia» (Ad Magnesios, 6-7: PL 5, 667). Com’è importante questa testimonianza di unione fraterna in un mondo spesso frammentato e lacerato dalle divisioni! Ogni sforzo compiuto per costruire ponti tra comunità e istituzioni ecclesiali, parrocchiali e diocesane servirà come gesto profetico della Chiesa in Iraq e come risposta feconda alla preghiera di Gesù affinché tutti siano uno (cfr Gv 17,21; Ecclesia in Medio Oriente, 37).

Pastori e fedeli, sacerdoti, religiosi e catechisti condividono, anche se in modi diversi, la responsabilità di portare avanti la missione della Chiesa. A volte possono sorgere incomprensioni e possiamo sperimentare delle tensioni: sono i nodi che ostacolano la tessitura della fraternità. Sono nodi che portiamo dentro di noi; del resto, siamo tutti peccatori. Tuttavia, questi nodi possono essere sciolti dalla Grazia, da un amore più grande; possono essere allentati dal perdono e dal dialogo fraterno, portando pazientemente i pesi gli uni degli altri (cfr Gal 6,2) e rafforzandosi a vicenda nei momenti di prova e di difficoltà.

Ora vorrei dire una parola speciale ai miei fratelli vescovi. Mi piace pensare al nostro ministero episcopale in termini di vicinanza: il nostro bisogno di rimanere con Dio nella preghiera, accanto ai fedeli affidati alle nostre cure e ai nostri sacerdoti. Siate particolarmente vicini ai vostri sacerdoti. Che non vi vedano come amministratori o manager, ma come padri, preoccupati perché i figli stiano bene, pronti a offrire loro sostegno e incoraggiamento con cuore aperto. Accompagnateli con la vostra preghiera, col vostro tempo, con la vostra pazienza, apprezzando il loro lavoro e guidando la loro crescita. In questo modo sarete per i vostri sacerdoti segno visibile di Gesù, il Buon Pastore che conosce le sue pecore e dà la vita per loro (cfr Gv 10,14-15).

Cari sacerdoti, religiosi e religiose, catechisti, seminaristi che vi preparate al futuro ministero: tutti voi avete sentito la voce del Signore nei vostri cuori e come il giovane Samuele avete risposto: «Eccomi» (1 Sam 3,4). Questa risposta, che vi invito a rinnovare ogni giorno, conduca ciascuno di voi a condividere la Buona Novella con entusiasmo e con coraggio, vivendo e camminando sempre alla luce della Parola di Dio, che abbiamo il dono e il compito di annunciare. Sappiamo che il nostro servizio comporta anche una componente amministrativa, ma questo non significa che dobbiamo passare tutto il nostro tempo in riunioni o dietro una scrivania. È importante uscire in mezzo al nostro gregge e offrire la nostra presenza e il nostro accompagnamento ai fedeli nelle città e nei villaggi. Penso a quanti rischiano di restare indietro: ai giovani, agli anziani, ai malati e ai poveri. Quando serviamo il prossimo con dedizione, come voi fate, in spirito di compassione, umiltà, gentilezza, con amore, stiamo realmente servendo Gesù, come Lui stesso ci ha detto (cfr Mt 25,40). E servendo Gesù negli altri, scopriamo la vera gioia. Non allontanatevi dal santo popolo di Dio, nel quale siete nati. Non dimenticatevi delle vostre mamme e delle vostre nonne, che vi hanno “allattato” nella fede, come direbbe San Paolo (cfr 2 Tm 1,5). Siate pastori, servitori del popolo e non funzionari di stato, chierici di stato. Sempre nel popolo di Dio, mai staccati come se foste una classe privilegiata. Non rinnegate questa “stirpe” nobile che è il santo popolo di Dio.

Vorrei tornare ora ai nostri fratelli e sorelle morti nell’attentato terroristico in questa Cattedrale dieci anni fa e la cui causa di beatificazione è in corso. La loro morte ci ricorda con forza che l’incitamento alla guerra, gli atteggiamenti di odio, la violenza e lo spargimento di sangue sono incompatibili con gli insegnamenti religiosi (cfr Enc. Fratelli tutti, 285). E voglio ricordare tutte le vittime di violenze e persecuzioni, appartenenti a qualsiasi comunità religiosa. Domani, a Ur, incontrerò i Leader delle tradizioni religiose presenti in questo Paese, per proclamare ancora una volta la nostra convinzione che la religione deve servire la causa della pace e dell’unità tra tutti i figli di Dio. Questa sera voglio ringraziarvi per il vostro impegno di essere operatori di pace, all’interno delle vostre comunità e con i credenti di altre tradizioni religiose, spargendo semi di riconciliazione e di convivenza fraterna che possono portare a una rinascita di speranza per tutti.

Penso in particolare ai giovani. Ovunque sono portatori di promessa e di speranza, e soprattutto in questo Paese. Qui infatti non c’è solo un inestimabile patrimonio archeologico, ma una ricchezza incalcolabile per l’avvenire: sono i giovani! Sono il vostro tesoro e occorre prendersene cura, alimentandone i sogni, accompagnandone il cammino, accrescendone la speranza. Benché giovani, infatti, la loro pazienza è già stata messa duramente alla prova dai conflitti di questi anni. Ma ricordiamoci, loro – insieme agli anziani – sono la punta di diamante del Paese, i frutti più saporiti dell’albero: sta a noi, a noi, coltivarli nel bene e irrigarli di speranza.

Fratelli e sorelle, attraverso il Battesimo e la Confermazione, attraverso l’ordinazione o la professione religiosa, siete stati consacrati al Signore e inviati per essere discepoli missionari in questa terra così strettamente legata alla storia della salvezza. Siete parte di quella storia, testimoniando fedelmente le promesse di Dio, che mai vengono meno, e cercando di costruire un nuovo futuro. La vostra testimonianza, maturata nelle avversità e rafforzata dal sangue dei martiri, sia una luce che risplende in Iraq e oltre, per annunciare la grandezza del Signore e far esultare lo spirito di questo popolo in Dio nostro Salvatore (cfr Lc 1,46-47).

Nuovamente rendo grazie perché abbiamo potuto incontrarci. Nostra Signora della Salvezza e l’Apostolo San Tommaso intercedano per voi e vi proteggano sempre. Benedico di cuore ciascuno di voi e le vostre comunità. E vi chiedo per favore di pregare per me. Grazie!

[00272-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Béatitudes, Excellences,
Chers Prêtres et Religieux,
Chères Sœurs,
Chers frères et sœurs!

Je vous embrasse tous avec une affection paternelle. Je rends grâce au Seigneur qui dans sa providence nous a permis de nous rencontrer aujourd’hui. Je remercie Sa Béatitude le Patriarche Ignace Youssif Younan et Sa Béatitude le Cardinal Louis Sako pour ses paroles de bienvenue. Nous sommes réunis dans cette Cathédrale Notre-Dame du Salut, bénis par le sang de nos frères et sœurs qui ont payé le prix extrême de leur fidélité au Seigneur et à son Eglise. Puisse le souvenir de leur sacrifice nous inspirer à renouveler notre foi dans la force de la Croix et de son message salvifique de pardon, de réconciliation et de renaissance. Le chrétien, en effet, est appelé à témoigner de l’amour du Christ partout et en tout temps. C’est l’Evangile à proclamer et à incarner aussi dans ce bien aimé pays.

En tant qu’évêques et prêtres, religieux et religieuses, catéchistes et responsables laïcs, vous partagez tous les joies et les souffrances, les espérances et les angoisses des fidèles du Christ.Les besoins du peuple de Dieu et les difficiles défis pastoraux que vous affrontez quotidiennement se sont aggravés en ce temps de pandémie.Cependant, ce qui ne doit jamais être bloqué ou réduit, c’est notre zèle apostolique que vous puisez au racines très anciennes de la présence ininterrompue de l’Eglise sur ces terres, depuis les premiers temps (cf. Benoît XVI, Exhort. ap. postsyn. Ecclesia in Medio Oriente, n. 5).Nous savons combien il est facile d’être contaminé par le virus du découragement qui semble parfois se répandre autour de nous.Pourtant, le Seigneur nous a donné un vaccin efficace contre ce mauvais virus: c’est l’espérance. L’espérance qui naît de la prière persévérante et de la fidélité quotidienne à notre apostolat. Avec ce vaccin, nous pouvons aller de l’avant avec une énergie toujours nouvelle, pour partager la joie de l’Evangile, comme disciples missionnaires et signes vivants de la présence du Règne de Dieu, Règne de sainteté, de justice et de paix.

Comme le monde autour de nous a besoin d’entendre ce message !N’oublions jamais que le Christ est annoncé surtout par le témoignage de vies transformées par la joie de l’Evangile.Comme nous le voyons dans l’histoire antique de l’Eglise sur ces terres, une foi vivante en Jésus est "contagieuse", elle peut changer le monde.L’exemple des saints nous montre que suivre Jésus Christ «n’est pas seulement quelque chose de vrai et de juste, mais aussi quelque chose de beau, capable de combler la vie d’une splendeur nouvelle et d’une joie profonde, même dans les épreuves» (Exhort. ap. Evangelii gaudium, n.167).

Les difficultés font partie de l’expérience quotidienne des fidèles irakiens. Au cours des dernières décennies, vous et vos concitoyens avez dû affronter les effets de la guerre et des persécutions, la fragilité des infrastructures de base et la lutte continuelle pour la sécurité économique et personnelle, qui a souvent conduit à des déplacements internes et à la migration de nombreuses personnes, aussi parmi les chrétiens, dans d’autres parties du monde. Je vous remercie, frères Evêques et Prêtres, d’être demeurés proches de votre peuple - proches de votre peuple!, - en le soutenant, en vous efforçant de satisfaire les besoins des gens et en aidant chacun à accomplir sa part au service du bien commun. L’apostolat éducatif et l’apostolat caritatif de vos Eglises particulières, représentent une ressource précieuse aussi bien pour la vie de la communauté ecclésiale que pour celle de toute la société. Je vous encourage à persévérer dans cet engagement afin de garantir que la communauté catholique en Irak, bien que petite comme une graine de moutarde (cf. Mt 13, 31-32), continue à enrichir la marche du pays dans son ensemble.

L’amour du Christ nous demande de mettre de côté tout type d’égocentrisme et de compétition; il nous pousse à la communion universelle et nous appelle à former une communauté de frères et de sœurs qui s’accueillent et prennent soin les uns des autres (cf. Enc. Fratelli tutti, nn. 95-96). Je pense à l’image familière d’un tapis. Les différentes Eglises présentes en Irak, chacune avec son patrimoine historique, liturgique et spirituel séculaire, sont comme autant de fils colorés qui, entrelacés, forment un unique très beau tapis qui, non seulement atteste notre fraternité, mais renvoie également à sa source. Parce que Dieu lui-même est l’artiste qui a conçu ce tapis, qui l’a tissé avec patience et le reprise avec soin, nous voulant tous bien entrelacés entre nous comme ses fils et ses filles. Que l’exhortation de saint Ignace d’Antioche soit toujours dans notre cœur: « Qu’il n’y ait rien entre vous qui puisse vous séparer, [...] mais qu’il n’y ait qu’une seule prière, un seul esprit, une seule espérance, dans l’amour et dans la joie » (Ad Magnesios, 6-7: PL 5, 667). Comme ce témoignage d’union fraternelle est important dans un monde souvent fragmenté et déchiré par les divisions !Tout effort accompli pour construire des ponts entre communautés et institutions ecclésiales, paroissiales et diocésaines servira de geste prophétique de l’Eglise en Irak et de réponse féconde à la prière de Jésus afin que tous soient un (cf. Jn 17, 21; Ecclesia in Medio Oriente, n. 37).

Pasteurs et fidèles, prêtres, religieux et catéchistes partagent, même si c’est de façons différentes, la responsabilité de promouvoir la mission de l’Eglise. Parfois des incompréhensions peuvent surgir et nous pouvons faire l’expérience de tensions: ce sont les nœuds qui empêchent le tissage de la fraternité. Ce sont les nœuds que nous portons en nous. D’ailleurs nous sommes tous pécheurs. Cependant ces nœuds peuvent être défaits par la Grâce, par un amour plus grand; ils peuvent être guéries par le pardon et par le dialogue fraternel, en portant patiemment les fardeaux les uns des autres (cf. Gal 6, 2) et en se réconfortant mutuellement dans les moments d’épreuve et de difficulté.

Je voudrais dire maintenant une parole spéciale à mes frères évêques. J’aime penser à notre ministère épiscopal en terme de proximité: notre besoin de rester avec Dieu dans la prière, à côté des fidèles confiés à nos soins, et de nos prêtres. Soyez particulièrement proches de vos prêtres. Qu’ils ne vous voient pas seulement comme des administrateurs ou des managers, mais comme des pères soucieux que leurs enfants se portent bien, prêts à leur offrir soutien et encouragement avec un cœur ouvert. Accompagnez-les par votre prière, par votre temps, par votre patience, en appréciant leur travail et en guidant leur croissance. De cette façon vous serez pour vos prêtres un signe visible de Jésus, le Bon Pasteur qui connaît ses brebis et donne sa vie pour elles (cf. Jn 10, 14-15).

Chers prêtres, religieux et religieuses, catéchistes, séminaristes qui vous préparez au futur ministère: vous avez tous entendu la voix du Seigneur dans vos cœurs et comme le jeune Samuel vous avez répondu: « Me voici » (1 Sam 3, 4). Que cette réponse, que je vous invite à renouveler chaque jour, conduise chacun d’entre vous à partager la Bonne Nouvelle avec enthousiasme et avec courage, en vivant et en cheminant toujours à la lumière de la Parole de Dieu que nous avons le don et le devoir d’annoncer.Nous savons que notre service comporte également une composante administrative, mais cela ne signifie pas que nous devions passer tout notre temps en réunions ou derrière un bureau. Il est important de sortir au milieu de notre troupeau et d’offrir notre présence et notre accompagnement aux fidèles dans les villes et les villages. Je pense à tous ceux qui risquent de rester à la traîne: aux jeunes, aux personnes âgées, aux malades et aux pauvres. Quand nous servons le prochain avec dévouement, comme vous le faites, dans un esprit de compassion, d’humilité, de bienveillance, avec amour, nous servons réellement Jésus, comme lui-même nous l’a dit (cf. Mt 25, 40). Et en servant Jésus dans les autres, nous découvrons la vraie joie. Ne vous éloignez pas du peuple saint de Dieu dans lequel vous êtes nés. N’oubliez pas vos mamans et vos grands-mères qui vous ont “allaités” dans la foi, comme le dirait Saint Paul (cf. 2 Tm 1, 5). Soyez des pasteurs, des serviteurs du peuple de Dieu et non des clercs d’état. Toujours parmi le peuple de Dieu, jamais détachés comme si vous étiez une classe privilégiée. Ne reniez pas ce “lignage” noble qui est le peuple saint de Dieu.

Je voudrais revenir maintenant à nos frères et sœurs morts lors de l’attentat terroriste dans cette cathédrale il y a dix ans et dont la cause de béatification est en cours. Leur mort nous rappelle avec force que l’incitation à la guerre, les attitudes de haine, la violence et l’effusion de sang sont incompatibles avec les enseignements religieux (cf. Enc. Fratelli tutti, n. 285). Et je veux rappeler toutes les victimes de violences et de persécutions, appartenant à quelque communauté religieuse que ce soit. Demain, à Ur, je rencontrerai les Leaders des traditions religieuses présentes dans ce pays, pour proclamer une fois encore notre conviction que la religion doit servir la cause de la paix et de l’unité entre tous les enfants de Dieu. Ce soir, je veux vous remercier pour votre engagement à être des artisans de paix, au sein de vos communautés et avec les croyants des autres traditions religieuses, en répandant des semences de réconciliation et de coexistence fraternelle qui peuvent porter à une renaissance d’espérance pour tous.

Je pense en particulier aux jeunes. Partout ils sont porteurs de promesse et d’espérance, surtout dans ce pays. Ici, en effet, il n’y a pas seulement un inestimable patrimoine archéologique, mais une richesse incalculable pour l’avenir: ce sont les jeunes! Ils sont votre trésor et il convient d’en prendre soin, en nourrissant leurs rêves, en accompagnant leur chemin, en faisant grandir leur espérance. Bien que jeunes, en effet, leur patience a déjà été mise durement à l’épreuve par les conflits de ces années. Mais rappelons-nous, avec les anciens ils sont la pointe de diamant du pays, les fruits les plus savoureux de l’arbre: il nous revient, à nous, de les cultiver dans le bien et de les irriguer d’espérance.

Frères et sœurs, par le Baptême et la Confirmation, par l’Ordination ou la Profession religieuse, vous avez été consacrés au Seigneur et envoyés pour être des disciples missionnaires sur cette terre liée si étroitement à l’histoire du salut. Vous faites partie de cette histoire, témoignant fidèlement des promesses de Dieu qui ne manquent jamais, et cherchant à construire un avenir nouveau.

Que votre témoignage, mûri dans les épreuves et renforcé par le sang des martyrs, soit une lumière qui resplendit en Irak et au-delà, pour annoncer la grandeur du Seigneur et faire exulter l’esprit de ce peuple en Dieu notre Sauveur (cf. Lc 1, 46-47).

De nouveau, je rends grâce parce que nous avons pu nous rencontrer. Que Notre-Dame du Salut et l’Apôtre Saint Thomas intercèdent pour vous et vous protègent toujours. Je bénis de tout cœur chacun de vous et vos communautés. Et je vous demande s’il vous plaît de prier pour moi.

Merci!

[00272-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

Your Beatitudes, Your Excellencies,
Dear Priests and Religious Sisters,
Dear Brothers and Sisters,

I embrace all of you with a father’s affection. I am grateful to the Lord who in his providence has made it possible for us to meet today. I thank His Beatitude Patriarch Ignace Youssif Younan and His Beatitude Cardinal Louis Sako for their words of welcome. We are gathered in this Cathedral of Our Lady of Salvation, hallowed by the blood of our brothers and sisters who here paid the ultimate price of their fidelity to the Lord and his Church. May the memory of their sacrifice inspire us to renew our own trust in the power of the cross and its saving message of forgiveness, reconciliation and rebirth. For Christians are called to bear witness to the love of Christ in every time and place. This is the Gospel that must be proclaimed and embodied in this beloved country as well.

As bishops and priests, men and women religious, catechists and lay leaders, all of you share in the joys and sufferings, the hopes and anxieties of Christ’s faithful. The needs of God’s people, and the daunting pastoral challenges that you daily face, have been aggravated in this time of pandemic. What must never be locked down or reduced, however, is our apostolic zeal, drawn in your case from ancient roots, from the unbroken presence of the Church in these lands since earliest times (cf. BENEDICT XVI, Post-Synodal Apostolic Exhortation Ecclesia in Medio Oriente, 5). We know how easy it is to be infected by the virus of discouragement that at times seems to spread all around us. Yet the Lord has given us an effective vaccine against that nasty virus. It is the hope born of persevering prayer and daily fidelity to our apostolates. With this vaccine, we can go forth with renewed strength, to share the joy of the Gospel as missionary disciples and living signs of the presence of God’s kingdom of holiness, justice and peace.

How much the world around us needs to hear that message! Let us never forget that Christ is proclaimed above all by the witness of lives transformed by the joy of the Gospel. As we see from the earliest history of the Church in these lands, a living faith in Jesus is “contagious”; it can change the world. The example of the saints shows us that Christian discipleship is “not only something right and true, but also something beautiful, capable of filling life with new splendour and profound joy, even in the midst of great difficulties” (Evangelii Gaudium, 167).

Hardships are part of the daily experience of the Iraqi faithful. In recent decades, you and your fellow citizens have had to deal with the effects of war and persecution, the fragility of basic infrastructures and the ongoing struggle for economic and personal security that has frequently led to internal displacements and the migration of many people, including Christians, to other parts of the world. I thank you, my brother bishops and priests, for remaining close – close! – to your people, supporting them, striving to meet their needs and helping them play their part in working for the common good. The educational and charitable apostolates of your local Churches represent a rich resource for the life of both the ecclesial community and the larger society. I encourage you to persevere in these efforts, in order to ensure that Iraq’s Catholic community, though small like a mustard seed (cf. Mt 13:31-32), continues to enrich the life of society as a whole.

The love of Christ summons us to set aside every kind of self-centredness or competition; it impels us to universal communion and challenges us to form a community of brothers and sisters who accept and care for one another (cf. Fratelli Tutti, 95-96). Here I think of the familiar image of a carpet. The different Churches present in Iraq, each with its age-old historical, liturgical and spiritual patrimony, are like so many individual coloured threads that, woven together, make up a single beautiful carpet, one that displays not only our fraternity but points also to its source. For God himself is the artist who imagined this carpet, patiently wove it and carefully mends it, desiring us ever to remain closely knit as his sons and daughters. May we thus take to heart the admonition of Saint Ignatius of Antioch: “Let nothing exist among you that may divide you… but let there be one prayer, one mind, one hope, in love and in joy” (Ad Magnesios, 6-7: PL 5, 667). How important is this witness of fraternal union in a world all too often fragmented and torn by division! Every effort made to build bridges between ecclesial, parish and diocesan communities and institutions will serve as a prophetic gesture on the part of the Church in Iraq and a fruitful response to Jesus’ prayer that all may be one (cf. Jn 17:21; Ecclesia in Medio Oriente, 37).

Pastors and faithful, priests, religious and catechists share, albeit in distinct ways, in responsibility for advancing the Church’s mission. At times, misunderstandings can arise and we can experience certain tensions; these are the knots that hinder the weaving of fraternity. They are knots we carry within ourselves; after all, we are all sinners. Yet these knots can be untied by grace, by a greater love; they can be loosened by the medicine of forgiveness and by fraternal dialogue, by patiently bearing one another’s burdens (cf. Gal 6:2) and strengthening each other in moments of trial and difficulty.

Here, I would like to say a special word to my brother bishops. I like to think of our episcopal ministry in terms of closeness: our need to remain close to God in prayer, close to the faithful entrusted to our care, and close to our priests. Be particularly close to your priests. Let them not see you as only an administrator or manager, but as true fathers, concerned for their welfare, ready to offer them support and encouragement with an open heart. Accompany them with your prayer, your time, your appreciation for their work and your efforts to guide their growth. In this way, you will be for your priests a visible sign and model of Jesus, the Good Shepherd who knows his sheep and gives his life for them (cf. Jn 10:14-15).

Dear priests, men and women religious, catechists, seminarians preparing for future ministry: all of you have heard the voice of the Lord in your hearts and like the young Samuel you have answered, “Here I am” (1 Sam 3:4). May that response, which I invite you to renew daily, lead each of you to share the Good News with courage and zeal, living and walking always in the light of the word of God that we have the gift and responsibility to proclaim. We know that our service necessarily has an administrative component, but that does not mean we should spend all our time in meetings or behind a desk. It is important to go out among our flock and offer the gift of our presence and accompaniment to the faithful in our cities and villages. I think especially of those who risk being left behind: the young, the elderly, the sick and the poor. When we serve our neighbours with dedication, as you are doing, in a spirit of compassion, humility, kindness and love, we are really serving Jesus, as he himself told us (cf. Mt 25:40). And by serving Jesus in others, we discover true joy. Never step back from the holy people of God into which you were born. Remember your mothers and grandmothers, who, as Saint Paul says, raised you in the faith (cf. 2 Tim 1:5). Be pastors, servants of the people, not civil servants. Ever a part of the people of God, never apart, as though you were a privileged class. Do not renounce that noble lineage which is the holy people of God.

Let me mention once more our brothers and sisters who died in the terrorist attack in this Cathedral some ten years ago and whose cause for beatification is underway. Their deaths are a powerful reminder that inciting war, hateful attitudes, violence or the shedding of blood are incompatible with authentic religious teachings (cf. Fratelli Tutti, 285). I also want to remember all the victims of violence and persecution, regardless of the religious group to which they belong. Tomorrow, in Ur, I will meet with the leaders of the religious traditions present in this country, in order to proclaim once again our conviction that religion must serve the cause of peace and unity among all God’s children. This evening I want to thank you for your efforts to be peacemakers, within your communities and with believers of other religious traditions, sowing seeds of reconciliation and fraternal coexistence that can lead to a rebirth of hope for everyone.

Here I think especially of the young. Young people everywhere are a sign of promise and hope, but particularly in this country. Here you have not only priceless archeological treasures, but also inestimable treasure for the future: the young! Young people are your treasure; they need you to care for them, to nurture their dreams, to accompany their growth and to foster their hope. Even though they are young, their patience has already been sorely tried by the conflicts of these years. Yet let us never forget that, together with the elderly, they are the point of the diamond in this country, the richest fruit of the tree. It is up to us to cultivate their growth in goodness and to nurture them with hope.

Brothers and sisters: first through your baptism and confirmation, and later through your ordination or religious profession, you were consecrated to the Lord and sent forth to be missionary disciples in this land so closely linked to the history of salvation. You are part of that history, faithfully bearing witness to God’s never-failing promises as you strive to build a new future. May your witness, matured through adversity and strengthened by the blood of martyrs, be a shining light in Iraq and beyond in order to proclaim the greatness of the Lord and to make the spirit of this people rejoice in God our Saviour (cf. Lk 1:46-47).

Once again I am grateful that we have been able to be together. May Our Lady of Salvation and the Apostle Saint Thomas intercede for you and protect you always. I cordially bless you and your communities. And I ask you, please, to pray for me. Thank you!

[00272-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Eure Seligkeiten, Eure Exzellenzen,
liebe Priester und Ordensmänner,
liebe Ordensschwestern,
liebe Brüder und Schwestern!

In väterlicher Zuneigung umarme ich euch alle. Ich bin dem Herrn dankbar, dass er in seiner Vorsehung unsere Begegnung heute möglich gemacht hat. Ich danke Seiner Seligkeit Patriarch Ignace Youssif Younan und Seiner Seligkeit Kardinal Louis Sako für die Willkommensworte. Wir sind in dieser Kathedrale Unserer Lieben Frau von der Erlösung versammelt und empfangen Segen durch das Blut unserer Brüder und Schwestern, die hier den äußersten Preis für ihre Treue zum Herrn und zu seiner Kirche bezahlt haben. Das Gedenken an ihr Opfer ermutige uns, unser Vertrauen auf die Kraft des Kreuzes und seiner heilbringenden Botschaft von Vergebung, Versöhnung und Wiedergeburt neu zu stärken. Der Christ ist nämlich gerufen, die Liebe Christi allerorts und zu allen Zeiten zu bezeugen. Dies ist das Evangelium, das auch in diesem geschätzten Land verkündet und verkörpert werden muss.

Als Bischöfe und Priester, als Ordensmänner und Ordensfrauen, als Katecheten und verantwortliche Laien teilt ihr die Freuden und Leiden, die Hoffnungen und Ängste der Christgläubigen. Die Bedürfnisse des Volkes Gottes und die schwierigen pastoralen Herausforderungen, denen ihr euch täglich stellt, haben sich in dieser Zeit der Pandemie verschlimmert. Doch niemals darf unser apostolischer Eifer gelähmt oder vermindert werden; ihr bezieht ihn aus uralten Wurzeln, aus der ununterbrochenen Präsenz der Kirche in diesen Ländern seit ihren Anfängen (vgl. Benedikt XVI., Apostolisches Schreiben Ecclesia in Medio Oriente, 5). Wir wissen, wie einfach es ist, vom Virus der Mutlosigkeit angesteckt zu werden, das sich manchmal um uns herum auszubreiten scheint. Und doch hat uns der Herr einen wirksamen Impfstoff gegen dieses böse Virus gegeben: Es ist die Hoffnung; die Hoffnung, die aus dem beharrlichen Gebet und der täglichen Treue zu unserem Apostolat erwächst. Mit diesem Impfstoff können wir mit stets neuer Energie voranschreiten, um als missionarische Jünger und lebendige Zeichen der Gegenwart des Reiches Gottes, des Reiches der Heiligkeit, der Gerechtigkeit und des Friedens die Freude des Evangeliums zu teilen.

Wie sehr ist es nötig, dass die Welt um uns diese Botschaft hört! Vergessen wir nie, dass Christus vor allem durch das Zeugnis eines Lebens verkündet wird, das von der Freude des Evangeliums verwandelt wurde. Wie wir aus der altehrwürdigen Geschichte der Kirche in diesen Ländern ersehen können, ist ein lebendiger Glaube an Jesus „ansteckend“ und kann die Welt verändern. Das Beispiel der Heiligen zeigt uns, dass Jesus Christus zu folgen »nicht nur etwas Wahres und Gerechtes, sondern etwas Schönes ist, das sogar inmitten von Prüfungen das Leben mit neuem Glanz und tiefem Glück erfüllen kann« (Apostolisches Schreiben Evangelii gaudium, 167).

Die Schwierigkeiten gehören zur alltäglichen Erfahrung der irakischen Gläubigen. In den letzten Jahrzehnten habt ihr und eure Mitbürger euch den Folgen des Krieges und der Verfolgungen stellen müssen wie auch der unzureichenden Grundinfrastruktur und dem stetigen Kampf um wirtschaftliche und persönliche Sicherheit, der oftmals zu internen Vertreibungen und zur Migration vieler, auch von Christen, in andere Länder der Erde geführt hat. Ich danke euch, liebe Brüder im Bischofs- und Priesteramt, dass ihr eurem Volk nahe geblieben seid – eurem Volk nahe! –und es unterstützt habt: Ihr habt euch bemüht, die Bedürfnisse der Menschen zu befriedigen, und habt jedem geholfen, seinen Beitrag im Dienst am Gemeinwohl zu leisten. Das Apostolat eurer Teilkirchen im Bereich der Erziehung und der Caritas stellt eine wertvolle Ressource für das Leben sowohl der kirchlichen Gemeinschaft als auch der gesamten Gesellschaft dar. Ich ermutige euch, diesen Einsatz beharrlich fortzuführen, um zu gewährleisten, dass die katholische Gemeinschaft im Irak, auch wenn sie klein ist wie ein Senfkorn (vgl. Mt 13,31-32), den Lauf des Landes in seiner Gesamtheit weiterhin bereichere.

Die Liebe Christi verlangt von uns, jede Art von Egozentrik und Konkurrenz beiseitezulassen; sie drängt uns zur universalen Zusammengehörigkeit und ruft uns zur Bildung einer Gemeinschaft von Brüdern und Schwestern, die einander annehmen und füreinander sorgen (vgl. Enzyklika Fratelli tutti, 95-96). Ich denke an das vertraute Bild eines Teppichs. Die verschiedenen Kirchen hier im Irak, jede mit ihrem jahrhundertealten geschichtlichen, liturgischen und spirituellen Erbe, sind wie viele einzelne bunte Fäden, die miteinander verflochten einen einzigen wunderschönen Teppich ergeben, der nicht nur unsere Geschwisterlichkeit bezeugt, sondern auch auf ihre Quelle zurückverweist. Denn Gott selbst ist der Künstler, der diesen Teppich entworfen und geduldig gewebt hat, der ihn sorgfältig flickt in dem Wunsch, dass wir als seine Söhne und Töchter untereinander gut verflochten sind. Immer mögen wir die Mahnung des heiligen Ignatius von Antiochien beherzigen: »Nichts sei unter euch, das imstande wäre, euch zu spalten, sondern bei eurer Versammlung sei ein Gebet, eine Bitte, ein Sinn, in untadeliger Freude« (Ad Magnesios, 6-7; PL 5,667). Wie wichtig ist dieses Zeugnis geschwisterlicher Einheit in einer oft zersplitterten und von Spaltungen zerrissenen Welt! Jede unternommene Anstrengung, zwischen kirchlichen, pfarrlichen und diözesanen Gemeinschaften und Einrichtungen Brücken zu bauen, wird nützlich sein als prophetische Geste der Kirche im Irak und als fruchtbare Antwort auf das Gebet Jesu, dass alle eins sein sollen (vgl. Joh 17,21; Benedikt XVI., Apostolisches Schreiben Ecclesia in Oriente, 37).

Hirten und Gläubige, Priester, Ordensleute und Katecheten teilen, wenn auch auf verschiedene Weise, die Verantwortung, die Sendung der Kirche voranzubringen. Zuweilen mögen Missverständnisse auftreten und können wir Spannungen erleben – es sind die Knoten, die das Flechten der Geschwisterlichkeit behindern. Es sind Knoten, die wir in uns tragen; im Übrigen sind wir alle Sünder. Doch diese Knoten können von der Gnade, von einer größeren Liebe gelöst werden; sie können von der Vergebung und dem geschwisterlichen Dialog aufgeschnürt werden, wenn einer des anderen Last trägt (vgl. Gal 6,2) und man sich in den Augenblicken der Prüfung und der Schwierigkeiten gegenseitig stärkt.

Nun möchte ich ein besonderes Wort an meine Brüder im Bischofsamt richten. Ich denke gern an unseren bischöflichen Dienst im Sinne von Nähe: unser Bedürfnis, bei Gott zu bleiben im Gebet und bei den unserer Sorge anvertrauten Gläubigen und unseren Priester. Seid besonders euren Priestern nahe. Sie mögen euch nicht als Verwalter oder Manager sehen, sondern als Väter, die darum besorgt sind, dass es ihren Söhnen gut geht, und bereit sind, ihnen offenen Herzens Unterstützung und Ermutigung zu bieten. Begleitet sie mit eurem Gebet, mit eurer Zeit, mit eurer Geduld, wertschätzt ihre Arbeit und lenkt ihr Wachstum. Auf diese Weise werdet ihr für eure Priester sichtbares Zeichen Jesu, des Guten Hirten, sein, der seine Schafe kennt und das Leben für sie hingibt (vgl. Joh 10,14-15).

Liebe Priester, Ordensmänner und Ordensfrauen, Katecheten sowie Seminaristen, die ihr euch auf den künftigen Dienst als Priester vorbereitet: Ihr alle habt die Stimme des Herrn in euren Herzen vernommen und wie der junge Samuel geantwortet: »Hier bin ich« (1 Sam 3,4). Diese Antwort – ich lade euch ein, sie jeden Tag zu erneuern – lasse einen jeden von euch die Frohe Botschaft mit Begeisterung und Mut weitergeben. Lebt und wandelt dabei immer im Licht des Wortes Gottes, das zu verkünden uns geschenkt und aufgetragen ist. Wir wissen, dass unser Dienst auch einen Teil an Verwaltung mit sich bringt, aber dies bedeutet nicht, dass wir unsere ganze Zeit in Sitzungen oder hinter einem Schreibtisch verbringen müssen. Es ist wichtig, hinauszugehen mitten unter unsere Herde und für die Gläubigen in den Städten und Dörfern da zu sein und sie zu begleiten. Ich denke an alle, die Gefahr laufen zurückzubleiben, vor allem an die Jugendlichen, an die älteren Menschen, an die Kranken und die Armen. Wenn wir dem Nächsten mit Hingabe dienen, wie ihr es tut, im Geist des Mitleids, der Demut, der Freundlichkeit und in Liebe, dann dienen wir wirklich Jesus, wie er selbst es uns gesagt hat (vgl. Mt 25,40). Und wenn wir Jesus in den anderen dienen, entdecken wir die wahre Freude. Entfernt euch nicht vom heiligen Volk Gottes, in dem ihr geboren wurdet. Vergesst nicht eure Mütter und eure Großmütter, die euch im Glauben „gestillt“ haben, wie der heilige Paulus sagen würde (vgl. 2 Tim 1,5). Seid Hirten, Diener des Volkes und nicht Staatsbeamte, Staatskleriker. Immer im Volk Gottes, niemals abgehoben, als wärt ihr eine privilegierte Klasse. Verleugnet nicht dieses edle „Geschlecht“, das heilige Volk Gottes.

Nun möchte ich auf unsere Brüder und Schwestern zurückkommen, die beim Terroranschlag in dieser Kathedrale vor zehn Jahren ums Leben gekommen sind und deren Seligsprechungsverfahren läuft. Ihr Tod erinnert uns nachdrücklich daran, dass Anstiftung zum Krieg, Haltungen des Hasses, Gewalt und Blutvergießen mit den religiösen Lehren unvereinbar sind (vgl. Enzyklika Fratelli tutti, 285). Und ich möchte an alle Opfer von Gewalt und Verfolgung, welcher religiösen Gemeinschaft sie auch angehören, erinnern. Morgen werde ich in Ur die Oberhäupter der religiösen Traditionen hier in diesem Land treffen, um noch einmal unsere Überzeugung kundzutun, dass die Religion der Sache des Friedens und der Einheit unter den Kindern Gottes dienen muss. Heute Abend möchte ich euch für euren Einsatz als Friedensstifter innerhalb eurer Gemeinschaften und mit den Gläubigen anderer religiöser Traditionen danken; dadurch streut ihr Samen der Versöhnung und des geschwisterlichen Zusammenlebens aus, die zu einem Wiederaufleben der Hoffnung für alle führen können.

Ich denke vor allem an die junge Menschen. Überall sind sie Träger von Verheißung und Hoffnung, ganz besonders in diesem Land. Hier gibt es nämlich nicht nur ein unschätzbares archäologisches Erbe, sondern auch einen unermesslichen Reichtum für die Zukunft – es sind dies die jungen Menschen. Sie sind euer Schatz, und man muss sich um sie kümmern, ihre Träume nähren, ihren Weg begleiten, ihre Hoffnung mehren. Denn obwohl sie jung sind, wurde ihre Geduld von den Konflikten der letzten Jahre bereits hart auf die Probe gestellt. Doch denken wir daran, zusammen mit den älteren Menschen sind sie die Juwelen des Landes, die schmackhaftesten Früchte des Baumes: Es liegt an uns – an uns –, sie im Guten anzupflanzen und mit Hoffnung zu gießen.

Brüder und Schwestern, durch Taufe und Firmung, durch Weihe oder Ordensprofess seid ihr dem Herrn geweiht und gesandt, missionarische Jünger in diesem Land zu sein, das so eng mit der Heilsgeschichte verbunden ist. Ihr seid Teil dieser Geschichte, wenn ihr treu Zeugnis von den Verheißungen Gottes gebt, die niemals enttäuschen, und versucht, eine neue Zukunft aufzubauen. Euer Zeugnis, das in den Widrigkeiten gereift ist und durch das Blut der Märtyrer gestärkt wurde, möge ein Licht sein, das im Irak und darüber hinaus aufstrahlt, um die Größe des Herrn zu verkünden und den Geist dieses Volkes über Gott, seinen Retter, jubeln zu lassen (vgl. Lk 1,46-47).

Noch einmal danke ich dafür, dass wir uns treffen konnten. Unsere Liebe Frau von der Erlösung und der heilige Apostel Thomas seien euch Fürsprecher und mögen euch immer beschützen. Von Herzen segne ich einen jeden von euch und eure Gemeinschaften. Und ich bitte euch, für mich zu beten. Vielen Dank!

[00272-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

Beatitudes, Excelencias,
Queridos sacerdotes y religiosos,
Queridas religiosas,
Queridos hermanos y hermanas:

Los abrazo a todos con paternal afecto. Doy gracias al Señor que en su providencia nos ha permitido hoy este encuentro. Agradezco a Su Beatitud el Patriarca Ignace Youssif Younan y a Su Beatitud el Cardenal Louis Sako por las palabras de bienvenida. Nos hemos reunido en esta Catedral de Nuestra Señora de la Salvación, bendecidos por la sangre de nuestros hermanos y hermanas que aquí han pagado el precio extremo de su fidelidad al Señor y a su Iglesia. Que el recuerdo de su sacrificio nos inspire para renovar nuestra confianza en la fuerza de la Cruz y de su mensaje salvífico de perdón, reconciliación y resurrección. El cristiano, en efecto, está llamado a testimoniar el amor de Cristo en todas partes y en cualquier momento. Este es el Evangelio que proclamar y encarnar también en este amado país.

Como obispos y sacerdotes, religiosos y religiosas, catequistas y responsables laicos, todos ustedes comparten las alegrías y los sufrimientos, las esperanzas y las angustias de los fieles de Cristo. Las necesidades del pueblo de Dios y los arduos desafíos pastorales que afrontan cotidianamente se han agravado en este tiempo de pandemia. A pesar de todo, lo que nunca se tiene que detener o reducir es nuestro celo apostólico, que ustedes toman de raíces muy antiguas, de la presencia ininterrumpida de la Iglesia en estas tierras desde los primeros tiempos (cf. Benedicto XVI, Exhort. ap. postsin. Ecclesia in Medio Oriente, 5). Sabemos qué fácil es contagiarnos del virus del desaliento que a menudo parece difundirse a nuestro alrededor. Sin embargo, el Señor nos ha dado una vacuna eficaz contra este terrible virus, que es la esperanza. La esperanza que nace de la oración perseverante y de la fidelidad cotidiana a nuestro apostolado. Con esta vacuna podemos seguir adelante con energía siempre nueva, para compartir la alegría del Evangelio, como discípulos misioneros y signos vivos de la presencia del Reino de Dios, Reino de santidad, de justicia y de paz.

Cuánta necesidad tiene el mundo que nos rodea de escuchar este mensaje. No olvidemos nunca que Cristo se anuncia sobre todo con el testimonio de vidas transformadas por la alegría del Evangelio. Como vemos en la historia antigua de la Iglesia en estas tierras, una fe viva en Jesús es “contagiosa”, puede cambiar el mundo. El ejemplo de los santos nos muestra que seguir a Jesucristo «no es sólo algo verdadero y justo, sino también bello, capaz de colmar la vida de un nuevo resplandor y de un gozo profundo, aun en medio de las pruebas» (Exhort. ap. Evangelii gaudium, 167).

Las dificultades forman parte de la experiencia cotidiana de los fieles iraquíes. En las últimas décadas, ustedes y sus conciudadanos han tenido que afrontar las consecuencias de la guerra y de las persecuciones, la fragilidad de las infraestructuras básicas y la lucha continua por la seguridad económica y personal, que a menudo ha llevado a desplazamientos internos y a la migración de muchos, también de cristianos, hacia otras partes del mundo. Les agradezco, hermanos obispos y sacerdotes, por haber permanecido cercanos a su pueblo —¡cercanos a su pueblo!—, sosteniéndolo, esforzándose por satisfacer las necesidades de la gente y ayudando a cada uno a desempeñar su función al servicio del bien común. El apostolado educativo y el caritativo de sus Iglesias particulares representan un valioso recurso para la vida tanto de la comunidad eclesial como de la sociedad en su conjunto. Los animo a perseverar en este compromiso, para garantizar que la Comunidad católica en Irak, aunque sea pequeña como un grano de mostaza (cf. Mt 13,31-32), siga enriqueciendo el camino de todo el país.

El amor de Cristo nos pide que dejemos de lado todo tipo de egocentrismo y rivalidad; nos impulsa a la comunión universal y nos llama a formar una comunidad de hermanos y hermanas que se acogen y se cuidan unos a otros (cf. Carta enc. Fratelli tutti, 95-96). Pienso en la familiar imagen de una alfombra. Las diferentes Iglesias presentes en Irak, cada una con su ancestral patrimonio histórico, litúrgico y espiritual, son como muchos hilos particulares de colores que, trenzados juntos, componen una alfombra única y bellísima, que no sólo atestigua nuestra fraternidad, sino que remite también a su fuente. Porque Dios mismo es el artista que ha ideado esta alfombra, que la teje con paciencia y la remienda con cuidado, queriendo que estemos entre nosotros siempre bien unidos, como sus hijos e hijas. Que esté siempre en nuestro corazón la exhortación de san Ignacio de Antioquía: «Que nada haya en vosotros que pueda dividiros, […] sino que, reunidos en común, haya una sola oración, una sola esperanza en la caridad y en la santa alegría» (Ad Magnesios, 6-7: PL 5, 667). Qué importante es este testimonio de unión fraterna en un mundo a menudo fragmentado y desgarrado por nuestras divisiones. Todo esfuerzo que se realice para construir puentes entre la comunidad y las instituciones eclesiales, parroquiales y diocesanas servirá como gesto profético de la Iglesia en Irak y como respuesta fecunda a la oración de Jesús para que todos sean uno (cf. Jn 17,21; Ecclesia in Medio Oriente, 37).

Pastores y fieles, sacerdotes, religiosos y catequistas comparten, si bien de diversas maneras, la responsabilidad de llevar adelante la misión de la Iglesia. En ocasiones pueden surgir incomprensiones y podemos experimentar tensiones; son los nudos que dificultan el tejido de la fraternidad. Son nudos que llevamos dentro de nosotros; por lo demás, somos todos pecadores. Pero estos nudos pueden ser desatados por la Gracia, por un amor más grande; se pueden soltar por el perdón y el diálogo fraterno, llevando pacientemente los unos las cargas de los otros (cf. Gal 6,2) y fortaleciéndose mutuamente en los momentos de prueba y dificultad.

Ahora quisiera dirigir una palabra especial a mis hermanos obispos. Me agrada pensar en nuestro ministerio episcopal en términos de cercanía, es decir, nuestra necesidad de permanecer con Dios en la oración, junto a los fieles confiados a nuestro cuidado y a nuestros sacerdotes. Sean particularmente cercanos a sus sacerdotes. Que no los vean como administradores o directores, sino como a padres, preocupados por el bien de sus hijos, dispuestos a ofrecerles apoyo y ánimo con el corazón abierto. Acompáñenlos con su oración, con su tiempo, con su paciencia, valorando su trabajo e impulsando su crecimiento. De este modo serán para sus sacerdotes signo visible de Jesús, el Buen Pastor que conoce sus ovejas y da la vida por ellas (cf. Jn 10,14-15).

Queridos sacerdotes, religiosos y religiosas, catequistas, seminaristas que se preparan a su futuro ministerio: Todos ustedes han escuchado la voz del Señor en sus corazones, y como el joven Samuel han respondido: «Aquí estoy» (1 S 3,4). Que esta respuesta, que los invito a renovar cada día, lleve a cada uno de ustedes a compartir la Buena Noticia con entusiasmo y valentía, viviendo y caminando siempre a la luz de la Palabra de Dios, que tenemos el don y la tarea de anunciar. Sabemos que nuestro servicio conlleva también una parte administrativa, pero esto no significa que debamos pasar todo nuestro tiempo en reuniones o detrás de un escritorio. Es importante que estemos en medio de nuestro rebaño y que ofrezcamos nuestra presencia y nuestro acompañamiento a los fieles de las ciudades y de los pueblos. Pienso en los que corren el riesgo de quedarse atrás, en los jóvenes, los ancianos, los enfermos y los pobres. Cuando servimos al prójimo con entrega, como lo hacen ustedes, con espíritu de compasión, humildad y amabilidad, con amor, estamos sirviendo realmente a Jesús, como Él mismo nos lo ha dicho (cf. Mt 25,40). Y sirviendo a Jesús en los demás, descubrimos la verdadera alegría. No se alejen del santo pueblo de Dios, en el que nacieron. No se olviden de sus madres y de sus abuelas, que los han “amamantado” en la fe, como diría san Pablo (cf. 2 Tm 1,5). Sean pastores, servidores del pueblo y no administradores públicos, clérigos funcionarios. Siempre con el pueblo de Dios, nunca separados como si fueran una clase privilegiada. No renieguen de esta “estirpe” noble que es el santo pueblo de Dios.

Quisiera volver ahora a nuestros hermanos y hermanas que murieron en el atentado terrorista en esta Catedral hace diez años y cuya beatificación está en proceso. Su muerte nos recuerda con fuerza que la incitación a la guerra, las actitudes de odio, la violencia y el derramamiento de sangre son incompatibles con las enseñanzas religiosas (cf. Carta enc. Fratelli tutti, 285). Y quiero también recordar a todas las víctimas de la violencia y las persecuciones, pertenecientes a cualquier comunidad religiosa. Mañana, en Ur, encontraré a los líderes de las tradiciones religiosas presentes en este país, para proclamar una vez más nuestra convicción de que la religión debe servir a la causa de la paz y de la unidad entre todos los hijos de Dios. Esta tarde quiero agradecerles su compromiso de ser constructores de paz, en el seno de sus comunidades y con los creyentes de otras tradiciones religiosas, esparciendo semillas de reconciliación y de convivencia fraterna que pueden llevar a un renacer de la esperanza para todos.

Pienso particularmente en los jóvenes. En todas partes son portadores de promesa y de esperanza, y sobre todo en este país. De hecho, aquí no hay solamente un patrimonio arqueológico inestimable, sino una riqueza incalculable para el porvenir: ¡son los jóvenes! Son vuestro tesoro y hay que cuidarlo, alimentando sus sueños, acompañándolos en el camino y reforzando su esperanza. Aunque jóvenes, ciertamente, su paciencia ya ha sido puesta a prueba duramente por los conflictos de estos años. Pero recordemos que ellos —junto con los ancianos— son la punta del diamante del país, los mejores frutos del árbol. Depende de nosotros, de nosotros, cultivarlos para el bien e infundirles esperanza.

Hermanos y hermanas: Por el bautismo y la confirmación, por la ordenación o la profesión religiosa, ustedes fueron consagrados al Señor y enviados para ser discípulos misioneros en esta tierra tan estrechamente ligada a la historia de la salvación. Dando testimonio fielmente de las promesas de Dios, que nunca dejan de cumplirse, y buscando construir un nuevo futuro son parte de esa historia. Que vuestro testimonio, madurado en la adversidad y fortalecido por la sangre de los mártires, sea una luz que resplandezca en Irak y más allá, para anunciar la grandeza del Señor y hacer exultar el espíritu de este pueblo en Dios nuestro Salvador (cf. Lc 1,46-47).

Agradezco nuevamente esta posibilidad de encontrarnos. Que Nuestra Señora de la Salvación y el apóstol santo Tomás intercedan por ustedes y los protejan siempre. Bendigo de corazón a cada uno de ustedes y a sus comunidades. Y les pido, por favor, que recen por mí. Gracias.

[00272-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

Beatitudes, Excelências Reverendíssimas,
Amados Sacerdotes e Religiosos,
Prezadas Religiosas,
Queridos irmãos e irmãs!

Com paterno afeto, vos abraço a todos. Sinto-me agradecido ao Senhor que, na sua providência, permitiu encontrar-nos hoje. Agradeço a Sua Beatitude o Patriarca Ignace Youssif Younan e a Sua Beatitude o Cardeal Louis Sako as palavras de boas-vindas. Estamos reunidos nesta Catedral de Nossa Senhora da Salvação, abençoados pelo sangue dos nossos irmãos e irmãs que aqui pagaram o preço extremo da sua fidelidade ao Senhor e à sua Igreja. Que a recordação do seu sacrifício nos inspire a renovar a nossa confiança na força da Cruz e da sua mensagem salvífica de perdão, reconciliação e renascimento. Na verdade, o cristão é chamado a testemunhar o amor de Cristo em todo o tempo e lugar. Este é o Evangelho que se deve proclamar e encarnar também neste amado país.

Todos vós, como bispos e sacerdotes, religiosos e religiosas, catequistas e responsáveis leigos, compartilhais as alegrias e os sofrimentos, as esperanças e as angústias dos fiéis de Cristo. As carências do povo de Deus e os árduos desafios pastorais que enfrentais diariamente, agravaram-se neste tempo de pandemia. Há uma coisa, porém, que nunca deve ser bloqueada nem reduzida: o zelo apostólico, que hauris de raízes muito antigas, da presença ininterrupta da Igreja nestas terras desde os primeiros tempos (cf. Bento XVI, Exort. ap. pós-sinodal Ecclesia in Medio Oriente, 5). Sabemos como é fácil ser contagiado pelo vírus do desânimo que às vezes parece difundir-se ao nosso redor. Mas o Senhor deu-nos uma vacina eficaz contra este vírus mau: é a esperança; a esperança, que nasce da oração perseverante e da fidelidade diária ao nosso apostolado. Com esta vacina, podemos prosseguir com energia sempre nova, para partilhar a alegria do Evangelho como discípulos missionários e sinais vivos da presença do Reino de Deus, Reino de santidade, justiça e paz.

Quanta necessidade tem o mundo ao nosso redor de ouvir esta mensagem! Não esqueçamos jamais que Cristo é anunciado sobretudo com o testemunho de vidas transformadas pela alegria do Evangelho. Como vemos pela antiga história da Igreja nestas terras, uma fé viva em Jesus é «contagiosa», pode mudar o mundo. O exemplo dos Santos mostra-nos que seguir Jesus Cristo «não é algo apenas verdadeiro e justo, mas também belo, capaz de cumular a vida dum novo esplendor e duma alegria profunda, mesmo no meio das provações» (Francisco, Exort. ap. Evangelii gaudium, 167).

As dificuldades fazem parte da experiência diária dos fiéis iraquianos. Nas últimas décadas, vós e os vossos concidadãos tivestes de enfrentar os efeitos da guerra e das perseguições, a fragilidade das infraestruturas básicas e uma luta contínua pela segurança económica e pessoal, que muitas vezes levou a deslocamentos internos e à migração de muitos, inclusive cristãos, para outras partes do mundo. Agradeço-vos, irmãos bispos e sacerdotes, por terdes permanecido junto do vosso povo – junto do vosso povo –, apoiando-o, esforçando-vos por satisfazer as carências das pessoas e ajudando cada um a fazer a sua parte ao serviço do bem comum. O apostolado educativo e o sociocaritativo das vossas Igrejas Particulares constituem um recurso precioso para a vida quer da comunidade eclesial quer da sociedade inteira. Animo-vos a perseverar neste compromisso, a fim de garantir que a Comunidade Católica no Iraque, apesar de pequena como um grão de mostarda (cf. Mt 13, 31-32), continue a enriquecer o caminho do país no seu conjunto.

O amor de Cristo pede-nos para colocar de lado qualquer tipo de egocentrismo e competição; impele-nos à comunhão universal e chama-nos a formar uma comunidade de irmãos e irmãs que se acolhem e cuidam mutuamente (cf. Francisco, Carta enc. Fratelli tutti, 95-96). Vem-me ao pensamento a imagem familiar dum tapete. As diversas Igrejas presentes no Iraque, cada qual com o seu secular património histórico, litúrgico e espiritual, são como tantos fios de variegadas cores que, entrelaçados conjuntamente, compõem um único belíssimo tapete, que não só atesta a nossa fraternidade, mas remete também para a sua fonte, pois o próprio Deus é o artista que idealizou este tapete, que o tece com paciência e prende cuidadosamente querendo-nos sempre bem entrelaçados entre nós, como seus filhos e filhas. Esteja sempre no nosso coração esta exortação de Santo Inácio de Antioquia: «Nada haja entre vós que possa dividir-vos (...), mas fazei tudo em comum: uma só oração, uma só prece, uma só alma, uma só esperança na caridade e na santa alegria» (Ad Magnesios, 6-7: PL 5, 667). Como é importante este testemunho de união fraterna num mundo que se vê frequentemente fragmentado e dilacerado pelas divisões! Todo o esforço feito para construir pontes entre comunidades e instituições eclesiais, paroquiais e diocesanas aparecerá como gesto profético da Igreja no Iraque e como resposta fecunda à oração de Jesus para que todos sejam um só (cf. Jo 17, 21; Ecclesia in Medio Oriente, 37).

Pastores e fiéis, sacerdotes, religiosos e catequistas partilham – embora de maneira diferente – a responsabilidade de continuar a missão da Igreja. Às vezes é possível que surjam incompreensões e podem-se experimentar tensões: são os nós que dificultam a tecedura da fraternidade. E trazemo-los dentro de nós mesmos; aliás somos todos pecadores. Mas estes nós podem ser desenlaçados pela graça, por um amor maior; podem ser desenvencilhados pelo perdão e o diálogo fraterno, carregando pacientemente os fardos uns dos outros (cf. Gal 6, 2) e animando-se mutuamente nos momentos de provação e dificuldade.

Agora, gostaria de dizer uma palavra especial aos meus irmãos bispos. Gosto de pensar no nosso ministério episcopal em termos de proximidade: a necessidade que temos de permanecer com Deus na oração, junto dos fiéis confiados aos nossos cuidados e dos nossos sacerdotes. De modo particular permanecei vizinhos aos vossos sacerdotes. Que não vos vejam como administradores ou gerentes, mas como pais preocupados por que os filhos estejam bem, prontos a dar-lhes apoio e ânimo de coração aberto. Acompanhai-os com a vossa oração, o vosso tempo, a vossa paciência, reconhecendo o seu trabalho e guiando o seu crescimento. Sereis, assim, para os vossos sacerdotes sinal visível de Jesus, o Bom Pastor que conhece as suas ovelhas e dá a vida por elas (cf. Jo 10, 14-15).

Amados sacerdotes, religiosos e religiosas, catequistas, seminaristas que vos preparais para o futuro ministério: todos vós ouvistes a voz do Senhor nos vossos corações e respondestes como o jovem Samuel: «Eis-me aqui» (1 Sam 3, 4). Esta resposta, que vos convido a renovar todos os dias, leve cada um de vós a partilhar a Boa Nova com entusiasmo e coragem, vivendo e caminhando sempre à luz da Palavra de Deus, que temos o dom e o dever de anunciar. Sabemos que o nosso serviço inclui também uma componente administrativa, mas isto não significa que devemos passar todo o nosso tempo em reuniões ou atrás duma escrivaninha. É importante sair para o meio do nosso rebanho e oferecer a nossa presença e acompanhamento aos fiéis nas cidades e nas aldeias. Penso em todos aqueles que correm o risco de ficar para trás: nos jovens, nos idosos, nos doentes e nos pobres. Quando servimos o próximo com dedicação, como vós fazeis, com espírito de compaixão, humildade, gentileza, com amor, estamos realmente servindo a Jesus, como Ele mesmo nos disse (cf. Mt 25, 40). E servindo a Jesus nos outros, descobrimos a verdadeira alegria. Não vos afasteis do santo povo de Deus, onde nascestes. Não vos esqueçais das vossas mães e das vossas avós, que vos «amamentaram» na fé, como diria São Paulo (cf. 2 Tim 1, 5). Sede pastores servidores do povo, e não funcionários de Estado, clérigos de Estado: sempre no povo de Deus, nunca separados como se fôsseis uma classe privilegiada. Não renegueis esta nobre «estirpe» que é o santo povo de Deus.

Gostaria de retornar agora aos nossos irmãos e irmãs que morreram no atentado terrorista de há dez anos nesta Catedral e cuja causa de beatificação está em andamento. A sua morte lembra-nos fortemente que o incitamento à guerra, os comportamentos de ódio, a violência e o derramamento de sangue são incompatíveis com os ensinamentos religiosos (cf. Francisco, Carta enc. Fratelli tutti, 285). E quero recordar todas as vítimas de violências e perseguições, pertencentes a qualquer comunidade religiosa. Amanhã, em Ur, encontrarei os líderes das tradições religiosas presentes neste país, para proclamarmos mais uma vez a nossa convicção de que a religião deve servir a causa da paz e da unidade entre todos os filhos de Deus. Nesta tarde, quero agradecer-vos pelo vosso empenho de serdes operadores de paz dentro das vossas comunidades e com os crentes doutras tradições religiosas, espalhando sementes de reconciliação e convivência fraterna que possam levar a um esperançoso renascimento para todos.

Penso de modo particular nos jovens. São portadores de promessas e de esperança em toda a parte, e sobretudo neste país. Na realidade, aqui não existe apenas um património arqueológico inestimável, mas também uma riqueza incalculável para o futuro: são os jovens! São o vosso tesouro e é preciso cuidar deles, alimentando os seus sonhos, acompanhando o seu caminho, aumentando a sua esperança. Com efeito, apesar de jovens, a sua paciência já se viu colocada duramente à prova pelos conflitos destes anos. Lembremo-nos de que eles, juntamente com os idosos, são a ponta de diamante do país, os frutos mais saborosos da árvore: cabe-nos a nós cultivá-los no bem e irrigá-los de esperança.

Irmãos e irmãs, através do Batismo e da Confirmação, através da Ordenação ou da Profissão Religiosa, fostes consagrados ao Senhor e enviados para ser discípulos missionários nesta terra tão estreitamente ligada à história da salvação. Sede parte desta história, testemunhando fielmente as promessas de Deus, que nunca falham, e procurando construir um futuro novo. Que o vosso testemunho, amadurecido nas adversidades e fortalecido pelo sangue dos mártires, seja uma luz que resplandece dentro e fora do Iraque, para anunciar a grandeza do Senhor e fazer exultar o espírito deste povo em Deus nosso Salvador (cf. Lc 1, 46-47).

De novo dou graças por nos termos podido encontrar. Nossa Senhora da Salvação e o apóstolo São Tomé intercedam por vós e vos protejam sempre. De coração abençoo a cada um de vós e vossas comunidades. E peço-vos, por favor, que rezeis por mim. Obrigado!

[00272-PO.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Wasze Świątobliwości, Ekscelencje,
Drodzy kapłani i zakonnicy,
Drogie Siostry,
Drodzy bracia i siostry!

Obejmuję was wszystkich z ojcowską miłością. Dziękuję Panu, który w swojej opatrzności pozwolił nam dzisiaj się spotkać. Dziękuję patriarsze Jego Świątobliwości Ignacemu Józefowi Younanowi i Jego Świątobliwości kardynałowi Louisowi Sako za ich słowa powitania. Zgromadziliśmy się w tej katedrze Matki Bożej Zbawienia, uświęconej krwią naszych braci i sióstr, którzy zapłacili tutaj najwyższą cenę za swoją wierność Panu i Jego Kościołowi. Niech pamięć o ich ofierze inspiruje nas do odnawiania naszej ufności w moc krzyża i jego zbawcze orędzie przebaczenia, pojednania i odrodzenia. Chrześcijanin bowiem jest powołany do świadczenia o miłości Chrystusa wszędzie i w każdym czasie. Taka jest Ewangelia, którą trzeba głosić i  wcielać w tym umiłowanym kraju.

Jako biskupi i kapłani, zakonnicy i zakonnice, katecheci i odpowiedzialni świeccy, wszyscy uczestniczycie w radościach i cierpieniach, nadziejach i lękach wiernych Chrystusa. Potrzeby ludu Bożego i trudne wyzwania duszpasterskie, którym codziennie stawiacie czoło, nasiliły się jeszcze w okresie pandemii. Jednak tym, co nigdy nie może być zatrzymane czy uszczuplone, jest nasza gorliwość apostolska, którą wy czerpiecie ze starożytnych korzeni, z nieprzerwanej obecności Kościoła na tych ziemiach od pierwszych wieków (por. Benedykt XVI, Adhort. apost. Ecclesia in Medio Oriente, 5). Wiemy, jak łatwo jest zarazić się wirusem zniechęcenia, który czasami wydaje się rozprzestrzeniać wokół nas. Pan dał nam jednak skuteczną szczepionkę przeciwko temu paskudnemu wirusowi: jest nią nadzieja. Nadzieja płynąca z wytrwałej modlitwy i codziennej wierności naszemu apostolstwu. Wyposażeni w tę szczepionkę możemy iść naprzód z wciąż nową energią, aby dzielić się radością Ewangelii, jako uczniowie misjonarze i żywe znaki obecności królestwa Bożego, królestwa świętości, sprawiedliwości i pokoju.

Jakże bardzo świat wokół nas potrzebuje usłyszeć to orędzie! Nigdy nie zapominajmy, że Chrystus jest głoszony przede wszystkim przez świadectwo życia przemienionego radością Ewangelii. Jak widzimy na podstawie starożytnej historii Kościoła na tych ziemiach, żywa wiara w Jezusa jest „zaraźliwa”, może zmienić świat. Przykład świętych pokazuje nam, że naśladowanie Jezusa Chrystusa jest „nie tylko rzeczą prawdziwą i sprawiedliwą, ale także piękną, zdolną napełnić życie nowym blaskiem i głęboką radością, nawet pośród trudnych doświadczeń” (Adhort. apost. Evangelii gaudium, 167).

 Trudności należą do codziennych doświadczeń wiernych w Iraku. W ostatnich dziesięcioleciach wy i wasi współobywatele musieliście stawić czoło skutkom wojny i prześladowań, słabościom podstawowej infrastruktury i nieustannej walce o bezpieczeństwo ekonomiczne i osobiste, co często prowadziło do wewnętrznych przesiedleń i emigracji wielu osób, również chrześcijan, do innych części świata. Dziękuję wam, bracia biskupi i kapłani, za to, że pozostajecie blisko waszego ludu – blisko waszego ludu! – że wspieracie go, starając się zaspokajać jego potrzeby i pomagacie każdemu, by spełniał swoją rolę w służbie dobra wspólnego. Apostolat edukacyjny i charytatywny waszych Kościołów partykularnych jest cennym bogactwem dla życia zarówno wspólnoty kościelnej, jak i całego społeczeństwa. Zachęcam was do wytrwałości w tej pracy, aby wspólnota katolicka w Iraku, choć mała jak ziarnko gorczycy (por. Mt 13, 31-32), nadal ubogacała drogę całego kraju.

Miłość Chrystusa wzywa nas do odrzucenia wszelkiego rodzaju egocentryzmu i rywalizacji; przynagla nas do powszechnej komunii i wzywa nas do tworzenia wspólnoty braci i sióstr, którzy się przyjmują i troszczą o siebie nawzajem (por. Enc. Fratelii tutti, 95-96). Przychodzi mi na myśl popularne porównanie do gobelinu. Różne Kościoły obecne w Iraku, każdy ze swoim wielowiekowym dziedzictwem historycznym, liturgicznym i duchowym, są jak wiele pojedynczych, kolorowych nici, które – splecione razem – tworzą jeden piękny gobelin, nie tylko mówiący o naszym braterstwie, ale także wskazujący jego źródło. Bowiem sam Bóg jest artystą, który wymyślił ten gobelin i utkał go z cierpliwością i z troską go naprawia, pragnąc, abyśmy zawsze byli dobrze ze sobą spleceni jako Jego synowie i córki. Niech zawsze w naszych sercach rozbrzmiewa zachęta św. Ignacego z Antiochii: „Niechaj nie będzie w was niczego, co mogłoby was dzielić [...]: jedna modlitwa, jedna prośba, jeden duch, jedna nadzieja w miłości, w radości nienagannej” (Do Magnezjan, 6-7: PL 5, 667). Jakże ważne jest to świadectwo braterskiej jedności w świecie często rozdrobnionym i rozdartym przez podziały! Wszelki wysiłek podjęty w celu budowania mostów między wspólnotami i instytucjami kościelnymi, parafialnymi i diecezjalnymi stanie się proroczym gestem Kościoła w Iraku i owocną odpowiedzią na modlitwę Jezusa, aby wszyscy stanowili jedno (por. J 17, 21; Ecclesia in Medio Oriente, 37).

Pasterze i wierni, kapłani, zakonnicy i katecheci są współodpowiedzialni, choć w różny sposób, za wypełnianie misji Kościoła. Niekiedy mogą pojawić się nieporozumienia i możemy doświadczać napięć: to węzły, które przeszkadzają w tkaniu braterstwa. Są to węzły, które nosimy w nas; przecież grzesznikami. Ale te węzły mogą być rozwiązane przez Łaskę, przez większą miłość; mogą być poluzowane przez przebaczenie i braterski dialog, cierpliwie dźwigając brzemiona jedni drugich (por. Ga 6, 2) i umacniając się wzajemnie w chwilach prób i trudności.

Teraz chciałbym skierować specjalne słowo do moich braci biskupów. Lubię myśleć o naszej posłudze biskupiej w kategoriach bliskości: naszej potrzeby bycia z Bogiem w modlitwie, obok wiernych powierzonych naszej opiece i naszych kapłanów. Bądźcie szczególnie blisko swoich kapłanów. Niech nie widzą w was tylko administratorów czy szefów, ale prawdziwych ojców, zatroskanych o to, by dzieci miały się dobrze, gotowych, by z otwartym sercem dawać im wsparcie i umocnienie. Towarzyszcie im waszą modlitwą, waszym czasem, waszą cierpliwością, doceniając ich pracę i kierując ich rozwojem. W ten sposób będziecie dla waszych kapłanów widzialnym znakiem Jezusa, Dobrego Pasterza, który zna swoje owce i oddaje za nie swe życie (por. J 10, 14-15).

Drodzy kapłani, zakonnicy i zakonnice, katecheci, seminarzyści, którzy przygotowujecie się do przyszłej posługi: wszyscy usłyszeliście głos Pana w waszych sercach i jak młody Samuel odpowiedzieliście: „Oto jestem” (1 Sm 3, 4). Niech ta odpowiedź, do której codziennego ponawiania was zachęcam, prowadzi każdego z was do dzielenia się Dobrą Nowiną z entuzjazmem i odwagą, zawsze żyjąc i poruszając się w świetle Słowa Bożego, którego głoszenie jest naszym darem i zadaniem. Wiemy, że nasza posługa obejmuje również część administracyjną, ale nie znaczy to, że musimy spędzać cały nasz czas na spotkaniach lub za biurkiem. Ważne jest wejście pomiędzy naszą owczarnię i ofiarowanie naszej obecności oraz towarzyszenie wiernym w miastach i wsiach. Myślę o tych, którym grozi ryzyko pozostawania w tyle: o młodych, starszych, chorych i ubogich. Kiedy służymy bliźniemu z poświęceniem, tak jak wy to czynicie, w duchu współczucia, pokory, życzliwości, z miłością, to naprawdę służymy Jezusowi, jak to sam nam powiedział (por. Mt 25, 40). A służąc Jezusowi w innych, odkrywamy prawdziwą radość. Nie oddalajcie się od świętego ludu Bożego, w którym narodziliście się. Nie zapominajcie o waszych matkach i babkach, które „wykarmiły” was w wierze, jak powiedziałby święty Paweł (por. 2 Tm 1, 5). Bądźcie pasterzami, sługami ludu, a nie urzędnikami państwowymi, duchownymi państwa. Zawsze bądźcie częścią ludu Bożego, nigdy nie oderwani, jakbyście mieli być klasą uprzywilejowaną. Nie wypierajcie się tego szlachetnego „pokolenia”, którym jest święty lud Boży.

 Chciałbym powrócić teraz do naszych braci i sióstr, którzy zginęli w zamachu terrorystycznym w tej katedrze dziesięć lat temu i których proces beatyfikacyjny jest w toku. Ich śmierć przypomina nam dobitnie, że podżegania do wojny, postaw nienawiści, przemocy i rozlewu krwi nie da się pogodzić z nauczaniem religii (por. Enc. Fratelli tutti, 285). I chcę upamiętnić wszystkie ofiary przemocy i prześladowań, należących do każdej wspólnoty religijnej. Jutro w Ur spotkam się z przywódcami tradycji religijnych obecnych w tym kraju, aby raz jeszcze głosić nasze przekonanie, że religia musi służyć sprawie pokoju i jedności pomiędzy wszystkimi dziećmi Boga. Tego wieczoru pragnę wam podziękować za wasze dążenie, aby być budowniczymi pokoju, w waszych wspólnotach i z wierzącymi innych tradycji religijnych, siejąc ziarna pojednania i braterskiego współistnienia, które mogą doprowadzić do odrodzenia nadziei dla wszystkich.

Myślę szczególnie o młodych. Wszędzie, a zwłaszcza w tym kraju, są oni nosicielami obietnicy i nadziei. Tu bowiem jest nie tylko nieocenione dziedzictwo archeologiczne, ale nieocenione bogactwo na przyszłość: to ludzie młodzi! Są waszym skarbem i trzeba o nich dbać, podsycając ich marzenia, towarzysząc w ich wędrówce, budząc ich nadzieję. Chociaż są młodzi, w rzeczywistości ich cierpliwość została już poważnie wystawiona na próbę przez konflikty ostatnich lat. Ale pamiętajmy, że oni – razem ze starszymi – są diamentem tego kraju, najsmaczniejszymi owocami drzewa: do nas, do nas należy troska o ich wzrastanie w dobru i nawadnianie ich nadzieją.

Bracia i siostry, przez chrzest i bierzmowanie, przez święcenia lub profesję zakonną zostaliście poświęceni Panu i posłani, aby być uczniami misjonarzami na tej ziemi, tak ściśle związanej z historią zbawienia. Jesteście częścią tej historii, wiernie świadcząc o Bożych obietnicach, które nigdy nie ustają, i starając się budować nową przyszłość.

Niech wasze świadectwo, dojrzewające w przeciwnościach i umocnione krwią męczenników, będzie światłem, które świeci w Iraku i poza jego granicami, głosząc wielkość Pana i sprawiając, że duch tego ludu będzie się radował w Bogu, naszym Zbawicielu (por. Łk 1, 46-47).

Jeszcze raz dziękuję, że mogliśmy się spotkać. Niech Matka Boża Zbawienia i św. Tomasz Apostoł wstawiają się za wami i niech was zawsze. Serdecznie błogosławię każdego z was i wasze wspólnoty. I proszę was, abyście się za mnie modlili. Dziękuję!

[00272-PL.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

الزيارة الرسوليّة إلى العراق

خطاب قداسة البابا فرنسيس

في اللقاء مع الأساقفة والكهنة والرهبان والراهبات والإكليريكيّين ومعلّمي التعليم المسيحيّ

في كاتدرائية سيّدة النجاة للسريان الكاثوليك - بغداد

يوم الجمعة 5 آذار/مارس 2021

أصحابَ الغِبطَة،

أصحابَ السِيادَة الأساقِفَة،

الكَهَنَةُ والرُهبانُ الأعِزاء،

الراهِباتُ العزيزات،

الإخوَةُ والأخَواتُ الأعِزاء،

أُعانِقُكُم جَميعًا بِمَوَدَّةٍ أبَوِيَّة. أشْكُرُ اللهَ الذي سَمَحَ لنا بِعِنايَتِهِ الإلَهِيَّة أنْ نَلْتَقِيَ اليوم. وأَشْكُرُ غِبْطَةَ البَطْرِيَرْك مار اغناطيوس يوسف الثالث يونان وَغِبْطَةَ البَطْرِيَرْك الكاردينال مار لويس روفائيل ساكو على كَلِماتِهِم التَرحِيبيَّة. نَجْتَمِعُ اليومَ في كاتدرائِيَّةِ سَيِّدَةِ النَجاة هذِه، وَنَتَبَارَكُ فيها بِدِماءِ إخوَتِنا وأَخَواتِنا الذينَ دَفَعُوا هُنا ثَمَنَ أَمانَتِهِم للرَّبِّ وَلِكَنِيسَتِه، ثَمَنًا غاليًا. أَرْجُو أنْ تُلْهِمَنا ذِكْرَى تَضْحِيَتِهِم بأنْ نُجَدِّدَ ثِقَتَنا بِقُوَّةِ الصَّليبِ وَرِسالَتِهِ الخَلاصِيَّة للمَغْفِرَةِ والمُصالحَةِ والولِادَةِ الجَديدة. فَفي الواقِع، المَسيحيُّ مَدْعُوٌ لِلْشَهادَةِ لِمَحَبَّةِ المَسيح في كلِّ مكانٍ وَزَمان. هذا هو الإنجِيلُ الذي يَجِبُ إعْلانُهُ وَتَجْسيدُهُ في هذا البَلَدِ الحَبيبِ أيضًا.

وأنتُم، بِصِفَتِكُم أساقِفَةً وَكَهَنَةً، وَرُهبانًا وَراهِباتٍ، وَمُعَلِّمي التَعليمِ المَسِيحيّ، وَمَسْؤُولين عِلمانيِّين، إنَّكُم جَميعًا تُشارِكونَ في أفراحِ المُؤْمِنينَ وآلامِهِم وآمالِهِم وهُمُومِهِم. لَقَدْ ازْدادَت احتِياجاتُ شَعْبِ اللهِ والتَحَدِّياتُ الرَعَوِيَّة الشاقَّة التي تُواجِهُونَها يَوْمِيًا في زَمَنِ الجائِحَةِ هذا. وَمَعَ ذَلِك، فإنَّ الغَيْرَةَ الرَسُولِيَّة يَجِبُ ألَّا تَتَوَقَّفَ ولا تَنْقُصَ أبَدًا، والتي تَسْتَمِدُونَها مِن جُذورٍ قَدِيمَةٍ جِدًا، مِنَ الحُضُورِ المُسْتَمِرِ لِلْكَنيسَةِ في هذهِ الأراضي مُنْذُ الأزمِنَةِ الأوْلَى (را. بندكتس السادس عشر، الإرشادُ الرَّسوليُّ ما بعدَ السّينودُس، الكنيسةُ في الشَّرقِ الأوسط، 5). نَحْنُ نَعْلَمُ كَمْ هو سَهْلٌ أنْ نُصابَ بِفيرُوسِ الإحْباطِ الذي يَبْدُو أحْيانًا أنَّهُ يَنْتَشِرُ مِن حَوْلِنا. مَعَ ذَلِك، لَقَدْ مَنَحَنا اللهُ لُقاحًا فَعَّالًا ضِدَّ هذا الفِيروس الخَبيث: وَهو الرَجاءُ. الرَجاءُ الذي يَنْبُعُ مِنَ المُثابَرَةِ علَى الصَّلاةِ والأمانَةِ اليَوْمِيَّة لِرِسالَتِنا. بِهذا اللُقاح، يُمْكِنُنا المُضِيُّ قُدُمًا بِقُوَّةٍ مُتَجَدِّدَةٍ دائِمًا، لِكَي نُشارِكَ فَرَحَ الإنجِيل، كَتلامِيذَ مُرْسَلِينَ وَعلاماتٍ حَيَّةٍ لِحُضورِ مَلَكُوتِ الله، مَلَكُوتِ قَداسَةٍ وَعَدْلٍ وَسَلام.

وَكَمْ يَحْتاجُ العَالَمُ مِن حَوْلِنا إلى سَماعِ هذهِ الرِسالَة! ولا تَنْسَوْا أبَدًا أنَّ البِشارةَ بالمَسِيحِ تَتِمُّ قَبْلَ كُلِّ شَيءٍ مِن خِلالِ شَهادَةِ حَياةٍ غيَّرَها فَرَحُ الإنجيل. كما نَرَى مِن تاريخِ الكَنيسَةِ القَديمِ في هذهِ الأراضي، الإيمانُ الحَيُّ بالرَّبِّ يسوع "يُعْدِي"، وَيَسْتَطيعُ أنْ يُغَيِّرَ العالَم. وُيُبَيِّنُ لَنا مِثالُ القِدِّيسين أنَّ اتّباعَ يسوعَ المسيح "ليسَ فقط أمْرًا حَقًّا وَعَدْلًا، بَلْ هو أيضًا شيءٌ جَميل، وَقادِرٌ أنْ يَمْلأَ الحَياةَ بِبَهاءٍ جَديدٍ وَفَرَحٍ عَميق، حتَى في وَسَطِ الشَدائِد" (را. الإرشاد الرسولي فرح الإنجيلEvangelii gaudium ، 167).

إنَّ الصِّعابَ جُزْءٌ مِن حَياتِكُم اليَوْمِيَّة، أنتُمُ المُؤْمِنينَ العِراقيِّين. فَقَدْ كانَ عَلَيْكُم وَعَلَى مُواطِنِيكُم، في العُقُودِ الأخِيرَة، أنْ تُواجِهُوا عَواقِبَ الحَرْبِ والاضْطِهاد، وَهَشاشَةَ البِنَى التَحْتِيَّةِ الأساسِيَّة، وأنْ تُناضِلُوا باسْتِمرار، مِن أجلِ الأمْنِ الاقتِصاديِّ والشَخْصيّ، والذي غالِبًا ما أدَّى إلى نُزُوحٍ داخِلِيّ وِهِجْرَةِ الكَثيرين، بِما في ذَلِكَ بَيْنَ المَسِيحِيِّين، إلى بُلْدانٍ أُخرَى في العالَم. إنِّي أَشْكُرُكُم، أيُّها الإخوَةُ الأساقِفَةُ والكَهَنَة، علَى بَقائِكُم قَريبينَ مِن شَعْبِكُم -قَريبينَ مِن شَعْبِكُم-، وَعَلَى دَعْمِكُم لَهُ، وَسَعْيِكُم لِتَلْبِيَةِ احتِياجاتِ الشَعْبِ وَمُساعَدَةِ كُلِّ واحِدٍ على القِيامِ بِدَوْرِهِ في خِدْمَةِ الخَيْرِ العام. إنَّ الرِسالَةَ التَرْبَوِيَّة وَرِسالَةَ المَحَبَّة في كَنائِسِكُم الخاصَّة تُمَثِّلُ مَوْرِدًا ثَمينًا لِحياةِ الجَماعَةِ الكَنَسِيَّة والمُجْتَمَعِ بأسْرِه. إنِّي أُشَجِّعُكُم علَى المُثابَرَةِ في هذا الاجتِهاد، مِن أجلِ أنْ تَتَمَكَّنَ الجَماعَةُ الكاثُولِيكِيَّة في العِراق، وإنْ كانَتْ صَغيرةً مِثْلَ حَبَّةِ الخَرْدَل (را. متى 13، 31- 32)، مِنَ الاستِمرارِ في إثراءِ مَسيرَةِ البَلَدِ بِأَكْمَلِه.

إنَّ مَحَبَّةَ المَسيحِ تَطْلُبُ مِنّا أنْ نَضَعَ جانِبًا كُلَّ نَوْعٍ مِنَ الأنانيَّةِ وَكُلَّ مُنافَسَة، وَتَحُثُّنا علَى أنْ نَكونَ في شَرِكَةٍ شامِلَةٍ مَعَ الجَميع، وَتَدْعُونا إلى أنْ نُكَوِّنَ جَماعَةً الكُلُّ فيها إِخوَةٌ وأخَواتٌ يُرَحِبُونَ بَعْضُهُم بِبَعْضٍ وَيَهْتَمُّونَ بَعْضُهُم لِبَعْض (را. الرسالة العامّة Fratelli tutti، 95 - 96). أُفَكِّرُ في صُورَةِ البِساطِ المَألوفَة: مُخْتَلَفُ الكَنائِسِ المَوْجُودَةِ في العِراق، وَلِكُلِّ مِنْها تُراثُها التاريخيّ والليتورجيّ والرُوحيّ العَريق، هيَ مِثْلُ الخُيوطِ الكَثيرة المُنْفَرِدَة المُلَوَنَة التي، عِنْدَ تَشَابُكِها، تُصْبِحُ بِساطًا واحِدًا جَميلًا، لا يَشْهَدُ فَقَط على أُخُوَّتِنا، بَلْ يُذَكِّرُنا أيضًا بِمَصْدَرِها. ولأنَّ اللهَ نَفْسَهُ هو الفَنانُ الذي صَمَّمَ هذا البِساط، والذي نَسَجَهُ بِصَبْرٍ وَرَثاهُ بِعنايَّة، يُريدُنا دائِمًا أنْ نكونَ مُتَرابِطينَ جَيِّدًا فيما بَيْنَنا، فَكُلُّنا أبْناؤُهُ وَبَناتُه. عَسَى أنْ تَبْقَى نَصيحَةُ القِدِّيسِ أغناطيوس الأنطاكي في قُلُوبِنا علَى الدَوام: "لا يَكُونَنَّ بَيْنَكُم ما يُفَرِّقُكُم، [...] بَلْ صَلاةٌ واحِدَة، وَرُوحٌ واحِد، وَرَجاءٌ واحِد، بالمَحَبَّةِ والفَرَح" (رسالة إلى المغنيسيين Ad Magnesios، 6-7: الآباء اللاتين 5، 667). كَمْ هيَ مُهِمَّةٌ شَهادَةُ الوَحْدَةِ الأَخَوِيَّةِ هذِه، في عالَمٍ غالِبًا ما تُمَّزِقُهُ الانقِسامات! إنَّ كُلَّ جُهْدٍ يُبْذَلُ لبِناءِ الجُسُورِ بَيْنَ الجَماعاتِ والمُؤَسَّساتِ الكَنَسِيَّة والرَعَوِيَّة والأبْرَشِيَّة سَيَكُونُ بادِرَةً نَبَوِيَّةً في كَنيسَةِ العِراق واستِجابَةً مُثْمِرَةً لِصَلاةِ يسوع بأنْ يَكُونُوا جَمِيعُهُم واحِدًا (را. يو 17، 21؛ الكنيسةُ في الشَّرقِ الأوسط، 37).

تَقَعُ مَسْؤُولِيَةُ حَمْلِ رِسالَةِ الكَنيسَةِ على عاتِقِ الجَميع، رُعاةً وَمُؤْمِنينَ وَكَهَنَةً وَرُهبانًا وَراهِبات، وَمُعَلِّمِي التَعلِيمِ المَسِيحيّ، وَلَوْ بِطُرُقٍ مُخْتَلِفَة. قَدْ يَنْشَأُ أحْيانًا بَيْنَنا سُوءُ تَفاهُمٍ وَيُمْكِنُ أنْ نَتَعَرَّضَ لِبَعْضِ التَوَتُّرات: إنَّها عُقَدٌ تُعِيقُ نَسْجَ الأُخُوَّة. هيَ عُقَدٌ نَحْمِلُها في داخِلِنا، فَنَحْنُ جَميعًا خَطأة، مَعَ ذَلِك، يُمْكِنُ فَكُّ هذهِ العُقَدِ بالنِعْمَةِ، وَبِمَحَبَّةٍ أكبَر، ويُمْكِنُ أنْ نَرْخِيَها بالمَغْفِرَةِ والحِوارِ الأخَويّ، وَتَحَمُّلِ أعباءِ بَعْضِنا البَعْضَ بِصَبْرٍ (را. غل 6، 2) وَبِتَقْوِيَةِ بَعْضِنا البَعْض، في أوْقاتِ المِحَنِ والصُّعُوبات.

الآن، أَوَدُّ أنْ أَقُولَ كَلِمَةً خاصّة لإخوَتي الأساقِفَة. يَرُوقُ لي التَفْكيرُ في خِدْمَتِنا الأُسْقُفِيَّة بِمَفْهومِ القُرْب: قَريبُونَ مِن الله، فَنَحْنُ نَحْتاجُ أنْ نَبْقَى مَعَ اللهِ في الصَّلاة، وَقَريبونَ كَذَلِكَ مِنَ المُؤْمِنينَ المُوْكَلينَ إلى رِعايَتِنا، وَمِن كَهَنَتِنا. كُونوا قَريِبين بِشَكْلٍ خاصّ مِن كَهَنَتِكُم، حتَى لا يَرَوْا فِيكُم إداريِّين أو "مُديري أعمال"، بَلْ أباءً، يَهْتَمُّونَ لأنْ يَكُونَ أَبناؤُهُم في حالَةٍ جَيِّدَة، وَهُم على اسْتِعْدادٍ لِدَعْمِهِم وَتَشْجِيعِهِم بَقَلْبٍ مُنْفَتِح. رافِقُوهُم في صَلاتِكُم وَوَقْتِكُم وَصَبْرِكُم وَقَدِّرُوا عَمَلَهُم وَوَجِّهُوا نُمُوَّهُم. وَسَوْفَ تَكُونونَ لِكَهَنَتِكُم بِهذهِ الطَريقةِ عَلامَةً مَرْئِيَّةً لِيَسُوع، الراعي الصَّالِحِ الذي يَعْرِفُ خِرافَهُ وَيَبْذِلُ حَياتَهُ في سَبيلِها (را. يو 10، 14- 15).

أعِزّائي الكَهَنَة، والرُهبانَ والراهِبات، وَمُعَلِّمِي التَعْليمِ المَسيحيّ والإكليريكيِّين الذين تَسْتَعِدُّونَ لِلخِدْمَةِ في المُسْتَقْبَل: لَقَدْ سَمِعْتُم جَميعًا صَوْتَ الرَّبِّ في قُلوبِكُم وأَجَبْتُم مِثْلَ صَمُوئيل الشابّ: "هاءَنَذا" (1 صم 3، 4). أَدْعُوكُم إلى تَجْدِيدِ هذهِ الإجابَةِ كُلَّ يَوْم، وأَتَمَنَّى أنْ تَقُودَ كُلَّ واحِدٍ مِنْكُم لأنْ يَحْمِلَ البُشْرَى السارَّة بِحَماسٍ وَشَجاعَة، وأنْ تَعيشُوا وَتَسيرُوا دائِمًا في نُورِ كَلِمَةِ الله، والتَبْشيرُ بِها نِعْمَةٌ لَنا وَواجِبٌ عَلَيْنا. نَعْلَمُ أنَّ خِدْمَتَنا تَتَضَمَّنُ أيضًا جانِبًا إدارِيًّا، لَكِنْ هذا لا يَعْني أنَّهُ عَلَيْنا أنْ نَقْضِيَ كُلَّ وَقْتِنا في اجتِماعاتٍ أو خَلْفَ المَكْتَب. مِنَ المُهِمِّ أنْ نَخْرُجَ لِنَكُونَ في وَسَطِ قَطيعِنا وَنُقَدِّمَ حُضُورَنا وَمُرافَقَتَنا لِلمُؤْمِنينَ في المُدُنِ والقُرَى. أُفَكِّرُ في الذينَ قَدْ نُهْمِلُهُم: في الشَبابِ وَكِبارِ السِنِّ والمَرْضَى والفُقَراءِ. عِندما نَخْدُمُ قَريبَنا بِتَفانٍ، كَما تَفْعَلونَ أَنْتُم، وَبِروحِ الشَفَقَةِ والتَواضُعِ واللُطفِ والَمَحَبَّة، فإنَّنا نَخْدُمُ يسوعَ حَقًا، كَما قالَ لَنا هوَ نَفْسُه (را. متى 25، 40). وَمِن خِلالِ خِدْمَةِ يَسوعَ في الآخَرين، نَكْتَشِفُ الفَرَحَ الحقيقيّ. لا تَبْتَعِدوا عَن شَعْبِ اللهِ المُقَدَّسِ الذي وُلِدْتُم فِيه. لا تَنْسَوْا أُمَّهاتِكُم وَجَدّاتِكُم، اللواتي "أَرْضَعْنَكُم" حَليبَ الإيمان، كَما يَقولُ القدِّيسُ بولس (را. 2 طيم 1، 5). كُونوا رُعاةً وخُدّامًا للشَعْبِ لا مُوَظَّفِي دَوْلَة. كُونُوا دائِمًا مَعَ شَعْبِ الله، لا تَنْفَصِلُوا عَنْهُ أبَدًا كَما لَوْ كُنْتُم طَبَقَةً مُمَيَّزَة. لا تُنْكِرُوا "الأُمَّةَ" النَبيلَة التي هي شَعْبُ اللهِ المُقَدَّس.

أَوَدُّ أنْ أَعُودَ الآن إلى إخوَتِنا وأخَواتِنا الذينَ لَقُوا حَتْفَهُم في الهُجُومِ الإرْهابي علَى هذهِ الكاتِدرائِيَّةِ قَبْلَ عَشْرِ سَنَوات، والذينَ ما زالَتْ دَعْوَى تَطْويبِهِم مَفتُوحَة. يُذَكِّرُنا مَوْتُهُم جَيِّدًا أنَّ التَحْريضَ علَى الحَرْبِ وَمَواقِفَ الكَراهِيَةِ والعُنْفِ وإراقَةِ الدِماء لا تَتَّفِقُ مَعَ التَعاليمِ الدِينيَّة (را. Fratelli tutti، 285). وَأُريدُ أنْ أَذْكُرَ كُلَّ ضَحايا العُنْفِ والاضطِهادِ المُنْتَمينَ إلى مُخْتَلَفِ الجَماعاتِ الدِينِيَّة. سَوْفَ أَلتَقي غَدًا في أور بِقادَةِ التَقاليدِ الدِينيَّةِ المَوجُودينَ في هذا البَلَد، لِكَي نُعْلِنَ مَرَّةً جَدِيدَةً إيمانَنا بأنَّهُ علَى الدِينِ أنْ يَخْدُمَ قَضِيَّةَ السَّلامِ والوَحْدَةِ بَيْنَ جَميعِ أبناءِ الله. وأُريدُ في هذا المَساء أنْ أَشْكُرَكُم علَى اجتِهادِكُم لأنْ تَكُونوا صانِعِي سَلام، داخِلَ جَماعاتِكُم وَمَعَ مُؤْمِني التَقاليدِ الدينيَّةِ الأخرى، وأنْ تَزْرَعُوا بُذُورَ المُصَالَحَةِ والعَيْشِ الأَخَويِّ مَعًا، التي تَسْتَطيعُ أنْ تَقُودَ إلى وِلادَةِ رَجاءٍ جَديدٍ لِلْجَميع.

أُفَكِرُ بِشَكْلٍ خاص في الشَّباب: حَيْثُما كانوا، هُم حامِلُو وَعْدٍ وَرَجاء، وَبِخاصَةٍ في هذا البَلَد. في الواقِع، لا يُوجَدُ هُنا تُراثٌ أثَريٌ لا يُقَدَّرُ بِثَمَنٍ فَحَسْب، بَلْ كَذَلِكَ ثَرْوَةٌ كَبيرَةٌ لِلْمُسْتَقْبَل: إنَّهُم الشَّباب! هُم كَنْزُكُم وَيَنْبَغي الاعتِناءُ بِهِم، وَتَغْذِيَةُ أحلامِهِم، وَمُرافَقَةُ مَسيرَتِهِم، وَتَنْمِيَةُ رَجائِهِم. وَعَلَى الرَّغْمِ مِن صِغَرِ سِنِّهِم، فَقَدْ تَعَرَّضَ صَبْرُهُم بالفِعْلِ لامْتِحانٍ قاسٍ بِسَبَبِ صِراعاتِ هَذهِ السّنوات. ولْنَتَذَكَّرْ في الوقتِ عَيْنِه، أنَّهُم - مَعَ كِبارِ السِّن - جَوْهَرَةُ هذا البَلَد، وأَلَذُ ثِمارِ أشْجارِه: عَلَيْنا، على عاتِقِنا، تَقَعُ مَسْؤُولِيَّةُ زِراعَةِ الخَيْرِ فيهِم وإرواءِ رَجائِهِم.

أيُّها الإخوَةُ والأخَوات، بالمَعْمُودِيّةِ والتَثْبيت، وبالسِيامَةِ الكَهْنُوتِيَة أو النُذُورِ الرَهْبانِيَّة، كَرَّسْتُم أَنْفُسَكُم للهِ وأُرْسِلْتُم لتَكُونُوا تَلاميذَ تَحْمِلونَ الرِسالَةَ في هذهِ الأرضِ المُرْتَبِطَةِ ارتِباطًا وَثيقًا بِتاريخِ الخَلاص. أَنْتُم جُزْءٌ مِن هذا التاريخ، تَشْهَدُونَ بِأمانَةٍ لِوُعودِ اللهِ التي لا تُنْقَضُ أبَدًا، وَتَسْعَوْنَ لِبِناءِ مُسْتَقْبَلٍ جَديد. لِتَكُن شَهَادَتُكُم، التي أنْضَجَتْها الشَدائِدُ، وَقَوَّتْها دِماءُ الشُهَداء، نُورًا يَشِعُّ في العِراقِ وَخارِجِه، لِكَي نُشيدَ بِعَظَمَةِ الله، وَيَبْتَهِجَ رُوحُ هذا الشَعَبِ باللهِ مُخَلِّصِنا (را. لو 1، 46- 47).

أَشْكُرُ اللهَ مُجَدَّدًا لأنَّنا تَمَكَّنَّا مِن أنْ نَلْتَقيَ. لِتَشْفَعْ بِكُم سَيِّدَةُ النَجاة والقِدِّيسُ توما الرسول، وَلْيَحْمِياكُم دَوْمًا. أُبارِكُ مِن كُلِّ قَلْبِي كُلَّ واحِدٍ مِنْكُم وأُبارِكُ جَماعاتِكُم. وأَطْلُبُ مِنْكُم أنْ تُصَلُّوا مِن أجلي. شُكْرًا!

[00272-AR.02] [Testo originale: Italiano]

[B0132-XX.02]