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Conferenza Stampa di presentazione del Documento della Pontificia Accademia per la Vita: “La vecchiaia: il nostro futuro. La condizione degli anziani dopo la pandemia”, 09.02.2021


Intervento di S.E. Mons. Vincenzo Paglia

Intervento di Mons. Bruno-Marie Duffè

Intervento della Prof.ssa Etsuo Akiba

Alle ore 11.30 di questa mattina, in diretta streaming dall’Aula “Giovanni Paolo II” della Sala Stampa della Santa Sede, ha avuto luogo la Conferenza Stampa di presentazione del Documento della Pontificia Accademia per la Vita: “La vecchiaia: il nostro futuro. La condizione degli anziani dopo la pandemia”.

Sono intervenuti: S.E. Mons. Vincenzo Paglia, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita; Mons. Bruno-Marie Duffè, Segretario del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale; e la Prof.ssa Etsuo Akiba, Docente all’Università di Toyama (Giappone), Accademico Ordinario della Pontificia Accademia per la Vita, in collegamento dalla città giapponese.

Ne riportiamo di seguito gli interventi:

Intervento di S.E. Mons. Vincenzo Paglia

Testo in lingua italiana

Traduzione in lingua inglese

Testo in lingua italiana

Permettetemi, anzitutto, un ringraziamento a Papa Francesco per l’istituzione della “Giornata mondiale dei nonni e degli anziani” che si terrà quest’anno il 25 luglio, nella vigilia della festa dei santi Gioacchino ed Anna. È un invito ai credenti perché cresca in loro e attorno a loro una nuova sensibilità verso i nonni e gli anziani. Più volte gli ultimi pontefici sono intervenuti per richiamare tutti ad una attenzione nuova nei confronti degli anziani. Basti ricordare la Lettera agli Anziani di San Giovanni Paolo II, alcuni preziosi interventi di Benedetto XVI e l’intenso Magistero di Papa Francesco con l’indimenticabile festa degli anziani a Roma nel 2017. Il Papa che non cessa di contrastare quella “cultura dello scarto” che porta ad abbandonare egli anziani esorta in ogni modo a prenderci cura della rete degli affetti e dei legami che uniscono le generazioni, perché la famiglia e la comunità cristiana siano una casa accogliente per tutti, dai piccoli ai nonni, e la trasmissione della cultura e della fede tra le generazioni sia fluida e viva.

L’Accademia per la Vita, con questa Nota, intende sottolineare l’urgenza di una nuova attenzione alle persone anziane che in questi ultimi decenni sono aumentate ovunque di numero. Senza tuttavia che aumentasse la prossimità verso di loro e ancor meno una comprensione adeguata alla grande rivoluzione demografica di questi ultimi decenni. La pandemia da COVID-19 – che ha trovato negli anziani le vittime più numerose - ha rilevato questa incapacità della società contemporanea di prendersi cura in maniera adeguata dei propri anziani. Con la pandemia, quella cultura dello “scarto” che papa Francesco ha più volte richiamato, ha causato tragedie innumerevoli abbattutesi sugli anziani. In tutti i continenti la pandemia ha colpito innanzi tutto chi è vecchio. I dati dei decessi sono brutali nella loro crudeltà. A tutt’oggi si parla di più di due milioni e trecentomila anziani morti per il Covid-19, la maggioranza dei quali ultrasettantacinquenni. Una vera e propria “strage di anziani”. E la maggioranza di essi è deceduta negli istituti per anziani. I dati di alcuni paesi – ad esempio l’Italia – mostrano che la metà degli anziani vittime da Covid-19 viene dagli istituti e dalle Rsa, mentre solo un 24 per cento del totale dei decessi riguarda gli anziani e i vecchi che vivevano a casa. Insomma, il 50% delle morti è avvenuto tra i circa 300.000 ospiti di case di riposo ed RSA mentre solo il 24% ha colpito i 7 milioni di anziani over 75 che vivono a casa. La propria dimora, anche durante la pandemia, a parità di condizioni, ha protetto molto di più. E tutto questo si è ripetuto in Europa e in tante altre parti del mondo. Una ricerca dell’Università di Tel Aviv sui paesi europei ha evidenziato la relazione proporzionale diretta tra numero di posti letto nelle RSA e numero dei morti anziani. In ogni paese rimane sempre identica la proporzione: al crescere dei posti letto risulta aumentato anche il numero delle vittime nella popolazione anziana. Non credo sia un caso. Quanto è accaduto tuttavia impedisce di liquidare la questione della cura degli anziani con la immediata ricerca di capri espiatori, di singoli colpevoli. D’altra parte, sarebbe incomprensibile un silenzio colpevole e sospetto.

È urgente ripensare globalmente la prossimità della società verso gli anziani. Nel sistema di cura e assistenza degli anziani molto è da rivedere. L’istituzionalizzazione degli anziani nelle case di riposo, in ogni paese, non ha garantito necessariamente migliori condizioni di assistenza, tanto meno per chi tra loro è più debole. È necessario un serio ripensamento non solo relativamente alle residenze per gli anziani ma per l’intero sistema assistenziale del vasto popolo di anziani che oggi caratterizza tutte le società. Papa Francesco ha ricordato che, dalla pandemia, non si esce come prima: o siamo migliori oppure peggiori. Dipende da noi e da come iniziamo già da oggi a costruire il futuro. Questa Nota – la terza che l’Accademia emana in relazione alla pandemia – vuole aiutare l’edificazione di un nuovo futuro per gli anziani nella società.

È responsabilità della Chiesa assumere una vocazione profetica che indichi l’alba di un tempo nuovo. Non possiamo non impegnarci per una profonda visione che guidi la cura della terza e della quarta età. Lo dobbiamo ai nostri anziani, a tutti coloro che lo diventeranno negli anni a venire. La civiltà di un’epoca si misura a partire da come trattiamo chi è più debole e fragile. La morte e la sofferenza dei più vecchi non possono non rappresentare una chiamata a fare meglio, a fare diversamente, a fare di più. Lo dobbiamo ai nostri ragazzi, a chi è giovane e all’inizio della vita: educare alla vita del Vangelo significa anche insegnare che la debolezza – anche quella dei vecchi - non è una maledizione ma una via per incontrare Dio nel volto di Gesù Cristo. La fragilità, con gli occhi del Vangelo, può diventare una forza e uno strumento di evangelizzazione.

La Chiesa, maestra di vita, dovrà sempre più reinterpretare – all’interno di un mondo nuovo e in evoluzione - la propria vocazione ad essere un modello e un faro per tante famiglie e per l’intera società perché chi invecchia sia sostenuto e aiutato nel rimanere a casa propria e comunque a non abbandonarlo mai.

[00169-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua inglese

First of all, allow me to thank Pope Francis for the institution of the "World Day of Grandparents and the Elderly" which will be celebrated this year on July 25, on the eve of the feast of Saints Joachim and Anna. That is an invitation to believers to grow in them and around them a new sensitivity and care towards grandparents and the elderly. Several times the last popes have spoken in order to draw everyone’s attention to the elderly. Suffice it to recall the Letter to the Elders of Saint John Paul II, some precious speeches by Benedict XVI and the intense Magisterium of Pope Francis with the unforgettable feast of the elderly held in Rome in 2017. The Pope who never ceases to combat that "culture of waste" which leads to abandoning the elderly, urges us in every way to take care of the affective network that unites the generations, so that the family and the Christian community may be a welcoming home for everyone, from children to grandparents, and the transmission of culture and faith between generations may be flowing and alive.

With this Note, the Academy for Life intends to underline the urgency of a new attention to elderly people who in recent decades have increased in numbers everywhere. There hasn’t been, however, an increased closeness to them or an adequate understanding of the great demographic revolution of these last decades. The COVID-19 pandemic – whose most numerous victims have been the elderly - has revealed this inability of contemporary society to take proper care of its elderly. With the pandemic, that "throwaway" culture that Pope Francis has repeatedly recalled has caused countless tragedies among the elderly. On all continents, the pandemic has primarily affected those who are old. The death tolls are brutal in their cruelty. To date, there is talk of more than two million and three hundred thousand elderly people who have died from Covid-19, the majority of whom were over 75. A real "massacre of the elderly". And the majority of them died in institutions for the elderly. Data from some countries - for example Italy - show that half of the elderly victims of Covid-19 came from institutions and residential care homes, while only 24 percent of overall deaths concern the elderly who lived at home. In short, 50% of deaths occurred among the approximately 300,000 guests of nursing homes, while only 24% affected the 7 million elderly over 75 who lived at home. On equal terms, their home, even during the pandemic, protected them much more. And all this took place in Europe and in many other parts of the world. A research by Tel Aviv University on European countries has highlighted the direct proportional relationship between the number of beds in nursing homes and the number of elderly deaths. This proportion remains the same in each country: as the number of beds increases, the number of victims in the elderly population also increases. I don't think that's a coincidence. However, what happened prevents the question of caring for the elderly from being dismissed with the immediate search for scapegoats, for individual culprits. On the other hand, a guilty and suspicious silence would be incomprehensible.

It is necessary to globally rethink society's closeness to the elderly. Much needs to be reviewed in the care system for the elderly. The institutionalization of the elderly in nursing homes, in every country, has not necessarily guaranteed elderly people, especially those who are weaker, better conditions of care. A serious rethinking is needed not only in relation to residences for the elderly but for the entire care system of the numerous elderly population that today characterizes all societies. Pope Francis recalled that we won’t emerge from the pandemic as we were before: either we will be better or we will be worse. That depends on us, on the way we start building our future today. This Note - the third issued by the Academy in relation to the pandemic - aims to help build a new future for the elderly in society.

It is the Church’s responsibility to take on a prophetic vocation pointing to the dawn of a new time. We cannot fail to commit ourselves to a deep vision able to guide the care of the third and fourth age. We owe it to our elders, to all those who will become so in the years to come. The level of civilization of an era is measured by the way we treat those who are weaker and more fragile. The death and suffering of the oldest cannot fail to be a call to do better, to do differently, to do more. We owe it to our children, to those who are young and at the beginning of life: educating to the life of the Gospel also means teaching that weakness - even that of the elderly - is not a curse but a way to encounter God in the face of Jesus Christ. Through the eyes of the Gospel frailty can become a strength and an instrument of evangelization.

Within a new and evolving world, the Church, teacher of life, will have to increasingly reinterpret its vocation to be a role model and a beacon for many families and for society as a whole so that aging people are supported and helped in their stay at home and in any case they are never abandoned.

[00169-EN.01] [Original text: Italian]

Intervento di Mons. Bruno-Marie Duffè

Testo in lingua francese

Traduzione in lingua italiana

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua spagnola

 

Testo in lingua francese

Dans son Exhortation Apostolique «Christus vivit» qui faisait suite au Synode sur les jeunes, la vocation et le discernement, le Saint Père évoque le témoignage d’un jeune auditeur du Synode, venant des Iles Samoa.

Ce jeune, dit le Saint Père, parle de l’Eglise comme d’une «pirogue, sur laquelle les vieux aident à maintenir la direction en interprétant la position des étoiles, et les jeunes rament avec force en imaginant ce qui les attend plus loin» (Christus vivit n.201).

Cette belle comparaison de l’Eglise comme une pirogue peut également être appliquée à la société. Car si nous perdons les conseils des anciens, pour avancer sur le fleuve souvent tumultueux de notre histoire, nous risquons de perdre la mémoire. Et en perdant la mémoire, nous perdons aussi l’espoir (cfr. Le livre «La sagesse du temps» – dialogue avec le Pape François sur les grandes questions de la vie – sous la direction d’Antonio Spadaro, Venise, 2018) (Christus vivit n.196).

Les anciens sont notre mémoire et, en cela, ils sont, paradoxalement, notre espoir. Si nous prenons appui sur leur expérience et leurs découvertes, nous pouvons poursuivre l’aventure de l’histoire humaine. Car avec la mémoire, l’espoir est possible. Le paradoxe est en effet que les anciens ont toujours une longueur d’avance. Ils sont déjà passés par où nous passons. Et ils peuvent nous dire ce que peuvent produire certaines expériences que nous vivons pour la première fois.

Evidemment il est clair que chaque vivant doit parcourir son propre chemin. Car, comme le dit Saint Augustin, «le chemin n’existe que parce que tu le parcours». Le chemin est donc la parabole de l’existence humaine. Mais nous ne sommes jamais seul sur ce chemin: les anciens peuvent nous conseiller et les plus jeunes peuvent nous encourager.

La culture technicienne, qui place au cœur de la pensée et de la vie, l’efficacité immédiate, nous conduit bien souvent à abandonner les anciens, considérés comme moins «productifs». Il y a des entreprises industrielles où l’on est considéré comme vieux à cinquante ans et parfois même remercié au profit d’un plus jeune, plus «agressif» … L’individualisme, analysé par le Pape François, dans sa dernière encyclique «Fratelli tutti», comme la pensée d’un monde clos et égocentrique, participe à cette culture dans laquelle nous n’avons pas besoin des autres: pas besoin des vieux, pas besoin de ceux qui vont plus doucement. Les vieux sont, par définition, dans cette culture, des «has been».

Il résulte de cela une double conséquence: les anciens, qui ne participent plus directement, aux processus de production économique, ne sont plus prioritaires dans notre société. Et, en contexte d’épidémie, ils sont pris en charge après les autres, les «productifs», alors même qu’ils sont plus fragiles. L’ordre d’accès aux soins d’urgence a montré, plus d’une fois, qu’ils ne pouvaient pas bénéficier des thérapies d’assistance respiratoire. L’autre versant de cette même conséquence, c’est la brisure du lien entre les générations: les enfants et les jeunes ne pouvant plus rencontrer les anciens, maintenus en confinement strict. Cela a parfois entrainé des troubles psychiques chez certains enfants ou jeunes qui avaient besoin de voir leurs grands parents. Tout comme les grands parents avaient besoin de voir leurs petits-enfants, sous peine de mourir d’un autre virus: le chagrin.

Ainsi pouvons-nous dire que la crise sanitaire a mis en lumière une composante majeure de la relation sociale. La capacité à relever le défi de la vie – ses inconnues et ses joies – repose, pour une part, sur l’inspiration propre au dialogue entre les générations. Un dialogue qui peut s’offrir par la parole ou par le silence, par le dessin offert par l’enfant et qui fait encore rêver l’ancien. Enfin par la tendresse de leurs regards qui se croisent et s’encouragent.

Le rêve et la tendresse. C’est bien de cela dont il s’agit. Si les anciens continuent à rêver, les plus jeunes peuvent continuer d’inventer. Si le regard de l’ancien encourage avec douceur les projets du plus jeune, l’un et l’autre vivent dans l’espérance qui traverse les peurs. Alors peut s’accomplir la parole du prophète Joël: «vos enfants prophétiseront et vos vieillards auront des songes». Tous les pédagogues et les pasteurs qui ont conduit des enfants vers des anciens savent que les enfants n’ont jamais oublié cette rencontre… d’un paysan, d’un pêcheur, d’un artiste, d’un inventeur, d’un mendiant de la rue ou d’un religieux dans son monastère. Car l’ancien n’a qu’une seule chose à vivre: offrir ce qu’il a découvert de la vie, pour que l’enfant ait encore – et toujours – le goût de découvrir et d’inventer la vie.

Que garderons-nous de cette terrible expérience d’une maladie qui a touché tous les âges et tous les peuples? Certains, ayant vécu la souffrance de la séparation, réapprennent, au sein de leur famille, le lien d’écoute et du soin entre les générations. D’autres gardent en eux-mêmes, dans le silence intime et la tristesse, le regard de ne pas avoir parlé plus avec ceux qui sont partis. Tous, nous comprenons que cette mémoire que portent les anciens, ils nous l’apportent dans la «fragilité des vases d’argile» - ainsi que le suggère l’Apôtre Saint Paul. Dans le trésor de la mémoire, il y a en effet la foi, reçue et offerte: ce goût de la vie éternelle qui est déjà commencée. Voilà pourquoi les générations, en se donnant la main, dans le geste de l’affection partagée, s’offrent l’une à l’autre la connaissance et le rêve: une espérance qui ne peut pas mourir parce qu’elle est le don même de Dieu.

[00119-FR.01] [Texte original: Français]

Traduzione in lingua italiana

Nella sua Esortazione Apostolica «Christus vivit», seguita al Sinodo dei Vescovi sui giovani, la vocazione e il discernimento, il Santo Padre rievoca la testimonianza di un giovane uditore del Sinodo stesso, proveniente dalle Isole Samoa.

Questo giovane, dice il Santo Padre, parla della Chiesa come di una «canoa, in cui gli anziani aiutano a mantenere la rotta interpretando la posizione delle stelle e i giovani remano con forza immaginando ciò che li attende più in là» (Christus vivit, 201).

Questo bellissimo paragone della Chiesa come canoa può essere applicato anche alla società. Infatti, se, avanzando lungo il fiume spesso tumultuoso della nostra storia, perdiamo i consigli degli anziani, rischiamo di perdere la memoria. E perdendo la memoria, perdiamo anche la speranza (cfr. il libro «La saggezza del tempo - in dialogo con Papa Francesco sulle grandi questioni della vita» – a cura di Antonio Spadaro, Venezia, 2018) (Christus vivit, 196).

Gli anziani sono la nostra memoria e, di conseguenza, sono, paradossalmente, la nostra speranza. Se ci basiamo sulla loro esperienza e sulle loro scoperte, possiamo continuare l'avventura della storia umana. Infatti, con la memoria, la speranza è possibile. Il paradosso è, dunque, questo: gli anziani sono sempre un passo avanti. Hanno già attraversato i luoghi che stiamo attraversando noi e possono dirci cosa produrranno certe esperienze che viviamo per la prima volta.

È evidente che ciascuno deve percorrere il proprio cammino, perché, come dice sant'Agostino, «il sentiero esiste solo perché tu lo percorri». Il cammino è, dunque, la parabola dell'esistenza umana, ma non siamo mai soli lungo la strada: gli anziani possono consigliarci e i più giovani possono incoraggiarci.

La cultura tecnicista, che pone al centro del pensiero e della vita l’efficacia immediata, ci porta spesso ad abbandonare gli anziani, a considerarli meno «produttivi». Del resto, ci sono aziende industriali nelle quali a cinquant'anni si è considerati anziani e, talvolta, si è perfino licenziati, a beneficio di persone più giovani, più «aggressive»... L'individualismo, che Papa Francesco, nella sua ultima enciclica «Fratelli tutti», considera il pensiero di un mondo chiuso ed egocentrico, fa parte di questa cultura in cui non c’è bisogno degli altri: non c'è bisogno degli anziani, non c'è bisogno di chi va più piano. In questa cultura, gli anziani sono, per definizione, «persone ormai al capolinea».

Da ciò una duplice conseguenza: gli anziani, che non partecipano più direttamente ai processi di produzione economica, non sono più considerati una priorità nella nostra società. E, nel contesto dell'attuale epidemia, sono presi in carico dopo gli altri, dopo le persone «produttive», anche se sono più fragili. L'ordine di accesso alle cure di emergenza ha dimostrato, più di una volta, che non hanno potuto beneficiare delle terapie di supporto vitale. L'altro aspetto di questa stessa conseguenza è la rottura del legame tra le generazioni: bambini e giovani non possono più incontrare gli anziani, tenuti in stretto confinamento. Questo a volte porta a veri e propri disturbi psichici in alcuni bambini o giovani che hanno bisogno di stare con i loro nonni, così come i nonni hanno bisogno di stare con i loro nipoti, altrimenti moriranno di un altro virus: il dolore.

Possiamo, dunque, affermare che l’emergenza sanitaria ha portato alla luce una componente importante della relazione sociale. La capacità di raccogliere la sfida della vita - le sue incognite e le sue gioie - si basa, in parte, sull'ispirazione, propria del dialogo tra generazioni: un dialogo che può essere fatto di parole o di silenzio, del disegno offerto da un bambino, che ancora fa sognare l’anziano, o dalla tenerezza dei loro sguardi, che si incrociano e si incoraggiano a vicenda.

Il sogno e la tenerezza: ecco di cosa si tratta. Se gli anziani continuano a sognare, i più giovani possono continuare a inventare. Se lo sguardo dell'anziano incoraggia dolcemente i progetti del più giovane, entrambi vivranno nella speranza che supera le paure. Allora la parola del profeta Gioele potrà adempiersi: «diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie e i vostri anziani faranno sogni». Tutti quegli educatori e pastori che hanno fatto sì che i bambini incontrassero gli anziani, sanno che quei bambini non hanno mai dimenticato quell’incontro: ... con un contadino, un pescatore, un artista, un inventore, un mendicante di strada o un religioso nel suo monastero. L’anziano, del resto, non ha che una cosa da fare: offrire ciò che ha scoperto della vita, in modo che il bambino sperimenti ancora - e sempre - il desiderio di scoprire e inventare la vita.

Cosa ci rimarrà di questa terribile esperienza di una malattia che ha colpito tutte le età e tutti i popoli? Alcuni, avendo sperimentato la sofferenza della separazione, reimparano, all'interno della famiglia, il vincolo dell'ascolto e della cura tra generazioni. Altri conservano dentro di sé, in intimo silenzio e con tristezza, uno sguardo e il rimpianto di non aver parlato più con chi se n'è andato. Comprendiamo tutti che gli anziani ci offrono la loro memoria, a partire dalla «fragilità dei vasi d'argilla» - come suggerisce l'Apostolo Paolo. Nel tesoro della memoria c'è davvero la fede, ricevuta e offerta: quel gusto della vita eterna che è già iniziata. Per questo, le generazioni, dandosi la mano, in un gesto di affetto condiviso, si offrono reciprocamente saperi e sogni: una speranza che non può morire perché è dono di Dio.

[00119-IT.01] [Testo originale: Francese]

 

Traduzione in lingua inglese

In His Apostolic Exhortation “Cristus vivit”, following the Synod of Bishops on young people, vocation and discernment, the Holy Father recalls the testimony of a young auditor of the Synod itself, from the Samoa Islands.

This young man, says the Holy Father, speaks of the Church as a “canoe, in which the elders help keep the course by interpreting the position of the stars and the young people row hard by imagining what awaits them further on”. (Cristus vivit, 201).

This beautiful comparison of the Church as a canoe can also be applied to society. For if, as we progress along the often tumultuous river of our history, we lose the advice of our elders, we risk losing our memory. And by losing memory, we also lose hope (cf. the book "The wisdom of time - in dialogue with Pope Francis on the great questions of life" - edited by Antonio Spadaro, Venice, 2018) (Cristus vivit, 196).

The elderly are our memory and, consequently, they are, paradoxically, our hope. If we draw on their experience and their discoveries, we can continue the adventure of human history. Indeed, with memory, hope is possible. The paradox, then, is this: the elderly are always one step ahead. They have already passed through the places we are passing through and can tell us what certain experiences we are having for the first time will produce.

It is clear that each person must walk his or her own path, because, as St Augustine says, 'the path exists only because you walk it'. The path is, therefore, the parable of human existence, but we are never alone along the way: the elderly can advise us and the younger ones can encourage us.

The technocratic culture, which places immediate effectiveness at the center of thought and life, often leads us to abandon older people, to consider them less 'productive'. Moreover, there are industrial companies in which people in their fifties are considered elderly and sometimes even dismissed, for the benefit of younger, more "aggressive" people... Individualism, which Pope Francis, in His latest encyclical "Fratelli tutti", considers to be the thinking of a closed and egocentric world, is part of this culture in which there is no need for others: there is no need for the elderly, there is no need for those who go slower. In this culture, the elderly are, by definition, 'people at the end of their tether'.

This has two consequences: the elderly, who no longer participate directly in the processes of economic production, are no longer considered a priority in our society. And, in the context of the current epidemic, they are taken care of after others, after the 'productive' people, even if they are more fragile. The order of access to emergency care has shown, more than once, that they have been unable to benefit from life-support treatment. The other aspect of this same consequence is the breaking of the link between generations: children and young people can no longer meet the elderly, who are kept in close confinement. This sometimes leads to real psychological disorders in some children or young people who need to be with their grandparents, just as grandparents need to be with their grandchildren, otherwise they will die of another virus: grief.

We can therefore say that the health emergency has brought to light an important component of social relationships. The ability to take up the challenge of life - its unknowns and its joys - is based, in part, on the inspiration of dialogue between generations: a dialogue that can be made up of words or silence, of the drawing offered by a child, which still makes the elderly person dream, or the tenderness of their gazes, which meet and encourage each other.

Dreaming and tenderness: that's what it's all about. If the elderly continue to dream, the younger can continue to invent. If the older person's gaze gently encourages the younger person's projects, both will live in the hope that overcomes fears. Then the word of the prophet Joel can be fulfilled: 'your sons and daughters shall become prophets, and your elders shall dream'. All those educators and pastors who made children meet the elderly, know that those children have never forgotten that encounter: ... with a farmer, a fisherman, an artist, an inventor, a street beggar or a religious in his monastery. The old man, after all, has only one thing to do: to offer what he has discovered about life, so that the child still - and always - experiences the desire to discover and invent life.

What will be left of this terrible experience of a disease that has affected all ages and all peoples? Some, having experienced the suffering of separation, relearn within the family the bond of listening and caring between generations. Others keep within themselves, in intimate silence and with sadness, a glance and the regret of not having spoken more with those who have left. We all understand that older people offer us their memory, starting from the "fragility of clay pots" - as the Apostle Paul suggests. In the treasure of memory there is indeed faith, received and offered: that taste of eternal life that has already begun. For this reason, the generations, shaking hands in a gesture of shared affection, offer each other knowledge and dreams: a hope that cannot die because it is a gift from God.

[00119-EN.01] [Original text: French]

 

Traduzione in lingua spagnola

En su exhortación apostólica "Christus vivit", que siguió al Sínodo sobre los jóvenes, la vocación y el discernimiento, el Santo Padre recordó el testimonio de un joven oyente del Sínodo de Samoa.

Este joven, dice el Santo Padre, habla de la Iglesia como de una " una canoa, en la cual los viejos ayudan a mantener la dirección interpretando la posición de las estrellas, y los jóvenes reman con fuerza imaginando lo que les espera más allá " (Christus vivit n.201).

Esta hermosa comparación de la Iglesia como una canoa puede aplicarse también a la sociedad. Porque si perdemos el consejo de los mayores, para avanzar en el « río », a menudo tumultuoso, de nuestra historia, corremos el riesgo de perder la memoria. Y al perder la memoria, perdemos también la esperanza.[1]

Los ancianos son nuestra memoria y, en esto, paradójicamente, son nuestra esperanza. Si nos basamos en su experiencia y sus descubrimientos, podremos continuar la aventura de la historia de la humanidad. Porque con la memoria, la esperanza es posible. La paradoja es que los antiguos siempre van un paso por delante. Ellos ya han pasado por lo que nosotros estamos pasando. Y pueden decirnos lo que pueden producir algunas de las experiencias que estamos viviendo por primera vez.

Por supuesto, está claro que cada persona viva tiene que seguir su propio camino. Porque, como dice San Agustín, "el camino sólo existe porque lo recorres". El camino es, pues, la parábola de la existencia humana. Pero nunca estamos solos en este camino: los mayores nos pueden aconsejar y los más jóvenes nos pueden animar.

La cultura técnica, que sitúa la eficacia inmediata en el centro del pensamiento y de la vida, nos lleva, a menudo, a abandonar a los mayores, considerados menos "productivos". Hay empresas industriales en las que se considera viejo a alguien con cincuenta años y, a veces, incluso se le despide en favor de una persona más joven y "agresiva"... El individualismo, analizado por el Papa Francisco en su última encíclica "Fratelli tutti", como el pensamiento de un mundo cerrado y egocéntrico, participa de esta cultura en la que no necesitamos a los demás: no necesitamos a los viejos, no necesitamos a los que van más despacio. Los ancianos son, por definición, en esta cultura, "viejos".

Esto tiene una doble consecuencia: las personas mayores, que ya no participan directamente en los procesos de producción económica, dejan de ser una prioridad en nuestra sociedad. Y, en el contexto de una epidemia, se les atiende después de los otros, los "productivos", aunque sean más frágiles. El orden de acceso a la atención sanitaria de emergencia ha demostrado, en más de una ocasión, que no han podido beneficiarse de las terapias de asistencia respiratoria.

La otra cara de esta misma consecuencia es la ruptura del vínculo entre generaciones: los niños y los jóvenes ya no pueden reunirse con los mayores, que son mantenidos en estricto confinamiento. Esto ha provocado a veces trastornos psicológicos en algunos niños o jóvenes que necesitaban ver a sus abuelos. Al igual que los abuelos necesitaban ver a sus nietos, de lo contrario morirían de otro virus, quizá aún más grave: la pena.

Así que podemos decir que la crisis sanitaria generada por la Covid-19 ha sacado a la luz un importante componente de las relaciones sociales. La capacidad de afrontar el reto de la vida -sus incógnitas y alegrías- se basa, en parte, en la inspiración del diálogo entre generaciones. Un diálogo que puede ofrecerse a través de la palabra o del silencio, a través del dibujo que ofrece el niño y que todavía hace soñar al viejo. Por último, por la ternura de sus miradas que se cruzan y se animan.

Sueños y ternura. De eso se trata. Si los ancianos siguen soñando, los jóvenes pueden seguir inventando. Si la mirada del mayor alienta suavemente los proyectos del menor, ambos viven en una esperanza que atraviesa los miedos. Entonces podrán cumplirse las palabras del profeta Joel: "vuestros hijos profetizarán y vuestros ancianos tendrán sueños". Todos los pedagogos y pastores que han llevado a los niños a los mayores saben que los niños nunca han olvidado este encuentro... de un campesino, un pescador, un artista, un inventor, un mendigo de la calle o un religioso en su monasterio. Porque el mayor sólo tiene una cosa que vivir: ofrecer lo que ha descubierto de la vida, para que el niño siga -y siempre- teniendo el gusto de descubrir e inventar la vida.

¿Con qué nos quedaremos de esta terrible experiencia de una enfermedad que ha afectado a todas las edades y a todos los pueblos? Algunos, tras haber vivido el sufrimiento de la separación, vuelven a aprender, en el seno de sus familias, el vínculo de la escucha y el cuidado entre generaciones. Otros guardan en su interior, en íntimo silencio y tristeza, la mirada de no haber hablado más con los que se han ido. Todos entendemos que esta memoria que llevan los ancianos, nos la hacen llegar en la "fragilidad de vasos de barro" -como sugiere el Apóstol San Pablo-.

En el tesoro de la memoria está, en efecto, la fe recibida y ofrecida: ese sabor de la vida eterna que ya ha comenzado. Por eso, las generaciones, al tomarse de la mano, en el gesto del afecto compartido, se ofrecen mutuamente conocimiento y sueños: una esperanza que no puede morir porque es el mismo don de Dios.

________________________

[1] Cf. La sabiduría del tiempo - un diálogo con el Papa Francisco sobre las grandes cuestiones de la vida - editado por Antonio Spadaro, Venecia, 2018) (Christus vivit n.196).

[00119-ES.01] [Texto original: Francés]

Intervento della Prof.ssa Etsuo Akiba

Testo in lingua inglese

Traduzione in lingua italiana

Testo in lingua inglese

A personal reflection from Japan:

the most aging country with a declining birthrate in the world

Because of the rapid escalation of the infection since last December, the number of deaths in the Covid-19 has risen to more than 6,000 in Japan. Elderly people of 60 years and over account for 98% of all deaths. Now in Tokyo, the number of the deaths out of hospitals is drastically increasing. But Japanese media don't report the actual condition of the deaths of elderly, the personal episode, where and how they died. The grief of the grandchildren and family members who lost their loved one is not shared in the general public. In the background of the indifference of the public to the deaths of elderly, there is serious discrimination against infectious decease patients and also the division of generation due to the nuclearization of the family after WWII. The self-determination thought based on strict individualism is underlying.

As for the young generation, the trend is to crowd into a narrow central metro area, to live and work in a skyscraper building. Their school life is dominated by deviation-value-oriented education. They have to engage in keen competition within their closed circle. Bullying in the classroom is widespread. The losers often go into seclusion, sometimes for long years, and at worst, commit suicide. Now under this pandemic, the number of suicide by female students is increasing. As for the elder generation, they move to the suburbs and live in the apartment designed for the elderly independently of their children. Their biggest fear is agnosia, incapability of cognition. Their trend is to make the "Ending Note" rejecting terminal medicine before they lost their ability of self-determination. Both generations are each other non intervention. Self-determination of the each generation and self-help efforts are crucial.

On the other side, some depopulated and aging provincial cities, but being blessed with abundant natural resources and keeping Japanese traditional religious culture, have been earnestly trying to create the regional community of mutual aid, rejecting the segregation of the generation. For example, Toyama prefecture along the Japan Sea, called discriminately "the reverse side of Japan" with much snow, is promoting "Compact City Project" toward the inter-generational symbiosis in cooperation with our university and the landscape gardening industry. Also "Toyama Day Care System" introduced by one retired nurse 30 years ago, has grown up to the national project. Elder persons and handicapped children live together in the Japanese traditional big house designed for a three-generation household situated in the rich natural grounds, supported by family members and various care persons. The remarkable case that the condition of children with ADHD turned better in the house could be reported.

Not only the regional community, Japanese need to create the cognitive moral community as well. For that, we have to overcome our trauma, the lost of Japanese common ethics rooted in State Shintoism before WW2. Not to return to narrow-minded nationalism, but we need to delve more deeply into its roots, to trace our national ethics back to its ultimate origin, the supreme common good shared by all human beings. The present World War against Covid-19 is a rare chance for us to escape from an island country's seclusive mentality and to get the cosmopolitan perspective. Now developing Global Bioethics, promoted by PAV, that could be traced back to the very common beginning, the Creator of the Universe, could be its powerful tool. Also it could be a tool for the missionary work. In fact, it is common history that not a few intellectual elder persons have been baptized in Japan.

[00170-EN.01] [Original text: English]

Traduzione in lingua italiana

Una riflessione personale dal Giappone:

il Paese più anziano con un tasso di natalità in calo nel mondo

A causa della rapida escalation dell'infezione dallo scorso dicembre, il numero di morti di Covid-19 è salito a più di 6.000 in Giappone. Gli anziani di 60 anni e oltre rappresentano il 98% di tutti i decessi. Ora a Tokyo il numero delle morti fuori dagli ospedali sta aumentando drasticamente. Ma i media giapponesi non riportano la reale condizione della morte degli anziani, le loro vicende particolari, dove e come sono morti. Il dolore dei nipoti e dei familiari che hanno perso una persona amata, non è condiviso dal grande pubblico. Sullo sfondo dell'indifferenza dell'opinione pubblica verso la morte degli anziani, c'è una grave discriminazione nei confronti dei malati di malattie infettive e anche il divario tra generazioni, causato dall’emergere della visione mononucleare della famiglia dal secondo dopoguerra. Alla base c’è un’idea di autodeterminazione che deriva da una forte visione individualista.

Per quanto riguarda le giovani generazioni, la tendenza è quella di affollarsi in una ristretta area metropolitana centrale, per vivere e lavorare in un grattacielo. La vita scolastica è dominata da una visione educativa non orientata ai valori. Gli studenti devono impegnarsi in una forte competizione all'interno di un circolo chiuso. Il bullismo in classe è molto diffuso. Quanti non reggono spesso vanno in isolamento, a volte per lunghi anni e, nel peggiore dei casi, si suicidano. Oggi, nel tempo della pandemia, il numero dei suicidi da parte delle studentesse è in aumento. Per quanto riguarda la generazione più anziana, la tendenza è trasferirsi in periferia, per vivere in un appartamento pensato per loro e indipendente dai figli. La più grande paura degli anziani è l'agnosia, l'incapacità di riconoscere oggetti e volti familiari. La tendenza è quella di redigere una "Ending Note", rifiutando le cure terminali prima di perdere la capacità di autodeterminazione. Entrambe le generazioni non dialogano tra loro. L'autodeterminazione di ogni generazione e gli sforzi di auto-aiuto sono cruciali.

Dall'altro lato, alcune città di provincia poco popolate e con una popolazione invecchiata, ma fortunate a causa della presenza di abbondanti risorse naturali, e che mantengono la cultura religiosa tradizionale giapponese, hanno cercato seriamente di creare una comunità regionale di mutuo soccorso, rifiutando la separazione tra generazioni. Ad esempio la prefettura di Toyama, lungo il Mar del Giappone, definita in maniera discriminatoria "il retro del Giappone", dove la neve è abbondante, sta promuovendo il "Compact City Project" un progetto di collegamento intergenerazionale in collaborazione con la nostra università e l'industria del giardinaggio paesaggistico. Anche il "Toyama Day Care System", introdotto da un'infermiera in pensione 30 anni fa, è cresciuto fino a diventare un progetto nazionale. Persone anziane e bambini portatori di handicap vivono insieme nella tradizionale grande casa giapponese progettata per ospitare le tre generazioni, con il sostegno degli stessi appartenenti alla famiglia e aiutati da personale di supporto. È stato possibile segnalare il caso straordinario di come la condizione dei bambini con ADHD (disturbo di deficit di attenzione) sia migliorata in casa.

Non solo a livello di comunità regionali, ma a livello generale i giapponesi devono credere nell’importanza di una visione comunitaria eticamente fondata. Per questo dobbiamo superare il nostro trauma, la perdita dell'etica comune giapponese radicata nello “State Shintoism” (Shintoismo di Stato, uso delle tradizioni popolari) prima della Seconda Guerra Mondiale. Non per tornare ad un nazionalismo ottuso, ma per scavare più a fondo nelle nostre radici, per ricondurre la nostra etica nazionale alla sua origine ultima, al bene comune supremo condiviso da tutti gli esseri umani. L'attuale guerra mondiale contro il Covid-19 è una rara possibilità per noi di sfuggire dalla mentalità solitaria di un paese insulare e raggiungere una prospettiva cosmopolita. Ora lo sviluppo della Bioetica Globale, promossa dalla Pontificia Accademia per la Vita, ci apre alla nostra comune origine, al Creatore dell'Universo, e potrebbe essere un potente strumento. Inoltre potrebbe essere uno strumento per il lavoro missionario. In effetti, è storia comune che non pochi intellettuali siano stati battezzati da adulti e anziani in Giappone.

[00170-IT.01] [Testo originale: Inglese - Traduzione di lavoro]

 

[B0086-XX.02]