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Santa Messa con i nuovi Cardinali, 29.11.2020


Omelia del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

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Traduzione in lingua spagnola

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Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Alle ore 10.00 di questa mattina, I Domenica di Avvento, il Santo Padre Francesco ha presieduto, all’Altare della Cattedra della Basilica Vaticana, la Celebrazione Eucaristica con i Cardinali creati nel Concistoro Ordinario Pubblico svoltosi ieri pomeriggio.

Alla celebrazione, oltre ai Cardinali di nuova e antica creazione, hanno partecipato 12 parroci e rettori dei Titoli Cardinalizi e circa 100 fedeli, accompagnatori dei nuovi Cardinali.

Pubblichiamo di seguito il testo dell’omelia che il Papa ha pronunciato dopo la proclamazione del Santo Vangelo:

Omelia del Santo Padre

Le Letture di oggi suggeriscono due parole-chiave per il tempo di Avvento: vicinanza e vigilanza. Vicinanza di Dio e vigilanza nostra: mentre il profeta Isaia dice che Dio è vicino a noi, Gesù nel Vangelo ci esorta a vigilare in attesa di Lui.

Vicinanza. Isaia inizia dando del tu a Dio: «Tu, Signore, sei nostro padre» (63,16). E continua: «Mai si udì […] che un Dio, fuori di te, abbia fatto tanto per chi confida in lui» (64,3). Vengono alla mente le parole del Deuteronomio: chi, «come il Signore, nostro Dio, è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo?» (4,7). L’Avvento è il tempo in cui fare memoria della vicinanza di Dio, che è sceso verso di noi. Ma il profeta va oltre e chiede a Dio di avvicinarsi ancora: «Se tu squarciassi i cieli e scendessi!» (Is 63,19). L’abbiamo chiesto anche noi nel Salmo: “Ritorna, visitaci, vieni a salvarci” (cfr Sal 79,15.3). «O Dio, vieni a salvarmi» è spesso l’inizio della nostra preghiera: il primo passo della fede è dire al Signore che abbiamo bisogno di Lui, della sua vicinanza.

È anche il primo messaggio dell’Avvento e dell’Anno liturgico, riconoscere Dio vicino e dirgli: “Avvicinati ancora!”. Egli vuole venire vicino a noi, ma si propone, non si impone; sta a noi non stancarci di dirgli: “Vieni!”. Sta a noi, è la preghiera dell’Avvento: “Vieni!”. Gesù – ci ricorda l’Avvento – è venuto tra noi e verrà di nuovo alla fine dei tempi. Ma, ci chiediamo, a che cosa servono queste venute se non viene oggi nella nostra vita? Invitiamolo. Facciamo nostra l’invocazione tipica dell’Avvento: «Vieni, Signore Gesù» (Ap 22,20). Con questa invocazione finisce l’Apocalisse: «Vieni, Signore Gesù». Possiamo dirla all’inizio di ogni giornata e ripeterla spesso, prima degli incontri, dello studio, del lavoro e delle decisioni da prendere, nei momenti più importanti e in quelli di prova: Vieni, Signore Gesù. Una piccola preghiera, ma nasce dal cuore. Diciamola in questo tempo di Avvento, ripetiamola: «Vieni, Signore Gesù».

Così, invocando la sua vicinanza, alleneremo la nostra vigilanza. Il Vangelo di Marco oggi ci ha proposto la parte finale dell’ultimo discorso di Gesù, che si condensa in una sola parola: «Vegliate!». Il Signore la ripete quattro volte in cinque versetti (cfr Mc 13,33-35.37). È importante rimanere vigili, perché uno sbaglio della vita è perdersi in mille cose e non accorgersi di Dio. Sant’Agostino diceva: «Timeo Iesum transeuntem» (Sermones, 88,14,13), “ho paura che Gesù passi e io non me ne accorga”. Attratti dai nostri interessi – tutti i giorni noi questo lo sentiamo – e distratti da tante vanità, rischiamo di smarrire l’essenziale. Perciò oggi il Signore ripete «a tutti: vegliate!» (Mc 13,37). Vegliate, state attenti.

Ma, se dobbiamo vegliare, vuol dire che siamo nella notte. Sì, ora non viviamo nel giorno, ma nell’attesa del giorno, tra oscurità e fatiche. Il giorno arriverà quando saremo con il Signore. Arriverà, non perdiamoci d’animo: la notte passerà, sorgerà il Signore, ci giudicherà Lui che è morto in croce per noi. Vigilare è attendere questo, è non lasciarsi sopraffare dallo scoraggiamento, e questo si chiama vivere nella speranza. Come prima di nascere siamo stati attesi da chi ci amava, ora siamo attesi dall’Amore in persona. E se siamo attesi in Cielo, perché vivere di pretese terrene? Perché affannarci per un po’ di soldi, di fama, di successo, tutte cose che passano? Perché perdere tempo a lamentarci della notte, mentre ci aspetta la luce del giorno? Perché cercare dei “padrini” per avere una promozione e andare su, promuoverci nella carriera? Tutto passa. Vegliate, dice il Signore.

Stare svegli non è facile, anzi è una cosa molto difficile: di notte viene naturale dormire. Non ci riuscirono i discepoli di Gesù, ai quali Lui aveva detto di vegliare “alla sera, a mezzanotte, al canto del gallo, al mattino” (cfr v. 35). Proprio a quelle ore non furono vigilanti: di sera, durante l’ultima cena, tradirono Gesù; di notte si assopirono; al canto del gallo lo rinnegarono; al mattino lo lasciarono condannare a morte. Non avevano vegliato. Si erano assopiti. Ma anche su di noi può scendere lo stesso torpore. C’è un sonno pericoloso: il sonno della mediocrità. Viene quando dimentichiamo il primo amore e andiamo avanti per inerzia, badando solo al quieto vivere. Ma senza slanci d’amore per Dio, senza attendere la sua novità, si diventa mediocri, tiepidi, mondani. E questo corrode la fede, perché la fede è il contrario della mediocrità: è desiderio ardente di Dio, è audacia continua di convertirsi, è coraggio di amare, è andare sempre avanti. La fede non è acqua che spegne, è fuoco che brucia; non è un calmante per chi è stressato, è una storia d’amore per chi è innamorato! Per questo Gesù detesta più di ogni cosa la tiepidezza (cfr Ap 3,16). Si vede il disprezzo di Dio per i tiepidi.

E dunque, come possiamo svegliarci dal sonno della mediocrità? Con la vigilanza della preghiera. Pregare è accendere una luce nella notte. La preghiera ridesta dalla tiepidezza di una vita orizzontale, innalza lo sguardo verso l’alto, ci sintonizza con il Signore. La preghiera permette a Dio di starci vicino; perciò libera dalla solitudine e dà speranza. La preghiera ossigena la vita: come non si può vivere senza respirare, così non si può essere cristiani senza pregare. E c’è tanto bisogno di cristiani che veglino per chi dorme, di adoratori, di intercessori, che giorno e notte portino davanti a Gesù, luce del mondo, le tenebre della storia. C’è bisogno di adoratori. Noi abbiamo perso un po’ il senso dell’adorazione, di stare in silenzio davanti al Signore, adorando. Questa è la mediocrità, la tiepidezza.

C’è poi un secondo sonno interiore: il sonno dell’indifferenza. Chi è indifferente vede tutto uguale, come di notte, e non s’interessa di chi gli sta vicino. Quando orbitiamo solo attorno a noi stessi e ai nostri bisogni, indifferenti a quelli degli altri, la notte scende nel cuore. Il cuore diventa oscuro. Presto si comincia a lamentarsi di tutto, poi ci si sente vittime di tutti e infine si fanno complotti su tutto. Lamentele, senso di vittima e complotti. È una catena. Oggi questa notte sembra calata su tanti, che reclamano per sé e si disinteressano degli altri.

Come ridestarci da questo sonno dell’indifferenza? Con la vigilanza della carità. Per portare luce a quel sonno della mediocrità, della tiepidezza, c’è la vigilanza della preghiera. Per ridestarci da questo sonno dell’indifferenza c’è la vigilanza della carità. La carità è il cuore pulsante del cristiano: come non si può vivere senza battito, così non si può essere cristiani senza carità. A qualcuno sembra che provare compassione, aiutare, servire sia cosa da perdenti! In realtà è l’unica cosa vincente, perché è già proiettata al futuro, al giorno del Signore, quando tutto passerà e rimarrà solo l’amore. È con le opere di misericordia che ci avviciniamo al Signore. Lo abbiamo chiesto oggi nell’orazione Colletta: «Suscita in noi la volontà di andare incontro con le buone opere al tuo Cristo che viene». La volontà di andare incontro a Cristo con le buone opere. Gesù viene e la strada per andargli incontro è segnata: sono le opere di carità.

Cari fratelle e sorelle, pregare e amare, ecco la vigilanza. Quando la Chiesa adora Dio e serve il prossimo, non vive nella notte. Anche se stanca e provata, cammina verso il Signore. Invochiamolo: Vieni, Signore Gesù, abbiamo bisogno di te. Vieni vicino a noi. Tu sei la luce: svegliaci dal sonno della mediocrità, destaci dalle tenebre dell’indifferenza. Vieni, Signore Gesù, rendi vigili i nostri cuori che adesso sono distratti: facci sentire il desiderio di pregare e il bisogno di amare.

[01450-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Les lectures d’aujourd’hui suggèrent deux paroles-clés pour le temps de l’Avent: proximité et vigilance. Proximité de Dieu et vigilance de notre part: alors que le prophète Isaïe dit que Dieu est proche de nous, Jésus dans l’Evangile nous exhorte à veiller dans son attente.

Proximité. Isaïe commence en tutoyant Dieu: «C’est toi, Seigneur, notre père» (63, 16). Et il continue: «Jamais on n’a ouï dire […] qu’un autre dieu que toi ait pu agir ainsi pour celui qui l’attend» (64, 3). Il nous vient à l’esprit les paroles du Deutéronome: qui, «comme le Seigneur notre Dieu est proche de nous chaque fois que nous l’invoquons? » (4,7). L’Avent est le temps où il faut faire mémoire de la proximité de Dieu qui est descendu vers nous. Mais le prophète va au-delà et demande à Dieu de se rapprocher encore: «Si tu déchirais les cieux, si tu descendais» (Is 63, 19). Nous l’avons nous aussi demandé dans le Psaume: "Reviens, visite-nous, viens nous sauver" (cf. Ps 79, 13.3) «O Dieu, viens à mon secours» est souvent le début de notre prière: le premier pas de la foi est de dire au Seigneur que nous avons besoin de lui, de sa proximité.

C’est aussi le premier message de l’Avent et de l’Année liturgique, reconnaître que Dieu est proche et lui dire: "Approche-toi encore!". Il veut venir tout proche de nous, mais il se propose, il ne s’impose pas; c’est à nous qu’il revient de ne pas nous fatiguer de lui dire: "Viens!". C’est à nous qu’il revient, c’est la prière de l’Avent: "Viens!". Jésus – nous rappelle l’Avent – est venu parmi nous et viendra de nouveau à la fin des temps. Mais, nous nous demandons, à quoi servent ces venues s’il ne vient pas aujourd’hui dans notre vie? Invitons-le. Faisons nôtre l’invocation typique de l’Avent: «Viens, Seigneur Jésus» (Ap 22, 20). Avec cette invocation finit l’Apocalypse: «Viens, Seigneur Jésus». Nous pouvons la dire au début de chaque journée et la répéter souvent, avant les rencontres, l’étude, le travail et les décisions à prendre, dans les moments plus importants et dans ceux de l’épreuve: Viens, Seigneur Jésus. Une petite prière, mais elle naît du coeur. Disons-la en ce temps de l’Avent, répétons-là: «Viens, Seigneur Jésus».

Ainsi, en invoquant sa proximité, nous exercerons notre vigilance. L’Evangile de Marc nous a proposé aujourd’hui la fin du dernier discours de Jésus, qui est condensé en une seule parole: «Veillez!». Le Seigneur la répète quatre fois dans cinq versets (cf. Mc 13, 33-35.37). Il est important de rester vigilants, parce qu’une erreur de la vie est de se perdre en mille choses et de ne pas s’apercevoir de la présence de Dieu. Saint Augustin disait: « Timeo Iesum transeuntem » (Sermones, 88,14,13). "J’ai peur que Jésus passe et que moi je ne m’en rende pas compte". Attirés par nos intérêts – nous sentons cela tous les jours - et distraits par tant de vanités, nous risquons de perdre l’essentiel. C’est pourquoi, le Seigneur répète aujourd’hui « à tous: veillez!» (Mc 13, 37). Veillez, soyez attentifs.

Mais si devons veiller, cela veut dire que nous sommes dans la nuit. Oui, maintenant nous ne vivons pas dans le jour, mais dans l’attente du jour, dans l’obscurité et les fatigues. Le jour arrivera quand nous serons avec le Seigneur. Il arrivera, ne perdons pas courage: la nuit passera, le Seigneur se lèvera, il nous jugera, lui qui est mort en croix pour nous. Veiller, c’est attendre cela, c’est de ne pas se laisser submerger par le découragement, et cela s’appelle vivre dans l’espérance. Comme avant de naître nous avons été attendus par ceux qui nous aimaient, maintenant nous sommes attendus par l’Amour en personne. Et si nous sommes attendus au Ciel, pourquoi vivre de prétentions terrestres? Pourquoi nous fatiguer pour un peu d’argent, de renommée, de succès, toutes ces choses qui passent? Pourquoi perdre du temps à nous plaindre de la nuit alors que la lumière du jour nous attend ? Pourquoi chercher des "parrains" pour avoir une promotion et aller en haut, nous promouvoir dans la carrière? Tout passe. Veillez, dit le Seigneur.

Rester éveillés, ce n’est pas facile, c’est même une chose difficile: la nuit il est naturel de dormir. Les disciples de Jésus, auxquels il avait dit de veiller "le soir, à minuit, au chant du coq, le matin" (cf. v. 35), n’y ont pas réussi. A ces moments-là justement, ils ne furent pas vigilants: le soir, lors de la dernière cène, ils ont trahi Jésus; de nuit ils se sont assoupis; au chant du coq ils l’ont renié; le matin, ils l’ont laissé condamner à mort. Ils n’avaient pas veillé. Ils s’étaient assoupis. Mais la même torpeur peut aussi descendre sur nous. Il y a un sommeil dangereux: le sommeil de la médiocrité. Il vient quand nous oublions le premier amour et avançons par inertie, en ne pensant qu’à vivre dans la tranquillité. Mais sans élans d’amour pour Dieu, sans attendre sa nouveauté, on devient médiocres, tièdes, mondains. Et cela ronge la foi, parce que la foi est le contraire de la médiocrité: elle est ardent désir de Dieu, elle est audace continue de se convertir, elle est courage d’aimer, elle est d’aller toujours de l’avant. La foi n’est pas une eau qui éteint, elle est un feu qui brûle, elle n’est pas un calmant pour celui qui est stressé, elle est une histoire d’amour pour celui qui est amoureux! C’est pourquoi Jésus déteste plus que tout la tiédeur (cf. Ap 3, 16). On voit le mépris de Dieu pour les tièdes.

Et alors, comment pouvons-nous nous réveiller du sommeil de la médiocrité ? Par la vigilance de la prière. Prier, c’est allumer une lumière dans la nuit. La prière réveille de la tiédeur d’une vie horizontale, élève le regard vers le haut, nous harmonise avec le Seigneur. La prière permet à Dieu d’être proche de nous; c’est pourquoi elle libère de la solitude et donne l’espérance. La prière oxygène la vie : tout comme on ne peut pas vivre sans respirer, de même on ne peut pas être chrétiens sans prier. Et on a tant besoin de chrétiens qui veillent pour ceux qui dorment, d’adorateurs, d’intercesseurs, qui portent jour et nuit devant Jésus, lumière du monde, les ténèbres de l’histoire. Nous avons besoin d’adorateurs. Nous avons perdu un peu le sens de l’adoration, de rester en silence devant le Seigneur, en adorant. C’est cela la médiocrité, la tiédeur.

Il y’ a ensuite un second sommeil intérieur: le sommeil de l’indifférence. Celui qui est indifférent voit tout égal, comme de nuit, et il ne s’intéresse pas à celui qui lui est proche. Lorsque nous tournons seulement autour de nous-mêmes et de nos besoins, indifférents à ceux d’autrui, la nuit descend dans notre cœur. Le cœur devient obscur. Vite, on commence à se plaindre de tout, puis on se sent victime de tous et finalement on fait des complots sur tout. Plaintes, sentiment de victime et des complots. C’est une chaîne. Aujourd’hui cette nuit semble être tombée sur bon nombre, qui réclament pour soi et se désintéressent des autres.

Comment nous réveiller de ce sommeil de l’indifférence? par la vigilance de la charité. Pour apporter la lumière à ce sommeil de la médiocrité, de la tiédeur, il y a la vigilance de la prière. Pour nous réveiller de ce sommeil de l’indifférence, il y a la vigilance de la charité. La charité est le cœur battant du chrétien: tout comme on ne peut vivre sans battement, de même on ne peut être chrétiens sans la charité. Pour certains on dirait qu’éprouver de la compassion, aider, servir, est une chose pour les perdants ! En réalité c’est l’unique chose gagnante, parce qu’elle est déjà projetée vers le futur, vers le jour du Seigneur, quand tout passera et qu’il ne restera que l’amour. C’est avec les œuvres de miséricorde que nous nous approchons du Seigneur. Nous l’avons demandé aujourd’hui dans l’oraison de la Collecte: «Suscite en nous la volonté d’aller avec les bonnes œuvres à la rencontre de ton Christ qui vient». La volonté d’aller à la rencontre du Christ avec les bonnes œuvres. Jésus vient et la voie pour aller à sa rencontre est tracée: ce sont les œuvres de charité.

Chers frères et sœurs, prier et aimer, voilà la vigilance. Quand l’Eglise adore Dieu et sert le prochain, elle ne vit pas dans la nuit. Même si elle est fatiguée et éprouvée, elle chemine vers le Seigneur. Invoquons-le: Viens, Seigneur Jésus, nous avons besoin de toi. Viens tout près de nous. Tu es la lumière: réveilles-nous du sommeil de la médiocrité, éveille-nous des ténèbres de l’indifférence. Viens, Seigneur Jésus, rends vigilants nos cœurs qui maintenant sont distraits: fais-nous ressentir le désir de prier et le besoin d’aimer.

[01450-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

Today’s readings propose two key words for the Advent season: closeness and watchfulness. God’s closeness and our watchfulness. The prophet Isaiah says that God is close to us, while in the Gospel Jesus urges us to keep watch in expectation of his return.

Closeness. Isaiah begins by speaking personally to God: “You, O Lord, are our father” (63:16). “Never has anyone heard”, he continues, “[of] any God, other than you, who has done so much for those who trust in him” (cf. 64:3). We are reminded of the words of Deuteronomy: who is like the Lord our God, so close to us whenever we call upon him? (cf. 4:7). Advent is the season for remembering that closeness of God who came down to dwell in our midst. The prophet goes on to ask God to draw close to us once more: “O that you would tear open the heavens and come down!” (Is 64:1). We prayed for this in today’s responsorial psalm: “Turn again… come to save us” (Ps 80:15.3). We often begin our prayers with the invocation: “God, come to my assistance”. The first step of faith is to tell God that we need him, that we need him to be close to us.

This is also the first message of Advent and the liturgical year: we need to recognize God’s closeness and to say to him: “Come close to us once more!” God wants to draw close to us, but he will not impose himself; it is up to us to keep saying to him: “Come!” This is our Advent prayer: “Come!” Advent reminds us that Jesus came among us and will come again at the end of time. Yet we can ask what those two comings mean, if he does not also come into our lives today? So let us invite him. Let us make our own the traditional Advent prayer: “Come, Lord Jesus” (Rev 22:20). The Book of Revelation ends with this prayer: “Come, Lord Jesus”. We can say that prayer at the beginning of each day and repeat it frequently, before our meetings, our studies and our work, before making decisions, in every more important or difficult moment in our lives: Come, Lord Jesus! It is a little prayer, yet one that comes from the heart. Let us say it in this Advent season. Let us repeat it: “Come, Lord Jesus!”

If we ask Jesus to come close to us, we will train ourselves to be watchful. Today Mark’s Gospel presented us with the end of Jesus’ final address to his disciples, which can be summed up in two words: “Be watchful!” The Lord repeats these words four times in five verses (cf. Mk 13:33-35.37). It is important to remain watchful, because one great mistake in life is to get absorbed in a thousand things and not to notice God. Saint Augustine said: “Timeo Iesum transeuntem” (Sermons, 88, 14, 13), “I fear that Jesus will pass by me unnoticed”. Caught up in our own daily concerns (how well we know this!), and distracted by so many vain things, we risk losing sight of what is essential. That is why today the Lord repeats: “To all, I say: be watchful!” (Mk 13:37). Be watchful, attentive.

Having to be watchful, however, means it is now night. We are not living in broad daylight, but awaiting the dawn, amid darkness and weariness. The light of day will come when we shall be with the Lord. Let us not lose heart: the light of day will come, the shadows of night will be dispelled, and the Lord, who died for us on the cross, will arise to be our judge. Being watchful in expectation of his coming means not letting ourselves be overcome by discouragement. It is to live in hope. Just as before our birth, our loved ones expectantly awaited our coming into the world, so now Love in person awaits us. If we are awaited in Heaven, why should we be caught up with earthly concerns? Why should we be anxious about money, fame, success, all of which will pass away? Why should we waste time complaining about the night, when the light of day awaits us? Why should we look for “patrons” to help advance our career? All these things pass away. Be watchful, the Lord tells us.

Staying awake is not easy; it is really quite hard. At night, it is natural to sleep. Even Jesus’s disciples did not manage to stay awake when told to stay awake “in the evening, or at midnight, or at cockcrow, or at dawn” (cf. v. 35). Those were the very times they were not awake: in the evening, at the Last Supper, they betrayed Jesus; at midnight, they dozed off; at the cock’s crow, they denied him; in the morning, they let him be condemned to death. They did not keep watch. They fell asleep. But that same drowsiness can also overtake us. There is a dangerous kind of sleep: it is the slumber of mediocrity. It comes when we forget our first love and grow satisfied with indifference, concerned only for an untroubled existence. Without making an effort to love God daily and awaiting the newness he constantly brings, we become mediocre, lukewarm, worldly. And this slowly eats away at our faith, for faith is the very opposite of mediocrity: it is ardent desire for God, a bold effort to change, the courage to love, constant progress. Faith is not water that extinguishes flames, it is fire that burns; it is not a tranquilizer for people under stress, it is a love story for people in love! That is why Jesus above all else detests lukewarmness (cf. Rev 3:16). God clearly disdains the lukewarm.

How can we rouse ourselves from the slumber of mediocrity? With the vigilance of prayer. When we pray, we light a candle in the darkness. Prayer rouses us from the tepidity of a purely horizontal existence and makes us lift our gaze to higher things; it makes us attuned to the Lord. Prayer allows God to be close to us; it frees us from our solitude and gives us hope. Prayer is vital for life: just as we cannot live without breathing, so we cannot be Christians without praying. How much we need Christians who keep watch for those who are slumbering, worshipers who intercede day and night, bringing before Jesus, the light of the world, the darkness of history. How much we need worshipers. We have lost something of our sense of adoration, of standing in silent adoration before the Lord. This is mediocrity, lukewarmness.

There is also another kind of interior slumber: the slumber of indifference. Those who are indifferent see everything the same, as if it were night; they are unconcerned about those all around them. When everything revolves around us and our needs, and we are indifferent to the needs of others, night descends in our hearts. Our hearts grow dark. We immediately begin to complain about everything and everyone; we start to feel victimized by everyone and end up brooding about everything. It is a vicious circle. Nowadays, that night seems to have fallen on so many people, who only demand things for themselves, and are blind to the needs of others.

How do we rouse ourselves from the slumber of indifference? With the watchfulness of charity. To awaken us from that slumber of mediocrity and lukewarmness, there is the watchfulness of prayer. To rouse us from that slumber of indifference, there is the watchfulness of charity. Charity is the beating heart of the Christian: just as one cannot live without a heartbeat, so one cannot be a Christian without charity. Some people seem to think that being compassionate, helping and serving others is for losers. Yet these are the only things that win us the victory, since they are already aiming towards the future, the day of the Lord, when all else will pass away and love alone will remain. It is by works of mercy that we draw close to the Lord. This is what we asked for in today’s opening prayer: “Grant [us]… the resolve to run forth to meet your Christ with righteous deeds at his coming”. The resolve to run forth to meet Christ with good works. Jesus is coming, and the road to meet him is clearly marked: it passes through works of charity.

Dear brothers and sisters, praying and loving: that is what it means to be watchful. When the Church worships God and serves our neighbour, she does not live in the night. However weak and weary, she journeys towards the Lord. Let us now call out to him. Come, Lord Jesus, we need you! Draw close to us. You are the light. Rouse us from the slumber of mediocrity; awaken us from the darkness of indifference. Come, Lord Jesus, take our distracted hearts and make them watchful. Awaken within us the desire to pray and the need to love.

[01450-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Die heutigen Lesungen schlagen uns zwei Schlüsselbegriffe für die Adventszeit vor: Nähe und Wachsamkeit. Die Nähe Gottes und die Wachsamkeit unsererseits: Während der Prophet Jesaja sagt, dass Gott uns nahe ist, ermahnt uns Jesus, in Erwartung auf ihn zu wachen.

Nähe. Gleich zu Beginn redet Jesaja Gott mit „du“ an: „Du bist doch unser Vater!“ (63,16). Und er fährt fort: „Seit Urzeiten hat man nicht vernommen, hat man nicht gehört; kein Auge hat je einen Gott außer dir gesehen, der an dem handelt, der auf ihn harrt“ (64,3). Es kommen einem die Worte aus Deuteronomium in den Sinn: Wer, „wie der Herr, unser Gott, ist uns nah, wo immer wir ihn anrufen?“ (4,7). Der Advent ist die Zeit, in der wir uns die Nähe Gottes ins Gedächtnis rufen, der zu uns hinabgestiegen ist. Aber der Prophet geht weiter und bittet Gott darum, sich noch mehr zu nähern: „Hättest du doch den Himmel zerrissen und wärest herabgestiegen!“ (Jes 63,19). Auch wir haben im Psalm darum gebeten: „Richte uns wieder auf, o Gott, lass dein Angesicht leuchten, dann sind wir gerettet.“ (vgl. Ps 79,15.3) „O Gott, komm mir zu Hilfe“ ist oftmals der Beginn unseres Gebets: Der erste Schritt des Glaubens ist es, dem Herrn zu sagen, dass wir seiner bedürfen, seiner Nähe.

Es ist auch die erste Botschaft des Advents und des Kirchenjahres, Gottes Nähe zu erkennen und ihm zu sagen: „Komm noch näher!“ Er will nahe zu uns kommen, doch er bietet sich an, er drängt sich nicht auf. An uns liegt es, darin nicht müde zu werden, ihm zu sagen: „Komm!“. An uns ist es, dieses Gebet des Advents zu sprechen: „Komm!“. Jesus, so erinnert uns der Advent, ist zu uns gekommen und wird wiederkommen am Ende der Zeiten. Aber, so fragen wir uns, wozu dient dieses Kommen, wenn er nicht heute in unser Leben kommt? Laden wir ihn ein. Machen wir uns die für den Advent charakteristische Anrufung zu eigen: „Komm, Herr Jesus“ (Offb 22,20). Mit dieser Anrufung endet die Offenbarung des Johannes: „Komm, Herr Jesus“. Wir können sie zu Beginn jedes Tages aussprechen und sie oft wiederholen, vor den Zusammenkünften, vor dem Studium, vor der Arbeit und vor den zu treffenden Entscheidungen, in den wichtigsten Augenblicken und in denen der Prüfung: Komm, Herr Jesus. Das ist ein kurzes Gebet, es kommt aber von Herzen. Beten wir es in dieser Adventszeit, wiederholen wir es: „Komm, Herr Jesus“.

Wenn wir seine Nähe anrufen, werden wir so unsere Wachsamkeit einüben. Das Markusevangelium hat uns heute den Schluss der Abschiedsrede Jesu vorgelegt, der sich in einem einzigen Wort verdichtet: „Wachet!“. Der Herr wiederholt es viermal in fünf Versen (vgl. Mk 13,33-35.37). Es ist wichtig, wachsam zu bleiben, weil es ein Lebensfehler ist, sich in tausend Dingen zu verlieren und dabei Gott nicht zu bemerken. Der heilige Augustinus sagte: „Timeo Iesum transeuntem“ (Sermones, 88,14,13), “ich fürchte, dass Jesus vorüberzieht und ich es nicht bemerke“. Von unseren Interessen angezogen – und das spüren wir jeden Tag – und von so vielen Eitelkeiten zerstreut, laufen wir Gefahr, das Wesentliche zu verlieren. Daher wiederholt der Herr heute „allen: wachet!” (Mk 13,37). Wachet, seid aufmerksam!

Aber wenn wir wachen müssen, so heißt dies, dass wir uns in der Nacht befinden. Ja, wir leben nicht im Tag, sondern bei Dunkelheit und unter Mühen in der Erwartung des Tages. Der Tag wird kommen, an dem wir mit dem Herrn sein werden. Er wird kommen, verlieren wir nicht den Mut: Die Nacht wird vorübergehen und der Herr wird sich erheben; der am Kreuz für uns gestorben ist, wird uns richten. Wachen bedeutet, dies zu erwarten, sich nicht von der Entmutigung übermannen zu lassen, und das heißt, in der Hoffnung zu leben. Wie wir vor unserer Geburt von denen, die uns lieben, erwartet wurden, so werden wir jetzt von der Liebe in Person erwartet. Und wenn wir im Himmel erwartet werden, warum sollen wir dann in irdischen Ansinnen leben? Warum uns für etwas Geld, Ruhm, Erfolg abmühen, alles Dinge, die vorübergehen? Warum damit Zeit verlieren, uns über die Nacht zu beklagen, wo uns doch das Licht des Tages erwartet? Warum irgendwelche „Förderer“ suchen, um befördert zu werden und aufzusteigen, um in der Karriere voranzukommen? Alles vergeht. Wachet, sagt der Herr.

Wach zu bleiben ist nicht einfach, ja, es ist sehr schwierig: nachts ist man natürlicherweise geneigt zu schlafen. Den Jüngern Jesu gelang es nicht, wach zu bleiben. Dabei hatte der Herr ihnen gesagt, „am Abend oder um Mitternacht, ob beim Hahnenschrei oder erst am Morgen“ zu wachen (vgl. V. 35). Gerade zu diesen Stunden waren sie nicht wachsam: abends, während des Letzten Abendmahls, verrieten sie Jesus; nachts schliefen sie ein; beim Hahnenschrei verleugneten sie ihn; am Morgen ließen sie ihn zum Tode verurteilen. Sie hatten nicht gewacht. Sie waren eingeschlummert. Aber auch uns kann die gleiche Schlaffheit befallen. Es gibt einen gefährlichen Schlaf: den Schlaf der Mittelmäßigkeit. Er kommt, wenn wir die erste Liebe vergessen und aus Gewohnheit weitermachen und dabei nur auf ein ruhiges Leben achten. Aber ohne Ausbrüche der Liebe zu Gott, ohne seine Neuheit zu erwarten, wird man mittelmäßig, lau, weltlich. Und dies zerfrisst den Glauben, weil der Glaube das Gegenteil von der Mittelmäßigkeit ist: Er ist brennende Sehnsucht nach Gott; er ist beständiger Wagemut sich zu bekehren; er ist Mut zum Lieben; er bedeutet, immer fortzuschreiten. Der Glaube ist nicht Wasser, das löscht; er ist Feuer, das brennt; er ist nicht ein Beruhigungsmittel für den, der gestresst ist; er ist eine Liebesgeschichte für den Verliebten! Daher verabscheut Jesus die Lauheit mehr als alles andere (vgl. Offb 3,16). Es ist deutlich, dass Gott die Lauen nicht schätzt.

Wie können wir also vom Schlaf der Mittelmäßigkeit erwachen? Mit der Wachsamkeit des Gebets. Beten bedeutet, ein Licht in der Nacht anzuzünden. Das Gebet lässt uns von der Lauheit eines horizontalen Lebens wieder aufstehen, erhebt den Blick in die Höhe und bringt uns mit dem Herrn in Einklang. Das Gebet ermöglicht es Gott, uns nahe zu sein; deshalb befreit es von der Einsamkeit und gibt Hoffnung. Das Gebet gibt dem Leben Sauerstoff: So wie man nicht leben kann, ohne zu atmen, so kann man kein Christ sein, ohne zu beten. Und es bedarf so sehr der Christen, die wachen für den, der schläft; von Anbetern, von Fürbittern, die Tag und Nacht die Finsternis unserer Geschichte vor Jesus, das Licht der Welt, tragen. Es braucht Menschen, die anbeten. Wir haben ein wenig den Bezug zur Anbetung verloren, dazu, im Schweigen vor dem Herrn zu sein und ihn anzubeten. Das ist die Mittelmäßigkeit, die Lauheit.

Es gibt sodann einen zweiten inneren Schlaf: den Schlaf der Gleichgültigkeit. Wer gleichgültig ist, sieht alles gleich, wie in der Nacht, und er kümmert sich nicht um die, die ihm nahe sind. Wenn wir nur um uns selbst und unsere Bedürfnisse kreisen und den anderen gegenüber gleichgültig sind, senkt sich die Nacht in das Herz herab. Im Herzen wird es dunkel. Bald fängt man an, sich über alles zu beklagen, dann fühlt man sich Opfer von allen und schließlich sieht man überall Verschwörungen. Klagen, das Gefühl Opfer zu sein und Verschwörungen. Das ist eine Kette. Heute scheint diese Nacht über viele eingebrochen zu sein, die Ansprüche für sich erheben und für die anderen kein Interesse zeigen.

Wie können wir uns aus diesem Schlaf der Gleichgültigkeit wieder erheben? Mit der Wachsamkeit der Liebe. Um in diesen Schlaf der Mittelmäßigkeit und Lauheit Licht zu bringen, gibt es die Wachsamkeit des Gebets. Um aus diesem Schlaf der Gleichgültigkeit wieder zu erwachen, gibt es die Wachsamkeit der Nächstenliebe. Die Liebe ist das schlagende Herz des Christen: So wie man ohne den Herzschlag nicht leben kann, so kann man ohne Liebe kein Christ sein. Manchen scheint es, dass Mitleid empfinden, helfen, dienen eine Angelegenheit von Verlierern sei! In Wirklichkeit ist dies das Einzige, was zum Gewinn führt, weil es auf die Zukunft ausgerichtet ist, auf den Tag des Herrn, an dem alles vorübergehen wird und nur noch die Liebe bleiben wird. Mit den Werken der Barmherzigkeit nähern wir uns dem Herrn. Wir haben heute im Tagesgebet darum gebetet: „Hilf uns, dass wir auf dem Weg der Gerechtigkeit Christus entgegengehen und uns durch Taten der Liebe auf seine Ankunft vorbereiten.“ Christus durch Taten der Liebe entgegengehen. Jesus kommt und der Weg, um ihm entgegenzugehen, ist vorgezeichnet: Es sind die Werke der Barmherzigkeit.

Liebe Brüder und Schwestern, beten und lieben, hierin besteht die Wachsamkeit. Wenn die Kirche Gott anbetet und dem Nächsten dient, lebt sie nicht in der Nacht. Auch wenn sie müde und leidgeprüft ist, ist sie zum Herrn hin unterwegs. Rufen wir ihn an: Komm, Herr Jesus, wir sind auf dich angewiesen. Komm nahe zu uns. Du bist das Licht: Wecke uns aus dem Schlaf der Mittelmäßigkeit, lass uns aus der Finsternis der Gleichgültigkeit heraustreten. Komm, Herr Jesus, mache unsere Herzen wachsam, die jetzt zerstreut sind: Lass uns die Sehnsucht spüren zu beten und das Bedürfnis zu lieben.

[01450-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

Las lecturas de hoy sugieren dos palabras clave para el tiempo de Adviento: cercanía y vigilancia. La cercanía de Dios y nuestra vigilancia. Mientras el profeta Isaías dice que Dios está cerca de nosotros, Jesús en el Evangelio nos invita a vigilar esperando en Él.

Cercanía. Isaías comienza tuteando a Dios: «¡Tú eres nuestro padre!» (63,16), y continúa: «Nunca se oyó [...] que otro dios fuera de ti actuara así a favor de quien espera en él» (64,3). Vienen a la mente las palabras del Deuteronomio: ¿Quién «está tan cerca como lo está el Señor Dios de nosotros, siempre que lo invocamos?» (4,7). El Adviento es el tiempo para hacer memoria de la cercanía de Dios, que ha descendido hasta nosotros. Pero el profeta supera esto y le pide a Dios que se acerque más: «¡Ojalá rasgaras los cielos y descendieras!» (Is 63,19). Lo hemos pedido también en el Salmo: “Vuelve, visítanos, ven a salvarnos” (cf. Sal 79,15.3). “Dios mío, ven en mi auxilio” es a menudo el comienzo de nuestra oración: el primer paso de la fe es decirle al Señor que lo necesitamos, necesitamos su cercanía.

Es también el primer mensaje del Adviento y del Año Litúrgico, reconocer que Dios está cerca, y decirle: “¡Acércate más!”. Él quiere acercarse a nosotros, pero se ofrece, no se impone. Nos corresponde a nosotros decir sin cesar: “¡Ven!”. Nos corresponde a nosotros, es la oración del adviento ¡Ven! El Adviento nos recuerda que Jesús vino a nosotros y volverá al final de los tiempos, pero nos preguntamos: ¿De qué sirven estas venidas si no viene hoy a nuestra vida? Invitémoslo. Hagamos nuestra la invocación propia del Adviento: «Ven, Señor Jesús» (Ap 22,20). Con esta invocación termina el Apocalipsis: «Ven, Señor Jesús». Podemos decirla al principio de cada día y repetirla a menudo, antes de las reuniones, del estudio, del trabajo y de las decisiones que debemos tomar, en los momentos más importantes y en los difíciles: Ven, Señor Jesús. Una oración breve, pero que nace del corazón. Digámosla en este tiempo de Adviento, repitámosla: «Ven, Señor Jesús».

De este modo, invocando su cercanía, ejercitaremos nuestra vigilancia. El Evangelio de Marcos nos propuso hoy la parte final del último discurso de Jesús, que se concentra en una sola palabra: “¡Vigilen!”. El Señor la repite cuatro veces en cinco versículos (cf. Mc 13,33-35.37). Es importante estar vigilantes, porque un error de la vida es el perderse en mil cosas y no percatarse de Dios. San Agustín decía: «Timeo Iesum transeuntem» (Sermones, 88,14,13), “Tengo miedo de que Jesús pase y no me dé cuenta”. Atraídos por nuestros intereses― todos los días experimentamos esto ―y distraídos por tantas vanidades, corremos el riesgo de perder lo esencial. Por eso hoy el Señor repite «a todos: ¡estén vigilantes!» (Mc 13,37). Vigilen, estén atentos.

Pero, si debemos vigilar, esto quiere decir que es de noche. Sí, ahora no vivimos en el día, sino en la espera del día, en medio de la oscuridad y los trabajos. Llegará el día cuando estemos con el Señor. Vendrá, no nos desanimemos. Pasará la noche, aparecerá el Señor; Él, que murió en la cruz por nosotros, nos juzgará. Estar vigilantes es esperar esto, es no dejarse llevar por el desánimo, y esto se llama vivir en la esperanza. Así como antes de nacer nos esperaban quienes nos amaban, ahora nos espera el Amor mismo. Y si nos esperan en el Cielo, ¿por qué vivir con pretensiones terrenales? ¿Por qué agobiarse por alcanzar un poco de dinero, fama, éxito, todas cosas efímeras? ¿Por qué perder el tiempo quejándose de la noche mientras nos espera la luz del día? ¿Por qué buscar “padrinos” para obtener una promoción y ascender, promocionarnos para hacer carrera? Todo pasa. Estén vigilantes, dice el Señor.

Mantenerse despiertos no es fácil, al contrario, es algo muy difícil. Por la noche es natural dormir. No lo lograron los discípulos de Jesús, a quienes Él les había pedido que velaran “al atardecer, a medianoche, al canto del gallo, de madrugada” (cf. v. 35). Y precisamente a esas horas no estuvieron vigilantes. Al atardecer, en la última cena, traicionaron a Jesús; por la noche se durmieron; al canto del gallo lo negaron; de madrugada dejaron que lo condenaran a muerte. No estuvieron vigilantes. Se quedaron dormidos. Pero sobre nosotros puede caer el mismo sopor. Hay un sueño peligroso: el sueño de la mediocridad. Llega cuando olvidamos nuestro primer amor y seguimos adelante por inercia, preocupándonos sólo por tener una vida tranquila. Pero sin impulsos de amor a Dios, sin esperar su novedad, nos volvemos mediocres, tibios, mundanos. Y esto carcome la fe, porque la fe es lo opuesto a la mediocridad: es el ardiente deseo de Dios, es la valentía perseverante para convertirse, es valor para amar, es salir siempre adelante. La fe no es agua que apaga, sino fuego que arde; no es un calmante para los que están estresados, sino una historia de amor para los que están enamorados. Por eso Jesús odia la tibieza más que cualquier otra cosa (cf. Ap 3,16). Se ve el desprecio de Dios por los tibios.

Y entonces, ¿cómo podemos despertarnos del sueño de la mediocridad? Con la vigilancia de la oración. Rezar es encender una luz en la noche. La oración nos despierta de la tibieza de una vida horizontal, eleva nuestra mirada hacia lo alto, nos sintoniza con el Señor. La oración permite que Dios esté cerca de nosotros; por eso, nos libra de la soledad y nos da esperanza. La oración oxigena la vida: así como no se puede vivir sin respirar, tampoco se puede ser cristiano sin rezar. Y hay mucha necesidad de cristianos que velen por los que duermen, de adoradores, de intercesores que día y noche lleven ante Jesús, luz del mundo, las tinieblas de la historia. Hay necesidad de adoradores. Hemos perdido un poco el sentido de la adoración, de estar en silencio ante el Señor, adorando. Ésta es la mediocridad, la tibieza.

Hay también un segundo sueño interior: el sueño de la indiferencia. El que es indiferente ve todo igual, como de noche, y no le importa quién está cerca. Cuando sólo giramos alrededor de nosotros mismos y de nuestras necesidades, indiferentes a las de los demás, la noche cae en el corazón. El corazón se vuelve oscuro. Comenzamos rápido a quejarnos de todo, luego sentimos que somos víctimas de los otros y al final hacemos complots de todo. Quejas, victimismo y complots. Es una cadena. Hoy parece que esta noche ha caído sobre muchos, que exigen sólo para sí mismos y se desinteresan de los demás.

¿Cómo podemos despertar de este sueño de indiferencia? Con la vigilancia de la caridad. Para llevar luz a aquel sueño de la mediocridad, de la tibieza, está la vigilancia de la oración. Para despertarnos de este sueño de la indiferencia está la vigilancia de la caridad. La caridad es el corazón palpitante del cristiano. Así como no se puede vivir sin el latido del corazón, tampoco se puede ser cristiano sin caridad. Algunos piensan que sentir compasión, ayudar, servir sea algo para perdedores; en realidad es la apuesta segura, porque ya está proyectada hacia el futuro, hacia el día del Señor, cuando todo pasará y sólo quedará el amor. Es con obras de misericordia que nos acercamos al Señor. Se lo pedimos hoy en la oración colecta: «Aviva en tus fieles […] el deseo de salir al encuentro de Cristo, que viene, acompañados por las buenas obras». El deseo de salir al encuentro de Cristo con las buenas obras. Jesús viene y el camino para ir a su encuentro está señalado: son las obras de caridad.

Queridos hermanos y hermanas, rezar y amar, he aquí la vigilancia. Cuando la Iglesia adora a Dios y sirve al prójimo, no vive en la noche. Aunque esté cansada y abatida, camina hacia el Señor. Invoquémoslo: Ven, Señor Jesús, te necesitamos. Acércate a nosotros. Tú eres la luz: despiértanos del sueño de la mediocridad, despiértanos de la oscuridad de la indiferencia. Ven, Señor Jesús, haz que nuestros corazones que ahora están distraídos estén vigilantes: haznos sentir el deseo de rezar y la necesidad de amar.

[01450-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

As leituras de hoje sugerem-nos duas palavras-chave para o tempo de Advento: proximidade e vigilância. Proximidade de Deus e vigilância nossa: enquanto o profeta Isaías diz que Deus está perto de nós, Jesus, no Evangelho, exorta-nos a vigiar à espera d’Ele.

Proximidade. Isaías começa tratando a Deus por «Tu»: «Tu és o nosso Pai» (63, 16). E continua: «Nunca nenhum ouvido ouviu (...) que algum deus, exceto Tu, fizesse tanto por quem nele confia» (64, 3). Saltam-nos à mente as seguintes palavras do Deuteronómio: quem «está próximo [de nós, como] o Senhor, nossos Deus, sempre que O invocamos?» (Dt 4, 7). O Advento é o tempo para nos lembrarmos da proximidade de Deus, que desceu até nós. Mas o profeta vai mais além e pede a Deus que volte a aproximar-Se: «Quem dera que rasgasses os céus e descesses!» (Is 63, 19). E pedimo-lo também nós, no Salmo: «Ó Deus do universo, volta, por favor», e «vem salvar-nos!» (cf. Sal 80,15.3). Ó «Deus, vinde em nosso auxílio! Senhor, socorrei-nos e salvai-nos»: assim damos, muitas vezes, início à nossa oração. O primeiro passo da fé é dizer ao Senhor que precisamos d’Ele, da sua proximidade.

E a primeira mensagem do Advento e do Ano Litúrgico é também reconhecer Deus próximo e dizer-Lhe: «Aproximai-Vos de novo!» Ele quer vir para junto de nós, mas… propõe-Se; não Se impõe. Cabe a nós não nos cansarmos de Lhe dizer: «Vinde!». Cabe a nós repetir a oração do Advento: «Vinde!». Jesus – lembra-nos o Advento – veio entre nós e voltará no fim dos tempos. Mas – perguntamo-nos – de que nos servem tais vindas, se não vem hoje à nossa vida? Convidemo-Lo. Façamos nossa esta invocação caraterística do Advento: «Vem, Senhor Jesus!» (Ap 22, 20). Com esta invocação, termina o livro do Apocalipse: «Vem, Senhor Jesus!» Podemos dizê-la ao princípio de cada dia e repeti-la com frequência, antes das reuniões, do estudo, do trabalho e das decisões a tomar, nos momentos mais importantes e nos de provação: Vem, Senhor Jesus! Uma oração breve, mas vinda do coração. Repitamo-la neste tempo de Advento: «Vem, Senhor Jesus!»

Invocando assim a sua proximidade, treinaremos a nossa vigilância. Hoje o evangelho de Marcos propôs-nos a parte final do último discurso de Jesus, que se condensa numa única palavra: «Vigiai!» O Senhor repete-a quatro vezes, em cinco versículos (cf. 13, 33-35.37). É importante permanecer vigilantes, porque na vida é um erro perder-se em mil coisas e não se dar conta de Deus. Dizia Santo Agostinho: «Timeo Iesum transeuntem… – tenho medo que Jesus passe sem me dar conta» (Sermones, 88, 14, 13). Arrastados pelos nossos interesses – sentimo-lo todos os dias –, distraídos por tantas vaidades, corremos o risco de perder o essencial. Por isso, hoje, o Senhor repete «a todos: vigiai!» (Mc 13, 37). Vigiai, estai atentos!

Mas, se devemos velar, quer dizer que nos encontramos na noite. É verdade! Agora não vivemos no dia, mas à espera do dia por entre obscuridades e fadigas. O dia chegará, quando estivermos com o Senhor. Chegará, não desfaleçamos! A noite passará, surgirá o Senhor e virá julgar-nos, Ele que morreu na cruz por nós. Vigiar é esperar isto, é não se deixar dominar pelo desânimo: a isto chama-se viver na esperança. Como antes de nascer fomos esperados por quem nos amava, assim agora somos esperados pelo Amor em pessoa. E, se somos esperados no Céu, para quê viver de pretensões terrenas? Para quê esfalfar-se por um pouco de dinheiro, de fama, de sucesso… coisas todas que passam? Para quê perder tempo a lamentar-se da noite, se nos espera a luz do dia? Para quê buscar «padrinhos» para se conseguir uma promoção e subir, ser promovido na carreira? Tudo passa. Vigiai: diz o Senhor.

Manter-se acordado não é fácil; antes, é uma coisa muito difícil: é natural dormir de noite. Não o conseguiram os discípulos de Jesus, a quem Ele dissera que vigiassem «à tarde, à meia-noite, ao cantar do galo, de manhãzinha» (cf. Mc 13, 35). E, precisamente nessas horas, não estiveram vigilantes: à tarde, durante a Última Ceia, traíram Jesus; de noite, adormeceram; ao cantar do galo, renegaram-No; de manhãzinha, deixaram-No condenar à morte. Não velaram. Adormeceram. Mas o mesmo torpor pode descer também sobre nós. Há um sono perigoso: o sono da mediocridade. Sobrevém quando esquecemos o primeiro amor e avançamos apenas por inércia, prestando atenção somente a viver tranquilos. Mas, sem ímpetos de amor a Deus, sem esperar a sua novidade, tornamo-nos medíocres, tíbios, mundanos. E isto corrói a fé, porque a fé é o contrário da mediocridade: é desejo ardente de Deus, audácia contínua em converter-se, coragem de amar, é caminhar sempre para diante. A fé não é água que apaga, mas fogo que queima; não é um calmante para quem está agitado, mas uma história de amor para quem está enamorado! Por isso, Jesus detesta acima de tudo a tibieza (cf. Ap 3, 16). Vê-se o desprezo de Deus pelos tíbios.

E como podemos despertar do sono da mediocridade? Com a vigilância da oração. Rezar é acender uma luz na noite. A oração desperta da tibieza duma vida horizontal, levanta o olhar para o alto, sintoniza-nos com o Senhor. A oração permite a Deus estar perto de nós; por isso liberta da solidão e dá esperança. A oração oxigena a vida: tal como não se pode viver sem respirar, assim também não se pode ser cristão sem rezar. E há tanta necessidade de cristãos que vigiem por quem dorme, de adoradores, de intercessores que, dia e noite, levem à presença de Jesus, luz do mundo, as trevas da história. Há necessidade de adoradores. Perdemos um pouco o sentido da adoração: permanecer em silêncio diante do Senhor, adorando. Isto é a mediocridade, a tibieza.

Mas existe outro sono interior: o sono da indiferença. Os indiferentes veem tudo igual, como se fosse de noite; e não se interessam por quem está perto deles. Quando orbitamos apenas em torno de nós mesmos e das nossas necessidades, indiferentes às dos outros, a noite desce sobre o coração. O coração torna-se escuro. Rapidamente começamos a lamentar-nos de tudo, sentindo-nos vítima de todos e, por fim, tramamo-los em tudo. Lamentações, sensação de ser vítima e conjuras: é uma corrente… Atualmente, parece que esta noite caiu sobre muitos: reivindicam para si próprios e desinteressam-se dos outros.

Como acordar deste sono da indiferença? Com a vigilância da caridade. Para projetar luz sobre o referido sono da mediocridade, da tibieza, temos a vigilância da oração. Para despertar deste sono da indiferença, temos a vigilância da caridade. A caridade é o coração pulsante do cristão: tal como não se pode viver sem pulsação, assim também não se pode ser cristão sem caridade. Pensam alguns que sentir compaixão, ajudar, servir seja próprio de perdedores, quando, na realidade, é a única coisa vitoriosa, porque já está projetada para o futuro, para o dia do Senhor, quando há de passar tudo ficando apenas o amor. É com as obras de misericórdia que nos aproximamos do Senhor. Pedimo-lo hoje na Oração Coleta: «Despertai, Senhor, nos vossos fiéis a vontade firme de se preparem, pela prática das boas obras, para ir ao encontro de Cristo». A vontade de ir ao encontro de Cristo com as boas obras. Jesus vem e o caminho para ir ao seu encontro está assinalado: são as obras de caridade.

Queridos irmãos e irmãs, rezar e amar: aqui está a vigilância. Quando a Igreja adora a Deus e serve o próximo, não vive na noite. Ainda que esteja cansada e provada, caminha rumo ao Senhor. Invoquemo-Lo: Vinde, Senhor Jesus! Precisamos de Vós. Vinde para junto de nós. Vós sois a luz: despertai-nos do sono da mediocridade; despertai-nos das trevas da indiferença. Vinde, Senhor Jesus! Tornai vigilantes os nossos corações que agora vivem distraídos: fazei-nos sentir o desejo de rezar e a necessidade de amar.

[01450-PO.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Dzisiejsze czytania proponują dwa słowa kluczowe dla okresu Adwentu: bliskość i czuwanie. Bliskość Boga i nasze czuwanie: gdy prorok Izajasz mówi, że Bóg jest blisko nas, to Jezus w Ewangelii wzywa nas do czuwania w oczekiwaniu na Niego.

Bliskość. Izajasz zaczyna od zwrócenia się do Boga przez „ty”: „Ty, Panie, jesteś naszym Ojcem” (63, 16). I kontynuuje: „Ucho nie słyszało [...] żeby jakiś bóg poza Tobą czynił tyle dla tego, co w nim pokłada ufność” (64, 3). Przychodzą na myśl słowa Księgi Powtórzonego Prawa: „Bo któryż naród wielki ma bogów tak bliskich, jak Pan, Bóg nasz, ilekroć Go wzywamy?” (4, 7). Adwent to czas, aby przypomnieć sobie o bliskości Boga, który do nas zstąpił. Ale prorok idzie dalej i prosi Boga, aby zbliżył się jeszcze bardziej: „Obyś rozdarł niebiosa i zstąpił!” (Iz 64, 1). Prosiliśmy też o to w Psalmie: „Powróć, nawiedź nas, przyjdź nam z pomocą” (por. Ps 79, 15.3). „Panie, pośpiesz ku ratunkowi memu” to często początek naszej modlitwy: pierwszym krokiem wiary jest powiedzenie Panu, że Go potrzebujemy, że potrzebujemy Jego bliskości.

Jest to również pierwsze orędzie Adwentu i Roku Liturgicznego - rozpoznać Boga bliskiego i powiedzieć Mu: „Zbliż się ponownie!”. On chce przyjść blisko nas, ale proponuje siebie a nie narzuca; to od nas zależy, czy będziemy niestrudzenie mówili do Niego: „Przyjdź!”. To od nas zależy - jest to modlitwa Adwentu: „Przyjdź!”. Adwent przypomina nam, że Jezus przyszedł między nas i ponownie przyjdzie u kresu czasu. Ale zastanawiamy się, czemu służą te przyjścia, jeśli nie przychodzi dzisiaj w naszym życiu? Zaprośmy Go. Niech w naszych ustach zabrzmią słowa typowego wezwania adwentowego: „Przyjdź, Panie Jezu” (Ap 22, 20). Tym wezwaniem kończy się Księga Apokalipsy: „Przyjdź, Panie Jezu”. Możemy je wypowiedzieć na początku każdego dnia i powtarzać często, przed spotkaniami, nauką, pracą i decyzjami, które trzeba podjąć, w chwilach najważniejszych i w momentach próby: Przyjdź, Panie Jezu. Mała modlitwa, lecz rodzi się w sercu. Mówmy ją w tym czasie Adwentu, powtarzajmy ją: „Przyjdź, Panie Jezu”.

W ten sposób, prosząc o Jego bliskość, będziemy się ćwiczyć w naszej czujności. Ewangelia Marka zaproponowała nam dzisiaj część końcową ostatniego przemówienia Jezusa, które streszcza się w jednym słowie: „Czuwajcie!”. Pan powtarza je cztery razy w pięciu wersetach (por. Mk 13, 33-35.37). Ważne jest zachowanie czujności, ponieważ życiowym błędem jest zatracenie się w tysiącach rzeczy i nie zauważenie Boga. Święty Augustyn powiedział: „Timeo Iesum transeuntem” (Serm., 88, 14, 13), „boję się, że Jezus przejdzie i że Go nie rozpoznam”. Gdy jesteśmy pociągnięci naszymi pożytkami czujemy to każdego dniai rozproszeni wieloma próżnościami, ryzykujemy, że utracimy to, co istotne. Dlatego dzisiaj Pan powtarza „do wszystkich, czuwajcie!” (Mk 13, 37). Czuwajcie, bądźcie uważni.

Ale jeśli musimy czuwać, to znaczy, że jesteśmy w nocy. Tak, teraz nie żyjemy w dniu, ale w oczekiwaniu na dzień, pośród ciemności i znojów. Nadejdzie dzień, kiedy będziemy z Panem. Przyjdzie, nie zniechęcajmy się. Noc minie, powstanie Pan, osądzi nas Ten, który za nas umarł na krzyżu. Czuwać to tego oczekiwać, to nie dać się opanować zniechęceniu, a to nazywa się żyć w nadziei. Tak jak zanim się urodziliśmy, byliśmy oczekiwani przez tych, którzy nas kochali, tak teraz jesteśmy oczekiwani przez Uosobioną Miłość. A skoro jesteśmy oczekiwani w niebie, to po co żyć roszczeniami doczesnymi? Po co uganiać się za odrobiną pieniędzy, sławy, sukcesu, wszystkich tych rzeczy, które przemijają? Po co marnować czas, by narzekać na noc, podczas gdy czeka nas światło dnia? Po co szukać „chrzestnych”, aby otrzymać promocję i piąć się wzwyż, robić karierę? Wszystko przemija. Czuwajcie, mówi Pan.

Nie jest łatwo czuwać, przeciwnie jest to bardzo trudne: w nocy sen jest czymś naturalnym. Nie potrafili tego uczniowie Jezusa, którym kazał czuwać „z wieczora czy o północy, czy o pianiu kogutów, czy rankiem” (por. w. 35). Właśnie w tych godzinach przestali czuwać: wieczorem, podczas Ostatniej Wieczerzy, zdradzili Jezusa; w nocy posnęli; przy pianiu koguta zaparli się Go; rano pozwolili, żeby został skazany na śmierć. Nie czuwali. Byli zaspani. Ale to samo odrętwienie może spaść na nas. Istnieje niebezpieczny sen: sen mierności. Przychodzi, gdy zapominamy o naszej pierwszej miłości i bezwładnie idziemy naprzód, dbając tylko o spokojne życie. Ale bez porywów umiłowania Boga, bez oczekiwania na Jego nowość, stajemy się miernymi, letnimi, światowymi. I to niszczy wiarę, bo wiara jest przeciwieństwem przeciętności: jest żarliwym pragnieniem Boga, jest nieustanną śmiałością nawracania się, jest odwagą miłowania, jest zawsze pójściem do przodu. Wiara to nie woda, która gasi, to palący ogień; to nie środek uspokajający dla tych, którzy są zestresowani, to historia miłosna dla tych, którzy są zakochani! Dlatego też Jezus nienawidzi letniości bardziej niż czegokolwiek innego (por. Ap 3, 16). Widać niechęć Boga dla tych, którzy są letni.

Jak zatem możemy przebudzić się ze snu miernoty? Przez czuwanie modlitwy. Modlić się to zapalić światło w nocy. Modlitwa budzi nas ze zobojętnienia życia horyzontalnego, podnosi nasze spojrzenie ku górze i dostraja nas do Pana. Modlitwa pozwala Bogu, by był blisko nas; wyzwala nas zatem od samotności i daje nadzieję. Modlitwa daje życiu tlen: tak jak nie można żyć bez oddychania, tak też nie można być chrześcijaninem bez modlitwy. I bardzo potrzeba chrześcijan, którzy czuwaliby nad tymi, którzy śpią, ludzi adorujących, orędowników, którzy dzień i noc zanosiliby mroki historii przed Jezusa będącego światłem świata. Potrzeba ludzi adorujących. My straciliśmy trochę sens adoracji, stania w ciszy przed Panem, adorując. To jest przeciętność, letniość.

Jest ponadto drugi sen wewnętrzny: sen obojętności. Człowiek obojętny widzi wszystko jednakowe, jak w nocy, i nie obchodzi go ktoś znajdujący się blisko niego. Kiedy obracamy się jedynie wokół siebie i naszych potrzeb, obojętni na potrzeby innych, do naszego serca zstępuje noc. Serce staje się ponure. Szybko zaczynamy narzekać na wszystko, potem czujemy się ofiarami wszystkich, a w końcu wszędzie szukamy spisków. Skargi, poczucie krzywdy i intrygi. To jest cały łańcuch. Dziś ta noc zdaje się spadać na wielu, którzy wymagają dla siebie a nie interesują się innymi.

Jak przebudzić się z tego snu obojętności? Z czujnością ofiarnej miłości. Aby wnieść światło w ten sen przeciętności, letniości, jest czujność modlitwy. Aby przebudzić się z tego snu obojętności, jest czujność miłości. Miłość jest bijącym sercem chrześcijanina: tak jak nie można żyć bez bicia serca, tak też nie można być chrześcijaninem bez miłości. Niektórym ludziom wydaje się, że okazywanie współczucia, pomoc, służba to coś dla frajerów! W gruncie rzeczy to jedyne, co zwycięża, ponieważ jest już skierowane ku przyszłości, na dzień Pana, kiedy wszystko przeminie a tylko miłość pozostanie. To właśnie poprzez uczynki miłosierdzia zbliżamy się do Pana. Prosiliśmy o to dzisiaj w modlitwie kolekty: „Spraw, abyśmy przez dobre uczynki przygotowali się na spotkanie przychodzącego Pana”. Pragnienie, by pójść na spotkanie do Chrystusa z dobrymi uczynkami. Jezus przychodzi, a droga, by wyjść Mu na spotkanie, jest wyznaczona: są to uczynki miłosierdzia.

Drodzy bracia i siostry, modlić się i miłować – to właśnie jest czuwanie. Kiedy Kościół uwielbia Boga i służy bliźniemu, nie żyje w nocy. Nawet jeśli jest znużony i ciężko doświadczony, podąża ku Panu. Przyzywajmy Go: Przyjdź Panie Jezu, potrzebujemy Ciebie! Przyjdź blisko nas! Ty jesteś światłem: przebudź nas ze snu miernoty, zbudź nas z mroku obojętności. Przyjdź, Panie Jezu, spraw, aby nasze serca, które teraz są roztargnione, stały się czujne: spraw, abyśmy poczuli pragnienie modlitwy i potrzebę miłowania.

[01450-PL.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

عظة قداسة البابا فرنسيس

في القدّاس الإلهيّ

في مناسبة الأحد الأوّل من زمن المجيء

الأحد 29 نوفمبر / تشرين الثاني 2020

بازليكا القديس بطرس

نجد في قراءات اليوم كلمتين رئيسيتين لزمن المجيء: القُرب والسهر. قرب الله منا، وسهرنا نحن: يؤكد النبي إشعياء أنّ الله قريب منا، ويحثنا يسوع في الإنجّيل على السّهر منتظرين مجيئه.

القرب. يبدأ إشعياء ويخاطب الله: "أَنتَ يا رَبُّ أَبونا" (63، 16). ويتابع: لم يُسمَعْ قط بإلهٍ "ما خَلاكَ يَعمَلُ لِلَّذينَ يَنتَظِرونَه" (64، 3). وتتبادر كلمات سفر تثنية الإشتراع إلى ذهننا: مَن مِثلُ "الرَّبِّ إِلهِنا قريبٌ منا في كُلِّ ما نَدْعوه؟" (4، 7). المجيء هو الزمن المناسب لنتذكر قرب الله منا، وأنه انحدر إلينا. ويذهب النبي إلى أبعد من ذلك ويطلب من الله أن يقترب أكثر منا: "لَيتَكَ تَشُقَّ السَّمواتِ وتَنزِل" (أش 63، 19). لقد طلبنا ذلك أيضًا في المزمور: "ارجع، وتفقدنا، تعال وخلصنا" (را. مز 79، 15. 3). إنّنا نبدأ عادة صلاتنا بهذه الجملة: "اللهّم بادر إلى معونتي". الخطوة الأولّى للإيمان هي أن نقول لله أنّنا بحاجة إليه وإلى قربه منا.

هذه أيضًا أوّل رسالة لزمن المجيء والسنة الليتورجية، أن نعترف أنّ الله قريب منا وأن نقول له: "زد قربًا منا، يا رب"". الله يريد أن يقترب منا، لكنه يعرض علينا ذلك، ولا يفرض نفسه علينا. الأمر متروك لنا بأن لا نمل من القول: "تعال يا ربّ!". الأمر متروك لنا، إنها صّلاة زمن المجيء: "تعال يا ربّ!". يُذكرنا زمن المجيء بأنّ يسوع جاء بيننا وسيأتي مرة أخرى في نهاية الأزمنة. لكن، لنسأل أنفسنا، ماذا ينفع مجيئه مرتين إذا لم يأت اليوم إلى حياتنا؟ لندْعُه. لنجعل ابتهال المجيء صلاتنا: " تَعالَ، أَيُّها الرَّبُّ يَسوع" (رؤ 22، 20). بهذا الابتهال ينتهي سفر رؤية يوحنا: "تَعالَ، أَيُّها الرَّبُّ يَسوع". يمكننا أن نقول هذا الابتهال في بداية كلّ يوم وأن نكرره كثيرًا، قبل اللقاءات، والدراسة، والعمل، واتخاذ القرارات، وفي اللحظات المهمة وفي أوقات التجربة: تَعالَ، أَيُّها الرَّبُّ يَسوع. إنّها صلاة صغيرة لكنها تنبع من القلب. لنقلها في زمن المجيء هذا، ولنكررها: "تَعالَ، أَيُّها الرَّبُّ يَسوع".

هكذا، فيما نبتهل إلى الله ليقترب منا، سندرب أنفسنا على السّهر. قدّم لنا إنجيل مرقس اليوم الجزء الأخير من خطاب يسوع الأخير، والذي يمكن اختصاره في كلمة واحدة: "اسهروا!". كررها الرّبّ يسوع أربع مرات في خمس آيات (را. مر 13، 33-35. 37). من المهم أن نظّل ساهرين، لأن الخطأ في الحياة هو أن نضيع في ألف شيء وأن لا نكون متنبهين لله. كان القديس أغسطينس يقول: "أخاف أن يمر يسوع" (عظات 88، 14، 13)، "أخاف أن يمر يسوع بجانبي ولا أنتبه له". عندما تَشُدُّنا مصالحنا - نشعر بهذا كل يوم -ونتشتت في أمور كثيرة زائلة، فإننا نوشك أن نفقد الجوهر. لذلك يردد الرّبّ يسوع اليوم "لِلنَّاسِ أَجمَعين: اِسهَروا" (مر 13، 37). اسهروا كونوا متنبهين.

ولكن، إذا كان علينا أن نسهر، فهذا يعني أنّنا في الليل. نعم الآن نحن لا نعيش في النهار بل في انتظار النهار، نعيش في ظلام وتعب. سيأتي اليوم الذي نكون فيه مع الرّبّ يسوع. سيأتي، لا نيأس: سيمر الليل، وسيأتي الرّبّ يسوع، وسيديننا هو الذي مات على الصليب من أجلنا. السهر هو هذا الانتظار: أن لا نترك الإحباط يستولي علينا، وهذا يسمى أن نعيش في الرجاء. كما انتظرنا الذين أحبونا قبل أن نولد، ينتظرنا الآن الحب نفسه. وإن كان الله ينتظرنا في السماء، فلماذا نعيش في أوهام أرضية؟ لماذا نقلق لبعض المال والشهرة والنجاح وكلّ الأشياء التي تمر؟ لماذا نضيع الوقت ونشكو من الليل، بينما ينتظرنا نور النهار؟ لماذا نبحث عن "العرابين" للحصول على تقدم وارتقاء، وتعزيز حياتنا المهنية؟ كلّ شيء يمر. اسهروا، يقول الربّ.

السّهر ليس بالأمر السهل بل إنّه صعب للغاية: في الليل، من الطبيعي أن ننام. لم يَقوَ تلاميذ يسوع على السهر، مع أنّه طلب منهم أن يسهروا "في المساء، وفي منتصف اللّيل، وعند صياح الدّيك، وفي الصّباح" (را. الآية 35). بالضبط في تلك الساعات لم يسهروا: في المساء، وخلال العشاء الأخير، خانوا يسوع، وفي الليل ناموا، وعند صياح الديك أنكروه، وفي الصباح تركوه يُحكم عليه بالموت. لم يسهروا. لقد ناموا. لكن النعاس نفسه يمكن أن يصيبنا نحن أيضًا. هناك نعاس خطير: نوم الخمول. يصيبنا ذلك عندما ننسى الحب الأول ونستمر في عدم الحراك، مهتمين فقط بالحياة الهادئة. لكن بدون اندفاع حب لله، وبدون انتظار ما هو جديد به، نصبح خاملين، وفاترين، ودنيويين. وهذا يفسد الإيمان، لأنّ الإيمان هو عكس الخمول: هو شوق متقد لله، وجرأة مستمرة للتوبة والتغيير، هو شجاعة الحب، وأن نمضي دائمًا إلى الأمام. ليس الإيمان ماءً يُطفِئ، بل نار تُحرِق، وليس مهدئًا لمن هو مُرهَق، بل هو قصة حب لمن وقع في الحب! لهذا السبب يكره يسوع الفتور أكثر من أيّ شيء آخر (را. رؤ 3، 16). ونرى استخفاف الله للفاترين.

فكيف نستيقظ من نوم الخمول؟ في السهر والصّلاة. الصّلاة تضيء نورًا في الليل. الصّلاة توقظنا من فتور حياة متساوية، وترفع نظرنا إلى العلى، وتدخلنا في انسجام مع الرّبّ. وتسمح الصّلاة لله أن يكون قريبًا منا، لذلك فإنها تُحرر من الوَحدة وتعطي الرجاء. الصلاة تمنح أكسجين الحياة: فكما لا نستطيع أن نعيش دون أن نتنفس، كذلك لا يمكن أن نكون مسيحيين بدون أن نصلّي. هناك حاجة ماسة لمسيحيين يسهرون من أجل الذين ينامون، شفعاءَ، سُجَّدٍ نهارًا وليلًا أمام يسوع، نور العالم، ليرفعوا عن العالم ظلمات التاريخ. هناك حاجة لمسيحيين سُجَّدٍ. لقد فقدنا قليلاً معنى السجود، والبقاء في الصّمت أمام الرّب، ساجدين. هذا هو الخمول​​، الفتور.

ثم هناك نعاس آخر داخلي: نوم اللامبالاة. من لا يبالي يرى كلّ شيء متساويًا، كما في الليل، ولا يهتم بمن هو قريب منه. عندما ندور فقط حول أنفسنا واحتياجاتنا، غير مبالين باحتياجات الآخرين، يحلّ الليل في القلب. ويصبح القلب مظلمًا. ثم نبدأ بسرعة بالتشكي من كلّ شيء، ونشعر بأننا ضحية الجميع وأخيراً نرى المؤامرات في كلّ شيء. شكاوى والشعور أنّنا ضحية ومؤامرات. إنّها سلسلة. يبدو أن هذه الليلة قد حلّت اليوم على كثيرين ممن يطالبون من أجل أنفسهم ولا يهتمون بالآخرين.

وكيف نستيقظ من نوم اللامبالاة هذا؟ في سهر المحبة. لإنارة نوم الخمول، الفتور، هناك سهر الصّلاة. لنستيقظ من نوم اللامبالاة هذا، هناك سهر المحبة. المحبة هي قلب المسيحي النابض: فكما لا نستطيع أن نعيش بدون نبض القلب، كذلك لا يمكن أن نكون مسيحيين بدون المحبة. يبدو للبعض أنّ الشعور بالشفقة، والمساعدة، والخدمة هي أمور خاسرة! في الواقع، هذه الأمور هي الوحيدة الرابحة، لأنّها تنقلنا بالفعل إلى المستقبل، إلى يوم الرّبّ، عندما يمر كلّ شيء ويبقى الحب فقط. هي أعمال الرحمة التي تقربنا إلى الرّبّ. طلبنا ذلك اليوم في صّلاة الجماعة: "ابعث فينا الإرادة لأن نسير مع الأعمال الصالحة نحو لقاء المسيح الذي سيأتي". الإرادة لأن نسير نحو لقاء المسيح مع الأعمال الصالحة. جاء يسوع وتم تحديد الطريق للقائه: إنّها أعمال المحبة.

أيّها الإخوة والأخوات، أن نصلّي وأن نحب، هذا هو السهر. عندما تسجد الكنيسة لله وتخدم القريب، فإنّها لا تعيش في الليل. حتى لو كانت متعبة وفي المحنة، فإنّها تسير نحو الرّبّ يسوع. لنبتهل إليه ولنقل: تعال، أيّها الرّبّ يسوع، نحن بحاجة إليك. كن قريبًا منا. أنت النور: أيقظنا من نوم الخمول، ومن ظلام اللامبالاة. تعال، أيّها الرّبّ يسوع، اجعل قلوبنا المشتتة الآن متيقظة: اجعلنا نشعر بالرغبة في الصلاة وبحاجتنا إلى أن نحب.

[01450-AR.01] [Testo originale: Italiano]

[B0619-XX.02]