Discorso del Santo Padre
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Alle ore 10 di questa mattina, nell’Aula della Benedizione, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza i Membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede per la presentazione degli auguri per il nuovo anno.
Dopo le parole introduttive del Decano del Corpo Diplomatico, S.E. il Sig. George F. Poulides, Ambasciatore di Cipro presso la Santa Sede, il Papa ha pronunciato il discorso che riportiamo di seguito:
Discorso del Santo Padre
Eccellenze, Signore e Signori,
ringrazio il Decano, Sua Eccellenza il Signor George Poulides, Ambasciatore di Cipro, per le cortesi parole e i voti augurali che ha espresso a nome di tutti voi, e mi scuso anzitutto per gli inconvenienti che la cancellazione dell’incontro previsto il 25 gennaio può avervi causato. Vi sono grato per la comprensione e la pazienza, e per aver accolto l’invito a essere presenti questa mattina, nonostante le difficoltà, per il nostro tradizionale ritrovo.
Ci incontriamo stamani nella cornice più spaziosa dell’Aula delle Benedizioni, per rispettare l’esigenza del maggiore distanziamento personale al quale la pandemia ci obbliga. Tuttavia, la distanza è solamente fisica. Il nostro ritrovarci simboleggia piuttosto il contrario. Esso è un segno di vicinanza, di quella prossimità e sostegno reciproco cui deve aspirare la famiglia delle Nazioni. In questo tempo di pandemia si tratta di un dovere ancora più cogente, poiché è evidente a tutti che il virus non conosce barriere né può essere facilmente isolato. Sconfiggerlo è perciò una responsabilità che chiama in causa ciascuno di noi personalmente, come pure i nostri Paesi.
Vi sono perciò riconoscente per l’impegno che quotidianamente profondete per favorire i rapporti fra i vostri Paesi o le Organizzazioni Internazionali che rappresentate e la Santa Sede. Numerose sono le testimonianze di vicinanza reciproca che abbiamo potuto scambiarci nel corso di questi mesi, anche grazie all’uso delle nuove tecnologie, che hanno permesso di superare le limitazioni causate dalla pandemia.
Indubbiamente tutti aspiriamo a riprendere quanto prima i contatti in presenza, e il nostro ritrovarci oggi intende essere un segno di buon auspicio in tal senso. Parimenti, è mio desiderio riprendere a breve i Viaggi Apostolici, cominciando con quello in Iraq, previsto nel marzo prossimo. I viaggi costituiscono, infatti, un aspetto importante della sollecitudine del Successore di Pietro per il Popolo di Dio sparso in tutto il mondo, come pure del dialogo della Santa Sede con gli Stati. Inoltre, essi sono spesso l’occasione propizia per approfondire, in spirito di condivisione e di dialogo, il rapporto tra religioni diverse. Nel nostro tempo, il dialogo interreligioso è una componente importante nell’incontro fra popoli e culture. Quando è inteso non come rinuncia alla propria identità, ma come occasione di maggiore conoscenza e arricchimento reciproco, esso costituisce un’opportunità per i leader religiosi e per i fedeli delle varie confessioni e può sostenere l’opera dei leader politici nella loro responsabilità di edificare il bene comune.
Ugualmente importanti sono gli accordi internazionali, che permettono di approfondire i legami di fiducia reciproca e consentono alla Chiesa di cooperare con maggior efficacia al benessere spirituale e sociale dei vostri Paesi. In tale prospettiva, desidero qui menzionare lo scambio degli strumenti di ratifica dell’Accordo-quadro tra la Santa Sede e la Repubblica Democratica del Congo e dell’Accordo sullo statuto giuridico della Chiesa Cattolica in Burkina Faso, nonché la firma del Settimo Accordo Addizionale fra la Santa Sede e la Repubblica Austriaca alla Convenzione per il Regolamento di Rapporti Patrimoniali del 23 giugno 1960. Inoltre, il 22 ottobre scorso, la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese hanno concordato di prolungare, per altri due anni, la validità dell’Accordo Provvisorio sulla nomina dei Vescovi in Cina, firmato a Pechino nel 2018. Si tratta di un’intesa di carattere essenzialmente pastorale e la Santa Sede auspica che il cammino intrapreso prosegua, in spirito di rispetto e di fiducia reciproca, contribuendo ulteriormente alla soluzione delle questioni di comune interesse.
Cari Ambasciatori,
l’anno da poco conclusosi ha lasciato dietro a sé un carico di paura, sconforto e disperazione, insieme con molti lutti. Esso ha posto le persone in una spirale di distacco e di sospetto reciproco e ha spinto gli Stati a erigere barriere. Il mondo interconnesso a cui eravamo abituati ha ceduto il passo ad un mondo nuovamente frammentato e diviso. Ciononostante, le ricadute della pandemia sono davvero globali, sia perché essa coinvolge di fatto tutta l’umanità e i Paesi del mondo, sia perché incide su molteplici aspetti della nostra vita, contribuendo ad aggravare «crisi tra loro fortemente interrelate, come quelle climatica, alimentare, economica e migratoria».[1] Alla luce di questa considerazione, ho ritenuto opportuno dare vita alla Commissione Vaticana Covid-19, con lo scopo di coordinare la risposta della Santa Sede e della Chiesa alle sollecitazioni giunte dalle diocesi di tutto il mondo, per far fronte all’emergenza sanitaria e alle necessità che la pandemia ha fatto emergere.
Fin dall’inizio è parso infatti evidente che la pandemia avrebbe inciso notevolmente sullo stile di vita cui eravamo abituati, facendo venire meno comodità e certezze consolidate. Essa ci ha messo in crisi, mostrandoci il volto di un mondo malato non solo a causa del virus, ma anche nell’ambiente, nei processi economici e politici, e più ancora nei rapporti umani. Ha messo in luce i rischi e le conseguenze di un modo di vivere dominato da egoismo e cultura dello scarto e ci ha posto davanti un’alternativa: continuare sulla strada finora percorsa o intraprendere un nuovo cammino.
Vorrei allora soffermarmi su alcune delle crisi provocate o evidenziate dalla pandemia, guardando nel contempo alle opportunità che da esse derivano per edificare un mondo più umano, giusto, solidale e pacifico.
Crisi sanitaria
La pandemia ci ha rimesso potentemente dinanzi a due dimensioni ineludibili dell’esistenza umana: la malattia e la morte. Proprio per questo richiama il valore della vita, di ogni singola vita umana e della sua dignità, in ogni istante del suo itinerario terreno, dal concepimento nel grembo materno fino alla sua fine naturale. Purtroppo, duole constatare che, con il pretesto di garantire presunti diritti soggettivi, un numero crescente di legislazioni nel mondo appare allontanarsi dal dovere imprescindibile di tutelare la vita umana in ogni sua fase.
La pandemia ci ricorda pure il diritto alla cura, di cui ogni essere umano è destinatario, come ho evidenziato anche nel messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, celebrata il 1° gennaio scorso. «Ogni persona umana – infatti – è un fine in sé stessa, mai semplicemente uno strumento da apprezzare solo per la sua utilità, ed è creata per vivere insieme nella famiglia, nella comunità, nella società, dove tutti i membri sono uguali in dignità. È da tale dignità che derivano i diritti umani, come pure i doveri, che richiamano ad esempio la responsabilità di accogliere e soccorrere i poveri, i malati, gli emarginati».[2] Se si sopprime il diritto alla vita dei più deboli, come si potranno garantire con efficacia tutti gli altri diritti?
In questa prospettiva, rinnovo il mio appello affinché ad ogni persona umana siano offerte le cure e l’assistenza di cui abbisogna. A tal fine, è indispensabile che quanti hanno responsabilità politiche e di governo si adoperino per favorire innanzitutto l’accesso universale all’assistenza sanitaria di base, incentivando pure la creazione di presidi medici locali e di strutture sanitarie confacenti alle reali esigenze della popolazione, nonché la disponibilità di terapie e farmaci. Non può essere infatti la logica del profitto a guidare un campo così delicato quale quello dell’assistenza sanitaria e della cura.
È poi indispensabile che i notevoli progressi medici e scientifici compiuti nel corso degli anni, i quali hanno permesso di sintetizzare in tempi assai brevi vaccini che si prospettano efficaci contro il coronavirus, vadano a beneficio di tutta quanta l’umanità. Esorto pertanto tutti gli Stati a contribuire attivamente alle iniziative internazionali volte ad assicurare una distribuzione equa dei vaccini, non secondo criteri puramente economici, ma tenendo conto delle necessità di tutti, specialmente di quelle delle popolazioni più bisognose.
Ad ogni modo, davanti a un nemico subdolo e imprevedibile qual è il Covid-19, l’accessibilità dei vaccini deve essere sempre accompagnata da comportamenti personali responsabili tesi a impedire il diffondersi della malattia, attraverso le necessarie misure di prevenzione a cui ci siamo ormai abituati in questi mesi. Sarebbe fatale riporre la fiducia solo nel vaccino, quasi fosse una panacea che esime dal costante impegno del singolo per la salute propria e altrui. La pandemia ci ha mostrato che nessuno è un’isola, evocando la celebre espressione del poeta inglese John Donne, e che «la morte di qualsiasi uomo mi sminuisce, perché io sono parte dell’umanità».[3]
Crisi ambientale
Non è solo l’essere umano ad essere malato, lo è anche la nostra Terra. La pandemia ci ha mostrato ancora una volta quanto anch’essa sia fragile e bisognosa di cure.
Certamente vi sono profonde differenze fra la crisi sanitaria provocata dalla pandemia e la crisi ecologica causata da un indiscriminato sfruttamento delle risorse naturali. Quest’ultima ha una dimensione molto più complessa e permanente, e richiede soluzioni condivise di lungo periodo. In realtà, gli impatti, ad esempio, del cambiamento climatico, siano essi diretti, quali gli eventi atmosferici estremi come alluvioni e siccità, oppure indiretti, come la malnutrizione o le malattie respiratorie, sono spesso gravidi di conseguenze che permangono per molto tempo.
La risoluzione di queste crisi richiede una collaborazione internazionale per la cura della nostra casa comune. Auspico pertanto che la prossima Conferenza delle Nazioni Unite sul clima (COP26), prevista a Glasgow nel novembre prossimo, consenta di trovare un’intesa efficace per affrontare le conseguenze del cambiamento climatico. È questo il tempo di agire, poiché possiamo già toccare con mano gli effetti di una protratta inazione.
Penso ad esempio alle ripercussioni sulle numerose piccole isole dell’Oceano Pacifico che rischiano gradualmente di scomparire. È una tragedia che causa non solo la distruzione di interi villaggi, ma costringe anche le comunità locali, e soprattutto le famiglie, a spostarsi continuamente, perdendo identità e cultura. Penso pure alle inondazioni nel sud-est asiatico, specialmente in Vietnam e nelle Filippine, che hanno provocato vittime e lasciato intere famiglie senza mezzi di sussistenza. Né si può tacere il progressivo riscaldamento della Terra, che ha causato devastanti incendi in Australia e in California.
Anche in Africa i cambiamenti climatici, aggravati da interventi sconsiderati dell’uomo e ora anche dalla pandemia, sono causa di grave preoccupazione. Mi riferisco anzitutto all’insicurezza alimentare che nel corso dell’ultimo anno ha colpito particolarmente il Burkina Faso, il Mali e il Niger, con milioni di persone che soffrono la fame; come pure alla situazione in Sud Sudan, dove si corre il rischio di una carestia e dove peraltro persiste una grave emergenza umanitaria: oltre un milione di bambini ha carenze alimentari, mentre i corridoi umanitari sono spesso ostacolati e la presenza delle agenzie umanitarie nel territorio viene limitata. Anche per far fronte a tale situazione è quanto mai urgente che le Autorità sud-sudanesi superino le incomprensioni e proseguano nel dialogo politico per una piena riconciliazione nazionale.
Crisi economica e sociale
L’obiettivo di contenimento del coronavirus ha spinto molti governi ad adottare misure restrittive della libertà di circolazione, che hanno comportato, per diversi mesi, la chiusura di esercizi commerciali e il generale rallentamento delle attività produttive, con gravi ricadute sulle imprese, soprattutto quelle medio-piccole, sull’occupazione e conseguentemente sulla vita delle famiglie e d’intere fasce della società, particolarmente quelle più deboli.
La crisi economica che ne è conseguita ha messo in evidenza un altro morbo che colpisce il nostro tempo: quello di un’economia basata sullo sfruttamento e sullo scarto sia delle persone sia delle risorse naturali. Ci si è dimenticati troppo spesso della solidarietà e degli altri valori che consentono all’economia di essere al servizio dello sviluppo umano integrale, anziché di interessi particolari, e si è persa di vista la valenza sociale dell’attività economica e la destinazione universale dei beni e delle risorse.
L’attuale crisi è allora l’occasione propizia per ripensare il rapporto fra la persona e l’economia. Serve una sorta di “nuova rivoluzione copernicana” che riponga l’economia a servizio dell’uomo e non viceversa, «iniziando a studiare e praticare un’economia diversa, quella che fa vivere e non uccide, include e non esclude, umanizza e non disumanizza, si prende cura del creato e non lo depreda».[4]
Per far fronte alle conseguenze negative di questa crisi, numerosi governi hanno previsto diverse iniziative e lo stanziamento di ingenti finanziamenti. Tuttavia, non di rado sono prevalse spinte a cercare soluzioni particolari a un problema che ha invece dimensioni globali. Oggi meno che mai si può pensare di fare da sé. Occorrono iniziative comuni e condivise anche a livello internazionale, soprattutto a sostegno dell’occupazione e della protezione delle fasce più povere della popolazione. In tale prospettiva, ritengo significativo l’impegno dell’Unione Europea e dei suoi Stati membri, che pur tra le difficoltà, hanno saputo mostrare che si può lavorare con impegno per raggiungere compromessi soddisfacenti a vantaggio di tutti i cittadini. Lo stanziamento proposto dal piano Next Generation EU rappresenta un significativo esempio di come la collaborazione e la condivisione delle risorse in spirito di solidarietà siano non solo obiettivi auspicabili, ma realmente accessibili.
In molte parti del mondo, la crisi ha interessato soprattutto quanti lavorano nei settori informali, i quali sono stati i primi a vedere scomparire i propri mezzi di sussistenza. Vivendo al di fuori dei margini dell’economia formale, non hanno neanche accesso agli ammortizzatori sociali, comprese l’assicurazione contro la disoccupazione e l’assistenza sanitaria. Così, spinti dalla disperazione, tanti hanno cercato altre forme di reddito, esponendosi ad essere sfruttati mediante il lavoro nero o forzato, la prostituzione e varie attività criminali, tra cui la tratta delle persone.
Al contrario, ogni essere umano ha diritto – ha diritto! – e dev’essere messo in condizioni di ottenere «i mezzi indispensabili e sufficienti per un dignitoso tenore di vita».[5] È necessario, infatti, che sia assicurata a tutti la stabilità economica per evitare le piaghe dello sfruttamento e contrastare l’usura e la corruzione, che affliggono molti Paesi nel mondo, e tante altre ingiustizie che si consumano ogni giorno di fronte agli occhi stanchi e distratti della nostra società contemporanea.
Il maggior tempo trascorso in casa ha portato pure a stare più a lungo in modo alienante davanti al computer e ad altri mezzi di comunicazione, con gravi ricadute sulle persone più vulnerabili, specialmente i poveri e disoccupati. Essi sono più facili prede della criminalità informatica – il cybercrime – nei suoi risvolti più disumanizzanti, dalle frodi alla tratta di esseri umani, allo sfruttamento della prostituzione, compresa quella infantile, nonché alla pedopornografia.
La chiusura dei confini a causa della pandemia, unitamente alla crisi economica, ha accentuato anche diverse emergenze umanitarie, tanto nelle zone di conflitto quanto nelle regioni colpite dal cambiamento climatico e dalla siccità, nonché nei campi per rifugiati e migranti. Penso particolarmente al Sudan, dove si sono rifugiate migliaia di persone in fuga dalla regione del Tigray, come pure ad altri Paesi dell’Africa sub-sahariana, o alla regione di Cabo Delgado in Mozambico, dove tanti sono state costretti ad abbandonare il proprio territorio e si trovano ora in condizioni assai precarie. Il mio pensiero va pure allo Yemen e alla all’amata Siria, dove, oltre ad altre gravi emergenze, l’insicurezza alimentare affligge gran parte della popolazione e i bambini sono stremati dalla malnutrizione.
In diversi casi le crisi umanitarie sono aggravate dalle sanzioni economiche, le quali, il più delle volte, finiscono per ripercuotersi principalmente sulle fasce più deboli della popolazione, anziché sui responsabili politici. Pertanto, pur comprendendo la logica delle sanzioni, la Santa Sede non ne vede l’efficacia e auspica un loro allentamento, anche per favorire il flusso di aiuti umanitari, innanzitutto di medicinali e di strumenti sanitari, oltremodo necessari in questo tempo di pandemia.
La congiuntura che stiamo attraversando sia analogamente di stimolo per condonare, o perlomeno ridurre, il debito che grava sui Paesi più poveri e che di fatto ne impedisce il recupero e il pieno sviluppo.
Lo scorso anno ha visto pure un ulteriore aumento dei migranti, i quali, complice la chiusura dei confini, sono dovuti ricorrere a percorsi sempre più pericolosi. Il flusso massiccio ha peraltro incontrato una crescita del numero dei respingimenti illegali, spesso attuati per impedire ai migranti di chiedere asilo, in violazione del principio di non-respingimento (non-refoulement). Molti vengono intercettati e rimpatriati in campi di raccolta e di detenzione, dove subiscono torture e violazioni dei diritti umani, quando non trovano la morte attraversando mari e altri confini naturali.
I corridoi umanitari, implementati nel corso degli ultimi anni, contribuiscono certamente ad affrontare alcune delle suddette problematiche, salvando numerose vite. Tuttavia, la portata della crisi rende sempre più urgente affrontare alla radice le cause che spingono a migrare, come pure esige uno sforzo comune per sostenere i Paesi di prima accoglienza, che si fanno carico dell’obbligo morale di salvare vite umane. Al riguardo, si attende con interesse la negoziazione del Nuovo Patto dell’Unione Europea sulla migrazione e l’asilo, pur osservando che politiche e meccanismi concreti non funzioneranno se non saranno sostenuti dalla necessaria volontà politica e dall’impegno di tutte le parti in causa, compresi la società civile e i migranti stessi.
La Santa Sede apprezza tutti gli sforzi compiuti in favore dei migranti e appoggia l’impegno dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), di cui quest’anno ricorre il 70° anniversario della fondazione, nel pieno rispetto dei valori espressi nella sua Costituzione e della cultura degli Stati membri in cui l’Organizzazione opera. Parimenti, la Santa Sede, quale membro del Comitato esecutivo dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), resta fedele ai principi enunciati nella Convenzione di Ginevra del 1951 sullo statuto dei rifugiati e al Protocollo del 1967, che stabiliscono la definizione legale di rifugiato, i loro diritti, nonché l’obbligo legale degli Stati a proteggerli.
Dalla Seconda guerra mondiale il mondo non aveva ancora assistito a un aumento così drammatico del numero di rifugiati, come quello che vediamo oggi. È pertanto urgente che si rinnovi l’impegno per la loro protezione, come pure per quella degli sfollati interni e di tutte le persone vulnerabili costrette a fuggire dalla persecuzione, dalla violenza, dai conflitti e dalle guerre. A questo proposito, nonostante gli importanti sforzi compiuti dalle Nazioni Unite nella ricerca di soluzioni e proposte concrete per affrontare in modo coerente il problema degli sfollamenti forzati, la Santa Sede esprime la propria preoccupazione per la situazione degli sfollati in diverse parti del mondo. Mi riferisco anzitutto all’area centrale del Sahel, dove, in meno di due anni, il numero degli sfollati interni è aumentato di venti volte.
Crisi della politica
Le criticità che ho fin qui evocato pongono in rilievo una crisi ben più profonda, che in qualche modo sta alla radice delle altre, la cui drammaticità è stata posta in luce proprio dalla pandemia. È la crisi della politica, che da tempo sta investendo molte società e i cui laceranti effetti sono emersi durante la pandemia.
Uno dei fattori emblematici di tale crisi è la crescita delle contrapposizioni politiche e la difficoltà, se non addirittura l’incapacità, di ricercare soluzioni comuni e condivise ai problemi che affliggono il nostro pianeta. È una tendenza a cui si assiste ormai da tempo e che si diffonde sempre più anche in Paesi di antica tradizione democratica. Mantenere vive le realtà democratiche è una sfida di questo momento storico[6], che interessa da vicino tutti gli Stati: siano essi piccoli o grandi, economicamente avanzati o in via di sviluppo. In questi giorni, il mio pensiero va in modo particolare al popolo del Myanmar, al quale esprimo il mio affetto e la mia vicinanza. Il cammino verso la democrazia intrapreso negli ultimi anni è stato bruscamente interrotto dal colpo di stato della settimana scorsa. Esso ha portato all’incarcerazione di diversi leader politici, che auspico siano prontamente liberati, quale segno di incoraggiamento a un dialogo sincero per il bene del Paese.
D’altronde, come affermava Pio XII nel suo memorabile Radiomessaggio del Natale 1944: «Esprimere il proprio parere sui doveri e i sacrifici, che gli vengono imposti; non essere costretto ad ubbidire senza essere stato ascoltato: ecco due diritti del cittadino, che trovano nella democrazia, come indica il suo nome stesso, la loro espressione».[7] La democrazia si basa sul rispetto reciproco, sulla possibilità di tutti di concorrere al bene della società e sulla considerazione che opinioni differenti non solo non minano il potere e la sicurezza degli Stati, ma, in un confronto onesto, arricchiscono vicendevolmente e consentono di trovare soluzioni più adeguate ai problemi da affrontare. Il processo democratico richiede che si persegua un cammino di dialogo inclusivo, pacifico, costruttivo e rispettoso fra tutte le componenti della società civile in ogni città e nazione. Gli avvenimenti che, pur in modi e in contesti diversi, hanno caratterizzato l’ultimo anno da oriente a occidente, anche – ripeto – in Paesi di lunga tradizione democratica, dicono quanto sia ineludibile questa sfida e come non ci si possa esimere dall’obbligo morale e sociale di affrontarla con atteggiamento positivo. Lo sviluppo di una coscienza democratica esige che si superino i personalismi e prevalga il rispetto dello stato di diritto. Il diritto è infatti il presupposto indispensabile per l’esercizio di ogni potere e deve essere garantito dagli organi preposti indipendentemente dagli interessi politici dominanti.
Purtroppo la crisi della politica e dei valori democratici si ripercuote anche a livello internazionale, con ricadute sull’intero sistema multilaterale e l’evidente conseguenza che Organizzazioni pensate per favorire la pace e lo sviluppo – sulla base del diritto e non della “legge del più forte” – vedono compromessa la loro efficacia. Certamente, non si può tacere che nel corso degli ultimi anni il sistema multilaterale ha mostrato anche alcuni limiti. La pandemia è un’occasione da non sprecare per pensare e attuare riforme organiche, affinché le Organizzazioni internazionali ritrovino la loro vocazione essenziale a servire la famiglia umana per preservare la vita di ogni persona e la pace.
Uno dei segni della crisi della politica è proprio la reticenza che spesso si verifica ad intraprendere percorsi di riforma. Non bisogna avere paura delle riforme, anche se richiedono sacrifici e non di rado un cambiamento di mentalità. Ogni corpo vivo ha bisogno continuamente di riformarsi e in questa prospettiva si collocano pure le riforme che stanno interessando la Santa Sede e la Curia Romana.
Ad ogni modo non mancano comunque segni incoraggianti, quale l’entrata in vigore, alcuni giorni fa, del Trattato per la Proibizione delle Armi Nucleari, come pure l’estensione per un ulteriore quinquennio del Nuovo Trattato sulla Riduzione delle Armi Strategiche (il cosiddetto New START) fra la Federazione Russa e gli Stati Uniti d’America. D’altronde, come ho ribadito anche nella recente Enciclica Fratelli tutti, «se si prendono in considerazione le principali minacce alla pace e alla sicurezza con le loro molteplici dimensioni in questo mondo multipolare del XXI secolo, […] non pochi dubbi emergono circa l’inadeguatezza della deterrenza nucleare a rispondere efficacemente a tali sfide».[8] Non è infatti «sostenibile un equilibro basato sulla paura, quando esso tende di fatto ad aumentare la paura e a minare le relazioni di fiducia fra i popoli».[9]
Lo sforzo nell’ambito del disarmo e della non proliferazione degli armamenti nucleari, che, pur tra difficoltà e reticenze, occorre intensificare, dovrebbe essere egualmente condotto riguardo alle armi chimiche e nei confronti delle armi convenzionali. Troppe armi ci sono nel mondo! «Giustizia, saggezza ed umanità domandano che venga arrestata la corsa agli armamenti [e che] si riducano simultaneamente e reciprocamente gli armamenti già esistenti»[10], affermava nel 1963 San Giovanni XXIII. E, mentre con il pullulare delle armi aumenta la violenza ad ogni livello e vediamo intorno a noi un mondo lacerato da guerre e divisioni, sentiamo crescere sempre più l’esigenza di pace, di una pace che «non è solo assenza di guerra, ma è vita ricca di senso, impostata e vissuta nella realizzazione personale e nella condivisione fraterna con gli altri».[11]
Come vorrei che il 2021 fosse l’anno in cui si scrivesse finalmente la parola fine al conflitto siriano, iniziato ormai dieci anni fa! Perché ciò accada, è necessario un rinnovato interesse anche da parte della Comunità internazionale ad affrontare con sincerità e con coraggio le cause del conflitto e a ricercare soluzioni attraverso le quali tutti, indipendentemente dall’appartenenza etnica e religiosa, possano contribuire come cittadini al futuro del Paese.
Il mio auspicio di pace va ovviamente alla Terra Santa. La fiducia reciproca fra Israeliani e Palestinesi dev’essere la base per un rinnovato e risolutivo dialogo diretto tra le Parti per risolvere un conflitto che perdura da troppo tempo. Invito la Comunità internazionale a sostenere e a facilitare tale dialogo diretto, senza pretendere di dettare soluzioni che non abbiano come orizzonte il bene di tutti. Palestinesi e Israeliani – ne sono certo – nutrono entrambi il desiderio di poter vivere in pace.
Parimenti, auspico un rinnovato impegno politico nazionale e internazionale per favorire la stabilità del Libano, che è attraversato da una crisi interna e rischia di perdere la sua identità e di trovarsi ancor più coinvolto nelle tensioni regionali. È quanto mai necessario che il Paese mantenga la sua identità unica, anche per assicurare un Medio Oriente plurale, tollerante e diversificato, nel quale la presenza cristiana possa offrire il proprio contributo e non sia ridotta a una minoranza da proteggere. I cristiani costituiscono il tessuto connettivo storico e sociale del Libano e ad essi, attraverso le molteplici opere educative, sanitarie e caritative, va assicurata la possibilità di continuare a operare per il bene del Paese, del quale sono stati fondatori. Indebolire la comunità cristiana rischia di distruggere l’equilibrio interno e la stessa realtà libanese. In quest’ottica va affrontata anche la presenza dei profughi siriani e palestinesi. Inoltre, senza un urgente processo di ripresa economica e di ricostruzione, si rischia il fallimento del Paese, con la possibile conseguenza di pericolose derive fondamentaliste. È dunque necessario che tutti i leader politici e religiosi, messi da parte i propri interessi, si impegnino a perseguire la giustizia e ad attuare vere riforme per il bene dei cittadini, agendo in modo trasparente e assumendosi la responsabilità delle proprie azioni.
Pace auspico pure per la Libia, anch’essa lacerata da un ormai lungo conflitto, con la speranza che il recente “Forum del dialogo politico libico”, tenutosi in Tunisia nel novembre scorso sotto l’egida delle Nazioni Unite, consenta effettivamente l’avvio dell’atteso processo di riconciliazione del Paese.
Preoccupazione destano pure altre aree del mondo. Mi riferisco in primo luogo alle tensioni politiche e sociali nella Repubblica Centrafricana; come pure a quelle che interessano in generale l’America Latina, le quali hanno radici nelle profonde disuguaglianze, nelle ingiustizie e nella povertà, che offendono la dignità delle persone. Parimenti, seguo con particolare attenzione il deterioramento dei rapporti nella Penisola coreana, culminato con la distruzione dell’ufficio di collegamento inter-coreano a Kaesong; e inoltre la situazione nel Caucaso meridionale, dove permangono diversi conflitti congelati, alcuni riaccesisi nel corso dell’anno passato, che minano la stabilità e la sicurezza dell’intera regione.
Infine, non posso dimenticare un’altra grave piaga di questo nostro tempo: il terrorismo, che ogni anno miete in tutto il mondo numerose vittime tra la popolazione civile inerme. È un male che è andato crescendo a partire dagli anni Settanta del secolo scorso e che ha avuto un momento culminante negli attentati che l’11 settembre 2001 hanno interessato gli Stati Uniti d’America, uccidendo quasi tremila persone. Purtroppo, il numero degli attentati è andato intensificandosi negli ultimi vent’anni, colpendo diversi Paesi in tutti i continenti. Mi riferisco in modo particolare al terrorismo che colpisce soprattutto nell’Africa sub-sahariana, ma anche in Asia e in Europa. Il mio pensiero va a tutte le vittime e ai loro familiari, che si sono visti strappare persone care da una violenza cieca, motivata da ideologiche distorsioni della religione. Peraltro, gli obiettivi di tali attacchi sono spesso proprio i luoghi di culto, in cui sono raccolti fedeli in preghiera. A tale riguardo, vorrei sottolineare che la protezione dei luoghi di culto è una conseguenza diretta della difesa della libertà di pensiero, di coscienza e di religione ed è un dovere per le Autorità civili, indipendentemente dal colore politico e dall’appartenenza religiosa.
Eccellenze, Signore e Signori,
nell’avviarmi verso la conclusione delle mie considerazioni, desidero soffermarmi ancora su un’ultima crisi, che, fra tutte, è forse la più grave: la crisi dei rapporti umani, espressione di una generale crisi antropologica, che riguarda la concezione stessa della persona umana e la sua dignità trascendente.
La pandemia, che ci ha costretto a lunghi mesi di isolamento e spesso di solitudine, ha fatto emergere la necessità che ogni persona ha di avere rapporti umani. Penso anzitutto agli studenti, che non sono potuti andare regolarmente a scuola o all’università. «Ovunque si è cercato di attivare una rapida risposta attraverso le piattaforme educative informatiche, le quali hanno mostrato non solo una marcata disparità delle opportunità educative e tecnologiche, ma anche che, a causa del confinamento e di tante altre carenze già esistenti, molti bambini e adolescenti sono rimasti indietro nel naturale processo di sviluppo pedagogico».[12] Inoltre, l’aumento della didattica a distanza ha comportato pure una maggiore dipendenza dei bambini e degli adolescenti da internet e in genere da forme di comunicazione virtuali, rendendoli peraltro più vulnerabili e sovraesposti alle attività criminali online.
Assistiamo a una sorta di “catastrofe educativa”. Vorrei ripeterlo: assistiamo a una sorta di “catastrofe educativa”, davanti alla quale non si può rimanere inerti, per il bene delle future generazioni e dell’intera società. «Oggi c’è bisogno di una rinnovata stagione di impegno educativo, che coinvolga tutte le componenti della società»,[13] poiché l’educazione è «il naturale antidoto alla cultura individualistica, che a volte degenera in vero e proprio culto dell'io e nel primato dell’indifferenza. Il nostro futuro non può essere la divisione, l’impoverimento delle facoltà di pensiero e d’immaginazione, di ascolto, di dialogo e di mutua comprensione».[14]
I lunghi periodi di confinamento hanno però anche consentito di trascorrere più tempo in famiglia. Per molti si è trattato di un momento importante per riscoprire i rapporti più cari. D’altronde, matrimonio e famiglia «costituiscono uno dei beni più preziosi dell’umanità»[15] e la culla di ogni società civile. Il grande Papa San Giovanni Paolo II, di cui lo scorso anno abbiamo celebrato il centenario della nascita, nel suo prezioso magistero sulla famiglia ricordava: che «Di fronte alla dimensione mondiale che oggi caratterizza i vari problemi sociali, la famiglia vede allargarsi in modo del tutto nuovo il suo compito verso lo sviluppo della società» e lo assolve anzitutto «offrendo ai figli un modello di vita fondato sui valori della verità, della libertà, della giustizia e dell’amore».[16] Tuttavia, non tutti hanno potuto vivere con serenità nella propria casa e alcune convivenze sono degenerate in violenze domestiche. Esorto tutti, autorità pubbliche e società civile, a supportare le vittime della violenza nella famiglia: sappiamo purtroppo che sono le donne, sovente insieme ai loro figli, a pagare il prezzo più alto.
Le esigenze di contenere la diffusione del virus hanno avuto ramificazioni anche su diverse libertà fondamentali, inclusa la libertà di religione, limitando il culto e le attività educative e caritative delle comunità di fede. Non bisogna tuttavia trascurare che la dimensione religiosa costituisce un aspetto fondamentale della personalità umana e della società, che non può essere obliterato; e che, nonostante si stia cercando di proteggere le vite umane dalla diffusione del virus, non si può ritenere la dimensione spirituale e morale della persona come secondaria rispetto alla salute fisica.
La libertà di culto non costituisce peraltro un corollario della libertà di riunione, ma deriva essenzialmente dal diritto alla libertà religiosa, che è il primo e fondamentale diritto umano. È dunque necessario che essa venga rispettata, protetta e difesa dalle Autorità civili, come la salute e l’integrità fisica. D’altronde, una buona cura del corpo non può mai prescindere dalla cura dell’anima.
Scrivendo a Cangrande della Scala, Dante Alighieri sottolinea il fine della sua Commedia: «Allontanare quelli che vivono questa vita dallo stato di miseria e condurli a uno stato di felicità».[17] Tale, sebbene con ruoli e in ambiti differenti, è pure il compito tanto delle autorità religiose quanto di quelle civili. La crisi dei rapporti umani e, conseguentemente, le altre crisi che ho menzionato non si possono vincere se non salvaguardando la dignità trascendente di ogni persona umana, creata a immagine e somiglianza di Dio.
Nel ricordare il grande poeta fiorentino, di cui quest’anno ricorre il settimo centenario della morte, desidero anche rivolgere un particolare pensiero al popolo italiano, che per primo in Europa si è trovato a confrontarsi con le gravi conseguenze della pandemia, esortandolo a non lasciarsi abbattere dalle presenti difficoltà, ma a lavorare unito per costruire una società in cui nessuno sia scartato o dimenticato.
Cari Ambasciatori,
il 2021 è un tempo da non perdere. E non sarà sprecato nella misura in cui sapremo collaborare con generosità e impegno. In questo senso ritengo che la fraternità sia il vero rimedio alla pandemia e ai molti mali che ci hanno colpito. Fraternità e speranza sono come medicine di cui oggi il mondo ha bisogno, al pari dei vaccini.
Su ciascuno di voi e sui vostri Paesi invoco copiosi doni celesti, con l’augurio che quest’anno sia propizio per approfondire i vincoli di fraternità che legano l’intera famiglia umana.
Grazie!
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[1] Messaggio per la LIV Giornata Mondiale della Pace (8 dicembre 2020), 1.
[2] Ibid., 6.
[3] J. Donne, Meditazione XVII, in: Devozioni per occasioni d’emergenza, Editori Riuniti, Roma 1994, 112-113.
[4] Lettera per l’evento “Economy of Francesco” (1° maggio 2019).
[5] S. Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris (11 aprile 1963), 6.
[6] Cfr Discorso al Parlamento Europeo, Strasburgo (25 novembre 2014).
[7] Radiomessaggio ai popoli del mondo intero, 24 dicembre 1944.
[8] Messaggio alla Conferenza dell’ONU per la negoziazione di uno strumento giuridicamente vincolante sulla proibizione delle armi nucleari (23 marzo 2017): AAS 109 (2017), 394-396; Lett. enc. Fratelli tutti, 262.
[9] Ibid.
[10] S. Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris (11 aprile 1963), 60.
[11] Angelus, 1° gennaio 2021.
[12] Videomessaggio in occasione dell’Incontro “Global compact on education. Together to look beyond” (15 ottobre 2020).
[13] Ibid.
[14] Ibid.
[15] S. Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio (22 novembre 1981), 1.
[16] Ibid., 48.
[17] Epistola XIII, 39
[00165-IT.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
Excellences, Mesdames et Messieurs,
je remercie le Doyen, Son Excellence Monsieur Georges Poulides, Ambassadeur de Chypre, pour les paroles courtoises et les vœux qu’il a exprimés en votre nom à tous, et je m’excuse avant tout pour les inconvénients que l’annulation de la rencontre prévue le 25 janvier peut vous avoir causé. Je vous suis reconnaissant pour votre compréhension et votre patience et pour avoir accueilli l’invitation à être présents ce matin, malgré les difficultés, pour notre traditionnel rendez-vous.
Nous nous rencontrons ce matin dans le cadre plus vaste de la Salle des Bénédictions, pour respecter l’exigence de l'importante distanciation personnelle à laquelle la pandémie nous oblige. Toutefois, la distance est seulement physique. Notre rencontre symbolise plutôt le contraire. Elle est un signe de proximité, de cette proximité et de ce soutien réciproque auxquels doit aspirer la famille des nations. En ce temps de pandémie il s’agit d’un devoir encore plus contraignant, puisqu’il est évident pour tout le monde que le virus ne connaît pas de barrières ni ne peut être facilement isolé. Le vaincre est donc une responsabilité qui interpelle chacun de nous personnellement, comme aussi nos pays.
Je vous suis donc reconnaissant pour l’engagement que vous prenez quotidiennement afin de favoriser les relations entre les pays ou les Organisations Internationales que vous représentez et le Saint-Siège. Nombreux sont les témoignages de proximité réciproque que nous avons pu échanger au cours de ces mois, grâce aussi à l’utilisation des nouvelles technologies qui ont permis de dépasser les restrictions causées par la pandémie.
Sans aucun doute, nous aspirons tous à reprendre dès que possible les contacts en présentiel, et notre rencontre aujourd’hui entend être un signe de bon augure en ce sens. De même, c’est mon désir de reprendre prochainement les voyages apostoliques, en commençant par celui d’Irak, prévu en mars prochain. Les voyages constituent, en effet, un aspect important de la sollicitude du Successeur de Pierre pour le Peuple de Dieu répandu dans le monde entier, comme aussi du dialogue du Saint-Siège avec les Etats. De plus, ils sont souvent l’occasion propice pour approfondir, dans un esprit de partage et de dialogue, les relations entre des religions différentes. A notre époque, le dialogue interreligieux est une composante importante de la rencontre entre peuples et cultures. Lorsqu’il est compris non comme renoncement à son identité, mais comme occasion de plus grande connaissance et d’enrichissement réciproque, il constitue une opportunité pour les guides religieux et pour les fidèles des diverses confessions et peut soutenir l’œuvre des leaders politiques dans leurs responsabilités d’édifier le bien commun.
Egalement importants sont les accords internationaux qui permettent d’approfondir les liens de confiance réciproque et permettent à l’Eglise de coopérer avec une plus grande efficacité au bien-être spirituel et social de vos pays. Dans cette perspective, je désire mentionner ici l’échange des instruments de ratification de l’Accord-cadre entre le Saint-Siège et la République Démocratique du Congo, et de l’Accord sur le statut juridique de l’Eglise catholique au Burkina Faso, ainsi que la signature du Septième Accord Additionnel entre le Saint-Siège et la République d’Autriche lors de la Convention pour le Règlement des Rapports Patrimoniaux, du 23 juin 1960. De plus, le 22 octobre dernier, le Saint-Siège et la République Populaire de Chine ont décidé de prolonger, pour deux autres années, la validité de l’Accord provisoire sur la nomination des Evêques en Chine, signé à Pékin en 2018. Il s’agit d’une entente à caractère essentiellement pastoral, et le Saint-Siège souhaite que le chemin entrepris se poursuive dans un esprit de respect et de confiance réciproques, contribuant en outre à la solution des questions d’intérêt commun.
Chers Ambassadeurs,
l’année qui vient de s’achever a laissé derrière elle un fardeau de peur, de découragement et de désespoir, ainsi que beaucoup de deuil. Elle a mis les personnes dans une spirale de distance et de suspicion réciproque et a poussé les Etats à ériger des barrières. Le monde interconnecté auquel nous étions habitués a cédé le pas à un monde à nouveau fragmenté et divisé. Néanmoins, les retombées de la pandémie sont vraiment globales, à la fois parce qu’elle implique de fait toute l’humanité et tous les pays du monde, et parce qu’elle affecte de multiples aspects de notre vie, contribuant à aggraver «des crises très fortement liées entre elles, comme les crises climatique, alimentaire, économique et migratoire».[1] A la lumière de cette considération, j’ai jugé opportun de créer la Commission Vaticane Covid-19, dans le but de coordonner la réponse du Saint-Siège et de l’Eglise aux sollicitations venues des diocèses du monde entier, pour faire face à l’urgence sanitaire et aux nécessités que la pandémie a fait émerger.
Dès le début, en effet, il est apparu évident que la pandémie allait affecter considérablement le style de vie auquel nous étions habitués, en limitant les commodités et les certitudes bien établies. Elle nous a mis en crise, en nous montrant le visage d’un monde malade non seulement à cause du virus, mais aussi dans l’environnement, dans les processus économiques et politiques, et plus encore dans les relations humaines. Elle a mis en lumière les risques et les conséquences d’un mode de vie dominé par l’égoïsme et la culture du rejet, et nous a placés devant une alternative: continuer sur la route jusqu’à présent parcourue ou entreprendre un nouveau chemin.
Je voudrais donc m’arrêter sur certaines des crises provoquées ou mises en évidence par la pandémie, en regardant en même temps les opportunités qui en dérivent pour édifier un monde plus humain, juste, solidaire et pacifique.
Crise sanitaire
La pandémie nous a mis puissamment devant deux dimensions incontournables de l’existence humaine: la maladie et la mort. C’est pourquoi elle rappelle la valeur de la vie, de chaque vie humaine avec sa dignité, à chaque instant de son itinéraire terrestre, de sa conception dans le sein maternel jusqu’à sa fin naturelle. Malheureusement, il est douloureux de constater que, prétextant garantir de prétendus droits subjectifs, un nombre croissant de législations dans le monde semble s’éloigner du devoir essentiel de protéger la vie humaine dans chacune de ses phases.
La pandémie nous rappelle aussi le droit au soin dont chaque être humain est destinataire, comme je l’ai aussi souligné dans le message pour la Journée Mondiale de la Paix, célébrée le 1er janvier dernier. «Toute personne humaine est une fin en soi, jamais un simple instrument à évaluer seulement en fonction de son utilité. Elle est créée pour vivre ensemble dans la famille, dans la communauté, dans la société où tous les membres sont égaux en dignité. C’est de cette dignité que dérivent les droits humains, et aussi les devoirs, qui rappellent, par exemple, la responsabilité d’accueillir et de secourir les pauvres, les malades, les marginaux».[2] Si on supprime le droit à la vie des plus faibles, comment pourra-t-on garantir avec efficacité tous les autres droits?
Dans cette perspective, je renouvelle mon appel afin qu’à toute personne humaine soient offerts les soins et l’assistance dont elle a besoin. A cet effet, il est indispensable que ceux qui ont des responsabilités politiques et de gouvernement s’efforcent avant tout de favoriser l’accès universel à l’assistance sanitaire de base, en encourageant aussi la création de services médicaux locaux et de structures sanitaires appropriées aux exigences réelles de la population, ainsi que la disponibilité des thérapies et des médicaments. La logique du profit ne peut, en effet, guider un domaine aussi délicat que celui de l’assistance sanitaire et des soins.
Ensuite, il est indispensable que les progrès médicaux et scientifiques considérables réalisés au fil des ans, qui ont permis de synthétiser à très court terme des vaccins qui s’annoncent efficaces contre le coronavirus, aillent au bénéfice de toute l’humanité. J’exhorte donc tous les Etats à contribuer activement aux initiatives internationales visant à assurer une distribution équitable des vaccins, non pas selon des critères purement économiques mais en tenant compte des nécessités de tous, spécialement de celles des populations les plus nécessiteuses.
De toute façon, devant un ennemi sournois et imprévisible tel que la Covid-19, l’accessibilité des vaccins doit être toujours accompagnée de comportements personnels responsables visant à interdire la propagation de la maladie, à travers les mesures nécessaires de prévention auxquelles nous nous sommes désormais habitués ces mois-ci. Il serait fatal de mettre sa confiance seulement dans le vaccin, comme s’il était une solution miracle qui dispense de l’engagement constant de chacun pour sa santé et celle des autres. La pandémie nous a montré que personne n’est une île, en évoquant l’expression célèbre du poète anglais John Donne, et que «la mort de tout homme me diminue, parce que j’appartiens au genre humain».[3]
Crise environnementale
Ce n’est pas seulement l’être humain qui est malade, notre Terre l’est aussi. La pandémie nous a montré encore une fois combien elle aussi est fragile et a besoin de soins.
Il y a certainement de profondes différences entre la crise sanitaire provoquée par la pandémie et la crise écologique causée par une exploitation aveugle des ressources naturelles. Cette dernière a une dimension beaucoup plus complexe et permanente, et demande des solutions partagées à long terme. En réalité, les impacts, par exemple, du changement climatique, qu’ils soient directs, tels que les évènements atmosphériques extrêmes comme inondations et sécheresses, ou indirects, comme la malnutrition ou les maladies respiratoires, sont souvent lourds de conséquences qui subsisteront longtemps.
La résolution de ces crises demande une collaboration internationale pour le soin de notre maison commune. Je souhaite donc que la prochaine Conférence des Nations Unies sur le climat (COP26), prévue à Glasgow en novembre prochain, permette de trouver une entente efficace pour affronter les conséquences du changement climatique. C’est le moment d’agir, parce que nous pouvons déjà toucher du doigt les effets d’une inaction prolongée.
Je pense par exemple aux répercussions sur les nombreuses petites îles de l’Océan Pacifique qui risquent progressivement de disparaître. C’est une tragédie qui cause non seulement la destruction de villages entiers, mais qui contraint aussi les communautés locales, et surtout les familles, à se déplacer continuellement, perdant identité et culture. Je pense aussi aux inondations dans le Sud-Est asiatique, spécialement au Vietnam et aux Philippines, qui ont provoqué des victimes et laissé des familles entières sans moyens de subsistance. On ne peut pas non plus garder le silence sur le réchauffement progressif de la terre qui a causé des incendies dévastateurs en Australie et en Californie.
De même en Afrique, les changements climatiques aggravés par des interventions inconsidérées de l’homme, et maintenant par la pandémie, sont cause de grave préoccupation. Je pense avant tout à l’insécurité alimentaire qui au cours de la dernière année a frappé particulièrement le Burkina Faso, le Mali et le Niger, avec des millions de personnes qui souffrent de la faim; comme aussi à la situation au Sud Soudan, où l’on court le risque d’une famine et où, par ailleurs, persiste une grave urgence humanitaire: plus d’un million d’enfants souffrent de carences alimentaires alors que les corridors humanitaires sont souvent entravés et que la présence des agences humanitaires sur le territoire est limitée. Pour faire face à cette situation, il est aussi très urgent que les Autorités sud-soudanaises dépassent les incompréhensions et poursuivent le dialogue politique pour une pleine réconciliation nationale.
Crise économique et sociale
L’objectif de maîtriser le coronavirus a poussé de nombreux gouvernements à adopter des mesures restrictives de la liberté de circulation, qui ont entraîné, pour plusieurs mois, la fermeture des établissements commerciaux et le ralentissement général des activités productives, avec de graves retombées sur les entreprises, surtout les moyennes et petites, sur l’emploi et en conséquence sur la vie des familles et de couches entières de la société, particulièrement les plus faibles.
La crise économique qui s’en est suivie a mis en évidence une autre maladie qui affecte notre temps: celle d’une économie basée sur l’exploitation et sur le rejet aussi bien des personnes que des ressources naturelles. On a trop souvent oublié la solidarité et les autres valeurs qui permettent à l’économie d’être au service du développement humain intégral, au lieu d’intérêts particuliers, et on a perdu de vue la valeur sociale de l’activité économique et la destination universelle des biens et des ressources.
La crise actuelle est donc l’occasion propice pour repenser le rapport entre la personne et l’économie. Il faut une sorte de “nouvelle révolution copernicienne” qui remette l’économie au service de l’homme et non l’inverse, en «commençant à étudier et pratiquer une économie différente, qui fasse vivre et non pas mourir, qui inclut et n’exclut pas, qui humanise et ne déshumanise pas, qui prenne soin de la création sans la piller».[4]
Pour faire face aux conséquences négatives de cette crise, plusieurs gouvernements ont prévu diverses initiatives et l’allocation de financements substantiels. Cependant, il n’est pas rare qu’on ait eu tendance à rechercher des solutions particulières à un problème qui, au contraire, est mondial. Aujourd’hui moins que jamais on ne peut penser à s’en sortir tout seul. Des initiatives communes et partagées même au niveau international sont nécessaires, surtout en faveur de l’emploi et de la protection des couches les plus pauvres de la population. Dans cette perspective, je considère important l’engagement de l’Union Européenne et de ses Etats membres, qui, malgré les difficultés, ont su montrer qu’on peut travailler avec détermination pour parvenir à des compromis satisfaisants au profit de tous les citoyens. Le crédit proposé par le plan Next Generation EU représente un exemple significatif de la manière dont la collaboration et le partage des ressources dans un esprit de solidarité sont non seulement des objectifs souhaitables, mais réellement accessibles.
Dans de nombreuses parties du monde, la crise a surtout affecté ceux qui travaillent dans les secteurs informels qui ont été les premiers à voir disparaître leurs moyens de subsistance. Vivant en dehors des marges de l’économie formelle, ils n’ont pas non plus accès aux amortisseurs sociaux, y compris l’assurance contre le chômage et l’assistance sanitaire. Ainsi, poussés par le désespoir, beaucoup ont cherché d’autre formes de revenu, en s’exposant à être exploités par le travail au noir ou forcé, la prostitution et diverses activités criminelles, parmi lesquelles le trafic des personnes.
Au contraire, tout être humain a droit – a droit! – aux «moyens nécessaires et suffisants pour une existence décente»[5] et doit être mis en condition pour les obtenir. Il est nécessaire, en effet, que soit assurée à tous la stabilité économique pour éviter les plaies de l’exploitation et combattre l’usure et la corruption qui affligent beaucoup de pays dans le monde, et beaucoup d’autres injustices qui sont pratiquées tous les jours sous le regard fatigué et distrait de notre société contemporaine.
Le temps plus important passé à la maison a aussi conduit à rester plus longtemps de manière aliénante devant l’ordinateur et d’autres moyens de communication, avec de graves retombées sur les personnes les plus vulnérables, spécialement les pauvres et les chômeurs. Ils sont des proies plus faciles de la criminalité informatique – le cybercrime – dans ses aspects les plus déshumanisants, depuis les fraudes jusqu’à la traite d’êtres humains, à l’exploitation de la prostitution, y compris infantile, ainsi qu’à la pédopornographie.
La fermeture des frontières à cause de la pandémie, ainsi que la crise économique, ont aussi accentué différentes urgences humanitaires, tant dans les zones de conflit que dans les régions frappées par le changement climatique et par la sécheresse, ainsi que dans les camps pour réfugiés et migrants. Je pense particulièrement au Soudan, où se sont réfugiées des milliers de personnes fuyant la région du Tigré, comme aussi à d’autre pays de l’Afrique subsaharienne, ou bien à la région du Cabo Delgado au Mozambique où beaucoup ont été contraints d’abandonner leur territoire et se trouvent maintenant dans des conditions très précaires. Mes pensées vont aussi au Yémen et à la bien-aimée Syrie, où, en plus d’autres graves urgences, l’insécurité alimentaire afflige une grande partie de la population et où les enfants sont épuisés par la malnutrition.
Dans de nombreux cas, les crises humanitaires sont aggravées par les sanctions économiques qui, le plus souvent, finissent par se répercuter principalement sur les couches les plus faibles de la population, plutôt que sur les responsables politiques. Dès lors, tout en comprenant la logique des sanctions, le Saint-Siège n’en voit pas l’efficacité et souhaite leur assouplissement pour favoriser aussi le flux d’aides humanitaires, tout d’abord de médicaments et de matériel sanitaire, extrêmement nécessaires en ce temps de pandémie.
Que la conjoncture que nous traversons soit de manière analogue un stimulant pour remettre, ou au moins réduire, la dette qui pèse sur les pays les plus pauvres et qui de fait en empêche la relance et le plein développement.
L’année dernière a vu aussi une augmentation supplémentaire des migrants, qui, à cause de la fermeture des frontières, ont dû recourir à des parcours toujours plus dangereux. Le flux massif a par ailleurs fait face à une croissance du nombre des refoulements illégaux, souvent mis en œuvre pour empêcher aux migrants de demander l’asile, en violation du principe de non-refoulement. Beaucoup sont interceptés et rapatriés dans des camps de regroupement et de détention où ils subissent tortures et violations des droits humains, lorsqu’ils ne trouvent pas la mort en traversant mers et autres frontières naturelles.
Les corridors humanitaires, implantés au cours des dernières années, contribuent certainement à affronter certaines des problématiques susmentionnées, sauvant de nombreuses vies. Toutefois, la portée de la crise rend toujours plus urgent d’attaquer à la racine les causes qui poussent à migrer, comme elle exige aussi un effort commun pour soutenir les pays de premier accueil qui assument l’obligation morale de sauver des vies humaines. A ce sujet, on attend avec intérêt la négociation du Nouveau Pacte de l’Union Européenne sur la migration et l’asile, tout en observant que les politiques et les mécanismes concrets ne fonctionneront que s’ils seront soutenus par la volonté politique nécessaire et par l’engagement de toutes les parties en cause, y compris la société civile et les migrants eux-mêmes.
Le Saint-Siège apprécie tous les efforts accomplis en faveur des migrants et appuie l’engagement de l’Organisation Internationale pour les Migrations (OIM), dont cette année marque le 70e anniversaire de la fondation, dans le plein respect des valeurs exprimées dans sa Constitution ainsi que de la culture des Etats membres où l’Organisation œuvre. Egalement, le Saint-Siège, membre du Comité exécutif du Haut-Commissariat des Nations Unies pour les Réfugiés (UNHCR), reste fidèle aux principes énoncés dans la Convention de Genève de 1951 sur le statut des réfugiés et au Protocole de 1967, qui établissent la définition légale de réfugié, leurs droits, ainsi que l’obligation légale des Etats de les protéger.
Depuis la Deuxième guerre mondiale, le monde n’avait pas encore assisté à une augmentation aussi dramatique du nombre de réfugiés, comme celle que nous voyons aujourd’hui. Il est donc urgent que se renouvelle l’engagement pour leur protection, de même que pour celle des déplacés internes et de toutes les personnes vulnérables contraintes de fuir les persécutions, la violence, les conflits et les guerres. A cet égard, malgré les efforts importants faits par les Nations Unies dans la recherche de solutions et de propositions concrètes pour affronter de manière cohérente le problème des déplacements forcés, le Saint-Siège exprime sa préoccupation pour la situation des personnes déplacées dans différentes parties du monde. Je pense avant tout à la région centrale du Sahel, où, en moins de deux ans, le nombre des déplacés internes a augmenté de vingt fois.
Crise de la politique
Les défis que j’ai évoqués jusqu’ici mettent en relief une crise bien plus profonde, qui d’une certaine manière demeure à la racine des autres, dont le tragique a été mis en lumière par la pandémie. C’est la crise politique qui depuis un certain temps investit de nombreuses sociétés, et dont les effets déchirants ont émergé durant la pandémie.
L’un des facteurs emblématiques de cette crise est la croissance des affrontements politiques et la difficulté, pour ne pas dire l’incapacité, à rechercher des solutions communes et partagées aux problèmes qui affligent notre planète. C’est une tendance à laquelle on assiste maintenant depuis un certain temps et qui se répand toujours plus, même dans des pays de tradition démocratique ancienne. Maintenir vivantes les réalités démocratiques est un défi de ce moment historique[6], qui intéresse de près tous les Etats: qu’ils soient petits ou grands, économiquement avancés ou en voie de développement. Ces jours-ci, ma pensée va de façon particulière au peuple du Myanmar, auquel j’exprime mon affection et ma proximité. Le chemin vers la démocratie entrepris ces dernières années a été brusquement interrompu par le coup d’état de la semaine dernière. Il a conduit à l’incarcération de plusieurs responsables politiques, qui je l’espère seront rapidement libérés, comme signe d’encouragement en vue d’un dialogue sincère pour le bien du pays.
D’autre part, comme l’affirmait Pie XII dans son mémorable Radio message de Noël 1944: «Exprimer son opinion personnelle sur les devoirs et les sacrifices qui lui sont imposés; ne pas être contraint d’obéir sans avoir été entendu: voilà deux droits du citoyen qui trouvent dans la démocratie, comme le nom l’indique, leur expression».[7] La démocratie se base sur le respect réciproque, sur la possibilité de tous de concourir au bien de la société et sur la considération que des opinions différentes, non seulement ne sapent pas le pouvoir et la sécurité des Etats, mais, dans une confrontation honnête, enrichissent mutuellement et permettent de trouver des solutions plus appropriées aux problèmes à affronter. Le processus démocratique demande qu’on poursuive le chemin du dialogue inclusif, pacifique, constructif et respectueux entre toutes les composantes de la société civile dans chaque ville et chaque nation. Les évènements qui, même de manières et dans des contextes différents, ont caractérisé la dernière année de l’orient à l’occident, même – je répète – dans des pays de longue tradition démocratique, disent combien ce défi est inévitable et comment on ne peut se dispenser de l’obligation morale et sociale de l’affronter avec une attitude positive. Le développement d’une conscience démocratique exige qu’on dépasse les tendances trop personnelles et que prévale le respect de l’état de droit. Le droit est en effet le présupposé indispensable pour l’exercice de tout pouvoir et il doit être garanti par les organes qui en sont chargés, indépendamment des intérêts politiques dominants.
Malheureusement, la crise de la politique et des valeurs démocratiques se répercute aussi au niveau international, avec des retombées sur tout le système multilatéral et la conséquence évidente que des Organisations pensées pour favoriser la paix et le développement – sur la base du droit et non de la “loi du plus fort” – voient compromise leur efficacité. Certainement, on ne peut taire que, ces dernières années, le système multilatéral a également montré certaines limites. La pandémie est une occasion à ne pas perdre pour penser et mettre en œuvre des réformes organiques, afin que les Organisations internationales retrouvent leur vocation essentielle à servir la famille humaine pour préserver la vie de toute personne et la paix.
L’un des signes de la crise de la politique est la réticence qui survient souvent pour entreprendre des voies de réforme. Il ne faut pas avoir peur des réformes, même si elles demandent des sacrifices et souvent un changement de mentalité. Chaque corps vivant a continuellement besoin de se réformer, et les réformes qui intéressent le Saint-Siège et la Curie Romaine s’inscrivent aussi dans cette perspective.
Néanmoins, les signes encourageants ne manquent pas, et, parmi eux, l’entrée en vigueur il y a quelques jours du Traité pour l’Interdiction des Armes Nucléaires, de même que l’extension pour un quinquennat supplémentaire du Nouveau Traité sur la Réduction des Armes stratégiques (le New START) entre la Fédération Russe et les Etats-Unis d’Amérique. Par ailleurs, comme je l’ai également rappelé dans la récente encyclique Fratelli tutti, «si nous prenons en considération les principales menaces à la paix et à la sécurité dans leurs multiples dimensions dans ce monde multipolaire du XXIème siècle, […] de nombreux doutes surgissent en ce qui concerne l’insuffisance de la dissuasion nucléaire comme réponse efficace à ces défis».[8] En effet, «un équilibre fondé sur la peur n’est pas durable, quand il tend, de fait, à accroître la peur et à porter atteinte aux relations de confiance entre les peuples».[9]
L’effort dans le domaine du désarmement et de la non-prolifération des armements nucléaires, qui doit être intensifié malgré les difficultés et les réticences, devrait être également conduit vis à vis des armes chimiques et des armes conventionnelles. Il y a trop d’armes dans le monde! Saint Jean XXIII affirmait en 1963: «La justice, la sagesse, le sens de l'humanité réclament par conséquent qu'on arrête la course aux armements et que l’on réduise parallèlement et simultanément l'armement existant».[10] Et alors qu’avec la multiplication des armes, la violence augmente à tous les niveaux et que nous voyons autour de nous un monde déchiré par les guerres et les divisions, nous sentons grandir toujours davantage l’exigence de paix, d’une paix qui n’est «pas seulement l’absence de guerre, mais une vie pleine de sens, organisée et vécue dans la réalisation personnelle et dans le partage fraternel avec les autres ».[11]
Comme je voudrais que 2021 soit l’année où le mot fin soit enfin écrit concernant le conflit syrien, commencé il y maintenant 10 ans! Pour que cela se réalise, un intérêt renouvelé est nécessaire de la part de la Communauté internationale pour affronter avec sincérité et courage les causes du conflit et rechercher des solutions à travers lesquelles tous, indépendamment de l’appartenance ethnique et religieuse, puissent contribuer en tant que citoyens à l’avenir du pays.
Mon vœu de paix s’adresse bien entendu à la Terre Sainte. La confiance réciproque entre Israéliens et Palestiniens doit être à la base d’un dialogue direct, renouvelé et résolu, entre les parties afin de résoudre un conflit qui perdure depuis trop longtemps. J’invite la Communauté internationale à soutenir et à faciliter ce dialogue direct, sans prétendre dicter des solutions qui n’ont pas pour horizon le bien de tous. Palestiniens et Israéliens – j’en suis sûr – nourrissent tous deux le désir de pouvoir vivre en paix.
De même, je souhaite un engagement politique national et international renouvelé pour favoriser la stabilité du Liban traversé par une crise interne, qui risque de perdre son identité et de se trouver encore plus impliqué dans les tensions régionales. Il est plus que jamais nécessaire que le pays garde son identité unique, également pour assurer l’existence d’un Moyen Orient pluriel, tolérant et divers, où la présence chrétienne puisse offrir sa contribution et ne soit pas réduite à une minorité qu’il faut protéger. Les chrétiens constituent le tissu conjonctif historique et social du Liban et, à travers les multiples œuvres éducatives, sanitaires et caritatives, la possibilité de continuer à œuvrer pour le bien du pays dont ils ont été les fondateurs doit leur être assurée. Affaiblir la communauté chrétienne risque de détruire l’équilibre interne et la réalité libanaise elle-même. La présence des réfugiés syriens et palestiniens doit aussi être abordée dans cette optique. De plus, en absence d’un processus urgent de reprise économique et de reconstruction, l’on risque la faillite du pays, avec la conséquence possible de dangereuses dérives fondamentalistes. Il est donc nécessaire que tous les responsables politiques et religieux, les intérêts particuliers ayant été mis de côté, s’engagent à poursuivre la justice et à mettre en œuvre de vraies réformes pour le bien des citoyens, en agissant de manière transparente et en assumant la responsabilité de leurs actions.
Je souhaite aussi la paix pour la Libye, elle aussi déchirée par un conflit maintenant bien long, avec l’espérance que le récent Forum du Dialogue Politique Libyen, qui s’est tenu en Tunisie en novembre dernier sous l’égide des Nations Unies, permette, dans les faits, le commencement du processus attendu de paix et de réconciliation du pays.
D’autres parties du monde suscitent aussi de l’inquiétude. Je fais référence en premier lieu aux tensions politiques et sociales en République Centrafricaine; comme aussi à celles relatives à l’Amérique Latine en général qui ont des racines dans les profondes inégalités, dans les injustices et dans la pauvreté qui offensent la dignité des personnes. De même, je suis avec une particulière attention la détérioration des relations dans la péninsule coréenne, culminant avec la destruction du bureau de liaison intercoréen à Kaesong; également la situation dans le Caucase méridional où divers conflits gelés perdurent, certains rallumés au cours de l’année passée, qui minent la stabilité et la sécurité de toute la région.
Enfin, je ne peux pas oublier une autre grave plaie de notre époque: le terrorisme qui chaque année fauche partout dans le monde de nombreuses victimes parmi les populations civiles sans défense. C’est un mal qui a grandi à partir des années 70 du siècle dernier et qui a culminé dans les attentats du 11 septembre 2001 frappant les Etats Unis d’Amérique et tuant près de 3000 personnes. Malheureusement, le nombre d’attentats s’est toujours intensifié ces 20 dernières années touchant divers pays sur tous les continents. Je fais référence, en particulier, au terrorisme qui frappe surtout en Afrique subsaharienne, mais aussi en Asie et en Europe. Ma pensée va à toutes les victimes et à leurs familles qui se sont vues arracher des personnes chères par une violence aveugle, motivée par des déformations idéologiques de la religion. Par ailleurs, les objectifs de ces attaques sont souvent, précisément, les lieux de culte où les fidèles sont rassemblés en prière. A cet égard, je voudrais souligner que la protection des lieux de culte est une conséquence directe de la défense de la liberté de pensée, de conscience et de religion, et qu’elle est un devoir pour les Autorités civiles, indépendamment de la couleur politique et de l’appartenance religieuse.
Excellences, Mesdames et Messieurs,
arrivant à la conclusion de mes réflexions, je désire m’arrêter encore sur une dernière crise qui, parmi toutes, est peut-être la plus grave: la crise des relations humaines, expression d’une crise anthropologique générale qui concerne la conscience même de la personne humaine et sa dignité transcendante.
La pandémie qui nous a contraints à de longs mois d’isolement, et souvent de solitude, a fait apparaître la nécessité pour toute personne d’avoir des relations humaines. Je pense avant tout aux étudiants qui n’ont pas pu aller régulièrement à l’Université.«On a cherché partout à mettre en route une réponse rapide par des plates-formes pédagogiques informatisées; celles-ci ont révélé non seulement une forte disparité des opportunités éducatives et technologiques, mais aussi que, à cause du confinement et de beaucoup d’autres lacunes déjà existantes, de nombreux enfants et adolescents sont restés en arrière dans le processus naturel du développement pédagogique ».[12] De plus, l’augmentation de l’enseignement à distance a impliqué une plus grande dépendance des enfants et des adolescents à internet et aux formes de communications virtuelles en général, les rendant par ailleurs plus vulnérables et plus exposés aux activités criminelles on line.
Nous assistons à une sorte de “catastrophe éducative”. Je voudrais le répéter: nous assistons à une sorte de “catastrophe éducative”, face à laquelle on ne peut rester inerte, pour le bien des générations futures et de toute la société. «Aujourd’hui, est nécessaire une nouvelle époque d’engagement éducatif qui implique toutes les composantes de la société »,[13] car l’éducation «est l’antidote naturel à la culture individualiste, qui quelquefois dégénère en un véritable culte du "moi" et dans le primat de l’indifférence. Notre avenir ne peut pas être la division, l’appauvrissement des facultés de pensée et d’imagination, d’écoute, de dialogue et de compréhension mutuelle ».[14]
Mais les longues périodes de confinement ont aussi permis de passer plus de temps en famille. Pour beaucoup il s’est agi d’un moment important pour redécouvrir les relations les plus chères. D’ailleurs, mariage et famille «constituent l'un des biens les plus précieux de l'humanité » [15] et le berceau de toute société civile. Le grand Pape saint Jean-Paul II, dont nous avons célébré le centenaire de la naissance l’an dernier, rappelait dans son précieux magistère sur la famille: «Face à la dimension mondiale qui de nos jours caractérise les différents problèmes sociaux, la famille voit s'élargir de façon tout à fait nouvelle son rôle en ce qui concerne le développement de la société» et le réalise avant tout «en offrant aux enfants un modèle de vie fondé sur les valeurs de vérité, de liberté, de justice et d'amour ».[16] Cependant, tous n’ont pas pu vivre avec sérénité dans leur maison, et certaines cohabitations ont dégénéré en violences domestiques. J’exhorte tout le monde, autorités publiques et société civile, à soutenir les victimes de la violence en famille: nous savons malheureusement que ce sont les femmes, souvent en même temps que leurs enfants, qui payent le prix le plus cher.
Les exigences pour contenir la diffusion du virus ont aussi eu des conséquences sur diverses libertés fondamentales, y compris la liberté de religion, en limitant le culte et les activités éducatives et caritatives des communautés de foi. Il ne faut pas négliger cependant le fait que la dimension religieuse constitue un aspect fondamental de la personnalité humaine et de la société, qui ne peut être effacé; et que, alors que l’on cherche à protéger les vies humaines de la diffusion du virus, on ne peut considérer la dimension spirituelle et morale de la personne comme secondaire par rapport à la santé physique.
La liberté de culte n’est cependant pas un corollaire de la liberté de réunion mais dérive essentiellement du droit à la liberté religieuse qui est le premier et plus fondamental droit humain. Il est donc nécessaire que celle-ci soit respectée, protégée et défendue par les Autorités civiles, comme la santé et l’intégrité physique. D’ailleurs, un bon soin du corps ne peut jamais faire abstraction du soin de l’âme.
En écrivant à Cangrande della Scala, Dante Alighieri souligne à la fin de sa Comédie: «Eloigner ceux qui vivent cette vie de l’état de misère et les conduire à un état de bonheur».[17] Tel est aussi, avec des rôles et dans des cadres différents, la tâche des autorités tant religieuses que civiles. La crise des relations humaines et, en conséquence, les autres crises que j’ai mentionnées, ne peuvent être vaincues qu’en sauvegardant la dignité transcendante de toute personne humaine, crée à l’image et à la ressemblance de Dieu.
En faisant mémoire du grand poète florentin, dont c’est cette année le septième centenaire de la mort, je désire aussi adresser une pensée particulière au peuple italien qui, le premier en Europe, s’est trouvé confronté aux graves conséquences de la pandémie, l’encourageant à ne pas se laisser abattre par les difficultés présentes, mais à travailler uni pour construire une société où personne ne soit rejeté ni oublié.
Chers Ambassadeurs,
2021 est un temps qu’il ne faut pas perdre. Et il ne sera pas perdu dans la mesure où nous saurons collaborer avec générosité et engagement. En ce sens, je pense que la fraternité est le véritable remède à la pandémie et aux nombreux maux qui nous ont frappés. Fraternité et espérance sont des remèdes dont le monde a besoin aujourd’hui, autant que des vaccins.
Sur chacun de vous et sur vos pays, j’invoque l’abondance des dons célestes, formant le vœu que cette année soit favorable à l’approfondissement des liens de fraternité qui relient la famille humaine tout entière.
Merci.
______________________
[1] Message pour la Journée Mondiale de la Paix (8 décembre 2020), n. 1.
[2] Ibid., n. 6.
[3] J. Donne, Meditazione XVII, in: Devozioni per occasioni d’emergenza, Editori Riuniti, Roma 1994, pp. 112-113.
[4] Lettre pour l’évènement “Economy of Francesco” (1er mai 2019).
[5] Lett. enc. Pacem in terris (11 avril 1963), n. 11.
[6] Cf. Discours au Parlement Européen, Strasbourg (25 novembre 2014).
[7] Radio message aux peuples du monde entier, 24 décembre 1944.
[8] Message à la Conférence de l’ONU pour la négociation d’un instrument juridiquement contraignant visant à interdire les armes nucléaires en vue de leur élimination complète (23 mars 2017) : L’Osservatore Romano, éd. en langue française (6 avril 2017), p. 5: Lett. enc. Fratelli tutti, n. 262.
[9] Ibid.
[10] S. Jean XXIII, Lett. enc. Pacem in terris (11 avril 1963), n. 112.
[11] Angelus, 1er janvier 2021
[12] Video message à l’occasion de la rencontre “Global compact on education. Together to look beyond” (15 octobre 2020).
[13] Ibid.
[14] Ibid.
[15] S. Jean-Paul II, Exhort. ap. Familiaris consortio (22 novembre 1981), n. 1.
[16] Ibid. n. 48.
[17] Lettre 13, 39.
[00165-FR.02] [Texte original: Italien]
Traduzione in lingua inglese
Your Excellencies,Ladies and Gentlemen,
I thank the Dean, His Excellency Mr George Poulides, Ambassador of Cyprus, for the kind words and good wishes he has expressed in your name, and I beg your pardon for any inconvenience caused by the cancellation of our meeting originally planned for 25 January last. I am grateful for your patience and understanding, and for accepting the invitation to be here this morning, despite the difficulties, for our traditional encounter.
Our meeting this morning takes place in the more spacious Hall of Blessings, in order to respect the need for greater personal distancing demanded by the pandemic. Yet this distancing is merely physical. Today’s meeting speaks of something very different: it is a sign of the closeness and mutual support to which the family of nations should aspire. In this time of pandemic, the need for such closeness is all the more important, for it is clear that the virus knows no barriers nor can it easily be isolated. Overcoming it is thus a duty incumbent on each of us, as well as our countries.
I am most grateful for your daily efforts to foster relations between the countries or international organizations that you represent and the Holy See. We have been able to exchange many signs of our closeness to one another in the course of these past months, thanks also to the deployment of new technologies that have enabled us to surmount the limitations imposed by the pandemic.
All of us certainly look forward to resuming personal contacts as quickly as possible, and our gathering here today is meant to be a sign of hope in this regard. I myself wish to resume my Apostolic Visits, beginning with that to Iraq scheduled for this coming March. These Visits are an important sign of the solicitude of the Successor of Peter for God’s People spread throughout the world and the dialogue of the Holy See with states. They also frequently provide an opportunity to promote, in a spirit of sharing and dialogue, good relations between the different religions. In our time, interreligious dialogue is an important component of the encounter between peoples and cultures. When it is viewed not in terms of compromising our own identity but as an occasion of mutual understanding and enrichment, dialogue can become an opportunity for religious leaders and the followers of different confessions, and can support the responsible efforts of political leaders to promote the common good.
Equally important are international agreements that foster mutual trust and enable the Church to cooperate more effectively in the spiritual and social well-being of your countries. In this regard, I would mention the exchange of instruments of ratification of the Framework Agreement between the Holy See and the Democratic Republic of the Congo, and the Agreement on the legal status of the Catholic Church in Burkina Faso, as well as the signing of the Seventh Additional Agreement of the 23 June 1960 Convention Regulating Patrimonial Relations between the Holy See and the Republic of Austria. Additionally, on 22 October 2020, the Holy See and the People’s Republic of China agreed to extend for another two years the Provisional Agreement regarding the Appointment of Bishops in China, signed in Beijing in 2018. The agreement is essentially pastoral in nature, and the Holy See is confident that the process now begun can be pursued in a spirit of mutual respect and trust, and thus further contribute to the resolution of questions of common interest.
Dear Ambassadors,
The year just ended has left in its wake fear, unease and despair, as well as grief for the great loss of life. It led to a spirit of isolation and mutual suspicion that caused states to set up barriers. The interconnected world to which we have become accustomed gave way to a world once more fragmented and divided. Yet the effects of the pandemic are themselves global, touching all the countries and peoples of the world, affecting numerous aspects of our lives, and helping to aggravate “deeply interrelated crises like those of the climate, food, the economy and migration”.[1] In light of this, I thought it fitting to establish the Vatican Covid-19 Committee, for the sake of coordinating the response of the Holy See and the entire Church to requests coming from dioceses worldwide to respond to the health crisis and the serious needs that the pandemic has brought to the fore.
From the outset, it seemed obvious that the pandemic would have a significant effect on the style of life to which we are accustomed, and on conveniences and certainties we take for granted. This led to a crisis, for it showed us the face of a world that is seriously ill, not only as a result of the virus but also in its natural environment, its economic and political processes, and even more in its human relationships. The pandemic shed light on the risks and consequences inherent in a way of life dominated by selfishness and a culture of waste, and it set before us a choice: either to continue on the road we have followed until now, or to set out on a new path.
I would like to mention briefly some of the crises that were provoked or brought to light by the pandemic, but also to consider the opportunities that they offer for the building of a more humane, just, supportive and peaceful world.
A health crisis
The pandemic forced us to confront two unavoidable dimensions of human existence: sickness and death. In doing so, it reminded us of the value of life, of every individual human life and its dignity, at every moment of its earthly pilgrimage, from conception in the womb until its natural end. It is painful, however, to note that under the pretext of guaranteeing presumed subjective rights, a growing number of legal systems in our world seem to be moving away from their inalienable duty to protect human life at every one of its phases.
The pandemic has also reminded us of the right – the right! – of each human being to dignified care, as I emphasized in my Message for the World Day of Peace celebrated on 1 January this year. For “each human person is an end in himself or herself, and never simply a means to be valued only for his or her usefulness. Persons are created to live together in families, communities and societies, where all are equal in dignity. Human rights derive from this dignity, as do human duties, like the responsibility to welcome and assist the poor, the sick, the excluded”.[2] If we deprive the weakest among us of the right to life, how can we effectively guarantee respect for every other right?
I thus renew my appeal that every person receive the care and assistance he or she requires. To this end, it is indispensable that political and government leaders work above all to ensure universal access to basic healthcare, the creation of local medical clinics and healthcare structures that meet people’s actual needs, and the availability of treatments and medicinal supplies. Concern for profit should not be guiding a field as sensitive as that of healthcare.
It is likewise essential that the remarkable medical and scientific progress attained over the years – which made it possible to create so quickly vaccines that promise to be effective against the Coronavirus – benefit humanity as a whole. I encourage all states to contribute actively to the international efforts being made to ensure an equitable distribution of the vaccines, based not on purely economic criteria but on the needs of all, especially of peoples most in need.
Even so, before so a devious and unpredictable an enemy as Covid-19, access to vaccines must be accompanied by responsible personal behaviour aimed at halting the spread of the virus, employing the necessary measures of prevention to which we have become accustomed in these months. It would be disastrous to put our trust in the vaccine alone, as if it were a panacea exempting every individual from constant concern for his or her own health and for the health of others. The pandemic has once more shown us that, in the celebrated expression of the English poet John Donne, “no man is an island”, and that “any man’s death diminishes me, because I am involved in mankind”.[3]
An environmental crisis
Nor it is just human beings who are ill. The pandemic has demonstrated once again that the earth itself is fragile and in need of care.
Certainly, there are profound differences between the health crisis resulting from the pandemic and the ecological crisis caused by the indiscriminate exploitation of natural resources. The latter is much more complex and enduring, and requires shared long-term solutions. The impact of climate change, for example, whether direct, such as the extreme weather events of flooding and drought, or indirect, such as malnutrition or respiratory disease, entail consequences that persist for a considerable time.
Overcoming these crises demands international cooperation in caring for our common home. It is thus my hope that the next United Nations Climate Change Conference (COP26), to take place in Glasgow next November, will lead to effective agreement in addressing the consequences of climate change. Now is the time to act, for we are already feeling the effects of prolonged inaction.
I think, for example, of the repercussions of climate change on numerous small islands in the Pacific Ocean that are in danger of gradually disappearing. This tragedy not only causes the destruction of entire villages, but also forces local communities, especially families, to be constantly displaced, with the loss of their identity and culture. I think too of the floods in Southeast Asia, especially in Vietnam and the Philippines, which have caused many deaths and left entire families without means of subsistence. Nor can I fail to mention the increased warming of the earth, which has caused devastating fires in Australia and California.
In Africa too, climate change, aggravated by reckless human interventions – and now by the pandemic – is a cause of grave concern. I think particularly of food insecurity, which in the last year has especially affected Burkina Faso, Mali and Niger, with millions of people suffering from hunger. In South Sudan too, there is a risk of famine and indeed a serious and persistent humanitarian emergency: over one million children are undernourished, while humanitarian corridors are often blocked and the presence of humanitarian agencies in the territory is restricted. Not least to deal with this situation, the South Sudanese authorities urgently need to overcome misunderstandings and pursue political dialogue for the sake of full national reconciliation.
An economic and social crisis
The need to contain the coronavirus has prompted many governments to adopt restrictions on freedom of movement. For several months, these have led to the closing of businesses and a general slowdown in production, with serious repercussions on companies, especially those that are medium-sized and small, on employment and consequently on the life of families and entire sectors of society, especially those that are most fragile.
The resulting economic crisis has highlighted another illness of our time: that of an economy based on the exploitation and waste of both people and natural resources. All too often, we have neglected solidarity and other values that make it possible for the economy to serve integral human development rather than particular interests. We have also lost sight of the social significance of economic activity and the universal destination of goods and resources.
The current crisis thus provides a helpful opportunity to rethink the relationship between individuals and the economy. There is need for a kind of “new Copernican revolution” that can put the economy at the service of men and women, not vice versa. In a word, “a different kind of economy: one that brings life not death, one that is inclusive and not exclusive, humane and not dehumanizing, one that cares for the environment and does not despoil it”.[4]
To cope with the negative consequences of this crisis, many governments have prepared various initiatives and allocated substantial funding. Yet, not infrequently, attempts have been made to seek local solutions to a problem that is in fact global. Today, more than ever, we can no longer think of acting simply by ourselves. Common and shared initiatives are also needed at the international level, especially to support employment and to protect the poorest sectors of the population. I consider to be significant in this regard the commitment of the European Union and its member states. Despite difficulties, they have been able to demonstrate that it is possible to work diligently to reach satisfactory compromises for the benefit of all citizens. The allocation of funds proposed by the Next Generation EU recovery plan can serve as a meaningful example of how cooperation and the sharing of resources in a spirit of solidarity are not only desirable but also achievable goals.
In many parts of the world, the crisis has predominantly affected those working informally, who were the first to see their livelihood vanish. Living outside of the formal economy, they lack access to social safety nets, including unemployment insurance and health care provision. Driven by desperation, many have sought other forms of income and risk being exploited through illegal or forced labour, prostitution and various criminal activities, including human trafficking.
Every human being, on the other hand, has the right to enjoy the “means necessary for the proper development of life”, and must be given the means to do so.[5] Indeed, economic stability must be ensured for all, so as to avoid the scourge of exploitation and to combat the usury and corruption that afflict many countries in the world, together with the many other injustices that occur daily under the weary and distracted gaze of our contemporary society.
The increased amount of time spent at home has also led to greater isolation as people pass longer hours before computers and other media, with serious consequences for the more vulnerable, particularly the poor and the unemployed. They become easier prey for cybercrime in its most dehumanizing aspects, including fraud, trafficking in persons, the exploitation of prostitution, including child prostitution, and child pornography.
The closing of borders due to the pandemic, combined with the economic crisis, have also aggravated a number of humanitarian emergencies, both in conflict areas and in regions affected by climate change and drought, as well as in refugee and migrant camps. I think especially of Sudan, where thousands of people fleeing the Tigray region have sought refuge, as well as other countries in sub-Saharan Africa, or in the Cabo Delgado region in Mozambique, where many have been forced to leave their own lands and now find themselves in highly precarious conditions. My thoughts also turn to Yemen and beloved Syria, where, in addition to other serious emergencies, a large part of the population experiences food insecurity and children are suffering from malnutrition.
In various cases, humanitarian crises are aggravated by economic sanctions, which, more often than not, affect mainly the more vulnerable segments of the population rather than political leaders. While understanding the reasons for imposing sanctions, the Holy See does not view them as effective, and hopes that they will be relaxed, not least to improve the flow of humanitarian aid, especially medicines and healthcare equipment, so very necessary in this time of pandemic.
May the current situation likewise be a catalyst for forgiving, or at least reducing, the debt that burdens the poorer countries and effectively prevents their recovery and full development.
Last year also witnessed a further increase in migrants who, as a result of the closing of borders, had to resort to ever more dangerous travel routes. This massive flow also met with a growing number of illegal refusals of entry, frequently employed to prevent migrants from seeking asylum, in violation of the principle of non-refusal (non-refoulement). Many of those who did not die while crossing seas and other natural borders were intercepted and returned to holding and detention camps, where they endure torture and human rights violations.
Humanitarian corridors, implemented in the course of the last years, surely help to confront some of these problems and have saved many lives. Yet the scope of the crisis makes it all the more urgent to address at their roots the reasons that cause individuals to migrate. It also demands a common effort to support the countries of first welcome that assume the moral duty to save human lives. In this regard, we look forward to the negotiation of the European Union’s New Pact on Migration and Asylum, while noting that concrete policies and mechanisms will not work unless they are supported by the necessary political will and commitment of all parties involved, including civil society and migrants themselves.
The Holy See appreciates every effort made to assist migrants and supports the commitment of the International Organization for Migration (IOM), presently celebrating the seventieth anniversary of its foundation, in full respect for the values expressed in its Constitution and of the culture of the member states in which the Organization works. Likewise, the Holy See, as a member of the Executive Committee of the United Nations High Commissioner for Refugees (UNHCR), remains faithful to the principles laid down in the Geneva Convention of 1951 on the status of refugees and in the Protocol of 1967, both of which set forth the legal definition of refugees, their rights and the legal obligation of states to protect them.
Since the aftermath of the Second World War, our world has not experienced this dramatic an increase in the number of refugees. Consequently, there is an urgent need for renewed commitment to protect them, together with internally displaced persons and the many vulnerable people forced to flee from persecution, violence, conflicts and wars. In this regard, despite the important efforts made by the United Nations in seeking solutions and concrete proposals to address in a consistent manner the issue of forced displacement, the Holy See expresses its deep concern over the situation of displaced persons in different areas of the world. I think primarily of the central region of the Sahel where, in less than two years, the number of internally displaced persons has increased twentyfold.
A crisis of politics
The critical issues that I have just mentioned highlight a much deeper crisis, which in some way lies at the root of the others, and whose dramatic force was highlighted precisely by the pandemic. I refer to the crisis of politics that has been affecting many societies for some time and whose painful effects emerged during the pandemic.
One of the hallmarks of this crisis is the increase in political conflicts and the difficulty, if not actually the inability, to seek common and shared solutions to the problems afflicting our world. This has been a growing trend, one that is becoming more and more widespread also in countries with a long tradition of democracy. Vitalizing democracies is a challenge in the present historic moment[6], one that directly affects all states, whether small or large, economically advanced or in the process of development. In these days, my thoughts turn particularly to the people of Myanmar, to whom I express my affection and closeness. The path to democracy undertaken in recent years was brusquely interrupted by last week’s coup d’état. This has led to the imprisonment of different political leaders, who I hope will be promptly released as a sign of encouragement for a sincere dialogue aimed at the good of the country.
For that matter, as Pope Pius XII stated in his memorable Radio Message of Christmas 1944: “To express their own views of the duties and sacrifices that are imposed on them, and not be compelled to obey without being heard – these are two rights of citizens which find in democracy, as its name implies, their expression”.[7] Democracy is based on mutual respect, on the possibility that each person can contribute to the good of society, and on the consideration that different opinions do not threaten the power and security of states, but through honest debate mutually enrich them and enable them to find more suitable solutions to pressing problems. The democratic process calls for pursuing the path of inclusive, peaceful, constructive and respectful dialogue among all the components of civil society in every city and nation. The events that in various ways and contexts, from East to West, have marked this past year also, as I mentioned, in countries with a long democratic tradition, have made clear how inescapable is this challenge, and how we cannot avoid the moral and social duty to address it positively. The development of a democratic consciousness demands that emphasis on individual personalities be overcome and that respect for the rule of law prevail. Indeed, law is the indispensable prerequisite for the exercise of all power and must be guaranteed by the responsible governing bodies, regardless of dominant political interests.
Sad to say, the crisis of politics and of democratic values is reflected also on the international level, with repercussions on the entire multilateral system and the obvious consequence that Organizations designed to foster peace and development – on the basis of law and not on the “law of the strongest” – see their effectiveness compromised. To be sure, we cannot ignore that the multilateral system has also, in recent years, shown some limitations. The pandemic is a precious opportunity to devise and implement structural reforms so that international Organizations can rediscover their essential vocation to serve the human family by protecting individual lives and peace.
One of the signs of the crisis of politics is precisely the frequently encountered reluctance to undertake paths of reform. We must not be afraid of reforms, even if they require sacrifices and often a change in our way of thinking. Every living body constantly needs to be reformed, and the reforms taking place in the Holy See and the Roman Curia also fit into this perspective.
In any case, there are a number of encouraging signs, such as the entry into force, a few days ago, of the Treaty for the Prohibition of Nuclear Weapons and the extension for another five-year period of the New Strategic Arms Reduction Treaty (“New START”) between the Russian Federation and the United States of America. As I noted in my recent Encyclical Letter Fratelli Tutti, “if we take into consideration the principal threats to peace and security with their many dimensions in this multipolar world of the twenty-first century… not a few doubts arise regard the inadequacy of nuclear deterrence as an effective response to such challenges”.[8] In fact, “a stability based on fear, when it actually increases fear and undermines relationships of trust between peoples”[9] is not sustainable.
Efforts in the area of disarmament and the non-proliferation of nuclear weapons that, despite difficulties and reluctance, must be intensified, should also be carried out with regard to chemical and conventional weapons. Our world has too many weapons! As Saint John XXIII observed in 1963, “justice, right reason, and the recognition of human dignity cry out insistently for a cessation to the arms race. The stockpiles of armaments which have been built up in various countries must be reduced all round and simultaneously by the parties concerned”.[10] As violence increases at every level with the proliferation of weapons, and we see around us a world torn by wars and divisions, we feel an ever greater need for peace, a peace that “is not only the absence of war, but rather a life rich in meaning, rooted in and lived through personal fulfilment and fraternal sharing with others”.[11]
How I wish that 2021 may be the year when the conflict in Syria, begun ten years ago, can finally end! For this to happen, renewed interest is needed also on the part of the international community to address the causes of the conflict with honesty and courage and to seek solutions whereby all, regardless of ethnic and religious affiliation, can contribute as citizens to the future of the country.
My desire for peace obviously extends to the Holy Land. Mutual trust between Israelis and Palestinians must be the basis for renewed direct dialogue between the parties aimed at resolving a conflict that has gone on all too long. I urge the international community to support and facilitate such direct dialogue, without presuming to dictate solutions that would not be aimed at the good of all. Palestinians and Israelis – of this I am sure – share the desire to dwell in peace.
I also express my hope for renewed political commitment, both national and international, to fostering the stability of Lebanon, which is experiencing an internal crisis and risks losing its identity and finding itself caught up even more in regional tensions. It is most necessary that the country maintain its unique identity, not least to ensure a pluralistic, tolerant and diversified Middle East in which the Christian community can make its proper contribution and not be reduced to a minority in need of protection. Christians, with their many educational, health and charitable works, are an intrinsic part of Lebanon’s historical and social fabric, and they must be guaranteed the possibility of continuing their efforts for the good of the country, of which they were founders. A weakening of the Christian presence risks destroying internal equilibrium and the very reality of Lebanon. In this regard, the presence of Syrian and Palestinian refugees must be also addressed. Moreover, without an urgently needed process of economic recovery and reconstruction, the country risks bankruptcy, with the possible effect of a dangerous drift towards fundamentalism. It is therefore necessary for all political and religious leaders to set aside their personal interests and to commit themselves to pursuing justice and implementing real reforms for the good of their fellow citizens, acting transparently and taking responsibility for their actions.
I likewise express my hope for peace in Libya, itself also devastated by a lengthy conflict, and I trust that the recent “Libyan Political Dialogue Forum”, held in Tunisia last November under the aegis of the United Nations, will effectively permit the inauguration of the country’s long-awaited process of reconciliation.
Other areas of the world are also a cause for concern. I am referring first of all to the political and social tensions in the Central African Republic and to those affecting Latin America in general, which are rooted in profound inequalities, injustices and poverty that offend the dignity of persons. I also follow with particular attention the deterioration of relations in the Korean Peninsula, which culminated in the destruction of the inter-Korean liaison office in Kaesong, and the situation in the South Caucasus, where several conflicts continue to smoulder, some of which flared up in the past year, undermining the stability and security of the entire region.
Finally, I cannot fail to mention another serious scourge of our time: terrorism, which every year kills numerous victims among defenseless civilians throughout the world. Terrorism is an evil that has been growing since the seventies of the last century, culminating in the attacks that took place in the United States of America on 11 September 2001 that killed nearly three thousand people. Tragically, the number of terrorist attacks has intensified in the last twenty years, affecting various countries on every continent. I think of terrorist attacks above all in sub-Saharan Africa, but also in Asia and Europe. My thoughts turn to all the victims and their families, who have lost their loved ones to blind violence motivated by ideological distortions of religion. For that matter, the targets of these attacks are often precisely places of worship where believers are gathered in prayer. In this regard, I would like to stress that the protection of places of worship is a direct consequence of the defence of freedom of thought, conscience and religion, and is a duty incumbent upon the civil authorities, regardless of their political persuasion or religious affiliation.
Your Excellencies, Ladies and Gentlemen,
As I come to the end of these considerations, I would like to focus on one last crisis, which is perhaps the most serious of all: the crisis of human relationships, as the expression of a general anthropological crisis, dealing with the very conception of the human person and his or her transcendent dignity.
The pandemic, which forced us to endure long months of isolation and often loneliness, has brought out the need of every individual for human relationships. I think before all else of those students who were unable to attend school or university regularly. “Attempts have been made everywhere to offer a rapid response through online educational platforms. These have brought to light a marked disparity in educational and technological opportunities, but they have also made us realize that, due to the lockdown and many other already existing needs, large numbers of children and adolescents have fallen behind in the natural process of schooling”.[12] Furthermore, the increase in distance learning has also led to a greater dependence of children and adolescents on the internet and on virtual forms of communication in general, making them all the more vulnerable and overexposed to online criminal activities.
We are witnessing a sort of “educational catastrophe” – let me repeat this: a kind of educational catastrophe – to which we must react for the sake of generations to come and for society as a whole. “Today, there is need for a renewed commitment to an education that engages society at every level”.[13] Education is, in fact, “a natural antidote to the individualistic culture that at times degenerates into a true cult of the self and the primacy of indifference. Our future cannot be one of division, impoverishment of thought, imagination, attentiveness, dialogue and mutual understanding”.[14]
At the same time, long periods of lockdown have also made it possible for families to spend more time together. For many of them, it was an important opportunity to renew their deepest relationships. Marriage and family “constitute one of the most precious of human values”[15] and the foundation of every civil society. The great Pope Saint John Paul II, the centenary of whose birth we commemorated last year, noted in his insightful teachings on the family that, “nowadays, given the global dimension of various social questions, the family has seen its role in the development of society expanded in a completely new way… by presenting to their children a model of life based on the values of truth, freedom, justice and love”.[16] Even so, not everybody has been able to live with serenity in his or her own home and some forms of cohabitation have degenerated and led to domestic violence. I encourage everyone, civil and public authorities, to provide support to the victims of domestic violence: unfortunately, as we all know, women, often with children, are those who pay the highest price.
The need to halt the spread of the virus has also had implications for a number of fundamental freedoms, including religious freedom, restricting public worship and the educational and charitable activities of faith communities. It must be recognized, however, that religion is a fundamental aspect of the human person and of society, and cannot be eliminated. Even as we seek ways to protect human lives from the spread of the virus, we cannot view the spiritual and moral dimension of the human person as less important than physical health.
Freedom of worship, furthermore, is not a corollary of the freedom of assembly. It is in essence derived from the right to freedom of religion, which is the primary and fundamental human right. This right must therefore be respected, protected and defended by civil authorities, like the right to bodily and physical health. For that matter, sound care of the body can never ignore care of the soul.
In his Letter to Cangrande della Scala, Dante Alighieri states that the purpose of his Comedy is “to remove those living in this life from the state of misery and to lead them to the state of bliss”.[17] This is also the work of both religious and civil authorities, in their various sectors and responsibilities. The crisis in human relationships and, consequently, the other crises I have mentioned, cannot be overcome, unless we safeguard the transcendent dignity of each human person, created in the image and likeness of God.
In mentioning the great Florentine poet, the seven-hundredth anniversary of whose death occurs this year, I would also like to address a special thought to the people of Italy, who were the first in Europe to deal with the grave effects of the pandemic. I urge them not to lose heart amid the present difficulties, but to cooperate in building a society in which no one is discarded or forgotten.
Dear Ambassadors,
2021 is a time that must not be wasted. And it will not be wasted if we can work together with generosity and commitment. In this regard, I am convinced that fraternity is the true cure for the pandemic and the many evils that have affected us. Along with vaccines, fraternity and hope are, as it were, the medicine we need in today’s world.
Upon each of you and your respective countries I invoke abundant heavenly blessings, and add my prayerful good wishes that this year may be a fruitful occasion for deepening the bonds of fraternity that unite the entire human family.
Thank you!
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[1] Message for the 2021 World Day of Peace, 8 December 2020, 1.
[2] Ibid. 6.
[3] Devotions upon Emergent Occasions (1623), Meditation XVII.
[4] Letter for the “Economy of Francesco” Initiative (1 May 2019).
[5] SAINT JOHN XXIII, Encyclical Letter Pacem in Terris (11 April 1963), ed. Carlen, 11.
[6] Cf. Address to the European Parliament, Strasburg (25 November 2014).
[7] Radio Message to the People of the Entire World, 24 December 1944.
[8] Message to the United Nations Conference to Negotiate a Legally Binding Instrument to Prohibit Nuclear Weapons (23 March 2017): AAS 109 (2017), 394-396; Encyclical Letter Fratelli Tutti, 262.
[9] Ibid.
[10] Encyclical Letter Pacem in Terris (11 April 1963), ed. Carlen, 112.
[11] Angelus, 1 January 2021.
[12] Video Message for the Meeting “Global Compact on Education. Together to Look Beyond” (15 October 2020).
[13] Ibid.
[14] Ibid.
[15] SAINT JOHN PAUL II, Apostolic Exhortation Familiaris Consortio (22 December 1981), 1.
[16] Ibid, 48.
[17] Epistola XIII, 39.
[00165-EN.02] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua tedesca
Exzellenzen, meine Damen und Herren,
ich danke dem Doyen Seiner Exzellenz Herrn George Poulides, dem Botschafter von Zypern, für seine freundlichen Worte und guten Wünsche in Ihrer aller Namen, und möchte mich vor allem für die Unannehmlichkeiten entschuldigen, welche Ihnen die Absage des für den 25. Januar vorgesehenen Termins vielleicht bereitet hat. Ich danke Ihnen für Ihr Verständnis und Ihre Geduld und dass Sie die Einladung, heute Morgen an unserer traditionellen Begegnung teilzunehmen, trotz der Schwierigkeiten angenommen haben.
Wir treffen uns heute in der geräumigeren Aula delle Benedizioni, um größeren Abstand zwischen den Personen halten zu können, wie es die Pandemie erfordert. Der Abstand ist jedoch rein physisch. Unser Zusammenkommen symbolisiert eher das Gegenteil. Es ist ein Zeichen der Nähe, jener Verbundenheit und gegenseitiger Unterstützung, nach der die Familie der Nationen streben muss. In dieser Zeit der Pandemie ist diese Pflicht umso dringlicher, weil jedem klar ist, dass das Virus keine Grenzen kennt und nicht einfach isoliert werden kann. Die Verantwortung für seine Bekämpfung betrifft daher einen jeden von uns persönlich, aber auch unsere Länder.
Ich bin Ihnen daher dankbar für Ihren täglichen Einsatz zur Förderung der Beziehungen zwischen Ihren Ländern bzw. den von Ihnen vertretenen Internationalen Organisationen und dem Heiligen Stuhl. Im Laufe dieser Monate konnten wir zahlreiche Zeichen gegenseitiger Verbundenheit austauschen, auch dank der modernen Technik, die es ermöglicht hat, die von der Pandemie verursachten Einschränkungen zu überwinden.
Zweifelsohne hoffen wir alle, so schnell wie möglich wieder zum unmittelbaren persönlichen Kontakt zurückzukehren, und unser heutiges Treffen möchte in diesem Sinne ein gutes Omen sein. Ebenso ist es mein Wunsch, in Kürze die Apostolischen Reisen wiederaufzunehmen, beginnend mit der für den kommenden März geplanten Reise in den Irak. Die Reisen sind in der Tat ein wichtiger Aspekt der Sorge des Nachfolgers Petri für das Volk Gottes auf der ganzen Welt sowie des Dialogs des Heiligen Stuhls mit den Staaten. Außerdem sind sie oft eine günstige Gelegenheit, um in einem Geist des Austauschs und des Dialogs die Beziehungen zwischen den verschiedenen Religionen zu vertiefen. In unserer Zeit ist der interreligiöse Dialog ein wichtiger Bestandteil der Begegnung zwischen den Völkern und Kulturen. Wenn er nicht als Verzicht auf die eigene Identität verstanden wird, sondern als Gelegenheit zu einem vertieften Kennenlernen und gegenseitiger Bereicherung, stellt er eine Chance für die Religionsführer und die Gläubigen der verschiedenen Bekenntnisse dar und kann die Arbeit der politischen Entscheidungsträger in ihrer Verantwortung für das Gemeinwohl unterstützen.
Ebenso wichtig sind die internationalen Vereinbarungen, die es erlauben, die Bande des gegenseitigen Vertrauens zu vertiefen, und die die Kirche in die Lage versetzen, wirksamer zum geistlichen und sozialen Wohl Ihrer Länder beizutragen. In diesem Zusammenhang möchte ich hier den Austausch der Ratifikationsurkunden des Rahmenabkommens zwischen dem Heiligen Stuhl und der Demokratischen Republik Kongo und des Abkommens über den Rechtsstatus der katholischen Kirche in Burkina Faso erwähnen sowie die Unterzeichnung des Siebenten Zusatzvertrags zwischen dem Heiligen Stuhl und der Republik Österreich zum Vertrag zur Regelung von vermögensrechtlichen Beziehungen vom 23. Juni 1960. Darüber hinaus haben der Heilige Stuhl und die Volksrepublik China am 22. Oktober vereinbart, die Gültigkeit des 2018 in Peking unterzeichneten vorläufigen Abkommens bezüglich der Ernennung von Bischöfen in China um weitere zwei Jahre zu verlängern. Es handelt sich um eine Übereinkunft, die im Wesentlichen pastoraler Natur ist. Der Heilige Stuhl hofft, dass der eingeschlagene Weg im Geiste des Respekts und gegenseitigen Vertrauens weitergeht und zur Lösung von Fragen gemeinsamen Interesses weiterhin beiträgt.
Liebe Botschafterinnen und Botschafter,
das vor kurzem zu Ende gegangene Jahr hat über die vielen Todesfälle hinaus bedrückende Angst, Entmutigung und Verzweiflung hinterlassen. Es hat die Menschen in eine Spirale der Absonderung und des gegenseitigen Verdachts versetzt und die Staaten dazu bewegt, Barrieren zu errichten. Die vernetzte Welt, an die wir gewöhnt waren, ist einer Welt gewichen, die wieder fragmentiert und geteilt ist. Nichtsdestotrotz sind die Auswirkungen der Pandemie wirklich global, weil sie zum einen tatsächlich die gesamte Menschheit und alle Länder der Erde betrifft, zum anderen aber auch weil sie viele Aspekte unseres Lebens berührt und zur Verschärfung von Krisen beiträgt, »die eng miteinander zusammenhängen, wie die Klima-, Ernährungs-, Wirtschafts- und Migrationskrisen«.[1] Aufgrund dieser Überlegungen hielt ich es für angebracht, die Vatikanische Covid-19-Kommission zu gründen, um die Reaktion des Heiligen Stuhls und der Kirche auf die aus den Diözesen der ganzen Welt kommenden Anregungen zu koordinieren, um der gesundheitlichen Notlage und den Bedürfnissen zu begegnen, die die Pandemie ans Licht gebracht hat.
Von Anfang an war nämlich klar, dass die Pandemie einen großen Einfluss auf unseren gewohnten Lebensstil haben würde und zu einer Abnahme von Komfort und zum Schwinden von etablierten Gewissheiten führen würde. Sie versetzte uns in eine Krise und zeigte uns das Gesicht einer Welt, die nicht nur an einem Virus erkrankt war, sondern auch was die Umwelt betrifft, die wirtschaftlichen und politischen Prozesse und erst recht die menschlichen Beziehungen. Sie hat die Risiken und Folgen einer von Egoismus und Wegwerfmentalität geprägten Lebensweise ans Licht gebracht und uns vor die Alternative gestellt, den bisherigen Weg fortzusetzen oder einen neuen Weg einzuschlagen.
Ich möchte daher auf einige der Krisen eingehen, die durch die Pandemie verursacht oder deutlicher sichtbar wurden, und gleichzeitig die Chancen betrachten, die sich daraus für den Aufbau einer menschlicheren, gerechteren, solidarischeren und friedlicheren Welt ergeben.
Gesundheitskrise
Die Pandemie hat uns mit voller Wucht zwei unausweichliche Dimensionen der menschlichen Existenz vor Augen gestellt: Krankheit und Tod. Gerade dadurch erinnert sie auch an den Wert des Lebens, jedes einzelnen menschlichen Lebens, und an seine Würde in jedem Augenblick seines irdischen Weges, von der Empfängnis im Mutterleib bis zu seinem natürlichen Ende. Bedauerlicherweise ist festzustellen, dass sich unter dem Vorwand, vermeintliche subjektive Rechte zu garantieren, eine wachsende Zahl von Gesetzgebungen in der ganzen Welt von der unabdingbaren Pflicht, menschliches Leben in jeder Phase zu schützen, zu entfernen scheint.
Die Pandemie erinnert uns auch an das Recht auf eine allgemeine Fürsorge, die jedem Menschen zukommt, wie ich auch in meiner Botschaft zum Weltfriedenstag am 1. Januar dieses Jahres betont habe. »Jede menschliche Person ist – in der Tat – Selbstzweck, niemals einfach Mittel, das nur seines Nutzens wegen geschätzt wird; sie ist dazu geschaffen, um in der Familie, in der Gemeinschaft, in der Gesellschaft zusammenzuleben, wo alle Mitglieder an Würde gleich sind. Aus dieser Würde leiten sich die Menschenrechte ab, aber auch die Pflichten, die z.B. an die Verantwortung erinnern, die Armen, die Kranken, die Ausgegrenzten […] aufzunehmen und ihnen zu helfen«.[2] Wenn das Recht auf Leben im Falle der Schwächsten unterdrückt wird – wie sollen dann die übrigen Rechte wirksam gewährleistet werden?
In diesem Sinne erneuere ich meinen Appell, jedem Menschen die Fürsorge und den Beistand zukommen zu lassen, den er braucht. Dazu ist es notwendig, dass sich die Verantwortlichen in der Politik und in der Regierung für einen allgemeinen Zugang zu einer medizinischen Grundversorgung einsetzen, wie auch für die Schaffung von lokalen medizinischen Zentren und Gesundheitseinrichtungen, welche den tatsächlichen Bedürfnissen der Bevölkerung entsprechen, sowie für die Verfügbarkeit von Behandlungen und Medikamenten. In der Tat kann es nicht sein, dass die Logik des Profits in so sensiblen Bereichen wie der Gesundheitsversorgung und der allgemeinen Fürsorge den Ton angibt.
Es ist auch unerlässlich, dass die beträchtlichen medizinischen und wissenschaftlichen Fortschritte, die im Laufe der Jahre gemacht wurden und die es ermöglicht haben, in sehr kurzer Zeit wirksame Impfstoffe gegen das Coronavirus zu entwickeln, der gesamten Menschheit zugutekommen. Ich rufe daher alle Staaten auf, sich aktiv an den internationalen Initiativen zu beteiligen, die darauf abzielen, eine gerechte Verteilung der Impfstoffe sicherzustellen – und zwar nicht nach rein wirtschaftlichen Kriterien, sondern unter Berücksichtigung der Bedürfnisse aller, vor allem der Bevölkerungen besonders bedürftiger Länder.
In jedem Fall muss der Zugang zu Impfstoffen angesichts eines so heimtückischen und unberechenbaren Feindes wie Covid-19 immer von einem verantwortungsvollen persönlichen Verhalten begleitet sein, das darauf abzielt, die Ausbreitung der Krankheit zu verhindern, und zwar durch die notwendigen Vorsichtsmaßnahmen, an die wir uns in den letzten Monaten gewöhnt haben. Es wäre fatal, allein auf den Impfstoff zu setzen, als wäre er ein Allheilmittel, das von einem kontinuierlichen Engagement des Einzelnen für die eigene Gesundheit und die anderer Menschen befreit. Die Pandemie hat uns gezeigt, dass niemand eine Insel ist, so der berühmte Satz des englischen Dichters John Donne, und dass gilt: »Jedes Menschen Tod ist mein Verlust, denn ich bin Teil der Menschheit«.[3]
Umweltkrise
Nicht nur Menschen erkranken, sondern auch unsere Erde. Die Pandemie hat uns einmal mehr gezeigt, wie anfällig sie ist und wie sehr sie der Hilfe bedarf.
Es gibt sicherlich wesentliche Unterschiede zwischen der Gesundheitskrise, die durch die Pandemie hervorgerufen wurde, und der ökologischen Krise, die durch die wahllose Ausbeutung der natürlichen Ressourcen verursacht wurde. Letztere ist viel komplexer und anhaltender und erfordert gemeinsame langfristige Lösungen. Tatsächlich sind die Auswirkungen z. B. des Klimawandels – sowohl die direkten, wie extreme Wetterereignisse, etwa Überschwemmungen und Dürren, als auch die indirekten, wie Unterernährung oder Atemwegserkrankungen – oft mit langwierigen Folgen verbunden.
Die Lösung dieser Krisen erfordert eine internationale Zusammenarbeit in der Sorge um unser gemeinsames Haus. Ich hoffe daher, dass die nächste Klimakonferenz der Vereinten Nationen (COP26) im November diesen Jahres in Glasgow eine wirksame Vereinbarung zur Bekämpfung der Folgen des Klimawandels ermöglichen wird. Jetzt ist es an der Zeit zu handeln, denn die Auswirkungen fortgesetzter Untätigkeit sind bereits spürbar.
Ich denke da zum Beispiel an die Auswirkungen auf die vielen kleinen Inseln im Pazifik, die allmählich zu verschwinden drohen. Diese Tragödie verursacht nicht nur die Zerstörung ganzer Dörfer, sondern zwingt auch die lokalen Gemeinschaften und insbesondere die Familien, ständig umzuziehen, was mit dem Verlust ihrer Identität und Kultur verbunden ist. Ich denke auch an die Überschwemmungen in Südostasien, vor allem in Vietnam und auf den Philippinen, die zahlreiche Opfer gefordert und ganze Familien um ihren Lebensunterhalt gebracht haben. Ebenso wenig kann man die fortschreitende Erderwärmung ignorieren, die verheerende Brände in Australien und Kalifornien verursacht hat.
Auch in Afrika gibt der Klimawandel, der durch unüberlegtes menschliches Handeln und nun auch durch die Pandemie verschärft wird, Anlass zu großer Sorge. Ich beziehe mich in erster Linie auf die unsichere Ernährungslage, von der im letzten Jahr insbesondere Burkina Faso, Mali und Niger betroffen waren, wo Millionen von Menschen Hunger leiden. Ich denke da auch an die Situation im Südsudan, wo die Gefahr einer Hungersnot besteht und wo außerdem eine ernste humanitäre Notlage herrscht. Mehr als eine Million Kinder leiden an Mangelernährung, während humanitäre Korridore oft blockiert und die Präsenz humanitärer Organisationen in dem Gebiet eingeschränkt werden. Auch um diese Situation in den Griff zu bekommen, ist es dringender denn je, dass die südsudanesischen Verantwortungsträger allen Zwist überwinden und den politischen Dialog im Hinblick auf eine vollständige nationale Aussöhnung weiterführen.
Wirtschaftliche und soziale Krise
Das Ziel, das Coronavirus einzudämmen, hat viele Regierungen dazu veranlasst, Maßnahmen zur Einschränkung der Freizügigkeit zu ergreifen. Diese haben über mehrere Monate zur Schließung von Geschäften und zu einem allgemeinen Rückgang der Produktion geführt, was schwerwiegende Auswirkungen auf die Unternehmen, vor allem auf kleine und mittlere Betriebe, hat wie auch auf die Beschäftigung und damit auf das Leben von Familien und ganzen Gesellschaftsschichten, insbesondere der schwächeren.
Die daraus folgende Wirtschaftskrise hat eine weitere Krankheit unserer Zeit ans Licht gebracht, nämlich die einer Wirtschaft, die auf der Ausbeutung und dem Wegwerfen von Menschen und natürlichen Ressourcen basiert. Dabei hat man allzu oft die Solidarität und andere Werte vergessen, die die Wirtschaft in die Lage versetzen, einer ganzheitlichen menschlichen Entwicklung zu dienen und nicht nur Einzelinteressen. Zudem sind die soziale Bedeutung der Wirtschaftstätigkeit und die universelle Bestimmung von Gütern und Ressourcen aus dem Blick geraten.
Die aktuelle Krise ist daher ein günstiger Anlass, das Verhältnis zwischen Mensch und Wirtschaft neu zu überdenken. Es braucht eine Art „neue kopernikanische Wende“, die die Wirtschaft in den Dienst des Menschen stellt und nicht umgekehrt; die beginnt, »eine andersgeartete Wirtschaft zu studieren und zu praktizieren, eine Wirtschaft, die Leben lässt und nicht tötet, die inklusiv ist und nicht exklusiv, die menschlicher macht und nicht entmenschlicht, die sich der Sorge für die Schöpfung widmet und sie nicht ausbeutet«.[4]
Um die negativen Folgen dieser Krise zu bekämpfen, haben viele Regierungen verschiedene Initiativen und die Bereitstellung erheblicher finanzieller Mittel geplant. Allerdings hat man auch oft versucht, diesem Problem von globalem Ausmaß mit Teillösungen zu begegnen. Heute ist es weniger denkbar denn je, dass man es alleine schafft. Zum Erhalt der Arbeitsplätze und zum Schutz der ärmsten Bevölkerungsschichten braucht es gemeinsame und abgestimmte Initiativen, auch auf internationaler Ebene. In dieser Hinsicht halte ich das Bemühen der Europäischen Union und ihrer Mitgliedstaaten für bedeutsam, die trotz aller Schwierigkeiten zeigen konnten, dass man durch beherztes Handeln zu zufriedenstellenden Kompromissen zum Wohle aller Bürger gelangen kann. Die im Rahmen von Next Generation EU bereitgestellten Mittel sind ein bedeutendes Beispiel dafür, dass Zusammenarbeit und eine gemeinsame Nutzung von Ressourcen im Geiste der Solidarität nicht nur wünschenswerte, sondern auch wirklich erreichbare Ziele sind.
In vielen Teilen der Welt hat die Krise vor allem diejenigen getroffen, die im informellen Sektor arbeiten und als erste den Verlust ihrer Existenzgrundlage erleiden mussten. Da sie außerhalb der formellen Wirtschaft leben, haben sie auch keinen Zugang zu sozialen Absicherungen, einschließlich Arbeitslosenversicherung und Gesundheitsversorgung. Aus Verzweiflung haben daher viele nach anderen Einkommensmöglichkeiten gesucht und sich der Ausbeutung durch illegale Arbeit oder Zwangsarbeit, Prostitution und verschiedene kriminelle Aktivitäten, Menschenhandel inbegriffen, ausgesetzt.
Dementgegen hat jeder Mensch das Recht – er hat das Recht! – auf »die geeigneten Mittel zu angemessener Lebensführung«[5] und muss in die Lage versetzt werden, sie zu erhalten. Es ist in der Tat notwendig, dass für alle die wirtschaftliche Stabilität gewährleistet wird, um das Übel der Ausbeutung zu verhindern und dem Wucher und der Korruption, die zahlreiche Länder der Welt heimsuchen, entgegenzuwirken wie auch so vielem anderen Unrecht, das sich jeden Tag vor den müden und unaufmerksamen Augen unserer heutigen Gesellschaft ereignet.
Die vermehrt zu Hause verbrachte Zeit hat zu einem schlechten Gebrauch von Computern und anderen Medien geführt. Dies hatte schwerwiegende Auswirkungen auf die gefährdetsten Personengruppen, insbesondere auf Arme und Arbeitslose. Sie sind eine leichtere Beute für die Cyberkriminalität in ihren ganz entwürdigenden Formen, von Betrug bis hin zu Menschenhandel, zu Ausbeutung durch Prostitution, auch Kinderprostitution, und zu Kinderpornografie.
Die pandemiebedingte Schließung der Grenzen hat zusammen mit der Wirtschaftskrise ebenso verschiedene humanitäre Notlagen verschärft, sowohl in Konfliktgebieten als auch in vom Klimawandel und von der Dürre betroffenen Regionen sowie in Flüchtlings- und Migrantenlagern. Ich denke dabei insbesondere an den Sudan, wohin Tausende von Menschen aus der Region Tigray geflüchtet sind, sowie an andere Länder in Afrika südlich der Sahara oder auch an die Provinz Cabo Delgado in Mosambik, wo viele gezwungen waren, ihren ursprünglichen Lebensraum zu verlassen und sich nun in sehr prekären Verhältnissen befinden. Meine Gedanken gehen auch in den Jemen und in das geliebte Syrien, wo neben anderen ernsten Notsituationen ein großer Teil der Bevölkerung von Ernährungsunsicherheit betroffen ist und die Kinder durch Unterernährung ausgezehrt sind.
In einigen Fällen werden humanitäre Krisen durch Wirtschaftssanktionen verschärft, die am Ende meist nicht die politisch Verantwortlichen, sondern vor allem die schwächsten Bevölkerungsschichten treffen. Deshalb sieht der Heilige Stuhl, selbst wenn er die Logik hinter den Sanktionen versteht, sie als nicht wirksam an und hofft auf ihre Lockerung, nicht zuletzt, um die humanitären Hilfen zu ermöglichen, vor allem was Medikamente und medizinisches Gerät betrifft, die in dieser Zeit der Pandemie äußerst notwendig sind.
Die derzeitige Konjunkturlage sollte dementsprechend auch als ein Anlass gesehen werden, den ärmsten Ländern die Schuldenlast zu erlassen oder zumindest zu reduzieren, die faktisch ihre Erholung und volle Entwicklung verhindert.
Auch im vergangenen Jahr stieg die Zahl der Migranten weiter an, die wegen der Grenzschließungen auf immer gefährlichere Routen ausweichen mussten. Der massive Zustrom führte zudem zu einem Anstieg der Zahl illegaler Zurückweisungen, die oft durchgeführt wurden, um Migranten daran zu hindern, Asyl zu beantragen, was einen Verstoß gegen den Grundsatz der Nichtzurückweisung (non-refoulement) darstellt. Viele werden abgefangen und in Sammel- und Inhaftierungslager zurückgeschickt, wo sie Folter und Menschenrechtsverletzungen ausgesetzt sind, wenn sie nicht im Meer und bei der Überquerung anderer natürlicher Grenzen den Tod finden.
Die humanitären Korridore, die in den letzten Jahren eingerichtet wurden, tragen sicherlich dazu bei, einige der genannten Probleme anzugehen und viele Leben zu retten. Das Ausmaß der Krise macht es jedoch immer dringlicher, die Ursachen, die zur Migration führen, an der Wurzel zu bekämpfen, und erfordert zugleich eine gemeinsame Anstrengung zur Unterstützung der Erstaufnahmeländer, welche die moralische Verpflichtung, Leben zu retten, übernehmen. In dieser Hinsicht sieht man mit besonderem Interesse den Verhandlungen über das neue Migrations- und Asylpaket der Europäischen Union entgegen. Hierbei ist jedoch festzustellen, dass konkrete politische Maßnahmen und Mechanismen nicht funktionieren werden, wenn sie nicht durch den notwendigen politischen Willen und das Engagement aller Beteiligten, einschließlich der Zivilgesellschaft und der Migranten selbst, gestützt werden.
Der Heilige Stuhl schätzt alle zugunsten der Migranten unternommenen Anstrengungen und unterstützt die Bemühungen der Internationalen Organisation für Migration (IOM) – in diesem Jahr feiert sie ihr 70-jähriges Bestehen – unter voller Achtung der in ihrer Konstitution genannten Werte und der Kultur der Mitgliedsstaaten, in denen die Organisation tätig ist. Ebenso bleibt der Heilige Stuhl als Mitglied des Exekutivkomitees des Hohen Flüchtlingskommissars der Vereinten Nationen (UNHCR) den Grundsätzen des Genfer Abkommens über die Rechtsstellung der Flüchtlinge von 1951 und des Protokolls von 1967 treu, in denen die rechtliche Definition eines Flüchtlings, seine Rechte und die rechtliche Verpflichtung der Staaten, ihn zu schützen, festgelegt sind.
Seit dem Zweiten Weltkrieg hat die Welt nicht mehr einen so dramatischen Anstieg der Flüchtlingszahlen erlebt wie heute. Es ist daher dringend notwendig, die Bemühungen zu ihrem Schutz zu verstärken, auch für die Binnenvertriebenen und alle gefährdeten Personen, die vor Verfolgung, Gewalt, Konflikten und Krieg zu fliehen gezwungen sind. In diesem Zusammenhang bringt der Heilige Stuhl, trotz der bedeutenden Anstrengungen der Vereinten Nationen bei der Suche nach konsequenten Lösungen und konkreten Vorschlägen zum Problem der Zwangsvertreibung, seine Besorgnis über die Lage der Vertriebenen in verschiedenen Teilen der Welt zum Ausdruck. Ich beziehe mich vor allem auf die Region Zentralsahel, wo sich die Zahl der Binnenvertriebenen in weniger als zwei Jahren verzwanzigfacht hat.
Krise der Politik
Die Probleme, die ich bisher genannt habe, weisen auf eine viel tiefere Krise hin, die in gewisser Weise an der Wurzel der anderen liegt und deren dramatische Tragweite gerade durch die Pandemie deutlich gemacht wurde. Es ist die Krise der Politik, die schon seit einiger Zeit viele Gesellschaften betrifft und deren zermürbenden Auswirkungen während der Pandemie zutage getreten sind.
Einer der emblematischen Faktoren dieser Krise ist das Anwachsen der politischen Gegensätze und die Schwierigkeit, wenn nicht gar Unfähigkeit, gemeinsame und abgestimmte Lösungen für die Probleme zu finden, die unseren Planeten heimsuchen. Dieser Trend, den man schon seit einiger Zeit beobachten kann, breitet sich auch in Ländern mit einer langen demokratischen Tradition immer weiter aus. Die Demokratie lebendig zu erhalten ist eine Herausforderung dieses Moments in der Geschichte,[6] die alle Staaten direkt angeht, mögen sie groß oder klein sein, wirtschaftlich fortgeschritten oder auf dem Weg der Entwicklung. In diesen Tagen denke ich besonders an das Volk von Myanmar, dem ich meine Verbundenheit und Nähe bekunde. Der Weg der Demokratisierung der letzten Jahre wurde durch den Staatsstreich vergangene Woche jäh unterbrochen. Dabei wurden einige führende Politiker verhaftet, und ich hoffe, dass sie umgehend freigelassen werden als ermutigendes Zeichen für einen ehrlichen Dialog zum Wohl des Landes.
So stellte im Übrigen Pius XII. in seiner denkwürdigen Radioansprache von Weihnachten 1944 fest: »Seine Meinung sagen über die ihm auferlegten Pflichten und Opfer und nicht gezwungen sein, zu gehorchen, ohne gehört worden zu sein – das sind zwei Rechte des Bürgers, die in der Demokratie, wie schon ihr Name sagt, ihren Ausdruck finden«.[7] Demokratie beruht auf gegenseitigem Respekt, auf der Möglichkeit für alle, zum Wohl der Gesellschaft beizutragen, und auf der Überlegung, dass unterschiedliche Meinungen die Gewalt und Sicherheit der Staaten keineswegs untergraben, sondern in einer ehrlichen Auseinandersetzung gegenseitig bereichern und es ermöglichen, angemessenere Lösungen für die anstehenden Probleme zu finden. Der demokratische Prozess erfordert, dass ein Weg des inklusiven, friedlichen, konstruktiven und respektvollen Dialogs zwischen allen Gliedern der Zivilgesellschaft in jeder Stadt und Nation beschritten wird. Obschon die Ereignisse auf verschiedene Weise und in unterschiedlichen Kontexten das vergangene Jahr von Ost bis West auch – ich wiederhole – in Ländern mit einer langen demokratischen Tradition geprägt haben, so zeigen sie doch, wie unausweichlich diese Herausforderung ist und dass man von der moralischen und sozialen Verpflichtung, mit einer positiven Haltung an sie heranzugehen, nicht entbunden werden kann. Die Entwicklung eines demokratischen Bewusstseins verlangt, dass individualistische Tendenzen überwunden werden und die Achtung des Rechtsstaats obsiegt. Das Recht ist nämlich die unabdingbare Voraussetzung für die Ausübung jeder Gewalt und muss von den übergeordneten Organen unabhängig von den herrschenden politischen Interessen gewährleistet werden.
Leider schlägt sich die Krise der Politik und der demokratischen Werte auch auf internationaler Ebene nieder. Dies hat Auswirkungen auf das gesamte multilaterale System wie auch die offensichtliche Folge, dass Organisationen, die zur Förderung von Frieden und Entwicklung – auf der Grundlage des Rechts und nicht des „Rechts des Stärkeren“ – konzipiert wurden, ihre Wirksamkeit beeinträchtigt sehen. Sicherlich darf nicht verschwiegen werden, dass im Laufe der letzten Jahre das multilaterale System auch einige Grenzen erkennen ließ. Die Pandemie ist eine Gelegenheit, die nicht vertan werden darf, um über organische Reformen nachzudenken und sie umzusetzen, damit die internationalen Organisationen ihre eigentliche Berufung wiederentdecken, der Menschheitsfamilie zu dienen, um das Leben eines jeden Menschen und den Frieden zu bewahren.
Ein Zeichen der Krise der Politik ist gerade das oft auftretende Widerstreben, Wege zu Reformen einzuschlagen. Man braucht keine Angst vor Reformen haben, auch wenn sie Opfer und nicht selten einen Mentalitätswandel erfordern. Jeder lebendige Körper muss sich ständig reformieren, und in dieser Perspektive sind auch die Reformen zu sehen, die den Heiligen Stuhl und die Römische Kurie betreffen.
Jedenfalls mangelt es nicht an ermutigenden Zeichen wie dem Inkrafttreten des Atomwaffenverbotsvertrags vor wenigen Tagen und der Verlängerung des Neuen Vertrags zur Verringerung strategischer Waffen (New START) zwischen der Russischen Föderation und den Vereinigten Staaten von Amerika auf weitere fünf Jahre. Zieht man andererseits, wie ich auch in der letzten Enzyklika Fratelli tutti bekräftigt habe, »die Hauptbedrohungen für Frieden und Sicherheit mit ihren vielen Aspekten in dieser multipolaren Welt des 21. Jahrhunderts in Betracht […], dann kommen einem nicht wenige Zweifel aufgrund der Unangemessenheit nuklearer Abschreckung als wirksamer Antwort auf diese Herausforderungen«.[8] In der Tat kann »eine auf Angst gegründete Stabilität [nicht nachhaltig sein], insofern sie die Angst noch vergrößert und vertrauensvolle Beziehungen zwischen den Völkern untergräbt«.[9]
Die Bemühungen auf dem Gebiet der Abrüstung und der Nichtverbreitung von Atomwaffen, die trotz Schwierigkeiten und Reserven intensiviert werden müssen, sollten gleichfalls in Bezug auf chemische Waffen und gegenüber konventionellen Waffen durchgeführt werden. Es gibt zu viele Waffen auf der Welt! »Deshalb fordern Gerechtigkeit, gesunde Vernunft und Rücksicht auf die Menschenwürde dringend, dass der allgemeine Rüstungswettlauf aufhört [und dass die] bereits zur Verfügung stehenden Waffen auf beiden Seiten und gleichzeitig vermindert werden«,[10] wie der heilige Johannes XXIII. im Jahr 1963 sagte. Während mit der weiteren Verbreitung von Waffen die Gewalt auf allen Ebenen zunimmt und wir um uns herum eine von Kriegen und Spaltungen zerrissene Welt sehen, verspüren wir ein immer größeres Bedürfnis nach Frieden, nach einem Frieden, der »nicht nur die Abwesenheit von Krieg [ist], sondern […] ein sinnerfülltes Leben, das in persönlicher Erfüllung und im brüderlichen Austausch mit anderen gelebt wird und darauf ausgerichtet ist«.[11]
Wie sehr wünschte ich mir, dass 2021 das Jahr ist, in dem endlich der Syrien-Konflikt, der vor zehn Jahren begann, ein Ende findet! Dazu bedarf es eines neuen Interesses auch seitens der internationalen Gemeinschaft, ehrlich und mutig die Ursachen des Konflikts anzugehen und nach Lösungen zu suchen, durch die alle unabhängig von ihrer ethnischen oder religiösen Zugehörigkeit als Bürger zur Zukunft des Landes beitragen können.
Mein Wunsch nach Frieden gilt selbstverständlich auch dem Heiligen Land. Gegenseitiges Vertrauen zwischen Israelis und Palästinensern muss die Grundlage für einen erneuten und entschlossenen direkten Dialog zwischen den Parteien sein, um einen Konflikt zu lösen, der schon zu lange andauert. Ich fordere die internationale Gemeinschaft auf, diesen direkten Dialog zu unterstützen und zu erleichtern, ohne zu meinen, Lösungen auferlegen zu können, die nicht das Wohl aller im Blick haben. Palästinenser und Israelis – dessen bin ich mir sicher – hegen beide den Wunsch, in Frieden leben zu können.
Ebenso hoffe ich auf ein neues politisches Engagement auf nationaler und internationaler Ebene zur Förderung der Stabilität des Libanon, der eine innere Krise durchmacht und Gefahr läuft, seine Identität zu verlieren und noch stärker in die Spannungen dieser Region verwickelt zu werden. Es ist notwendiger denn je, dass dieses Land seine einzigartige Identität bewahrt, auch als Gewähr für einen pluralen, toleranten und vielfältigen Nahen Osten, in dem die christliche Präsenz ihren eigenen Beitrag leisten kann und nicht auf eine zu schützende Minderheit reduziert wird. Die Christen bilden das historische und soziale Bindegewebe des Libanon, und es muss ihnen die Möglichkeit zugesichert werden, durch die vielseitigen Bildungs-, Gesundheits- und Wohltätigkeitswerke weiterhin für das Wohl des Landes wirken zu können, zu dessen Gründern sie gehören. Eine Schwächung der christlichen Gemeinschaft birgt das Risiko, das innere Gleichgewicht und den Libanon selbst zu zerstören. Unter diesem Gesichtspunkt sind auch die Fragen rund um die Präsenz der syrischen und palästinensischen Flüchtlinge zu behandeln. Darüber hinaus besteht ohne eine schnelle wirtschaftliche Erholung und einen raschen Wiederaufbau die Gefahr eines Bankrotts des Landes, was gefährliche fundamentalistische Strömungen zur Folge haben könnte. Deswegen ist es notwendig, dass alle politischen und religiösen Führer ihre Eigeninteressen zurückstellen und sich dem Ziel der Gerechtigkeit und der Durchführung echter Reformen zum Wohle der Bürger verpflichten. Dazu gehört, dass sie transparent handeln und die Verantwortung für ihr Handeln übernehmen.
Frieden wünsche ich auch für Libyen, das ebenfalls unter einem mittlerweile langen Konflikt leidet, und ich hege die Hoffnung, dass das jüngste „Libysche Politische Dialogforum“, das im November letzten Jahres unter der Schirmherrschaft der Vereinten Nationen in Tunesien stattfand, tatsächlich den ersehnten Versöhnungsprozess im Land einleiten können wird.
Auch andere Regionen der Welt geben Anlass zur Sorge. Ich beziehe mich in erster Linie auf die politischen und sozialen Spannungen in der Zentralafrikanischen Republik sowie auf die Spannungen in Lateinamerika im Allgemeinen, deren Wurzeln in der großen Ungleichheit, Ungerechtigkeit und Armut liegen, welche die Würde des Einzelnen verletzen. Ebenso gilt meine besondere Aufmerksamkeit der Verschlechterung der Beziehungen auf der koreanischen Halbinsel, die in der Zerstörung des innerkoreanischen Verbindungsbüros in Kaesŏng gipfelte; ferner der Lage im Südkaukasus, wo mehrere schwelende Konflikte fortbestehen, von denen einige im letzten Jahr wieder aufgeflammt sind und die Stabilität und Sicherheit der gesamten Region bedrohen.
Schließlich kann ich eine weitere schwere Geißel unserer Zeit nicht unerwähnt lassen – den Terrorismus. Jedes Jahr fordert er zahlreiche Opfer unter der wehrlosen Zivilbevölkerung auf der ganzen Welt. Dieses Übel erfuhr seit den 1970er Jahren einen Anstieg und fand in den Anschlägen vom 11. September 2001 in den Vereinigten Staaten von Amerika einen Höhepunkt, als fast dreitausend Menschen getötet wurden. Leider hat die Zahl der Attentate in den letzten zwanzig Jahren zugenommen und verschiedene Länder auf allen Kontinenten betroffen. Ich beziehe mich hier insbesondere auf den Terrorismus vor allem in Afrika südlich der Sahara, aber auch in Asien und Europa. Ich denke an alle Opfer und an ihre Familien, die durch blinde Gewalt, die durch ideologische Verzerrungen der Religion motiviert ist, geliebte Menschen verloren haben. Zudem sind die Ziele solcher Angriffe oft gerade Gotteshäuser mit zum Gebet versammelten Gläubigen. In diesem Zusammenhang möchte ich unterstreichen, dass der Schutz von Gottesdienststätten direkt aus der Verteidigung der Gedanken-, Gewissens- und Religionsfreiheit folgt und eine Pflicht für die zivilen Behörden darstellt, unabhängig von politischer Couleur oder Religionszugehörigkeit.
Exzellenzen, meine Damen und Herren,
gegen Schluss meiner Ausführungen möchte ich noch auf eine letzte Krise eingehen, die vielleicht die schwerwiegendste von allen ist: die Krise der menschlichen Beziehungen, die Ausdruck einer allgemeinen anthropologischen Krise ist, welche die Vorstellung von der menschlichen Person und ihre transzendente Würde betrifft.
Die Pandemie, die uns zu langen Monaten der Isolation und oft auch der Einsamkeit gezwungen hat, ließ das Bedürfnis, das jeder Mensch nach menschlichen Beziehungen hat, deutlich werden. Ich denke vor allem an die Studierenden, die nicht regelmäßig zur Schule oder zur Universität gehen konnten. »Überall wurde versucht, mit digitalen Unterrichtsangeboten schnell darauf zu reagieren. Dies hat nicht nur eine ausgeprägte Ungleichheit zwischen den pädagogischen und technologischen Möglichkeiten ans Licht gebracht, sondern bei vielen Kindern und Jugendlichen aufgrund des Lockdowns und zahlreicher anderer bereits bestehender Mängel auch einen Rückstand im natürlichen pädagogischen Entwicklungsprozess ergeben«.[12] Darüber hinaus hat die Zunahme des Fernunterrichts auch zu einer größeren Abhängigkeit der Kinder und Jugendlichen vom Internet und generell von den Formen virtueller Kommunikation geführt. Dadurch sind sie aber auch schutzloser und werden verstärkt kriminellen Online-Aktivitäten ausgesetzt.
Wir erleben eine Art „Bildungskatastrophe“. Ich möchte das wiederholen: Wir erleben eine Art „Bildungskatastrophe“, vor der wir zum Wohl der künftigen Generationen und der Gesellschaft insgesamt nicht untätig bleiben dürfen. »Heute bedarf es eines Neubeginns für ein Bildungsengagement, das alle Glieder der Gesellschaft miteinbezieht«,[13] denn Bildung ist »das natürliche Gegenmittel zur individualistischen Kultur […], die bisweilen in einen wahren Kult des Ich und in die Vorherrschaft der Gleichgültigkeit ausartet. Unsere Zukunft darf nicht von der Spaltung, von der Verarmung des Denkens und der Vorstellungskraft, des Zuhörens, des Dialogs und des gegenseitigen Verständnisses gekennzeichnet sein«.[14]
Die langen Zeiten des Lockdowns erlaubten es ihnen aber auch, mehr Zeit mit ihren Familien zu verbringen. Für viele war es ein wichtiger Moment, die Beziehungen mit ihren Familienangehörigen neu zu entdecken. Andererseits gilt, dass »Ehe und Familie zu den kostbarsten Gütern der Menschheit zählen«[15] und die Wiege jeder Zivilgesellschaft bilden. Der heilige Johannes Paul II. – im Vorjahr haben wir den 100. Geburtstag dieses großen Papstes gefeiert – rief in seiner wertvollen Lehre über die Familie in Erinnerung: »Angesichts der weltweiten Dimension, die die verschiedenen sozialen Probleme heute aufweisen, erfährt die Familie, wie sich ihr Auftrag für die Entwicklung der Gesellschaft in bisher nicht gekannten Ausmaßen erweitert«. Die Familien kommen diesem Auftrag vor allem dadurch nach, dass »sie ihren Kindern das Beispiel eines Lebens geben, das sich auf die Werte der Wahrheit und Freiheit, der Gerechtigkeit und der Liebe gründet«.[16] Doch nicht alle konnten im eigenen Zuhause in Ruhe leben, und manchmal kam es beim Zusammenleben zu häuslicher Gewalt. Ich appelliere an alle, an die Behörden und die Zivilgesellschaft, die Opfer von Gewalt in der Familie zu unterstützen. Wir wissen leider, dass es die Frauen sind, oft zusammen mit ihren Kindern, die den höchsten Preis zahlen.
Die erforderlichen Maßnahmen zur Eindämmung der Ausbreitung des Virus hatten Auswirkungen auch auf verschiedene Grundfreiheiten, einschließlich der Religionsfreiheit aufgrund der Einschränkung der Gottesdienste und der Bildungs- und Wohltätigkeitsarbeit der Religionsgemeinschaften. Es darf jedoch nicht außer Acht gelassen werden, dass die religiöse Dimension einen grundlegenden Aspekt der menschlichen Person und der Gesellschaft darstellt, der nicht abgewertet werden darf; und man darf nicht vernachlässigen, dass man bei allem Bestreben, Menschenleben vor der Ausbreitung des Virus zu schützen, die spirituelle und moralische Dimension des Menschen gegenüber der körperlichen Gesundheit nicht für zweitrangig halten darf.
Die Freiheit der Religionsausübung ist zudem kein Zusatz zur Versammlungsfreiheit, sondern rührt wesentlich vom Recht auf Religionsfreiheit her, welches das erste und grundlegende Menschenrecht ist. Daher muss sie wie die Gesundheit und die körperliche Unversehrtheit von den zivilen Behörden geachtet, geschützt und verteidigt werden. Im Übrigen kann eine gute Pflege des Körpers nie von der Pflege der Seele absehen.
In seinem Schreiben an Cangrande della Scala hebt Dante Alighieri hervor, dass es das Ziel seiner Göttlichen Komödie ist, »diejenigen, die dieses Leben leben, aus dem Zustand des Elends zu befreien und zu einem Zustand des Glücks zu führen«.[17] Dies ist, wenngleich mit unterschiedlichen Rollen und in unterschiedlichen Bereichen, ebenso die Aufgabe sowohl der religiösen als auch der zivilen Autoritäten. Die Krise der menschlichen Beziehungen und folglich auch die anderen von mir genannten Krisen können nur überwunden werden, wenn die transzendente Würde jeder menschlichen Person, die nach dem Bild und Gleichnis Gottes geschaffen wurde, geachtet wird.
Mit der Erwähnung des großen florentinischen Dichters, dessen 700. Todestag in diesem Jahr begangen wird, denke ich gerne auch besonders an das italienische Volk, das als erstes in Europa mit den schwerwiegenden Folgen der Pandemie zu tun hatte. Ich möchte es auffordern, sich von den gegenwärtigen Schwierigkeiten nicht entmutigen zu lassen, sondern gemeinsam am Aufbau einer Gesellschaft zu arbeiten, in der niemand ausgesondert oder vergessen wird.
Liebe Botschafterinnen und Botschafter,
im Jahr 2021 haben wir keine Zeit zu verlieren. Und wir werden sie insofern nicht vergeuden, als wir es verstehen, mit vollem Einsatz zusammenzuarbeiten. In diesem Sinne glaube ich, dass die Geschwisterlichkeit das wahre Heilmittel gegen die Pandemie und gegen die vielen Übel ist, die uns getroffen haben. Geschwisterlichkeit und Hoffnung sind wie Medikamente, welche die Welt heute wie Impfstoffe braucht.
Ihnen und Ihren Ländern erbitte ich reiche Gaben des Himmels in dem Wunsch, dass dieses Jahr ein günstiges sein möge, um die geschwisterlichen Bande zwischen der ganzen Menschheitsfamilie zu festigen.
Vielen Dank!
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[1] Botschaft zum 54. Weltfriedenstag (8. Dezember 2020), 1.
[2] Ebd., 6.
[3] J. Donne, Meditation XVII.
[4] Schreiben zur Veranstaltung »Economy of Francesco« (1. Mai 2019).
[5] Johannes XXIII., Enzyklika Pacem in Terris (11. April 1963), 6.
[6] Vgl. Ansprache an das Europäische Parlament, Straßburg (25. November 2014).
[7] Radioansprache an die Völker der ganzen Welt, 24. Dezember 1944.
[8] Botschaft an die Konferenz der Vereinten Nation zur Aushandlung einer rechtsverbindlichen Übereinkunft zum Verbot von Kernwaffen (23. März 2017): AAS 109 (2017), 394-396; Enzyklika Fratelli tutti, 262.
[9] Ebd.
[10] Johannes XXIII., Enzyklika Pacem in terris (11. April 1963), 60.
[11] Angelus, 1. Januar 2021.
[12] Videobotschaft anlässlich des Treffens „Global compact on education. Together to look beyond“ (15. Oktober 2020).
[13] Ebd.
[14] Ebd.
[15] Johannes Paul II., Apostolisches Schreiben Familiaris consortio (22. November 1981), 1.
[16] Ebd., 48.
[17] Epistula XIII, 39.
[00165-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]
Traduzione in lingua spagnola
Excelencias, señoras y señores:
Agradezco al Decano, Su Excelencia el Sr. George Poulides, Embajador de Chipre, sus amables palabras y buenos deseos en nombre de todos ustedes, y, en primer lugar, les pido disculpas por las molestias que les haya podido ocasionar la cancelación del encuentro previsto para el 25 de enero. Les agradezco su comprensión y paciencia, y por haber aceptado la invitación de estar presentes esta mañana, a pesar de las dificultades, para nuestra tradicional cita.
Nos encontramos esta mañana en el marco más espacioso del Aula de las Bendiciones, para respetar la exigencia de un mayor distanciamiento personal, al que nos obliga la pandemia. Sin embargo, la distancia sólo es física. Nuestro encuentro simboliza, más bien, todo lo contrario. Es un signo de cercanía, de esa proximidad y mutuo apoyo a los que la familia de naciones debe aspirar. En este tiempo de pandemia, este deber es aún más apremiante porque está claro para todos que el virus no conoce barreras ni puede ser fácilmente aislado. Derrotarlo es, por lo tanto, una responsabilidad que nos involucra a cada uno de nosotros personalmente, como también a nuestros países.
Por esta razón, les agradezco el compromiso que cotidianamente realizan para fomentar las relaciones entre los países y las organizaciones internacionales que ustedes representan y la Santa Sede. En el transcurso de estos meses hemos podido intercambiar muchas muestras de cercanía mutua, gracias también al uso de las nuevas tecnologías, que han permitido superar las limitaciones causadas por la pandemia.
No hay duda de que todos aspiramos a reanudar los contactos presenciales tan pronto como sea posible, y nuestro encuentro de hoy quiere ser una señal esperanzadora en ese sentido. Asimismo, deseo reanudar en breve los viajes apostólicos, comenzando por el de Irak, previsto para el próximo mes de marzo. Los viajes son, de hecho, un aspecto importante de la solicitud del Sucesor de Pedro por el Pueblo de Dios extendido por todo el mundo, así como del diálogo de la Santa Sede con los Estados. Además, suelen ser una oportunidad favorable para profundizar, en un espíritu de intercambio y diálogo, la relación entre las diferentes religiones. En nuestra época, el diálogo interreligioso es un componente importante en el encuentro entre pueblos y culturas. Cuando se entiende no como una renuncia a la propia identidad, sino como una oportunidad para un mayor conocimiento y enriquecimiento mutuo, este constituye una buena ocasión para los líderes religiosos y para los fieles de las diversas confesiones, y puede apoyar los esfuerzos de los líderes políticos en su responsabilidad de construir el bien común.
De igual importancia son los acuerdos internacionales que permiten profundizar los lazos de confianza mutua y posibilitan a la Iglesia cooperar más eficazmente al bienestar espiritual y social de sus países. En esta perspectiva, quisiera mencionar aquí el intercambio de los instrumentos de ratificación del Acuerdo Marco entre la Santa Sede y la República Democrática del Congo y del Acuerdo sobre el estatuto jurídico de la Iglesia Católica en Burkina Faso, así como la firma del Séptimo Acuerdo Adicional entre la Santa Sede y la República de Austria a la Convención para la Regulación de las Relaciones Patrimoniales, del 23 de junio de 1960. Además, el pasado 22 de octubre, la Santa Sede y la República Popular China acordaron prorrogar por otros dos años la validez del Acuerdo Provisional sobre el Nombramiento de Obispos en China, firmado en Pekín en 2018. Se trata de un entendimiento de carácter esencialmente pastoral y la Santa Sede espera que el camino emprendido continúe, en un espíritu de respeto y de confianza recíproca, contribuyendo aún más a la resolución de cuestiones de interés común.
Estimados Embajadores:
El año que acaba de terminar ha dejado tras de sí una carga de miedo, desánimo y desesperación, junto con muchos lutos. Esto ha puesto a las personas en una espiral de desapego y sospecha mutua, e impulsado a los Estados a construir barreras. El mundo interconectado al que estábamos acostumbrados ha dado paso a un mundo que una vez más está fragmentado y dividido. No obstante, los efectos de la pandemia son verdaderamente globales, ya sea porque afecta a toda la humanidad y a los países del mundo, como también porque repercute en múltiples aspectos de nuestra vida, contribuyendo a empeorar «las crisis fuertemente interrelacionadas, como la climática, alimentaria, económica y migratoria».[1] A la luz de esta observación, consideré oportuno crear la Comisión Vaticana COVID-19, con el fin de coordinar la respuesta de la Santa Sede y de la Iglesia a las peticiones que han llegado de las diócesis de todo el mundo, para afrontar la emergencia sanitaria y las necesidades que la pandemia ha puesto de manifiesto.
Desde el principio era evidente que la pandemia habría tenido un impacto significativo en el estilo de vida al que estábamos acostumbrados, haciendo desaparecer algunas comodidades y certezas consolidadas. Nos ha puesto en crisis, mostrándonos el rostro de un mundo enfermo, no sólo por el virus, sino también en el medio ambiente, en los procesos económicos y políticos, y aún más en las relaciones humanas. Ha evidenciado los riesgos y las consecuencias de un modo de vida dominado por el egoísmo y la cultura del descarte, y ha puesto ante nosotros una alternativa: continuar por el camino que hemos seguido hasta ahora o emprender una nueva vía.
Ahora quisiera centrarme sobre algunas de las crisis causadas o manifestadas por la pandemia, examinando a la vez las oportunidades que de ellas se derivan para construir un mundo más humano, justo, solidario y pacífico.
Crisis sanitaria
La pandemia nos ha puesto con gran fuerza frente a dos dimensiones ineludibles de la existencia humana: la enfermedad y la muerte. Precisamente por esta razón, nos recuerda el valor de la vida, de cada vida humana y de su dignidad, en todo momento de su itinerario terrenal, desde la concepción en el seno materno hasta su conclusión natural. Desafortunadamente, duele constatar que, con el pretexto de garantizar supuestos derechos subjetivos, un número cada vez mayor de legislaciones de todo el mundo parecen distanciarse del deber esencial de proteger la vida humana en todas sus etapas.
La pandemia nos recuerda también el derecho al cuidado, que es prerrogativa de todo ser humano, como también subrayé en mi mensaje para la Jornada Mundial de la Paz, celebrada el pasado 1 de enero. «Cada persona humana es ―en efecto― un fin en sí misma, nunca un simple instrumento que se aprecia sólo por su utilidad, y ha sido creada para convivir en la familia, en la comunidad, en la sociedad, donde todos los miembros tienen la misma dignidad. De esta dignidad derivan los derechos humanos, así como los deberes, que recuerdan, por ejemplo, la responsabilidad de acoger y ayudar a los pobres, a los enfermos, a los marginados».[2] Si se suprime el derecho a la vida de los más débiles, ¿cómo se podrán garantizar efectivamente todos los demás derechos?
Desde esta perspectiva, renuevo mi llamado para que se le ofrezca a cada persona humana el cuidado y la asistencia que necesita. Para ello, es esencial que todos los que tienen responsabilidades políticas y de gobierno se esfuercen para favorecer, antes que nada, el acceso universal a la atención sanitaria básica, fomentando asimismo la creación de centros de salud locales e instalaciones de atención médica conformes a las necesidades reales de la población, así como la disponibilidad de tratamientos y medicamentos. En efecto, no puede ser la lógica del lucro la que guíe un sector tan delicado como el de la asistencia y los cuidados sanitarios.
También es esencial que los importantes progresos médicos y científicos realizados a lo largo de los años, que han permitido sintetizar en un brevísimo espacio de tiempo vacunas que se perfilan eficaces contra el coronavirus, beneficien a toda la humanidad. Por consiguiente, exhorto a todos los Estados a que contribuyan activamente a las iniciativas internacionales destinadas a asegurar la distribución equitativa de las vacunas, no según criterios puramente económicos, sino teniendo en cuenta las necesidades de todos, en particular las de las poblaciones menos favorecidas.
En cualquier caso, ante un enemigo tan insidioso e imprevisible como el COVID-19, la accesibilidad de las vacunas debe ir siempre acompañada de comportamientos personales responsables destinados a evitar la propagación de la enfermedad, mediante las medidas preventivas necesarias a las que nos hemos acostumbrado en estos meses. Sería fatal depositar nuestra confianza sólo en la vacuna, como si fuera una panacea que nos eximiera del constante compromiso personal por la propia salud y la de los demás. La pandemia nos ha demostrado que nadie es una isla y que, evocando la famosa expresión del poeta inglés John Donne, «la muerte de cualquier hombre me disminuye, porque soy parte de la humanidad».[3]
Crisis ambiental
No es sólo el ser humano el que está enfermo, sino que lo está además nuestro planeta tierra. La pandemia nos ha mostrado una vez más cuánto sea también frágil y necesitado de cuidados.
Evidentemente hay profundas diferencias entre la crisis sanitaria provocada por la pandemia y la crisis ecológica causada por la explotación indiscriminada de los recursos naturales. Esta última tiene una dimensión mucho más compleja y permanente, y requiere soluciones compartidas a largo plazo. De hecho, los efectos del cambio climático, por ejemplo, ya sean directos, como los fenómenos meteorológicos extremos, entre los que están las inundaciones y las sequías, o los indirectos, como la desnutrición o las enfermedades respiratorias, suelen tener consecuencias que duran mucho tiempo.
La solución de estas crisis requiere la colaboración internacional en el cuidado de nuestra casa común. Por lo tanto, espero que la próxima Conferencia de las Naciones Unidas sobre el Clima (COP26), programada en Glasgow el próximo mes de noviembre, permita llegar a un acuerdo efectivo para afrontar las consecuencias del cambio climático. Este es el momento de actuar, pues estamos ya advirtiendo los efectos de una prolongada inacción.
Pienso, por ejemplo, en las repercusiones en las numerosas islas pequeñas del Océano Pacífico que corren el riesgo de desaparecer gradualmente. Es una tragedia que no sólo causa la destrucción de aldeas enteras, sino que también obliga a las comunidades locales y, sobre todo, a las familias a desplazarse constantemente, perdiendo su identidad y su cultura. También pienso en las inundaciones del sudeste asiático, especialmente en Vietnam y Filipinas, que se han cobrado víctimas y han dejado a familias enteras sin medios de subsistencia. Tampoco podemos callar ante el calentamiento progresivo de la Tierra, que ha causado incendios devastadores en Australia y California.
También en África, el cambio climático, agravado por las acciones humanas desconsideradas y ahora además por la pandemia, es motivo de profunda preocupación. Me refiero, en primer lugar, a la inseguridad alimentaria que durante el último año ha afectado particularmente a Burkina Faso, Malí y Níger, con millones de personas que padecen hambre, así como a la situación en Sudán del Sur, donde existe el riesgo de carestía y donde, además, persiste una grave emergencia humanitaria: más de un millón de niños padecen deficiencias nutricionales, mientras que los corredores humanitarios suelen ser a menudo obstruidos y la presencia de organizaciones humanitarias en la zona se ve limitada. No obstante, para hacer frente a esta situación, es más urgente que nunca que las autoridades de Sudán del Sur superen los malentendidos y prosigan el diálogo político para lograr una plena reconciliación nacional.
Crisis económica y social
El objetivo de contener el coronavirus ha llevado a muchos gobiernos a adoptar medidas restrictivas de la libertad de circulación, que durante varios meses han dado lugar al cierre de establecimientos comerciales y a una desaceleración general de las actividades productivas, con graves repercusiones en el desempleo para las empresas, especialmente las pequeñas y medianas, y como consecuencia en la vida de las familias y de sectores enteros de la sociedad, en modo particular los más débiles.
La crisis económica que siguió ha puesto de relieve otra enfermedad que nos afecta actualmente: la de una economía basada en la explotación y el descarte tanto de las personas como de los recursos naturales. Con demasiada frecuencia, nos hemos olvidado de la solidaridad y los otros valores que permiten que la economía esté al servicio del desarrollo humano integral, y no de intereses particulares, y se ha perdido de vista el valor social de la actividad económica y el destino universal de los bienes y recursos.
La crisis actual es, por tanto, una ocasión propicia para replantear la relación entre la persona y la economía. Lo que se necesita es una especie de “nueva revolución copernicana” que ponga la economía al servicio del hombre y no al revés, «empezando a estudiar y practicar una economía diferente, la que hace vivir y no mata, que incluye y no excluye, que humaniza y no deshumaniza, que cuida la creación y no la depreda».[4]
Para hacer frente a las consecuencias negativas de esta crisis, muchos gobiernos han previsto varias iniciativas y asignado una financiación considerable. Sin embargo, no es infrecuente que la tendencia predominante haya sido la de buscar soluciones particulares a un problema que tiene más bien dimensiones globales. Hoy menos que nunca podemos pensar en valernos por nosotros mismos. Se necesitan iniciativas conjuntas y compartidas, incluso a nivel internacional, especialmente para apoyar el empleo y proteger a los sectores más pobres de la población. En esta perspectiva, considero significativo el compromiso de la Unión Europea y de sus Estados miembros, que, a pesar de las dificultades, han podido demostrar que es posible trabajar con decisión para alcanzar compromisos satisfactorios en beneficio de todos los ciudadanos. La asignación propuesta por el plan Next Generation EU es un ejemplo significativo de cómo colaborar y compartir recursos en un espíritu de solidaridad no sólo son objetivos deseables, sino verdaderamente accesibles.
En muchas partes del mundo, la crisis ha afectado particularmente a quienes trabajan en los sectores informales, que fueron los primeros en ver desaparecer sus medios de subsistencia. Al vivir fuera de los márgenes de la economía formal, ni siquiera tienen acceso a los amortiguadores sociales, incluidos el seguro de desempleo y la asistencia sanitaria. Así pues, empujados por la desesperación, muchos han buscado otras formas de ingresos, exponiéndose a la explotación mediante el trabajo ilegal o forzado, la prostitución y diversas actividades delictivas, incluida la trata de personas.
Por el contrario, todo ser humano tiene derecho —tiene derecho— y debe poder obtener «los medios necesarios para un decoroso nivel de vida».[5] De hecho, es necesario que se asegure a todos la estabilidad económica para evitar la lacra de la explotación y combatir la usura y la corrupción que afligen a muchos países del mundo, y muchas otras injusticias que se cometen cada día ante los ojos cansados y distraídos de nuestra sociedad contemporánea.
El hecho de haber pasado más tiempo en casa también ha dado lugar a períodos más largos de alienación frente ante el ordenador las computadoras y otros medios de comunicación, con graves consecuencias para los más vulnerables, especialmente los pobres y los desempleados. Son presa más fácil del delito cibernético —el cibercrimen— en sus aspectos más deshumanizantes, desde el fraude hasta la trata de personas, la explotación de la prostitución, incluida la de menores, y la pornografía infantil.
El cierre de las fronteras a causa de la pandemia, junto con la crisis económica, también ha acentuado diversas emergencias humanitarias, tanto en las zonas de conflicto como en las regiones afectadas por el cambio climático y la sequía, al igual que en los campos para refugiados y migrantes. Pienso particularmente en Sudán, donde se han refugiado miles de personas que huyen de la región de Tigray, como también en otros países del África subsahariana, o en la región de Cabo Delgado en Mozambique, donde tantos han sido obligados a abandonar el propio territorio y se encuentran ahora en condiciones sumamente precarias. Mi pensamiento se dirige también a Yemen y a la amada Siria, donde, además de otras graves emergencias, la inseguridad alimentaria aflige a gran parte de la población y los niños están extenuados a causa de la malnutrición.
En diversos casos las crisis humanitarias se han agravado por las sanciones económicas, que terminan en su mayor parte por repercutir principalmente en los sectores más débiles de la población, más que en los responsables políticos. Por lo tanto, aun comprendiendo la lógica de las sanciones, la Santa Sede no ve su eficacia y espera su relajación, también para favorecer el flujo de ayudas humanitarias, sobre todo de medicamentos e instrumentos sanitarios, sumamente necesarios en este tiempo de pandemia.
Que la coyuntura que estamos atravesando sea igualmente un estímulo para condonar, o por lo menos reducir, la deuda que recae sobre los países más pobres y que de hecho impide la recuperación y el pleno desarrollo.
El año pasado ha visto también un mayor aumento de los migrantes que, a causa del cierre de fronteras, tuvieron que acudir a itinerarios cada vez más peligrosos. Asimismo, el flujo masivo encontró un incremento del número de las expulsiones ilegales, a menudo llevadas a cabo para impedir que los migrantes pidan asilo, violando el principio de no expulsión (non-refoulement). Muchos son interceptados y repatriados en campos de acogida y de detención, donde sufren torturas y violaciones de los derechos humanos, cuando no encuentran la muerte atravesando mares y otras fronteras naturales.
Los corredores humanitarios, implementados en el curso de los últimos años, contribuyen ciertamente a afrontar algunas de las problemáticas mencionadas, salvando numerosas vidas. Sin embargo, la magnitud de la crisis hace cada vez más urgente erradicar las causas que obligan a emigrar, como también exige un esfuerzo común para apoyar a los países de primera acogida, que se hacen cargo de la obligación moral de salvar vidas humanas. A este respecto, se espera con interés la negociación del Nuevo Pacto de la Unión Europea sobre la migración y el asilo, aun observando que políticas y mecanismos concretos no funcionarán si no están sostenidos por la voluntad política necesaria y el compromiso de todas las partes implicadas, incluidas la sociedad civil y los mismos migrantes.
La Santa Sede valora todos los esfuerzos realizados en favor de los migrantes y apoya el compromiso de la Organización Internacional para las Migraciones (OIM), que este año celebra el 70.º aniversario de fundación, en el pleno respeto de los valores expresados en su Constitución y de la cultura de los Estados miembros en los que la Organización trabaja. De igual modo, la Santa Sede, como miembro del Comité ejecutivo del Alto Comisionado de las Naciones Unidas para los Refugiados (UNHCR), permanece fiel a los principios enunciados en la Convención de Ginebra de 1951 sobre el estatuto de los refugiados y al Protocolo de 1967, que establecen la definición legal de refugiado y sus derechos, así como la obligación legal de los Estados a protegerlos.
Desde la Segunda guerra mundial el mundo todavía no había asistido a un aumento tan dramático del número de refugiados, como el que vemos hoy. Por tanto, es urgente que se renueve el compromiso por su protección, como también por la de los desplazados internos y de todas las personas vulnerables obligadas a huir de la persecución, de la violencia, de los conflictos y de las guerras. A este propósito, no obstante los importantes esfuerzos realizados por las Naciones Unidas en la búsqueda de soluciones y propuestas concretas para afrontar de modo coherente el problema de los desplazamientos forzosos, la Santa Sede expresa su preocupación por la situación de los desplazados en diversas partes del mundo. Me refiero sobre todo al área central del Sahel donde, en menos de dos años, el número de los desplazados internos es veinte veces mayor.
Crisis de la política
Los temas críticos que hasta ahora he señalado ponen de relieve una crisis mucho más profunda, que de algún modo está en la raíz de las otras, y cuyo dramatismo ha salido a la luz justamente por la pandemia. Es la crisis de la política, que desde hace tiempo está golpeando con violencia muchas sociedades y cuyos efectos devastadores han emergido durante la pandemia.
Uno de los factores emblemáticos de dicha crisis es el crecimiento de las contraposiciones políticas y la dificultad, por no decir la incapacidad, de encontrar soluciones comunes y compartidas a los problemas que aquejan a nuestro planeta. Es una tendencia a la que se asiste desde hace mucho tiempo y que se difunde cada vez más incluso en países de antigua tradición democrática. Mantener vivas las realidades democráticas es un desafío de este momento histórico[6], que afecta profundamente a todos los Estados, sean pequeños o grandes, económicamente avanzados o en vías de desarrollo. En estos días, mi pensamiento se dirige de modo particular al pueblo de Birmania, al cual manifiesto mi afecto y cercanía. El camino hacia la democracia emprendido en los últimos años se vio bruscamente interrumpido por el golpe de estado de la semana pasada. Esto ha provocado el encarcelamiento de varios dirigentes políticos, que espero sean liberados rápidamente, como estímulo al diálogo sincero por el bien del país.
Por otra parte, como afirmaba Pío XII en su memorable Radiomensaje de Navidad en el año 1944: «Manifestar su parecer sobre los deberes y los sacrificios que se le imponen; no verse obligado a obedecer sin haber sido oído: he ahí dos derechos del ciudadano que encuentran en la democracia, como lo indica su mismo nombre, su expresión».[7] La democracia se basa en el respeto recíproco, en que todos puedan contribuir al bien de la sociedad y en considerar que opiniones diferentes no sólo no amenazan el poder y la seguridad de los Estados, sino que, en una confrontación honesta, se enriquecen recíprocamente y permiten que se encuentren soluciones más adecuadas a los problemas que se han de afrontar. El proceso democrático requiere que se persiga un camino de diálogo inclusivo, pacífico, constructivo y respetuoso entre todos los miembros de la sociedad civil de cada ciudad y nación. Los acontecimientos que, aun en modos y contextos diversos, han caracterizado el último año de oriente a occidente, incluso —repito— en países de larga tradición democrática, demuestran que este desafío es ineludible y que no se puede eximir de la obligación moral y social de afrontarlo con actitud positiva. El desarrollo de una conciencia democrática exige que se superen los personalismos y prevalezca el respeto del estado de derecho. En efecto, el derecho es el presupuesto indispensable para el ejercicio de todo poder y debe estar garantizado por los órganos competentes, independientemente de los intereses políticos dominantes.
Lamentablemente, la crisis de la política y de los valores democráticos afecta también a nivel internacional, con repercusiones en todo el sistema multilateral y la evidente consecuencia de que organizaciones pensadas para favorecer la paz y el desarrollo —sobre la base del derecho y no de la “ley del más fuerte”— vean comprometida su eficacia. Ciertamente, no se puede omitir que en el curso de los últimos años el sistema multilateral también ha manifestado algunos límites. La pandemia es una ocasión que no se puede desaprovechar para pensar y llevar adelante reformas orgánicas, para que las organizaciones internacionales recuperen su vocación esencial de servir a la familia humana, para preservar la vida de toda persona y la paz.
Uno de los signos de la crisis de la política es justamente la reticencia que a menudo se verifica para iniciar procesos de reforma. No hay que tener miedo a las reformas, incluso si exigen sacrificios y no pocas veces un cambio de mentalidad. Todo cuerpo vivo necesita reformarse continuamente y en esta perspectiva se encuentran también las reformas que implican a la Santa Sede y la Curia Romana.
De todos modos, no faltan igualmente signos alentadores, como la entrada en vigor, hace algunos días, del Tratado sobre la Prohibición de Armas Nucleares, así como la prórroga por otros cinco años del Nuevo Tratado de Reducción de Armas Estratégicas (el llamado Nuevo START) entre la Federación Rusa y los Estados Unidos de América. Por otra parte, como he insistido también en la reciente Encíclica Fratelli tutti, «si se tienen en cuenta las principales amenazas a la paz y a la seguridad con sus múltiples dimensiones en este mundo multipolar del siglo XXI, […] surgen no pocas dudas acerca de la inadecuación de la disuasión nuclear para responder eficazmente a estos retos».[8] En efecto, no es «sostenible un equilibrio basado en el miedo, cuando en realidad tiende a aumentarlo y a socavar las relaciones de confianza entre los pueblos».[9]
El esfuerzo en el ámbito del desarme y de la no proliferación de los armamentos nucleares, que, si bien entre dificultades y reticencias, es necesario intensificar, debería efectuarse igualmente en lo que se refiere a las armas químicas y a las armas convencionales. Hay demasiadas armas en el mundo. ¡Demasiadas armas hay en el mundo! «La justicia, la recta razón y el sentido de la dignidad humana exigen urgentemente que cese ya la carrera de armamentos [y que] las naciones que los poseen los reduzcan simultáneamente»[10], afirmaba san Juan XXIII en 1963. Y, mientras con el pulular de las armas aumenta la violencia en todos los ámbitos y vemos a nuestro alrededor un mundo desgarrado por guerras y divisiones, sentimos que crece cada vez más la exigencia de paz, de una paz que «no es sólo ausencia de guerra, sino que es vida rica de sentido, configurada y vivida en la realización personal y en el compartir fraterno con los otros».[11]
¡Cómo quisiera que el 2021 fuera el año en que se escribiese finalmente la palabra fin al conflicto sirio, que ya hace diez años que comenzó! Para que eso suceda, se necesita un renovado interés también de parte de la Comunidad internacional para afrontar con sinceridad y valentía las causas del conflicto y buscar soluciones por medio de las cuales todos, independientemente de la pertenencia étnica y religiosa, puedan contribuir como ciudadanos al futuro del país.
Mi deseo de paz se dirige obviamente a Tierra Santa. La confianza recíproca entre israelíes y palestinos debe ser la base para un renovado y decisivo diálogo directo entre las partes que resuelva un conflicto que perdura desde hace demasiado tiempo. Invito a la Comunidad internacional a sostener y a facilitar dicho diálogo directo, sin pretender imponer soluciones que no tengan como horizonte el bien de todos. Palestinos e israelíes —estoy seguro— albergan el deseo de poder vivir en paz.
Del mismo modo, espero un renovado compromiso político nacional e internacional para favorecer la estabilidad del Líbano, que está atravesado por una crisis interna y corre el riesgo de perder su identidad y de encontrarse aún más comprometido por las tensiones regionales. Es más necesario que nunca que el país mantenga su identidad única, también para asegurar un Oriente medio plural, tolerante y diversificado, en el que la presencia cristiana pueda ofrecer la propia contribución y no se reduzca a una minoría que hay que proteger. Los cristianos constituyen el tejido conector histórico y social del Líbano y a ellos, a través de las múltiples obras educativas, sanitarias y caritativas, se les ha de asegurar la posibilidad de continuar trabajando por el bien del país, del que han sido fundadores. Debilitar la comunidad cristiana puede destruir el equilibrio interno y la misma realidad libanesa. En esta óptica se ha de afrontar también la presencia de los refugiados sirios y palestinos. Además, sin un proceso urgente de recuperación económica y de reconstrucción, se corre el riesgo de la quiebra del país, con la posible consecuencia de peligrosas desviaciones fundamentalistas. Por tanto, es necesario que todos los líderes políticos y religiosos, dejando a un lado los propios intereses, se esfuercen por perseguir la justicia y llevar adelante verdaderas reformas para el bien de los ciudadanos, obrando de modo transparente y asumiendo la responsabilidad de las propias acciones.
Deseo también paz para Libia, devastada desde hace mucho tiempo por un conflicto, con la esperanza de que el reciente “Foro de diálogo político libio”, que se realizó en Túnez el pasado mes de noviembre bajo la guía de las Naciones Unidas, permita efectivamente la puesta en marcha del esperado proceso de reconciliación del país.
También causan preocupación otras áreas del mundo. Me refiero en primer lugar a las tensiones políticas y sociales en la República Centroafricana; además de las que afectan en general a América Latina, que tienen raíces profundas en la desigualdad, las injusticias y la pobreza, que ofenden la dignidad de las personas. Del mismo modo, sigo con particular atención el deterioro de las relaciones en la Península coreana, que terminó con la destrucción de la oficina de enlace intercoreana en Kaesong; así como la situación en el Cáucaso meridional, donde permanecen enquistados diversos conflictos, algunos de los cuales se han reanudado en el curso del año pasado, que amenazan la estabilidad y la seguridad de toda la región.
Finalmente, no puedo olvidar otra grave plaga de nuestro tiempo: el terrorismo, que cada año se cobra numerosas víctimas en todo el mundo entre la población civil indefensa. Es un mal que ha ido creciendo a partir de los años setenta del siglo pasado, y que tuvo un momento culminante en los atentados que el 11 de septiembre de 2001 afectaron a los Estados Unidos de América, matando casi a treinta mil personas. Lamentablemente, el número de los atentados se ha ido intensificando en los últimos veinte años, golpeando diversos países en todos los continentes. Me refiero de modo particular al terrorismo que afecta sobre todo al África subsahariana, pero también en Asia y en Europa. Mi pensamiento se dirige a todas las víctimas y a sus familias, a quienes les fueron arrancadas personas queridas por una violencia ciega, motivada por distorsiones ideológicas de la religión. Además, los objetivos de tales ataques son con frecuencia los lugares de culto, donde se reúnen los fieles en oración. A este respecto, quisiera destacar que la protección de los lugares de culto es una consecuencia directa de la defensa de la libertad de pensamiento, de conciencia y de religión, y es un deber para las autoridades civiles, independientemente de la tendencia política o de la pertenencia religiosa.
Excelencias, señoras y señores:
Al acercarme a la conclusión de mis consideraciones, deseo detenerme aún en una última crisis que, entre todas, es tal vez la más grave: la crisis de las relaciones humanas, expresión de una crisis antropológica general, que concierne a la misma concepción de la persona humana y su dignidad trascendente.
La pandemia, que nos ha obligado a largos meses de aislamiento y muchas veces de soledad, ha hecho emerger la necesidad de relaciones humanas que tiene cada persona. Pienso sobre todo en los estudiantes, que no han podido ir regularmente a la escuela o a la universidad. «En todas partes se ha intentado activar una respuesta rápida a través de plataformas educativas informatizadas, que han mostrado no sólo una marcada disparidad en las oportunidades educativas y tecnológicas, sino también, debido al confinamiento y muchas otras deficiencias existentes, muchos niños y adolescentes se han quedado atrás en el proceso natural de desarrollo pedagógico».[12] Por otra parte, el aumento de la didáctica a distancia también ha llevado a una mayor dependencia de los niños y adolescentes de internet y de las formas de comunicación virtual en general, haciéndolos aún más vulnerables y sobreexpuestos a las actividades cibercriminales.
Asistimos a una suerte especie de “catástrofe educativa”. Quisiera repetirlo: Asistimos a una especie de “catástrofe educativa”, ante la que no podemos permanecer inertes, por el bien de las generaciones futuras y de la sociedad en su conjunto. «Hoy es necesario un nuevo periodo de compromiso educativo, que involucre a todos los componentes de la sociedad»,[13] porque la educación es «el antídoto natural de la cultura individualista, que a veces degenera en un verdadero culto al yo y en la primacía de la indiferencia. Nuestro futuro no puede ser la división, el empobrecimiento de las facultades de pensamiento e imaginación, de escucha, de diálogo y de comprensión mutua».[14]
Pero los largos periodos de confinamiento también han permitido pasar más tiempo en familia. Para muchos ha sido un momento importante para redescubrir las relaciones más queridas. Por otra parte, «el matrimonio y la familia constituyen uno de los bienes más preciosos de la humanidad»[15] y la cuna de toda sociedad civil. El gran Papa san Juan Pablo II, cuyo centenario de nacimiento hemos celebrado el año pasado, en su precioso magisterio sobre la familia recordaba. que: «Ante la dimensión mundial que hoy caracteriza a los diversos problemas sociales, la familia ve que se dilata de una manera totalmente nueva su cometido ante el desarrollo de la sociedad» y lo cumple en primer lugar «ofreciendo a los hijos un modelo de vida fundado sobre los valores de la verdad, libertad, justicia y amor».[16] Sin embargo, no todos han podido vivir con serenidad en la propia casa y algunas convivencias han degenerado en violencia doméstica. Exhorto a todos, autoridades públicas y sociedad civil, a ofrecer ayuda a las víctimas de la violencia en la familia. Sabemos que lamentablemente son las mujeres, a menudo junto con sus hijos, quienes pagan el precio más alto.
Las exigencias para contener la difusión del virus también se ramificaron sobre diversas libertades fundamentales, incluida la libertad de religión, limitando el culto y las actividades educativas y caritativas de las comunidades de fe. Sin embargo, no debemos pasar por alto que la dimensión religiosa constituye un aspecto fundamental de la personalidad humana y de la sociedad, que no puede ser cancelado; y que, aun cuando se está buscando proteger vidas humanas de la difusión del virus, la dimensión espiritual y moral de la persona no se puede considerar como secundaria respecto a la salud física.
Por otra parte, la libertad de culto no constituye un corolario de la libertad de reunión, sino que deriva esencialmente del derecho a la libertad religiosa, que es el primer y fundamental derecho humano. Por eso es necesario que sea respetada, protegida y defendida por las autoridades civiles, como la salud y la integridad física. Además, un buen cuidado del cuerpo nunca puede prescindir del cuidado del alma.
Escribiendo a Cangrande della Scala, Dante Alighieri destaca al final de su Comedia: «Arrancar a los que viven en esta vida de su estado de miseria y conducirlos al estado de felicidad».[17] Esto, si bien con roles y en ámbitos diferentes, también es la tarea tanto de las autoridades religiosas como de las civiles. La crisis de las relaciones humanas y, consecuentemente, las otras crisis que he mencionado no se pueden vencer si no se salvaguarda la dignidad trascendente de toda persona humana, creada a imagen y semejanza de Dios.
Al recordar al gran poeta florentino, del que se cumple este año el séptimo centenario de su muerte, también deseo dirigir un recuerdo particular al pueblo italiano, que fue el primero en Europa que tuvo que enfrentarse con las graves consecuencias de la pandemia, exhortándolo a no dejarse abatir por las dificultades presentes, sino a trabajar unido para construir una sociedad en la que nadie sea descartado u olvidado.
Estimados Embajadores:
El 2021 es un tiempo que debemos aprovechar. Y no será desaprovechado en la medida en que sepamos colaborar con generosidad y esfuerzo. En este sentido considero que la fraternidad es el verdadero remedio a la pandemia y a muchos males que nos han golpeado. Fraternidad y esperanza son como medicinas que hoy el mundo necesita, junto con las vacunas.
Sobre cada uno de ustedes y de sus países invoco copiosos dones celestiales, con el deseo de que este año sea propicio para profundizar los vínculos de fraternidad que unen a toda la familia humana.
Gracias.
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[1] Mensaje para la 54.ª Jornada Mundial de la Paz (8 diciembre 2020), 1.
[2] Ibíd., 6.
[3] J. Donne, Meditación XVII, en: Meditaciones en tiempos de crisis, Edit. Planeta, Barcelona 2012, 17.
[4] Carta para el encuentro “Economy of Francesco” (1 mayo 2019).
[5] S. Juan XXIII, Carta enc. Pacem in terris (11 abril 1963), 11.
[6] Cf. Discurso al Parlamento Europeo, Estrasburgo (25 noviembre 2014).
[7] Radiomensaje «Benignitas et humanitas», 24 diciembre 1944.
[8] Mensaje a la Conferencia de las Naciones Unidas para la negociación de un instrumento jurídicamente vinculante sobre la prohibición de las armas nucleares (23 marzo 2017): AAS 109 (2017), 394-396; Carta enc. Fratelli tutti, 262.
[9] Ibíd.
[10] S. Juan XXIII, Carta enc. Pacem in terris (11 abril 1963), 112.
[11] Ángelus, 1 enero 2021.
[12] Videomensaje con ocasión del Encuentro “Global compact on education. Together to look beyond” (15 octubre 2020).
[13] Ibíd.
[14] Ibíd.
[15] S. Juan Pablo II, Exhort. ap. Familiaris consortio (22 noviembre 1981), 1.
[16] Ibíd., 48.
[17] Epístola 13, 39.
[00165-ES.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua portoghese
Excelências, Senhoras e Senhores!
Agradeço ao Decano, o Senhor George Poulides, Embaixador de Chipre, as amáveis palavras e bons votos que expressou em nome de todos vós e quero, antes de mais nada, pedir desculpa pelos incómodos que vos possa ter causado o cancelamento do encontro que estava previsto em 25 de janeiro. Obrigado pela vossa compreensão e paciência e por terdes acolhido o convite, não obstante as dificuldades, para vir esta manhã ao nosso tradicional ajuntamento.
Fazemo-lo na moldura mais espaçosa desta Sala das Bênçãos, para respeitar a exigência de maior distanciamento pessoal a que nos obriga a pandemia. Todavia a distância é apenas física. Antes, o facto de nos encontrarmos simboliza o contrário: é um sinal de proximidade, daquela proximidade e mútuo apoio a que deve aspirar a família das nações. Neste tempo de pandemia, trata-se de um dever ainda mais impelente, pois é claro para todos que o vírus não conhece barreiras nem pode ser facilmente isolado. Por isso, derrotá-lo é uma responsabilidade que conta com cada um de nós pessoalmente, como também com os nossos países.
Daí o meu reconhecimento a todos vós pelo esforço que fazeis diariamente por favorecer as relações entre os vossos países ou as organizações internacionais que representais e a Santa Sé. São numerosos os testemunhos de mútua proximidade que pudemos trocar ao longo destes meses, graças também ao uso das novas tecnologias, que permitiram superar as limitações causadas pela pandemia.
Sem dúvida, todos aspiramos a retomar o mais rápido possível o contacto presencial, e o nosso encontro de hoje pretende ser um bom presságio nesse sentido. De igual modo, é meu desejo retomar em breve as viagens apostólicas, a começar pelo Iraque prevista para o próximo mês de março. Com efeito, tais viagens constituem um aspeto importante da solicitude do Sucessor de Pedro pelo Povo de Deus espalhado pelo mundo inteiro, bem como do diálogo da Santa Sé com os Estados. Além disso, com frequência revelam-se ocasião propícia para, em espírito de partilha e diálogo, aprofundar a relação entre religiões diversas. No nosso tempo, o diálogo inter-religioso é uma componente importante no encontro entre povos e culturas. Quando é concebido não como renúncia à própria identidade, mas como ocasião de maior conhecimento e enriquecimento mútuo, constitui uma oportunidade para os responsáveis religiosos e para os fiéis das várias confissões e pode sustentar o trabalho dos líderes políticos na sua responsabilidade de construir o bem comum.
Igualmente importantes são os acordos internacionais, que permitem aprofundar os vínculos de mútua confiança e consentem à Igreja de cooperar mais eficazmente para o bem-estar espiritual e social dos vossos países. Nesta perspetiva, desejo mencionar aqui a troca dos instrumentos de ratificação do Acordo-Quadro entre a Santa Sé e a República Democrática do Congo e do Acordo sobre o Estatuto Jurídico da Igreja Católica no Burkina Faso, bem como a assinatura entre a Santa Sé e a República Austríaca do VII Acordo Adicional à Convenção para o Regulamento das Relações Patrimoniais, de 23 de junho de 1960. Além disso, no dia 22 de outubro passado, a Santa Sé e a República Popular da China concordaram em prolongar, por mais dois anos, a validade do Acordo Provisório sobre a nomeação dos Bispos na China, assinado em Pequim no ano de 2018. Trata-se de um entendimento de caráter essencialmente pastoral e a Santa Sé espera que o caminho percorrido continue, em espírito de respeito e mútua confiança, contribuindo ainda mais para a solução das questões de interesse comum.
Queridos Embaixadores!
O ano há pouco concluído deixou atrás dele um rasto de medo, desconforto e desespero, juntamente com muitos lutos. Colocou as pessoas numa espiral de separação e suspeita mútua, e impeliu os Estados a erguerem barreiras. O mundo interligado a que estávamos acostumados deu lugar a um mundo novamente fragmentado e dividido. Entretanto as repercussões da pandemia são verdadeiramente globais, quer porque a mesma envolve realmente toda a humanidade e os países do mundo inteiro, quer porque afeta muitos aspetos da nossa vida, contribuindo para agravar «fortemente outras crises inter-relacionadas como a climática, alimentar, económica e migratória».[1] À luz desta consideração, pareceu-me oportuno dar vida à Comissão Vaticana Covid-19, com o objetivo de coordenar a resposta da Santa Sé e da Igreja às solicitações vindas das dioceses de todo o mundo em ordem a enfrentar a emergência sanitária e as necessidades que a pandemia fez surgir.
Na verdade, desde o início, ficou patente que a pandemia teria um impacto notável sobre o estilo de vida a que estávamos habituados, subtraindo comodidades e certezas consolidadas. Colocou-nos em crise, mostrando-nos a fisionomia dum mundo doente não só por causa do vírus, mas também no meio ambiente, nos processos económicos e políticos, e mais ainda nos relacionamentos humanos. Salientou os riscos e as consequências duma forma de viver dominada pelo egoísmo e a cultura do descarte e colocou-nos perante uma alternativa: continuar pela estrada percorrida até agora ou empreender um novo caminho.
Assim, gostaria de me deter sobre algumas das crises provocadas ou evidenciadas pela pandemia, contemplando ao mesmo tempo as oportunidades que derivam delas para se construir um mundo mais humano, justo, solidário e pacífico.
Crise sanitária
A pandemia confrontou-nos fortemente com duas dimensões ineludíveis da existência humana: a doença e a morte. Por isso mesmo, recorda o valor da vida, de cada vida humana e da sua dignidade, em todos os momentos do seu itinerário terreno desde a conceção no ventre materno até ao seu fim natural. Infelizmente, é doloroso constatar que, a pretexto de garantir pretensos direitos subjetivos, um número crescente de legislações no mundo está a afastar-se do dever imprescindível de defender a vida humana em cada uma das suas fases.
A pandemia lembra-nos ainda o direito ao cuidado, de que é destinatário todo o ser humano, como destaquei também na Mensagem para o Dia Mundial da Paz, celebrado a 1 de janeiro passado: «toda a pessoa humana é fim em si mesma, e nunca um mero instrumento a ser avaliado apenas pela sua utilidade. Foi criada para viver em conjunto na família, na comunidade, na sociedade, onde todos os membros são iguais em dignidade. E desta dignidade derivam os direitos humanos, bem como os deveres, que recordam, por exemplo, a responsabilidade de acolher e socorrer os pobres, os doentes, os marginalizados».[2] Se se suprime o direito à vida dos mais frágeis, como se poderão garantir eficazmente todos os outros direitos?
Nesta perspetiva, renovo o meu apelo para que sejam oferecidos a cada pessoa humana os cuidados e a assistência de que necessita. Para isso, é indispensável que todos os que têm responsabilidades políticas e de governo se esforcem por favorecer, antes de mais nada, o acesso universal aos cuidados básicos de saúde, incentivando também a criação de postos médicos locais e de estruturas sanitárias adequadas às reais necessidades da população, bem como a disponibilidade de terapias e medicamentos. Com efeito, não pode ser a lógica do lucro a guiar um campo tão delicado como o da assistência e tratamento sanitários.
Também é indispensável que os notáveis progressos médicos e científicos feitos ao longo dos anos, que permitiram sintetizar em muito pouco tempo vacinas que se esperam eficazes contra o coronavírus, beneficiem toda a humanidade. Portanto, exorto todos os Estados a contribuírem ativamente para as iniciativas internacionais tendentes a assegurar uma distribuição equitativa das vacinas, não segundo critérios puramente económicos, mas tendo em conta as necessidades de todos, especialmente das populações mais carenciadas.
Em todo o caso, em presença dum inimigo furtivo e imprevisível como a Covid-19, a real possibilidade de acesso às vacinas deve ser sempre acompanhada por comportamentos pessoais responsáveis, visando impedir a difusão da doença, mediante as medidas necessárias de prevenção a que já nos habituamos nestes meses. Seria fatal confiar apenas na vacina, como se fosse uma panaceia que dispensa o indivíduo do esforço constante em prol da saúde própria e dos outros. A pandemia mostrou-nos que ninguém é uma ilha, evocando a famosa expressão do poeta inglês John Donne, e que «a morte de qualquer homem me diminui, porque eu sou parte da humanidade».[3]
Crise ambiental
Não é apenas o ser humano que está doente, a nossa Terra também. A pandemia mostrou-nos mais uma vez como ela é frágil e necessitada de cuidados.
Há certamente diferenças profundas entre a crise sanitária provocada pela pandemia e a crise ecológica causada por uma exploração indiscriminada dos recursos naturais. A segunda tem uma dimensão muito mais complexa e permanente, e requer soluções compartilhadas de longo prazo. Por exemplo, os impactos da alteração climática – sejam eles diretos como os eventos climáticos extremos das inundações e secas, ou indiretos como a desnutrição e as doenças respiratórias – aparecem muitas vezes carregados de consequências que persistem por muito tempo.
A resolução destas crises requer uma colaboração internacional para o cuidado da nossa casa comum. Espero, pois, que a próxima Conferência das Nações Unidas sobre o Clima (COP26), marcada para novembro próximo em Glasgow, permita encontrar um acordo eficaz para enfrentar as consequências da alteração climática. Este é o tempo de agir, pois são já palpáveis os efeitos duma prolongada inação.
Penso, por exemplo, nas repercussões sobre as numerosas pequenas ilhas do Oceano Pacífico que estão gradualmente em risco de desaparecer. É uma tragédia que causa não só a destruição de aldeias inteiras, mas força também as comunidades locais, e sobretudo as famílias, a deslocarem-se continuamente, perdendo identidade e cultura. Penso ainda nas inundações do sudeste asiático, especialmente no Vietname e nas Filipinas, que provocaram vítimas e deixaram famílias inteiras sem meios de subsistência. E também não se pode silenciar o aquecimento progressivo da Terra, que causou incêndios devastadores na Austrália e na Califórnia.
E as mudanças climáticas, agravadas por intervenções imprudentes do homem e agora pela pandemia, são causa de grave preocupação também na África. Refiro-me, em primeiro lugar, à insegurança alimentar que, durante o ano passado, afetou particularmente o Burkina Faso, o Mali e o Níger, com milhões de pessoas a passar fome; bem como à situação no Sudão do Sul, onde existe o risco duma carestia e onde persiste aliás uma grave emergência humanitária: mais de um milhão de crianças sofre escassez de alimentos, enquanto são frequentemente obstaculizados os corredores humanitários e limitada a presença das agências humanitárias no território. Para fazer frente a esta situação é muito urgente também que as autoridades do Sudão do Sul superem as incompreensões e persistam no diálogo político para uma plena reconciliação nacional.
Crise económica e social
O objetivo de conter o coronavírus impeliu muitos governos a adotarem medidas restritivas da liberdade de circulação, implicando, durante vários meses, o encerramento de casas comerciais e a desaceleração geral das atividades produtivas, com graves repercussões nas empresas, sobretudo médias e pequenas, no emprego e, consequentemente, na vida das famílias e de setores inteiros da sociedade, especialmente os mais frágeis.
A crise económica resultante evidenciou outro morbo que afeta o nosso tempo: o duma economia baseada na exploração e no descarte quer das pessoas quer dos recursos naturais. Com demasiada frequência, se esqueceu da solidariedade e dos outros valores que consentem à economia estar ao serviço do desenvolvimento humano integral, e não de interesses particulares, e perdeu-se de vista a valência social da atividade económica e o destino universal dos bens e recursos.
Assim, a crise atual é a ocasião propícia para repensar a relação entre a pessoa e a economia. É precisa uma espécie de «nova revolução coperniciana» que coloque de novo a economia ao serviço do homem e não vice-versa, começando a «estudar e a pôr em prática uma economia diferente, que faz viver e não mata, inclui e não exclui, humaniza e não desumaniza, cuida da criação e não a devasta».[4]
Para enfrentar as consequências negativas desta crise, numerosos governos previram várias iniciativas e a atribuição de enormes financiamentos. Não raro, porém, prevaleceram pressões para se buscar soluções particulares para um problema que apresenta, ao contrário, dimensões globais. Em todos os tempos, mas hoje ainda menos, não se pode pensar em agir sozinhos. São necessárias iniciativas comuns e partilhadas inclusive a nível internacional, sobretudo para apoio do emprego e proteção das camadas mais pobres da população. Nesta perspetiva, considero significativo o empenho da União Europeia e dos seus Estados-membros, que, apesar das dificuldades, souberam mostrar que se pode trabalhar arduamente para alcançar compromissos satisfatórios em benefício de todos os cidadãos. A verba proposta pelo plano UE da Próxima Geração representa um exemplo significativo de como a colaboração e a partilha dos recursos em espírito de solidariedade sejam objetivos não só desejáveis, mas realmente acessíveis.
Em muitas partes do mundo, a crise afetou sobretudo os trabalhadores em setores autónomos, os primeiros que viram desaparecer os seus meios de subsistência. Vivendo fora das margens da economia formal, não tiveram acesso sequer aos amortizadores sociais, incluindo subsídios de desemprego e a assistência médica. Assim, levados pelo desespero, muitos procuraram outras formas de rendimento, expondo-se a ser explorados por meio de trabalho ilegal ou forçado, da prostituição e de várias atividades criminosas, nomeadamente o tráfico de pessoas.
Ora todo o ser humano tem direito – tem direito – e deve poder obter «os recursos correspondentes a um digno padrão de vida».[5] Na verdade, é necessário que se garanta a todos a estabilidade económica para evitar os flagelos da exploração e combater a usura e a corrupção, que afligem muitos países no mundo, e muitas outras injustiças que se consumam todos os dias diante dos olhos cansados e distraídos da nossa sociedade contemporânea.
O aumento de tempo passado em casa fez também permanecer mais longamente, de forma alienante, em frente dos computadores e outros meios de comunicação, com graves repercussões sobre as pessoas mais vulneráveis, especialmente os pobres e desempregados. São presas mais fáceis da criminalidade informática – o crime cibernético – nos seus aspetos mais desumanizadores, desde as fraudes ao tráfico de seres humanos, à exploração da prostituição, incluindo de menores, bem como à pornografia infantil.
O encerramento das fronteiras por causa da pandemia, juntamente com a crise económica, acentuou também várias emergências humanitárias, tanto nas áreas de conflito como nas regiões afetadas pela alteração climática e a seca, bem como nos campos de refugiados e migrantes. Penso de modo particular no Sudão, onde se refugiaram milhares de pessoas em fuga da região de Tigray, bem como noutros países da África subsariana, ou na região de Cabo Delgado em Moçambique, onde tantas pessoas foram obrigadas a abandonar a sua terra e se encontram agora em condições muito precárias. Pelo meu pensamento passam também o Iémen e a amada Síria, onde, além doutras emergências graves, a insegurança alimentar aflige grande parte da população e as crianças encontram-se exaustas pela desnutrição.
Em vários casos, as crises humanitárias são agravadas pelas sanções económicas, que acabam, na maioria das vezes, por se repercutir principalmente sobre as camadas mais frágeis da população, e não sobre os responsáveis políticos. Por isso, embora compreendendo a lógica das sanções, a Santa Sé não vê a sua eficácia e espera uma atenuação das mesmas, até para favorecer o fluxo de ajudas humanitárias, a começar pelos medicamentos e instrumentos sanitários, extremamente necessários neste tempo de pandemia.
Oxalá esta conjuntura que estamos a atravessar sirva, igualmente, de estímulo para perdoar ou, pelo menos, reduzir a dívida que pesa sobre os países mais pobres, impedindo efetivamente a sua recuperação e pleno desenvolvimento.
No ano passado, assistiu-se também a um novo aumento dos migrantes, que, devido ao encerramento das fronteiras, tiveram de recorrer a rotas sempre mais perigosas. Entretanto este fluxo massivo deparou-se com um aumento no número das rejeições ilegais, muitas vezes implementadas para impedir os migrantes de pedirem asilo, em violação do princípio de não rejeição (non-refoulement). Muitos são intercetados e repatriados acabando em campos de recolha e detenção, onde sofrem torturas e violações dos direitos humanos, quando não encontram a morte ao atravessar mares e outras fronteiras naturais.
Os corredores humanitários, implementados durante os últimos anos, contribuem certamente para enfrentar algumas das referidas problemáticas, salvando numerosas vidas. Todavia a dimensão da crise torna cada vez mais urgente enfrentar pela raiz as causas que impelem a migrar, e exige também um esforço conjunto de apoio aos países de primeiro acolhimento, que assumem a obrigação moral de salvar vidas humanas. A propósito, aguarda-se com interesse a negociação do Novo Pacto da União Europeia sobre Migração e Asilo, embora observando que políticas e mecanismos concretos só funcionarão se forem sustentados pela necessária vontade política e o empenho de todas as partes envolvidas, incluindo a sociedade civil e os próprios migrantes.
A Santa Sé olha com apreço todos os esforços feitos a favor dos migrantes e apoia o empenho da Organização Internacional para as Migrações (OIM) – celebra-se este ano o septuagésimo aniversário da sua fundação –, no pleno respeito dos valores expressos na sua Constituição e da cultura dos Estados-membros onde atua a Organização. Da mesma forma a Santa Sé, como membro do Comité Executivo do Alto Comissariado das Nações Unidas para os Refugiados (UNHCR), permanece fiel aos princípios formulados na Convenção de Genebra de 1951 sobre o Estatuto dos Refugiados e no Protocolo de 1967, que estabelecem a definição legal de refugiado, os seus direitos e também a obrigação legal que os Estados têm de os proteger.
Desde a Segunda Guerra Mundial que o mundo não tinha assistido a um aumento tão dramático do número de refugiados, como o que vemos hoje. Por isso, é urgente que se renove o empenho em prol da proteção deles, bem como dos deslocados internos e de todas as pessoas vulneráveis forçadas a fugir da perseguição, da violência, dos conflitos e das guerras. A este respeito, apesar dos esforços importantes realizados pelas Nações Unidas na busca de soluções e propostas concretas para enfrentar de forma coerente o problema dos deslocamentos forçados, a Santa Sé expressa a sua preocupação pela situação dos deslocados em várias partes do mundo. Refiro-me, em primeiro lugar, à área central do Sahel, onde, em menos de dois anos, aumentou vinte vezes o número dos deslocados internos.
Crise da política
As situações críticas, que mencionei até agora, colocam em destaque uma crise muito mais profunda, que de certa forma está na raiz das outras e cujo caráter dramático foi evidenciado precisamente pela pandemia. É a crise da política, que já há algum tempo se faz sentir em muitas sociedades e cujos efeitos dilacerantes surgiram durante a pandemia.
Um dos fatores emblemáticos de tal crise é o aumento das contraposições políticas e a dificuldade, senão mesmo a incapacidade, de procurar soluções comuns e partilhadas para os problemas que afligem o nosso planeta. É uma tendência que se verifica já há bastante tempo e se difunde cada vez mais, mesmo em países de antiga tradição democrática. Manter vivas as realidades democráticas é um desafio deste momento histórico,[6] que toca de perto todos os Estados, sejam eles pequenos ou grandes, economicamente avançados ou em vias de desenvolvimento. Nestes dias, o meu pensamento dirige-se em particular para o povo da Birmânia, ao qual expresso a minha estima e solidariedade. O caminho para a democracia empreendido nos últimos anos foi bruscamente interrompido pelo golpe da semana passada. O mesmo levou à prisão de vários líderes políticos, que espero sejam rapidamente postos em liberdade como sinal de encorajamento a um dialogo sincero em prol do bem do país.
Aliás, como afirmava Pio XII na sua memorável Radiomensagem do Natal de 1944, «exprimir a própria opinião sobre os deveres e os sacrifícios que lhe são impostos e não ser obrigado a obedecer sem ter sido ouvido: eis dois direitos do cidadão, que encontram na democracia – como o próprio nome indica – a sua expressão».[7] A democracia baseia-se no respeito mútuo, na possibilidade de todos concorrerem para o bem da sociedade e na consideração de que as opiniões diferentes não só não prejudicam o poder e a segurança dos Estados, mas, num confronto honesto, enriquecem-se mutuamente e permitem encontrar soluções mais adequadas para os problemas que se devem enfrentar. O processo democrático requer que se persiga um caminho de diálogo inclusivo, pacífico, construtivo e respeitoso entre todas as componentes da sociedade civil em cada cidade e nação. Os acontecimentos que de Oriente a Ocidente, segundo formas e em contextos diversos, marcaram o último ano, mesmo – repito – em países de longa tradição democrática, mostram quão ineludível seja este desafio e como não possamos eximir-nos da obrigação moral e social de o enfrentar com uma atitude positiva. O desenvolvimento duma consciência democrática exige que se superem os personalismos e prevaleça o respeito pelo estado de direito. Na verdade, o direito é o pressuposto indispensável para o exercício de todo o poder e deve ser garantido pelos órgãos competentes, independentemente dos interesses políticos dominantes.
Infelizmente, a crise da política e dos valores democráticos faz-se sentir também a nível internacional, com repercussões em todo o sistema multilateral e a consequência evidente de Organizações pensadas para favorecer a paz e o desenvolvimento – com base no direito e não na «lei do mais forte» –, verem comprometida a sua eficácia. Sem dúvida, não se pode dissimular que o sistema multilateral também apresentou algumas limitações nos últimos anos. A pandemia é uma ocasião que não se deve perder para pensar e implementar reformas orgânicas, para que as Organizações internacionais reencontrem a sua vocação essencial de servir a família humana para preservar a vida de cada pessoa e a paz.
Um dos sinais da crise política é precisamente a reticência que se verifica muitas vezes quando se empreendem percursos de reforma. Não é preciso ter medo das reformas, ainda que requeiram sacrifícios e, não raramente, uma mudança de mentalidade. Todo o corpo vivo precisa continuamente de se renovar, colocando-se nesta perspetiva também as reformas em curso na Santa Sé e na Cúria Romana.
Em todo o caso, não faltam sinais encorajadores, como a entrada em vigor, há poucos dias, do Tratado para a Proibição das Armas Nucleares, bem como a prorrogação por mais cinco anos do Novo Tratado sobre a Redução das Armas Estratégicas (o chamado New START) entre a Federação Russa e os Estados Unidos da América. Aliás, como voltei a afirmar na recente encíclica Fratelli tutti, «se tomarmos em consideração as principais ameaças contra a paz e a segurança com as suas múltiplas dimensões neste mundo multipolar do século XXI, (...) muitas dúvidas emergem acerca da insuficiência da dissuasão nuclear para responder de modo eficaz a tais desafios».[8] Com efeito, não é «sustentável um equilíbrio baseado no medo, quando de facto ele tende a aumentar o temor e a ameaçar as relações de confiança entre os povos».[9]
Este esforço no campo do desarmamento e da não proliferação de armas nucleares, que, apesar das dificuldades e reticências, é preciso intensificar, deveria ser feito igualmente no que diz respeito às armas químicas e convencionais. No mundo, existem demasiadas armas! «A justiça, a reta razão e o sentido da dignidade humana – afirmava em 1963 São João XXIII – terminantemente exigem que se pare com essa corrida ao poderio militar, que o material de guerra, instalado em várias nações, se vá reduzindo duma parte e doutra, simultaneamente».[10] E enquanto, com o pulular das armas, aumenta a violência a todos os níveis e vemos ao nosso redor um mundo dilacerado por guerras e divisões, sentimos crescer cada vez mais a exigência de paz, duma paz que «não é apenas ausência de guerra, mas é uma vida rica de sentido, construída e vivida na realização pessoal e na partilha fraterna com os outros».[11]
Como gostaria que 2021 fosse o ano em que se inscrevesse a palavra fim no conflito sírio, iniciado já há dez anos! Para que isso aconteça, é necessário também um renovado interesse por parte da Comunidade internacional de enfrentar, com sinceridade e coragem, as causas do conflito e buscar soluções através das quais todos, independentemente da sua pertença étnica e religiosa, possam contribuir como cidadãos para o futuro do país.
Os meus votos de paz dirigem-se obviamente para a Terra Santa. A confiança mútua entre Israelitas e Palestinenses deve ser a base para um renovado e resolutivo diálogo direto entre as Partes a fim de se solucionar um conflito que já dura há demasiado tempo. Convido a Comunidade internacional a apoiar e facilitar este diálogo direto, sem a pretensão de ditar soluções cujo horizonte não seja o bem de todos. Palestinenses e Israelitas, nutrem ambos – tenho a certeza – o desejo de poderem viver em paz.
De igual modo espero um renovado esforço político nacional e internacional por favorecer a estabilidade do Líbano, que atravessa uma crise interna e corre o risco de perder a sua identidade e encontrar-se ainda mais envolvido nas tensões regionais. Há grande necessidade de que o país mantenha a sua identidade única, até para assegurar um Médio Oriente plural, tolerante e diversificado, no qual a presença cristã possa oferecer o seu contributo e não fique reduzida a uma minoria que se deve proteger. Os cristãos constituem o tecido conectivo histórico e social do Líbano e deve-lhes ser assegurada, através das suas numerosas obras educativas, sanitárias e sociocaritativas, a possibilidade de continuar a trabalhar pelo bem do país, de que foram fundadores. Enfraquecer a comunidade cristã cria o risco de destruir o equilíbrio interno e a própria realidade libanesa. E, nesta perspetiva, deve ser enfrentada também a presença dos refugiados sírios e palestinenses. Além disso, sem um processo urgente de retoma económica e de reconstrução, corre-se o risco do falimento do país, com a possível consequência de perigosas derivas fundamentalistas. Por isso, é necessário que todos os líderes políticos e religiosos, deixando de lado os próprios interesses, se empenhem por buscar a justiça e implementar verdadeiras reformas para o bem dos cidadãos, agindo de forma transparente e assumindo-se a responsabilidade das suas ações.
Desejo paz ainda para a Líbia, também ela dilacerada por um longo conflito, com a esperança de que o recente «Fórum do Diálogo Político da Líbia», realizado na Tunísia em novembro passado sob os auspícios das Nações Unidas, permita efetivamente o início do almejado processo de reconciliação do país.
E outras áreas do mundo são também motivo de preocupação. Refiro-me, em primeiro lugar, às tensões políticas e sociais na República Centro-Africana, bem como às que afetam em geral a América Latina, cujas raízes se encontram nas profundas desigualdades, nas injustiças e na pobreza, que ofendem a dignidade das pessoas. Da mesma forma, acompanho com particular solicitude a deterioração das relações na Península da Coreia, que culminou com a destruição do departamento de ligação inter-coreana em Kaesong; e também a situação no sul do Cáucaso, onde permanecem congelados vários conflitos, alguns reacesos no decurso do ano passado, que ameaçam a estabilidade e a segurança de toda a região.
Por último, não posso esquecer outro flagelo grave deste nosso tempo: o terrorismo, que ceifa anualmente, em todo o mundo, numerosas vítimas entre a população civil inerme. É um mal que tem vindo a crescer desde os anos setenta do século passado e teve um momento culminante nos atentados que atingiram os Estados Unidos da América em 11 de setembro de 2001, matando quase três mil pessoas. Infelizmente, o número dos atentados tem-se intensificado nos últimos vinte anos, atingindo vários países em todos os continentes. Refiro-me de modo particular ao terrorismo que ataca sobretudo na África subsariana, mas também na Ásia e na Europa. Penso em todas as vítimas e seus familiares, que viram arrebatar-lhes pessoas queridas por uma violência cega, motivada por distorções ideológicas da religião. Aliás, com frequência, os alvos de tais ataques são precisamente os lugares de culto, onde se encontram fiéis reunidos em oração. A propósito, gostaria de salientar que a proteção dos lugares de culto é uma consequência direta da defesa da liberdade de pensamento, consciência e religião, sendo um dever das autoridades civis, independentemente da sua cor política e filiação religiosa.
Excelências, Senhoras e Senhores!
Estou para concluir as minhas considerações, mas desejo ainda deter-me numa última crise que talvez seja a mais grave de todas: a crise dos relacionamentos humanos, expressão duma crise antropológica geral, que tem a ver com a própria conceção da pessoa humana e a sua transcendente dignidade.
A pandemia, que nos forçou a longos meses de isolamento e muitas vezes de solidão, evidenciou a necessidade de relacionamentos humanos que tem toda a pessoa. Penso, antes de mais nada, nos estudantes que não puderam frequentar regularmente a escola ou a universidade. «Procurou-se por todo o lado implementar uma resposta rápida através de plataformas educativas informáticas, que evidenciaram não só uma acentuada disparidade de oportunidades educacionais e tecnológicas, mas também o facto de muitas crianças e adolescentes, devido ao confinamento e outras carências anteriores, terem sofrido atrasos no processo normal de desenvolvimento pedagógico».[12] Além disso, o aumento do ensino à distância implicou também uma maior dependência das crianças e adolescentes da internet e, em geral, das formas virtuais de comunicação, tornando-os mais vulneráveis e expostos a atividades criminosas em rede.
Assistimos a uma espécie de «catástrofe educativa». Deixai-me repeti-lo: assistimos a uma espécie de «catástrofe educativa», face à qual não se pode permanecer inerte; exige-o o bem das futuras gerações e da sociedade inteira. «Hoje temos necessidade duma renovada estação de empenhamento educativo, que envolva todas as componentes da sociedade»,[13] pois a educação é «o antídoto natural à cultura individualista, que às vezes degenera num verdadeiro culto do “ego” e no primado da indiferença. O nosso futuro não pode ser a divisão, o empobrecimento das faculdades de pensamento e imaginação, de escuta, diálogo e compreensão mútua».[14]
Entretanto os longos períodos de confinamento permitiram também passar mais tempo em família. Para muitos, foi um momento importante para redescobrir os relacionamentos mais queridos. Aliás o matrimónio e a família «constituem um dos bens mais preciosos da humanidade»[15] e o berço de toda a sociedade civil. O grande Papa São João Paulo II, cujo centenário de nascimento celebramos no ano passado, no seu precioso ensinamento sobre a família recordava: «Diante da dimensão mundial que hoje carateriza os vários problemas sociais, a família vê alargar-se de modo completamente novo o seu dever para com o desenvolvimento da sociedade» e cumpre-o primariamente «oferecendo aos filhos um modelo de vida fundada sobre os valores da verdade, da liberdade, da justiça e do amor».[16] Mas nem todos puderam viver com serenidade na sua casa, tendo algumas coabitações degenerado em violências domésticas. Exorto a todos, autoridades públicas e sociedade civil, a apoiarem as vítimas da violência na família; sabemos que, infelizmente, são as mulheres, muitas vezes juntamente com os seus filhos, que pagam o preço mais alto.
As exigências, que visavam conter a difusão do vírus, estenderam as suas ramificações também sobre várias liberdades fundamentais, incluindo a liberdade de religião, com a limitação do culto e das atividades educativas e sociocaritativas das comunidades de fé. É preciso, porém, não transcurar a dimensão religiosa pois constitui um aspeto fundamental da personalidade humana e da sociedade, que não pode ser esquecido. Pois, não obstante se esteja procurando proteger as vidas humanas da propagação do vírus, não se pode considerar a dimensão espiritual e moral da pessoa como secundária relativamente à saúde física.
Além disso, a liberdade de culto não constitui um corolário da liberdade de reunião, mas deriva essencialmente do direito à liberdade religiosa, que é direito humano primário e fundamental. Por isso é necessário que a mesma seja respeitada, protegida e defendida pelas autoridades civis, como a saúde e a integridade física. Aliás um bom cuidado do corpo nunca pode prescindir do cuidado da alma.
Ao escrever a Cangrande della Scala, Dante Alighieri sublinha o objetivo da sua Comédia: «afastar, as pessoas que vivem esta vida, do estado de miséria e conduzi-las a um estado de felicidade».[17] O mesmo, embora com funções e em esferas diferentes, é também o dever tanto das autoridades religiosas como das civis. A crise dos relacionamentos humanos e, consequentemente, as outras crises mencionadas não se podem vencer senão salvaguardando a dignidade transcendente de cada pessoa humana, criada à imagem e semelhança de Deus.
E com esta recordação do grande poeta florentino, cujo sétimo centenário da sua morte tem lugar este ano, desejo também dirigir uma saudação particular ao povo italiano, que foi o primeiro na Europa a ter de enfrentar as graves consequências da pandemia, exortando-o a não se deixar abater pelas dificuldades atuais, mas trabalhar unido para construir uma sociedade onde ninguém seja descartado ou esquecido.
Queridos Embaixadores!
O ano de 2021 é um tempo a não perder; e não se perderá na medida em que soubermos colaborar com generosidade e empenho. Neste sentido, considero que a fraternidade seja o verdadeiro remédio para a pandemia e os inúmeros males que nos atingiram. Fraternidade e esperança são remédios de que o mundo precisa, hoje, tanto como as vacinas.
Sobre cada um de vós e os vossos países, invoco abundantes dons celestes, com votos de que este ano se revele propício para aprofundar os laços de fraternidade que unem toda a família humana.
Obrigado!
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[1] Francisco, Mensagem para o LIV Dia Mundial da Paz (8 de dezembro de 2020), 1.
[2] Ibid., 6.
[3] J. Donne, Meditazione XVII, in: Devozioni per occasioni d’emergenza (Editori Riuniti, Roma 1994), 112-113.
[4] Francisco, Carta para o evento «Economy of Francesco» (1 de maio de 2019).
[5] São João XXIII, Carta enc. Pacem in terris (11 de abril de 1963), 11 [6].
[6] Cf. Francisco, Discurso no Parlamento Europeu (Estrasburgo 25 de novembro de 2014).
[7] Radiomensagem aos povos do mundo inteiro (24 de dezembro de 1944).
[8] Carta enc. Fratelli tutti, 262; aqui o Papa cita a sua Mensagem à Conferência da ONU finalizada a negociar um instrumento juridicamente vinculante sobre a proibição das armas nucleares (23 de março de 2017): AAS 109 (2017), 394-396.
[9] Ibid., 262.
[10] Carta enc. Pacem in terris (11 de abril de 1963), 112 [60].
[11] Francisco, Alocução do Angelus (1 de janeiro de 2021).
[12] Francisco, Videomensagem por ocasião do Encontro «Global compact on education. Together to look beyond» (15 de outubro de 2020).
[13] Ibidem.
[14] Ibidem.
[15] São João Paulo II, Exort. ap. Familiaris consortio (22 de novembro de 1981), 1.
[16] Ibid., 48.
[17] Epístola XIII, 39.
[00165-PO.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua polacca
Wasze Ekscelencje, Panie i Panowie,
Dziękuję dziekanowi, Jego Ekscelencji George'owi Poulidesowi, ambasadorowi Cypru, za jego uprzejme słowa i życzenia wyrażone w imieniu was wszystkich, i przede wszystkim przepraszam za niedogodności, jakich mogliście doświadczyć w związku z odwołaniem spotkania przewidzianego na 25 stycznia. Dziękuję wam za wyrozumiałość i cierpliwość, i za przyjęcie zaproszenia do obecności dzisiejszego rana, pomimo trudności, na tym naszym tradycyjnym zebraniu.
Spotykamy się dzisiaj w bardziej przestrzennej oprawie Auli Błogosławieństw, aby respektować potrzebę większego osobistego oddalenia, do którego zmusza nas pandemia. Jednak dystans jest tylko fizyczny. Nasze spotkanie symbolizuje raczej coś przeciwnego. Jest ono oznaką bliskości, tej bliskości i wzajemnego wsparcia, do którego musi dążyć rodzina narodów. W tym okresie pandemii obowiązek ten jest tym bardziej istotny, że dla wszystkich jest jasne, iż wirus nie zna przeszkód i nie może być łatwo wyizolowany. Pokonanie go jest zatem odpowiedzialnością, która dotyczy każdego z nas osobiście, jak również naszych krajów.
Jestem wam zatem wdzięczny za wasze codzienne zaangażowanie we wspieranie relacji między waszymi krajami czy organizacjami międzynarodowymi, które reprezentujecie, a Stolicą Apostolską. W ciągu tych miesięcy udało nam się wymienić wiele świadectw wzajemnej bliskości, również dzięki zastosowaniu nowych technologii, które pozwoliły pokonać ograniczenia spowodowane pandemią.
Niewątpliwie wszyscy pragniemy jak najszybszego wznowienia bezpośrednich kontaktów, a nasze dzisiejsze spotkanie pragnie być oznaką dobrej woli w tym względzie. Podobnie, chciałbym niebawem wznowić podróże apostolskie, począwszy od tej do Iraku, zaplanowanej na marzec bieżącego roku. Podróże stanowią bowiem ważny aspekt troski Następcy Piotra o lud Boży na całym świecie, jak również dialogu Stolicy Apostolskiej z państwami. Co więcej, są one często dobrą okazją do pogłębienia, w duchu dzielenia się i dialogu, relacji między różnymi religiami. W naszych czasach dialog międzyreligijny jest ważnym elementem spotkania między narodami i kulturami. Kiedy jest on rozumiany nie jako wyrzeczenie się własnej tożsamości, ale jako okazja do lepszego poznania i wzajemnego ubogacenia się, stanowi szansę dla przywódców religijnych i dla wiernych różnych wyznań oraz może wspierać dzieło przywódców politycznych w ich odpowiedzialności za budowanie dobra wspólnego.
Równie ważne są umowy międzynarodowe, które pozwalają pogłębić więzy wzajemnego zaufania i umożliwiają Kościołowi skuteczniejszą współpracę w zakresie dobra duchowego i społecznego waszych krajów. W tej perspektywie chciałbym tutaj wspomnieć o wymianie dokumentów ratyfikacyjnych umowy ramowej między Stolicą Apostolską a Demokratyczną Republiką Konga oraz umowy w sprawie statusu prawnego Kościoła katolickiego w Burkina Faso, jak również o podpisaniu siódmej umowy dodatkowej między Stolicą Apostolską a Republiką Austrii do Konwencji o Uregulowaniu Stosunków Majątkowych z dnia 23 czerwca 1960 r. Ponadto, dnia 22 października, Stolica Apostolska i Chińska Republika Ludowa uzgodniły przedłużenie o kolejne dwa lata ważności Umowy tymczasowej w sprawie mianowania biskupów w Chinach, podpisanej w Pekinie w 2018 roku. Jest to porozumienie zasadniczo o charakterze duszpasterskim i Stolica Apostolska ma nadzieję, że obrana droga będzie kontynuowana, w duchu wzajemnego szacunku i zaufania, przyczyniając się do dalszego rozwiązywania kwestii będących przedmiotem wspólnego zainteresowania.
Drodzy ambasadorowie,
Niedawno zakończony rok pozostawił po sobie ciężar strachu, rozpaczy i beznadziei, a także wiele osób pogrążonych w żałobie. Umieścił on osoby w spirali oddalenia i wzajemnej podejrzliwości oraz skłonił państwa do wznoszenia barier. Połączony świat, do którego byliśmy przyzwyczajeni, ustąpił miejsca światu, który znów jest rozdrobniony i podzielony. Niemniej jednak następstwa pandemii są doprawdy globalne, zarówno dlatego, że dotyczy ona w istocie całej ludzkości i wszystkich krajów świata, jak i dlatego, że wpływa na wiele aspektów naszego życia, przyczyniając się do pogłębienia „silnie ze sobą powiązanych kryzysów, takich jak kryzys klimatyczny, żywnościowy, gospodarczy i migracyjny”[1]. W świetle tych rozważań, uznałem za stosowne utworzenie Komisji Watykańskiej Covid-19, której celem jest koordynacja reakcji Stolicy Apostolskiej i Kościoła na prośby diecezji całego świata, by stawić czoło kryzysowi sanitarnemu i potrzebom, które ujawniła pandemia.
Od samego początku stało się bowiem jasne, że pandemia będzie miała znaczący wpływ na styl życia, do którego się przyzwyczailiśmy, i że sprawi osłabienie naszych ugruntowanych wygód i pewności siebie. Wpędziła nas w kryzys, ukazując nam oblicze świata, który był chory nie tylko z powodu wirusa, ale także w środowisku naturalnym, w procesach gospodarczych i politycznych, a jeszcze bardziej w dziedzinie relacji międzyludzkich. Wydobyła na światło dzienne zagrożenia i konsekwencje stylu życia zdominowanego przez egoizm i kulturę odrzucenia, a także stawiła nas w obliczu alternatywy: podążać dalej drogą, którą szliśmy do tej pory, czy też podjąć nową drogę.
Chciałbym zatem zatrzymać się na niektórych kryzysach wywołanych lub uwydatnionych przez pandemię, a jednocześnie przyjrzeć się szansom, jakie oferują one w zakresie budowania świata bardziej ludzkiego, sprawiedliwego, solidarnego i pokojowego.
Kryzys sanitarny
Pandemia potężnie skonfrontowała nas z dwoma nieuchronnymi wymiarami ludzkiej egzystencji: chorobą i śmiercią. Właśnie dlatego przypomina o wartości życia, każdego poszczególnego życia ludzkiego i jego godności, w każdym momencie jego ziemskiej podróży, od poczęcia w łonie matki do jego naturalnego kresu. Niestety, z przykrością zauważam, że pod pretekstem zapewnienia rzekomych praw subiektywnych, coraz większa liczba ustawodawców na całym świecie zdaje się odchodzić od podstawowego obowiązku ochrony życia ludzkiego na każdym jego etapie.
Pandemia przypomina nam również o prawie do troski, które ma każdy człowiek, co podkreśliłem również w moim orędziu na Światowy Dzień Pokoju, obchodzony 1 stycznia bieżącego roku. „Każda osoba ludzka jest celem sama w sobie, nigdy nie jest jedynie narzędziem, które należy doceniać tylko ze względu na jego użyteczność, ale jest stworzona, aby wspólnie żyć w rodzinie, we wspólnocie, w społeczeństwie, gdzie wszyscy członkowie są równi pod względem godności. To z tej godności wywodzą się prawa człowieka, a także obowiązki, które przypominają na przykład o odpowiedzialności za przyjmowanie i pomoc ubogim, chorym, zepchniętym na margines”[2]. Jeśli usuwa się prawo do życia najsłabszych, jak można skutecznie zagwarantować wszelkie inne prawa?
W tym kontekście, ponawiam swój apel o zapewnienie każdemu człowiekowi opieki i pomocy, jakiej potrzebuje. W tym celu konieczne jest, aby wszystkie osoby odpowiedzialne na szczeblu politycznym i rządowym działały na rzecz promowania przede wszystkim powszechnego dostępu do podstawowej opieki zdrowotnej, pobudzając jednocześnie do tworzenia lokalnych ośrodków medycznych i placówek opieki zdrowotnej dostosowanych do rzeczywistych potrzeb ludności, a także dostępności leczenia i leków. W dziedzinie tak delikatnej, jak opieka zdrowotna i leczenie, nie można się bowiem kierować logiką zysku.
Konieczne jest również, aby znaczny postęp medyczny i naukowy dokonany na przestrzeni lat, który umożliwił wytworzenie w bardzo krótkim czasie szczepionek przeciwko koronawirusowi, dających perspektywę skuteczności, przyniósł korzyść całej ludzkości. W związku z tym, wzywam wszystkie państwa do aktywnego udziału w międzynarodowych inicjatywach na rzecz zapewnienia sprawiedliwej dystrybucji szczepionek, nie według kryteriów czysto ekonomicznych, ale z uwzględnieniem potrzeb wszystkich, a zwłaszcza najbardziej potrzebujących grup ludności.
W każdym razie, w obliczu przebiegłego i nieprzewidywalnego wroga, jakim jest Covid-19, dostępności szczepionek musi zawsze towarzyszyć odpowiedzialne zachowanie osobiste mające na celu zapobieganie rozprzestrzenianiu się choroby, poprzez niezbędne środki zapobiegawcze, do których przyzwyczailiśmy się w minionych miesiącach. Fatalne w skutkach byłoby pokładanie zaufania jedynie w szczepionce, jak gdyby było to panaceum, które zwalniałoby nas od stałego zaangażowania poszczególnej osoby na rzecz zdrowia swojego oraz innych. Pandemia pokazała nam, że nikt nie jest samoistną wyspą, przywołując słynne słowa angielskiego poety Johna Donne'a, że „śmierć każdego człowieka umniejsza mnie, albowiem jestem zespolony z ludzkością”[3].
Kryzys ekologiczny
Chory jest nie tylko człowiek, ale także nasza ziemia. Pandemia pokazała nam po raz kolejny, jak krucha i wymagająca opieki jest także i ona.
Z pewnością istnieją głębokie różnice między kryzysem sanitarnym wywołanym przez pandemię a kryzysem ekologicznym spowodowanym przez masową eksploatację zasobów naturalnych. Ten ostatni ma wymiar znacznie bardziej złożony i trwały, i wymaga wspólnych, długoterminowych rozwiązań. Bowiem skutki - na przykład - zmian klimatycznych, zarówno bezpośrednie, takie jak ekstremalne zjawiska pogodowe, jak powodzie i susze, a także pośrednie, takie jak niedożywienie lub choroby układu oddechowego, są często obarczone konsekwencjami, które utrzymują się przez długi czas.
Rozwiązanie tych kryzysów wymaga międzynarodowej współpracy na rzecz troski o nasz wspólny dom. Życzę zatem, aby najbliższa konferencja klimatyczna ONZ (COP 26), zaplanowana na listopad bieżącego roku w Glasgow, pozwoliła na wypracowanie skutecznego porozumienia, by zmierzyć się ze skutkami zmian klimatycznych. Teraz nadszedł czas na działanie, ponieważ już możemy namacalnie doświadczyć skutków przedłużającego się braku działania.
Myślę na przykład o następstwach dla wielu małych wysp na Oceanie Spokojnym, którym grozi stopniowe zaniknięcie. Jest to tragedia, która powoduje nie tylko zniszczenie całych wsi, ale także zmusza społeczności lokalne, a zwłaszcza rodziny, do ciągłego przemieszczania się, tracąc swoją tożsamość i kulturę. Myślę także o powodziach w Azji Południowo-Wschodniej, zwłaszcza w Wietnamie i na Filipinach, które pochłonęły ofiary i pozostawiły całe rodziny bez środków do życia. Nie możemy też ignorować postępującego ocieplania się ziemi, które spowodowało niszczycielskie pożary w Australii i Kalifornii.
Powodem do poważnego zaniepokojenia są również zmiany klimatyczne w Afryce, pogłębione przez nieprzemyślane działania człowieka, a teraz także przez pandemię. Mam na myśli przede wszystkim brak bezpieczeństwa żywnościowego, który w ciągu minionego roku dotknął szczególnie Burkina Faso, Mali i Niger, gdzie miliony ludzi cierpią głód, a także sytuację w Sudanie Południowym, gdzie występuje ryzyko głodu, a ponadto utrzymuje się poważny kryzys humanitarny: ponad milion dzieci nie ma bezpieczeństwa żywnościowego, podczas gdy korytarze humanitarne są często zablokowane, a obecność agencji humanitarnych na tym obszarze została ograniczona. Aby uporać się z tą sytuacją, bardziej niż kiedykolwiek pilne jest, aby władze Sudanu Południowego przezwyciężyły nieporozumienia i kontynuowały dialog polityczny na rzecz pełnego pojednania narodowego.
Kryzys gospodarczy i społeczny
Cel opanowania koronawirusa doprowadził wiele rządów do przyjęcia środków ograniczających swobodę przemieszczania się, które od kilku miesięcy prowadzą do zamykania placówek handlowych i ogólnego spowolnienia działalności produkcyjnej, co ma poważne następstwa dla przedsiębiorstw, zwłaszcza małych i średnich, dla zatrudnienia, a w konsekwencji dla życia rodzin i całych grup społecznych, zwłaszcza tych najsłabszych.
Wynikający z tego kryzys gospodarczy uwypuklił inną chorobę, która dotyka nasze czasy: gospodarkę opartą na wyzyskiwaniu i marnotrawieniu zarówno ludzi, jak i zasobów naturalnych. Zbyt często zapominaliśmy o solidarności i innych wartościach, które pozwalają gospodarce służyć integralnemu rozwojowi ludzkiemu, a nie interesom partykularnym, i traciliśmy z oczu społeczną wartość działalności gospodarczej oraz powszechne przeznaczenie dóbr i zasobów.
Obecny kryzys jest zatem dobrą okazją do ponownego przemyślenia relacji między człowiekiem a gospodarką. Potrzebny jest rodzaj „nowej rewolucji kopernikańskiej”, która odda gospodarkę na służbę człowieka, a nie odwrotnie, „zaczynając badać i praktykować inną ekonomię, taką, która ożywia, a nie zabija, włącza a nie wyklucza, humanizuje a nie odczłowiecza, troszczy się o stworzenie, a go nie ograbia”[4].
Aby poradzić sobie z negatywnymi skutkami tego kryzysu, wiele rządów zaplanowało różne inicjatywy i przeznaczyło znaczne środki finansowe. Nierzadko jednak dominującą tendencją jest poszukiwanie konkretnych rozwiązań problemu, który - przeciwnie - ma wymiar globalny. Dziś mniej niż kiedykolwiek możemy myśleć o tym, aby uczynić to sami. Potrzebujemy inicjatyw wspólnych i dzielonych z innymi, także na szczeblu międzynarodowym, zwłaszcza w celu wspierania zatrudnienia i ochrony najuboższych grup ludności. W tej perspektywie uważam za znaczące zaangażowanie Unii Europejskiej i jej państw członkowskich, które pomimo trudności potrafiły pokazać, że można pracować z zaangażowaniem, aby osiągnąć zadowalające kompromisy z korzyścią dla wszystkich obywateli. Wyasygnowanie kwoty zaproponowane w planie Next Generation EU są znaczącym przykładem tego, że współpraca i dzielenie się zasobami w duchu solidarności są nie tylko celami pożądanymi, ale także rzeczywiście dostępnymi.
W wielu częściach świata kryzys dotknął szczególnie osoby pracujące w sektorach nieformalnych, które jako pierwsze doświadczyły utraty środków do życia. Żyjąc poza gospodarką formalną, nie mają nawet dostępu do sieci bezpieczeństwa socjalnego, w tym ubezpieczenia od bezrobocia i opieki zdrowotnej. W ten sposób, wiele osób, pobudzonych rozpaczą, poszukiwało innych form dochodu, narażając się na wyzysk poprzez pracę nielegalną lub przymusową, prostytucję i różne działania przestępcze, w tym handel ludźmi.
Tymczasem, każdy człowiek ma prawo – ma prawo! – i musi mieć możliwość uzyskania „środków potrzebnych do zapewnienia sobie odpowiedniego poziomu życia”[5]. Istotnie, konieczne jest zapewnienie wszystkim stabilności gospodarczej w celu uniknięcia plag wyzysku i przeciwdziałaniu lichwie i korupcji, które są utrapieniem wielu krajów w świecie, a także wielu innym niesprawiedliwościom, które dokonują się każdego dnia przy znużonym i nieuważnym spojrzeniu naszego współczesnego społeczeństwa.
Większa ilość czasu spędzanego w domu doprowadziła również do dłuższego przebywania, w sposób alienujący, przed komputerami i innymi środkami przekazu, co ma poważne następstwa dla osób najbardziej narażonych, zwłaszcza ubogich i bezrobotnych. Są one łatwiejszą ofiarą cyberprzestępczości w jej najbardziej odhumanizowanych aspektach, od oszustw po handel ludźmi, wyzysk prostytucji, w tym prostytucji dziecięcej, oraz pornografii dziecięcej.
Zamknięcie granic z powodu pandemii, wraz z kryzysem gospodarczym, zaostrzyło jeszcze bardziej także różne humanitarne sytuacje kryzysowe, zarówno w strefach konfliktów, jak i w regionach dotkniętych zmianami klimatycznymi i suszą, oraz w obozach dla uchodźców i migrantów. Myślę tu w szczególności o Sudanie, gdzie tysiące ludzi uciekło z regionu Tigraj, a także o innych krajach Afryki Subsaharyjskiej, czy o regionie Cabo Delgado w Mozambiku, gdzie wiele osób zostało zmuszonych do opuszczenia własnego terytorium i obecnie znajduje się w bardzo niepewnych warunkach. Moje myśli kieruję również do Jemenu i umiłowanej Syrii, gdzie oprócz innych poważnych sytuacji kryzysowych, znaczną część ludności dotyka brak bezpieczeństwa żywnościowego, a dzieci są wyczerpane niedożywieniem.
W wielu przypadkach kryzysy humanitarne są zaostrzane sankcjami gospodarczymi, które często kończą się na tym, że dotykają głównie słabszych grup ludności, a nie tych odpowiedzialnych politycznie. Dlatego też, rozumiejąc logikę sankcji, Stolica Apostolska nie dostrzega ich skuteczności i ma nadzieję na ich rozluźnienie, również w celu sprzyjania przepływowi pomocy humanitarnej, przede wszystkim leków i narzędzi medycznych, niezwykle potrzebnych w tym okresie pandemii.
Oby przeżywana przez nas sytuacja gospodarcza, była również bodźcem do umorzenia, a przynajmniej zmniejszenia zadłużenia, które obciąża kraje najuboższe, co w istocie uniemożliwia ich odbudowę i pełny rozwój.
W ubiegłym roku nastąpił również dalszy wzrost liczby migrantów, którzy z powodu zamknięcia granic musieli uciekać się do coraz bardziej niebezpiecznych szlaków. Masowy napływ migrantów spotkał się również ze wzrostem liczby nielegalnych wydaleń, często przeprowadzanych w celu uniemożliwienia migrantom ubiegania się o azyl, co stanowi naruszenie zasady non-refoulement. Wielu z nich zostaje przechwyconych i odesłanych do krajów pochodzenia, gdzie w obozach zatrzymywania i uwięzienia doznają tortur i pogwałcenia praw człowieka, o ile nie umierają, przemierzając morza i przekraczając inne granice naturalne.
Korytarze humanitarne, realizowane w ciągu ostatnich kilku lat, z pewnością pomagają w rozwiązaniu niektórych z tych problemów, ratując wiele istnień ludzkich. Jednak skala kryzysu sprawia, że coraz pilniejsze staje się zajęcie się pierwotnymi przyczynami migracji, a także wymaga wspólnego wysiłku na rzecz wsparcia krajów pierwszego przyjęcia, które biorą na siebie moralny obowiązek ratowania życia. W tej kwestii, z zainteresowaniem oczekiwane są negocjacje odnośnie do nowego paktu Unii Europejskiej w sprawie migracji i azylu, przy czym trzeba zauważyć, że konkretne polityki i mechanizmy nie zadziałają, jeżeli nie będą wsparte niezbędną wolą polityczną i zaangażowaniem wszystkich zainteresowanych stron, w tym społeczeństwa obywatelskiego i samych migrantów.
Stolica Apostolska docenia wszystkie wysiłki podejmowane na rzecz migrantów i wspiera wysiłki Międzynarodowej Organizacji ds. Migracji (IOM), której 70. rocznica utworzenia przypada w tym roku, przy pełnym poszanowaniu wartości wyrażonych w jej konstytucji i kultury państw członkowskich, w których Organizacja ta działa. Podobnie Stolica Apostolska, jako członek Komitetu Wykonawczego UNHCR, pozostaje wierna zasadom określonym w Konwencji Genewskiej z 1951 roku dotyczącej statusu uchodźców oraz w Protokole z 1967 roku, które ustanawiają definicję prawną uchodźcy, ich praw oraz prawny obowiązek państw, by ich ochraniać.
Od czasów drugiej wojny światowej świat nie był dotąd świadkiem tak dramatycznego wzrostu liczby uchodźców, jaki obserwujemy dzisiaj. Istnieje zatem pilna potrzeba wznowienia wysiłków na rzecz ich ochrony, a także osób przesiedlonych wewnętrznie i wszystkich osób wymagających szczególnej troski, zmuszonych do ucieczki przed prześladowaniami, przemocą, konfliktami i wojną. W tej kwestii, pomimo poważnych wysiłków podejmowanych przez Organizację Narodów Zjednoczonych w celu znalezienia rozwiązań i konkretnych propozycji dotyczących konsekwentnego podejścia do problemu przymusowych przesiedleń, Stolica Apostolska wyraża swoje zaniepokojenie sytuacją osób wysiedlonych w różnych częściach świata. Mam na myśli przede wszystkim obszar centralny Sahelu, gdzie w ciągu niespełna dwóch lat liczba przesiedleńców wewnętrznych wzrosła dwudziestokrotnie.
Kryzys polityki
Trudności, o których wspomniałem do tej pory, uwydatniają znacznie głębszy kryzys, który pod pewnymi względami leży u podstaw innych, a którego dramatyczny charakter uwydatniła sama pandemia. Jest to kryzys polityki, który od pewnego czasu dotyka wiele społeczeństw i którego uboczne skutki pojawiły się podczas pandemii.
Jednym ze znamiennych czynników tego kryzysu jest wzrost sprzeczności politycznych i trudność, jeśli nie wręcz niemożność, poszukiwania wspólnych i zgodnych rozwiązań problemów, które dotykają naszą planetę. Jest to tendencja, której jesteśmy świadkami od pewnego czasu i która staje się coraz bardziej powszechna nawet w krajach o długiej tradycji demokratycznej. Zachowanie żywych rzeczywistości demokratycznych jest wyzwaniem tego momentu dziejowego[6], które dotyczy wszystkich państw: czy są one duże czy małe, zaawansowane gospodarczo czy też rozwijające się. W tych dniach moja myśl kieruje się w sposób szczególny do narodu Myanmar, z serdecznymi uczuciami i wyrazami bliskości. Podążanie ku demokracji podjęte w ostatnich latach zostało w ubiegłym tygodniu brutalnie przerwane przez zamach stanu. Przyniósł on uwięzienie wielu liderów politycznych, którym życzę, aby zostali szybko uwolnieni, na znak zachęty do szczerego dialogu dla dobra Kraju.
Z drugiej strony, jak stwierdził Pius XII w swoim pamiętnym radiowym orędziu bożonarodzeniowym z 1944 roku: „wyrażać własną opinię na temat obowiązków i poświęceń, które są na niego nałożone; nie być zmuszanym do posłuszeństwa bez bycia wysłuchanym: są to dwa prawa obywatela, które znajdują swój wyraz w demokracji, jak wskazuje sama jej nazwa”[7]. Demokracja opiera się na wzajemnym szacunku, na możliwości współdziałania wszystkich do dobra społeczeństwa oraz na przekonaniu, że różne opinie nie tylko nie podważają władzy i bezpieczeństwa państw, ale w uczciwej konfrontacji wzajemnie ubogacają i umożliwiają znalezienie bardziej odpowiednich rozwiązań problemów, z którymi trzeba się zmierzyć. Proces demokratyczny wymaga podążania drogą dialogu integrującego, pokojowego, konstruktywnego i pełnego szacunku pomiędzy wszystkimi częściami składowymi społeczeństwa obywatelskiego, w każdym mieście i państwie. Wydarzenia, które - choć na różne sposoby i w różnych kontekstach - naznaczyły miniony rok od Wschodu do Zachodu, także - powtarzam - w krajach o długiej tradycji demokratycznej, mówią, jak nieuchronne jest to wyzwanie i że nie możemy być zwolnieni z moralnego i społecznego obowiązku stawienia mu czoła z nastawieniem pozytywnym. Rozwój świadomości demokratycznej wymaga przezwyciężenia faworyzowania oraz by zapanowało poszanowanie dla państwa prawa. Prawo jest istotnie niezbędnym warunkiem wstępnym sprawowania wszelkiej władzy i musi być zagwarantowane przez właściwe organy, niezależnie od dominujących interesów politycznych.
Niestety, kryzys polityki i wartości demokratycznych oddziałuje również na poziomie międzynarodowym, wpływając na cały system wielostronny z oczywistą konsekwencją, że organizacje stworzone w celu wspierania pokoju i rozwoju - w oparciu o prawo, a nie o „prawo najsilniejszego” - dostrzegają zagrożenie swojej skuteczności. Z pewnością nie można ignorować faktu, że w ciągu ostatnich lat system wielostronny również wykazał pewne ograniczenia. Pandemia jest okazją, której nie można zmarnować, by pomyśleć i wdrożyć reformy organiczne, tak aby organizacje międzynarodowe odkryły na nowo swoje podstawowe powołanie do służby rodzinie ludzkiej w celu zachowania życia każdej osoby i pokoju.
Jedną z oznak kryzysu polityki jest właśnie niechęć, która często pojawia się przy podejmowaniu reform. Nie należy obawiać się reform, nawet jeśli wymagają one poświęceń i nierzadko zmiany mentalności. Każde żywe ciało nieustannie musi się reformować, a w tę perspektywę wpisują się również reformy dotyczące Stolicy Apostolskiej i Kurii Rzymskiej.
W każdym razie nie brakuje sygnałów dodających otuchy, takich jak wejście w życie, kilka dni temu, Traktatu o zakazie broni jądrowej, jak również przedłużenie na następne pięć lat nowego Traktat o redukcji zbrojeń strategicznych (tzw. New START) pomiędzy Federacją Rosyjską i Stanami Zjednoczonymi Ameryki. Z drugiej strony, jak powtórzyłem również w niedawnej encyklice Fratelli tutti, „jeśli wziąć pod uwagę główne zagrożenia dla pokoju i bezpieczeństwa z ich wielorakimi wymiarami w tym wielobiegunowym świecie XXI wieku, [...] pojawia się niemało wątpliwości odnośnie do nieadekwatności odstraszania nuklearnego, by skutecznie odpowiedzieć na te wyzwania”[8]. Nie jest bowiem trwałą „równowaga oparta na strachu, gdy faktycznie pogłębia lęk i podważa relację zaufania między narodami”[9].
Wysiłki w dziedzinie rozbrojenia i nierozprzestrzeniania broni jądrowej, które pomimo trudności i zastrzeżeń muszą zostać zintensyfikowane, powinny być również prowadzone w odniesieniu do broni chemicznej i konwencjonalnej. Na świecie jest zbyt wiele broni! „Sprawiedliwość, rozum i poczucie ludzkiej godności domagają się usilnie zaprzestania współzawodnictwa w rozbudowie potencjału wojennego, równoczesnej redukcji uzbrojenia poszczególnych państw”[10] stwierdzał św. Jan XXIII w 1963 roku. I podczas gdy wraz z mnożeniem się broni zwiększa się przemoc na każdym poziomie i widzimy wokół siebie świat rozdarty wojnami i podziałami, odczuwamy coraz większą potrzebę pokoju – pokoju, który jest „nie tylko brakiem wojny, ale życiem pełnym sensu, zaplanowanym i przeżywanym w osobistym spełnieniu i braterskim dzieleniu się z innymi”[11].
Jakże chciałbym, aby rok 2021 był rokiem, w którym wreszcie położony zostałby kres konfliktowi w Syrii, który rozpoczął się dziesięć lat temu! Aby tak się stało, konieczne jest odnowienie zainteresowania, również ze strony wspólnoty międzynarodowej, szczerym i odważnym zajęciem się przyczynami konfliktu oraz poszukiwaniem rozwiązań, dzięki którym wszyscy, niezależnie od ich przynależności etnicznej czy religijnej, mogliby jako obywatele wnieść swój wkład w przyszłość kraju.
Życzę pokoju oczywiście także Ziemi Świętej. Wzajemne zaufanie między Izraelczykami a Palestyńczykami musi być podstawą odnowionego i zdecydowanego bezpośredniego dialogu między stronami w celu rozwiązania konfliktu, który trwa już nazbyt długo. Zachęcam wspólnotę międzynarodową do wspierania i ułatwiania tego bezpośredniego dialogu, nie usiłując dyktować rozwiązań, które nie miałyby na względzie dobra wszystkich. Jestem pewien, że zarówno Palestyńczycy jak i Izraelczycy żywią pragnienie, by móc żyć w pokoju.
Podobnie życzę odnowionego zaangażowania politycznego narodowego i międzynarodowego na rzecz krzewienia stabilności Libanu, który przeżywa kryzys wewnętrzny i grozi mu utrata tożsamości oraz jeszcze większy udział w napięciach regionalnych. Bardziej niż kiedykolwiek konieczne jest, by kraj zachował swoją wyjątkową tożsamość, także po to, by Bliski Wschód był pluralistyczny, tolerancyjny i zróżnicowany, w którym obecność chrześcijan mogła wnieść swój własny wkład i nie była sprowadzana do mniejszości, którą trzeba chronić. Chrześcijanie stanowią tkankę łączną historyczną i społeczną Libanu, i poprzez liczne działania edukacyjne, zdrowotne i charytatywne muszą mieć zapewnioną możliwość dalszej pracy dla dobra kraju, którego byli założycielami. Osłabienie wspólnoty chrześcijańskiej grozi zniszczeniem równowagi wewnętrznej i samej sytuacji w Libanie. W tej perspektywie trzeba też stawić czoło obecności uchodźców syryjskich i palestyńskich. Ponadto, bez pilnego procesu naprawy gospodarczej i odbudowy, krajowi temu grozi upadek, z możliwymi konsekwencjami groźnych następstw fundamentalistycznych. Konieczne jest zatem, aby wszyscy przywódcy polityczni i religijni, odkładając na bok własne interesy, zaangażowali się, by dążyć do sprawiedliwości i do przeprowadzenia rzeczywistych reform dla dobra swoich obywateli, działając w sposób przejrzysty i podejmując odpowiedzialność za swoje działania.
Życzę pokoju także Libii, która również jest rozdarta przez długi konflikt, w nadziei, że niedawne „Libijskie Forum Dialogu Politycznego”, które odbyło się w listopadzie ubiegłego roku w Tunezji pod egidą ONZ, pozwoli skutecznie rozpocząć długo oczekiwany proces pojednania w tym kraju.
Niepokój budzą również inne obszary świata. Mam na myśli przede wszystkim napięcia polityczne i społeczne w Republice Środkowoafrykańskiej; a także napięcia dotykające ogólnie Amerykę Łacińską, zakorzenione w głębokich nierównościach, niesprawiedliwości i ubóstwie, obrażających godność osób. Podobnie ze szczególną uwagą śledzę pogorszenie stosunków na Półwyspie Koreańskim, którego kulminacją jest zniszczenie międzykoreańskiego biura łącznikowego w Kaesong; a także sytuację na Kaukazie Południowym, gdzie nadal trwa kilka zamrożonych konfliktów, z których część została wznowiona w ciągu minionego roku, co podważa stabilność i bezpieczeństwo całego regionu.
Wreszcie, nie mogę nie pamiętać o kolejnej poważnej pladze naszych czasów: terroryzmie, który na całym świecie co roku pochłania wiele ofiar wśród bezbronnej ludności cywilnej. Jest to zło, które narasta od lat siedemdziesiątych, a którego kulminacją były ataki w Stanach Zjednoczonych, 11 września 2001 roku, w których zginęły prawie trzy tysiące osób. Niestety, liczba ataków wzrosła w ciągu ostatnich dwudziestu lat, dotykając różnych krajów na wszystkich kontynentach. Chodzi mi w szczególności o terroryzm, dokonujący zamachów głównie w Afryce Subsaharyjskiej, ale także w Azji i Europie. Moja myśl biegnie do wszystkich ofiar i ich rodzin, którym ślepa przemoc, motywowana ideologicznymi wypaczeniami religii zabrała osoby bliskie. Ponadto, celem takich ataków są często miejsca kultu, gdzie wierni gromadzą się na modlitwę. W tym kontekście chciałbym podkreślić, że ochrona miejsc kultu jest bezpośrednią konsekwencją obrony wolności myśli, sumienia i religii oraz obowiązkiem władz cywilnych, bez względu na koloryt polityczny czy przynależność religijną.
Ekscelencje, Panie i Panowie,
Kończąc moje rozważania, chciałbym jeszcze raz zatrzymać się nad ostatnim, być może najpoważniejszym z nich: kryzysem stosunków międzyludzkich, będącego wyrazem ogólnego kryzysu antropologicznego, który dotyczy samej koncepcji osoby ludzkiej i jej transcendentnej godności.
Pandemia, która zmusiła nas do długich miesięcy izolacji i często samotności, wydobyła na światło dzienne zapotrzebowanie każdego człowieka na ludzkie relacje. Mam na myśli przede wszystkim studentów i uczniów, którzy nie mogli regularnie uczęszczać do szkoły lub na uczelnię. „Wszędzie podjęto próbę uruchomienia szybkiej reakcji poprzez komputerowe platformy edukacyjne. Ukazały one nie tylko znaczne różnice w możliwościach edukacyjnych i technologicznych, ale uświadomiły nam również, że z powodu kwarantanny i wielu innych już istniejących braków, duża liczba dzieci i młodzieży pozostaje w tyle w naturalnym procesie rozwoju pedagogicznego”[12]. Ponadto wzrost liczby osób uczących się na odległość doprowadził również do większego uzależnienia dzieci i nastolatków od internetu i ogólnie od wirtualnych form komunikacji, czyniąc je bardziej podatnymi na zagrożenia i nadmiernie narażonymi na działalność przestępczą online.
Jesteśmy świadkami czegoś w rodzaju „katastrofy edukacyjnej”. Chcę to powtórzyć: jesteśmy świadkami czegoś w rodzaju „katastrofy edukacyjnej”, wobec której nie możemy pozostać bezczynni, dla dobra przyszłych pokoleń i całego społeczeństwa. „Dziś istnieje potrzeba ponownego zajęcia się edukacją, angażującego społeczeństwo na każdym poziomie”[13], ponieważ edukacja jest „naturalnym środkiem zaradczym na kulturę indywidualistyczną, która czasami przeradza się w prawdziwy kult ego i prymat obojętności. Nasza przyszłość nie może być oparta na podziale, zubożeniu myśli, wyobraźni, wrażliwości, dialogu i wzajemnego zrozumienia”[14].
Długie okresy kwarantanny pozwoliły również na spędzanie więcej czasu w gronie rodzinnym. Dla wielu był to ważny czas ponownego odkrycia najdroższych relacji. Z drugiej strony, małżeństwo i rodzina „stanowią jedno z najcenniejszych dóbr ludzkości”[15] i kolebkę każdego społeczeństwa obywatelskiego. Wielki Papież św. Jan Paweł II, którego stulecie urodzin celebrowaliśmy w minionym roku, w swoim cennym Magisterium o rodzinie przypominał: „Wobec światowego wymiaru, jaki charakteryzuje dzisiaj różne problemy społeczne, rodzina staje wobec zupełnie nowego rozszerzenia zakresu zadań, które ma wypełnić dla rozwoju społeczeństwa [...] dając wzór życia opartego na takich wartościach, jak prawda, wolność, sprawiedliwość i miłość”[16]. Nie każdy jednak potrafił spokojnie żyć we własnym domu, a w niektórych przypadkach wspólne pożycie przerodziło się w przemoc domową. Zachęcam wszystkich, władze publiczne i społeczeństwo obywatelskie, do wspierania ofiar przemocy w rodzinie: niestety, wiemy, że to kobiety, często wraz z dziećmi, muszą płacić najwyższą cenę.
Potrzeba powstrzymania rozprzestrzeniania się wirusa miała również konsekwencje dla różnych podstawowych wolności, w tym wolności wyznania, poprzez ograniczenie kultu religijnego oraz działalności edukacyjnej i charytatywnej wspólnot wiary. Nie należy jednak zapominać, że wymiar religijny stanowi podstawowy aspekt osobowości ludzkiej i społeczeństwa, którego nie można anulować; i że pomimo wysiłków podejmowanych w celu ochrony życia ludzkiego przed rozprzestrzenianiem się wirusa, nie można uznać wymiaru duchowego i moralnego osoby za drugorzędny względem zdrowia fizycznego.
Ponadto wolność wyznania nie jest skutkiem wolności zgromadzeń, ale wywodzi się zasadniczo z prawa do wolności religijnej, które jest pierwszym i podstawowym prawem człowieka. Konieczne jest zatem, aby była ona szanowana, chroniona i broniona przez władze cywilne, podobnie jak zdrowie i nietykalność fizyczna. Z drugiej strony, dobra troska o ciało nigdy nie może być oddzielana od troski o duszę.
Pisząc do Cangrande della Scala, Dante Alighieri podkreśla cel swojej komedii: „Oddalić tych, którzy żyją tym życiem od stanu nędzy i doprowadzić ich do stanu szczęścia”[17]. Takie, choć w różnych rolach i w różnych sferach, jest również zadanie zarówno władz religijnych, jak i cywilnych. Kryzys stosunków międzyludzkich, a w konsekwencji inne kryzysy, o których wspomniałem, nie może być przezwyciężony inaczej niż poprzez ochronę transcendentnej godności każdej osoby ludzkiej, stworzonej na obraz i podobieństwo Boga.
Przypominając wielkiego florenckiego poetę, którego siedemsetna rocznica śmierci przypada w tym roku, chciałbym również skierować szczególną myśl do narodu włoskiego, który jako pierwszy w Europie stanął w obliczu poważnych skutków pandemii, zachęcając go, by nie dał się zwyciężyć obecnym trudnościom, ale by zjednoczony współpracował w budowaniu społeczeństwa, w którym nikogo się nie odrzuca ani nie zapomina.
Drodzy ambasadorowie,
Rok 2021 to czas, którego nie można zmarnować. I nie będzie on zmarnowany zależnie od tego, na ile będziemy umieli współpracować z hojnością i zapałem. W tym kontekście uważam, że braterstwo jest prawdziwym lekarstwem na pandemię i na wiele nieszczęść, które nas dotknęły. Braterstwo i nadzieja są jak leki, których potrzebuje dzisiaj świat, na równi ze szczepionkami.
Modlę się o obfite dary Boże dla każdego z was i dla waszych krajów, w nadziei, że ten rok będzie sprzyjał pogłębieniu więzi braterstwa, łączących całą rodzinę ludzką.
Dziękuję!
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[1] Orędzie na 54. Światowy Dzień Pokoju, (8 grudnia 2020), 1.
[2] Orędzie na 54. Światowy Dzień Pokoju, (8 grudnia 2020), 6.
[3] Meditazione XVII, in: Devozioni per occasioni d’emergenza, Editori Riuniti, Roma 1994, 112-113.
[4] Lettera per l’evento “Economy of Francesco” (1 maja 2019).
[5] ŚW. JAN XXIII, Enc. Pacem in terris (11 kwietnia 1963), 11.
[6] Por. Przemówienie w Parlamencie Europejskim, Strasburg (25 listopada 2014).
[7] Radiomessaggio ai popoli del mondo intero, 24 grudnia 1944.
[8] Messaggio alla Conferenza dell’ONU per la negoziazione di uno strumento giuridicamente vincolante sulla proibizione delle armi nucleari (23 marca 2017): AAS 109 (2017), 394-396.: Enc. Fratelli tutti, 262.
[9] Tamże
[10] ŚW. JAN XXIII, Enc. Pacem in terris, (11 kwietnia 1963), 112.
[11] Anioł Pański, 1 stycznia 2021.
[12] Videomessaggio in occasione dell’Incontro “Global compact on education. Together to look beyond” (15 października 2020).
[13] Tamże.
[14] Tamże.
[15] ŚW. JAN PAWEŁ II, Posynod. adhort. apost. Familiaris consortio (22 listopada 1981), 1.
[16] Tamże, 48.
[17] Epistola XIII, 39.
[00165-PL.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua araba
خطاب قداسة البابا فرنسيس
إلى الدبلوماسيّين المُعتَمدين لدى الكرسي الرسولي
بمناسبة اللقاء السنوي لتبادل التهاني بالعام الجديد
8 شباط / فبراير 2021
في قاعة البركات
أصحاب السعادة، سيّداتي وسادتي،
أشكر عميد السلك الدبلوماسي، صاحب السعادة السيّد جورج بوليديس، سفير قبرص، على الكلمات والتمنيات الرقيقة التي أعْرَبَ عنها نيابةً عنكم جميعًا، وأعتذر أوّلًا وقبل كلّ شيء عن الإزعاج الذي قد سبّبه لكم ربّما إلغاء اللقاء الذي كان مقرّرًا عقدُه في 25 كانون الثاني / يناير. أنا أشكركم على تفهّمكم وصبركم وأيضًا على قبولكم دعوتي للحضور هذا الصباح، على الرغم من الصعوبات، من أجل لقائنا التقليدي.
نلتقي هذا الصباح في المكان الأكثر اتّساعًا من قاعة البركات، احترامًا لضرورة وجود مسافة أكبر بين الأشخاص كما تفرضه علينا الجائحة. ومع ذلك، فإن المسافة هي جسديّة وحسب. فلقاؤنا اليوم يرمز إلى عكس ذلك. إنه علامة على التقارب، على ذاك التقارب والدعم المتبادل الذي يجب أن تتطلّع إليه أسرة الأمم. فهو يشكّل، في زمن الجائحة هذا، واجبًا إلزاميًّا، وقد أصبح واضحًا للجميع أن الفيروس لا يعرف العوائق ولا يمكن عزله بسهولة. وبالتالي، فإن التغلّب عليه هو مسؤولية تقع على كلّ واحد منّا شخصيًّا، كما وعلى كلّ بلد من بلداننا.
لذلك، أنا ممتنّ لكم على الجهد الذي تبذلونه يوميًّا لتعزيز العلاقات بين بلدانكم أو المنظّمات الدوليّة التي تمثّلونها والكرسي الرسولي. هناك العديد من شهادات التقارب المتبادل التي استطعنا أن نتبادلها في الأشهر الأخيرة، كذلك بفضل استخدام التقنيّات الجديدة، والتي سمحت لنا بالتغلّب على القيود التي سبّبتها الجائحة.
وممّا لا شكّ فيه أننا نطمح جميعًا لاستئناف اللقاءات الحضورية في أقرب وقت ممكن، ولقاؤنا اليوم هو إشارة خير على هذا النحو. إني أرغب كذلك في استئناف الزيارات الرسولية قريبًا، بدءًا من زيارة العراق المقرّرة في شهر آذار/مارس المقبل. إن الزيارات، في الواقع، تشكّل جانبًا مهمًّا من رعاية خليفة بطرس لشعب الله المنتشر في جميع أنحاء العالم، كما ومن حوار الكرسي الرسولي مع الدول. علاوة على ذلك، غالبًا ما تكون هذه الزيارات فرصةً مناسبة من أجل توطيد العلاقة بين الأديان المختلفة بروح من المشاركة والحوار. فالحوارُ بين الأديان يُعدُّ في عصرنا هذا، عنصرًا مهمًّا في تلاق الشعوب والثقافات. وعندما يُفهم، ليس على أنه التخلّي عن الهويّة الشخصيّة بل مناسبة لمزيد من المعرفة والإثراء المتبادل، فإنّه يشكّل فرصةً للقادة الروحيّين وللمؤمنين من مختلف الطوائف ويستطيع أن يدعم عمل القادة السياسيّين في مسؤوليّتهم لبناء الخير العام.
لا تقلّ أهمّية كذلك الاتفاقيّات الدوليّة التي تساعد على توطيد أواصر الثقة المتبادلة وتسمح للكنيسة بالتعاون بشكل أكثر فعاليّة من أجل الخير الروحي والاجتماعي في بلدانكم. ومن هذا المنظور، أودّ أن أشير هنا إلى تبادل صكوك التصديق على الاتّفاقيّة الإطارية بين الكرسي الرسولي وجمهورية الكونغو الديمقراطية، والاتّفاق المتعلّق بالوضع القانوني للكنيسة الكاثوليكية في بوركينا فاسو، فضلًا عن توقيع الاتّفاقية الإضافيّة السابعة لمعاهدة تسوية العلاقات التراثية التي يعود تاريخها إلى 23 حزيران / يونيو 1960، بين الكرسي الرسولي والجمهورية النمساويّة. كذلك، وافق الكرسي الرسولي وجمهورية الصين الشعبية، في تاريخ 22 تشرين الأوّل / أكتوبر الماضي، على تمديد، لمدّة عامين آخرين، صلاحية الاتّفاق المؤقّت بشأن تعيين الأساقفة في الصين، الذي وُقِّع في بكين عام 2018. إنه تفاهم ذات طابع راعويّ جوهريًّا ويأمل الكرسي الرسولي استمرار المسار المُتَّخَذ، بروح الاحترام والثقة المتبادلة، فيساهم بشكل أكبر في حلّ المسائل ذات الاهتمام المشترك.
أيّها السفراء الأعزّاء،
لقد خلّفت السنة المنتهية للتوّ شحنةً من الخوف والانزعاج واليأس، إلى جانب الكثير من الحزن. وقد وضع الحزنُ الناسَ في دوّامة من التباعد والشكّ المتبادل ودَفَع الدول إلى إقامة الحواجز. فتحوّل العالم المترابط الذي اعتدنا عليه إلى عالمٍ يشهد مجدّدًا التشتّت والانقسام. ومع ذلك، فإن تداعيات الجائحة هي عالمية حقًا، لأنها تشمل في الواقع البشريّة جمعاء وبلدان العالم، ولأنها تؤثّر على العديد من جوانب حياتنا، وتساهم في تفاقم "الأزمات المترابطة فيما بينها، مثل أزمات المناخ والغذاء، والأزمات الاقتصاديّة والمتعلّقة بالهجرة"[1]. في ضوء هذا الاعتبار، ظننت أنه من المناسب إنشاء لجنة كوفيد-19 تابعة للفاتيكان، بهدف تنسيق استجابة الكرسي الرسولي والكنيسة للطلبات الواردة من الأبرشيّات حول العالم، من أجل مواجهة الطوارئ الصحّية والاحتياجات التي أحدثتها الجائحة.
فقد بدا واضحًا منذ البداية في الواقع، أنه سوف يكون للجائحة تأثيرًا كبيرًا على نمط الحياة الذي اعتدنا عليه، وأنها ستُفقِدنا قدرًا من الراحة واليقين المترسّخ. لقد أدخَلَتنا في أزمة، وأظهَرَت لنا وجه عالمٍ مريض ليس فقط بسبب الفيروس، ولكن أيضًا على مستوى البيئة، والعمليّات الاقتصادية والسياسية، وخاصّة العلاقات الإنسانية. وسَلَّطَت الضوء على مخاطر وعواقب أسلوبَ حياةٍ تسوده الأنانيّة وثقافة الاستبعاد، ووضَعَت أمامنا بديلًا: إمّا الاستمرار في الطريق الذي سلكناه حتى الآن أو الشروع في طريق جديد.
لذلك أودّ أن أركّز على بعض الأزمات التي سَبَّبَتها أو أبرَزَتها الجائحة، وأن أنظر في الوقت عينه في الفرص التي تنجم عنها من أجل بناء عالم أكثر إنسانيّة وعدلًا وتضامنًا وسلمًا.
الأزمة الصحّية
لقد وضَعَتنا الجائحةُ مجدّدًا وبقوّة أمام بُعدَين للحياة البشريّة لا مفرّ منهما: المرض والموت. ولهذا السبب بالتحديد، فإنها تذكّر بقيمة الحياة، بقيمة كلّ حياة بشريّة وكرامتها، في كلّ لحظةٍ من مسيرتها الأرضيّة، منذ لحظة الحمل بها في الرحم وحتى نهايتها الطبيعية. من المؤسف والمؤلم أنه يبدو أن عددًا متزايدًا من التشريعات في العالم يبتعد، تحت ذريعة ضمان الحقوق الذاتية المزعومة، عن الواجب الأساسي في حماية الحياة البشريّة في كلّ مرحلة من مراحلها.
تُذَكِّرنا الجائحةُ أيضًا بالحقّ في الرعاية، الذي يعود لكلّ إنسان، كما أبرَزتُه أيضًا في رسالتي بمناسبة اليوم العالميّ للسلام، الذي احتُفِلَ به في الأوّل من كانون الثاني / يناير الماضي. "كلّ شخص بشريّ هو غاية في حدّ ذاته، وليس أبدًا مجرّد أداة تُقَدَّر وفقًا لفائدتها، وقد خُلِقَ لكي يعيش مع الآخرين في الأسرة، وفي الجماعة، وفي المجتمع، حيث يتساوى جميع الأعضاء في الكرامة. ومن هذه الكرامة تشتقّ حقوق الإنسان، وكذلك الواجبات التي تُذكِّرُ، على سبيل المثال، بمسؤوليّة قبول ومساعدة الفقراء والمرضى والمُهمَّشين"[2]. إذا ألغَينا حقّ الأضعف في الحياة، فكيف يمكن أن نضمن جميع الحقوق الأخرى بشكل فعّال؟
ومن هذا المنظور، أجدّد ندائي من أجل أن يُعطى كلّ إنسان الرعاية والمساعدة التي يحتاجها. وتحقيقًا لهذه الغاية، من الضروريّ أن يعمل كلُّ من لديه مسؤوليّات سياسيّة وحكوميّة قبل كلّ شيء على تسهيل حصول الجميع على الرعاية الصحّية الأساسية، وأن يساعد كذلك على إنشاء المرافق الطبّية المحلّية والهيكليّات الصحّية المناسبة للاحتياجات الفعليّة للشعوب، وعلى توفّر العلاجات والأدوية. فلا يمكن في الواقع، أن يكون منطق الربح هو الذي يقود مثل هذا المجال الدقيق الذي هو مجال الرعاية الصحّية والعلاج.
من الضروري أيضًا أن تستفيد البشريّة جمعاء من التقدّم الطبّي والعلميّ الكبير الذي تمّ إحرازه على مرّ السنين، والذي سمح بتصنيع لقاحات، في وقت قصير جدًا، من المُتوقّع أن تكون فعّالة ضدّ فيروس الكورونا. لذلك فإني أحثّ جميع الدول على المساهمة بفعاليّة في المبادرات الدوليّة الهادفة إلى ضمان توزيع عادل للقاحات، ليس وفقًا لمعايير اقتصاديّة بحتة، ولكن مراعاةً لاحتياجات الجميع، لا سيّما الشعوب الأكثر احتياجًا.
على أيّ حال، إزاء عدوّ متستر ومتقلّب مثل كوفيد-19، يجب أن يكون الحصولُ على اللقاحات مصحوبًا بتصرّفات شخصيّة مسؤولة تهدف إلى منع انتشار المرض، من خلال الإجراءات الوقائيّة اللازمة التي تعوّدنا عليها في الأشهر الأخيرة. فمِن الكارثي أن نضع ثقتنا في حصولنا على اللقاح فقط، كما لو كان دواءً سحريًا يستثني من التزام كلّ فرد بصحّته وصحّة الآخرين بشكل مستمرّ. لقد أظهَرَت لنا الجائحة أنّ ما من أحدٍ يستطيع أن ينعزل مثل "جزيرة" –عبارة مأخوذة عن الشاعر الإنجليزي الشهير جون دون-، وأن "موت أيّ إنسان يقلّل منّي، لأنني جزء من الإنسانية"[3].
أزمة بيئية
ليس الإنسان وحده مريض، لكن أرضنا أيضًا. لقد بَيَّنت لنا الجائحةُ مجدّدًا مدى هشاشة الأرض وحاجتها إلى الرعاية.
من المؤكّد أن هناك اختلافات كبيرة بين الأزمة الصحّية الناجمة عن الجائحة والأزمة البيئية الناجمة عن الاستغلال العشوائي للموارد الطبيعيّة. فهذا الأخير له بعدٌ دائمٌ وأكثر تعقيدًا، ويتطلّب حلولًا مشتركة طويلة الأجل. إن التأثيرات في الواقع، -مثل تغيّر المناخ على سبيل المثال- سواء كانت مباشرة، كالظواهر الجوّية القاسية مثل الفيضانات والجفاف، أو غير مباشرة، كسوء التغذية أو أمراض الجهاز التنفسي، غالبًا ما تكون مشحونة بالعواقب التي تدوم فترة طويلة.
ويتطلّب حلّ هذه الأزمات تعاونًا دوليًّا لرعاية بيتنا المشترك. لذلك آمل أن يسمح مؤتمر الأمم المتّحدة للمناخ المقبل (COP26)، المقرّر عقده في تشرين الثاني / نوفمبر المقبل في غلاسكو، بالتوصّل إلى اتّفاق فعّال للتصدّي لعواقب تغيّر المناخ. هذا هو الوقت المناسب للعمل، لأننا نستطيع بالفعل أن نلمس لمس اليد آثار تقاعسٍ طال أمده.
إنّي أفكّر، على سبيل المثال، في تداعيات هذه الأزمات على العديد من الجزر الصغيرة في المحيط الهادئ التي هي في خطر الزوال التدريجي. إنها مأساة لا تؤدّي فقط إلى تدمير قرى بأكملها، بل تُجبِر أيضًا الجماعات المحلّية، وخاصّة العائلات، على التنقّل باستمرار، وفقدان هويّتهم وثقافتهم. أفكّر كذلك في الفيضانات في جنوب شرق آسيا، وخاصّة في فيتنام والفلبّين، والتي تسبّبت في وقوع ضحايا وتركت عائلات بأكملها دون مصدر رزق. ولا يمكننا الصمت حيال الاحترار التدريجي للأرض، الذي تسبّب في حرائق مدمّرة في أستراليا وكاليفورنيا.
هناك مصدر قلق شديد أيضًا في أفريقيا وهو تغيّر المناخ الذي تفاقم بسبب التدخّلات البشريّة المتهوّرة وبفعل الجائحة الحاليّة أيضًا. إني أشير أوّلًا وقبل كلّ شيء إلى انعدام الأمن الغذائي الذي أصاب بشكل خاص العام الماضي بوركينا فاسو ومالي والنيجر، حيث يعاني ملايين الأشخاص من الجوع؛ بالإضافة إلى الوضع في جنوب السودان الذي يواجه خطر حدوث مجاعة، وحيث تستمرّ حالةُ طوارئ إنسانيّة خطيرة: يعاني أكثر من مليون طفل من نقصٍ غذائيّ، في حين أنه يتمّ عرقلة الممرّات الإنسانيّة، ويوضَع حدّ لوجود وكالات للإغاثة في تلك الأراضي. من أجل مواجهة هذا الوضع، من الضروري العاجل أيضًا أن تتخطّى سلطات جنوب السودان سوءَ التفاهم وأن تواصل الحوار السياسيّ من أجل مصالحة وطنيّة كاملة.
أزمة إقتصادية واجتماعية
إن هدف احتواء فيروس الكورونا قد دفع العديد من الحكومات إلى اتّخاذ إجراءات تقييدية على حرّية التنقّل، أدّت منذ عدّة أشهر إلى إغلاق المؤسّسات التجارية والتباطؤ العام في الإنتاج، الأمر الذي خلّف تداعيات خطيرة على الشركات، خاصّة المتوسّطة منها، أي على العمل وبالتالي على حياة الأُسَر وعلى قطاعات كاملة من المجتمع، ولا سيّما الأضعف من بينها.
أمّا الأزمة الاقتصاديّة الناتجة عن ذلك فقد سلّطَتِ الضوءَ على مرض آخر أصاب عصرنا: مرض اقتصاد يقوم على استغلال واستبعاد كلًّا من الأشخاص والموارد الطبيعيّة. لقد أهمَلنا التضامنَ والقيم الأخرى التي تسمح للاقتصاد بأن يكون في خدمة التنمية البشريّة المتكاملة، بدلاً من المصالح الخاصّة، وفَقَدنا القيمة الاجتماعيّة للنشاط الاقتصادي، وغاب عن بالنا أن الخيرات والموارد إنما هي للجميع.
إن الأزمة الحاليّة هي الفرصة المناسبة لإعادة التفكير في العلاقة بين الشخص والاقتصاد. نحن بحاجة إلى نوع من "ثورة كوبرنيكيّة جديدة" تضع الاقتصادَ في خدمة الإنسان وليس العكس، "من خلال البدء في دراسة وممارسة اقتصاد مختلف، يجعلنا نعيش ولا نقتل، نشمل ولا نستبعد، ونضفي بعض الإنسانية ولا نجرّد منها، نعتني بالخليقة ولا ننهبها"[4].
إن العديد من الحكومات، وبهدف مواجهة التبعات السلبيّة لهذه الأزمة، قد خطّطت لمبادرات مختلفة ولتمويل كبير مخصّص. ومع ذلك، غالبًا ما تغلّبت فكرة البحث عن حلول خاصّة لمشكلة لها بالأحرى أبعاد عالميّة. وهذا ما لا يمكننا التفكير بصنعه اليوم بشكل فرديّ. هناك حاجة إلى مبادرات مشتركة ومتقاسَمة على المستوى الدولي، ولا سيما لدعم العمل وحماية الفئات الأشدّ فقرًا من الشعب. ومن هذا المنظور، إني أرى أهمّية الالتزام من جانب الاتّحاد الأوروبّي ودوله الأعضاء الذي تمكّن، على الرغم من الصعوبات، من إظهار أنه باستطاعتنا العمل بجهد من أجل التوصّل إلى تسويات مرضية لصالح جميع المواطنين. إن التمويل المخصّص الذي اقترحته خطّة الجيل القادم للاتّحاد الأوروبي هو مثال هام على أن التعاون وتقاسم الموارد بروح من التضامن لا يشكّلان فقط هدفًا منشودًا بل أنه من الممكن بلوغه.
أثّرت الأزمة بشكل رئيسي، في أجزاء كثيرة من العالم، على العامِلين في القطاعات غير الرسمية، الذين كانوا أوّل من فقدوا مصدر عيشهم. وبما أنهم يعيشون خارج هوامش الاقتصاد الرسمي، لا يمكنهم حتى الحصول على الدعم الاقتصادي الاجتماعي، بما في ذلك التأمين ضدّ البطالة والرعاية الصحّية. هكذا، وبدافع اليأس، سعى الكثيرون إلى الحصول على أشكال أخرى من الدخل، وعرّضوا أنفسهم للاستغلال من خلال العمل غير القانوني أو القسري، والبغاء والأنشطة الإجراميّة المختلفة، بما في ذلك الاتّجار بالبشر.
لكن في الحقيقة، يحقّ لكلّ إنسان –يحقّ له- ويجب إعطائه إمكانيّة الحصول على "الوسائل الضروريّة والكافية لتحقيق مستوى معيشي كريم"[5]. من الضروري في الواقع ضمان الاستقرار الاقتصادي للجميع من أجل تجنّب آفات الاستغلال ومحاربة المراباة والفساد التي يعاني منها العديد من دول العالم، والعديد من المظالم الأخرى التي تُمارَس يوميًّا أمام أعين مجتمعنا المعاصر المتعبة والمشتّتة.
كما وقد أدّى البقاء في المنزل لفترة طويلة إلى قضاء المزيد من الوقت أمام أجهزة الكمبيوتر ووسائل الإعلام الأخرى، وإلى تداعيات خطيرة على الأشخاص الأكثر ضعفًا، وخاصّة الفقراء والعاطلين عن العمل. وهم يشكّلون فريسة أسهل للجرائم الإلكترونية - جرائم الإنترنت - في أكثر جوانبها تجريدًا من الإنسانية: من الاحتيال إلى الاتّجار بالبشر، واستغلال الدعارة، بما في ذلك بغاء الأطفال، وكذلك المواد التي تتناول صورًا إباحيّة للأطفال.
كما أدّى إغلاق الحدود بسبب الجائحة، إضافة إلى الأزمة الاقتصادية، إلى تفاقم حالات الطوارئ الإنسانية المختلفة، سواء في مناطق النزاع أو في المناطق المتضرّرة من تغيّر المناخ والجفاف، وكذلك في مخيّمات اللاجئين والمهاجرين. أفكّر بشكل خاص في السودان، حيث لجأ الآلاف من الأشخاص الفارّين من منطقة تيغراي، وكذلك في بلدان أخرى من أفريقيا جنوب الصحراء الكبرى، أو في منطقة كابو ديلجادو في موزمبيق، حيث اضطرّ الكثيرون على مغادرة أراضيهم، وهم الآن في ظروف محفوفة بالمخاطر. أتوجّه بفكري أيضًا إلى اليمن وسوريا الحبيبة، حيث، بالإضافة إلى حالات الطوارئ الخطيرة الأخرى، يعاني جزءٌ كبير من السكّان من انعدام الأمن الغذائي، والأطفال مرهقون بسبب سوء التغذية.
وتتفاقم الأزمات الإنسانيّة في العديد من الحالات، بسبب العقوبات الاقتصاديّة التي غالبًا ما تنعكس بشكل رئيسيّ على الفئات الأضعف من السكّان، بدلًا من القادة السياسيّين. بالتالي، ومع أن الكرسي الرسولي يفهم منطق العقوبات، فإنه لا يرى فعاليّتها، ويأمل في تخفيفها وذلك أيضًا بهدف تسهيل إيصال المساعدات الإنسانية، وخاصّة الأدوية والأدوات الصحّية، وهي ضرورية للغاية في زمن الجائحة هذا.
وليكن الظرف الذي نمرّ به هو حافزًا أيضًا لإلغاء، أو على الأقلّ لتخفيض، الديون التي صارت عبئًا على أفقر البلدان والتي تمنع في الواقع تعافيها وتنميتها الكاملة.
كما شهد العام الماضي زيادة أخرى في عدد المهاجرين، الذين اضطروا، بسبب إغلاق الحدود، إلى اللجوء إلى طرق تزداد خطورة أكثر فأكثر. كما شهد تدفّق الهجرة زيادة في عدد حالات الرفض غير القانوني الذي غالبًا ما يهدف إلى منع المهاجرين من طلب اللجوء، في انتهاكٍ لمبدأ عدم الإعادة القسرية (non-refoulement). كما يتمّ اعتراض العديد منهم وإعادتهم إلى مخيّمات التجميع والاعتقال، حيث يتعرّضون للتعذيب ولانتهاكات حقوق الإنسان، هذا إنْ لم يَلقَوا حتفهم عند عبورهم البحار والحدود الطبيعيّة الأخرى.
إن الممرّات الإنسانيّة، التي أُقيمت خلال السنوات القليلة الماضية، تساهم بالتأكيد في معالجة بعض المشاكل المذكورة أعلاه، وتنقذ العديد من الأرواح. ولكن بحكم حجم الأزمة قد أصبح من الضروري والعاجل معالجة الأسباب التي تدفع إلى الهجرة من جذورها، فضلًا عن بذل جهد مشترك لدعم دول الاستقبال الأوّلي، التي تأخذ على عاتقها الواجب الخُلُقي بإنقاذ الأرواح. وفي هذا الصدد، ننتظر باهتمام التفاوض على الميثاق الجديد للاتّحاد الأوروبي بشأن الهجرة واللجوء، مع الملاحظة أن السياسات والآليات الملموسة لن تنجح إذا لم تدعمها الإرادة السياسية الضرورية واجتهاد جميع الأطراف المعنيّة، بما في ذلك المجتمع المدني والمهاجرون أنفسهم.
إن الكرسي الرسولي يقدّر جميع الجهود المبذولة لصالح المهاجرين ويدعم التزام المنظّمة الدوليّة للهجرة (IOM)، التي تصادف هذا العام الذكرى السبعون لتأسيسها، في التطبيق الكامل للقيم الواردة في دستورها ولثقافة الدول الأعضاء التي تعمل فيها المنظّمة. وبالمثل، فإن الكرسي الرسولي، بصفته عضوًا في المفوّضية السامية للأمم المتّحدة لشؤون اللاجئين (UNHCR)، يظلّ أمينًا للمبادئ المنصوص عليها في اتّفاقيّة جنيف لعام 1951 المتعلّقة بوضع اللاجئين، ولبروتوكول عام 1967، اللذان يحدّدان التعريف القانوني للاجئين وحقوقهم، فضلًا عن الالتزام القانوني للدول في حمايتهم.
لم يشهد العالم، منذ الحرب العالميّة الثانية، زيادةً مأساويّة في عدد اللاجئين مثل التي نشهدها اليوم. لذلك، فمن الضروريّ تجديد التعهّد بحمايتهم، وحماية النازحين أيضًا وجميع المُستَضعَفين الذين أُجبروا على الهروب من الاضطهاد والعنف والصراعات والحروب. وفي هذا الصدد، وعلى الرغم من الجهود المهمّة التي تبذلها الأمم المتّحدة في البحث عن حلول ومقترحات ملموسة لمعالجة مشكلة التهجير القسري بشكل متّسق، فإن الكرسي الرسولي يُعرِب عن قلقه إزاء أوضاع النازحين في مختلف أنحاء العالم. وأشير أوّلًا وقبل كلّ شيء إلى المنطقة الوسطى من الساحل الأفريقي، حيث زاد عددُ النازحين عشرين ضعفًا في أقلّ من عامين.
الأزمة السياسية
إن المسائل الحرجة التي ذكرتُها حتى الآن تسلِّط الضوءَ على أزمة أعمق بكثير، والتي هي في أصل المشكلات الأخرى بطريقة أو بأخرى، والتي ظهرت مأساتها بفعل الجائحة على وجه التحديد. إنها الأزمة السياسيّة التي طالت العديدَ من المجتمعات منذ زمن والتي ظهرت آثارها المضنية أثناء الجائحة.
وأحد العوامل الرمزيّة لهذه الأزمة هو نموّ المعارضة السياسيّة وصعوبة -هذا إن لم يكن استحالة-، البحث عن حلول مشتركة ومتقاسمة للمشاكل التي يعاني منها كوكبنا. ونرى هذا المَيل، منذ بعض الوقت، ينتشر أكثر فأكثر حتى في البلدان ذات التقاليد الديمقراطية القديمة. وأصبح الحفاظ على الحقائق الديمقراطية يمثّل تحديًا في هذا الزمن التاريخي[6]، وهذا يطال عن قرب جميعَ الدول: سواء كانت صغيرة أو كبيرة، متقدّمة اقتصاديًا أو نامية. وأفكّر بشكل خاصّ في هذه الأيام في شعب ميانمار وأعبّر له عن محبّتي وقربي. لقد تسبّب انقلابُ الأسبوع الماضي بوقفٍ مفاجئ للمسيرة التي بدأت في السنوات الأخيرة نحو الديمقراطية. وقد أدّى إلى سجن العديد من القادة السياسيّين، الذين آمل أن يُطلق سراحهم سريعًا، دليلًا على تشجيعِ حوارٍ صادق لصالح خير البلاد.
ومن ناحية أخرى، كما أكّد بيوس الثاني عشر في رسالته الصوتية التي لا تُنسى بمناسبة عيد الميلاد عام 1944: "أن يعبّر المواطنُ عن رأيه في الواجبات والتضحيات التي تُفرَض عليه؛ ألّا يُجبَرَ على الطاعة دون أن يتمّ الاصغاء له: هما حقّان يجدان تعبيرهما في الديمقراطية كما يشير عليه اسمها بالذات"[7]. تقوم الديمقراطية على الاحترام المتبادل، وعلى إمكانيّة مساهمة الجميع في خير المجتمع، وعلى اعتبار أن الآراء المختلفة لا تقوّض سلطة الدول وأمنها، بل إنها تثري بعضها البعض، في نقاش صريح، وتسمح بإيجاد حلول مناسبة للمشاكل التي يجب مواجهتها. وتتطلّب العمليّة الديمقراطية اتّباع مسيرة حوار إدماجي وسلميّ وبنّاء ومُحترِم بين جميع مكوّنات المجتمع المدني في كلّ مدينة وأمّة. إن الأحداث التي اتّصف بها العام الماضي من الشرق إلى الغرب، وإن كانت بطرق وسياقات مختلفة، وحتى -أكرّر- في بلدان ذات تقاليد ديمقراطيّة قديمة، تُظهِر أنه لا مفرّ من هذا التحدّي وأننا لا نستطيع الاعتذار عن الواجب الخُلُقي والاجتماعيّ بمواجهتها عبر موقف إيجابي. إن تنمية الضمير الديمقراطي تتطلّب تخطّي النزعة الشخصانيّة واحترام سيادة القانون. فالقانون في الواقع، هو الشرط الأساسي الذي لا غنى عنه من أجل ممارسة أيّ سلطة ويجب أن تضمنه الهيئات المسؤولة بغضّ النظر عن المصالح السياسيّة المهيمنة.
لكن الأزمة السياسية والقيم الديمقراطية لها للأسف عواقب على المستوى الدولي أيضًا، مع تداعيات على كامل المنظومة المتعدّدة الأطراف وما ينتج عنها بالطبع من خرقٍ لفعالية المنظّمات التي تهدف إلى تعزيز السلام والتنمية -على أساس القانون وليس قانون "البقاء للأقوى"-. ولا يمكن الإغفال طبعًا عن أن المنظومة المتعدّدة الأطراف قد أظهرت أيضًا بعض القيود على مدى السنوات القليلة الماضية. أمّا الجائحة فتشكّل فرصةً لا يجب تضييعها من أجل التفكير في إصلاحات عضوية وتنفيذها، لكي تعود المنظّمات الدولية فتكتشف مجدّدًا رسالتها الأساسية في خدمة الأسرة البشرية من أجل الحفاظ على حياة كلّ شخص وعلى السلام.
إن إحدى علامات الأزمة السياسيّة بالتحديد هي التردّد الذي غالبًا ما يحدث عند الشروع في مسارات الإصلاح. يجب ألّا نخاف من الإصلاحات، حتى لو كانت تتطلّب تضحيات وغالبًا أيضًا تغييرًا للعقلية. فإن كلّ جسم حيّ يحتاج إلى إصلاح ذاتيّ باستمرار، وفي هذا المنظور تندرج أيضًا الإصلاحات القائمة في الكرسي الرسولي والكوريا الرومانية.
على أيّ حال، هناك بوادر مشجّعة، مثل دخول معاهدة حظر الأسلحة النووية حيز التنفيذ قبل أيام قليلة، فضلًا عن التمديد، لمدّة خمس سنوات أخرى، لمعاهدة خفض الأسلحة الهجوميّة الاستراتيجية (التي تُسمّى ب معاهدة ستارت الجديدة New START) بين الاتّحاد الروسي والولايات المتّحدة الأمريكية. من ناحية أخرى، كما كرّرت أيضًا في الرسالة العامّة الأخيرة Fratelli tutti، "إذا أخذنا في الاعتبار التهديدات الجوهرية للسلام وللأمن في أبعاده المتعدّدة في هذا العالم المتعدّد الأقطاب في القرن الحادي والعشرين، [...] فسوف تظهر شكوك عديدة حول ملاءمة الردع النووي لمواجهة هذه التحدّيات بفعالية"[8]. في الواقع، لا يمكن أن يكون "مستدامًا التوازنُ القائم على الخوف، عندما يميل هذا التوازن في الواقع إلى زيادة الخوف وتقويض علاقات الثقة بين الشعوب"[9].
إن الجهود المبذولة في مجال نزع السلاح وعدم انتشار الأسلحة النووية، التي يجب تكثيفها على الرغم من الصعوبات والتحفّظات، ينبغي أن تُبذَل أيضًا في مجال الأسلحة الكيميائية والأسلحة التقليدية. هناك الكثير من الأسلحة في العالم! قال القدّيس يوحنّا الثالث والعشرون عام 1963: "إن العدالة والحكمة والروح الإنسانية تطالب بالتالي بإيقاف سباق التسلح هذا، وبتخفيض الأسلحة الجاهزة اليوم تخفيضًا متوازيًا ومتزامنًا في مختلف البلدان"[10]. وبينما يزداد العنف مع حشد الأسلحة على كلّ المستويات ونرى من حولنا عالمًا تمزّقه الحروب والانقسامات، نشعر أكثر فأكثر بالحاجة إلى السلام، إلى سلام لا يكون "مجرّد غياب للحرب بل حياة غنيّة بالمعنى، تُبنى وتُعاش في تحقيق الذات وفي مشاركة أخويّة مع الآخرين"[11].
كم أتمنّى أن يكون عام 2021 هو العام الذي تُكتَب فيه نهاية الصراع السوري الذي بدأ قبل عشر سنوات! ولكي يحدث هذا، هناك حاجة أيضًا إلى اهتمام متجدّد من جانب المجتمع الدولي لمواجهة أسباب الصراع بجدّية وشجاعة، وللبحث عن حلول يمكن من خلالها للجميع، بغضّ النظر عن الانتماء العرقي والديني، أن يساهموا في مستقبل البلاد بصفتهم مواطنين.
أوجّه أمنيتي في السلام إلى الأرض المقدّسة بالتأكيد. يجب أن تكون الثقةُ المتبادلة بين الإسرائيليّين والفلسطينيّين الأساسَ من أجل تجديد حوار مباشر حاسم بين الطرفين، لحلّ صراع مستمرّ طال أمده. وأدعو المجتمع الدولي إلى دعم وتسهيل هذا الحوار المباشر، دون افتراض إملاء حلول لا تحمل في أفقها خيرَ الجميع. أنا متأكّد من أن الفلسطينيّين والإسرائيليّين على حدّ سواء لديهم الرغبة في العيش بسلام.
وأتمنّى كذلك تجديد الالتزام السياسي الوطني والدولي من أجل تعزيز استقرار لبنان، الذي يمرّ بأزمة داخلية والمُعرَّض لفقدان هويّته ولمزيد من التورّط في التوتّرات الإقليمية. من الضروري للغاية أن يحافظ البلد على هويّته الفريدة، وذلك أيضًا من أجل ضمان شرق أوسط متعدّد ومتسامح ومتنوّع، حيث يستطيع الوجود المسيحي أن يقدّم مساهمته وألّا يقتصر على أقلّية يجب حمايتها. إن المسيحيّين يشكّلون النسيج الرابط التاريخي والاجتماعي للبنان، ومن خلال الأعمال التربويّة والصحّية والخيريّة العديدة، يجب أن تُضمَنَ لهم إمكانيّة الاستمرار في العمل من أجل خير البلد الذي كانوا من مؤسّسيه. فقد يتسبّب إضعافُ الوجود المسيحي بفقدان التوازن الداخليّ والواقع اللبناني نفسه. ومن هذا المنظور، يجب أيضًا معالجة وجود اللاجئين السوريّين والفلسطينيّين. فالبلد إضافة لذلك، دون عمليّة عاجلة لإنعاش الاقتصاد وإعادة الإعمار، مُعرّض لخطر الإفلاس، مع ما قد ينتج عنه من انحرافات أصوليّة خطيرة. لذلك فمن الضروريّ أن يتعهّد جميع القادة السياسيّين والدينيّين، واضعين جانبًا مصالحهم الخاصّة، بالسعي لتحقيق العدالة وتنفيذ إصلاحات حقيقية لصالح المواطنين، فيتصرّفوا بشفافية ويتحمّلوا مسؤولية أفعالهم.
أتمنّى أيضًا أن يحلّ السلام في ليبيا، التي أضناها أيضًا صراع طويل، على أمل أن يسمح "منتدى الحوار السياسي الليبي" الأخير، الذي عُقد في تونس في تشرين الثاني / نوفمبر الماضي تحت رعاية الأمم المتّحدة، بأن تُطلَق فعليًّا عملية المصالحة المنتظرة في البلاد.
هناك مناطق أخرى من العالم تشكّل أيضًا مصدرًا للقلق. أشير أوّلًا وقبل كلّ شيء إلى التوتّرات السياسيّة والاجتماعيّة في جمهوريّة أفريقيا الوسطى. وكذلك تلك التي تتعلّق بأمريكا اللاتينية بشكل عام، والتي يعود أصلها إلى التفاوتات الكبيرة والظلم والفقر، التي تجرح كرامة الأشخاص. إني أتابع باهتمام خاصّ أيضًا تدهور العلاقات في شبه الجزيرة الكورية، الذي بلغ ذروته في تدمير مكتب الاتّصال بين الكوريتين في كايسونغ؛ وكذلك الوضع في جنوب القوقاز، حيث لا تزال هناك عدّة صراعات مجمّدة، تأجّج بعضها خلال العام الماضي، ممّا يُضعف الاستقرار والأمن في المنطقة بأكملها.
أخيرًا، لا يمكنني أن أنسى آفة خطيرة أخرى في عصرنا هذا: الإرهاب، الذي يحصد كلّ عام ضحايا عديدة من السكّان المدنيّين العزّل في جميع أنحاء العالم. لم يَكفّ هذا الشرّ عن التزايد منذ سبعينيات القرن الماضي، وبلغ ذروته في الهجمات التي طالت الولايات المتّحدة الأمريكية يوم 11 أيلول / سبتمبر عام 2001 وقتلت قرابة ثلاثة آلاف شخص. وقد ارتفع للأسف عدد الهجمات في السنوات العشرين الماضية، وطال دولًا مختلفة في جميع القارّات. أشير بشكل خاص إلى الإرهاب الذي يضرب قبل كلّ شيء أفريقيا جنوب الصحراء، ولكن أيضًا آسيا وأوروبا. وأتوجّه بفكري إلى جميع الضحايا وإلى عائلاتهم، الذين رأوا العنف الأعمى يسرق أحبّاءهم منهم، وذلك بسبب تحريف أيديولوجيّ للدين. وبالإضافة، فإن هذه الهجمات غالبًا ما تستهدف أماكن العبادة بالتحديد، حيث يجتمع المؤمنون للصلاة. وفي هذا الصدد أودّ التأكيد على أن حماية دور العبادة هي نتيجة مباشرة للدفاع عن حرّية الفكر والوجدان والدين، وهي واجب على السلطات المدنيّة بغضّ النظر عن اللون السياسي والانتماء الديني.
أصحاب السعادة، سيّداتي وسادتي،
أقترب الآن من ختام هذه الاعتبارات، وأودّ أن أتطرّق مرّة أخرى إلى أزمة أخيرة واحدة، والتي هي ربما أخطر الأزمات: أزمة العلاقات البشريّة، التي هي تعبير عن أزمة أنثروبولوجية عامّة، والتي تتعلّق بمفهوم الشخص ذاته وكرامته السامية.
لقد أظهَرَت الجائحة، التي أجبرتنا على قضاء أشهر طويلة من العزلة والوحدة غالبًا، حاجةَ كلّ شخص إلى العلاقات الإنسانية. أفكّر أوّلًا في جميع الطلّاب الذين لم يتمكّنوا من الذهاب إلى المدرسة أو الجامعة بانتظام. "جرت محاولة في كلّ مكان لإعطاء الإجابة السريعة، من خلال المنصات التربوية المعلوماتية. وقد أظهرت هذه المنصات، ليس فقط تفاوتًا ملحوظًا في الفرص التربويّة والتكنولوجيّة، ولكن أيضًا، بسبب الحجر المنزلي والعديد من أوجه القصور الأخرى الموجودة، أنّ العديد من الأطفال والمراهقين تأخّروا في العمليّة الطبيعيّة للتطوّر التربوي"[12]. بالإضافة إلى ذلك، إن التوسّع في استخدام التعلّم عن بُعد قد أدّى أيضًا إلى زيادة "إدمان" الأطفال والمراهقين على الإنترنت، وبشكل عام على أشكال الاتّصال الافتراضي، مما يعرّضهم أكثر للخطر ولأن يقعوا ضحيّة الأنشطة الإجرامية عبر الإنترنت.
إننا نشهد نوعًا من "كارثة تربوية". أودّ أن أكرّر: إننا نشهد نوعًا من "كارثة تربوية"، لا يمكن أن نبقى خاملين أمامها، من أجل خير الأجيال القادمة والمجتمع بأسره. "هناك حاجة اليوم إلى مرحلة جديدة من الالتزام التربوي تُشارك فيه جميع مكونات المجتمع"[13]، لأن التعليم هو "المضاد الطبيعي للثقافة الفرديّة، التي تتدنَّى أحيانًا فتصير العبادة الحقيقية للأنا وتعطي الأولويّة للامبالاة. لا يمكن أن يكون مستقبلنا انقسامًا وإفقارًا لقدرة الفكر والخيال والإصغاء والحوار والتفاهم المتبادل"[14].
ومع ذلك، فإن فترات الحجر الصحّي الطويلة سمحت أيضًا بقضاء المزيد من الوقت مع العائلة. كان هذا الوقت بالنسبة للكثيرين، وقتًا مهمًا لإعادة اكتشاف العلاقات مع الأشخاص الأعزّاء. من ناحية أخرى، إن "الزواج والعائلة يشكّلان إحدى أغلى القيم الإنسانية"[15] ومهد كلّ مجتمع مدني. وقد ذكّر به البابا العظيم القدّيس يوحنا بولس الثاني، الذي احتفلنا العام الماضي بالذكرى المئويّة لميلاده، في تعليمه القيّم عن الأسرة: "- نظراً لما تأخذه في أيامنا، مختلف القضايا الاجتماعية، من أبعاد عالمية، ترى العائلة وظيفتها المتعلقة بتطوير المجتمع تتسع اتساعاً جديداً [...] بما تقدّم من خدمة تربوية، أي بإعطاء الأولاد مَثَل حياة تعتمد الحقيقة والحريّة والعدالة والمحبّة قاعدة لها"[16]. ومع ذلك، لم يكن باستطاعة الجميع أن يعيش بسلام في منزله وقد تحوّلت بعض حالات التعايش إلى عنف منزلي. أحثّ الجميع، السلطات العامّة والمجتمع المدني، على دعم ضحايا العنف الأسريّ: فنحن نعلم للأسف أن النساء، وغالبًا مع أطفالهن، هم مَن يدفعون الثمن الأعلى.
إن الحاجة إلى احتواء انتشار الفيروس قد خلّفت تداعيات على مختلف الحرّيات الأساسية، بما في ذلك حرّية الدين، وحَدَّت أيضًا من تأدية الشعائر الدينية والأنشطة التربويّة والخيريّة للجماعات الدينية. ومع ذلك، لا ينبغي الإغفال عن أن البُعد الديني يشكّل جانبًا أساسيًّا من الإنسان ومن المجتمع، لا يمكن إخفاؤه. وأنه على الرغم من محاولة حماية الأرواح البشرية من انتشار الفيروس، لا يمكن اعتبار البعدَ الروحيّ والأخلاقيّ للشخص ثانويًا بالنسبة للصحّة الجسدية.
وبالإضافة، إن حرّية العبادة ليست نتيجة طبيعية لحرّية التجمّع، ولكنها تنبع أساسًا من الحقّ في الحرّية الدينية، وهي حقّ الإنسان الأوّل والأساسيّ. لذلك من الضروريّ أن تحترمها السلطاتُ المدنيّة وتحميها وتدافع عنها، مثل الصحّة والسلامة الجسدية. من ناحية أخرى، لا يمكن فصل العناية الجيّدة بالجسم عن العناية بالروح.
في رسالة إلى كانغراندي ديلا سكالا، أشار دانتي أليغييري إلى هدفه من ملحمته الشعرية الكوميديا الإلهية: "أن أُخرِج الذين يعيشون هذه الحياة من حالة البؤس وأقودهم إلى حالة السعادة"[17]. فهذا هو أيضًا دور كلّ من السلطات الدينية والمدنية، وإن كان بأدوار مختلفة وفي مجالات مختلفة. إن أزمة العلاقات الإنسانية، وبالتالي الأزمات الأخرى التي ذكرتها، لا يمكن تجاوزها إلّا بالحفاظ على الكرامة الساميّة لكلّ إنسان مخلوق على صورة الله ومثاله.
إذ أذكر الشاعر الفلورنسي العظيم، الذي تصادف الذكرى المئوية السابعة لوفاته هذا العام، أودّ أيضًا أن أذكر بشكل خاصّ الشعب الإيطالي، الذي كان أوّل من واجه العواقب الوخيمة للجائحة في أوروبا، وأحثّه على عدم السماح للصعوبات الحاليّة بأن تحبطه، بل على العمل معًا لبناء مجتمع لا يُستَبعد فيه أحد أو يُنسى.
أيّها السفراء الأعزّاء،
عام 2021 هو وقت لا ينبغي تفويته. ولن نضيّعه إذا عرفنا كيف نتعاون بسخاء واجتهاد. بهذا المعنى، أعتقد أن الأخوّة هي العلاج الحقيقيّ للجائحة وللكثير من الشرور التي أصابتنا. الأخوّة والرجاء هما بمثابة أدوية يحتاج إليها العالم اليوم، مثل حاجته للقاحات.
ألتمس لكلّ فرد منكم ولبلدانكم فائضًا من النعم السماويّة، مع تمنياتي بأن تكون هذه السنة مناسبة لتعميق أواصر الأخوّة التي تربط الأسرة البشريّة بأكملها.
شكرًا!
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[1] رسالة قداسة البابا فرنسيس بمناسبة الاحتفال باليوم العالمي الرابع والخمسين للسلام (8 كانون الثاني / يناير 2021)، 1.
[2] نفس المرجع، 6.
[3] جز دوني، تأملات XVII، في: صلوات في الظروف الطارئة، Editori Riuniti، روما 1994، 112- 113.
[4] رسالة البابا بمناسبة حدث "اقتصاد فرانشيسكو" (1 أيار/مايو 2019).
[5] القدّيس يوحنا الثالث والعشرون، الرسالة العامة سلام في الأرض Pacem in terris (11 نيسان/أبريل 1963)، 6.
[6] را. خطاب البابا في البرلمان الأوروبي (25 تشرين الثاني/نوفمبر 2014).
[7] رسالة صوتية عبر الإذاعة إلى شعوب العالم كافة، 24 كانون الأول/ديسمبر 1944.
[8] رسالة إلى مؤتمر الأمم المتّحدة من أجل التفاوض على صكّ مُلزِم قانونًا حول حظر الأسلحة النووية (23 آذار/مارس 2017): أعمال الكرسي الرسولي 109 (2017)، 394- 396: الرسالة العامة Fratelli tutti، عدد 262.
[9] نفس المرجع.
10 القدّيس يوحنا الثالث والعشرون، الرسالة العامة سلام في الأرض Pacem in terris (11 نيسان/أبريل 1963)، 60.
[11] صلاة التبشير الملائكي، في الأول من كانون الثاني/يناير 2021.
[12] رسالة قداسة البابا فرنسيس المسجلة بمناسبة الميثاق التربوي العالمي، 15 أكتوبر / تشرين الأوّل 2020.
[13] نفس المرجع.
[14] نفس المرجع.
[15] القديس يوحنا بولس الثاني، الإرشاد الرسولي وظائف العائلة المسيحيّة Familiaris consortio (22 تشرين الثاني/نوفمبر 1981)، عدد 1.
[16] نفس المرجع، 48.
[17] الرسالة XIII، 39.
[00165-PL.02] [Testo originale: Italiano]
[B0079-XX.02]