Messaggio del Santo Padre
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Pubblichiamo di seguito il testo del Messaggio del Santo Padre Francesco per la Quaresima 2021 sul tema: “Ecco, noi saliamo a Gerusalemme…” (Mt 20,18). Quaresima: tempo per rinnovare fede, speranza e carità:
Messaggio del Santo Padre
“Ecco, noi saliamo a Gerusalemme…” (Mt 20,18).
Quaresima: tempo per rinnovare fede, speranza e carità.
Cari fratelli e sorelle,
annunciando ai suoi discepoli la sua passione, morte e risurrezione, a compimento della volontà del Padre, Gesù svela loro il senso profondo della sua missione e li chiama ad associarsi ad essa, per la salvezza del mondo.
Nel percorrere il cammino quaresimale, che ci conduce verso le celebrazioni pasquali, ricordiamo Colui che «umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce» (Fil 2,8). In questo tempo di conversione rinnoviamo la nostra fede, attingiamo l’“acqua viva” della speranza e riceviamo a cuore aperto l’amore di Dio che ci trasforma in fratelli e sorelle in Cristo. Nella notte di Pasqua rinnoveremo le promesse del nostro Battesimo, per rinascere uomini e donne nuovi, grazie all’opera dello Spirito Santo. Ma già l’itinerario della Quaresima, come l’intero cammino cristiano, sta tutto sotto la luce della Risurrezione, che anima i sentimenti, gli atteggiamenti e le scelte di chi vuole seguire Cristo.
Il digiuno, la preghiera e l’elemosina, come vengono presentati da Gesù nella sua predicazione (cfr Mt 6,1-18), sono le condizioni e l’espressione della nostra conversione. La via della povertà e della privazione (il digiuno), lo sguardo e i gesti d’amore per l’uomo ferito (l’elemosina) e il dialogo filiale con il Padre (la preghiera) ci permettono di incarnare una fede sincera, una speranza viva e una carità operosa.
1. La fede ci chiama ad accogliere la Verità e a diventarne testimoni, davanti a Dio e davanti a tutti i nostri fratelli e sorelle.
In questo tempo di Quaresima, accogliere e vivere la Verità manifestatasi in Cristo significa prima di tutto lasciarci raggiungere dalla Parola di Dio, che ci viene trasmessa, di generazione in generazione, dalla Chiesa. Questa Verità non è una costruzione dell’intelletto, riservata a poche menti elette, superiori o distinte, ma è un messaggio che riceviamo e possiamo comprendere grazie all’intelligenza del cuore, aperto alla grandezza di Dio che ci ama prima che noi stessi ne prendiamo coscienza. Questa Verità è Cristo stesso, che assumendo fino in fondo la nostra umanità si è fatto Via – esigente ma aperta a tutti – che conduce alla pienezza della Vita.
Il digiuno vissuto come esperienza di privazione porta quanti lo vivono in semplicità di cuore a riscoprire il dono di Dio e a comprendere la nostra realtà di creature a sua immagine e somiglianza, che in Lui trovano compimento. Facendo esperienza di una povertà accettata, chi digiuna si fa povero con i poveri e “accumula” la ricchezza dell’amore ricevuto e condiviso. Così inteso e praticato, il digiuno aiuta ad amare Dio e il prossimo in quanto, come insegna San Tommaso d’Aquino, l’amore è un movimento che pone l’attenzione sull’altro considerandolo come un’unica cosa con sé stessi (cfr Enc. Fratelli tutti, 93).
La Quaresima è un tempo per credere, ovvero per ricevere Dio nella nostra vita e consentirgli di “prendere dimora” presso di noi (cfr Gv 14,23). Digiunare vuol dire liberare la nostra esistenza da quanto la ingombra, anche dalla saturazione di informazioni – vere o false – e prodotti di consumo, per aprire le porte del nostro cuore a Colui che viene a noi povero di tutto, ma «pieno di grazia e di verità» (Gv 1,14): il Figlio del Dio Salvatore.
2. La speranza come “acqua viva” che ci consente di continuare il nostro cammino
La samaritana, alla quale Gesù chiede da bere presso il pozzo, non comprende quando Lui le dice che potrebbe offrirle un’“acqua viva” (Gv 4,10). All’inizio lei pensa naturalmente all’acqua materiale, Gesù invece intende lo Spirito Santo, quello che Lui darà in abbondanza nel Mistero pasquale e che infonde in noi la speranza che non delude. Già nell’annunciare la sua passione e morte Gesù annuncia la speranza, quando dice: «e il terzo giorno risorgerà» (Mt 20,19). Gesù ci parla del futuro spalancato dalla misericordia del Padre. Sperare con Lui e grazie a Lui vuol dire credere che la storia non si chiude sui nostri errori, sulle nostre violenze e ingiustizie e sul peccato che crocifigge l’Amore. Significa attingere dal suo Cuore aperto il perdono del Padre.
Nell’attuale contesto di preoccupazione in cui viviamo e in cui tutto sembra fragile e incerto, parlare di speranza potrebbe sembrare una provocazione. Il tempo di Quaresima è fatto per sperare, per tornare a rivolgere lo sguardo alla pazienza di Dio, che continua a prendersi cura della sua Creazione, mentre noi l’abbiamo spesso maltrattata (cfr Enc. Laudato si’, 32-33.43-44). È speranza nella riconciliazione, alla quale ci esorta con passione San Paolo: «Lasciatevi riconciliare con Dio» (2 Cor 5,20). Ricevendo il perdono, nel Sacramento che è al cuore del nostro processo di conversione, diventiamo a nostra volta diffusori del perdono: avendolo noi stessi ricevuto, possiamo offrirlo attraverso la capacità di vivere un dialogo premuroso e adottando un comportamento che conforta chi è ferito. Il perdono di Dio, anche attraverso le nostre parole e i nostri gesti, permette di vivere una Pasqua di fraternità.
Nella Quaresima, stiamo più attenti a «dire parole di incoraggiamento, che confortano, che danno forza, che consolano, che stimolano, invece di parole che umiliano, che rattristano, che irritano, che disprezzano» (Enc. Fratelli tutti [FT], 223). A volte, per dare speranza, basta essere «una persona gentile, che mette da parte le sue preoccupazioni e le sue urgenze per prestare attenzione, per regalare un sorriso, per dire una parola di stimolo, per rendere possibile uno spazio di ascolto in mezzo a tanta indifferenza» (ibid., 224).
Nel raccoglimento e nella preghiera silenziosa, la speranza ci viene donata come ispirazione e luce interiore, che illumina sfide e scelte della nostra missione: ecco perché è fondamentale raccogliersi per pregare (cfr Mt 6,6) e incontrare, nel segreto, il Padre della tenerezza.
Vivere una Quaresima con speranza vuol dire sentire di essere, in Gesù Cristo, testimoni del tempo nuovo, in cui Dio “fa nuove tutte le cose” (cfr Ap 21,1-6). Significa ricevere la speranza di Cristo che dà la sua vita sulla croce e che Dio risuscita il terzo giorno, «pronti sempre a rispondere a chiunque [ci] domandi ragione della speranza che è in [noi]»(1Pt 3,15).
3. La carità, vissuta sulle orme di Cristo, nell’attenzione e nella compassione verso ciascuno, è la più alta espressione della nostra fede e della nostra speranza.
La carità si rallegra nel veder crescere l’altro. Ecco perché soffre quando l’altro si trova nell’angoscia: solo, malato, senzatetto, disprezzato, nel bisogno… La carità è lo slancio del cuore che ci fa uscire da noi stessi e che genera il vincolo della condivisione e della comunione.
«A partire dall’amore sociale è possibile progredire verso una civiltà dell’amore alla quale tutti possiamo sentirci chiamati. La carità, col suo dinamismo universale, può costruire un mondo nuovo, perché non è un sentimento sterile, bensì il modo migliore di raggiungere strade efficaci di sviluppo per tutti» (FT, 183).
La carità è dono che dà senso alla nostra vita e grazie al quale consideriamo chi versa nella privazione quale membro della nostra stessa famiglia, amico, fratello. Il poco, se condiviso con amore, non finisce mai, ma si trasforma in riserva di vita e di felicità. Così avvenne per la farina e l’olio della vedova di Sarepta, che offre la focaccia al profeta Elia (cfr 1 Re 17,7-16); e per i pani che Gesù benedice, spezza e dà ai discepoli da distribuire alla folla (cfr Mc 6,30-44). Così avviene per la nostra elemosina, piccola o grande che sia, offerta con gioia e semplicità.
Vivere una Quaresima di carità vuol dire prendersi cura di chi si trova in condizioni di sofferenza, abbandono o angoscia a causa della pandemia di Covid-19. Nel contesto di grande incertezza sul domani, ricordandoci della parola rivolta da Dio al suo Servo: «Non temere, perché ti ho riscattato» (Is 43,1), offriamo con la nostra carità una parola di fiducia, e facciamo sentire all’altro che Dio lo ama come un figlio.
«Solo con uno sguardo il cui orizzonte sia trasformato dalla carità, che lo porta a cogliere la dignità dell’altro, i poveri sono riconosciuti e apprezzati nella loro immensa dignità, rispettati nel loro stile proprio e nella loro cultura, e pertanto veramente integrati nella società» (FT, 187).
Cari fratelli e sorelle, ogni tappa della vita è un tempo per credere, sperare e amare. Questo appello a vivere la Quaresima come percorso di conversione, preghiera e condivisione dei nostri beni, ci aiuti a rivisitare, nella nostra memoria comunitaria e personale, la fede che viene da Cristo vivo, la speranza animata dal soffio dello Spirito e l’amore la cui fonte inesauribile è il cuore misericordioso del Padre.
Maria, Madre del Salvatore, fedele ai piedi della croce e nel cuore della Chiesa, ci sostenga con la sua premurosa presenza, e la benedizione del Risorto ci accompagni nel cammino verso la luce pasquale.
Roma, San Giovanni in Laterano, 11 novembre 2020, memoria di San Martino di Tours
Francesco
[00189-IT.01] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
«Voici que nous montons à Jérusalem…» (Mt 20, 18).
Le Carême: un tempspour renouveler notre foi, notre espérance et notre charité.
Chers Frères et Sœurs,
En annonçant à ses disciples sa Passion, sa mort et sa résurrection, accomplissant ainsi la volonté de son Père, Jésus leur révèle le sens ultime de sa mission et il les appelle à s’y associer, en vue du salut du monde.
En parcourant le chemin du Carême, qui nous conduit vers les célébrations pascales, nous faisons mémoire de Celui qui nous a aimés « devenant obéissant jusqu’à la mort et la mort de la croix» (Ph 2,8). Dans ce temps de conversion, nous renouvelons notre foi, nous puisons «l’eau vive» de l’espérance et nous recevons le cœur ouvert l’amour de Dieu qui fait de nous des frères et des sœurs dans le Christ. Dans la Nuit de Pâques, nous renouvellerons les promesses de notre baptême pour renaître en hommes et femmes nouveaux par l’intervention du Saint Esprit. L’itinéraire du Carême, comme l’itinéraire chrétien, est déjà entièrement placé sous la lumière de la résurrection, qui inspire les sentiments, les attitudes ainsi que les choix de ceux qui veulent suivre le Christ.
Le jeûne, la prière et l’aumône, tels que Jésus les présente dans sa prédication (cf. Mt 6, 1-18) sont les conditions et les expressions de notre conversion. Le chemin de la pauvreté et du manque (le jeûne), le regard et les gestes d’amour vers l’homme blessé (l’aumône), et le dialogue filial avec le Père (la prière), nous permettent d’incarner une foi sincère, une vivante espérance et une charité active.
1. La foi nous appelle à accueillir la Vérité et à en devenir des témoins, devant Dieu et devant tous nos frères et sœurs.
Pendant ce temps du Carême, recevoir et vivre la Vérité manifestée dans le Christ c’est avant tout se laisser toucher par la Parole de Dieu et qui nous est transmise, de générations en générations, par l’Eglise. Cette Vérité n’est pas une construction de l’esprit qui serait réservée à quelques intelligences supérieures ou séparées. Elle est un message que l’on reçoit et que l’on peut comprendre grâce à l’intelligence du cœur ouvert à la grandeur de Dieu qui nous aime, avant que nous-mêmes en ayons conscience. Cette Vérité c’est le Christ lui-même, qui, en assumant pleinement notre humanité, s’est fait Voie – exigeante, mais ouverte à tous – conduisant à la plénitude de la Vie.
Le jeûne, vécu comme expérience du manque, conduit ceux et celles qui le vivent dans la simplicité du cœur à redécouvrir le don de Dieu et à comprendre notre réalité de créatures à son image et ressemblance qui trouvent en lui leur accomplissement. En faisant l’expérience d’une pauvreté consentie, ceux qui jeûnent deviennent pauvres avec les pauvres et ils «amassent» la richesse de l’amour reçu et partagé. Compris et vécu de cette façon, le jeûne nous aide à aimer Dieu et notre prochain car, comme Saint Thomas d’Aquin l’enseigne, il favorise le mouvement qui amène à concentrer l’attention sur l’autre en l’identifiant à soi-même (cf. Enc. Fratelli tutti, n. 93).
Le Carême est un temps pour croire, c’est-à-dire pour recevoir Dieu dans notre vie et pour le laisser “établir sa demeure” en nous(cf. Jn 14, 23). Jeûner consiste à libérer notre existence de tout ce qui l’encombre, même de ce trop-plein d’informations, vraies ou fausses, et de produits de consommation pour ouvrir la porte de notre cœur à celui qui vient jusqu’à nous, pauvre de tout mais «plein de grâce et de vérité» (Jn 1, 14): le Fils du Dieu Sauveur.
2. L’espérance, comme “eau vive” qui nous permet de continuer notre chemin
La Samaritaine à qui Jésus demande à boire au bord du puit ne comprend pas lorsqu’il lui dit qu’il peut lui offrir une “eau vive” (Jn 4, 10). Au début, elle pense naturellement à l’eau matérielle. Mais Jésus parle de l’Esprit Saint qu’il offrira en abondance dans le Mystère pascal et qui nous remplira de l’espérance qui ne déçoit pas. Lorsqu’il évoque sa passion et sa mort, Jésus annonce déjà l’espérance en disant: «Le troisième jour, il ressuscitera» (Mt 20, 19). Jésus nous parle de l’avenir grand ouvert par la miséricorde du Père. Espérer, avec lui et grâce à lui, c’est croire que l’histoire n’est pas fermée sur nos erreurs, nos violences, nos injustices et sur le péché qui crucifie l’Amour. Espérer c’est puiser le pardon du Père de son Cœur ouvert.
Dans le contexte d’inquiétude que nous vivons, où tout apparaît fragile et incertain, parler d’espérance pourra sembler provocateur. Le temps du Carême est un temps pour espérer, pour tourner de nouveau le regard vers la patience de Dieu qui continue de prendre soin de sa Création, alors même que nous l’avons souvent maltraitée (cf. Laudato si’, nn. 32, 33, 43, 44). C’est l’espérance en la réconciliation à laquelle Saint Paul nous exhorte avec passion: «Laissez-vous réconcilier avec Dieu» (2Co 5, 20). En recevant le pardon, dans le sacrement qui est au cœur de notre démarche de conversion, nous devenons, à notre tour, des acteurs du pardon. Nous pouvons offrir le pardon que nous avons-nous-mêmes reçu, en vivant un dialogue bienveillant et en adoptant un comportement qui réconforte ceux qui sont blessés. Le pardon de Dieu permet de vivre une Pâque de fraternité aussi à travers nos paroles et nos gestes.
Pendant ce Carême, appliquons-nous à dire «des mots d’encouragements qui réconfortent qui fortifient, qui consolent, qui stimulent» au lieu de «paroles qui humilient, qui attristent, qui irritent, qui dénigrent»(Enc. Fratelli tutti [FR], n. 223). Parfois, pour offrir de l’espérance, il suffit d’être « une personne aimable, […], qui laisse de côté ses anxiétés et ses urgences pour prêter attention, pour offrir un sourire, pour dire une parole qui stimule, pour rendre possible un espace d’écoute au milieu de tant d’indifférence » (ibid., n. 224).
Dans le recueillement et la prière silencieuse, l’espérance nous est donnée comme une inspiration et une lumière intérieure qui éclaire les défis et les choix de notre mission. Voilà pourquoi, il est déterminant de se retirer pour prier (cf. Mt 6, 6) et rejoindre, dans le secret, le Père de toute tendresse.
Vivre un Carême d’espérance, c’est percevoir que nous sommes, en Jésus-Christ, les témoins d’un temps nouveau, dans lequel Dieu veut «faire toutes choses nouvelles» (cf. Ap 21, 1-6). Il s’agit de recevoir et d’offrir l’espérance du Christ qui donne sa vie sur la croix et que Dieu ressuscite le troisième jour: «Soyez prêts à répondre à qui vous demande à rendre raison de l'espérance qui est en vous » (1P 3, 15).
3. La charité, quand nous la vivons à la manière du Christ, dans l’attention et la compassion à l’égard de chacun, est la plus haute expression de notre foi et de notre espérance.
La charité se réjouit de voir grandir l’autre. C’est la raison pour laquelle elle souffre quand l’autre est en souffrance: seul, malade, sans abri, méprisé, dans le besoin… La charité est l’élan du cœur qui nous fait sortir de nous-mêmes et qui crée le lien du partage et de la communion.
«Grâce à l’amour social, il est possible de progresser vers une civilisation de l’amour à laquelle nous pouvons nous sentir tous appelés. La charité, par son dynamisme universel, peut construire un monde nouveau, parce qu’elle n’est pas un sentiment stérile mais la meilleure manière d’atteindre des chemins efficaces de développement pour tous » (FT, n. 183).
La charité est don. Elle donne sens à notre vie. Grâce à elle, nous considérons celui qui est dans le manque comme un membre de notre propre famille, comme un ami, comme un frère. Le peu, quand il est partagé avec amour, ne s’épuise jamais mais devient une réserve de vie et de bonheur. Ainsi en fût-il de la farine et de l’huile de la veuve de Sarepta, quand elle offrit la galette au Prophète Elie (cf. 1R 17, 7-16). Ainsi en fût-il des pains multipliés que Jésus bénit, rompit et donna aux apôtres pour qu’ils les offrent à la foule (cf. Mc, 6, 30-44). Ainsi en est-il de notre aumône, modeste ou grande, que nous offrons dans la joie et dans la simplicité.
Vivre un Carême de charité, c’est prendre soin de ceux qui se trouvent dans des conditions de souffrance, de solitude ou d’angoisse à cause de la pandémie de la Covid-19. Dans l’impossibilité de prévoir ce que sera demain, souvenons-nous de la parole adressée par Dieu à son Serviteur: «Ne crains pas, car je t’ai racheté» (Is 43, 1), offrons avec notre aumône un message de confiance, et faisons sentir à l’autre que Dieu l’aime comme son propre enfant.
«Ce n’est qu’avec un regard dont l’horizon est transformé par la charité, le conduisant à percevoir la dignité de l’autre, que les pauvres sont découverts et valorisés dans leur immense dignité, respectés dans leur mode de vie et leur culture, et par conséquent vraiment intégrés dans la société » (FT, n. 187).
Chers frères et sœurs, chaque étape de la vie est un temps pour croire, espérer et aimer. Que cet appel à vivre le Carême comme un chemin de conversion, de prière et de partage, nous aide à revisiter, dans notre mémoire communautaire et personnelle, la foi qui vient du Christ vivant, l’espérance qui est dans le souffle de l’Esprit et l’amour dont la source inépuisable est le cœur miséricordieux du Père.
Que Marie, Mère du Sauveur, fidèle au pied de la croix et au cœur de l’Eglise, nous soutienne par sa présence prévenante et que la bénédiction du Ressuscité nous accompagne dans ce chemin vers la lumière de Pâques.
Donné à Rome, près de Saint Jean de Latran, 11 novembre 2020, mémoire de Saint Martin de Tours
François
[00189-FR.01] [Texte original: Italien]
Traduzione in lingua inglese
“Behold, we are going up to Jerusalem” (Mt 20:18).
Lent: a Time for Renewing Faith, Hope and Love.
Dear Brothers and Sisters,
Jesus revealed to his disciples the deepest meaning of his mission when he told them of his passion, death and resurrection, in fulfilment of the Father’s will. He then called the disciples to share in this mission for the salvation of the world.
In our Lenten journey towards Easter, let us remember the One who “humbled himself and became obedient unto death, even death on a cross” (Phil 2:8). During this season of conversion, let us renew our faith, draw from the “living water” of hope, and receive with open hearts the love of God, who makes us brothers and sisters in Christ. At the Easter vigil, we will renew our baptismal promises and experience rebirth as new men and women by the working of the Holy Spirit. This Lenten journey, like the entire pilgrimage of the Christian life, is even now illumined by the light of the resurrection, which inspires the thoughts, attitudes and decisions of the followers of Christ.
Fasting, prayer and almsgiving, as preached by Jesus (cf. Mt 6:1-18), enable and express our conversion. The path of poverty and self-denial (fasting), concern and loving care for the poor (almsgiving), and childlike dialogue with the Father (prayer) make it possible for us to live lives of sincere faith, living hope and effective charity.
1. Faith calls us to accept the truth and testify to it before God and all our brothers and sisters.
In this Lenten season, accepting and living the truth revealed in Christ means, first of all, opening our hearts to God’s word, which the Church passes on from generation to generation. This truth is not an abstract concept reserved for a chosen intelligent few. Instead, it is a message that all of us can receive and understand thanks to the wisdom of a heart open to the grandeur of God, who loves us even before we are aware of it. Christ himself is this truth. By taking on our humanity, even to its very limits, he has made himself the way – demanding, yet open to all – that leads to the fullness of life.
Fasting, experienced as a form of self-denial, helps those who undertake it in simplicity of heart to rediscover God’s gift and to recognize that, created in his image and likeness, we find our fulfilment in him. In embracing the experience of poverty, those who fast make themselves poor with the poor and accumulate the treasure of a love both received and shared. In this way, fasting helps us to love God and our neighbour, inasmuch as love, as Saint Thomas Aquinas teaches, is a movement outwards that focuses our attention on others and considers them as one with ourselves (cf. Fratelli Tutti, 93).
Lent is a time for believing, for welcoming God into our lives and allowing him to “make his dwelling” among us (cf. Jn 14:23). Fasting involves being freed from all that weighs us down – like consumerism or an excess of information, whether true or false – in order to open the doors of our hearts to the One who comes to us, poor in all things, yet “full of grace and truth” (Jn 1:14): the Son of God our Saviour.
2. Hope as “living water” enabling us to continue our journey.
The Samaritan woman at the well, whom Jesus asks for a drink, does not understand what he means when he says that he can offer her “living water” (Jn 4:10). Naturally, she thinks that he is referring to material water, but Jesus is speaking of the Holy Spirit whom he will give in abundance through the paschal mystery, bestowing a hope that does not disappoint. Jesus had already spoken of this hope when, in telling of his passion and death, he said that he would “be raised on the third day” (Mt 20:19). Jesus was speaking of the future opened up by the Father’s mercy. Hoping with him and because of him means believing that history does not end with our mistakes, our violence and injustice, or the sin that crucifies Love. It means receiving from his open heart the Father’s forgiveness.
In these times of trouble, when everything seems fragile and uncertain, it may appear challenging to speak of hope. Yet Lent is precisely the season of hope, when we turn back to God who patiently continues to care for his creation which we have often mistreated (cf. Laudato Si’, 32-33; 43-44). Saint Paul urges us to place our hope in reconciliation: “Be reconciled to God” (2 Cor 5:20). By receiving forgiveness in the sacrament that lies at the heart of our process of conversion, we in turn can spread forgiveness to others. Having received forgiveness ourselves, we can offer it through our willingness to enter into attentive dialogue with others and to give comfort to those experiencing sorrow and pain. God’s forgiveness, offered also through our words and actions, enables us to experience an Easter of fraternity.
In Lent, may we be increasingly concerned with “speaking words of comfort, strength, consolation and encouragement, and not words that demean, sadden, anger or show scorn” (Fratelli Tutti, 223). In order to give hope to others, it is sometimes enough simply to be kind, to be “willing to set everything else aside in order to show interest, to give the gift of a smile, to speak a word of encouragement, to listen amid general indifference” (ibid., 224).
Through recollection and silent prayer, hope is given to us as inspiration and interior light, illuminating the challenges and choices we face in our mission. Hence the need to pray (cf. Mt 6:6) and, in secret, to encounter the Father of tender love.
To experience Lent in hope entails growing in the realization that, in Jesus Christ, we are witnesses of new times, in which God is “making all things new” (cf. Rev 21:1-6). It means receiving the hope of Christ, who gave his life on the cross and was raised by God on the third day, and always being “prepared to make a defense to anyone who calls [us] to account for the hope that is in [us]” (1 Pet 3:15).
3. Love, following in the footsteps of Christ, in concern and compassion for all,is the highest expression of our faith and hope.
Love rejoices in seeing others grow. Hence it suffers when others are anguished, lonely, sick, homeless, despised or in need. Love is a leap of the heart; it brings us out of ourselves and creates bonds of sharing and communion.
“‘Social love’ makes it possible to advance towards a civilization of love, to which all of us can feel called. With its impulse to universality, love is capable of building a new world. No mere sentiment, it is the best means of discovering effective paths of development for everyone” (Fratelli Tutti, 183).
Love is a gift that gives meaning to our lives. It enables us to view those in need as members of our own family, as friends, brothers or sisters. A small amount, if given with love, never ends, but becomes a source of life and happiness. Such was the case with the jar of meal and jug of oil of the widow of Zarephath, who offered a cake of bread to the prophet Elijah (cf. 1 Kings 17:7-16); it was also the case with the loaves blessed, broken and given by Jesus to the disciples to distribute to the crowd (cf. Mk 6:30-44). Such is the case too with our almsgiving, whether small or large, when offered with joy and simplicity.
To experience Lent with love means caring for those who suffer or feel abandoned and fearful because of the Covid-19 pandemic. In these days of deep uncertainty about the future, let us keep in mind the Lord’s word to his Servant, “Fear not, for I have redeemed you” (Is 43:1). In our charity, may we speak words of reassurance and help others to realize that God loves them as sons and daughters.
“Only a gaze transformed by charity can enable the dignity of others to be recognized and, as a consequence, the poor to be acknowledged and valued in their dignity, respected in their identity and culture, and thus truly integrated into society” (Fratelli Tutti, 187).
Dear brothers and sisters, every moment of our lives is a time for believing, hoping and loving. The call to experience Lent as a journey of conversion, prayer and sharing of our goods, helps us – as communities and as individuals – to revive the faith that comes from the living Christ, the hope inspired by the breath of the Holy Spirit and the love flowing from the merciful heart of the Father.
May Mary, Mother of the Saviour, ever faithful at the foot of the cross and in the heart of the Church, sustain us with her loving presence. May the blessing of the risen Lord accompany all of us on our journey towards the light of Easter.
Rome, Saint John Lateran, 11 November 2020, the Memorial of Saint Martin of Tours
Francis
[00189-EN.01] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua tedesca
»Siehe, wir gehen nach Jerusalem hinauf« (Mt 20,18).
Fastenzeit – Zeit der Erneuerung von Glaube, Hoffnung und Liebe.
Liebe Brüder und Schwestern,
als Jesus seinen Jüngern sein Leiden, seinen Tod und seine Auferstehung ankündigt, um den Willen des Vaters zu erfüllen, da enthüllt er ihnen zugleich den tieferen Sinn seiner Sendung und ruft sie, an dieser Sendung zum Heil der Welt teilzunehmen.
Auf dem Weg der Fastenzeit, der uns zur Feier der österlichen Geheimnisse führt, denken wir an den, der sich »erniedrigte [und] gehorsam [war] bis zum Tod, bis zum Tod am Kreuz« (Phil 2,8). In dieser Zeit der Umkehr erneuern wir unseren Glauben, schöpfen wir vom „lebendigen Wasser“ der Hoffnung und empfangen mit offenem Herzen die Liebe Gottes, die uns zu Brüdern und Schwestern in Christus werden lässt. In der Osternacht werden wir unser Taufversprechen erneuern, um durch das Wirken des Heiligen Geistes als neue Menschen wiedergeboren zu werden. Wie das gesamte christliche Leben wird schon der Weg der Fastenzeit gänzlich vom Licht der Auferstehung erhellt, das die Gesinnung, die Haltung und die Entscheidungen dessen beseelt, der Christus nachfolgen will.
Fasten, Gebet und Almosen sind, nach Jesu Verkündigung (vgl. Mt 6,1-18), sowohl Bedingung als auch Ausdruck unserer Umkehr. Der Weg der Armut und des Verzichts (das Fasten), der liebevolle Blick und die Wohltaten für den verletzten Mitmenschen (das Almosen) und das kindliche Gespräch mit dem Vater (das Gebet) erlauben uns, einen ehrlichen Glauben, eine lebendige Hoffnung und eine tätige Liebe zu verwirklichen.
1. Der Glaube ruft uns auf, die Wahrheit anzunehmen und ihre Zeugen zu werden vor Gott und unseren Brüdern und Schwestern
Die in Christus offenbar gewordene Wahrheit anzunehmen und zu leben heißt in dieser Fastenzeit vor allem, sich vom Wort Gottes ansprechen zu lassen, das uns von Generation zu Generation von der Kirche überliefert wird. Diese Wahrheit ist nicht ein Gedankengebäude, das nur wenigen erlesenen klugen oder vornehmen Köpfen zugänglich wäre. Sie ist eine Botschaft, die wir dank eines verständigen Herzens empfangen und begreifen können, das offen ist für die Größe Gottes, der uns liebt, noch bevor wir darum wissen. Diese Wahrheit ist Christus selbst, der unser Menschsein ganz und gar angenommen hat und so zum Weg geworden ist, der zur Fülle des Lebens führt. Dieser Weg ist anspruchsvoll, aber offen für alle.
Das Fasten als Erfahrung des Verzichtes führt alle, die sich in der Einfachheit des Herzens darum mühen, zur Wiederentdeckung der Gaben Gottes und zum Verständnis unserer Wirklichkeit als Geschöpfe nach seinem Bild und Gleichnis, die in ihm Vollendung finden. Wer fastet und sich freiwillig auf die Erfahrung der Armut einlässt, wird arm mit den Armen und „sammelt“ somit einen Schatz an empfangener und geteilter Liebe. So verstanden und praktiziert hilft das Fasten, Gott und den Nächsten zu lieben, da, wie der heilige Thomas von Aquin lehrt, die Liebe eine Bewegung der Aufmerksamkeit für den anderen ist, die ihn als eines Wesens mit sich selbst betrachtet (vgl. Enzyklika Fratelli tutti, 93).
Die Fastenzeit dient dazu, den Glauben zu vertiefen beziehungsweise Gott in unser Leben einzulassen und ihm zu erlauben, bei uns „Wohnung zu nehmen“ (vgl. Joh 14,23). Fasten heißt unser Dasein von allem befreien, was es belastet, auch von der Übersättigung durch – wahre oder falsche – Informationen und durch Konsumartikel, um so die Türen unseres Herzens für den zu öffnen, der ganz arm, aber zugleich »voll Gnade und Wahrheit« (Joh 1,14) zu uns kommt – für den Sohn Gottes, des Erlösers.
2. Die Hoffnung als „lebendiges Wasser“, das uns fähig macht, unseren Weg weiterzugehen
Die Samariterin, die Jesus am Brunnen bittet, ihm zu trinken zu geben, versteht nicht, als er ihr sagt, er könne ihr »lebendiges Wasser« (Joh 4,10) geben. Zunächst denkt sie natürlich an normales Wasser, Jesus aber meint den Heiligen Geist, den er im Ostergeheimnis in Überfülle schenken wird und der uns die Hoffnung eingießt, die nicht enttäuscht. Bereits bei der Ankündigung seines Leidens und Todes zeigt Jesus diese Hoffnung an, wenn er sagt: »Und am dritten Tag wird er auferweckt werden« (Mt 20,19). Jesus spricht zu uns von der Zukunft, die uns die Barmherzigkeit des Vaters weit aufgetan hat. Mit ihm und dank ihm hoffen heißt glauben, dass die Geschichte nicht einfach mit unseren Fehlern, unseren Gewalttätigkeiten und Ungerechtigkeiten und mit der Sünde, welche die Liebe kreuzigt, zu Ende geht. Es bedeutet, aus seinem offenen Herzen die Vergebung des Vaters zu schöpfen.
In der gegenwärtigen sorgenreichen Situation, in der alles zerbrechlich und unsicher erscheint, könnte es als Provokation wirken, von Hoffnung zu sprechen. Die Fastenzeit ist dazu da, um zu hoffen, um von neuem den Blick auf die Geduld Gottes zu richten. Er hört nicht auf, für seine Schöpfung zu sorgen, während wir sie allzu oft schlecht behandelt haben (vgl. Enzyklika Laudato siʼ, 32-33; 43-44). Es ist eine Hoffnung auf Versöhnung, zu der uns der heilige Paulus eindringlich ermahnt: »Lasst euch mit Gott versöhnen!« (2Kor 5,20) Durch den Empfang der Vergebung im Bußsakrament, das im Zentrum unseres Weges der Umkehr steht, können wir unsererseits Vergebung weitergeben: Weil wir selbst Vergebung empfangen haben, können auch wir vergeben, wenn wir zum aufmerksamen Dialog fähig sind und dem Verwundeten hilfreich zur Seite stehen. Die Vergebung Gottes, auch mittels unserer Worte und Gesten, erlaubt uns, Ostern im Geist der Geschwisterlichkeit zu leben.
In der Fastenzeit wollen wir mehr darauf bedacht sein, »Worte der Ermutigung zu sagen, die wieder Kraft geben, die aufbauen, die trösten und die anspornen, statt Worte, die demütigen, die traurig machen, die ärgern, die herabwürdigen« (Enzyklika Fratelli tutti, 223). Um Hoffnung zu vermitteln reicht es manchmal schon, »ein freundlicher Mensch« zu sein, »der seine Ängste und Bedürfnisse beiseitelässt, um aufmerksam zu sein, ein Lächeln zu schenken, ein Wort der Ermutigung zu sagen, einen Raum des Zuhörens inmitten von so viel Gleichgültigkeit zu ermöglichen« (ebd., 224).
In der Sammlung und im stillen Gebet wird uns die Hoffnung als Inspiration und inneres Licht geschenkt, das die Herausforderungen und Entscheidungen auf dem Weg unserer Sendung erhellt. Deshalb ist es so wichtig, sich im Gebet zu sammeln (vgl. Mt 6,6) und im Verborgenen dem liebevollen Vater zu begegnen.
Die Fastenzeit voll Hoffnung leben heißt spüren, dass wir in Christus Zeugen einer neuen Zeit sind, in der Gott „alles neu macht“ (vgl. Offb 21,1-6). Es bedeutet, die Hoffnung Christi zu empfangen, der sein Leben am Kreuz hingibt und den Gott am dritten Tag auferweckt, und zugleich »stets bereit« zu sein, »jedem Rede und Antwort zu stehen, der von [uns] Rechenschaft fordert über die Hoffnung, die [uns] erfüllt« (1Petr 3,15).
3. Die auf den Spuren Christi in Aufmerksamkeit und Mitgefühl gegenüber jedem Menschen gelebte Liebe ist der höchste Ausdruck unseres Glaubens und unserer Hoffnung
Die Liebe freut sich, wenn sie den anderen wachsen sieht. Daher leidet sie, wenn der andere in Bedrängnis ist: einsam, krank, obdachlos, verachtet, bedürftig … Die Liebe ist der Impuls des Herzens, der uns aus uns selbst herausgehen und ein Band der Teilhabe und Gemeinschaft entstehen lässt.
»Ausgehend von der sozialen Liebe ist es möglich, zu einer Zivilisation der Liebe voranzuschreiten, zu der wir uns alle berufen fühlen können. Die Liebe kann mit ihrer universalen Dynamik eine neue Welt aufbauen, weil sie nicht ein unfruchtbares Gefühl ist, sondern vielmehr das beste Mittel, um wirksame Entwicklungsmöglichkeiten für alle zu finden« (Enzyklika Fratelli tutti, 183).
Die Liebe ist ein Geschenk, das unserem Leben Sinn verleiht und dank dessen wir den Bedürftigen als Teil unserer eigenen Familie, als Freund, als Bruder oder Schwester betrachten. Das Wenige, das man in Liebe teilt, wird niemals aufgebraucht, sondern wird zu Vorräten des Lebens und des Glücks. So geschah es mit dem Mehl und dem Öl der Witwe von Sarepta, die dem Propheten Elija ein kleines Gebäck anbot (vgl. 1Kön 17,7-16), oder bei der wunderbaren Brotvermehrung, als Jesus die Brote segnete, brach und den Jüngern zum Austeilen an die Menge gab (vgl. Mk 6,30-44). Genauso geschieht es mit unserem – großen oder kleinen – Almosen, wenn es nur mit Freude und Schlichtheit gegeben wird.
Eine Fastenzeit der Liebe leben heißt sich um den kümmern, der aufgrund der Covid-19-Pandemie eine Situation des Leidens, der Verlassenheit oder Angst durchmacht. Angesichts großer Ungewissheit bezüglich der Zukunft denken wir an das Wort, das Gott an seinen Knecht richtet: »Fürchte dich nicht, denn ich habe dich ausgelöst!« (Jes 43,1), während wir durch unsere Liebe ein Wort des Vertrauens anbieten und den anderen spüren lassen: Gott liebt dich wie einen Sohn und eine Tochter.
»Nur mit einem durch die Liebe geweiteten Blick, der die Würde des anderen wahrnimmt, können die Armen in ihrer unfassbaren Würde erkannt und mit ihrem eigenen Stil und ihrer Kultur geschätzt werden und so wirklich in die Gesellschaft integriert werden« (Enzyklika Fratelli tutti, 187).
Liebe Brüder und Schwestern, jede Etappe unseres Lebensweges ist eine Zeit des Glaubens, Hoffens und Liebens. Dieser Aufruf, die Fastenzeit als einen Weg der Umkehr, des Gebets und des Teilens unserer Güter zu leben, soll uns helfen, in unserem gemeinschaftlichen wie persönlichen Erinnern den Glauben, der vom lebendigen Christus kommt, die Hoffnung, die vom Hauch des Heiligen Geist beseelt wird, und die Liebe, deren unerschöpfliche Quelle das barmherzige Herz des Vaters ist, zu erneuern.
Maria, die Mutter des Erlösers, treu zugegen am Fuß des Kreuzes und im Herzen der Kirche, stehe uns mit ihrer fürsorglichen Gegenwart bei, und der Segen des Auferstandenen geleite uns auf dem Weg zum österlichen Licht.
Rom, St. Johannes im Lateran, am 11. November 2020, Gedenktag des heiligen Martin von Tours.
Franziskus
[00189-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]
Traduzione in lingua spagnola
«Mirad, estamos subiendo a Jerusalén...» (Mt 20,18).
Cuaresma: un tiempo para renovar la fe, la esperanza y la caridad.
Queridos hermanos y hermanas:
Cuando Jesús anuncia a sus discípulos su pasión, muerte y resurrección, para cumplir con la voluntad del Padre, les revela el sentido profundo de su misión y los exhorta a asociarse a ella, para la salvación del mundo.
Recorriendo el camino cuaresmal, que nos conducirá a las celebraciones pascuales, recordemos a Aquel que «se humilló a sí mismo, hecho obediente hasta la muerte, y una muerte de cruz» (Flp 2,8). En este tiempo de conversión renovemos nuestra fe, saciemos nuestra sed con el “agua viva” de la esperanza y recibamos con el corazón abierto el amor de Dios que nos convierte en hermanos y hermanas en Cristo. En la noche de Pascua renovaremos las promesas de nuestro Bautismo, para renacer como hombres y mujeres nuevos, gracias a la obra del Espíritu Santo. Sin embargo, el itinerario de la Cuaresma, al igual que todo el camino cristiano, ya está bajo la luz de la Resurrección, que anima los sentimientos, las actitudes y las decisiones de quien desea seguir a Cristo.
El ayuno, la oración y la limosna, tal como los presenta Jesús en su predicación (cf. Mt 6,1-18), son las condiciones y la expresión de nuestra conversión. La vía de la pobreza y de la privación (el ayuno), la mirada y los gestos de amor hacia el hombre herido (la limosna) y el diálogo filial con el Padre (la oración) nos permiten encarnar una fe sincera, una esperanza viva y una caridad operante.
1. La fe nos llama a acoger la Verdad y a ser testigos, ante Dios y ante nuestros hermanos y hermanas.
En este tiempo de Cuaresma, acoger y vivir la Verdad que se manifestó en Cristo significa ante todo dejarse alcanzar por la Palabra de Dios, que la Iglesia nos transmite de generación en generación. Esta Verdad no es una construcción del intelecto, destinada a pocas mentes elegidas, superiores o ilustres, sino que es un mensaje que recibimos y podemos comprender gracias a la inteligencia del corazón, abierto a la grandeza de Dios que nos ama antes de que nosotros mismos seamos conscientes de ello. Esta Verdad es Cristo mismo que, asumiendo plenamente nuestra humanidad, se hizo Camino —exigente pero abierto a todos— que lleva a la plenitud de la Vida.
El ayuno vivido como experiencia de privación, para quienes lo viven con sencillez de corazón lleva a descubrir de nuevo el don de Dios y a comprender nuestra realidad de criaturas que, a su imagen y semejanza, encuentran en Él su cumplimiento. Haciendo la experiencia de una pobreza aceptada, quien ayuna se hace pobre con los pobres y “acumula” la riqueza del amor recibido y compartido. Así entendido y puesto en práctica, el ayuno contribuye a amar a Dios y al prójimo en cuanto, como nos enseña santo Tomás de Aquino, el amor es un movimiento que centra la atención en el otro considerándolo como uno consigo mismo (cf. Carta enc. Fratelli tutti, 93).
La Cuaresma es un tiempo para creer, es decir, para recibir a Dios en nuestra vida y permitirle “poner su morada” en nosotros (cf. Jn 14,23). Ayunar significa liberar nuestra existencia de todo lo que estorba, incluso de la saturación de informaciones —verdaderas o falsas— y productos de consumo, para abrir las puertas de nuestro corazón a Aquel que viene a nosotros pobre de todo, pero «lleno de gracia y de verdad» (Jn 1,14): el Hijo de Dios Salvador.
2. La esperanza como “agua viva” que nos permite continuar nuestro camino
La samaritana, a quien Jesús pide que le dé de beber junto al pozo, no comprende cuando Él le dice que podría ofrecerle un «agua viva» (Jn 4,10). Al principio, naturalmente, ella piensa en el agua material, mientras que Jesús se refiere al Espíritu Santo, aquel que Él dará en abundancia en el Misterio pascual y que infunde en nosotros la esperanza que no defrauda. Al anunciar su pasión y muerte Jesús ya anuncia la esperanza, cuando dice: «Y al tercer día resucitará» (Mt 20,19). Jesús nos habla del futuro que la misericordia del Padre ha abierto de par en par. Esperar con Él y gracias a Él quiere decir creer que la historia no termina con nuestros errores, nuestras violencias e injusticias, ni con el pecado que crucifica al Amor. Significa saciarnos del perdón del Padre en su Corazón abierto.
En el actual contexto de preocupación en el que vivimos y en el que todo parece frágil e incierto, hablar de esperanza podría parecer una provocación. El tiempo de Cuaresma está hecho para esperar, para volver a dirigir la mirada a la paciencia de Dios, que sigue cuidando de su Creación, mientras que nosotros a menudo la maltratamos (cf. Carta enc. Laudato si’, 32-33;43-44). Es esperanza en la reconciliación, a la que san Pablo nos exhorta con pasión: «Os pedimos que os reconciliéis con Dios» (2 Co 5,20). Al recibir el perdón, en el Sacramento que está en el corazón de nuestro proceso de conversión, también nosotros nos convertimos en difusores del perdón: al haberlo acogido nosotros, podemos ofrecerlo, siendo capaces de vivir un diálogo atento y adoptando un comportamiento que conforte a quien se encuentra herido. El perdón de Dios, también mediante nuestras palabras y gestos, permite vivir una Pascua de fraternidad.
En la Cuaresma, estemos más atentos a «decir palabras de aliento, que reconfortan, que fortalecen, que consuelan, que estimulan», en lugar de «palabras que humillan, que entristecen, que irritan, que desprecian» (Carta enc. Fratelli tutti [FT], 223). A veces, para dar esperanza, es suficiente con ser «una persona amable, que deja a un lado sus ansiedades y urgencias para prestar atención, para regalar una sonrisa, para decir una palabra que estimule, para posibilitar un espacio de escucha en medio de tanta indiferencia» (ibíd., 224).
En el recogimiento y el silencio de la oración, se nos da la esperanza como inspiración y luz interior, que ilumina los desafíos y las decisiones de nuestra misión: por esto es fundamental recogerse en oración (cf. Mt 6,6) y encontrar, en la intimidad, al Padre de la ternura.
Vivir una Cuaresma con esperanza significa sentir que, en Jesucristo, somos testigos del tiempo nuevo, en el que Dios “hace nuevas todas las cosas” (cf. Ap 21,1-6). Significa recibir la esperanza de Cristo que entrega su vida en la cruz y que Dios resucita al tercer día, “dispuestos siempre para dar explicación a todo el que nos pida una razón de nuestra esperanza”(cf. 1 P 3,15).
3. La caridad, vivida tras las huellas de Cristo, mostrando atención y compasión por cada persona, es la expresión más alta de nuestra fe y nuestra esperanza.
La caridad se alegra de ver que el otro crece. Por este motivo, sufre cuando el otro está angustiado: solo, enfermo, sin hogar, despreciado, en situación de necesidad… La caridad es el impulso del corazón que nos hace salir de nosotros mismos y que suscita el vínculo de la cooperación y de la comunión.
«A partir del “amor social” es posible avanzar hacia una civilización del amor a la que todos podamos sentirnos convocados. La caridad, con su dinamismo universal, puede construir un mundo nuevo, porque no es un sentimiento estéril, sino la mejor manera de lograr caminos eficaces de desarrollo para todos» (FT, 183).
La caridad es don que da sentido a nuestra vida y gracias a este consideramos a quien se ve privado de lo necesario como un miembro de nuestra familia, amigo, hermano. Lo poco que tenemos, si lo compartimos con amor, no se acaba nunca, sino que se transforma en una reserva de vida y de felicidad. Así sucedió con la harina y el aceite de la viuda de Sarepta, que dio el pan al profeta Elías (cf. 1 R 17,7-16); y con los panes que Jesús bendijo, partió y dio a los discípulos para que los distribuyeran entre la gente (cf. Mc 6,30-44). Así sucede con nuestra limosna, ya sea grande o pequeña, si la damos con gozo y sencillez.
Vivir una Cuaresma de caridad quiere decir cuidar a quienes se encuentran en condiciones de sufrimiento, abandono o angustia a causa de la pandemia de COVID-19. En un contexto tan incierto sobre el futuro, recordemos la palabra que Dios dirige a su Siervo: «No temas, que te he redimido» (Is 43,1), ofrezcamos con nuestra caridad una palabra de confianza, para que el otro sienta que Dios lo ama como a un hijo.
«Sólo con una mirada cuyo horizonte esté transformado por la caridad, que le lleva a percibir la dignidad del otro, los pobres son descubiertos y valorados en su inmensa dignidad, respetados en su estilo propio y en su cultura y, por lo tanto, verdaderamente integrados en la sociedad» (FT, 187).
Queridos hermanos y hermanas: Cada etapa de la vida es un tiempo para creer, esperar y amar. Este llamado a vivir la Cuaresma como camino de conversión y oración, y para compartir nuestros bienes, nos ayuda a reconsiderar, en nuestra memoria comunitaria y personal, la fe que viene de Cristo vivo, la esperanza animada por el soplo del Espíritu y el amor, cuya fuente inagotable es el corazón misericordioso del Padre.
Que María, Madre del Salvador, fiel al pie de la cruz y en el corazón de la Iglesia, nos sostenga con su presencia solícita, y la bendición de Cristo resucitado nos acompañe en el camino hacia la luz pascual.
Roma, San Juan de Letrán, 11 de noviembre de 2020, memoria de san Martín de Tours.
Francisco
[00189-ES.01] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua portoghese
«Vamos subir a Jerusalém...» (Mt 20, 18).
Quaresma: tempo para renovar fé, esperança e caridade.
Queridos irmãos e irmãs!
Jesus, ao anunciar aos discípulos a sua paixão, morte e ressurreição como cumprimento da vontade do Pai, desvenda-lhes o sentido profundo da sua missão e convida-os a associarem-se à mesma pela salvação do mundo.
Ao percorrer o caminho quaresmal que nos conduz às celebrações pascais, recordamos Aquele que «Se rebaixou a Si mesmo, tornando-Se obediente até à morte e morte de cruz» (Flp 2, 8). Neste tempo de conversão, renovamos a nossa fé, obtemos a «água viva» da esperança e recebemos com o coração aberto o amor de Deus que nos transforma em irmãos e irmãs em Cristo. Na noite de Páscoa, renovaremos as promessas do nosso Batismo, para renascer como mulheres e homens novos por obra e graça do Espírito Santo. Entretanto o itinerário da Quaresma, como aliás todo o caminho cristão, já está inteiramente sob a luz da Ressurreição que anima os sentimentos, atitudes e opções de quem deseja seguir a Cristo.
O jejum, a oração e a esmola – tal como são apresentados por Jesus na sua pregação (cf. Mt 6, 1-18) – são as condições para a nossa conversão e sua expressão. O caminho da pobreza e da privação (o jejum), a atenção e os gestos de amor pelo homem ferido (a esmola) e o diálogo filial com o Pai (a oração) permitem-nos encarnar uma fé sincera, uma esperança viva e uma caridade operosa.
1. A fé chama-nos a acolher a Verdade e a tornar-nos suas testemunhas diante de Deus e de todos os nossos irmãos e irmãs
Neste tempo de Quaresma, acolher e viver a Verdade manifestada em Cristo significa, antes de mais, deixar-nos alcançar pela Palavra de Deus, que nos é transmitida de geração em geração pela Igreja. Esta Verdade não é uma construção do intelecto, reservada a poucas mentes seletas, superiores ou ilustres, mas é uma mensagem que recebemos e podemos compreender graças à inteligência do coração, aberto à grandeza de Deus, que nos ama ainda antes de nós próprios tomarmos consciência disso. Esta Verdade é o próprio Cristo, que, assumindo completamente a nossa humanidade, Se fez Caminho – exigente, mas aberto a todos – que conduz à plenitude da Vida.
O jejum, vivido como experiência de privação, leva as pessoas que o praticam com simplicidade de coração a redescobrir o dom de Deus e a compreender a nossa realidade de criaturas que, feitas à sua imagem e semelhança, n'Ele encontram plena realização. Ao fazer experiência duma pobreza assumida, quem jejua faz-se pobre com os pobres e «acumula» a riqueza do amor recebido e partilhado. O jejum, assim entendido e praticado, ajuda a amar a Deus e ao próximo, pois, como ensina São Tomás de Aquino, o amor é um movimento que centra a minha atenção no outro, considerando-o como um só comigo mesmo [cf. Enc. Fratelli tutti (= FT), 93].
A Quaresma é um tempo para acreditar, ou seja, para receber a Deus na nossa vida permitindo-Lhe «fazer morada» em nós (cf. Jo 14, 23). Jejuar significa libertar a nossa existência de tudo o que a atravanca, inclusive da saturação de informações – verdadeiras ou falsas – e produtos de consumo, a fim de abrirmos as portas do nosso coração Àquele que vem a nós pobre de tudo, mas «cheio de graça e de verdade» (Jo 1, 14): o Filho de Deus Salvador.
2. A esperança como «água viva», que nos permite continuar o nosso caminho
A samaritana, a quem Jesus pedira de beber junto do poço, não entende quando Ele lhe diz que poderia oferecer-lhe uma «água viva» (cf. Jo 4, 10-12); e, naturalmente, a primeira coisa que lhe vem ao pensamento é a água material, ao passo que Jesus pensava no Espírito Santo, que Ele dará em abundância no Mistério Pascal e que infunde em nós a esperança que não desilude. Já quando preanuncia a sua paixão e morte, Jesus abre à esperança dizendo que «ressuscitará ao terceiro dia» (Mt 20, 19). Jesus fala-nos do futuro aberto de par em par pela misericórdia do Pai. Esperar com Ele e graças a Ele significa acreditar que, a última palavra na história, não a têm os nossos erros, as nossas violências e injustiças, nem o pecado que crucifica o Amor; significa obter do seu Coração aberto o perdão do Pai.
No contexto de preocupação em que vivemos atualmente onde tudo parece frágil e incerto, falar de esperança poderia parecer uma provocação. O tempo da Quaresma é feito para ter esperança, para voltar a dirigir o nosso olhar para a paciência de Deus, que continua a cuidar da sua Criação, não obstante nós a maltratarmos com frequência (cf. Enc. Laudato si’, 32-33.43-44). É ter esperança naquela reconciliação a que nos exorta apaixonadamente São Paulo: «Reconciliai-vos com Deus» (2 Cor 5, 20). Recebendo o perdão no Sacramento que está no centro do nosso processo de conversão, tornamo-nos, por nossa vez, propagadores do perdão: tendo-o recebido nós próprios, podemos oferecê-lo através da capacidade de viver um diálogo solícito e adotando um comportamento que conforta quem está ferido. O perdão de Deus, através também das nossas palavras e gestos, possibilita viver uma Páscoa de fraternidade.
Na Quaresma, estejamos mais atentos a «dizer palavras de incentivo, que reconfortam, consolam, fortalecem, estimulam, em vez de palavras que humilham, angustiam, irritam, desprezam» (FT, 223). Às vezes, para dar esperança, basta ser «uma pessoa amável, que deixa de lado as suas preocupações e urgências para prestar atenção, oferecer um sorriso, dizer uma palavra de estímulo, possibilitar um espaço de escuta no meio de tanta indiferença» (FT, 224).
No recolhimento e oração silenciosa, a esperança é-nos dada como inspiração e luz interior, que ilumina desafios e opções da nossa missão; por isso mesmo, é fundamental recolher-se para rezar (cf. Mt 6, 6) e encontrar, no segredo, o Pai da ternura.
Viver uma Quaresma com esperança significa sentir que, em Jesus Cristo, somos testemunhas do tempo novo em que Deus renova todas as coisas (cf. Ap 21, 1-6), «sempre dispostos a dar a razão da [nossa] esperança a todo aquele que [no-la] peça» (1 Ped 3, 15): a razão é Cristo, que dá a sua vida na cruz e Deus ressuscita ao terceiro dia.
3. A caridade, vivida seguindo as pegadas de Cristo na atenção e compaixão por cada pessoa, é a mais alta expressão da nossa fé e da nossa esperança
A caridade alegra-se ao ver o outro crescer; e de igual modo sofre quando o encontra na angústia: sozinho, doente, sem abrigo, desprezado, necessitado... A caridade é o impulso do coração que nos faz sair de nós mesmos gerando o vínculo da partilha e da comunhão.
«A partir do “amor social”, é possível avançar para uma civilização do amor a que todos nos podemos sentir chamados. Com o seu dinamismo universal, a caridade pode construir um mundo novo, porque não é um sentimento estéril, mas o modo melhor de alcançar vias eficazes de desenvolvimento para todos» (FT, 183).
A caridade é dom, que dá sentido à nossa vida e graças ao qual consideramos quem se encontra na privação como membro da nossa própria família, um amigo, um irmão. O pouco, se partilhado com amor, nunca acaba, mas transforma-se em reserva de vida e felicidade. Aconteceu assim com a farinha e o azeite da viúva de Sarepta, que oferece ao profeta Elias o bocado de pão que tinha (cf. 1 Rs 17, 7-16), e com os pães que Jesus abençoa, parte e dá aos discípulos para que os distribuam à multidão (cf. Mc 6, 30-44). O mesmo sucede com a nossa esmola, seja ela pequena ou grande, oferecida com alegria e simplicidade.
Viver uma Quaresma de caridade significa cuidar de quem se encontra em condições de sofrimento, abandono ou angústia por causa da pandemia de Covid-19. Neste contexto de grande incerteza quanto ao futuro, lembrando-nos da palavra que Deus dera ao seu Servo – «não temas, porque Eu te resgatei» (Is 43, 1) –, ofereçamos, juntamente com a nossa obra de caridade, uma palavra de confiança e façamos sentir ao outro que Deus o ama como um filho.
«Só com um olhar cujo horizonte esteja transformado pela caridade, levando-nos a perceber a dignidade do outro, é que os pobres são reconhecidos e apreciados na sua dignidade imensa, respeitados no seu estilo próprio e cultura e, por conseguinte, verdadeiramente integrados na sociedade» (FT, 187).
Queridos irmãos e irmãs, cada etapa da vida é um tempo para crer, esperar e amar. Que este apelo a viver a Quaresma como percurso de conversão, oração e partilha dos nossos bens, nos ajude a repassar, na nossa memória comunitária e pessoal, a fé que vem de Cristo vivo, a esperança animada pelo sopro do Espírito e o amor cuja fonte inexaurível é o coração misericordioso do Pai.
Que Maria, Mãe do Salvador, fiel aos pés da cruz e no coração da Igreja, nos ampare com a sua solícita presença, e a bênção do Ressuscitado nos acompanhe no caminho rumo à luz pascal.
Roma, em São João de Latrão, na Memória de São Martinho de Tours, 11 de novembro de 2020.
Francisco
[00189-PO.01] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua polacca
„Oto idziemy do Jerozolimy…” (Mt 20, 18).
Wielki Post: czas na odnowę wiary, nadziei i miłości.
Drodzy bracia i siostry,
zapowiadając uczniom swoją mękę, śmierć i zmartwychwstanie, aby wypełnić wolę Ojca, Jezus ukazuje im głęboki sens swojej misji i wzywa ich do zjednoczenia się z nią dla zbawienia świata.
Podążając wielkopostną drogą, która prowadzi nas do uroczystości wielkanocnych, pamiętajmy o Tym, który „uniżył samego siebie, czyniąc się posłusznym aż do śmierci i to śmierci krzyżowej” (Flp 2, 8). W tym czasie nawrócenia odnówmy naszą wiarę, zaczerpnijmy „żywej wody nadziei” i przyjmijmy z otwartym sercem miłość Boga, która przemienia nas w braci i siostry w Chrystusie. W Noc Paschalną odnowimy przyrzeczenia naszego Chrztu, aby odrodzić się jako nowi mężczyźni i nowe kobiety, dzięki działaniu Ducha Świętego. Jednak sama wielkopostna wędrówka, podobnie jak cała chrześcijańska droga, jest już w całości oświetlona światłem Zmartwychwstania, które ożywia uczucia, postawy i wybory tych, którzy chcą naśladować Chrystusa.
Post, modlitwa i jałmużna, przedstawione przez Jezusa w Jego kazaniu (por. Mt 6, 1-18), są warunkami i znakami naszego nawrócenia. Droga ubóstwa i wyrzeczenia (post), spojrzenie i gesty miłości wobec zranionego człowieka (jałmużna) oraz synowski dialog z Ojcem (modlitwa) pozwalają nam wcielić w życie szczerą wiarę, żywą nadzieję i czynną miłość.
1. Wiara wzywa nas do przyjęcia Prawdy i do stania się jej świadkami przed Bogiem i przed wszystkimi naszymi braćmi i siostrami.
W tym czasie Wielkiego Postu przyjęcie i przeżywanie Prawdy objawionej w Chrystusie oznacza przede wszystkim zgodę na dotknięcie słowem Bożym, które Kościół przekazuje nam z pokolenia na pokolenie. Prawda ta nie jest konstrukcją intelektualną, zarezerwowaną dla nielicznej grupy wybranych, wyższych lub wyróżniających się umysłów, ale jest przesłaniem, które otrzymujemy i możemy zrozumieć dzięki mądrości serca otwartego na wielkość Boga, który nas kocha, zanim sami staniemy się tego świadomi. Tą Prawdą jest sam Chrystus, który przyjmując całkowicie nasze człowieczeństwo uczynił siebie Drogą – wymagającą, ale otwartą dla wszystkich – prowadzącą do pełni życia.
Post przeżywany jako doświadczenie wyrzeczenia prowadzi tych, którzy go praktykują w prostocie serca, do ponownego odkrycia daru Bożego i do zrozumienia prawdy o nas, jako stworzonych na Jego obraz i podobieństwo, i znajdujących w Nim spełnienie. Zgadzając się na ubóstwo i doświadczając go, ten kto pości, czyni siebie ubogim z ubogimi i „gromadzi” skarb otrzymanej i dzielonej z innymi miłości. Tak rozumiany i praktykowany post pomaga kochać Boga i bliźniego, ponieważ – jak uczy św. Tomasz z Akwinu – miłość jest poruszeniem, które skupia uwagę na drugim, uważając go „za jedno z samym sobą” (por. Enc. Fratelli tutti, 93).
Wielki Post to czas wiary, to znaczy: przyjęcia Boga w naszym życiu i umożliwienia Mu „zamieszkiwania” z nami (por. J 14, 23). Post oznacza uwolnienie naszej egzystencji od wszystkiego, co ją przytłacza, także od przesytu informacji – prawdziwych czy fałszywych – i od dóbr konsumpcyjnych, aby otworzyć drzwi naszego serca dla Tego, który przychodzi do nas ogołocony ze wszystkiego, ale „pełen łaski i prawdy” (J 1, 14): Syna Bożego, Zbawiciela.
2. Nadzieja jako “żywa woda”, która pozwala nam kontynuować naszą podróż.
Samarytanka, którą Jezus prosi, aby dała Mu się napić przy studni, nie pojmuje, kiedy mówi On, iż może ofiarować jej „żywą wodę” (J 4, 10). Na początku myśli ona naturalnie o zwykłej wodzie, Jezus natomiast ma na myśli Ducha Świętego, którego da w obfitości w Tajemnicy Paschalnej i który obdarowuje nas niezawodną nadzieją. Już w zapowiedzi swojej męki i śmierci Jezus zwiastuje nadzieję, gdy mówi: „a trzeciego dnia zmartwychwstanie” (Mt 20, 19). Jezus mówi nam o przyszłości otwartej na oścież przez miłosierdzie Ojca. Mieć nadzieję z Nim i dzięki Niemu, to wierzyć, że historia nie kończy się na naszych błędach, na naszej przemocy i niesprawiedliwości oraz na grzechu, który Miłość przybija do krzyża. Oznacza to czerpanie ojcowskiego przebaczenia z Jego otwartego serca.
W obecnym kontekście niepokoju, w którym żyjemy i w którym wszystko wydaje się kruche i niepewne, mówienie o nadziei może wydawać się prowokacją. Czas Wielkiego Postu jest jednak po to, aby z nadzieją zwrócić nasze spojrzenie ku cierpliwości Boga, który nadal troszczy się o swoje stworzenie, podczas gdy my często traktowaliśmy je źle (por. Enc. Laudato si’, 32-33.43-44). Jest to nadzieja na pojednanie, do którego św. Paweł gorąco nas wzywa: „pojednajcie się z Bogiem” (2 Kor 5, 20). Otrzymując przebaczenie w Sakramencie, który znajduje się w samym centrum naszego procesu nawrócenia, stajemy się z kolei krzewicielami przebaczenia: otrzymawszy je sami, możemy je ofiarować innym poprzez zdolność do prowadzenia troskliwego dialogu i przyjmowania postawy, która daje pociechę poranionym. Boże przebaczenie, także poprzez nasze słowa i gesty, pozwala nam przeżywać Wielkanoc braterstwa.
W Wielkim Poście bądźmy bardziej czujni, aby używać „słów otuchy, które koją, umacniają, dają pociechę, które pobudzają, a nie słów, które poniżają, zasmucają, drażnią, gardzą” (Enc. Fratelli tutti, 223). Czasami, by dać nadzieję, wystarczy być „człowiekiem uprzejmym, który odkłada na bok swoje lęki i pośpiech, aby zwrócić na kogoś uwagę, aby podarować uśmiech, aby powiedzieć słowo, które by dodało otuchy, aby umożliwić przestrzeń słuchania pośród wielkiej obojętności” (tamże, 224).
W skupieniu i cichej modlitwie, nadzieja jest nam dana jako natchnienie i wewnętrzne światło, które oświeca wyzwania i wybory związane z naszym powołaniem: dlatego istotne jest, aby zebrać się w sobie do modlitwy (por. Mt 6, 6) i spotkać w ukryciu Ojca czułości.
Przeżywać Wielki Post z nadzieją oznacza mieć świadomość, że w Jezusie Chrystusie jesteśmy świadkami nowego czasu, w którym Bóg „czyni wszystko nowym” (por. Ap 21, 1-6). Oznacza, że mamy udział w nadziei Chrystusa, który oddaje swoje życie na krzyżu i którego Bóg wskrzesza trzeciego dnia, „zawsze gotowi do obrony wobec każdego, kto domaga się od [nas] uzasadnienia tej nadziei, która w [nas] jest” (1 P 3, 15).
3. Miłość, przeżywana jako naśladowanie Chrystusa, z uwagą i współczuciem dla każdego, jest najwyższym wyrazem naszej wiary i nadziei.
Miłość cieszy się, widząc kiedy inny wzrasta. Oto, dlaczego cierpi, gdy bliźni jest w udręce: samotny, chory, bezdomny, pogardzany, w potrzebie... Miłość jest porywem serca, który sprawia, że przekraczamy samych siebie i który stwarza więź wzajemnego dzielenia się i komunii.
„Zaczynając od «miłości społecznej», można podążać w kierunku cywilizacji miłości, do której wszyscy możemy czuć się powołani. Miłość, z jej uniwersalnym dynamizmem, może budować nowy świat, ponieważ nie jest uczuciem jałowym, ale najlepszym sposobem na osiągnięcie skutecznych dróg rozwoju dla wszystkich” (Enc. Fratelli tutti, 183).
Miłość jest darem, który nadaje sens naszemu życiu i dzięki któremu ludzi pozbawionych środków do życia uważamy za członków naszej rodziny, przyjaciół i braci. Niewiele, jeśli jest dzielone z miłością, nigdy się nie kończy, ale staje się rezerwą życia i szczęścia. Tak było z mąką i oliwą wdowy w Sarepcie, która ofiarowuje podpłomyk prorokowi Eliaszowi (por. 1 Krl 17, 7-16); oraz z bochenkami, które Jezus błogosławi, łamie i daje uczniom, aby rozdawali tłumom (por. Mk 6, 30-44). Tak dzieje się z naszą jałmużną, małą czy dużą, ofiarowaną z radością i prostotą.
Przeżywanie Wielkiego Postu miłości oznacza opiekę nad tymi, którzy cierpią, są opuszczeni lub udręczeni z powodu pandemii Covid-19. W kontekście wielkiej niepewności jutra, pamiętając o słowie skierowanym przez Boga do swego Sługi: „Nie lękaj się, bo cię wykupiłem” (Iz 43, 1), ofiarujmy wraz z naszym gestem miłości słowo ufności, i sprawmy, by bliźni poczuł się kochany przez Boga jak dziecko.
„Tylko spojrzenie, którego perspektywa została przekształcona miłością, prowadzi do pojęcia godności drugiego człowieka; ubodzy są uznani i docenieni w ich niezmiernej godności, poszanowani w swoim własnym stylu i kulturze, a zatem prawdziwie włączeni w społeczeństwo” (Enc. Fratelli tutti, 187).
Drodzy bracia i siostry, każdy etap życia jest czasem wiary, nadziei i miłości. To wezwanie do przeżywania Wielkiego Postu jako drogi nawrócenia, modlitwy i dzielenia się naszymi dobrami, niech nam pomoże powrócić naszą osobistą i wspólnotową pamięcią do tej wiary, która pochodzi od żywego Chrystusa, do nadziei ożywionej tchnieniem Ducha Świętego i do miłości, której niewyczerpanym źródłem jest miłosierne serce Ojca.
Niech Maryja, Matka Zbawiciela, trwająca wiernie u stóp krzyża i w sercu Kościoła, wspiera nas swoją troskliwą obecnością, a błogosławieństwo Zmartwychwstałego niech towarzyszy nam w naszej wędrówce ku światłu Wielkiej Nocy.
Rzym, u Świętego Jana na Lateranie, 11 listopada 2020 r., we wspomnienie św. Marcina z Tours
Franciszek
[00189-PL.01] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua araba
"ها نَحنُ صاعِدونَ إِلى أُورَشَليم" (متى 20، 18)
الصوم الأربعيني: زمن تجديد الإيمان والرجاء والمحبّة
أيّها الإخوة والأخوات الأعزّاء،
حين أعلن يسوع لتلاميذه عن آلامه وموته وقيامته، تحقيقًا لمشيئة الآب، كشف لهم المعنى العميق لرسالته ودعاهم إلى المشاركة بها من أجل خلاص العالم.
في اتّباعنا مسيرة الصوم، التي تقودنا نحو احتفالات الفصح، نتذكّر الذي "وضَعَ نَفْسَه وأَطاعَ حَتَّى المَوت مَوتِ الصَّليب" (في 2، 8). في زمن التوبة هذا نجدّد إيماننا، ونستمدّ "ماء الرجاء الحيّ" ونقبل بقلب منفتح محبّةَ الله التي تجعل منّا إخوة وأخوات في المسيح. سوف نجدّد وعودَ معموديّتنا ليلةَ الفصح حتى نولَد من جديد رجالًا ونساءً جددًا بفضل عمل الروح القدس. لكن مسيرة الصوم الأربعيني كما والمسيرة المسيحيّة بأكملها هي سلفًا في ضوء القيامة التي تُلهِم مشاعرَ ومواقف وخيارات الذين يريدون اتّباع المسيح.
إن الصوم والصلاة والصدقة، كما قدّمها يسوع في كرازته (را. متى 6، 1- 18)، هي شروط توبتنا وعلامات لها. فطريق الفقر والحرمان (الصوم)، والمحبّة تجاه أيّ شخص مجروح عبر نظرةٍ أو أعمالٍ (الصدقة)، والحوار الأبويّ مع الآب (الصلاة)، كلّها تسمح لنا بأن نُظهِرَ إيمانًا صادقًا، ورجاءً حيًّا ومحبّة عاملة.
1. يدعونا الإيمان لأن نقبل الحقّ ولأن نصبح شهودًا، أمام الله وأمام جميع الإخوة والأخوات.
أن نقبل الحقّ الذي ظهر في المسيح ونعيشه، في زمن الصوم الأربعيني هذا، يعني أوّلًا أن نسمح لكلمة الله أن تُدرِكَنا، وأن ننالها من الكنيسة من جيلٍ إلى جيل. هذه الحقيقة ليست من صنع العقل، ولا تحتكرها نخبةٌ من عقول متفوّقة أو متميّزة، إنما هي رسالة نقبلها ونستطيع فهمها بفضل فطنة القلب، المنفتح على عظمة الله الذي أحبّنا قبل أن ندرك حبّه هذا لنا. وهذا الحقّ هو المسيح نفسه، الذي صار الطريق –طريقًا صعبًا ولكنّه مفتوح للجميع-، إذ اتّخذ بشريّتنا حتى النهاية. صار الطريق الذي يقود إلى ملء الحياة.
إن الصوم يقود الذين يعيشونه كتجربة حرمان ببساطة قلب، إلى إعادة اكتشاف عطيّة الله وفهم واقعنا كخلائقٍ صُنِعنا على صورته ومثاله، وفيه نجد كمالنا. والذين يصومون، عبر خبرة فقر طوعيّة، يصبحون فقراء مع الفقراء و "يكنزون" كنز المحبّة التي ينالونها ويتقاسمونها. إذا فهمنا الصوم ومارسناه بهذه الطريقة، لَساعدنا في محبّة الله والقريب لأن المحبّة -كما يعلّم القدّيس توما الأكويني- هي حركة تُركِّز الانتباهَ على الآخر "معتبرة إيّاه واحدًا مع الشخص نفسه" (را. الرسالة العامة Fratelli tutti، عدد 93).
الصوم الأربعيني هو زمن الإيمان بالله، أو زمن قبوله في حياتنا والسماح له "بالإقامة" معنا (را. يو 14، 23). الصوم يعني أن نحرّر حياتنا من كلّ ما يثقلها، حتى من المعلومات الساحقة -الصحيحة أو الخاطئة- والمنتجات الاستهلاكية، لكي نفتح أبواب قلوبنا للذي يأتي إلينا فقيرًا في كلّ شيء، ولكن "مِلؤُه النِّعمَةُ والحَقّ" (يو 1، 14): ابن الله المخلّص.
2. الرجاء مثل "ماء حيّ" يسمح لنا أن نتابع مسيرتنا
لم تفهم المرأة السامرية، التي طَلَب منها يسوع أن تسقيه قرب البئر، عندما قال لها أنه يستطيع أن يعطيها "ماءً حَيًّا" (يو 4، 11). فكّرت أوّلًا في الماء المادّي بالطبع، لكن يسوع كان يعني الروح القدس، الذي سوف يمنحه بوفرةٍ في سرّ الفصح، والذي يبعث فينا الرجاء الذي لا يخيّب. عندما أعلن يسوع عن آلامه وموته، أعلن أيضًا الرجاء، عندما قال: "وفي اليومِ الثَّالثِ يَقوم" (متى 20، 19). يكلّمنا يسوع عن المستقبل الذي تفتح أبوابَه رحمةُ الآب. أن نرجو معه وبنعمته يعني أن نؤمن بأن التاريخ لا ينتهي عند أخطائنا وعنفنا وظلمنا والخطيئة التي تَصلُب المحبّة. ويعني أيضًا أن نستمدّ مغفرةَ الآب من قلبه المفتوح.
في السياق الحالي المحفوف بالقلق الذي نعيش فيه والذي يبدو فيه كلّ شيء هشًا وغير مضمون، قد يبدو الحديث عن الرجاء وكأنّه استفزاز. لكنّ زمن الصوم الأربعيني هو مخصّص للرجاء، ولكي نعود فنوجّه نظرنا إلى صبر الله الذي يستمرّ في الاهتمام بخلقه، في حين أننا غالبًا ما نسيء معاملته (را. الرسالة العامة كُن مسبّحًا، 32- 33. 43- 44). هو رجاءٌ في المصالحة التي يحثّنا عليها القدّيس بولس بشدّة: "نَسأَلُكُم بِاسمِ المسيح أَن تَدَعوا اللّهَ يُصالِحُكُم" (2 قور 5، 20). فإذا نلنا المغفرة، ضمن السرّ الذي هو في صميم عمليّة توبتنا، لَنشرنا نحن أيضًا بدورنا المغفرة: بعد أن نلناها بذواتنا، يمكننا أن نمنحها من خلال قدرتنا على عيش حوار مُحِبّ وعلى تبنّي سلوك يعطي الأشخاص المجروحين بعض الراحة. إن مغفرة الله تسمح لنا، أيضًا من خلال كلامنا وأعمالنا، أن نعيش فصحًا من الأخوّة.
لِنَكُن في الصوم الأربعيني أكثر حرصًا على "قول كلمات تشجيع، تقوّي، وتعزّي، وتحفّز"، بدلاً من أن "تذلّ، أو تُحزِن، أو تُغضِب، أو تحتقر" (الرسالة العامة Fratelli tutti FT، عدد 223). فلكي أمنح الرجاء يكفي في بعض الأحيان أن أكون "شخصًا لطيفًا، يضع جانبًا همومه وإلحاحه للانتباه، لإعطاء ابتسامة، لقول كلمة تحفيز، لإفساح المجال للاستماع فيما بينهما إلى الكثير من اللامبالاة" (نفس المرجع، 224).
ننال الرجاء في الخشوع والصلاة الصامتة، بشكل إلهامٍ ونورٍ داخلي، ينير تحدّيات رسالتنا وخياراتها: ولهذا السبب، لَمِن الأساسي أن نجتمع معًا للصلاة (را. متى 6، 6) وأن نلتقي سرًا بالله، أبي الحنان.
وأن نعيش الصوم برجاء يعني الشعور بأننا في المسيح يسوع، وأننا شهودٌ للزمن الجديد، حيث "يجعل الله كلّ شيء جديدًا" (را. رؤيا 21، 1- 6). ويعني أن نقبل رجاءَ المسيح الذي يبذل حياته على الصليب والذي أقامه الله في اليوم الثالث، وأن نكون "مُستَعِدِّينَ لأَن نَرُدّ على مَن يَطلُبُ مِنا دَليلَ ما نحن علَيه مِنَ الرَّجاء" (را. 1 بط 3، 15).
3. المحبّة التي نعيشها على خطى المسيح، في انتباه لكلّ شخص وتعاطف معه، هي أسمى تعبير عن إيماننا ورجائنا
إن المحبّة تفرح في رؤية الآخر ينمو. لهذا السبب تتألّم عندما يكون الآخر في ضيق: وحيد، مريض، بلا مأوى، مُحتقر، محتاج ... المحبّة هي اندفاع القلب الذي يجعلنا نخرج من ذواتنا ويولّد رباطَ المشاركة والشركة الروحيّة.
"انطلاقًا من المحبّة الاجتماعيّة من الممكن أن نتقدّم نحو حضارة المحبّة التي نستطيع جميعًا أن نشعر أننا مدعوّون إليها. تستطيع المحبّة، بديناميكيتها الشاملة، أن تبني عالمًا جديدًا، لأنها ليست شعورًا عقيمًا، بل أفضل طريقة لتحقيق مسارات إنمائية فعّالة للجميع" (FT، عدد 183).
المحبّة هي هبة تعطي معنى لحياتنا وبفضلها ننظر إلى الذين يعانون الحرمان، أكان فردًا من عائلتنا أو صديقًا لنا أو أخًا. إذا شاركنا ولو بالقليل ولكن بمحبّة، فلن ينتهي أبدًا، بل يتحوّل إلى مخزون من الحياة والسعادة. هذا ما حدث للدقيق والزيت لدى أرملة صَرفَتَ التي قدّمت رغيفًا للنبيّ إيليا (را. 1 مل 17، 7- 16)؛ وللأرغفة التي باركها يسوع، وكسرها وأعطاها للتلاميذ حتى يوزّعوها على الجموع (را. يو 6، 1- 15). وهكذا يحدث لصدقاتنا، سواء كانت صغيرة أم كبيرة، إذا قُدِّمَت بفرح وبساطة.
إن عيش الصوم الأربعيني بالمحبّة يعني الاهتمام بالذين يعيشون في حالة معاناةٍ أو تخلٍّ أو ضيق بسبب جائحة فيروس كورونا. في سياق عدم اليقين الكبير هذا بشأن الغد، فلنقدّم مع محبّتنا كلمةَ ثقة، ونجعل الآخر يشعر أن الله يحبّه مثل ابن له، متذكّرين الكلمةَ التي وجّهها الله إلى خادمه: "لا تَخَفْ فإِنِّي قَدِ افتَدَيتُكَ" (إش 43، 1).
"ليس باستطاعتنا أن نكتشف الفقراء ونقيّمهم في كرامتهم العظيمة، ونحترمهم في أسلوبهم الخاص وفي ثقافتهم، وبالتالي أن ندمجهم حقًا في المجتمع، إلّا عبر نظرة قد غيّرت المحبةُ أفقَها، فقادتها إلى إدراك كرامة الآخر" (FT، عدد 187).
أيها الإخوة والأخوات الأعزّاء، كلّ مرحلة من مراحل الحياة هي زمن الإيمان والرجاء والمحبّة. وهذه الدعوة إلى أن نعيش الصومَ الأربعيني كمسيرة توبة وصلاة ومشاركة بخيراتنا، تساعدنا على العودة إلى ذاكرتنا الجماعيّة والشخصيّة، حتى نسترجع الإيمانَ النابع من المسيح الحيّ، والرجاء الذي تحييه نفخة الروح، والمحبّة التي تنبع من قلب الآب الرحيم الذي لا ينضب.
ولتكن مريم، أمّ المخلّص، الأمينة عند أقدام الصليب وفي قلب الكنيسة، عضدًا لنا بحضورها العطوف، ولترافقنا بركة القائم من الموت في مسيرتنا نحو نور القيامة.
روما، كاتدرائية القدّيس يوحنا اللاتيراني، 11 تشرين الثاني / نوفمبر 2020، في تذكار القدّيس مارتين التوري.
فرنسيس
[00189-AR.01] [Testo originale: Italiano]
[B0091-XX.02]