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Istruzione
La conversione pastorale
della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa
Introduzione
1. La riflessione ecclesiologica del Concilio Vaticano II e i notevoli cambiamenti sociali e culturali degli ultimi decenni hanno indotto diverse Chiese particolari a riorganizzare la forma di affidamento della cura pastorale delle comunità parrocchiali. Ciò ha consentito di avviare esperienze nuove, valorizzando la dimensione della comunione e attuando, sotto la guida dei pastori, una sintesi armonica di carismi e vocazioni a servizio dell’annuncio del Vangelo, che meglio corrisponda alle odierne esigenze dell’evangelizzazione.
Papa Francesco, all’inizio del suo ministero, ha ricordato l’importanza della “creatività”, che significa «cercare strade nuove», ossia «cercare la strada perché il Vangelo sia annunciato»; a tal proposito, ha concluso il Santo Padre, «la Chiesa, anche il Codice di Diritto Canonico ci dà tante, tante possibilità, tanta libertà per cercare queste cose»[1].
2. Le situazioni descritte dalla presente Istruzione rappresentano una preziosa occasione per la conversione pastorale in senso missionario. Sono infatti inviti alle comunità parrocchiali a uscire da se stesse, offrendo strumenti per una riforma, anche strutturale, orientata a uno stile di comunione e di collaborazione, di incontro e di vicinanza, di misericordia e di sollecitudine per l’annuncio del Vangelo.
I. La conversione pastorale
3. La conversione pastorale è uno dei temi fondamentali nella “nuova tappa dell’evangelizzazione”[2] che la Chiesa è chiamata oggi a promuovere, perché le comunità cristiane siano sempre di più centri propulsori dell’incontro con Cristo.
Per questo, il Santo Padre ha suggerito: «Se qualcosa deve santamente inquietarci e preoccupare la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li accolga, senza un orizzonte di senso e di vita. Più della paura di sbagliare spero che ci muova la paura di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli, mentre fuori c’è una moltitudine affamata e Gesù ci ripete senza sosta: “Voi stessi date loro da mangiare” (Mc 6,37)»[3].
4. Sospinta da questa santa inquietudine, la Chiesa, «fedele alla propria tradizione e nello stesso tempo cosciente dell’universalità della sua missione, può entrare in comunione con le diverse forme di cultura; tale comunione arricchisce tanto la Chiesa stessa quanto le varie culture»[4]. Infatti, l’incontro fecondo e creativo tra il Vangelo e la cultura conduce a un vero progresso: da una parte, la Parola di Dio si incarna nella storia degli uomini rinnovandola; dall’altra, «la Chiesa […] può essere arricchita, e lo è effettivamente, dallo sviluppo della vita sociale umana»[5], così da approfondire la missione affidatale da Cristo, per meglio esprimerla nel tempo in cui vive.
5. La Chiesa annuncia che il Verbo, «si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14). Questa Parola di Dio, che ama dimorare tra gli uomini, nella sua inesauribile ricchezza[6] è stata accolta nel mondo intero da popoli diversi, promuovendone le più nobili aspirazioni, tra cui il desiderio di Dio, la dignità della vita di ogni persona, l’uguaglianza tra gli uomini e il rispetto per le differenze nell’unica famiglia umana, il dialogo come strumento di partecipazione, l’anelito alla pace, l’accoglienza come espressione di fraternità e solidarietà, la tutela responsabile del creato[7].
Non è pensabile, quindi, che una tale novità, la cui diffusione fino ai confini del mondo è ancora incompiuta, si affievolisca o, peggio, si dissolva[8]. Perché il cammino della Parola continui, occorre che nelle comunità cristiane si attui una decisa scelta missionaria, «capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione»[9].
II. La parrocchia nel contesto contemporaneo
6. Tale conversione missionaria, che porta naturalmente anche a una riforma delle strutture, riguarda in modo particolare la parrocchia, comunità convocata intorno alla Mensa della Parola e dell’Eucaristia.
La parrocchia possiede una lunga storia e ha avuto dagli inizi un ruolo fondamentale nella vita dei cristiani e nello sviluppo e nell’opera pastorale della Chiesa; già negli scritti di San Paolo se ne può intravvedere la prima intuizione. Alcuni testi paolini, infatti, mostrano la costituzione di piccole comunità come chiese domestiche, identificate dall’Apostolo semplicemente con il termine “casa” (cfr., ad esempio, Rm 16, 3-5; 1 Cor 16, 19-20; Fil 4, 22). In queste “case” si può scorgere il nascere delle prime “parrocchie”.
7. Sin dal suo sorgere, dunque, la parrocchia si pone come risposta a una esigenza pastorale precisa, portare il Vangelo vicino al Popolo attraverso l’annuncio della fede e la celebrazione dei sacramenti. La stessa etimologia del termine rende comprensibile il senso dell’istituzione: la parrocchia è una casa in mezzo alle case[10] e risponde alla logica dell’Incarnazione di Gesù Cristo, vivo e operante nella comunità umana. Essa, quindi, visivamente rappresentata dall’edificio di culto, è segno della presenza permanente del Signore Risorto in mezzo al suo Popolo.
8. La configurazione territoriale della parrocchia, tuttavia, è chiamata oggi a confrontarsi con una caratteristica peculiare del mondo contemporaneo, nel quale l’accresciuta mobilità e la cultura digitale hanno dilatato i confini dell’esistenza. Infatti, da una parte, la vita delle persone si identifica sempre meno con un contesto definito e immutabile, svolgendosi piuttosto in “un villaggio globale e plurale”; dall’altra, la cultura digitale ha modificato in maniera irreversibile la comprensione dello spazio, nonché il linguaggio e i comportamenti delle persone, specialmente quelle delle giovani generazioni.
Inoltre, è facile ipotizzare che il costante sviluppo della tecnologia modificherà ulteriormente il modo di pensare e la comprensione che l’uomo avrà di sé e della vita sociale. La rapidità dei cambiamenti, l’avvicendarsi dei modelli culturali, la facilità degli spostamenti e la velocità della comunicazione stanno trasformando la percezione dello spazio e del tempo.
9. La parrocchia, come comunità viva di credenti, è inserita in tale contesto, nel quale il legame con il territorio tende a essere sempre meno percepito, i luoghi di appartenenza divengono molteplici e le relazioni interpersonali rischiano di dissolversi nel mondo virtuale senza impegno né responsabilità verso il proprio contesto relazionale.
10. Si avverte oggi che tali cambiamenti culturali e il mutato rapporto con il territorio stanno promuovendo nella Chiesa, grazie alla presenza dello Spirito Santo, un nuovo discernimento comunitario, «che consiste nel vedere la realtà con gli occhi di Dio, nell’ottica dell’unità e della comunione»[11]. È dunque urgente coinvolgere l’intero Popolo di Dio nell’impegno di cogliere l’invito dello Spirito, per attuare processi di “ringiovanimento” del volto della Chiesa.
III. Il valore della parrocchia oggi
11. In virtù di tale discernimento, la parrocchia è chiamata a cogliere le istanze del tempo per adeguare il proprio servizio alle esigenze dei fedeli e dei mutamenti storici. Occorre un rinnovato dinamismo, che permetta di riscoprire la vocazione di ogni battezzato a essere discepolo di Gesù e missionario del Vangelo, alla luce dei documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II e del Magistero successivo.
12. I Padri conciliari, infatti, scrivevano con lungimiranza: «La cura delle anime deve essere animata da spirito missionario»[12]. In continuità con tale insegnamento, San Giovanni Paolo II precisava: «La parrocchia va perfezionata e integrata in molte altre forme, ma essa rimane tuttora un organismo indispensabile di primaria importanza nelle strutture visibili della Chiesa», per «fare dell’evangelizzazione il perno di tutta l’azione pastorale, quale esigenza prioritaria, preminente e privilegiata»[13]. Benedetto XVI insegnava poi che «la parrocchia è un faro che irradia la luce della fede e viene incontro così ai desideri più profondi e veri del cuore dell’uomo, dando significato e speranza alla vita delle persone e delle famiglie»[14]. Infine, Papa Francesco ricorda che «attraverso tutte le sue attività, la parrocchia incoraggia e forma i suoi membri perché siano agenti dell’evangelizzazione»[15].
13. Per promuovere la centralità della presenza missionaria della comunità cristiana nel mondo[16], è importante ripensare non solo a una nuova esperienza di parrocchia, ma anche, in essa, al ministero e alla missione dei sacerdoti, che, insieme con i fedeli laici, hanno il compito di essere “sale e luce del mondo” (cfr. Mt 5, 13-14), “lampada sul candelabro” (cfr. Mc 4, 21), mostrando il volto di una comunità evangelizzatrice, capace di un’adeguata lettura dei segni dei tempi, che genera una coerente testimonianza di vita evangelica.
14. A partire proprio da tale considerazione, in ascolto dello Spirito è necessario anche generare nuovi segni: non essendo più, come in passato, il luogo primario dell’aggregazione e della socialità, la parrocchia è chiamata a trovare altre modalità di vicinanza e di prossimità rispetto alle abituali attività. Tale compito non costituisce un peso da subire, ma una sfida da accogliere con entusiasmo.
15. I discepoli del Signore, seguendo il loro Maestro, alla scuola dei Santi e dei pastori, hanno imparato, talvolta attraverso esperienze sofferte, a saper aspettare i tempi e i modi di Dio, ad alimentare la certezza che Egli è sempre presente sino alla fine della storia, e che lo Spirito Santo – cuore che fa pulsare la vita della Chiesa – raduna i figli di Dio dispersi nel mondo. Per questo, la comunità cristiana non deve avere timore di avviare e accompagnare processi all’interno di un territorio in cui abitano culture diverse, nella fiduciosa certezza che per i discepoli di Cristo «nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore»[17].
IV. La missione, criterio guida per il rinnovamento
16. Nelle trasformazioni in atto, nonostante il generoso impegno, la parrocchia talora non riesce a corrispondere adeguatamente alle tante aspettative dei fedeli, specialmente considerando le molteplici tipologie di comunità[18]. è vero che una caratteristica della parrocchia è il suo radicarsi là dove ognuno vive quotidianamente. Però, specialmente oggi, il territorio non è più solo uno spazio geografico delimitato, ma il contesto dove ognuno esprime la propria vita fatta di relazioni, di servizio reciproco e di tradizioni antiche. È in questo “territorio esistenziale” che si gioca tutta la sfida della Chiesa in mezzo alla comunità. Sembra superata quindi una pastorale che mantiene il campo d’azione esclusivamente all’interno dei limiti territoriali della parrocchia, quando spesso sono proprio i parrocchiani a non comprendere più questa modalità, che appare segnata dalla nostalgia del passato, più che ispirata dall’audacia per il futuro[19]. D’altra parte, è bene precisare che sul piano canonico il principio territoriale rimane pienamente vigente, quando richiesto dal diritto[20].
17. Inoltre, la mera ripetizione di attività senza incidenza nella vita delle persone concrete, rimane uno sterile tentativo di sopravvivenza, spesso accolto dall’indifferenza generale. Se non vive del dinamismo spirituale proprio dell’evangelizzazione, la parrocchia corre il rischio di divenire autoreferenziale e di sclerotizzarsi, proponendo esperienze ormai prive di sapore evangelico e di mordente missionario, magari destinate solo a piccoli gruppi.
18. Il rinnovamento dell’evangelizzazione richiede nuove attenzioni e proposte pastorali diversificate, perché la Parola di Dio e la vita sacramentale possano raggiungere tutti, in maniera coerente con lo stato di vita di ciascuno. Infatti, l’appartenenza ecclesiale oggi prescinde sempre più dai luoghi di nascita e di crescita dei membri e si orienta piuttosto verso una comunità di adozione[21], dove i fedeli fanno un’esperienza più ampia del Popolo di Dio, di fatto, di un corpo che si articola in tante membra, dove ognuna opera per il bene di tutto l’organismo (cfr. 1 Cor 12, 12-27).
19. Al di là dei luoghi e delle ragioni di appartenenza, la comunità parrocchiale è il contesto umano dove si attua l’opera evangelizzatrice della Chiesa, si celebrano i sacramenti e si vive la carità, in un dinamismo missionario che – oltre a essere elemento intrinseco dell’azione pastorale – diventa criterio di verifica della sua autenticità. Nell’ora presente, caratterizzata talvolta da situazioni di emarginazione e solitudine, la comunità parrocchiale è chiamata a essere segno vivo della vicinanza di Cristo attraverso una rete di relazioni fraterne, proiettate verso le nuove forme di povertà.
20. In ragione di quanto detto sin qui, occorre individuare prospettive che permettano di rinnovare le strutture parrocchiali “tradizionali” in chiave missionaria. È questo il cuore della desiderata conversione pastorale, che deve toccare l’annuncio della Parola di Dio, la vita sacramentale e la testimonianza della carità, ovvero gli ambiti essenziali nei quali la parrocchia cresce e si conforma al Mistero in cui crede.
21. Percorrendo gli Atti degli Apostoli, ci si rende conto del protagonismo della Parola di Dio, potenza interiore che opera la conversione dei cuori. Essa è il cibo che alimenta i discepoli del Signore e li fa testimoni del Vangelo nelle diverse condizioni di vita. La Scrittura contiene una forza profetica che la rende sempre viva. Occorre, quindi, che la parrocchia educhi alla lettura e alla meditazione della Parola di Dio attraverso proposte diversificate di annuncio[22], assumendo forme comunicative limpide e comprensibili, che raccontino il Signore Gesù secondo la testimonianza sempre nuova del kerigma[23].
22. La celebrazione del mistero eucaristico, poi, è «fonte e apice di tutta la vita cristiana»[24] e dunque momento sostanziale del costituirsi della comunità parrocchiale. In essa la Chiesa diventa consapevole del significato del suo stesso nome: convocazione del Popolo di Dio che loda, supplica, intercede e ringrazia. Celebrando l’Eucaristia, la comunità cristiana accoglie la presenza viva del Signore Crocifisso e Risorto, ricevendo l’annuncio di tutto il suo mistero di salvezza.
23. Da qui la Chiesa avverte la necessità di riscoprire l’Iniziazione Cristiana, che genera una vita nuova, perché inserita nel mistero della vita stessa di Dio. È un cammino infatti che non conosce interruzione, né è legato solo a celebrazioni o a eventi, perché non è determinato in primo luogo dal dovere di compiere un “rito di passaggio”, ma unicamente dalla prospettiva della permanente sequela di Cristo. In questo contesto, può essere utile impostare itinerari mistagogici che tocchino realmente l’esistenza[25]. Anche la catechesi dovrà presentarsi come un continuo annuncio del Mistero di Cristo, al fine di far crescere nel cuore del battezzato la statura di Cristo (cfr. Ef 4, 13), attraverso un incontro personale con il Signore della vita.
Come ha ricordato Papa Francesco, occorre «richiamare l’attenzione su due falsificazioni della santità che potrebbero farci sbagliare strada: lo gnosticismo e il pelagianesimo. Sono due eresie sorte nei primi secoli cristiani, ma che continuano ad avere un’allarmante attualità»[26]. Nel caso dello gnosticismo, si tratta di una fede astratta, solo intellettuale, fatta di conoscenze che restano lontane dalla vita, mentre il pelagianesimo induce l’uomo a contare unicamente sulle proprie forze, ignorando l’azione dello Spirito.
24. Nell’intreccio misterioso tra l’agire di Dio e quello dell’uomo, la proclamazione del Vangelo avviene attraverso uomini e donne che rendono credibile ciò che annunciano mediante la vita, in una rete di relazioni interpersonali che generano fiducia e speranza. Nel periodo attuale, segnato spesso dall’indifferenza, dalla chiusura dell’individuo in se stesso e dal rifiuto dell’altro, la riscoperta della fraternità è fondamentale, dal momento che l’evangelizzazione è strettamente legata alla qualità delle relazioni umane[27]. Così, la comunità cristiana fa propria la parola di Gesù che sprona a «prendere il largo» (Lc 5, 4), nella fiducia che l’invito del Maestro a gettare le reti garantisce da sé la certezza di una “pesca abbondante”[28].
25. La “cultura dell’incontro” è il contesto che promuove il dialogo, la solidarietà e l’apertura verso tutti, facendo emergere la centralità della persona. È necessario, pertanto, che la parrocchia sia “luogo” che favorisce lo stare insieme e la crescita di relazioni personali durevoli, che consentano a ciascuno di percepire il senso di appartenenza e dell’essere ben voluto.
26. La comunità parrocchiale è chiamata a sviluppare una vera e propria “arte della vicinanza”. Se essa mette radici profonde, la parrocchia diventa realmente il luogo dove viene superata la solitudine, che intacca la vita di tante persone, nonché un «santuario dove gli assetati vanno a bere per continuare a camminare, e centro di costante invio missionario»[29].
V. “Comunità di comunità”: la parrocchia inclusiva, evangelizzatrice e attenta ai poveri
27. Il soggetto dell’azione missionaria ed evangelizzatrice della Chiesa è sempre il Popolo di Dio nel suo insieme. Infatti, il Codice di Diritto Canonico mette in evidenza che la parrocchia non si identifica con un edificio o un insieme di strutture, bensì con una precisa comunità di fedeli, nella quale il parroco è il pastore proprio[30]. In proposito Papa Francesco ha ricordato che «la parrocchia è presenza ecclesiale nel territorio, ambito dell’ascolto della Parola, della crescita della vita cristiana, del dialogo, dell’annuncio, della carità generosa, dell’adorazione e della celebrazione», e ha affermato che essa «è comunità di comunità»[31].
28. Le diverse componenti in cui la parrocchia si articola sono chiamate alla comunione e all’unità. Nella misura in cui ognuno recepisce la propria complementarità, ponendola a servizio della comunità, allora, da una parte si può vedere realizzato a pieno il ministero del parroco e dei presbiteri che collaborano come pastori, dall’altra emerge la peculiarità dei vari carismi dei diaconi, dei consacrati e dei laici, perché ognuno si adoperi per la costruzione dell’unico corpo (cfr. 1 Cor 12, 12).
29. La parrocchia, pertanto, è una comunità convocata dallo Spirito Santo per annunciare la Parola di Dio e far rinascere al fonte battesimale nuovi figli; radunata dal suo pastore, celebra il memoriale della passione, morte e risurrezione del Signore, e testimonia la fede nella carità, vivendo in permanente stato di missione, perché a nessuno venga a mancare il messaggio salvifico, che dona la vita.
In proposito, Papa Francesco si è così espresso: «La parrocchia non è una struttura caduca; proprio perché ha una grande plasticità, può assumere forme molto diverse che richiedono la docilità e la creatività missionaria del pastore e della comunità. Sebbene certamente non sia l’unica istituzione evangelizzatrice, se è capace di riformarsi e adattarsi costantemente, continuerà a essere “la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie”. Questo suppone che realmente stia in contatto con le famiglie e con la vita del popolo e non diventi una struttura prolissa separata dalla gente o un gruppo di eletti che guardano a se stessi. […] Però dobbiamo riconoscere che l’appello alla revisione e al rinnovamento delle parrocchie non ha ancora dato sufficienti frutti perché siano ancora più vicine alla gente, e siano ambiti di comunione viva e di partecipazione, e si orientino completamente verso la missione»[32].
30. Non può essere estraneo alla parrocchia lo “stile spirituale ed ecclesiale dei santuari” – veri e propri “avamposti missionari” – connotato dall’accoglienza, dalla vita di preghiera e dal silenzio che ristora lo spirito, nonché dalla celebrazione del sacramento della riconciliazione e dall’attenzione per i poveri. I pellegrinaggi che le comunità parrocchiali compiono ai vari santuari sono strumenti preziosi per crescere nella comunione fraterna e, al ritorno a casa, far diventare i propri luoghi di vita quotidiana maggiormente aperti e ospitali[33].
31. In tale prospettiva, si ha l’idea che il santuario possa racchiudere quell’insieme di caratteristiche e di servizi che, analogamente, anche una parrocchia deve avere, rappresentando per molti fedeli la meta desiderata della propria ricerca interiore e il luogo dove ci si incontra con il volto di Cristo misericordioso e con una Chiesa accogliente.
Nei santuari essi possono riscoprire “l’unzione dal Santo” (1 Gv 2,20), cioè la propria consacrazione battesimale. Da questi luoghi si impara a celebrare con fervore nella liturgia il mistero della presenza di Dio in mezzo al suo popolo, la bellezza della missione evangelizzatrice di ogni battezzato, la chiamata a tradurre la carità nei luoghi in cui si vive[34].
32. “Santuario” aperto verso tutti, la parrocchia, chiamata anche a raggiungere ciascuno, senza eccezione, ricorda che i poveri e gli esclusi devono sempre avere nel cuore della Chiesa un posto privilegiato. Come ha affermato Benedetto XVI: «I poveri sono i destinatari privilegiati del Vangelo»[35]. A sua volta Papa Francesco ha scritto che «La nuova evangelizzazione è un invito a riconoscere la forza salvifica delle loro esistenze e a porle al centro del cammino della Chiesa. Siamo chiamati a scoprire Cristo in loro, a prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause, ma anche ad essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro»[36].
33. Molto spesso la comunità parrocchiale è il primo luogo di incontro umano e personale dei poveri con il volto della Chiesa. In particolare, saranno i sacerdoti, i diaconi e i consacrati a muoversi a compassione per la “carne ferita”[37] dei fratelli, a visitarli nella malattia, a sostenere persone e famiglie senza lavoro, ad aprire la porta a quanti sono nel bisogno. Con lo sguardo rivolto agli ultimi, la comunità parrocchiale evangelizza e si lascia evangelizzare dai poveri, ritrovando in questo modo l’impegno sociale dell’annuncio in tutti i suoi differenti ambiti[38], senza scordare la “suprema regola” della carità in base alla quale saremo giudicati[39].
VI. Dalla conversione delle persone a quella delle strutture
34. In tale processo di rinnovamento e di ristrutturazione, la parrocchia deve evitare il rischio di cadere in una eccessiva e burocratica organizzazione di eventi e in un’offerta di servizi, che non esprimono la dinamica dell’evangelizzazione, bensì il criterio dell’autopreservazione[40].
Citando San Paolo VI, Papa Francesco, con la sua abituale parresia, ha fatto presente che «la Chiesa deve approfondire la coscienza di se stessa, meditare sul mistero che le è proprio. (…) Ci sono strutture ecclesiali che possono arrivare a condizionare un dinamismo evangelizzatore; ugualmente, le buone strutture servono quando c’è una vita che le anima, le sostiene e le giudica. Senza vita nuova e autentico spirito evangelico, senza ‘fedeltà della Chiesa alla propria vocazione’, qualsiasi nuova struttura si corrompe in poco tempo»[41].
35. La conversione delle strutture, che la parrocchia deve proporsi, richiede “a monte” un cambiamento di mentalità e un rinnovamento interiore, soprattutto di quanti sono chiamati alla responsabilità della guida pastorale. Per essere fedeli al mandato di Cristo, i pastori, e in modo particolare i parroci, «principali collaboratori del Vescovo»[42], devono avvertire con urgenza la necessità di una riforma missionaria della pastorale.
36. Tenendo presente quanto la comunità cristiana sia legata alla propria storia e ai propri affetti, ogni pastore non deve dimenticare che la fede del Popolo di Dio si rapporta alla memoria familiare e a quella comunitaria. Molto spesso, il luogo sacro evoca momenti di vita significativi delle generazioni passate, volti ed eventi che hanno segnato itinerari personali e familiari. Onde evitare traumi e ferite, è importante che i processi di ristrutturazione delle comunità parrocchiali e, talvolta, diocesane siano portati a compimento con flessibilità e gradualità.
Papa Francesco ha sottolineato in riferimento alla riforma della Curia Romana, che la gradualità «è il frutto dell’indispensabile discernimento che implica processo storico, scansione di tempi e di tappe, verifica, correzioni, sperimentazione, approvazioni “ad experimentum”. Dunque, in questi casi non si tratta di indecisione ma della flessibilità necessaria per poter raggiungere una vera riforma»[43]. Si tratta di fare attenzione a non “forzare i tempi”, volendo condurre a termine le riforme troppo frettolosamente e con criteri generici, che obbediscono a logiche elaborate “a tavolino”, dimenticando le persone concrete che abitano il territorio. Infatti, ogni progetto va situato nella vita reale di una comunità e innestato in essa senza traumi, con una necessaria fase di consultazione previa e una di progressiva attuazione, e di verifica.
37. Tale rinnovamento, naturalmente, non riguarda unicamente il parroco, né può essere imposto dall’alto escludendo il Popolo di Dio. La conversione pastorale delle strutture implica la consapevolezza che «il Santo Popolo fedele di Dio è unto con la grazia dello Spirito Santo; per tanto, all’ora di riflettere, pensare, valutare, discernere dobbiamo essere molto attenti a questa unzione. Ogni volta che, come Chiesa, come pastori, come consacrati abbiamo dimenticato questa certezza sbagliamo la strada. Ogni volta che vogliamo soppiantare, far tacere, annientare, ignorare o ridurre a piccole élite il Popolo di Dio nella sua totalità e nelle sue differenze, costruiamo comunità, piani pastorali, accentuazioni teologiche, spiritualità e strutture senza radici, senza storia, senza volto, senza memoria, senza corpo, di fatto, senza vita. Nel momento in cui ci sradichiamo dalla vita del Popolo di Dio, precipitiamo nella desolazione e pervertiamo la natura della Chiesa»[44].
In tal senso, il clero non opera da solo la trasformazione sollecitata dallo Spirito Santo, ma è coinvolto nella conversione che riguarda tutte le componenti del Popolo di Dio[45]. Perciò, occorre «cercare con consapevolezza e lucidità spazi di comunione e di partecipazione, perché l’Unzione dell’intero Popolo di Dio trovi le sue mediazioni concrete per manifestarsi»[46].
38. Di conseguenza, è evidente quanto sia opportuno il superamento tanto di una concezione autoreferenziale della parrocchia, quanto di una “clericalizzazione della pastorale”. Prendere sul serio il fatto che il Popolo di Dio «ha per condizione la dignità e la libertà dei figli di Dio, nel cuore dei quali dimora lo Spirito Santo come in un tempio»[47], spinge a promuovere pratiche e modelli tramite i quali ogni battezzato, in virtù del dono dello Spirito Santo e dei carismi ricevuti, si rende protagonista attivo dell’evangelizzazione, nello stile e nelle modalità di una comunione organica, sia con le altre comunità parrocchiali che con la pastorale d’insieme della diocesi. Infatti, è la comunità intera il soggetto responsabile della missione, dal momento che la Chiesa non si identifica con la sola gerarchia, ma si costituisce come Popolo di Dio.
39. Sarà compito dei pastori mantenere viva tale dinamica, perché ogni battezzato si scopra protagonista attivo dell’evangelizzazione. La comunità presbiterale, sempre in cammino di formazione permanente[48], dovrà esercitare con sapienza l’arte del discernimento che permette alla vita parrocchiale di crescere e di maturare, nel riconoscimento delle diverse vocazioni e ministeri. Il presbitero, quindi, come membro e servitore del Popolo di Dio che gli è stato affidato, non può sostituirsi a esso. La comunità parrocchiale è abilitata a proporre forme di ministerialità, di annuncio della fede e di testimonianza della carità.
40. La centralità dello Spirito Santo – dono gratuito del Padre e del Figlio alla Chiesa – porta a vivere profondamente la dimensione della gratuità, secondo l’insegnamento di Gesù: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10, 8). Egli ha insegnato ai discepoli un atteggiamento di servizio generoso, a essere ciascuno un dono per gli altri (cfr. Gv 13, 14-15), con una attenzione preferenziale verso i poveri. Da qui deriva, tra l’altro, l’esigenza di non “mercanteggiare” la vita sacramentale e di non dare l’impressione che la celebrazione dei sacramenti – soprattutto la Santissima Eucaristia – e le altre azioni ministeriali possano essere soggette a tariffari.
Il pastore, che serve il gregge con generosa gratuità, è tenuto, d’altra parte, a formare i fedeli, affinché ogni membro della comunità si senta responsabilmente e direttamente coinvolto nel sovvenire ai bisogni della Chiesa, attraverso le diverse forme di aiuto e di solidarietà, di cui la parrocchia necessita per svolgere, con libertà ed efficacia, il proprio servizio pastorale.
41. La missione a cui è chiamata la parrocchia, in quanto centro propulsore dell’evangelizzazione, riguarda dunque tutto il Popolo di Dio nelle sue diverse componenti: presbiteri, diaconi, consacrati e fedeli laici, ciascuno secondo il proprio carisma e secondo le responsabilità che gli corrispondono.
VII. La Parrocchia e le altre ripartizioni interne alla diocesi
42. La conversione pastorale della comunità parrocchiale in senso missionario, quindi, prende forma e si esprime in un processo graduale di rinnovamento delle strutture e, di conseguenza, in modalità diversificate di affidamento della cura pastorale e di partecipazione all’esercizio di essa, che coinvolgono tutte le componenti del Popolo di Dio.
43. Nel linguaggio corrente, mutuato dai documenti del Magistero, in relazione alla ripartizione interna del territorio diocesano[49], da alcuni decenni si sono aggiunte alla parrocchia e ai vicariati foranei, già previsti dal vigente Codice di Diritto Canonico[50], espressioni quali “unità pastorale” e “zona pastorale”. Tali denominazioni definiscono di fatto forme di organizzazione pastorale della diocesi, che esprimono un nuovo rapporto tra i fedeli e il territorio.
44. In tema di “unità” o “zone pastorali”, nessuno ovviamente pensi che la soluzione delle molteplici problematiche dell’ora presente si dia attraverso una semplice nuova denominazione per realtà già esistenti. Al cuore di tale processo di rinnovamento, evitando di subire il cambiamento e impegnandosi piuttosto a promuoverlo e a orientarlo, si trova invece l’esigenza di individuare strutture attraverso cui ravvivare in tutte le componenti della comunità cristiana la comune vocazione all’evangelizzazione, in vista di una più efficace cura pastorale del Popolo di Dio, in cui il “fattore chiave” non può che essere la prossimità.
45. In tale prospettiva, la normativa canonica mette in evidenza la necessità di individuare all’interno di ogni diocesi parti territoriali distinte[51], con la possibilità che esse siano successivamente raggruppate in realtà intermedie tra la diocesi stessa e la singola parrocchia. In conseguenza di ciò, quindi, tenuto conto delle dimensioni della diocesi e della sua concreta realtà pastorale, si possono individuare varie tipologie di raggruppamenti di parrocchie[52].
Al cuore degli stessi vive e opera la dimensione comunionale della Chiesa, con una particolare attenzione al territorio concreto, per cui nella loro erezione si deve tenere conto il più possibile dell’omogeneità della popolazione e delle sue consuetudini, nonché delle caratteristiche comuni del territorio, per facilitare la relazione di vicinanza tra i parroci e gli altri operatori pastorali[53].
VII.a. Come procedere all’erezione di un raggruppamento di parrocchie
46. Innanzitutto, prima di procedere all’erezione di un raggruppamento di parrocchie, il Vescovo deve necessariamente consultare in merito il Consiglio presbiterale[54], nel rispetto della normativa canonica e in nome della doverosa corresponsabilità ecclesiale, condivisa a diverso titolo tra il Vescovo e i membri di tale Consiglio.
47. Innanzitutto, i raggruppamenti di più parrocchie possono avvenire in semplice forma federativa, in modo che le parrocchie associate rimangano distinte nella loro identità.
Conformemente all’ordinamento canonico, comunque, nello stabilire ogni genere di raggruppamenti di parrocchie vicine, inoltre, va da sé che debbano essere rispettati gli elementi essenziali stabiliti dal diritto universale per la persona giuridica della parrocchia, i quali non sono dispensabili dal Vescovo[55]. Egli dovrà quindi emettere per ogni parrocchia che intenda eventualmente sopprimere un decreto specifico, corredato dalle motivazioni pertinenti[56].
48. Alla luce di quanto sopra esposto, dunque, il raggruppamento, nonché l’erezione o soppressione di parrocchie, va realizzato dal Vescovo diocesano nel rispetto della normativa prevista dal Diritto Canonico, cioè mediante incorporazione, per cui una parrocchia confluisce in un’altra, venendo da essa assorbita, e perdendo la sua originaria individualità e personalità giuridica; oppure, ancora, mediante vera e propria fusione, che dà vita a una nuova e unica parrocchia, con la conseguente estinzione delle parrocchie preesistenti e della loro personalità giuridica; o, infine, mediante divisione di una comunità parrocchiale in più parrocchie autonome, che vengono create ex novo[57].
Inoltre, la soppressione di parrocchie per unione estintiva è legittima per cause direttamente riguardanti una determinata parrocchia. Non sono invece motivi adeguati, ad esempio, la sola scarsità del clero diocesano, la situazione finanziaria generale della diocesi, o altre condizioni della comunità presumibilmente reversibili a breve scadenza (ad esempio, la consistenza numerica, la non autosufficienza economica, la modifica dell’assetto urbanistico del territorio). Come condizione di legittimità di questo genere di provvedimenti occorre che i motivi a cui ci si riferisce siano direttamente e organicamente connessi con la comunità parrocchiale interessata e non con considerazioni generali, teoriche e “di principio”.
49. A proposito dell’erezione e della soppressione di parrocchie, giova ricordare che ogni decisione deve essere adottata mediante formale decreto, redatto in forma scritta[58]. Di conseguenza, è da considerare non conforme alla normativa canonica emanare un unico provvedimento, volto a produrre una riorganizzazione di carattere generale riguardante l’intera diocesi, una parte di essa o un insieme di parrocchie, attuata tramite un unico atto normativo, decreto generale o legge particolare.
50. In modo particolare, nei casi di soppressione di parrocchie, il decreto deve indicare chiaramente, con riferimento alla situazione concreta, quali siano le ragioni che hanno indotto il Vescovo ad adottare la decisione. Esse dunque dovranno essere indicate specificamente, non potendo bastare una generica allusione al “bene delle anime”.
Nell’atto con cui si sopprime una parrocchia, infine, il Vescovo dovrà provvedere anche alla devoluzione dei suoi beni nel rispetto delle relative norme canoniche[59]; a meno che non vi siano gravi ragioni contrarie, sentito il Consiglio Presbiterale[60], occorrerà garantire che la chiesa della parrocchia soppressa continui a essere aperta per i fedeli.
51. Collegata al tema del raggruppamento di parrocchie e della eventuale soppressione di esse, è la necessità che a volte si verifica di ridurre una chiesa a uso profano non indecoroso[61], decisione che compete al Vescovo diocesano, dopo aver obbligatoriamente consultato il Consiglio Presbiterale[62].
Ordinariamente, anche in questo caso, non sono cause legittime per decretare tale riduzione la diminuzione del clero diocesano, il decremento demografico e la grave crisi finanziaria della diocesi. Al contrario, se l’edificio si trova in condizioni tali da non poter in alcun modo essere utilizzato per il culto divino e non ci sia possibilità di ripararlo, si potrà procedere a norma del diritto a ridurlo a uso profano non indecoroso.
VII.b. Vicariato foraneo
52. Innanzitutto, occorre ricordare che, «per favorire la cura pastorale mediante un’azione comune, il Vescovo diocesano può riunire più parrocchie vicine in peculiari raggruppamenti, quali sono i vicariati foranei»[63]; essi assumono nei vari luoghi denominazioni quali quelle di “decanati” o “arcipreture”, o anche di “zone pastorali” o “prefetture”[64].
53. Il vicario foraneo non deve necessariamente essere un parroco di una parrocchia determinata[65] e, perché si realizzi la finalità per cui il vicariato è eretto, tra le sue responsabilità, primaria è quella di «promuovere e coordinare l’attività pastorale comune nell’ambito del Vicariato»[66], in modo che non rimanga un’istituzione puramente formale. Inoltre, il vicario foraneo «è tenuto all’obbligo di visitare le parrocchie del suo distretto secondo quanto avrà determinato il Vescovo diocesano»[67]. Perché possa adempiere meglio la sua funzione e per favorire ancora di più l’attività comune tra le parrocchie, il Vescovo diocesano potrà conferire al vicario foraneo altre facoltà ritenute opportune in base al contesto concreto.
VII.c. Unità pastorale
54. Ispirandosi a finalità analoghe, quando le circostanze lo richiedono, in ragione dell’estensione territoriale del vicariato foraneo o del gran numero di fedeli, e sia perciò necessario favorire meglio la collaborazione organica tra parrocchie limitrofe, udito il Consiglio presbiterale[68], il Vescovo può anche decretare il raggruppamento stabile e istituzionale di varie parrocchie all’interno del vicariato foraneo[69], tenendo conto di alcuni criteri concreti.
55. Innanzitutto, è opportuno che i raggruppamenti (denominati “unità pastorali”[70]) siano delimitati in modo quanto più possibile omogeneo, anche dal punto di vista sociologico, perché possa essere realizzata una vera pastorale d’insieme o integrata[71], in prospettiva missionaria.
56. Inoltre, ogni parrocchia di tale raggruppamento deve essere affidata a un parroco o anche a un gruppo di sacerdoti in solidum, che si prenda cura di tutte le comunità parrocchiali[72]. In alternativa, ove stimato conveniente dal Vescovo, il raggruppamento potrà anche essere composto da più parrocchie, affidate allo stesso parroco[73].
57. In ogni caso, anche in considerazione dell’attenzione dovuta ai sacerdoti, che hanno svolto spesso il ministero con merito e con il riconoscimento delle comunità, nonché per il bene dei fedeli stessi, legati da vincoli di affetto e gratitudine ai loro pastori, si richiede che, al momento di costituire un determinato raggruppamento, il Vescovo diocesano non stabilisca con lo stesso decreto che, in più parrocchie unite e affidate a un solo parroco[74], altri eventuali parroci presenti, ancora in carica[75], vengano trasferiti automaticamente all’ufficio di vicari parrocchiali, o rimossi di fatto dal loro incarico.
58. In questi casi, a meno che non si tratti di un affidamento in solidum, compete al Vescovo diocesano, caso per caso, stabilire le funzioni del sacerdote moderatore di tali raggruppamenti di parrocchie, unitamente ai suoi rapporti con il vicario della forania[76], all’interno della quale è costituita l’unità pastorale.
59. Una volta creato secondo il diritto il raggruppamento di parrocchie – vicariato foraneo o “unità pastorale” – il Vescovo determinerà, secondo l’opportunità, se in esso le parrocchie debbano essere ciascuna dotata del Consiglio Pastorale Parrocchiale[77], oppure se sia meglio che tale compito sia affidato a un Consiglio pastorale unitario per tutte le comunità interessate. In ogni caso, le singole parrocchie integranti il raggruppamento, poiché conservano personalità e capacità giuridica, devono mantenere il proprio Consiglio per gli Affari Economici[78].
60. Al fine di valorizzare un’azione evangelizzatrice d’insieme e una cura pastorale più efficace, è opportuno che si costituiscano servizi pastorali comuni per determinati ambiti (ad esempio, catechesi, carità, pastorale giovanile o familiare) per le parrocchie del raggruppamento, con la partecipazione di tutte le componenti del Popolo di Dio, chierici, consacrati e fedeli laici.
VII.d. Zona pastorale
61. Se più “unità pastorali” possono costituire un vicariato foraneo, allo stesso modo, soprattutto nelle diocesi territorialmente più estese, diversi vicariati foranei, sentito il Consiglio presbiterale[79], possono essere riuniti dal Vescovo in “distretti” o “zone pastorali”[80], sotto la guida di un vicario episcopale[81] avente potestà esecutiva ordinaria per l’amministrazione pastorale della zona a nome del Vescovo diocesano, sotto la sua autorità e in comunione con lui, oltre alle speciali facoltà che questi voglia attribuirgli caso per caso.
VIII. Forme ordinarie e straordinarie di affidamento della cura pastorale della comunità parrocchiale
62. In primo luogo, il parroco e gli altri presbiteri, in comunione con il Vescovo, sono un riferimento fondamentale per la comunità parrocchiale, per il compito di pastori che a loro corrisponde[82]. Il parroco e il presbiterio, coltivando la vita comune e la fraternità sacerdotale, celebrano la vita sacramentale per la comunità e insieme a essa, e sono chiamati a organizzare la parrocchia in modo tale da essere segno efficace di comunione[83].
63. In relazione alla presenza e alla missione dei presbiteri nella comunità parrocchiale, merita una particolare menzione la vita comune[84]; essa è raccomandata dal can. 280, anche se non si configura come un obbligo per il clero secolare. Al riguardo, va ricordato il fondamentale valore dello spirito di comunione, della preghiera e dell’azione pastorale comune da parte dei chierici[85], in vista di una effettiva testimonianza di fraternità sacramentale[86] e di una più efficace azione evangelizzatrice.
64. Quando il presbiterio sperimenta la vita comunitaria, allora l’identità sacerdotale si rafforza, le preoccupazioni materiali diminuiscono e la tentazione dell’individualismo cede il passo alla profondità della relazione personale. La preghiera comune, la riflessione condivisa e lo studio, che non devono mai mancare nella vita sacerdotale, possono essere di grande sostegno nella formazione di una spiritualità presbiterale incarnata nel quotidiano.
In ogni caso, sarà conveniente che, secondo il suo discernimento e nel limite del possibile, il Vescovo tenga conto dell’affinità umana e spirituale tra i sacerdoti, ai quali intende affidare una parrocchia o un raggruppamento di parrocchie, invitandoli a una generosa disponibilità per la nuova missione pastorale e a qualche forma di condivisione di vita con i confratelli[87].
65. In alcuni casi, soprattutto dove non esiste tradizione, o consuetudine di casa canonica, o quando essa non è per qualche ragione disponibile come abitazione del sacerdote, può accadere che egli ritorni a vivere presso la famiglia di origine, primo luogo di formazione umana e di scoperta vocazionale[88].
Tale sistemazione, per un verso si rivela un apporto positivo per la vita quotidiana del prete, nel senso di garantirgli un ambiente domestico sereno e stabile, soprattutto quando siano ancora presenti i genitori. D’altra parte, si dovrà evitare che tali relazioni familiari siano vissute dal sacerdote con dipendenza interiore e minore disponibilità per un ministero a tempo pieno, o come alternativa escludente – piuttosto che come complemento – al rapporto con la famiglia presbiterale e la comunità dei fedeli laici.
VIII.a. Parroco
66. L’ufficio di parroco comporta la piena cura delle anime[89] e, di conseguenza, perché un fedele sia validamente nominato parroco, occorre che abbia ricevuto l’Ordine del presbiterato[90], esclusa ogni possibilità di conferire a chi ne fosse privo tale ufficio o le relative funzioni, anche nei casi di carenza di sacerdoti. Proprio per il rapporto di conoscenza e vicinanza che si richiede tra un pastore e la comunità, l’ufficio di parroco non può essere affidato a una persona giuridica[91]. In modo particolare – a parte quanto previsto dal can. 517, §§ 1-2 – l’ufficio di parroco non può essere affidato a un gruppo di persone, composto da chierici e laici. Di conseguenza, sono da evitare denominazioni come, “team guida”, “équipe guida”, o altre simili, che sembrino esprimere un governo collegiale della parrocchia.
67. In conseguenza del suo essere il «pastore proprio della parrocchia affidatagli»[92], al parroco spetta ipso iure la rappresentanza giuridica della parrocchia[93]. Egli è l’amministratore responsabile dei beni parrocchiali, che sono “beni ecclesiastici” e sono pertanto sottoposti alle relative norme canoniche[94].
68. Come afferma il Concilio Ecumenico Vaticano II, «i parroci nella loro parrocchia devono poter godere di quella stabilità nell’ufficio che il bene delle anime esige»[95]. Come principio generale, si richiede quindi che il parroco sia «nominato a tempo indeterminato»[96].
Il Vescovo diocesano, tuttavia, può nominare parroci a tempo determinato, se così è stato stabilito per decreto dalla Conferenza Episcopale. In ragione della necessità che il parroco possa stabilire un effettivo ed efficace legame con la comunità affidatagli, è conveniente che le Conferenze Episcopali non stabiliscano un tempo troppo breve, inferiore ai 5 anni, per la nomina a tempo determinato.
69. In ogni caso, i parroci, anche se nominati a “tempo indeterminato”, o prima della scadenza del “tempo determinato”, devono essere disponibili per essere eventualmente trasferiti a un’altra parrocchia o a un altro ufficio, «se il bene delle anime oppure la necessità o l’utilità della Chiesa lo richiedono»[97]. Giova infatti ricordare che il parroco è al servizio della parrocchia, e non il contrario.
70. Ordinariamente, ove possibile, è bene che il parroco abbia la cura pastorale di una sola parrocchia, ma «tuttavia per la scarsità di sacerdoti o per altre circostanze, può essere affidata al medesimo parroco la cura di più parrocchie vicine»[98]. Ad esempio, tra le “altre circostanze” possono essere annoverate l’esiguità del territorio o della popolazione, nonché la contiguità tra le parrocchie interessate. Il Vescovo diocesano valuti attentamente che, se allo stesso parroco sono affidate più parrocchie, questi possa esercitare pienamente e concretamente come vero pastore l’ufficio di parroco di tutte e di ciascuna di esse[99].
71. Una volta nominato, il parroco rimane nel pieno esercizio delle funzioni affidategli, con tutti i diritti e le responsabilità, fino a quando non abbia cessato legittimamente il suo ufficio pastorale[100]. Per la sua rimozione o per il trasferimento prima della scadenza del mandato devono essere osservate le relative procedure canoniche, di cui la Chiesa si serve per il discernimento di ciò che conviene nel caso concreto[101].
72. Quando lo richiede il bene dei fedeli, anche se non ci sono altre cause di cessazione, il parroco che ha raggiunto i 75 anni di età, accolga l’invito che il Vescovo diocesano può rivolgergli a rinunciare alla parrocchia[102]. La presentazione della rinuncia, raggiunti i 75 anni di età[103], da considerarsi un dovere morale, se non canonico, non fa sì che il parroco decada automaticamente dal suo ufficio. La cessazione da esso avviene solo quando il Vescovo diocesano abbia comunicato al parroco interessato, per iscritto, l’accettazione della sua rinuncia[104]. D’altra parte, il Vescovo tenga in benevola considerazione la rinuncia presentata da un parroco, anche solo in ragione del compimento dei 75 anni.
73. In ogni caso, al fine di evitare una concezione funzionalistica del ministero, prima di accettare la rinuncia, il Vescovo diocesano pondererà prudentemente tutte le circostanze della persona e del luogo, come ad esempio la presenza di motivi di salute o disciplinari, la scarsità di sacerdoti, il bene della comunità parrocchiale, e altri elementi di tal genere, e accetterà la rinuncia in presenza di una causa giusta e proporzionata[105].
74. Diversamente, se le condizioni personali del sacerdote lo permettono e l’opportunità pastorale lo consiglia, il Vescovo consideri la possibilità di lasciarlo nell’ufficio di parroco, magari affiancandogli un aiuto e preparando la successione. Inoltre, «secondo i casi, il Vescovo può affidare una parrocchia più piccola e meno impegnativa ad un parroco che ha rinunciato»[106], o comunque gli assegni un altro incarico pastorale adeguato alle sue concrete possibilità, invitando il sacerdote a comprendere, se ce ne fosse bisogno, che in nessun caso dovrà sentirsi “retrocesso” o “punito” per un trasferimento di tal genere.
VIII.b. Amministratore parrocchiale
75. Qualora non sia possibile procedere nell’immediato con la nomina del parroco, la designazione di amministratori parrocchiali[107] deve avvenire solo in conformità con quanto stabilito dalla normativa canonica[108].
Infatti, si tratta di un ufficio essenzialmente transitorio e viene esercitato nell’attesa della nomina del nuovo parroco. Per questo motivo è illegittimo che il Vescovo diocesano nomini un amministratore parrocchiale e lo lasci in tale incarico per un lungo periodo, superiore a un anno, o, addirittura, in modo stabile, evitando di provvedere alla nomina del parroco.
Secondo quanto l’esperienza attesta, tale soluzione viene adottata sovente per eludere le condizioni del diritto relative al principio della stabilità del parroco, del quale costituisce una violazione, con danno della missione del presbitero interessato, nonché della comunità stessa, che, in condizioni di incertezza circa la presenza del pastore, non potrà programmare piani di evangelizzazione di ampio respiro e si dovrà limitare a una pastorale di conservazione.
VIII.c. Affidamento in solido
76. Come ulteriore possibilità, «quando le circostanze lo richiedano, la cura pastorale di una parrocchia, o di più parrocchie contemporaneamente, può essere affidata “in solidum” a più sacerdoti»[109]. Tale soluzione può essere adottata quando, a discrezione del Vescovo, lo richiedano le circostanze concrete, in modo particolare per il bene delle comunità interessate, tramite una azione pastorale condivisa e più efficace, nonché per promuovere una spiritualità di comunione tra i presbiteri[110].
In tali casi, il gruppo di presbiteri, in comunione con le altre componenti delle comunità parrocchiali interessate, agisce con deliberazione comune, essendo il Moderatore nei confronti degli altri sacerdoti, parroci a tutti gli effetti, un primus inter pares.
77. Si raccomanda vivamente che ogni comunità di sacerdoti, ai quali è affidata in solidum la cura pastorale di una o più parrocchie, elabori un regolamento interno perché ciascun presbitero possa meglio adempiere i compiti e le funzioni che gli competono[111].
Come responsabilità propria, il Moderatore coordina il lavoro comune della parrocchia o delle parrocchie affidate al gruppo, assume la rappresentanza giuridica di esse[112], coordina l’esercizio della facoltà di assistere alle nozze e di concedere dispense che spetta ai parroci[113] e risponde davanti al Vescovo di tutta l’attività del gruppo[114].
VIII.d. Vicario parrocchiale
78. Come arricchimento, all’interno delle possibilità sopra prospettate, può trovare posto la possibilità che un sacerdote venga nominato vicario parrocchiale e incaricato di uno specifico settore della pastorale (giovani, anziani, malati, associazioni, confraternite, formazione, catechesi, etc.), “trasversale” a diverse parrocchie, oppure per adempiere a tutto il ministero, o a una parte precisa di questo, in una di esse[115].
Nel caso dell’incarico conferito a un vicario parrocchiale in più parrocchie, affidate a diversi parroci, sarà conveniente esplicitare e descrivere nel Decreto di nomina, i compiti che gli sono affidati in relazione a ciascuna comunità parrocchiale, nonché il tipo di rapporto da intrattenere con i parroci in relazione alla residenza, al sostentamento e alla celebrazione della Santa Messa.
VIII.e. Diaconi
79. I diaconi sono ministri ordinati, incardinati in una diocesi o nelle altre realtà ecclesiali che ne abbiano la facoltà[116]; sono collaboratori del Vescovo e dei presbiteri nell’unica missione evangelizzatrice con il compito specifico, in virtù del sacramento ricevuto, di «servire il popolo di Dio nella diaconia della liturgia, della parola e della carità»[117].
80. A salvaguardia dell’identità dei diaconi, in vista della promozione del loro ministero, Papa Francesco ha dapprima messo in guardia contro alcuni rischi relativi alla comprensione della natura del diaconato: «Dobbiamo stare attenti a non vedere i diaconi come mezzi preti e mezzi laici. […] E nemmeno va bene l’immagine del diacono come una specie di intermediario tra i fedeli e i pastori. Né a metà strada fra i preti e i laici, né a metà strada fra i pastori e i fedeli. E ci sono due tentazioni. C’è il pericolo del clericalismo: il diacono che è troppo clericale. […] E l’altra tentazione, il funzionalismo: è un aiuto che ha il prete per questo o per quello»[118].
Proseguendo il medesimo discorso, il Santo Padre ha poi offerto alcune precisazioni in merito al ruolo specifico dei diaconi all’interno della comunità ecclesiale: «Il diaconato è una vocazione specifica, una vocazione familiare cherichiama il servizio. […]Questa parola è la chiave per capire il vostro carisma. Il servizio come uno dei doni caratteristici del popolo di Dio. Il diacono è – per così dire – il custode del servizio nella Chiesa. Ogni parola dev’essere ben misurata. Voi siete i custodi del servizio nella Chiesa: il servizio alla Parola, il servizio all’Altare, il servizio ai Poveri»[119].
81. La dottrina sul diaconato ha conosciuto lungo i secoli un’importante evoluzione. La sua ripresa nel Concilio Ecumenico Vaticano II coincide anche con una chiarificazione dottrinale e con un ampliamento dell’azione ministeriale di riferimento, che non si limita a “confinare” il diaconato nel solo ambito del servizio caritativo o a riservarlo – secondo quanto stabilito dal Concilio di Trento – ai soli transeunti e quasi unicamente per il servizio liturgico. Piuttosto, il Concilio Vaticano II specifica che si tratta di un grado del sacramento dell’Ordine e, perciò, essi «sostenuti dalla grazia sacramentale, nella “diaconia” della liturgia, della predicazione e della carità servono il popolo di Dio, in comunione col vescovo e con il suo presbiterio»[120].
La ricezione post-conciliare riprende quanto stabilito da Lumen gentium e definisce sempre meglio l’ufficio dei diaconi come partecipazione, seppur in un grado diverso, del sacramento dell’Ordine. Nell’Udienza concessa ai partecipanti al Congresso Internazionale sul Diaconato, Paolo VI volle ribadire, infatti, che il diacono serve le comunità cristiane «sia nell’annuncio della Parola di Dio che nel ministero dei sacramenti e nell’esercizio della carità»[121]. D’altra parte, benché nel Libro degli Atti (At 6,1-6) sembrerebbe che i sette uomini scelti siano destinati solo al servizio delle mense, in realtà, lo stesso Libro biblico racconta come Stefano e Filippo svolgano a pieno titolo la “diaconia della Parola”. Dunque, come collaboratori dei Dodici e di Paolo, essi esercitano il loro ministero in due ambiti: l’evangelizzazione e la carità.
Dunque, sono molti gli incarichi ecclesiali che possono essere affidati a un diacono, ossia tutti quelli che non comportano la piena cura delle anime[122]. Il Codice di Diritto Canonico, tuttavia, determina quali uffici sono riservati al presbitero e quali possono essere affidati anche ai fedeli laici, mentre non compare l’indicazione di qualche particolare ufficio in cui il ministero diaconale possa esprimere la sua specificità.
82. In ogni caso, la storia del diaconato ricorda che esso è stato istituito nell’ambito di una visione ministeriale di Chiesa e, perciò, come ministero ordinato al servizio della Parola e della carità; quest’ultimo ambito comprende anche l’amministrazione dei beni. Tale duplice missione del diacono, poi, si esprime nell’ambito liturgico, nel quale egli è chiamato a proclamare il Vangelo e a prestare servizio alla mensa eucaristica. Proprio questi riferimenti potrebbero giovare a individuare compiti specifici per il diacono, valorizzando gli aspetti propri di tale vocazione in vista della promozione del ministero diaconale.
VIII.f. Le persone consacrate
83. All’interno della comunità parrocchiale, in numerosi casi, sono presenti persone appartenenti alla vita consacrata. Questa, «infatti, non è una realtà esterna o indipendente dalla vita della Chiesa locale, ma costituisce un modo peculiare, segnato dal radicalismo evangelico, di essere presente al suo interno, con i suoi doni specifici»[123]. Inoltre, integrata nella comunità insieme ai chierici e ai laici, la vita consacrata «si colloca nella dimensione carismatica della Chiesa. […]. La spiritualità degli Istituti di vita consacrata può diventare, sia per il fedele laico che per il presbitero, una significativa risorsa per vivere la propria vocazione»[124].
84. Il contributo che i consacrati possono portare alla missione evangelizzatrice della comunità parrocchiale deriva in primo luogo dal loro “essere”, cioè dalla testimonianza di una radicale sequela di Cristo mediante la professione dei consigli evangelici[125], e solo secondariamente anche dal loro “fare”, cioè dalle opere compiute conformemente al carisma di ogni istituto (ad esempio, catechesi, carità, formazione, pastorale giovanile, cura dei malati)[126].
VIII.g. Laici
85. La comunità parrocchiale si compone in special modo di fedeli laici[127], i quali, in forza del battesimo e degli altri sacramenti dell’iniziazione cristiana, e in molti anche del matrimonio[128], partecipano dell’azione evangelizzatrice della Chiesa, dal momento che «la vocazione e la missione propria dei fedeli laici è la trasformazione delle varie realtà terrene affinché ogni attività umana sia trasformata dal Vangelo»[129].
In modo particolare, i fedeli laici, avendo come proprio e specifico il carattere secolare, ovvero «cercare il Regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio»[130], «possono anche sentirsi chiamati o essere chiamati a collaborare con i loro pastori nel servizio della comunità ecclesiale, per la crescita e la vitalità della medesima, esercitando ministeri diversissimi, secondo la grazia e i carismi che il Signore vorrà loro dispensare»[131].
86. A tutti i fedeli laici si richiede oggi un generoso impegno al servizio della missione evangelizzatrice, innanzitutto con la generale testimonianza di una vita quotidiana conforme al Vangelo nei consueti ambienti di vita e in ogni livello di responsabilità, poi in particolare con l’assunzione di impegni loro corrispondenti al servizio della comunità parrocchiale[132].
VIII.h. Altre forme di affidamento della cura pastorale
87. Esiste poi una ulteriore modalità per il Vescovo – come illustra il can. 517, § 2 – di provvedere alla cura pastorale di una comunità anche qualora, per la scarsità di sacerdoti, non sia possibile nominare un parroco né un amministratore parrocchiale, che possa assumerla a tempo pieno. In tali circostanze pastoralmente problematiche, per sostenere la vita cristiana e far proseguire la missione evangelizzatrice della comunità, il Vescovo diocesano può affidare una partecipazione all’esercizio della cura pastorale di una parrocchia a un diacono, a un consacrato o un laico, o anche a un insieme di persone (ad esempio, un istituto religioso, una associazione)[133].
88. Coloro ai quali verrà in tal modo affidata la partecipazione nell’esercizio della cura pastorale della comunità, saranno coordinati e guidati da un presbitero con legittime facoltà, costituito “Moderatore della cura pastorale”, al quale esclusivamente competono la potestà e le funzioni del parroco, pur non avendone l’ufficio, con i conseguenti doveri e diritti.
Giova ricordare che si tratta di una forma straordinaria di affidamento della cura pastorale, dovuta all’impossibilità di nominare un parroco o un amministratore parrocchiale, da non confondere con l’ordinaria cooperazione attiva e con l’assunzione di responsabilità da parte di tutti i fedeli.
89. In vista del ricorso a tale rimedio straordinario, occorre preparare adeguatamente il Popolo di Dio, avendo poi cura di adottarlo solo per il tempo necessario, non indefinitamente[134]. La retta comprensione e applicazione di tale canone richiede che il ricorso a quanto previsto, «avvenga nell’accurato rispetto delle clausole in esso contenute, ovvero: a)“per carenza di sacerdoti”,e non per ragioni di comodità o di una equivoca “promozione del laicato” […]; b) fermo restando che si tratta di“partecipazione nell’esercizio della cura pastorale”e non di dirigere, coordinare, moderare, governare la parrocchia; cosa che, secondo il testo del canone, compete solo ad un sacerdote»[135].
90. In vista di condurre a buon fine l’affidamento della cura pastorale secondo il can. 517, § 2[136], occorre attenersi ad alcuni criteri. Innanzitutto, trattandosi di una soluzione pastorale straordinaria e temporanea[137], l’unica causa canonica che rende legittimo il ricorso a essa è una mancanza di sacerdoti, tale che non sia possibile provvedere alla cura pastorale della comunità parrocchiale con la nomina di un parroco o di un amministratore parrocchiale. Inoltre, uno o più diaconi saranno da preferire a consacrati e laici per tale forma di gestione della cura pastorale[138].
91. In ogni caso, il coordinamento dell’attività pastorale così organizzata compete al presbitero designato dal Vescovo diocesano come Moderatore; esclusivamente tale sacerdote ha le potestà e le facoltà proprie del parroco; gli altri fedeli hanno, invece, «una partecipazione all’esercizio della cura pastorale della parrocchia»[139].
92. Sia il diacono, sia le altre persone non insignite dell’ordine sacro, che partecipano all’esercizio della cura pastorale, possono compiere soltanto le funzioni che corrispondono al rispettivo stato diaconale o di fedele laico, rispettando «le proprietà originarie di diversità e complementarietà tra i doni e le funzioni dei ministri ordinati e dei fedeli laici, proprie della Chiesa che Dio ha voluto organicamente strutturata»[140].
93. Infine, nel Decreto con cui nomina il presbitero Moderatore è vivamente raccomandato che il Vescovo esponga, almeno sommariamente, le motivazioni in virtù delle quali si è resa necessaria l’applicazione di una forma straordinaria di affidamento della cura pastorale di una o più comunità parrocchiali e, conseguentemente, le forme dell’esercizio del ministero del sacerdote incaricato.
IX. Incarichi e ministeri parrocchiali
94. Oltre alla collaborazione occasionale, che ogni persona di buona volontà – anche i non battezzati – può offrire alle attività quotidiane della parrocchia, esistono alcuni incarichi stabili, in base ai quali i fedeli accolgono la responsabilità per un certo tempo di un servizio all’interno della comunità parrocchiale. Si può pensare, ad esempio, ai catechisti, ai ministranti, agli educatori che operano in gruppi e associazioni, agli operatori della carità e a quelli che si dedicano ai diversi tipi di consultorio o centro di ascolto, a coloro che visitano i malati.
95. In ogni caso, nel designare gli incarichi affidati ai diaconi, ai consacrati e ai fedeli laici che ricevono una partecipazione all’esercizio della cura pastorale, occorre usare una terminologia che corrisponda in modo corretto alle funzioni che essi possono esercitare conformemente al loro stato, così da mantenere chiara la differenza essenziale che intercorre tra il sacerdozio comune e il sacerdozio ministeriale, e in modo che sia evidente l’identità dell’impegno ricevuto da ciascuno.
96. In tale senso, innanzitutto, è responsabilità del Vescovo diocesano e, per quanto gli compete, del parroco, che gli incarichi dei diaconi, dei consacrati e dei laici, che hanno ruoli di responsabilità in parrocchia, non siano designati con le espressioni di “parroco”, “co-parroco”, “pastore”, “cappellano”, “moderatore”, “coordinatore”, “responsabile parrocchiale” o con altre denominazioni simili[141], riservate dal diritto ai sacerdoti[142], in quanto hanno diretta attinenza con il profilo ministeriale dei presbiteri.
Nei confronti dei suddetti fedeli e dei diaconi, risultano parimenti illegittime e non conformi alla loro identità vocazionale, espressioni come «affidare la cura pastorale di una parrocchia», «presiedere la comunità parrocchiale», e altre similari, che si riferiscono alla peculiarità del ministero sacerdotale, che compete al parroco.
Più appropriata sembra essere, ad esempio, la denominazione di “diacono cooperatore” e, per i consacrati e i laici, di “coordinatore di.. (un settore della pastorale)”, di “cooperatore pastorale”, di “assistente pastorale” e di “incaricato di.. (un settore della pastorale)”.
97. I fedeli laici a norma del diritto possono essere istituiti lettori e accoliti in forma stabile, tramite apposito rito, secondo il can. 230, § 1. Il fedele non ordinato può assumere la denominazione di “ministro straordinario” solo se, effettivamente, è stato chiamato dall’Autorità competente[143] a compiere le funzioni di supplenza di cui ai cann. 230, § 3 e 943. La deputazione temporanea nelle azioni liturgiche, di cui al can. 230, § 2, anche se si protrae nel tempo, non conferisce alcuna denominazione speciale al fedele non ordinato[144].
Tali fedeli laici devono essere in piena comunione con la Chiesa Cattolica[145], aver ricevuto una formazione adeguata alla funzione che sono chiamati a svolgere, nonché tenere una condotta personale e pastorale esemplare, che li renda autorevoli nello svolgere il servizio.
98. Oltre a quanto compete ai Lettori e agli Accoliti stabilmente istituiti[146], il Vescovo, a suo prudente giudizio, potrà affidare ufficialmente alcuni incarichi[147] ai diaconi, alle persone consacrate e ai fedeli laici, sotto la guida e la responsabilità del parroco, come, ad esempio:
1°. La celebrazione di una liturgia della Parola nelle domeniche e nelle feste di precetto, quando «per mancanza del ministro sacro o per altra grave causa diventa impossibile la partecipazione alla celebrazione eucaristica»[148]. Si tratta di una eventualità eccezionale, a cui fare ricorso solo in circostanze di vera impossibilità e sempre avendo cura di affidare tali liturgie ai diaconi, qualora siano presenti;
2°. L’amministrazione del battesimo, tenendo presente che «ministro ordinario del battesimo è il Vescovo, il presbitero e il diacono»[149] e che quanto previsto dal can. 861, § 2 costituisce un’eccezione, da valutarsi a discrezione dell’Ordinario del luogo;
3°. La celebrazione del rito delle esequie, nel rispetto di quanto previsto dal n. 19 dei Praenotanda dell’Ordo exsequiarum.
99. I fedeli laici possono predicare in una chiesa o in un oratorio, se le circostanze, la necessità o un caso particolare lo richiedano, «secondo le disposizioni della Conferenza Episcopale»[150] e «in conformità al diritto o alle norme liturgiche e nell’osservanza delle clausole in essi contenute»[151]. Essi non potranno invece in alcun caso tenere l’omelia durante la celebrazione dell’Eucaristia[152].
100. Inoltre, «dove mancano sacerdoti e diaconi, il Vescovo diocesano, previo il voto favorevole della Conferenza Episcopale e ottenuta la licenza dalla Santa Sede, può delegare dei laici perché assistano ai matrimoni»[153].
X. Gli organismi di corresponsabilità ecclesiale
X.a. Il Consiglio parrocchiale per gli Affari Economici
101. La gestione dei beni di cui ogni parrocchia in diversa misura dispone è un ambito importante di evangelizzazione e di testimonianza evangelica, di fronte alla Chiesa e alla società civile, in quanto, come ha ricordato Papa Francesco, «tutti i beni che abbiamo, il Signore ce li dà per far andare avanti il mondo, per far andare avanti l’umanità, per aiutare gli altri»[154]. Il parroco, quindi, non può e non deve restare solo in tale compito[155], ma è necessario che sia assistito da collaboratori per amministrare i beni della Chiesa innanzitutto con zelo evangelizzatore e spirito missionario[156].
102. Per tale ragione, in ogni parrocchia deve necessariamente essere costituito il Consiglio per gli Affari Economici, organismo consultivo, presieduto dal parroco e formato da almeno altri tre fedeli[157]; il numero minimo di tre è necessario perché si possa considerare “collegiale” tale Consiglio; giova ricordare che il parroco non è compreso tra i membri del Consiglio per gli Affari Economici, ma lo presiede.
103. In assenza di norme specifiche date dal Vescovo diocesano, sarà il parroco a determinare il numero dei membri del Consiglio, in rapporto alle dimensioni della parrocchia, e se essi debbano essere da lui nominati, o piuttosto eletti dalla comunità parrocchiale.
I membri di tale consiglio, non necessariamente appartenenti alla parrocchia stessa, devono essere di provata buona fama, nonché esperti in questioni economiche e giuridiche[158], tali da poter rendere un servizio effettivo e competente, in modo che il Consiglio non sia costituito solo formalmente.
104. Infine, a meno che il Vescovo diocesano non abbia disposto altrimenti, osservate la dovuta prudenza, nonché eventuali norme di diritto civile, nulla vieta che la medesima persona possa essere membro del Consiglio per gli Affari Economici di più parrocchie, qualora le circostanze lo richiedano.
105. Le norme eventualmente emanate in materia da parte del Vescovo diocesano dovranno tenere conto delle situazioni specifiche delle parrocchie, come ad esempio di quelle di consistenza particolarmente modesta o di quelle facenti parte di una unità pastorale[159].
106. Il Consiglio per gli Affari Economici può svolgere un ruolo di particolare importanza nel far crescere, all’interno delle comunità parrocchiali, la cultura della corresponsabilità, della trasparenza amministrativa e del sovvenire alle necessità della Chiesa. In modo particolare, la trasparenza va intesa non solo come formale presentazione di dati, ma piuttosto come doverosa informazione della comunità, e proficua opportunità per un suo coinvolgimento formativo. Si tratta di un modus agendi imprescindibile per la credibilità della Chiesa, soprattutto dove questa si trova ad avere beni significativi da amministrare.
107. Ordinariamente, l’obiettivo della trasparenza può essere conseguito pubblicando il rendiconto annuale che deve essere prima presentato all’Ordinario del luogo[160], con l’indicazione dettagliata delle entrate e delle uscite. Così, dal momento che i beni sono della parrocchia, non del parroco, che pure ne è amministratore, la comunità nel suo insieme potrà essere consapevole di come i beni sono stati amministrati, di quale sia la situazione economica della parrocchia e di quali risorse essa possa effettivamente disporre.
X.b. Il Consiglio pastorale parrocchiale
108. La vigente normativa canonica[161] lascia al Vescovo diocesano la valutazione circa l’erezione nelle parrocchie di un Consiglio pastorale, che può comunque essere considerato ordinariamente come vivamente raccomandato, come ha ricordato Papa Francesco, «Quanto sono necessari, i consigli pastorali! Un Vescovo non può guidare una diocesi senza i consigli pastorali. Un parroco non può guidare la parrocchia senza i consigli pastorali»[162].
L’elasticità della norma permette comunque gli adattamenti ritenuti opportuni nelle circostanze concrete, come, ad esempio, nel caso di più parrocchie affidate a un solo parroco, o in presenza di unità pastorali: è possibile in tali casi costituire un unico Consiglio pastorale per più parrocchie.
109. Il senso teologico del Consiglio pastorale si iscrive nella realtà costitutiva della Chiesa, cioè il suo essere “Corpo di Cristo”, che genera una “spiritualità di comunione”. Nella Comunità cristiana, infatti, la diversità di carismi e ministeri che deriva dall’incorporazione al Cristo e dal dono dello Spirito, non può mai essere omologata fino a diventare «uniformità, obbligo di fare tutto insieme e tutto uguale, di pensare tutti sempre allo stesso modo»[163]. Al contrario, in virtù del sacerdozio battesimale[164], ogni fedele è stabilito per l’edificazione di tutto il Corpo e, al contempo, l’insieme del Popolo di Dio, nella reciproca corresponsabilità dei suoi membri, partecipa della missione della Chiesa, cioè discerne nella storia i segni della presenza di Dio e diventa testimone del Suo Regno[165].
110. Lungi dall’essere un semplice organismo burocratico, dunque, il Consiglio pastorale mette in rilievo e realizza la centralità del Popolo di Dio come soggetto e protagonista attivo della missione evangelizzatrice, in virtù del fatto che ogni fedele ha ricevuto i doni dello Spirito attraverso il battesimo e la cresima: «Rinascere alla vita divina nel battesimo è il primo passo; occorre poi comportarsi da figli di Dio, ossia conformarsi al Cristo che opera nella santa Chiesa, lasciandosi coinvolgere nella sua missione nel mondo. A ciò provvede l’unzione dello Spirito Santo: “senza la sua forza, nulla è nell’uomo” (cfr Sequenza di Pentecoste). […] Come tutta la vita di Gesù fu animata dallo Spirito, così pure la vita della Chiesa e di ogni suo membro sta sotto la guida del medesimo Spirito»[166].
Alla luce di questa visione di fondo, si possono ricordare le parole di S. Paolo VI secondo il quale «È compito del Consiglio Pastorale studiare, esaminare tutto ciò che concerne le attività pastorali, e proporre quindi conclusioni pratiche, al fine di promuovere la conformità della vita e dell’azione del Popolo di Dio con il Vangelo»[167], nella consapevolezza che, come ha ricordato Papa Francesco, il fine di tale Consiglio «non sarà principalmente l’organizzazione ecclesiale, bensì il sogno missionario di arrivare a tutti»[168].
111. Il Consiglio pastorale è un organismo consultivo, retto dalle norme stabilite dal Vescovo diocesano, per definirne i criteri di composizione, le modalità di elezione dei membri, gli obiettivi e il modo di funzionamento[169]. In ogni caso, per non snaturare l’indole di tale Consiglio è bene evitare di definirlo “team” o “équipe”, vale a dire in termini non idonei a esprimere correttamente il rapporto ecclesiale e canonico tra il parroco e gli altri fedeli.
112. Nel rispetto delle relative norme diocesane, è necessario che il Consiglio pastorale sia effettivamente rappresentativo della comunità della quale è espressione in tutte le sue componenti (presbiteri, diaconi, consacrati e laici). Esso costituisce un ambito specifico in cui i fedeli possono esercitare il loro diritto-dovere di esprimere il proprio pensiero ai pastori e comunicarlo anche agli altri fedeli, circa il bene della comunità parrocchiale[170].
La funzione principale del Consiglio Pastorale Parrocchiale sta pertanto nel ricercare e studiare proposte pratiche in ordine alle iniziative pastorali e caritative che riguardano la parrocchia, in sintonia con il cammino della diocesi.
113. Il Consiglio Pastorale Parrocchiale «ha solamente voto consultivo»[171], nel senso che le sue proposte devono essere accolte favorevolmente dal parroco per diventare operative. Il parroco poi è tenuto a considerare attentamente le indicazioni del Consiglio Pastorale, specie se espresse all’unanimità, in un processo di comune discernimento.
Perché il servizio del Consiglio pastorale possa essere efficace e proficuo, occorre evitare due estremi: da una parte, quello del parroco che si limita a presentare al Consiglio pastorale decisioni già prese, o senza debita informazione previa, oppure che lo convoca di rado solo pro forma; dall’altra, quello di un Consiglio in cui il parroco è solo uno dei membri, privato di fatto del suo ruolo di pastore e guida della comunità[172].
114. Infine, è ritenuto conveniente che, per quanto possibile, il Consiglio pastorale sia composto per lo più da coloro che hanno effettive responsabilità nella vita pastorale della parrocchia, o che in essa sono concretamente impegnati, al fine di evitare che le riunioni si trasformino in uno scambio di idee astratte, che non tengono conto della vita reale della comunità, con le sue risorse e problematicità.
X.c. Altre forme di corresponsabilità nella cura pastorale
115. Quando una comunità di fedeli non può essere eretta come parrocchia o quasi-parrocchia[173], il Vescovo diocesano, sentito il Consiglio presbiterale[174], provvederà in altro modo alla sua cura pastorale[175], valutando ad esempio la possibilità di stabilire centri pastorali, dipendenti dal parroco del luogo, come “stazioni missionarie” per promuovere l’evangelizzazione e la carità. In tali casi, occorre dotare tale centro pastorale di una chiesa idonea o di un oratorio[176] e creare una normativa diocesana di riferimento per le sue attività, in modo che esse siano coordinate e complementari rispetto a quelle della parrocchia.
116. I centri così definiti, che in alcune diocesi sono chiamati “diaconie”, potranno essere affidati – ove possibile – a un vicario parrocchiale, o anche, in special modo, a uno o più diaconi permanenti, che ne abbiano la responsabilità e li gestiscano eventualmente insieme alle loro famiglie, sotto la responsabilità del parroco.
117. Tali centri potranno divenire avamposti missionari e strumenti di prossimità, soprattutto nelle parrocchie con un territorio molto esteso, in modo da assicurare momenti di preghiera e adorazione eucaristica, catechesi e altre attività a beneficio dei fedeli, in special modo quelle relative alla carità verso i poveri e i bisognosi e alla cura degli ammalati, sollecitando la collaborazione di consacrati e laici, nonché di ogni persona di buona volontà.
Tramite il parroco e gli altri presbiteri della comunità, sarà cura dei responsabili del centro pastorale garantire la celebrazione quanto più possibile frequente dei Sacramenti, soprattutto della Santa Messa e della Riconciliazione.
XI. Offerte per la celebrazione dei Sacramenti
118. Un tema connesso alla vita delle parrocchie e alla loro missione evangelizzatrice è quello dell’offerta data per la celebrazione della S. Messa, destinata al sacerdote celebrante, e degli altri sacramenti, che spetta invece alla parrocchia[177]. Si tratta di un’offerta che, per sua natura, deve essere un atto libero da parte dell’offerente, lasciato alla sua coscienza e al suo senso di responsabilità ecclesiale, non un “prezzo da pagare” o una “tassa da esigere”, come se si trattasse di una sorta di “imposta sui sacramenti”. Infatti, con l’offerta per la Santa Messa, «i fedeli […] contribuiscono al bene della Chiesa e […] partecipano della sua sollecitudine per il sostentamento dei ministri e delle opere»[178].
119. In tal senso, si rivela importante l’opera di sensibilizzazione dei fedeli, perché contribuiscano volentieri alle necessità della parrocchia, che sono “cosa loro” e di cui è bene che imparino spontaneamente a prendersi cura, in special modo in quei Paesi dove l’offerta della Santa Messa è ancora l’unica fonte di sostentamento per i sacerdoti e anche di risorse per l’evangelizzazione.
120. La suddetta sensibilizzazione potrà procedere tanto più efficacemente quanto più i presbiteri da parte loro offriranno esempi “virtuosi” nell’uso del denaro, sia con uno stile di vita sobrio e senza eccessi sul piano personale, che con una gestione dei beni parrocchiali trasparente e commisurata non su “progetti” del parroco o di un gruppo ristretto di persone, magari buoni, ma astratti, bensì sui reali bisogni dei fedeli, soprattutto i più poveri e bisognosi.
121. In ogni caso, «dall’offerta delle Messe deve essere assolutamente tenuta lontana anche l’apparenza di contrattazione o di commercio»[179], tenuto conto che «è vivamente raccomandato ai sacerdoti di celebrare la Messa per le intenzioni dei fedeli, soprattutto dei più poveri, anche senza ricevere alcuna offerta»[180].
Tra gli strumenti che possono consentire il raggiungimento di tale fine, si può pensare alla raccolta delle offerte in modo anonimo, così che ciascuno si senta libero di donare ciò che può, o che ritiene giusto, senza sentirsi in dovere di corrispondere a un’attesa o a un prezzo.
Conclusione
122. Richiamando l’ecclesiologia del Concilio Vaticano II, alla luce del recente Magistero e considerando i contesti sociali e culturali profondamente mutati, la presente Istruzione intende mettere a fuoco il tema del rinnovamento della parrocchia in senso missionario.
Mentre essa rimane un’istituzione imprescindibile per l’incontro e la relazione viva con Cristo e con i fratelli nella fede, è altrettanto vero che deve costantemente confrontarsi con i cambiamenti in atto nella cultura odierna e nell’esistenza delle persone, così da poter esplorare con creatività vie e strumenti nuovi, che le consentano di essere all’altezza del suo compito primario, cioè essere il centro propulsore dell’evangelizzazione.
123. Di conseguenza, l’azione pastorale ha bisogno di andare oltre la sola delimitazione territoriale della parrocchia, di far trasparire più chiaramente la comunione ecclesiale attraverso la sinergia tra ministeri e carismi diversi e, nondimeno, di strutturarsi come una “pastorale d’insieme” a servizio della diocesi e della sua missione.
Si tratta di un agire pastorale che, tramite un’effettiva e vitale collaborazione tra presbiteri, diaconi, consacrati e laici, nonché tra diverse comunità parrocchiali di una stessa area o regione, si preoccupa di individuare insieme le domande, le difficoltà e le sfide riguardanti l’evangelizzazione, cercando di integrare vie, strumenti, proposte e mezzi idonei per affrontarle. Un tale progetto missionario comune potrebbe essere elaborato e realizzato in relazione a contesti territoriali e sociali contigui, cioè in comunità confinanti o accomunate dalle medesime condizioni socio-culturali, oppure in riferimento ad ambiti pastorali affini, ad esempio nel quadro di un necessario coordinamento tra pastorale giovanile, universitaria e vocazionale, come già avviene in parecchie diocesi.
La pastorale d’insieme, perciò, oltre a un coordinamento responsabile delle attività e di strutture pastorali capaci di relazionarsi e collaborare tra loro, richiede il contributo di tutti i battezzati. Con le parole di Papa Francesco, «Quando parliamo di “popolo” non si deve intendere le strutture della società o della Chiesa, quanto piuttosto l’insieme di persone che non camminano come individui ma come il tessuto di una comunità di tutti e per tutti»[181].
Ciò esige che la storica istituzione parrocchiale non rimanga prigioniera dell’immobilismo o di una preoccupante ripetitività pastorale ma, invece, metta in atto quel “dinamismo in uscita” che, attraverso la collaborazione tra comunità parrocchiali diverse e una rinsaldata comunione tra chierici e laici, la renda effettivamente orientata alla missione evangelizzatrice, compito dell’intero Popolo di Dio, che cammina nella storia come “famiglia di Dio” e che, nella sinergia dei diversi membri, lavora per la crescita di tutto il corpo ecclesiale.
Il presente Documento, perciò, oltre a evidenziare l’urgenza di un simile rinnovamento, presenta un modo di applicare la normativa canonica che stabilisce le possibilità, i limiti, i diritti e i doveri di pastori e laici, perché la parrocchia riscopra se stessa come luogo fondamentale dell’annuncio evangelico, della celebrazione dell’Eucaristia, spazio di fraternità e carità, da cui si irradia la testimonianza cristiana per il mondo. Essa, cioè, «deve rimanere come un posto di creatività, di riferimento, di maternità. E lì attuare quella capacità inventiva; e quando una parrocchia va avanti così si realizza quello che io chiamo “parrocchia in uscita”»[182].
124. Papa Francesco invita a invocare «Maria, Madre dell’evangelizzazione», affinché «ci aiuti la Vergine a dire il nostro “sì” nell’urgenza di far risuonare la Buona Notizia di Gesù nel nostro tempo; ci ottenga un nuovo ardore di risorti per portare a tutti il Vangelo della vita che vince la morte; interceda per noi affinché possiamo acquistare la santa audacia di cercare nuove strade perché giunga a tutti il dono della salvezza»[183].
Il 27 Giugno 2020, il Santo Padre ha approvato il presente Documento della Congregazione per il Clero.
Roma, 29 Giugno 2020, Solennità dei SS. Pietro e Paolo.
✠ Beniamino Card. Stella
Prefetto |
✠ Joël Mercier
Segretario
|
✠ Jorge Carlos Patrón Wong
Segretario per i Seminari
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Mons. Andrea Ripa
Sotto-Segretario
|
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[1] Francesco, Discorso ai parroci di Roma (16 settembre 2013).
[2] Cfr. Id., Esortazione apostolica Evangelii gaudium (24 novembre 2013), n. 287: AAS 105 (2013), 1136.
[3] Ibid., n. 49: AAS 105 (2013), 1040.
[4] Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione Pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes (7 dicembre 1965), n. 58: AAS 58 (1966), 1079.
[5] Ibid., n. 44: AAS 58 (1966), 1065.
[6] Cfr. Efrem il Siro, Commenti sul Diatessaron 1, 18-19: SC 121, 52-53.
[7] Cfr. Francesco, Lettera enciclica Laudato sì (24 maggio 2015), n. 68: AAS 107 (2015), 847.
[8] Cfr. Paolo VI, Lettera enciclica Ecclesiam Suam (6 agosto 1964): AAS 56 (1964), 639.
[9] Evangelii gaudium, n. 27: AAS 105 (2013), 1031.
[10] Cfr. Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica post-sinodale Christifideles laici (30 dicembre 1988), n. 26: AAS 81 (1989), 438.
[11] Francesco, Udienza Generale (12 giugno 2019): L’Osservatore Romano 134 (13 giugno 2019), 1.
[12] Concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto sulla missione pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus (28 ottobre 1965), n. 30: AAS 58 (1966), 688.
[13] Giovanni Paolo II, Discorso ai Partecipanti alla Plenaria della Congregazione per il Clero (20 ottobre 1984), nn. 3 e 4: Insegnamenti VII/2 (1984), 984 e 985; cfr. anche Id., Esortazione Apostolica Catechesi tradendae (16 ottobre 1979), n. 67: AAS 71 (1979), 1332.
[14] Benedetto XVI, Omelia nella visita pastorale alla parrocchia romana Santa Maria dell’Evangelizzazione (10 dicembre 2006): Insegnamenti II/2 (2006), 795.
[15] Evangelii gaudium, n. 28: AAS 105 (2013), 1032.
[16] Cfr. Gaudium et spes, n. 4: AAS 58 (1966), 1027.
[17] Ibid., n. 1: AAS 58 (1966), 1025-1026.
[18] Cfr. Evangelii gaudium, nn. 72-73: AAS 105 (2013), 1050-1051.
[19] Cfr. Sinodo dei Vescovi, XV Assemblea Generale ordinaria (3-28 ottobre 2018): “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”, Documento finale, n. 129: «In tale contesto, una visione dell’azione parrocchiale delimitata dai soli confini territoriali e incapace di intercettare con proposte diversificate i fedeli, e in particolare i giovani, imprigionerebbe la parrocchia in un immobilismo inaccettabile e in una preoccupante ripetitività pastorale»: L’Osservatore Romano 247 (29-30 ottobre 2018), 10.
[20] Cfr., ad esempio, C.I.C., cann. 102; 1015-1016; 1108, § 1.
[21] Cfr. Christifideles laici, n. 25: AAS 81 (1989), 436-437.
[22] Cfr. Evangelii gaudium, n. 174: AAS 105 (2013), 1093.
[23] Cfr. ibid., n. 164-165: AAS 105 (2013), 1088-1089.
[24] Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione Dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium (21 novembre 1964), n. 11: AAS 57 (1965), 15.
[25] Cfr. Evangelii gaudium, n. 166-167: AAS 105 (2013), 1089-1090.
[26] Francesco, Esortazione Apostolica sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo Gaudete et exsultate (19 marzo 2018), n. 35: AAS 110 (2018), 1120. A proposito dello gnosticismo e del pelagianesimo, conviene ascoltare ancora le parole di Papa Francesco: «Questa mondanità può alimentarsi specialmente in due modi profondamente connessi tra loro. Uno è il fascino dello gnosticismo, una fede rinchiusa nel soggettivismo, dove interessa unicamente una determinata esperienza o una serie di ragionamenti e conoscenze che si ritiene possano confortare e illuminare, ma dove il soggetto in definitiva rimane chiuso nell’immanenza della sua propria ragione o dei suoi sentimenti. L’altro è il neopelagianesimo autoreferenziale e prometeico di coloro che in definitiva fanno affidamento unicamente sulle proprie forze e si sentono superiori agli altri perché osservano determinate norme o perché sono irremovibilmente fedeli ad un certo stile cattolico proprio del passato»: Evangelii gaudium, n. 94: AAS 105 (2013), 1059-1060; cfr. anche Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera Placuit Deo (22 febbraio 2018): AAS 110 (2018), 429.
[27] Cfr. Lettera a Diogneto V, 1-10: Patres Apostolici, ed. F.X. Funk, vol. 1, Tubingae 1901, 398.
[28] Cfr. Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), n. 1: AAS 93 (2001), 266.
[29] Evangelii gaudium, n. 28: AAS 105 (2013), 1032.
[30] Cfr. C.I.C., cann. 515; 518; 519.
[31] Evangelii gaudium, n. 28: AAS 105 (2013), 1031-1032.
[32] Ibid.
[33] Cfr. Francesco, Esortazione Apostolica post sinodale Christus vivit (25 marzo 2019), n. 238, Città del Vaticano 2019.
[34] Cfr. Id, Bolla Misericordiae vultus (11 aprile 2015), n. 3: AAS 107 (2015), 400-401.
[35] Benedetto XVI, Discorso ai Vescovi del Brasile (11 maggio 2007), n. 3: Insegnamenti III/1 (2007), 826.
[36] Evangelii gaudium, n. 198: AAS 105 (2013), 1103.
[37] Cfr. Francesco, Meditazione quotidiana a S. Marta (30 Ottobre 2017).
[38] Cfr. Evangelii gaudium, nn. 186-216: AAS 105 (2013), 1098-1109.
[39] Cfr. Gaudete et exsultate, nn. 95-99: AAS 110 (2018), 1137-1138.
[40] Cfr. Evangelii gaudium, n. 27: AAS 105 (2013), 1031; ibid., n. 189: AAS 105 (2013), 1099: «Un cambiamento nelle strutture che non generi nuove convinzioni e atteggiamenti farà sì che quelle stesse strutture presto o tardi diventino corrotte, pesanti e inefficaci».
[41] Ibid., n. 26: AAS 105 (2013), 1030-1031.
[42] Christus Dominus, n. 30: AAS 58 (1966), 688.
[43] Francesco, Presentazione degli Auguri Natalizi alla Curia Romana (22 dicembre 2016): AAS 109 (2017), 44.
[44] Id, Carta al Pueblo de Diós que peregrina en Chile (31 maggio 2018): www.vatican.va/content/francesco/es/letters/2018/documents/papa-francesco_20180531_lettera-popolodidio-cile.html
[45] Cfr. ibid.
[46] Ibid.
[47] Lumen gentium, n. 9: AAS 57 (1965), 13.
[48] Cfr. Congregazione per il Clero, Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis (8 dicembre 2016), nn. 80-88, Città del Vaticano 2016, pp. 37-42.
[49] Cfr. C.I.C., can. 374, § 1.
[50] Cfr. ibid., can. 374, § 2; cfr. Congregazione per i Vescovi, Direttorio per il ministero pastorale dei Vescovi Apostolorum successores (22 febbraio 2004), n. 217: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2110.
[51] Cfr. C.I.C., can. 374, § 1.
[52] Cfr. ibid., can. 374, § 2.
[53] Cfr. Apostolorum successores, n. 218: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2114.
[54] Cfr. C.I.C., can. 515, § 2.
[55] Cfr. ibid., can. 86.
[56] Cfr. ibid., can. 120, § 1.
[57] Cfr. ibid., cann. 121-122; Apostolorum successores, n. 214: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2099.
[58] Cfr. C.I.C., can. 51.
[59] Cfr. ibid., cann. 120-123.
[60] Cfr. ibid., cann. 500, § 2 e 1222, § 2.
[61] Cfr. Pontificio Consiglio della Cultura, La dismissione e il riuso ecclesiale di chiese. Linee guida (17 dicembre 2018): http://www.cultura.va/content/cultura/it/pub/documenti/decommissioning.html.
[62] Cfr. C.I.C., can. 1222, § 2.
[63] Ibid., can. 374, § 2.
[64] Cfr. Apostolorum successores, n. 217: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2110.
[65] Cfr. C.I.C., can. 554, § 1.
[66] Ibid., can. 555, § 1, 1°.
[67] Ibid., can. 555, § 4.
[68] Cfr. ibid., can. 500, § 2.
[69] Cfr. Pontificio Consiglio della Pastorale dei Migranti e degli Itineranti, Erga migrantes charitas Christi (3 maggio 2004), n. 95: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2548.
[70] Cfr. Apostolorum successores, n. 215, b): Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2104.
[71] Cfr. ibid.
[72] Cfr. C.I.C., can. 517, § 1.
[73] Cfr. ibid., can. 526, § 1.
[74] Cfr. ibid.
[75] Cfr. ibid., can. 522.
[76] Cfr. ibid., cann. 553-555.
[77] Cfr. ibid., can. 536.
[78] Cfr. ibid., can. 537.
[79] Cfr. ibid., can. 500, § 2.
[80] Cfr. Apostolorum successores, n. 219: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2117; è conveniente riservare il nome di “zona pastorale” solo per questo genere di raggruppamento, al fine di non ingenerare confusione.
[81] Cfr. C.I.C., cann. 134, § 1 e 476.
[82] Va tenuto presente che: a) quanto è riferito al “Vescovo diocesano” vale anche per gli altri a lui equiparati dal Diritto; b) quanto si riferisce alla parrocchia e al parroco vale anche per la quasi-parrocchia e per il quasi-parroco; c) quanto concerne i fedeli laici, si applica anche ai membri non chierici di Istituti di vita consacrata o di Società di vita apostolica, a meno che vi sia espresso riferimento alla specificità laicale; d) il termine “Moderatore” assume significati diversi in base al contesto in cui è utilizzato nella presente Istruzione nel rispetto delle norme codiciali.
[83] Cfr. Lumen gentium, n. 26: AAS 57 (1965), 31-32.
[84] Cfr. Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis, nn. 83; 88.e, pp. 37; 39.
[85] Cfr. C.I.C., can. 275, § 1.
[86] Cfr. Concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto sul ministero e la vita sacerdotale Presbyterorum ordinis (7 dicembre 1965), n. 8: AAS 58 (1966), 1003.
[87] Cfr. Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis, n. 88, pp. 39-40.
[88] Cfr. Francesco, Discorso ai partecipanti del Convegno promosso dalla Congregazione per il Clero, in occasione del 50° anniversario dei Decreti Conciliari “Optatam totius” e “Presbyterorum ordinis” (20 novembre 2015): AAS 107 (2015), 1295.
[89] Cfr. C.I.C., can. 150.
[90] Cfr. ibid., can. 521, § 1.
[91] Cfr. ibid., can. 520, § 1.
[92] Ibid., can. 519.
[93] Cfr. ibid., can. 532.
[94] Cfr. ibid., can. 1257, § 1.
[95] Christus Dominus, n. 31: AAS 58 (1965), 689.
[96] C.I.C., can. 522.
[97] Ibid., can. 1748.
[98] Ibid., can. 526, § 1.
[99] Cfr. ibid., can. 152.
[100] Cfr. ibid., can. 538, §§ 1-2.
[101] Cfr. ibid., cann. 1740-1752, tenuto conto dei cann. 190-195.
[102] Cfr. ibid. can. 538, § 3.
[103] Cfr. ibid.
[104] Cfr. ibid., can. 189.
[105] Cfr. ibid., can. 189, § 2 e Apostolorum successores, n. 212: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2095.
[106] Apostolorum successores, n. 212: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2095.
[107] Cfr. C.I.C., cann. 539-540.
[108] Cfr. in particolare ibid., cann. 539, 549, 1747, § 3.
[109] Ibid., can. 517, § 1; cfr. anche cann. 542-544.
[110] Cfr. ibid., cann. 517, § 1 e 526, § 1.
[111] Cfr. ibid., can. 543, § 1.
[112] Cfr. ibid., can. 543, § 2, 3°; assume anche la rappresentanza giuridica civile, nei Paesi in cui la parrocchia è riconosciuta dallo Stato come ente giuridico.
[113] Cfr. ibid., can. 543, § 1.
[114] Cfr. ibid., can. 517, § 1.
[115] Cfr. ibid., can. 545, § 2; a titolo di esempio, si pensi ad un sacerdote, con esperienza spirituale, ma scarsa salute, nominato confessore ordinario per cinque parrocchie territorialmente contigue.
[116] Cfr. ibid., can. 265.
[117] Ibid., can. 1009, § 3.
[118] Francesco, Discorso durante l’incontro con i sacerdoti e i consacrati, Milano (25 marzo 2017): AAS 109 (2017), 376.
[119] Ibid, 376-377.
[120]Lumen gentium, n. 29: AAS 57 (1965), 36.
[121]Paolo VI, Allocuzione nell’Udienza concessa ai partecipanti al Congresso Internazionale sul Diaconato, 25 ottobre 1965: Enchiridion sul Diaconato (2009), 147-148.
[122] Cfr. C.I.C., can. 150.
[123] Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera Iuvenescit Ecclesia ai Vescovi della Chiesa cattolica sulla relazione tra doni gerarchici e carismatici per la vita e la missione della Chiesa (15 maggio 2016), n. 21: Enchiridion Vaticanum 32 (2016), 734.
[124] Ibid., n. 22: Enchiridion Vaticanum 32 (2016), 738.
[125] Cfr. C.I.C., can. 573, § 1.
[126] Cfr. Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica- Congregazione per i Vescovi, Mutuae relationes. Criteri direttivi sui rapporti tra i Vescovi e i religiosi nella Chiesa (14 maggio 1978), nn. 10; 14, a): Enchiridion Vaticanum 6 (1977-1979), 604-605; 617-620; cfr. anche Apostolorum successores, n. 98: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 1803-1804.
[127] Cfr. Evangelii gaudium, n. 102: AAS 105 (2013), 1062-1063.
[128] Cfr. Christifideles laici, n. 23: AAS 81 (1989), 429.
[129] Evangelii gaudium, n. 201: AAS 105 (2013), 1104.
[130] Lumen gentium, n. 31: AAS 57 (1965), 37.
[131] Paolo VI, Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975), n. 73: AAS 68 (1976), 61.
[132] Cfr. Evangelii gaudium, n. 81: AAS 105 (2013), 1053-1054.
[133] Cfr. C.I.C., can. 517, § 2.
[134] Cfr. Apostolorum successores, n. 215, c): Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2105.
[135] Congregazione per il Clero, Istruzione [interdicasteriale] su alcune questioni circa la collaborazione dei fedeli laici al ministero dei sacerdoti Ecclesiae de mysterio (15 agosto 1997), art. 4, § 1, a-b): AAS 89 (1997), 866-867; cfr. anche Apostolorum successores, n. 215, c): Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2105. A tale sacerdote spetterà anche la rappresentanza giuridica della parrocchia, sia canonicamente che civilmente, dove la Legge dello Stato lo preveda.
[136] Prima di far ricorso alla soluzione consentita dal can. 517, § 2, occorre che il Vescovo diocesano valuti prudentemente altre possibilità da adottare in alternativa, come ad esempio impiegare sacerdoti anziani ancora validi per il ministero, affidare varie parrocchie a un solo parroco o affidare varie parrocchie a un gruppo di sacerdoti in solidum.
[137] Cfr. Ecclesiae de mysterio, art. 4, § 1, b): AAS 89 (1997), 866-867, e Congregazione per il Clero, Istruzione Il presbitero, pastore e guida della comunità parrocchiale (4 agosto 2002), nn. 23 e 25, in modo particolare, si tratta di “una collaborazione ad tempus nell’esercizio della cura pastorale della parrocchia”, cfr. n. 23: Enchiridion Vaticanum 21 (2002), 834-836.
[138] Cfr. Il presbitero, pastore e guida della comunità parrocchiale, n. 25: Enchiridion Vaticanum 21 (2002), 836.
[139] C.I.C., can. 517, § 2.
[140] Il presbitero, pastore e guida della comunità parrocchiale, n. 23: Enchiridion Vaticanum 21 (2002), 834.
[141] Cfr. Ecclesiae de mysterio, art. 1, § 3: AAS 89 (1997), 863.
[142] Cfr. Il presbitero, pastore e guida della comunità parrocchiale, n. 23: Enchiridion Vaticanum 21 (2002), 835.
[143] Cfr. Apostolorum successores, n. 112: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 1843.
[144] Giova ricordare che, oltre a quelle proprie del ministero del lettorato, tra le funzioni liturgiche che il Vescovo diocesano, sentita la Conferenza Episcopale, può affidare temporaneamente a fedeli laici, uomini e donne, figura anche il servizio all’altare, nel rispetto della relativa norma canonica; cfr. Pontificio Consiglio per l’interpretazione dei Testi Legislativi, Risposta (11 luglio 1992), AAS 86 (1994), 541; Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Lettera circolare (15 marzo 1994), AAS 86 (1994), 541-542.
[145] Cfr. C.I.C., can. 205.
[146] Cfr. ibid., can. 230, § 1.
[147] Nell’atto con cui il Vescovo affida i summenzionati compiti a diaconi o a fedeli laici, determini chiaramente le funzioni che sono abilitati a svolgere e per quanto tempo.
[148] C.I.C., can. 1248, § 2.
[149] Ibid., can. 861, § 1.
[150] Ibid., can. 766.
[151] Ecclesiae de mysterio, art. 3, § 4: AAS 89 (1997), 865.
[152] Cfr. C.I.C., can. 767, § 1; Ecclesiae de mysterio, art. 3, § 1: AAS 89 (1997), 864.
[153] C.I.C., can. 1112, § 1; cfr. Giovanni Paolo II, Costituzione apostolica Pastor Bonus (28 giugno 1998), art. 63: AAS 80 (1988), 876, a proposito delle competenze della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.
[154] Francesco, Omelia a Santa Marta (21 ottobre 2013): L’Osservatore Romano 242 (21-22 ottobre 2013), 8.
[155] Cfr. C.I.C., cann. 537 e 1280.
[156] Conformemente al can. 532 C.I.C., il parroco è responsabile dei beni della parrocchia, anche se nell’amministrarli deve avvalersi della collaborazione di esperti laici.
[157] Cfr. C.I.C., cann. 115, § 2 e, per analogia, 492, § 1.
[158] Cfr. ibid., can. 537 e Apostolorum successores, n. 210: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2087.
[159] Cfr. C.I.C., cann. 517 e 526.
[160] Cfr. ibid., can. 1287 § 1.
[161] Cfr. ibid., can. 536, § 1.
[162] Francesco, Discorso durante l’incontro con il clero, persone di vita consacrata e membri di consigli pastorali, Assisi (4 ottobre 2013): Insegnamenti I/2 (2013), 328.
[163]Id, Omelia Santa Messa Solennità di Pentecoste, 4 giugno 2017: AAS 109 (2017), 711.
[164] Cfr. Lumen gentium, n. 10: AAS 57 (1965), 14.
[165] Cfr. Congregazione per il Clero, Lettera circolare Omnes christifideles (25 gennaio 1973), nn. 4 e 9; Enchiridion Vaticanum 4 (1971-1973), 1199-1201 e 1207-1209; Christifideles laici, n. 27: AAS 81 (1989), 440-441.
[166] Francesco, Udienza Generale (23 maggio 2018).
[167] Paolo VI, Lettera apostolica Motu Proprio Ecclesiae Sanctae (6 agosto 1966), I, 16, § 1: AAS 58 (1966), 766; cfr. C.I.C., can. 511.
[168] Evangelii gaudium, n. 31: AAS 105 (2013), 1033.
[169] Cfr. C.I.C., can. 536, § 2.
[170] Cfr. ibid., can. 212, § 3.
[171] Ibid., can. 536, § 2.
[172] Cfr. Il presbitero, pastore e guida della comunità parrocchiale, n. 26: Enchiridion Vaticanum 21 (2002), 843.
[173] Cfr. C.I.C., can. 516, § 1.
[174] Cfr. ibid., can. 515, § 2.
[175] Cfr. ibid., can. 516, § 2.
[176] Cfr. ibid., cann. 1214; 1223 e 1225.
[177] Cfr. ibid., cann. 848 e 1264, 2°, nonché cann. 945-958 e Congregazione per il Clero, Decreto Mos iugiter (22 febbraio 1991), approvato in forma specifica da Giovanni Paolo II: Enchiridion Vaticanum 13 (1991-1993), 6-28.
[178] C.I.C., can. 946.
[179] Ibid., can. 947.
[180] Ibid., can. 945, § 2.
[181] Francesco, Esortazione Apostolica post sinodale Christus vivit (25 marzo 2019), n. 231, Città del Vaticano 2019.
[182] Id, Incontro con i Vescovi polacchi, Cracovia (27 luglio 2016): AAS 108 (2016), 893.
[183] Id., Messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale 2017 (4 giugno 2017), n. 10: AAS 109 (2017), 764.
[00886-IT.01] [Testo originale: Italiano]
Testo in lingua francese
Instruction
La conversion pastorale
de la communauté paroissiale au service de la mission évangélisatrice de l’Eglise
Introduction
1. La réflexion ecclésiologique du Concile Vatican II et les importants changements sociaux-culturels des dernières décennies ont amené diverses Eglises particulières à réorganiser la manière de confier la charge pastorale des communautés paroissiales. Cela a permis de lancer des expériences nouvelles, qui mettent en valeur la dimension de la communion et qui mettent en œuvre, sous la conduite des pasteurs, une synthèse harmonieuse de charismes et de vocations au service de l’annonce de l’Evangile, qui corresponde mieux aux exigences actuelles de l’évangélisation.
Au début de son ministère, le Pape François a rappelé l’importance de la « créativité », qui signifie « chercher des voies nouvelles », c’est-à-dire « chercher le moyen d’annoncer l’Evangile » ; sur ce point, a conclu le Saint Père, « l’Eglise, et aussi le Code de Droit Canonique, nous offre tant et tant de possibilités et de libertés pour chercher ces choses »[1].
2. Les situations décrites par cette Instruction représentent une occasion précieuse de conversion pastorale comprise dans son sens missionnaire. Elles constituent en effet une invitation aux communautés paroissiales à sortir d’elles-mêmes, en offrant des outils pour une réforme, également structurelle, qui tend à promouvoir un style de communion et de collaboration, de rencontre et de proximité, de miséricorde et de sollicitude en vue de l’annonce de l’Evangile.
I. La conversion pastorale
3. La conversion pastorale est un des thèmes fondamentaux de la “nouvelle étape de l’évangélisation”[2] que l’Eglise est appelée aujourd’hui à promouvoir, afin que les communautés chrétiennes soient toujours plus des centres qui favorisent la rencontre avec le Christ.
Dans cet esprit, le Saint Père a suggéré : « Si quelque chose doit saintement nous préoccuper et inquiéter notre conscience, c’est que tant de nos frères vivent sans la force, la lumière et la consolation de l’amitié de Jésus-Christ, sans une communauté de foi qui les accueille, sans un horizon de sens et de vie. Plus que la peur de se tromper j’espère que nous anime la peur de nous renfermer dans les structures qui nous donnent une fausse protection, dans les normes qui nous transforment en juges implacables, dans les habitudes où nous nous sentons tranquilles, alors que, dehors, il y a une multitude affamée, et Jésus nous répète sans arrêt : “Donnez-leur vous-mêmes à manger” (Mc 6, 37) »[3].
4. Poussée par cette sainte inquiétude, l’Eglise « fidèle à sa propre tradition et tout à la fois consciente de l'universalité de sa mission, peut entrer en communion avec les diverses formes de culture ; d'où l'enrichissement qui en résulte pour elle-même et pour les différentes cultures »[4]. De fait, la rencontre féconde et créatrice entre l’Evangile et la culture amène à un véritable progrès : d’une part la Parole de Dieu s’incarne dans l’histoire des hommes en la renouvelant ; d’autre part, « l'Eglise peut être enrichie, et elle l'est effectivement, par le développement de la vie sociale »[5], ce qui lui permet de mieux saisir la mission que le Christ lui a confiée, afin de mieux l’expliciter dans le temps où elle vit.
5. L’Eglise annonce que le Verbe « s’est fait chair et a habité parmi nous » (Jn 1, 14). Cette Parole de Dieu, qui aime demeurer parmi les hommes, dans son inépuisable richesse[6], a été accueillie dans le monde entier par des peuples divers, dont elle a promu les plus nobles aspirations, parmi lesquelles, le désir de Dieu, le dignité de la vie de chaque personne, l’égalité entre les hommes et le respect des différences dans l’unique famille humaine, le dialogue comme moyen de participation, la soif de paix, l’accueil comme expression de fraternité et de solidarité, la protection responsable de la création[7].
Il est par conséquent impensable qu’une telle nouveauté, dont la diffusion jusqu’aux confins de la terre n’est pas encore achevée, s’affaiblisse ou, pire, s’épuise[8]. Pour que la Parole poursuive sa route, il faut que les communautés chrétiennes fassent un choix clairement missionnaire, « capable de transformer toute chose, afin que les habitudes, les styles, les horaires, le langage et toute structure ecclésiale devienne un canal adéquat pour l’évangélisation du monde actuel, plus que pour l’auto-préservation »[9].
II. La paroisse dans le contexte actuel
6. Une telle conversion missionnaire qui, bien sûr, conduit également à une réforme des structures, touche de manière particulière la paroisse, comme communauté convoquée autour de la Table de la Parole et de l’Eucharistie.
La paroisse possède une longue histoire et a eu dès le départ un rôle fondamental dans la vie des chrétiens, dans la croissance de l’Eglise et dans son activité pastorale ; on peut déjà en entrevoir une première intuition dans les écrits de saint Paul. Quelques textes pauliniens, en effet, révèlent la constitution de petites communautés qui, comme églises domestiques, sont simplement désignées par l’Apôtre avec le mot “maison” (cf., par exemple, Rm 16, 3-5 ; 1 Co 16, 19-20 ; Ph 4, 22). Avec ces “maisons”, on peut découvrir la naissance des premières “paroisses”.
7. Depuis son apparition, la paroisse se présente donc comme réponse à une exigence pastorale précise, rendre l’Evangile proche du Peuple, par l’annonce de la foi et la célébration des sacrements. L’étymologie du terme lui-même permet de comprendre le sens de l’institution : la paroisse est une maison au milieu des maisons[10] et répond à la logique de l’Incarnation du Christ Jésus, vivant et agissant dans la communauté humaine. Visiblement représentée par l’édifice du culte, elle est ainsi le signe de la présence permanente du Seigneur Ressuscité au milieu de son Peuple.
8. Cependant, la configuration territoriale de la paroisse est appelée aujourd’hui à tenir compte d’une caractéristique particulière du monde actuel où la mobilité accrue et la culture digitale ont repoussé les frontières de l’existence. De fait, d’une part, la vie des personnes, qui se déroule plutôt dans “un village global et pluriel”, correspond de moins en moins à un contexte défini et immuable ; d’autre part, la culture digitale a modifié de manière irréversible la perception de l’espace, tout comme le langage et le comportement des personnes, spécialement des jeunes générations.
Il est par ailleurs facile d’imaginer que le développement constant de la technologie modifiera en conséquence le mode de pensée et la compréhension que l’homme aura de lui-même et de la vie sociale. La rapidité des changements, le rapprochement des modèles culturels, la facilité des déplacements et la rapidité des communications, sont en train de transformer la perception de l’espace et du temps.
9. Comme communauté vivante de croyants, la paroisse s’insère dans ce contexte où le lien avec le territoire tend à être de moins en moins perçu, où les lieux d’appartenance deviennent multiples, où les relations interpersonnelles risquent de se diluer dans le monde virtuel, sans engagement ni responsabilité des personnes à l’égard de leur propre contexte relationnel.
10. On perçoit aujourd’hui que de tels changements culturels et l’évolution du rapport au territoire promeuvent dans l’Eglise, grâce à la présence de l’Esprit Saint, un nouveau discernement communautaire, « qui consiste à regarder la réalité avec les yeux de Dieu, dans l’optique de l’unité et de la communion »[11]. Il est donc urgent d’entrainer tout le Peuple de Dieu à accueillir l’invitation de l’Esprit pour mettre en œuvre des processus de “rajeunissement” du visage de l’Eglise.
III. L’importance de la paroisse aujourd’hui
11. A la lumière d’un tel discernement, la paroisse est appelée à saisir les signes des temps pour adapter le service qu’elle doit rendre aux exigences des fidèles et aux changements historiques. Il faut renouveler un dynamisme qui permette, à la lumière des textes du Concile Vatican II et du Magistère successif, de redécouvrir la vocation de chaque baptisé à être disciple de Jésus et missionnaire de l’Evangile.
12. Les Pères conciliaires, en effet, écrivaient avec clairvoyance : « Le soin des âmes doit être pénétré d'esprit missionnaire »[12]. En continuité avec un tel enseignement, saint Jean-Paul II a précisé : « La paroisse doit être perfectionnée et intégrée dans beaucoup d’autres formes, mais elle reste toujours un organisme indispensable de première importance dans les structures visibles de l’Eglise » pour « faire de l’évangélisation le pivot de toute action pastorale, en tant qu’exigence prioritaire, prééminente et privilégiée »[13]. Benoît XVI a ensuite enseigné que « la paroisse est un phare qui fait rayonner la lumière de la foi et qui vient ainsi à la rencontre des désirs les plus profonds et vrais du cœur de l'homme, donnant une signification et de l'espérance à la vie des personnes et des familles »[14]. Enfin, le Pape François rappelle que« à travers toutes ses activités, la paroisse encourage et forme ses membres pour qu’ils soient des agents de l’évangélisation »[15].
13. Pour promouvoir le caractère central de la présence missionnaire de la communauté chrétienne dans le monde[16], il est important de repenser non seulement une nouvelle expérience paroissiale, mais aussi, à l’intérieur de la paroisse, le ministère et la mission des prêtres qui, avec les laïcs, doivent être “sel et lumière du monde” (cf. Mt 5, 13-14), “lampe sur le lampadaire” (cf. Mc 4, 21), en présentant le visage d’une communauté évangélisatrice capable d’une authentique lecture des signes des temps, qui donne un témoignage cohérent de vie évangélique.
14. Précisément à partir de la considération des signes des temps, il est également nécessaire, à l’écoute de l’Esprit Saint, de créer de nouveaux signes : n’étant plus comme autrefois le lieu normal du rassemblement et de la sociabilité, la paroisse est appelée à trouver d’autres modalités de proximité par rapport aux activités habituelles. Une telle tâche ne constitue pas un poids qu’il faudrait subir, mais un défi à accueillir avec enthousiasme.
15. Les disciples du Seigneur, à la suite de leur Maître et à l’école des Saints et des pasteurs, ont appris, parfois par des expériences douloureuses, à savoir attendre les temps et les modes de Dieu, à renouveler leur certitude qu’Il est toujours présent jusqu’à la fin des temps, et que l’Esprit Saint – cœur qui diffuse la vie de l’Eglise – rassemble les fils de Dieu dispersés dans le monde. C’est pourquoi la communauté chrétienne ne doit pas avoir peur de lancer des processus et de les accompagner dans un territoire où cohabitent des cultures diverses, dans la certitude confiante que, pour les disciples du Christ, « il n'est rien de vraiment humain qui ne trouve écho dans leur cœur »[17].
IV. La mission, critère pour le renouveau
16. Dans les transformations qu’elle met en œuvre, il arrive que la paroisse n’arrive pas, malgré son investissement généreux, à correspondre de manière adéquate aux multiples attentes des fidèles, en particulier quand on considère les nombreuses formes de communauté[18]. Il est vrai qu’une des caractéristiques de la paroisse est son enracinement là où les personnes vivent quotidiennement. Mais, spécialement aujourd’hui, le territoire n’est plus seulement un espace géographique délimité, mais un contexte où chacun vit sa propre vie, faite de relations, de service réciproque et de traditions anciennes. C’est dans ce “territoire existentiel” que l’Eglise doit relever son défi au milieu de la communauté. Semble donc révolue une pastorale qui maintiendrait son champ d’action uniquement à l’intérieur des limites territoriales de la paroisse, alors que bien souvent les paroissiens eux-mêmes ne comprennent plus cette modalité, davantage marquée par la nostalgie du passé qu’inspirée par l’audace qui envisage l’avenir[19]. D’autre part, il est bon de préciser que, sur le plan canonique, le principe territorial reste pleinement en vigueur quand il est requis par le droit[20].
17. En outre, la simple répétition d’activités qui n’ont aucune incidence sur la vie des personnes concrètes, n’est qu’une tentative stérile de survivance, souvent reçue dans l’indifférence générale. Si elle ne vit pas du dynamisme spirituel propre à l’évangélisation, mais propose des expériences désormais privées de saveur évangélique et de mordant missionnaire, ou seulement destinées à des petits groupes, la paroisse court le risque de devenir autoréférentielle et de se scléroser.
18. Le renouveau de l’évangélisation requière de nouvelles attentions et des propositions diversifiées, afin que la Parole de Dieu et la vie sacramentelle puissent rejoindre tout le monde, selon une manière qui soit cohérente avec l’état de vie de chacun. En effet, l’appartenance ecclésiale fait aujourd’hui de plus en plus abstraction des lieux de naissance et de croissance des membres, et s’oriente plutôt vers une communauté d’adoption[21], où les fidèles font, de fait, une expérience plus large du Peuple de Dieu, d’un corps qui s’articule selon de nombreux membres, où chacun opère pour le bien de tout l’organisme (cf. 1 Co 12, 12-27).
19. Au-delà des lieux et des raisons d’appartenance, la communauté paroissiale est le contexte humain où se réalise l’œuvre évangélisatrice de l’Eglise, où se célèbrent les sacrements et où se vit la charité, dans un dynamisme missionnaire qui – en plus d’être un élément intrinsèque de l’action pastorale – devient un critère pour vérifier son authenticité. A notre époque qui est parfois caractérisée par des situations de marginalisation et de solitude, la communauté paroissiale est appelée à être un signe vivant de la proximité du Christ par le moyen d’un réseau de relations fraternelles, tournée vers les nouvelles formes de pauvreté.
20. Vu ce qui vient d’être dit, il importe de repérer des perspectives qui permettent de renouveler les structures paroissiales “traditionnelles” à la lumière de la mission. Voilà le cœur de la conversion pastorale désirée, qui doit toucher l’annonce de la Parole de Dieu, la vie sacramentelle et le témoignage de la charité, en un mot les lieux essentiels dans lesquels la paroisse grandit et se conforme au Mystère auquel elle croit.
21. Quand on parcourt les Actes des Apôtres, on se rend compte de l’action primordiale de la Parole Dieu, comme puissance intérieure qui réalise la conversion des cœurs. Elle est l’aliment qui nourrit les disciples du Seigneur et les rend témoins de l’Evangile dans les différentes situations de la vie. L’Ecriture possède une force prophétique qui la rend toujours vivante. Il importe donc que la paroisse éduque à la lecture et à la méditation de la Parole de Dieu au moyen de propositions diversifiées d’annonce[22], qui prenne des formes de communication limpides et compréhensibles pour présenter le Seigneur Jésus selon le témoignage toujours nouveau du Kérygme[23].
22. La célébration du mystère eucharistique, ensuite, est « source et somment de toute la vie chrétienne »[24], et donc moment essentiel pour la constitution de la communauté paroissiale. En elle l’Eglise prend conscience de la signification de son propre nom : convocation du Peuple de Dieu qui loue, supplie, intercède et rend grâce. Quand elle célèbre l’Eucharistie, la communauté chrétienne accueille la présence vivante du Seigneur crucifié et ressuscité, et reçoit l’annonce de tout son mystère de salut.
23. L’Eglise perçoit par-là la nécessité de redécouvrir l’initiation chrétienne qui fait naître à une vie nouvelle, en tant qu’insérée dans le mystère de la vie même de Dieu. Il s’agit d’un cheminement qui ne connaît pas d’interruption. Il n’est pas seulement lié à des célébrations ou à des événements. Ce qui le détermine en premier lieu, ce n’est pas le devoir d’accomplir un “rite de passage”, mais uniquement la perspective de la suite permanente du Christ. Sous cette lumière, il peut être utile de mettre en place des itinéraires mystagogiques qui touchent réellement l’existence[25]. La catéchèse elle-même devra se présenter comme une annonce continuelle du Mystère du Christ, afin de faire croître dans le cœur des baptisés la stature du Christ (cf. Ep 4, 13), grâce à une rencontre personnelle avec le Seigneur de la vie.
Comme l’a rappelé le Pape François, il importe d’ « attirer l’attention sur deux falsifications de la sainteté qui pourraient nous faire dévier du chemin : le gnosticisme et le pélagianisme. Ce sont deux hérésies apparues au cours des premiers siècles du christianisme mais qui sont encore d’une préoccupante actualité »[26]. Le gnosticisme consiste en une foi abstraite, purement intellectuelle, faite de connaissances qui restent éloignées de la vie, tandis que le pélagianisme amène l’homme à compter sur ses seules forces, sans tenir compte de l’action de l’Esprit.
24. Dans le mystérieux entrelacement de l’agir de Dieu et de celui de l’homme, l’Evangile est proclamé par des hommes et des femmes dont la vie, tissée de relations interpersonnelles qui suscitent confiance et espérance, garantit la crédibilité de ce qu’ils annoncent. A notre époque, souvent marquée par l’indifférence, l’enfermement de l’individu sur soi-même et le rejet de l’autre, la redécouverte de la fraternité est fondamentale, vu que l’évangélisation est étroitement liée à la qualité des relations humaines[27]. Aussi la communauté chrétienne fait sienne la parole de Jésus qui pousse à « prendre le large » (Lc 5, 4), confiante que l’invitation du Maître à jeter les filets fonde en soi la certitude d’une “pêche abondante”[28].
25. La “culture de la rencontre”, qui met la personne au centre de tout, promeut le dialogue, la solidarité et l’ouverture à chacun. Il est donc nécessaire que la paroisse soit le “lieu” qui donne le désir d’être ensemble et fait grandir les relations personnelles durables. Chacun peut ainsi découvrir ce que signifie “faire partie” et “être aimé”.
26. La communauté paroissiale est appelée à développer un authentique “art de la proximité”. Si celui-ci est bien enraciné, la paroisse devient réellement le lieu où est surmontée la solitude qui blesse la vie de tant de personnes, le « sanctuaire où les assoiffés viennent boire pour continuer à marcher, le centre d’un constant envoi missionnaire »[29].
V. “Communauté de communautés” : la paroisse intégrante, évangélisatrice et attentive aux pauvres
27. Le sujet de l’action missionnaire et évangélisatrice de l’Eglise est toujours le Peuple de Dieu dans son ensemble. De fait, il apparaît dans le Code de Droit Canonique que la paroisse ne se définit pas comme un édifice ou un ensemble de structures mais comme une communauté précise de fidèles, dont le curé est le pasteur propre[30]. A ce propos, le Pape François a rappelé que « la paroisse est présence ecclésiale sur le territoire, lieu de l’écoute de la Parole, de la croissance de la vie chrétienne, du dialogue, de l’annonce, de la charité généreuse, de l’adoration et de la célébration », et il a dit qu’elle « est communauté de communautés »[31].
28. Le diverses composantes qui constituent la paroisse sont appelées à la communion et à l’unité. C’est dans la mesure où chacun reconnaît sa propre complémentarité et la met au service de la communauté, que, d’une part se réalise pleinement le ministère du curé et des prêtres qui collaborent avec lui comme pasteurs, et que d’autre part se manifeste la spécificité des différents charismes des diacres, des consacrés et des laïcs. Ainsi chacun agit pour la construction de l’unique corps (cf. 1 Co 12, 12).
29. La paroisse est donc une communauté convoquée par l’Esprit Saint pour annoncer la Parole de Dieu et faire renaître de nouveaux enfants à la fontaine baptismale ; rassemblée par son pasteur, elle célèbre le mémorial de la passion, de la mort et de la résurrection du Seigneur, et témoigne sa foi dans la charité en vivant dans un état permanent de mission, afin que le message salvifique qui donne la vie ne vienne à manquer à personne.
A ce sujet, le Pape François s’est ainsi exprimé : « La paroisse n’est pas une structure caduque ; précisément parce qu’elle a une grande plasticité, elle peut prendre des formes très diverses qui demandent la docilité et la créativité missionnaire du pasteur et de la communauté. Même si, certainement, elle n’est pas l’unique institution évangélisatrice, si elle est capable de se réformer et de s’adapter constamment, elle continuera à être “l’Église elle-même qui vit au milieu des maisons de ses fils et de ses filles”. Cela suppose que réellement elle soit en contact avec les familles et avec la vie du peuple et ne devienne pas une structure prolixe séparée des gens, ou un groupe d’élus qui se regardent eux-mêmes. […] Mais nous devons reconnaître que l’appel à la révision et au renouveau des paroisses n’a pas encore donné de fruits suffisants pour qu’elles soient encore plus proches des gens, qu’elles soient des lieux de communion vivante et de participation, et qu’elles s’orientent complètement vers la mission »[32].
30. On ne peut pas exclure de la paroisse le “style spirituel et ecclésial des sanctuaires” – qui sont d’authentiques “avant-postes missionnaires” – caractérisé par l’accueil, la vie de prière et de silence qui renouvelle l’esprit, ainsi que par la célébration du sacrement de la réconciliation et par l’attention aux pauvres. Les pèlerinages que les communautés paroissiales réalisent dans les divers sanctuaires constituent de précieux moyens pour grandir dans la communion fraternelle et, de retour à la maison, faire en sorte que les lieux de vie quotidienne soient plus ouverts et hospitaliers[33].
31. Dans cette perspective, on comprend que le sanctuaire puisse posséder les caractéristiques et les services que, analogiquement, la paroisse elle-même doit avoir, et qu’il représente pour beaucoup de fidèles le but de leur quête intérieure ainsi que le lieu où l’on rencontre le visage du Christ miséricordieux et une Eglise accueillante.
Dans les sanctuaires, ils peuvent redécouvrir “l’onction reçue du Saint” (1 Jn 2, 20), c’est-à-dire leur consécration baptismale. Dans ces lieux, on apprend à célébrer avec ferveur, dans la liturgie, le mystère de la présence de Dieu au milieu de son peuple, la beauté de la mission évangélisatrice de chaque baptisé, l’appel à concrétiser la charité dans les lieux de vie[34].
32. “Sanctuaire” ouvert à tous, la paroisse, qui doit aussi rejoindre chacun sans exception, rappelle que les pauvres et les exclus doivent toujours avoir une place privilégiée dans le cœur de l’Eglise. Benoît XVI l’a affirmé : « Les pauvres sont les destinataires privilégiés de l’Evangile »[35]. A son tour, le Pape François a écrit que « la nouvelle évangélisation est une invitation à reconnaître la force salvifique de leurs existences, et à les mettre au centre du cheminement de l’Église. Nous sommes appelés à découvrir le Christ en eux, à prêter notre voix à leurs causes, mais aussi à être leurs amis, à les écouter, à les comprendre et à accueillir la mystérieuse sagesse que Dieu veut nous communiquer à travers eux »[36].
33. La communauté paroissiale est bien souvent le premier lieu où les pauvres font une rencontre humaine et personnelle avec le visage de l’Eglise. Il appartient en particulier aux prêtres, aux diacres et aux consacrés de ressentir de la compassion pour la “chair blessée”[37] des frères, de les visiter quand ils sont malades, de soutenir les personnes et les familles sans emploi, d’ouvrir la porte à tous ceux qui sont dans le besoin. Le regard tourné vers les derniers, la communauté paroissiale évangélise et se laisse évangéliser par les pauvres. Elle assume ainsi l’engagement social, lié à l’annonce, dans toutes ses dimensions[38], sans oublier la “règle suprême” de la charité sur laquelle nous serons jugés[39].
VI. De la conversion des personnes à celle des structures
34. Dans ce processus de renouveau et de restructuration, la paroisse doit éviter le risque de tomber dans une organisation d’événements excessive et bureaucratique et dans une présentation de services qui se fondent sur le critère de l’auto-préservation et ne manifestent pas le dynamisme de l’évangélisation[40].
Avec sa parresia habituelle, le Pape François a rappelé, en citant saint Paul VI, que « l’Église doit approfondir la conscience qu’elle a d’elle-même, de méditer sur le mystère qui est le sien. […] Il y a des structures ecclésiales qui peuvent arriver à favoriser un dynamisme évangélisateur ; également, les bonnes structures sont utiles quand une vie les anime, les soutient et les évalue. Sans une vie nouvelle et un authentique esprit évangélique, sans “fidélité de l’Église à sa propre vocation”, toute nouvelle structure se corrompt en peu de temps »[41].
35. La conversion des structures que la paroisse doit envisager requiert “en amont” un changement de mentalité et un renouvellement intérieur, surtout chez ceux qui sont appelés à être responsables de la conduite pastorale. Pour être fidèles au mandat du Christ, les pasteurs, et de façon particulière les curés « principaux collaborateurs de l’Evêque »[42], doivent prendre conscience avec urgence de la nécessité d’une réforme missionnaire de la pastorale.
36. Vu que la communauté chrétienne est liée à son histoire et aux réalités qui lui sont chères, les pasteurs ne doivent pas oublier que la foi du Peuple de Dieu est inséparable de la mémoire familiale et communautaire. Bien souvent, un lieu sacré évoque des moments de vie significatifs des générations passées, des figures et des événements qui ont marqué les cheminements personnels et familiaux. Afin d’éviter des traumatismes et des blessures, il importe que les processus de restructuration des communautés paroissiales et, parfois, diocésaines, soient menés avec souplesse et gradualité.
A propos de la réforme de la Curie Romaine, le Pape François a souligné que « la gradualité est le fruit du discernement indispensable qui implique processus historique, succession de temps et d’étapes, contrôle, corrections, expérimentations, approbations “ad experimentum”. Donc, dans ces cas, il ne s’agit pas d’indécision mais de la souplesse nécessaire pour pouvoir réaliser une véritable réforme »[43]. Il s’agit d’être attentifs à ne pas “forcer le temps” en voulant conduire les réformes à terme, de manière trop précipitée et avec des critères généraux, qui obéissent à des logiques élaborées “sur table”, où sont oubliées les personnes concrètes qui habitent le territoire. De fait, chaque projet doit être pensé dans la vie réelle de la communauté et greffé sur elle sans traumatisme, avec une phase nécessaire de consultation préalable, puis une mise en œuvre progressive, enfin une phase de vérification.
37. Naturellement, ce renouvellement ne concerne pas uniquement le curé, ni ne peut être imposé d’en haut en en excluant le Peuple de Dieu. La conversion pastorale des structures implique la conscience que « le saint Peuple fidèle de Dieu est oint de la grâce de l’Esprit Saint ; par conséquent, au moment de réfléchir, de penser, d’évaluer, de discerner, nous devons être très attentifs à cette onction. Chaque fois que, comme Eglise, comme pasteurs, comme consacrés, nous avons oublié cette évidence, nous nous sommes trompés de route. Chaque fois que nous voulons supplanter, réduire au silence, anéantir, ignorer ou réduire à de petites élites le Peuple de Dieu dans sa totalité et ses différences, nous bâtissons des communautés, des plans pastoraux, des élaborations théologiques, des spiritualités et des structures sans racines, sans histoire, sans visage, sans mémoire, sans corps, de fait, sans vie. Lorsque nous faisons abstraction de la vie du Peuple de Dieu, nous tombons dans la désolation et nous pervertissons la nature de l’Eglise »[44].
En ce sens, le clergé ne réalise pas seul la transformation sollicitée par l’Esprit Saint mais est engagé dans la conversion qui touche toutes les composantes du Peuple de Dieu[45]. Il convient donc de « chercher consciemment et avec lucidité des espaces de communion et de participation afin que l’Onction du Peuple de Dieu tout entier trouve ses médiations concrètes pour se manifester »[46].
38. Il est par conséquent évident qu’il faille dépasser autant une conception autoréférentielle de la paroisse qu’une “cléricalisation de la pastorale”. Prendre au sérieux le fait que le Peuple de Dieu « a pour condition, la dignité et la liberté des fils de Dieu, dans le cœur de qui l'Esprit Saint habite comme dans un temple »[47] implique qu’il faut promouvoir des manières de faire et des modèles dans lesquels chaque baptisé, en vertu du don de l’Esprit Saint et des charismes reçus, devient acteur de l’évangélisation selon le style et les modalités d’une communion organique, autant avec les autres communautés paroissiales qu’avec la pastorale d’ensemble du diocèse. C’est bien en effet la communauté tout entière qui est le sujet responsable de la mission, du fait que l’Eglise ne se réduit pas à sa seule hiérarchie, mais se constitue comme Peuple de Dieu.
39. Les pasteurs ont la mission de maintenir vivante cette dynamique, afin que chaque baptisé se découvre acteur de l’évangélisation. La communauté presbytérale, attentive à rester elle-même en formation permanente[48], doit exercer avec sagesse l’art du discernement qui permet à la vie paroissiale de grandir et de mûrir, dans le respect des diverses vocations et des ministères. Le prêtre donc, comme membre et serviteur du Peuple de Dieu qui lui a été confié, ne peut pas se substituer à lui. La communauté paroissiale est habilitée à proposer des formes d’exercice des ministères, d’annonce de la foi et de témoignage de la charité.
40. Le rôle central de l’Esprit Saint – don gratuit du Père et du Fils à l’Eglise – amène à vivre profondément la dimension de la gratuité, selon l’enseignement de Jésus : « Vous avez reçu gratuitement, donnez gratuitement » (Mt 10, 8). Il a appris à ses disciples à vivre dans le service généreux, à être chacun un don pour les autres (cf. Jn 13, 14-15), avec une attention préférentielle envers les pauvres. En découle, entre autre, la nécessité de ne pas “marchander” la vie sacramentelle et de ne pas donner l’impression que la célébration des sacrements – surtout l’Eucharistie – et les autres actions ministérielles puissent être l’objet de tarifications.
Le pasteur qui sert le troupeau avec une générosité gratuite, est tenu en même temps, de former les fidèles afin que chaque membre de la communauté se sente impliqué de manière responsable et directe, pour subvenir aux besoins de l’Eglise, à travers les diverses formes d’aide et de solidarité dont la paroisse a besoin pour accomplir son service pastoral librement et efficacement.
41. La mission à laquelle est appelée la paroisse, comme centre moteur de l’évangélisation, concerne donc tout le Peuple de Dieu dans ses diverses composantes : prêtres, diacres, consacrés et fidèles laïcs, chacun selon son charisme et les responsabilités qui lui correspondent.
VII. La paroisse et les autres répartitions internes d’un diocèse
42. La conversion pastorale de la communauté paroissiale dans un sens missionnaire prend donc forme et se réalise selon un processus graduel de renouvellement des structures où, par conséquent, la charge pastorale ou une participation à son exercice est confiée aux uns et aux autres selon des modalités diverses qui impliquent toutes les composantes du Peuple de Dieu.
43. A propos de la répartition interne du territoire diocésain[49], à la paroisse et aux vicariats forains, déjà prévus par le Code de Droit Canonique en vigueur[50], se sont ajoutées depuis quelques décennies dans le langage courant, repris par les documents du Magistère, des expressions comme “unités pastorales” et “zones pastorales”. Ces dénominations définissent de fait des formes d’organisation pastorales du diocèse, qui expriment un nouveau rapport entre les fidèles et le territoire.
44. Pour cette question des “unités” ou “zones pastorales”, personne ne doit évidemment penser que la solution aux multiples problèmes actuels se trouve en donnant tout simplement un nouveau nom à des réalités déjà existantes. Pour éviter de subir le changement dans ce processus de renouveau, bien au contraire pour le promouvoir et l’orienter, il faut trouver les structures qui permettront de revivifier dans toutes les composantes de la communauté chrétienne la commune vocation à l’évangélisation, pour une charge pastorale plus efficace du Peuple de Dieu, le “facteur clé” ne pouvant être que la proximité.
45. Dans cette perspective, la norme canonique met en relief la nécessité de délimiter des zones territoriales distinctes[51] à l’intérieur de chaque diocèse, quitte à ce qu’elles soient ensuite regroupées en des réalités intermédiaires entre le diocèse lui-même et chaque paroisse. Par conséquent, il peut exister différents types de regroupements de paroisses[52] qui tiennent compte de la dimension du diocèse et de sa réalité pastorale concrète.
La communion de l’Eglise doit être vivante et agissante au cœur de ces regroupements, avec une attention particulière à l’égard du territoire concret. C’est pourquoi, en les érigeant, il faut tenir compte, le plus possible, de l’homogénéité de la population et de ses manières de vivre, ainsi que des caractéristiques communes du territoire, de façon à faciliter la relation de proximité entre les curés et les autres agents pastoraux[53].
VII.a. Comment procéder à l’érection d’un regroupement de paroisses
46. Tout d’abord, avant de procéder à l’érection d’un regroupement de paroisses, l’Evêque doit nécessairement consulter à ce sujet le Conseil Presbytéral[54], dans le respect de la norme canonique et au nom de l’incontournable coresponsabilité ecclésiale, partagée à divers titres entre l’Evêque et les membres de ce Conseil.
47. Le regroupement de plusieurs paroisses peut se faire avant tout selon la simple forme associative, de manière à ce que les paroisses associées gardent une identité distincte.
Conformément à la norme canonique, quand on réalise n’importe quel genre de regroupement de paroisses voisines, il va de soi qu’il faille respecter les éléments essentiels du droit universel concernant la personne juridique de la paroisse. L’Evêque ne peut pas dispenser de ces droits[55]. Pour chacune des paroisses qu’il a l’intention de supprimer, il doit donc émettre un décret spécifique comportant les motivations pertinentes[56].
48. A la lumière de ce qui a été exposé ci-dessus, le regroupement, de même que l’érection ou la suppression de paroisses, doit être réalisé par l’Evêque diocésain dans le respect de la norme prévue par le Droit canonique, c’est-à-dire moyennant une incorporation, selon laquelle une paroisse est absorbée par une autre en perdant son individualité originelle et la personnalité juridique ; ou bien moyennant une véritable fusion, qui donne naissance à une nouvelle et unique paroisse, ce qui implique l’extinction des paroisses préexistantes et de leur personnalité juridique ; ou, enfin, moyennant la division d’une communauté paroissiale en plusieurs paroisses autonomes, lesquelles sont créées ex novo[57].
En outre, la suppression de paroisse par union extinctive est légitime pour des causes qui regardent directement la paroisse en question. Ne sont pas des raisons valables, par exemple, la seule pénurie du clergé diocésain, la situation financière générale du diocèse, ou d’autres conditions propres à la communauté, dont on prévoirait un changement à brève échéance (par exemple l’importance numérique, le manque d’autonomie financière, la modification de l’aménagement urbain du territoire). Comme condition de légitimité de ce genre de mesure, il faut que les motifs présentés soient directement et organiquement liés à la communauté paroissiale et non à des considérations générales, théoriques ou “de principe”.
49. En ce qui concerne l’érection et la suppression des paroisses, il convient de rappeler que chaque décision doit être adoptée avec un décret formel, rédigé par écrit[58]. Il faut par conséquent considérer comme non conforme à la norme canonique un acte normatif unique, un décret général ou une loi particulière qui viserait, en une unique mesure, une réorganisation générale du diocèse tout entier ou d’une de ses parties, ou encore d’un ensemble de paroisses.
50. De façon particulière, dans le cas d’une suppression de paroisse, le décret doit indiquer clairement, en faisant référence à la situation concrète, quelles sont les raisons qui ont amené l’Evêque à prendre sa décision. Ces raisons doivent donc être indiquées spécifiquement, vu qu’on ne peut se satisfaire d’une allusion générale au “bien des âmes”.
Dans l’acte selon lequel une paroisse est supprimée, l’Evêque doit également pourvoir à la dévolution de ses biens dans le respect des normes canoniques correspondantes[59] ; à moins qu’il n’y ait de graves raisons qui s’y opposent, auquel cas il faudrait entendre le Conseil presbytéral[60], on doit veiller à ce que l’église de la paroisse supprimée reste ouverte aux fidèles.
51. Dans le cadre du regroupement de paroisses et de leur éventuelle suppression, il peut être parfois nécessaire de réduire une église à un usage profane non inconvenant[61]. Cette décision revient à l’Evêque diocésain, après avoir obligatoirement consulté le Conseil presbytéral[62].
Habituellement, même dans ce cas, la diminution du clergé diocésain, la baisse démographique et la grave crise financière du diocèse ne sont pas des causes légitimes pour décréter une telle réduction. Si au contraire les conditions de l’édifice empêchent qu’il soit utilisé d’aucune manière pour le culte divin, ou qu’il soit réparable, on pourra procéder à sa réduction à un usage profane non inconvenant selon la norme du droit.
VII.b. Le Vicariat forain
52. Il faut rappeler avant toute chose que, « pour favoriser l'exercice de la charge pastorale par une action commune, plusieurs paroisses voisines peuvent être unies par l’Evêque diocésain dans des regroupements particuliers comme les vicariats forains » [63] ; ceux-ci reçoivent comme appellation en divers lieux : “doyennés”, ou “archiprêtrés”, ou encore “zones pastorales” ou “préfectures”[64].
53. Le vicaire forain ne doit pas être nécessairement le curé d’une paroisse déterminée[65]. Pour correspondre à la finalité pour laquelle un vicariat est érigé, sa première responsabilité est celle « de promouvoir et coordonner l'action pastorale commune dans le vicariat forain »[66], de sorte que ce dernier ne reste pas une institution purement formelle. De plus, le vicaire forain « est tenu par l'obligation de visiter les paroisses de son district selon les directives portées par l'Évêque diocésain »[67]. Afin qu’il puisse remplir au mieux sa fonction et pour favoriser davantage l’activité commune entre les paroisses, l’Evêque diocésain peut conférer au vicaire forain d’autres facultés qu’il considérerait opportunes en raison du contexte concret.
VII.c. L’Unité pastorale
54. Dans un but analogue, quand les circonstances le demandent, en raison de l’extension territoriale du vicariat forain ou d’un grand nombre de fidèles, lorsqu’il est nécessaire de favoriser davantage la collaboration organique entre des paroisses limitrophes, après avoir entendu le Conseil presbytéral[68], l’Evêque peut aussi décréter le regroupement stable et institutionnel de différentes paroisses à l’intérieur du vicariat forain[69], en tenant compte de quelques critères concrets.
55. Il est avant tout opportun que les regroupements (dénommés “unités pastorales”[70]) soient délimités le plus possible de manière homogène, même du point de vue sociologique, afin qu’on puisse y réaliser une vraie pastorale d’ensemble ou intégrée[71], dans une perspective missionnaire.
56. De plus, chaque paroisse de ce regroupement doit être confiée à un curé ou à un groupe de prêtres in solidum, qui prennent soin de toutes les communautés paroissiales[72]. Autrement, si l’Evêque l’estime opportun, le regroupement peut aussi être composé de plusieurs paroisses, confiées au même curé[73].
57. Dans tous les cas, étant donné l’attention due aux prêtres qui, bien souvent, ont exercé leur ministère de manière méritoire et qui jouissent de la reconnaissance de la communauté, étant donné également le bien des fidèles eux-mêmes qui sont liés à leurs pasteurs par l’affection et la gratitude, il est demandé qu’au moment de constituer un regroupement déterminé, l’Evêque diocésain ne décide pas, par le même décret, que dans plusieurs paroisses réunies et confiées à un seul curé[74], les autres curés éventuellement présents et encore en charge[75], soient transférés automatiquement à l’office de vicaires paroissiaux, ou relevés de fait de leur charge.
58. Dans ces cas, à moins qu’il ne s’agisse d’une nomination in solidum, il revient à l’Evêque diocésain de déterminer au cas par cas les fonctions du prêtre modérateur de ces regroupements de paroisses, ainsi que sa relation avec le doyen du vicariat forain[76], à l’intérieur duquel l’unité pastorale est constituée.
59. Une fois que le regroupement de paroisses – vicariat forain ou “unité pastorale” – a été érigé selon le droit, l’Evêque détermine, selon l’opportunité, si chaque paroisse qui le constitue doit avoir son propre Conseil pastoral paroissial[77], où s’il est préférable que cette charge soit confiée à un Conseil pastoral unique pour toutes les communautés intéressées. Quelle que soit la situation, du fait qu’elles conservent la personnalité et la capacité juridique, chaque paroisse faisant partie du regroupement doit garder son propre Conseil pour les affaires économiques[78].
60. Afin de favoriser une action évangélisatrice d’ensemble et un soin pastoral plus efficace, il est opportun de constituer, pour les paroisses d’un regroupement, des services pastoraux communs dans des domaines déterminés (par exemple la catéchèse, la charité, la pastorale des jeunes ou des familles), avec la participation de toutes les composantes du Peuple de Dieu, clercs, consacrés et fidèles laïcs.
VII.d. La Zone pastorale
61. Si plusieurs “unités pastorales” peuvent constituer un vicariat forain, de la même façon, surtout dans les diocèses territorialement plus étendus, plusieurs vicariats forains peuvent être réunis par l’Evêque qui aura entendu le Conseil presbytéral[79], en “districts” ou “zones pastorales”[80], sous la conduite d’un Vicaire épiscopal[81] ayant le pouvoir exécutif ordinaire pour l’administration pastorale de la zone, au nom de l’Evêque diocésain, sous son autorité et en communion avec lui, cela en plus des facultés spéciales que ce dernier voudra lui attribuer au cas par cas.
VIII. Les formes ordinaires et extraordinaires selon lesquelles on confie la charge pastorale de la communauté paroissiale
62. En premier lieu, le curé et les autres prêtres, qui sont en communion avec l’Evêque, représentent une référence fondamentale pour la communauté paroissiale, en raison de la charge de pasteur qui est la leur[82]. En cultivant la vie commune et la fraternité sacerdotale, le curé et le presbyterium célèbrent la vie sacramentelle, pour la communauté et avec elle, et sont appelés à organiser la paroisse de manière à ce qu’elle soit un signe efficace de communion[83].
63. Par rapport à la présence et à la mission des prêtres dans la communauté paroissiale, il faut faire une mention particulière de la vie commune[84] ; même si elle ne constitue pas une obligation pour le clergé séculier, elle est recommandée par le can. 280. Il faut rappeler à ce propos la valeur fondamentale de l’esprit de communion, de la prière et de l’action pastorale commune de la part des clercs[85], en vue d’un témoignage effectif de fraternité sacramentelle[86] et d’une action évangélisatrice plus efficace.
64. Quand le Presbyterium expérimente la vie communautaire, l’identité sacerdotale se fortifie, les préoccupations matérielles diminuent et la tentation de l’individualisme cède le pas à la profondeur de la relation personnelle. La prière commune, les échanges d’idées et l’étude, qui ne doivent jamais manquer dans la vie sacerdotale, peuvent constituer un grand soutien dans la formation d’une spiritualité presbytérale incarnée dans le quotidien.
Il convient en tout cas que, selon son discernement et dans la limite du possible, l’Evêque tienne compte des affinités humaine et spirituelle entre les prêtres, auxquels il désire confier une paroisse ou un regroupement de paroisses, tout en les invitant à une disponibilité généreuse dans leur nouvelle mission pastorale et à l’une ou l’autre forme de partage de vie avec les confrères[87].
65. Dans certains cas, surtout là où le presbytère n’est pas de tradition ou d’habitude, ou bien lorsque, pour une raison ou une autre, il n’est pas disponible comme habitation du prêtre, il peut arriver que celui-ci retourne vivre auprès de sa famille d’origine, premier lieu de formation humaine et de découverte vocationnelle[88].
D’un côté, cette pratique peut se révéler positive en ce qui concerne la vie quotidienne du prêtre, du fait qu’elle lui garantit un cadre domestique serein et stable, surtout quand les parents sont encore présents. Mais d’un autre côté, il faut éviter que ces relations familiales soient vécues par le prêtre comme une dépendance intérieure et une source de moindre disponibilité pour un ministère à temps plein, ou encore comme un choix qui, au lieu de la compléter, exclut la relation avec la famille presbytérale et la communauté des fidèles.
VIII.a. Le Curé
66. L’office de curé comporte la pleine charge d’âmes[89]. En conséquence, pour qu’un fidèle soit validement nommé curé, il faut qu’il ait reçu l’Ordre du presbytérat[90]. On exclut toute possibilité de conférer ce titre ou les fonctions qui lui appartiennent à qui serait privé de cet Ordre, même dans le cas où on manquerait de prêtres. Précisément en raison de la relation de connaissance et de proximité qui doit exister entre un pasteur et la communauté, l’office de curé ne peut pas être confié à une personne juridique[91]. En particulier – mis à part ce qui est prévu par le can. 517, §§1-2 – l’office de curé ne peut être confié à un groupe de personnes, composé de clercs et de laïcs. Il faut par conséquent éviter les expressions comme “team responsable”, “équipe responsable”, ou d’autres semblables, qui laisseraient entendre qu’il s’agit d’un gouvernement collégial de la paroisse.
67. Du fait qu’il est le « pasteur propre de la paroisse qui lui est confiée »[92], la représentation juridique de celle-ci revient ipso jure au curé[93]. Il est l’administrateur responsable des biens paroissiaux, qui sont des “biens ecclésiastiques”, par conséquent soumis aux normes canoniques correspondantes[94].
68. Comme l’affirme le Concile Vatican II, « dans sa paroisse chaque curé doit jouir, en son office, de la stabilité que requiert le bien des âmes »[95]. Comme principe général, il est donc demandé que le curé soit « nommé à temps indéterminé »[96].
L’Evêque diocésain peut toutefois nommer des curés pour un temps déterminé, si la Conférence épiscopale l’a décidé ainsi par décret. Du fait qu’il est nécessaire que le curé puisse créer un lien effectif et efficace avec la communauté qui lui est confiée, il convient que les Conférences épiscopales n’établissent pas un temps trop bref, inférieur à 5 ans, pour les nominations à temps déterminé.
69. Dans tous les cas, même s’ils sont nommés pour un “temps indéterminé” ou avant que le “temps déterminé” n’arrive à échéance, les curés doivent se montrer disponibles pour d’éventuels transferts dans une autre paroisse ou office, « si le bien des âmes ou la nécessité ou l’utilité de l’Eglise le requièrent »[97]. Il faut en effet le rappeler : c’est le curé qui est au service de la paroisse, non le contraire.
70. Ordinairement, là où cela est possible, il est bon que le curé ait la charge pastorale d’une seule paroisse. « Cependant, à cause de la pénurie de prêtres ou d'autres circonstances, la charge de plusieurs paroisses voisines peut être confiée au même curé »[98]. Par exemple, parmi les “autres circonstances”, on peut citer l’exiguïté du territoire ou de la population, ou encore la proximité des paroisses intéressées. Si l’Evêque diocésain confie plusieurs paroisses à un seul curé, il doit considérer attentivement si ce dernier pourra exercer pleinement et concrètement, comme vrai pasteur, l’office de curé de toutes les paroisses et de chacune d’elles[99].
71. Une fois nommé, le curé jouit du plein exercice des fonctions qui lui sont confiées, avec tous les droits et les responsabilités qui en découlent, jusqu’à ce qu’il ne cesse légitimement son office pastoral[100]. Pour sa révocation ou son transfert avant l’échéance de son mandat, il faut observer les procédures canoniques correspondantes, que l’Eglise utilise pour le discernement de ce qui convient dans chaque cas concret[101].
72. Quand le bien des fidèles le requiert, même s’il n’existe pas d’autres causes de cessation, le curé qui a atteint ses 75 ans, doit accueillir l’invitation que l’Evêque diocésain peut lui adresser de renoncer à la paroisse[102]. Il faut considérer la présentation de la renonciation, à 75 ans[103], comme un devoir moral, même s’il n’est pas canonique. Elle ne fait cependant pas cesser automatiquement l’office. Elle arrive seulement quand l’Evêque diocésain a communiqué par écrit à l’intéressé l’acceptation de sa renonciation[104]. Par ailleurs, que l’Evêque prenne en considération de manière bienveillante la renonciation présentée par un curé, même s’il le fait seulement en raison de ses 75 ans.
73. Dans tous les cas, avant d’accepter la renonciation, afin d’éviter une conception fonctionnelle du ministère, l’Evêque diocésain pèsera prudemment toutes les circonstances de la personne et du lieu, comme par exemple l’existence de raisons de santé ou de discipline, le manque de prêtres, le bien de la communauté paroissiale et d’autres éléments de ce genre. Il acceptera la renonciation s’il trouve une cause juste et proportionnée[105].
74. Autrement, si les conditions personnelles du prêtre le permettent et si l’opportunité pastorale le conseille, l’Evêque considérera la possibilité de lui laisser l’office de curé, éventuellement en mettant auprès de lui quelqu’un pour l’aider et en préparant la succession. En outre, « selon les cas, l’Evêque peut confier une paroisse plus petite et moins lourde à un curé qui a présenté sa renonciation »[106], ou de toute manière lui donner une autre charge pastorale adaptée à ses possibilités concrètes, tout en invitant le prêtre à comprendre, si c’était nécessaire, qu’il ne doit en aucun cas se sentir “rétrogradé” ou “puni” en raison d’un transfert de ce genre.
VIII.b. L’Administrateur paroissial
75. Au cas où il ne serait pas possible de nommer immédiatement un curé, la désignation d’un administrateur paroissial[107]devra se faire seulement en conformité avec ce que prévoit la norme canonique[108].
Il s’agit en effet d’un office essentiellement transitoire qui est exercé dans l’attente de la nomination d’un nouveau curé. Il est donc illégitime que l’Evêque diocésain nomme un administrateur paroissial et le laisse dans cette charge pendant une longue période, supérieure à un an, ou même de manière stable, en évitant de pourvoir à la nomination du curé.
Comme l’atteste l’expérience, cette solution est souvent adoptée pour contourner les conditions du droit concernant le principe de la stabilité du curé qui est ainsi violé. Il en résulte un dommage pour la mission du prêtre en question ainsi que pour la communauté elle-même qui, dans ces conditions d’incertitude par rapport à la présence de son pasteur, ne peut pas programmer des plans d’évangélisation qui aient de l’ampleur et doit donc se limiter à une pastorale de conservation.
VIII.c. Quand la charge pastorale est confiée solidairement
76. Comme autre possibilité, « là où les circonstances l'exigent, la charge pastorale d'une paroisse ou de plusieurs paroisses ensemble peut être confiée “in solidum” à plusieurs prêtres »[109]. Cette solution peut être adoptée, au jugement de l’Evêque, quand les circonstances concrètes le réclament, en particulier pour le bien de la communauté intéressée, grâce à une action pastorale commune et plus efficace, mais aussi pour promouvoir une spiritualité de communion parmi les prêtres[110].
En de tels cas, le groupe des prêtres, en communion avec les autres composantes des communautés paroissiales intéressées, agit selon une délibération commune, avec un Modérateur qui est un primus inter pares par rapport aux autres prêtres, curés à tous les effets.
77. Il est vivement recommandé que chaque communauté de prêtres, auxquels est confiée in solidum la charge pastorale d’une ou plusieurs paroisses, élabore un règlement intérieur de telle sorte que chacun des prêtres puisse remplir au mieux les tâches et les fonctions qui lui reviennent[111].
La responsabilité propre du Modérateur est de coordonner le travail commun de la paroisse ou des paroisses confiées au groupe, d’assumer leur représentation juridique[112], de coordonner l’exercice de la faculté d’assister aux mariages et de concéder les dispenses qui reviennent aux curés[113], et de répondre devant l’Evêque de toute l’activité du groupe[114].
VIII.d. Le Vicaire paroissial
78. Comme un enrichissement, peut trouver place, à l’intérieur des solutions indiquées ci-dessus, la possibilité qu’un prêtre soit nommé vicaire paroissial et chargé d’un secteur spécifique de la pastorale (jeunes, anciens, malades, associations, confraternités, formation, catéchèse, etc.), “transversale” à plusieurs paroisses, ou bien pour accomplir tout le ministère ou une partie précise de celui-ci, dans une des paroisses[115].
Dans le cas d’une charge conférée à un vicaire paroissial dans plusieurs paroisses confiées à des curés différents, il convient, dans le Décret de nomination, d’expliciter et de décrire les missions qui lui sont confiées dans chaque communauté paroissiale, ainsi que le type de rapport qu’il doit entretenir avec les curés, en ce qui concerne la résidence, la subsistance et la célébration de la Messe.
VIII.e. Les Diacres
79. Les diacres sont des ministres ordonnés, incardinés dans un diocèse ou d’autres réalités ecclésiales qui en ont la faculté[116] ; ils sont collaborateurs de l’Evêque et des prêtres dans l’unique mission évangélisatrice, avec la charge spécifique, en vertu du sacrement reçu, de « servir le Peuple de Dieu dans la diaconie de la liturgie, de la parole et de la charité »[117].
80. Pour sauvegarder l’identité des diacres et en vue de la promotion de leur ministère, le Pape François a tout d’abord mis en garde contre certains risques concernant la compréhension de la nature du diaconat: « Nous devons faire attention à ne pas voir les diacres comme des demi-prêtres et des demi-laïcs. […] Et l’image du diacre comme une sorte d’intermédiaire entre les fidèles et les pasteurs ne va pas bien non plus. Ni à mi-chemin entre les prêtres et les laïcs, ni à mi-chemin entre les pasteurs et les fidèles. Et il existe deux tentations. Il y a le danger du cléricalisme : le diacre qui est trop clérical. […] Et l’autre tentation, le fonctionnalisme : c’est un assistant qui aide le prêtre pour ceci ou pour cela »[118].
Dans le même discours, le Saint Père a ensuite offert quelques précisions par rapport au rôle spécifique des diacres à l’intérieur de la communauté ecclésiale : « Le diaconat est une vocation spécifique, une vocation familiale qui implique le service. […] Ce mot est la clé pour comprendre votre charisme. Le service comme un des dons caractéristiques du peuple de Dieu. Le diacre est — pour ainsi dire — le gardien du service dans l’Eglise. Chaque parole doit être bien mesurée. Vous êtes les gardiens du service dans l’Eglise : le service de la Parole, le service de l’Autel, le service des Pauvres »[119].
81. La doctrine sur le diaconat a connu tout au long des siècles une importante évolution. Sa reprise par le Concile Vatican II correspond, entre autre, à une clarification doctrinale et à un élargissement de l’action ministérielle de référence, qui ne se limite pas à “enfermer” le diaconat dans le seul domaine du service caritatif ou à le réserver – selon ce qui a été établi par le Concile de Trente – aux seuls diacres en vue du sacerdoce, presqu’uniquement ordonnés pour le service liturgique. Le Concile Vatican II précise qu’il s’agit d’un degré du sacrement de l’Ordre, si bien que « la grâce sacramentelle leur donne la force nécessaire pour servir le peuple de Dieu dans la “diaconie” de la liturgie, de la prédication et de la charité, en communion avec l'évêque et son presbyterium »[120].
La réception postconciliaire reprend ce qui a été établi par Lumen gentium et définit toujours mieux l’office des diacres comme une participation du Sacrement de l’Ordre, bien que selon un degré différent. Dans son audience aux participants du Congrès international sur le Diaconat, Paul VI voulut rappeler, en effet, que le diaconat sert les communautés chrétiennes « tant dans l’annonce de la Parole de Dieu que dans le ministère des sacrements et dans l’exercice de la charité »[121]. D’autre part, bien que dans le livre des Actes (Ac 6, 1-6), il semblerait que les sept hommes choisis soient destinés au seul service des tables, en réalité, le même livre biblique raconte comment Etienne et Philippe exercent à plein titre la “diaconie de la Parole”. Comme collaborateurs des Douze et de Paul, ils exercent donc leur ministère dans deux domaines : l’évangélisation et la charité.
Les fonctions ecclésiales qui peuvent être confiées à un diacre sont donc nombreuses. Ce sont toutes celles qui ne comportent pas la pleine charge des âmes[122]. Le Code de Droit Canonique, cependant, détermine quels sont les offices réservés aux prêtres et lesquels peuvent être confiés aux laïcs ; par contre on ne voit pas l’indication de quelque office particulier dans lequel le ministère diaconal puisse manifester sa spécificité.
82. Quoi qu’il en soit, l’histoire du diaconat rappelle que celui-ci a été institué dans le cadre d’une vision ministérielle de l’Eglise et donc comme ministère ordonné au service de la Parole et de la charité; ce dernier domaine comprend aussi l’administration des biens. Cette double mission du diacre s’exprime ensuite dans le cadre liturgique, dans lequel il est appelé à proclamer l’Evangile et à servir à la table eucharistique. Ces références pourraient aider à expliciter les tâches spécifiques du diacre et valorisent les aspects propres à cette vocation, en vue de la promotion du ministère diaconal.
VIII.f. Les Personnes consacrées
83. Dans de nombreux cas, sont présentes dans la communauté paroissiale des personnes qui appartiennent à la vie consacrée. Celle-ci « n’est pas une réalité extérieure ou indépendante de la vie de l’Église locale, mais elle constitue une manière particulière, marquée par le radicalisme évangélique, d’être présent en son sein, avec ses dons spécifiques »[123]. En outre, intégrée dans la communauté aux côtés des clercs et des laïcs, la vie consacrée « se situe dans la dimension charismatique de l’Église […]. La spiritualité des Instituts de vie consacrée peut devenir, tant pour le fidèle laïc que pour le prêtre, une ressource significative pour vivre sa vocation propre »[124].
84. La contribution que les consacrés peuvent apporter à la mission évangélisatrice de la communauté paroissiale dérive d’abord de leur “être”, c’est-à-dire du témoignage d’une suite radicale du Christ par le moyen de la profession des conseils évangéliques[125], et seulement ensuite par leur “agir”, c’est-à-dire par les œuvres accomplies conformément au charisme de chaque institut (par exemple, catéchèse, charité, formation, pastorale des jeunes, soin des malades)[126].
VIII.g. Les Laïcs
85. La communauté paroissiale se compose d’une manière spéciale de fidèles laïcs[127]. En raison du baptême et des autres sacrements de l’initiation chrétienne, et en de nombreux cas du mariage[128], ils participent à l’action évangélisatrice de l’Eglise, étant donné que « la vocation et la mission propre des fidèles laïcs est la transformation des diverses réalités terrestres pour que toute l’activité humaine soit transformée par l’Évangile »[129].
En particulier, les fidèles laïcs ont de manière propre et spécifique le caractère séculier, c’est-à-dire de « chercher le Règne de Dieu à travers la gérance des choses temporelles qu'ils ordonnent selon Dieu »[130]. Ils « peuvent aussi se sentir appelés ou être appelés à collaborer avec leurs pasteurs au service de la communauté ecclésiale, pour la croissance et la vitalité de celle-ci, exerçant des ministères très diversifiés, selon la grâce et les charismes que le Seigneur voudra bien déposer en eux »[131].
86. Il est demandé aujourd’hui à tous les fidèles laïcs un engagement généreux au service de la mission évangélisatrice, tout d’abord par le témoignage global d’une vie quotidienne conforme à l’Evangile dans les lieux de vie habituels et à tous les niveaux de responsabilité, ensuite d’une manière particulière par l’acceptation d’engagements qui leur correspondent, au service de la communauté paroissiale[132].
VIII.h. Autres formes selon lesquelles on peut confier la charge pastorale
87. Il existe encore une autre modalité selon laquelle l’Evêque – comme le montre le can. 517, §2 – peut pourvoir à la charge pastorale d’une communauté quand, en raison de la pénurie des prêtres, il n’est pas possible de nommer un curé ni un administrateur paroissial qui puisse l’assumer à temps plein. Dans de telles circonstances pastoralement problématiques, pour soutenir la vie chrétienne et permettre à la mission évangélisatrice de la communauté de se poursuivre, l’Evêque diocésain peut confier une participation à l’exercice de la charge pastorale d’une paroisse à un diacre, à un consacré ou à un laïc, ou encore à un groupe de personnes (par exemple, un institut religieux, une association)[133].
88. Ceux à qui sera confiée la participation à la charge pastorale de la communauté, seront coordonnés et guidés par un prêtre pourvu de facultés légitimes, constitué “Modérateur de la charge pastorale”. Lui reviennent de manière exclusive le pouvoir et les fonctions du curé, bien qu’il n’en ait pas l’office, avec les devoirs et les droits conséquents.
Il faut rappeler qu’il s’agit d’une forme extraordinaire de la manière de confier la charge pastorale, en raison de l’impossibilité de nommer un curé ou un administrateur paroissial, à ne pas confondre avec la coopération ordinaire active et avec l’acceptation de responsabilités de la part de tous les fidèles.
89. Pour le recours à cette solution extraordinaire, il faut d’abord préparer adéquatement le Peuple de Dieu, et avoir ensuite soin de l’adopter seulement pour le temps nécessaire et non pour une période indéfinie[134]. La juste compréhension et l’application de ce canon requiert que le recours à ce qui est prévu « intervienne dans le scrupuleux respect des clauses qu’elle contient, à savoir : a) “par manque de prêtres”, et non pas pour des raisons de commodité ou d’une équivoque “promotion du laïcat” […] ; b) restant ferme qu’il s’agit de “participation à l’exercice de la charge pastorale”, et non pas de diriger, coordonner, modérer, gouverner la paroisse ; chose qui, selon les termes même du canon, ne revient qu’à un prêtre »[135].
90. Pour mener à bonne fin le fait de confier la charge pastorale selon le can. 517, §2[136], il faut s’en tenir à certains critères. Tout d’abord, comme il s’agit d’une solution pastorale extraordinaire et temporaire[137], l’unique cause canonique qui rend légitime son recours est un manque de prêtres, en raison duquel il n’est pas possible de pourvoir à la charge pastorale de la communauté paroissiale avec la nomination d’un curé ou d’un administrateur paroissial. Par ailleurs, un ou plusieurs diacres sont à préférer à des consacrés et à des laïcs pour un tel type de gestion de la charge pastorale[138].
91. En tout cas, la coordination de l’activité pastorale ainsi organisée revient au prêtre désigné par l’Evêque diocésain comme Modérateur ; ce prêtre possède de manière exclusive les pouvoirs et les facultés qui sont propres au curé ; les autres fidèles ont, par contre, « une participation à l’exercice de la charge pastorale de la paroisse »[139].
92. Le diacre et les autres personnes non ordonnées, qui participent à l’exercice de la charge pastorale, peuvent accomplir les seules fonctions qui correspondent à leur état de diacre ou de laïc, en respectant « les propriétés originelles de diversité et de complémentarité entre les dons et les fonctions des ministres ordonnés et des fidèles laïcs, propres à l'Église que Dieu a voulue organiquement structurée »[140].
93. Enfin, il est vivement recommandé que, dans le décret par lequel il nomme le prêtre Modérateur, l’Evêque expose, au moins sommairement, les motifs pour lesquels il a été nécessaire de confier la charge pastorale d’une ou plusieurs communautés paroissiales selon cette forme extraordinaire, ceci ayant pour conséquence les formes de l’exercice du ministère du prêtre ainsi nommé.
IX. Les fonctions et les ministères paroissiaux
94. En plus de la collaboration occasionnelle, que chaque personne de bonne volonté – même les non-baptisés – peut apporter aux activités quotidiennes de la paroisse, il existe d’autres fonctions stables, sur la base desquelles les fidèles acceptent, pour un certain temps, la responsabilité d’un service à l’intérieur de la communauté paroissiale. On peut penser, par exemple, aux catéchistes, aux servants d’autel, aux éducateurs qui œuvrent dans des groupes et des associations, à ceux qui se dévouent dans les œuvres de charité ou dans divers types de dispensaires ou centres d’écoute, aux visiteurs des malades.
95. En tout cas, quand on indique les charges qui sont confiées aux diacres, aux consacrés et aux fidèles laïcs qui reçoivent une participation à l’exercice de la charge pastorale, il faut utiliser une terminologie qui corresponde de façon correcte aux fonctions qu’ils peuvent exercer conformément à leur état, de manière à ce que soit bien explicite la différence essentielle qui existe entre le sacerdoce commun et le sacerdoce ministériel, et que soit bien claire la nature de la fonction reçue par chacun.
96. Il revient donc avant tout à l’Evêque diocésain et, pour ce qui est de sa compétence, au curé, de veiller à ce que les fonctions des diacres, des consacrés et des laïcs qui ont un rôle de responsabilité dans la paroisse, ne soient pas désignées par des expressions comme “curé”, “co-curé”, “pasteur”, “chapelain”, “modérateur”, “responsable paroissial”, ou d’autres appellations semblables[141] qui sont réservées par le droit aux prêtres[142], du fait qu’elles ont une relation directe avec le profil ministériel des prêtres.
En ce qui concerne les fidèles que l’on vient d’évoquer et les diacres, des expressions comme “confier la charge pastorale d’une paroisse”, “présider la communauté paroissiale”, et d’autres similaires, sont également illégitimes et non conformes à leur identité vocationnelle, du fait qu’elles ont un rapport direct avec la spécificité du ministère sacerdotal, dont la compétence revient au curé.
Il semble plus approprié d’utiliser par exemple l’expression “diacre coopérateur”, et pour les consacrés et les laïcs, “coordinateur pastoral de … (un secteur de la pastorale)”, “coopérateur pastoral”, “assistant pastoral”, “chargé de … (un secteur de la pastorale)”.
97. Les fidèles laïcs peuvent, conformément au droit, être institués de manière stable lecteurs et acolytes par un rite spécial, selon le can. 230, §1. Le fidèle non ordonné peut être appelé “ministre extraordinaire” seulement s’il a été effectivement appelé par l’Autorité compétente[143] à accomplir les fonctions de suppléance dont il est question aux can. 230, §3 et 943. Une députation temporaire dans l’action liturgique, prévue par le can. 230, §2, même si elle se prolonge dans le temps, ne confère aucune dénomination spéciale au fidèle non ordonné[144].
Ces fidèles laïcs doivent être en pleine communion avec l’Eglise catholique[145], avoir reçu une formation adéquate à la fonction qu’ils sont appelés de remplir, et avoir une conduite personnelle et pastorale exemplaire qui les rende crédibles dans leur service.
98. En plus de ce qui revient aux Lecteurs et aux Acolytes institués de façon stable[146], l’Evêque peut, selon un jugement prudentiel, confier officiellement quelques charges[147] aux diacres, aux personnes consacrées, ainsi qu’aux fidèles laïcs, sous la conduite et la responsabilité du curé, comme par exemple:
1°. La célébration d’une liturgie de la Parole les dimanches et aux fêtes de précepte, quand, « faute de ministre sacré ou pour toute autre cause grave, la participation à la célébration eucharistique est impossible »[148]. Il s’agit d’une possibilité exceptionnelle, à laquelle on recourt seulement s’il existe une réelle impossibilité et en ayant soin de confier ces liturgies aux diacres, dans la mesure où ils sont présents ;
2°. L’administration du baptême, en tenant compte que « le ministre ordinaire du baptême est l’Evêque, le prêtre et le diacre »[149] et que, ce qui est prévu par le can. 861, §2 constitue une exception, qui relève du jugement de l’Ordinaire du lieu ;
3°. La célébration du rite des obsèques, dans le respect de ce qui est prévu au n. 19 des Praenotanda de l’Ordo exsequiarum.
99. Les fidèles laïcs peuvent prêcher dans une église ou dans un oratoire si les circonstances ou un cas particulier le demandent, « selon les dispositions de la Conférence Episcopale »[150] et « en conformité avec le droit et les normes liturgiques, dans le respect des clauses qu’ils contiennent »[151]. En revanche, ils ne pourront en aucun cas prononcer l’homélie pendant la célébration de l’Eucharistie[152].
100. De plus, « là où il n'y a ni prêtre ni diacre, l'Évêque diocésain, sur avis favorable de la conférence des Évêques et avec l'autorisation du Saint-Siège, peut déléguer des laïcs pour assister aux mariages »[153].
X. Les Organismes de coresponsabilité ecclésiale
X.a. Le Conseil paroissial pour les Affaires Economiques
101. La gestion des biens dont dispose chaque paroisse d’une façon ou d’une autre constitue un domaine important d’évangélisation et de témoignage évangélique, devant l’Eglise et la société civile car, comme l’a rappelé le Pape François, « tous les biens que nous possédons, le Seigneur nous les donne pour que le monde, l’humanité, aillent de l’avant, et pour aider les autres »[154]. Le curé ne peut donc, ni ne doit être seul pour accomplir une telle fonction[155], il est nécessaire qu’il soit assisté par des collaborateurs pour administrer les biens de l’Eglise avant tout avec un zèle évangélisateur et un esprit missionnaire[156].
102. Pour cette raison, il faut nécessairement constituer dans chaque paroisse le Conseil pour les Affaires Economiques, qui est un organisme consultatif, présidé par le curé et formé d’au moins trois fidèles[157] ; le nombre minimum de trois est nécessaire pour qu’on puisse considérer que ce Conseil est “collégial” ; il faut rappeler que le curé préside le Conseil pour les Affaires Economiques mais n’est pas compté parmi ses membres.
103. En cas d’absence de normes spécifiques données par l’Evêque diocésain, c’est le curé qui détermine le nombre des membres du Conseil, en rapport avec la grandeur de la paroisse, et s’ils doivent être nommés par lui ou plutôt élus par la communauté paroissiale.
Les membres de ce Conseil n’appartiennent pas nécessairement à la paroisse elle-même, ils doivent être de bonne réputation et experts dans les questions économiques et juridiques[158] pour pouvoir rendre un service effectif et compétent, de manière à ce que le Conseil ne soit pas un organisme purement formel.
104. Enfin, à moins que l’Evêque diocésain n’en ait disposé autrement avec la prudence requise, et qu’il n’existe des normes du droit civil contraires, rien n’empêche que la même personne puisse être membre du Conseil pour les Affaires Economiques de plusieurs paroisses, lorsque les circonstances le demandent.
105. Les normes, que l’Evêque diocésain aura éventuellement promulguées dans ce domaine, devront tenir compte des situations spécifiques des paroisses, comme par exemple leur dimension particulièrement modeste ou leur appartenance à une unité pastorale[159].
106. Le Conseil pour les Affaires Economiques peut jouer un rôle de particulière importance pour développer, à l’intérieur des communautés paroissiales, la culture de la coresponsabilité, de la transparence administrative et de l’attention aux besoins de l’Eglise. En particulier, la transparence doit être entendue, non comme une simple présentation formelle des données, mais plutôt comme une juste information de la communauté et une occasion favorable pour sa formation active. Il s’agit d’un modus agendi incontournable pour la crédibilité de l’Eglise, surtout quand elle doit administrer des biens importants.
107. Ordinairement, l’objectif de la transparence peut être atteint avec la publication du compte-rendu annuel qui doit être d’abord présenté à l’Ordinaire du lieu[160], avec l’indication détaillée des entrées et des sorties. Ainsi, étant donné que les biens appartiennent à la paroisse, non au curé, qui en est cependant l’administrateur, l’ensemble de la communauté pourra se rendre compte de la manière dont les biens sont administrés, ainsi que de la situation économique de la paroisse et des ressources dont elle peut effectivement disposer.
X.b. Le Conseil pastoral paroissial
108. La norme canonique actuelle[161] laisse à l’Evêque diocésain le choix de l’érection d’un Conseil pastoral dans les paroisses, ce qui est cependant vivement recommandé, comme l’a rappelé le Pape François : « Combien les conseils pastoraux sont nécessaires ! Un évêque ne peut guider un diocèse sans les conseils pastoraux. Un curé ne peut pas guider la paroisse sans les conseils pastoraux »[162].
La flexibilité de la norme permet de toute manière les adaptations estimées opportunes dans les circonstances concrètes, comme par exemple dans le cas de plusieurs paroisses confiées à un seul curé, ou en cas d’existence d’une unité pastorale : dans de tels cas, il est possible de constituer un seul Conseil pastoral pour plusieurs paroisses.
109. Le sens théologique du Conseil pastoral s’inscrit dans la réalité constitutive de l’Eglise, c’est-à-dire son être de “Corps du Christ” qui implique une “spiritualité de communion”. Dans la communauté chrétienne, en effet, la diversité des charismes et des ministères qui dérive de l’incorporation au Christ et du don de l’Esprit, ne peut pas devenir « uniformité, obligation de tout faire ensemble et tout pareillement, de penser tous et toujours de la même façon » [163]. Au contraire, en vertu du sacerdoce baptismal[164], chaque fidèle est constitué pour l’édification du Corps tout entier et, en même temps, l’ensemble du Peuple de Dieu, dans une coresponsabilité réciproque de ses membres, participe à la mission de l’Eglise, c’est-à-dire qu’il discerne dans l’histoire les signes de la présence de Dieu et devient témoin de son Règne[165].
110. Loin d’être un simple organisme bureaucratique, le Conseil pastoral met donc en relief et réalise le caractère central du Peuple de Dieu comme sujet et acteur vivant de la mission évangélisatrice, du fait que, par le baptême et la confirmation, chaque fidèle a reçu les dons de l’Esprit : « Renaître à la vie divine par le baptême constitue un premier pas ; il faut ensuite se comporter en fils de Dieu, c’est-à-dire se conformer au Christ qui œuvre dans la Sainte Eglise, en se laissant entrainer dans sa mission dans le monde. L’onction de l’Esprit Saint pourvoit à cela : “sans sa force, il n’y a rien dans l’homme” (cf. Séquence de la Pentecôte). […] De même que toute la vie de Jésus a été animée par l’Esprit, de même la vie de l’Eglise et de chacun de ses membres est sous la conduite du même Esprit »[166].
A la lumière de cette vision de fond, on peut se rappeler des paroles de Saint Paul VI selon lequel « c’est la mission du Conseil pastoral d’étudier, d’examiner tout ce qui concerne les activités pastorales, et proposer ensuite des conclusions pratiques, afin de promouvoir la conformité de la vie et de l’action du Peuple de Dieu avec l’Evangile »[167], en étant conscients que, comme l’a rappelé le Pape François, le but de ce Conseil « n’est pas principalement l’organisation ecclésiale, mais le rêve missionnaire de rejoindre tout le monde »[168].
111. Le Conseil pastoral est un organisme consultatif, régi selon les normes établies par l’Evêque diocésain, pour définir les critères de sa composition, la modalité de l’élection de ses membres, ses objectifs et son mode de fonctionnement[169]. En tout cas, pour éviter de dénaturer le caractère de ce Conseil, il est bon d’éviter de l’appeler “team” ou “équipe”, c’est-à-dire selon des termes qui ne sont pas aptes à exprimer correctement le rapport ecclésial et canonique qui existe entre le curé et les autres fidèles.
112. Dans le respect des normes diocésaines à son sujet, il est nécessaire que le Conseil pastoral soit effectivement représentatif de la communauté dont il est l’expression, dans toutes ses composantes (prêtres, diacres, consacrés, et laïcs). Il constitue le cadre spécifique dans lequel les fidèles peuvent exercer leur droit et leur devoir d’exprimer aux pasteurs leur pensée concernant le bien de la communauté paroissiale, et de la partager aux autres fidèles[170].
La fonction principale du Conseil Pastoral Paroissial est donc de rechercher et d’étudier des propositions pratiques en vue d’initiatives pastorales et caritatives qui concernent la paroisse, en syntonie avec la vie du diocèse.
113. Le Conseil Pastoral Paroissial « ne possède que voix consultative »[171], en ce sens que ses propositions doivent être accueillies favorablement par le curé pour devenir opérantes. Afin de mener un processus de discernement commun, le curé est tenu, pour sa part, de considérer attentivement les indications du Conseil Pastoral, surtout s’il s’est exprimé à l’unanimité.
Pour que le service du Conseil pastoral puisse être efficace et profitable, il importe d’éviter deux extrêmes : d’une part, celui du curé qui se limite à présenter au Conseil pastoral des décisions qu’il a déjà prises, ou bien sans avoir donné les informations préalables nécessaires, ou encore qui le convoque rarement, seulement pro forma ; l’autre extrême est celui d’un Conseil dont le curé est seulement un des membres, ce qui le prive de fait de son rôle de pasteur et de guide de la communauté[172].
114. Enfin, il convient que le Conseil pastoral soit autant que possible composé de ceux qui exercent une responsabilité effective dans la vie pastorale de la paroisse, ou qui y sont concrètement engagés, afin d’éviter que les réunions se transforment en échange d’idées abstraites qui ne tiennent pas compte de la vie réelle de la communauté, avec ses richesses et ses problèmes.
X.c. Autres formes de coresponsabilité dans la charge pastorale
115. Lorsqu’une communauté de fidèles ne peut être érigée en paroisse ou quasi-paroisse[173], l’Evêque diocésain, après avoir entendu le Conseil presbytéral[174], pourvoira à sa charge pastorale[175] d’une autre manière, en considérant par exemple la possibilité de constituer des centres pastoraux, dépendants du curé du lieu, comme “centres missionnaires” pour promouvoir l’évangélisation et la charité. Dans ces cas, il convient d’attacher à ces réalités une église qui convienne ou un oratoire[176] et de rédiger des normes diocésaines de référence pour ses activités, en sorte qu’elles soient coordonnées et complémentaires par rapport à celles de la paroisse.
116. Ces centres ainsi définis, qu’on appelle “diaconies” dans quelques diocèses, pourront être confiés – quand c’est possible – à un vicaire paroissial ou même, d’une façon spéciale, à un ou plusieurs diacres permanents, qui en aient la responsabilité et les gèrent, éventuellement avec leurs familles, sous la responsabilité du curé.
117. Ces centres peuvent devenir des avant-postes missionnaires et des structures de proximité, surtout dans les paroisses aux grandes étendues, qui assurent des temps de prière et d’adoration eucharistique, la catéchèse et d’autres activités en faveur des fidèles, spécialement celles qui concernent la charité à l’égard des pauvres et des indigents, le soin des malades. Cela peut se réaliser avec la collaboration de consacrés et de laïcs ainsi que de toute personne de bonne volonté.
Les responsables du centre pastoral auront soin, grâce au curé et aux autres prêtres de la communauté, de garantir la célébration la plus fréquente possible des sacrements, surtout de la messe et de la réconciliation.
XI. Les offrandes à l’occasion de la célébration des sacrements
118. Il existe un thème connexe à la vie des paroisses et à leur mission évangélisatrice : l’offrande destinée au prêtre qui célèbre la messe et celles qui sont faites à l’occasion des autres sacrements et qui reviennent à la paroisse[177]. Il s’agit d’une offrande qui, par sa nature, doit être de la part du donateur un acte libre, laissé à sa conscience, à son sens de la responsabilité ecclésiale, et non un “prix à payer” ou une “taxe à exiger”, comme s’il s’agissait d’un “impôt sur les sacrements”. De fait, avec leur offrande pour la messe, « les fidèles […] contribuent au bien de l'Église et participent par cette offrande à son souci pour le soutien de ses ministres et de ses œuvres »[178].
119. En ce sens il est important de sensibiliser les fidèles pour qu’ils contribuent volontiers aux nécessités de la paroisse, qui sont “leurs affaires”. Il est bon qu’ils apprennent à en prendre soin spontanément, spécialement dans les pays où l’offrande faite à l’occasion de la célébration de la messe est encore l’unique source de subsistance pour les prêtres et de ressource pour l’évangélisation.
120. Une telle sensibilisation sera d’autant plus efficace que, de leur côté, les prêtres offriront des exemples “vertueux” dans l’usage de l’argent, à la fois par un style de vie sobre et sans excès sur le plan personnel, et par une gestion transparente et avisée des biens paroissiaux, pensés en fonction des besoins réels des fidèles, surtout des plus pauvres et des indigents, plutôt que d’être des “projets” du curé ou d’un groupe restreint de personnes, qui peuvent être bons en soi, mais abstraits.
121. Dans tous les cas, « en matière d'offrande de Messes, on écartera absolument jusqu'à l'apparence de commerce ou de trafic »[179], en tenant compte qu’il « est vivement recommandé aux prêtres, même s'ils n'ont pas reçu d'offrande, de célébrer la Messe aux intentions des fidèles, surtout de ceux qui sont dans le besoin »[180].
Parmi les moyens qui peuvent permettre d’atteindre un tel objectif, on peut penser à une collecte anonyme des offrandes, de façon à ce que chacun se sente libre de donner ce qu’il peut ou estime juste, sans se sentir obligé de correspondre à une attente ou à un prix.
Conclusion
122. La présente Instruction entend développer le thème du renouveau de la paroisse dans un sens missionnaire, en se fondant sur l’ecclésiologie du Concile Vatican II, éclairé par le Magistère récent, et en considérant les contextes sociaux et culturels qui ont connu de profondes mutations.
La paroisse reste une institution incontournable pour la rencontre et la relation vivante avec le Christ et les frères dans la foi. Mais il est tout aussi vrai qu’elle doit être constamment confrontée aux changements qui s’opèrent dans la culture actuelle et dans la vie des personnes. Cela permet d’explorer avec créativité les voies et les moyens nouveaux qui lui permettent d’être à la hauteur de sa tâche première, celle d’être le centre moteur de l’évangélisation.
123. Par conséquent, l’action pastorale a besoin de dépasser les limites territoriales de la paroisse, de manifester plus clairement la communion ecclésiale grâce à une synergie des ministères et des charismes, tout en se structurant comme “pastorale d’ensemble” au service du diocèse et de sa mission.
Il s’agit d’une action pastorale qui, grâce à une collaboration effective et vitale entre prêtres, diacres, consacrés et laïcs, ainsi qu’entre diverses communautés paroissiales d’un même territoire ou d’une région, ait le souci de trouver ensemble les demandes, les difficultés et les défis de l’évangélisation et qui cherche à intégrer des voies, des instruments, des propositions et des moyens capables de les affronter. Un tel projet missionnaire commun pourrait être élaboré et réalisé dans des contextes territoriaux et sociaux voisins, c’est-à-dire dans des communautés limitrophes ou réunies par les mêmes conditions socio-culturelles, ou encore en référence à des milieux pastoraux homogènes, par exemple dans le cadre d’une nécessaire coordination entre pastorale de la jeunesse, des étudiants et des vocations, comme cela existe déjà dans plusieurs diocèses.
Pour cela, la pastorale d’ensemble, en plus d’une coordination responsable des activités et des structures pastorales capables de se rencontrer et de collaborer ensemble, requiert la contribution de tous les baptisés. Comme le dit le Pape François, « quand nous parlons de “peuple”, il ne faut pas comprendre les structures de la société ou de l’Eglise, mais l’ensemble des personnes qui ne marchent pas comme des individus mais comme le tissu d’une communauté de tous et pour tous »[181].
Cela exige que l’institution paroissiale historique ne soit pas emprisonnée dans l’immobilisme ou une répétition pastorale préoccupante, mais qu’elle mette bien au contraire en acte ce “dynamisme en sortie” qui, dans la collaboration entre les diverses communautés paroissiales et une communion renforcée entre clercs et laïcs, l’oriente effectivement vers la mission évangélisatrice, tâche de tout le Peuple de Dieu, qui marche dans l’histoire comme “famille de Dieu” et qui, dans la synergie de ses membres divers, œuvre à la croissance du corps ecclésial tout entier.
Ainsi, le présent Document, en plus de souligner l’urgence d’un semblable renouveau, présente un ensemble de normes canoniques qui précise la possibilité, les limites, les droits et devoirs des pasteurs et des laïcs, afin que la paroisse se redécouvre un lieu fondamental de l’annonce évangélique, de la célébration de l’Eucharistie, espace de fraternité et de charité, d’où rayonne le témoignage chrétien pour le monde. Autrement dit, la paroisse « doit rester, en tant qu’un lieu de créativité, de référence, de maternité. Et là, mettre en œuvre cette capacité inventive ; et quand une paroisse va ainsi de l’avant, elle devient ce que j’appelle une “paroisse en sortie” »[182].
124. Le Pape François invite à invoquer « Marie, Mère de l’Evangélisation » afin qu’elle « nous aide, la Vierge, à dire notre “oui” dans l’urgence de faire résonner la Bonne Nouvelle de Jésus à notre époque ; qu’elle nous obtienne une nouvelle ardeur de ressuscités pour porter à tous l’Evangile de la vie qui remporte la victoire sur la mort ; qu’elle intercède pour nous afin que nous puissions acquérir la sainte audace de rechercher de nouvelles routes pour que parvienne à tous le don du salut »[183].
Le Saint-Père a approuvé le présent Document de la Congrégation pour le Clergé le 27 juin 2020.
Rome, 29 juin 2020, en la Solennité des Saints Apôtres Pierre et Paul.
✠ Beniamino Card. Stella
Préfet |
✠ Joël Mercier
Secrétaire
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✠ Jorge Carlos Patrón Wong
Secrétaire pour les Séminaires
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Mons. Andrea Ripa
Sous-Secrétaire
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[1] François, Discours aux curés de Rome (16 septembre 2013).
[2] Cf. Id., Exhortation apostolique Evangelii gaudium (24 novembre 2013), n. 287 : AAS 105 (2013), 1136.
[3] Ibid., n. 49 : AAS 105 (2013), 1040.
[4] Concile Œcuménique Vatican II, Constitution pastorale sur l’Eglise dans le monde de ce temps Gaudium et spes (7 décembre 1965), n. 58 : AAS 58 (1966), 1079.
[5] Ibid., n. 44 : AAS 58 (1966), 1065.
[6] Cf. Ephrem le Syrien, Commentaire sur le Diatessaron 1, 18-19 : SC 121, 52-53.
[7] Cf. François, Lettre encyclique Laudato sì (24 mai 2015), n. 68 : AAS 107 (2015), 847.
[8] Cf. Paul VI, Lettre encyclique Ecclesiam Suam (6 août 1964) : AAS 56 (1964), 639.
[9] Evangelii gaudium, n. 27 : AAS 105 (2013), 1031.
[10] Cf. Jean-Paul II, Exhortation apostolique post-synodale Christifideles laici (30 décembre 1988), n. 26 : AAS 81 (1989), 438.
[11] François, Audience Générale (12 juin 2019) : L’Osservatore Romano 134 (13 juin 2019), 1.
[12] Concile Œcuménique Vatican II, Décret sur la mission pastorale des Evêques dans l’Eglise Christus Dominus (28 octobre 1965), n. 30 : AAS 58 (1966), 688.
[13] Jean-Paul II, Discours aux Participants à la Plénière de la Congrégation pour le Clergé (20 octobre 1984), nn. 3 et 4 : Insegnamenti VII/2 (1984), 984 et 985 ; cf. aussi Id., Exhortation apostolique Catechesi tradendae (16 octobre 1979), n. 67 : AAS 71 (1979), 1332.
[14] Benoît XVI, Homélie à l’occasion de la visite pastorale à la paroisse romaine Santa Maria dell’Evangelizzazione (10 décembre 2006) : Insegnamenti II/2 (2006), 795.
[15] Evangelii gaudium, n. 28 : AAS 105 (2013), 1032.
[16] Cf. Gaudium et spes, n. 4 : AAS 58 (1966), 1027.
[17] Ibid., n. 1 : AAS 58 (1966), 1025-1026.
[18] Cf. Evangelii gaudium, nn. 72-73 : AAS 105 (2013), 1050-1051.
[19] Cf. Synode des Evêques, XVème Assemblée générale ordinaire (3-28 octobre 2018): « Les jeunes, la foi et le discernement vocationnel », Document final, n. 129 : « Dans ce contexte, une vision de l’action paroissiale délimitée par les seules frontières territoriales et incapable de mobiliser les fidèles avec des propositions diversifiées, surtout les jeunes, emprisonnerait la paroisse dans un immobilisme inacceptable et dans une répétitivité pastorale préoccupante » : L’Osservatore Romano 247 (29-30 octobre 2018), 10.
[20] Cf. par exemple, C.I.C., cann. 102 ; 1015-1016 ; 1108, § 1.
[21] Cf. Christifideles laici, n. 25 : AAS 81 (1989), 436-437.
[22] Cf. Evangelii gaudium, n. 174 : AAS 105 (2013), 1093.
[23] Cf. ibid., nn. 164-165 : AAS 105 (2013), 1088-1089.
[24] Concile Œcuménique Vatican II, Constitution dogmatique sur l’Eglise Lumen gentium (21 novembre 1964), n. 11 : AAS57 (1965), 15.
[25] Cf. Evangelii gaudium, n. 166-167 : AAS 105 (2013), 1089-1090.
[26] François, Exhortation apostolique sur l’appel à la sainteté dans le monde actuel Gaudete et exultate (19 mars 2018), n. 35: AAS 110 (2018), 1120. A propos du gnosticisme et du pélagianisme, il faut encore écouter les paroles du Pape François : « Cette mondanité peut s’alimenter spécialement de deux manières profondément liées entre elles. L’une est l’attrait du gnosticisme, une foi renfermée dans le subjectivisme, où seule compte une expérience déterminée ou une série de raisonnements et de connaissances que l’on considère comme pouvant réconforter et éclairer, mais où le sujet reste en définitive fermé dans l’immanence de sa propre raison ou de ses sentiments. L’autre est le néo-pélagianisme autoréférentiel et prométhéen de ceux qui, en définitive, font confiance uniquement à leurs propres forces et se sentent supérieurs aux autres parce qu’ils observent des normes déterminées ou parce qu’ils sont inébranlablement fidèles à un certain style catholique justement propre au passé » : Evangelii gaudium, n. 94 : AAS 105 (2013), 1059-1060 ; cf. également Congrégation pour la Doctrine de la Foi, Lettre Placuit Deo (22 février 2018) : AAS 110 (2018), 429.
[27] Cf. Lettre à Diognète V, 1-10 : Patres Apostolici, ed. F.X. Funk, vol. 1, Tubingae 1901, 398.
[28] Cf. Jean-Paul II, Lettre apostolique Novo millenio ineunte (6 janvier 2001), n. 1 : AAS 93 (2001), 266.
[29] Evangelii gaudium, n. 28 : AAS 105 (2013), 1032.
[30] Cf. C.I.C., cann. 515 ; 518 ; 519.
[31] Evangelii gaudium, n. 28 : AAS 105 (2013), 1031-1032.
[32] Ibid.
[33] Cf. François, Exhortation apostolique post-synodale Christus vivit (25 mars 2019), n. 238, Cité du Vatican 2019.
[34] Cf. Id., Bulle Misericordiae vultus (11 avril 2015), n. 3 : AAS 107 (2015), 400-401.
[35] Benoît XVI, Discours aux Evêques du Brésil (11 mai 2007), n. 3 : Insegnamenti III/1 (2007), 826.
[36] Evangelii gaudium, n. 198 : AAS 105 (2013), 1103.
[37] Cf. François, Méditation quotidienne à Sainte Marthe (30 octobre 2017).
[38] Cf. Evangelii gaudium, n. 186-216 : AAS 105 (2013), 1098-1109.
[39] Cf. Gaudete et exsultate, nn. 95-99 : AAS 110 (2018), 1137-1138.
[40] Cf. Evangelii gaudium, n. 27 : AAS 105 (2013), 1031 ; ibid. n. 189 : AAS 105 (2013), 1099 : « Un changement des structures qui ne génère pas de nouvelles convictions et attitudes fera que ces mêmes structures tôt ou tard deviendront corrompues, lourdes et inefficaces ».
[41] Ibid., n. 26 : AAS 105 (2013), 1030-1031.
[42] Christus Dominus, n. 30 : AAS 58 (1966), 688.
[43] François, Présentation des vœux de Noël à la Curie Romaine (22 décembre 2016) : AAS 109 (2017), 44.
[44] Id., Carta al Pueblo de Diós que peregrina en Chile (31 mai 2018) : L’Osservatore Romano 294 (23 décembre 2016), www.vatican.va/content/francesco/es/letters/2018/documents/papa-francesco_20180531_lettera-popolodidio-cile.html.
[45] Cf. Ibid.
[46] Ibid.
[47] Lumen gentium, n. 9 : AAS 57 (1965), 13.
[48] Congrégation pour le Clergé, Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis (8 décembre 2016), nn. 80-88, Cité du Vatican 2016, pp. 37-40.
[49] Cf. C.I.C., can. 374, §1.
[50] Cf. ibid., can. 374, § 2 ; cf. Congrégation pour les Evêques, Directoire pour le ministère pastoral des Evêques Apostolorum successores (22 février 2004), n. 217 : Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2110.
[51] Cf. C.I.C., can. 374, §1.
[52] Cf. ibid., can. 374, §2.
[53] Cf. Apostolorum successores, n. 218 : Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2114.
[54] Cf. C.I.C. can. 515, §2.
[55] Cf. ibid., can. 86.
[56] Cf. ibid., can. 120, §1.
[57] Cf. ibid., cann. 121-122 ; Apostolorum successores, n. 214 : Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2099.
[58] Cf. C.I.C. can. 51.
[59] Cf. ibid., cann. 120-123.
[60] Cf. ibid., cann. 500, §2 et 1222, §2.
[61] Cf. Conseil Pontifical de la Culture, Désaffectation des lieux de culte, les lignes directrices (17 décembre 2018): http://www.cultura.va/content/dam/cultura/docs/pdf/beniculturali/guidelines_fr.pdf.
[62] Cf. C.I.C. can. 1222, §2.
[63] Ibid., can. 374, §2.
[64] Cf. Apostolorum successores, n. 217 : Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2110.
[65] Cf. C.I.C. can. 554, §1.
[66] Ibid., can. 555, §1, 1°.
[67] Ibid., can. 555, §4.
[68] Cf. ibid., can. 500, §2.
[69] Cf. Conseil Pontifical pour la Pastorale des Migrants et des Personnes en Déplacement, Erga migrantes charitas Christi (3 mai 2004), n. 95 : Enchiridium Vaticanum 22 (2003-2004), 2548.
[70] Cf. Apostolorum successores, n. 215, b) : Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2104.
[71] Cf. ibid.
[72] Cf. C.I.C. can. 517, §1.
[73] Cf. ibid., can. 526, § 1.
[74] Cf. ibid.
[75] Cf. ibid., can. 522.
[76] Cf. ibid., can. 553-555.
[77] Cf. ibid., can. 536.
[78] Cf. ibid., can. 537.
[79] Cf. ibid., can. 500, §2.
[80] Cf. Apostolorum successores, n. 219 : Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2117; il convient de réserver l’expression “zone pastorale” à ce seul genre de regroupement, afin de ne pas créer des confusions.
[81] Cf. C.I.C. cann. 134, §1 et 476.
[82] Il faut tenir compte que : a) ce qui concerne l’ “Evêque diocésain” vaut aussi pour ceux qui lui sont équiparés par le Droit ; b) ce qui concerne la paroisse et le curé vaut aussi pour la quasi-paroisse et le quasi-curé ; c) ce qui concerne les fidèles laïcs s’applique aussi aux membres non clercs des instituts de vie consacrée ou des sociétés de vie apostolique, à moins que soit faite une référence explicite à la spécificité laïque ; d) le terme “Modérateur” a des significations différentes selon le contexte dans lequel il est utilisé dans cette Instruction, et dans le respect des normes du Code.
[83] Cf. Lumen gentium, n. 26 : AAS 57 (1965), 31-32.
[84] Cf. Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis, nn. 83 ; 88.e, pp. 37 ; 39-40.
[85] Cf. C.I.C. can. 275, §1.
[86] Cf. Concile Œcuménique Vatican II, Décret sur le ministère et la vie des prêtres Presbyterorum ordinis (7 décembre 1965), n. 8 : AAS 58 (1966), 1003.
[87] Cf. Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis, n. 88, pp. 39-40.
[88] Cf. François, Discours aux participants du Congrès organisé par la Congrégation pour le Clergé, à l’occasion du 50èmeanniversaire des Décrets Conciliaires “Optatam totius” et “Presbyterorum ordinis” (20 novembre 2015) : AAS 107 (2015), p. 1295.
[89] Cf. C.I.C. can. 150.
[90] Cf. ibid., can. 521, § 1.
[91] Cf. ibid., can. 520, § 1.
[92] Ibid., can. 519.
[93] Cf. ibid., can. 532.
[94] Cf. ibid., can. 1257, § 1.
[95] Christus Dominus, n. 31 : AAS 58 (1965), 689.
[96] C.I.C. can. 522.
[97] Ibid., can. 1748.
[98] Ibid., can. 526, §1.
[99] Cf. ibid., can. 152.
[100] Cf. ibid., can. 538, §§ 1-2.
[101] Cf. ibid., cann. 1740-1752, compte tenu des cann. 190-195.
[102] Cf. ibid., can. 538, §3.
[103] Ibidem.
[104] Cf. ibid., can. 189.
[105] Cf. ibid., can. 189, §2, et Apostolorum successores, n. 212 : Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2095.
[106] Apostolorum successores, n. 212 : Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2095.
[107] Cf. C.I.C., cann. 539-540.
[108] Cf. en particulier ibid., can. 539, 549, 1747, §3.
[109] Ibid., can. 517, §1 ; cf. aussi cann. 542-544.
[110] Cf. ibid., cann. 517, §1, et 526, §1.
[111] Cf. ibid., can. 543, §1.
[112] Cf. ibid., can. 543, §2, 3° ; il assume également la représentation juridique civile dans les Pays où la paroisse est reconnue par l’Etat comme une réalité juridique.
[113] Cf. ibid., can. 543, §1.
[114] Cf. ibid., can. 517, §1.
[115] Cf. ibid., can. 545, §2 ; à titre d’exemple, on peut penser à un prêtre possédant une expérience spirituelle mais une faible santé, nommé confesseur ordinaire dans cinq paroisses territorialement voisines.
[116] Cf. ibid., can. 265.
[117] Ibid., can. 1009, §3.
[118] François, Discours pendant la rencontre avec les prêtres et les consacrés, Milan (25 mars 2017) : AAS 109 (2017), 376.
[119] Ibid., 376-377
[120] Lumen Gentium, n. 29 : AAS 57 (1965), 36.
[121] Paul VI, Allocution pendant l’Audience aux participants au Congrès international sur le diaconat, 25 octobre 1965 : Enchiridion sul Diaconato (2009), 147-148.
[122] Cf. C.I.C., can. 150.
[123] Congrégation pour la Doctrine de la Foi, Lettre Iuvenescit Ecclesia aux Evêques de l’Eglise catholique sur la relation entre les dons hiérarchiques et charismatiques pour la vie et la mission de l’Église (15 mai 2016), n. 21 : Enchiridium Vaticanum 32 (2016), 734.
[124] Ibid., n. 22 : Enchiridium Vaticanum 32 (2016), 738.
[125] Cf. C.I.C., can. 573, §1.
[126] Cf. Congrégation pour les Instituts de Vie Consacrée et les Sociétés de Vie Apostolique-Congrégation pour les Evêques, Mutuae relationes. Directives de base sur les rapports entre les Evêques et les religieux dans l’Eglise (14 mai 1978), nn. 10 ; 14, a) : Enchiridium Vaticanum 6 (1977-1979), 604-605 ; 617-620 ; cf. également Apostolorum successores, n. 98 : Enchiridium Vaticanum 22 (2003-2004), 1803-1804.
[127] Cf. Evangelii gaudium, n. 102 : AAS 105 (2013), 1062-1063.
[128] Cf. Christifideles laici, n. 23 : AAS 81 (1989), 429.
[129] Evangelii gaudium, n. 201 : AAS 105 (2013), 1104.
[130] Lumen gentium, n. 31 : AAS 57 (1965), 37.
[131] Paul VI, Exhortation apostolique Evangelii nuntiandi (8 décembre 1975), n. 73 : AAS 68 (1976), 61.
[132] Cf. Evangelii gaudium, n. 81 : AAS 105 (2013), 1053-1054.
[133] Cf. C.I.C., can. 517, §2.
[134] Cf. Apostolorum successores, n. 215, c) : Enchiridium Vaticanum 22 (2003-2004), 2105.
[135] Congrégation pour le Clergé, Instruction [interdicastérielle] sur quelques questions concernant la collaboration des fidèles laïcs au ministère des prêtres Ecclesiae de mysterio (15 août 1997), art. 4, §1, a-b) : AAS 89 (1997), 866-867 ; cf. également Apostolorum successores, n. 215, c) : Enchiridium Vaticanum 22 (2003-2004), 2105. A ce prêtre incombe aussi la représentation juridique de la paroisse, sur les plans canonique et civil, là où la Loi de l’Etat le prévoit.
[136] Avant de recourir à la solution consentie par le can. 517, §2, il faut que l’Evêque diocésain envisage prudemment d’autres possibilités alternatives, comme par exemple engager des prêtres âgés encore aptes au ministère, confier plusieurs paroisses à un seul curé ou à un groupe de prêtres in solidum.
[137] Cf. Ecclesiae de mysterio, art. 4, §1, b) : AAS 89 (1997), 866-867, et Congrégation pour le Clergé, Instruction Le prêtre pasteur et guide de la communauté paroissiale (4 août 2002), nn. 23 et 25, de façon particulière, il s’agit d’une “collaboration ad tempus dans l’exercice de la charge pastorale de la paroisse”, cf. n. 23 : Enchiridion Vaticanum 21 (2002), 834-836.
[138] Cf. Le prêtre pasteur et guide de la communauté paroissiale, n. 25 : Enchiridion Vaticanum 21 (2002), 836.
[139] C.I.C., can. 517, §2.
[140] Le prêtre pasteur et guide de la communauté paroissiale, n. 23 : Enchiridion Vaticanum 21 (2002), 834.
[141] Cf. Ecclesiae de mysterio, art. 1, §3 : AAS 89 (1997), 863.
[142] Cf. Le prêtre pasteur et guide de la communauté paroissiale, n. 23 : Enchiridion Vaticanum 21 (2002), 835.
[143] Cf. Apostolorum successores, n. 112 : Enchiridium Vaticanum 22 (2003-2004), 1843.
[144] Il faut rappeler qu’en plus des fonctions propres au ministère du lecteur, parmi les fonctions liturgiques que l’Evêque diocésain peut confier pour un temps à des fidèles laïcs, hommes et femmes, après avoir entendu la Conférence Episcopale, figure aussi le service de l’autel, dans le respect des normes canoniques correspondantes ; cf. Conseil Pontifical pour l’Interprétation des Textes Législatifs, Risposta (11 juillet 1992) : AAS 86 (1994), 541 ; Congrégation pour le Culte Divin et la Discipline des Sacrements, Lettre circulaire (15 mars 1994) : AAS 86 (1994), 541-542.
[145] Cf. C.I.C., can. 205.
[146] Cf. ibid., can. 230, §1.
[147] L’acte par lequel l’Evêque confie les charges indiquées aux diacres ou aux fidèles laïcs doit déterminer clairement les fonctions qu’ils sont habilités à remplir ainsi que leur durée.
[148] C.I.C., can. 1248, §2.
[149] Ibid., can. 861, §1.
[150] Ibid., can. 766.
[151] Ecclesiae de mysterio, art. 3, §4 : AAS 89 (1997), 865.
[152] Cf. C.I.C., can. 767, §1; Ecclesiae de mysterio, art. 3, §1 : AAS 89 (1997), 864.
[153] C.I.C., can. 1112, §1; cf. Jean-Paul II, Constitution apostolique Pastor Bonus (28 juin 1998), art. 63 : AAS 80 (1988), 876, à propos des compétences de la Congrégation pour le Culte Divin et la Discipline des Sacrements.
[154] François, Méditation quotidienne à Sainte Marthe (21 octobre 2013) : L’Osservatore Romano 242 (21-22 octobre 2013), 8.
[155] Cf. C.I.C., cann. 537 et 1280.
[156] Conformément au can. 532 C.I.C., le curé est responsable des biens de la paroisse, même s’il bénéficie de la collaboration d’experts laïcs pour les administrer.
[157] Cf. C.I.C., cann. 115, §2, et, par analogie, 492, §1.
[158] Cf. ibid., can. 537, et Apostolorum successores, n. 210 : Enchiridium Vaticanum 22 (2003-2004), 2087.
[159] Cf. C.I.C., cann. 517 et 526.
[160] Cf. ibid., can. 1287, §1.
[161] Cf. ibid., can. 536, §1.
[162] François, Discours pendant la rencontre avec le clergé, les personnes de vie consacrée et les membres des conseils pastoraux, Assise (4 octobre 2013) : Insegnamenti I/2 (2013), 328.
[163] Id. Homélie pour la Solennité de la Pentecôte, 4 juin 2017 : AAS 109 (2017), 711.
[164] Cf. Lumen gentium, n. 10: AAS 57 (1965), 14.
[165] Cf. Congrégation pour le Clergé, Lettre circulaire Omnes christifideles (25 janvier 1973), nn. 4 et 9 ; Enchiridium Vaticanum 4 (1971-1973), 1199-1201 et 1207-1209 ; Christifideles laici, n. 27 : AAS 81 (1989), 440-441.
[166] François, Audience générale (23 mai 2018).
[167] Paul VI, Lettre apostolique en forme de Motu proprio Ecclesiae Sanctae (6 août 1966), I, 16, §1 : AAS 58 (1966), 766 ; cf. C.I.C., can. 511.
[168] Evangelii gaudium, n. 31 : AAS 105 (2013), 1033.
[169] Cf. C.I.C., can. 536, §2.
[170] Cf. ibid., can. 212, §3.
[171] Ibid., can. 536, §2.
[172] Cf. Le prêtre pasteur et guide de la communauté paroissiale, n. 26 : Enchiridion Vaticanum 21 (2002), 843.
[173] Cf. C.I.C., can. 516, §1.
[174] Cf. ibid., can. 515, §2.
[175] Cf. ibid., can. 516, §2.
[176] Cf. ibid., cann. 1214, 1223 et 1225.
[177] Cf. ibid., cann. 848 et 1264, 2°, ainsi que les cann. 945-958, et Congrégation pour le Clergé, Décret Mos iugiter (22 février 1991), approuvé en forme spécifique par Jean-Paul II : Enchiridium Vaticanum 13 (1991-1993), 6-28.
[178] C.I.C., can. 946.
[179] Ibid., can. 947.
[180] Ibid., can. 945, §2.
[181] François, Exhortation Apostolique post-synodale Christus vivit (25 mars 2019), n. 231, Cité du Vatican, 2019.
[182] Id., Rencontre avec les Evêques polonais, Cracovie (27 juillet 2016) : AAS 108 (2016), 893.
[183] Id., Message pour la Journée Missionnaire Mondiale 2017 (4 juin 2017), n. 10 : AAS 109 (2017), 764.
[00886-FR.01] [Texte original: Français]
Testo in lingua inglese
Instruction
The pastoral conversion
of the Parish community in the service of the evangelising mission of the Church
Introduction
1. The ecclesiological reflection of the Second Vatican Council, together with the considerable social and cultural changes of recent decades, has resulted in various Particular Churches having to reorganise the manner in which the pastoral care of Parish communities are assigned. This has made it possible to initiate new experiences, enhancing the dimension of communion and implementing, under the guidance of pastors, a harmonious synthesis of charisms and vocations at the service of the proclamation of the Gospel, which better corresponds to the demands of evangelisation today.
Pope Francis, at the beginning of his Petrine ministry, recalled the importance of “creativity”, meaning thereby “seeking new ways”, that is “seeking how best to proclaim the Gospel”; in respect of this, the Holy Father concluded by saying, “the Church, and also the Code of Canon Law, gives us innumerable possibilities, much freedom to seek these things”[1].
2. The situations outlined in the following Instruction, represent a valuable opportunity for pastoral conversion that is essentially missionary. Parish communities will find herein a call to go out of themselves, offering instruments for reform, even structural, in a spirit of communion and collaboration, of encounter and closeness, of mercy and solicitude for the proclamation of the Gospel.
I. Pastoral Conversion
3. Pastoral conversion is one of the central themes in the “new phase of evangelisation”[2] that the Church is called to foster today, whereby Christian communities be ever more centres conducive to an encounter with Christ.
The Holy Father, in this regard, recommends that: “If something should rightly disturb us and trouble our consciences, it is the fact that so many of our brothers and sisters are living without the strength, light and consolation born of friendship with Jesus Christ, without a community of faith to support them, without meaning and a goal in life. More than by fear of going astray, my hope is that we will be moved by the fear of remaining shut up within structures which give us a false sense of security, within rules which make us harsh judges, within habits which make us feel safe, while at our door people are starving and Jesus does not tire of saying to us: “Give them something to eat” (Mk 6:37)”[3].
4. Urged on by this concern, the Church “faithful to her own tradition and at the same time conscious of her universal mission, she can enter into communion with the various civilizations, to their enrichment and the enrichment of the Church herself”[4]. The fruitful and creative encounter between the Gospel and the culture leads to true progress: on the one hand, the Word of God is incarnate in the history of men, thus renews it; on the other hand, “the Church […] can and ought to be enriched by the development of human social life”[5], enhancing thereby, in our present age, the mission entrusted to her by Christ.
5. The Church proclaims that the Word, “became flesh and lived among us” (Jn 1:14). This Word of God, who loves to dwell in our midst, in his inexhaustible richness[6], was received the world over by diverse peoples, inspiring in them the most noble of aspirations, such as the desire for God, the dignity of every human life, equality among men and respect for difference within the single human family, dialogue as a means to participation, a longing for peace, welcome as an expression of fraternity and solidarity, together with a responsible care for creation[7].
It is unthinkable, therefore, that such newness, whose propagation to the ends of the earth remains incomplete, abates or, worse still, disappears[8]. In order for the journey of the Word to continue, the Christian community must make a determined missionary decision “capable of transforming everything, so that the Church’s customs, ways of doing things, times and schedules, language and structures can be suitably channelled for the evangelisation of today’s world rather than for her self-preservation”[9].
II. The Parish in a contemporary context
6. The aforesaid missionary conversion, which naturally leads to a reform of structures, concerns the Parish in particular, namely that community gathered around the Table of the Word and the Eucharist.
The Parish has a long history and from the outset, it has played a fundamental role in the life of Christians and in the development and pastoral work of the Church. We can see this in the writings of Saint Paul. Several of the Pauline texts show us the formation of small communities as domestic churches, which the Apostle simply calls a “house” (cf., for example, Rm 16:3-5; 1 Co 16:19-20; Phil 4:22). With these “houses”, we get a foretaste of the birth of the first “Parishes”.
7. Since its inception, the Parish is envisioned as a response to a precise pastoral need, namely that of bringing the Gospel to the People through the proclamation of the faith and the celebration of the Sacraments. The etymology of the word makes clear the meaning of the institution: the Parish is a house among houses[10] and is a response to the logic of the Incarnation of Jesus Christ, alive and active among the community. It is visibly characterised then, as a place of worship, a sign of the permanent presence of the Risen Lord in the midst of his People.
8. The territorial configuration of the Parish, however, must confront a peculiar characteristic of our contemporary world, whereby increased mobility and the digital culture have expanded the confines of existence. On the one hand, people are less associated today with a definite and immutable geographical context, living instead in “a global and pluralist village”; on the other hand, the digital culture has inevitably altered the concept of space, together with people’s language and behaviour, especially in younger generations.
Moreover, it is quite easy to hypothesise about how the continuous development of technology will ultimately change our way of thinking, together with the understanding of self and of social living. The speed of change, successive cultural models, the ease of movement and the speed of communication are transforming the perception of space and time.
9. As a living community of believers, the Parish finds itself in a context whereby the territorial affiliation is increasingly less evident, where places of association are multiplied and where interpersonal relationships risk being dissolved into a virtual world without any commitment or responsibility towards one’s neighbour.
10. It is noteworthy how such cultural changes and the evolving territorial ties are fostering within the Church, through the grace of the Holy Spirit, a new discernment around community, “which consists in seeing reality with the eyes of God, with a view to unity and communion”[11]. The whole People of God must urgently embrace the Holy Spirit’s invitation to begin the process of “renewing” the face of the Church.
III. The value of the Parish today
11. In virtue of this discernment, the Parish is called upon to read the signs of the times, while adapting both to the needs of the faithful and to historical changes. A renewed vitality is required that favours the rediscovery of the vocation of the baptised as a disciple of Jesus Christ and a missionary of the Gospel, in light of the Second Vatican Council and subsequent Magisterium.
12. The Council Fathers were prescient in writing: “the care of souls should always be infused with a missionary spirit”[12]. In continuity with this teaching, Saint John Paul II specified that: “Whilst the Parish is perfected and integrated in a variety of forms, it nevertheless remains an indispensable organism of primary importance in the visible structure of the Church”, whereby “evangelisation is the cornerstone of all pastoral action, the demands of which are primary, preeminent and preferential”[13]. Subsequently, Benedict XVI taught, “the parish is a beacon that radiates the light of the faith and thus responds to the deepest and truest desires of the human heart, giving meaning and hope to the lives of individuals and families”[14]. Lastly, Pope Francis recalled how “the parish encourages and trains its members to be evangelisers”[15].
13. In order to promote the centrality of the missionary presence of the Christian community in the world[16], it is important not only to think about a new experience of Parish, but also about the ministry and mission of priests, who, together with the lay faithful, have the task of being “salt and light of the world” (cf. Mt 5:13-14), a “lamp on a lamp-stand” (cf. Mk 4:21), showing forth the face of an evangelising community, capable of an adequate reading of the signs of the times and of giving witness to coherent evangelical living.
14. Beginning with a consideration of the signs of the times, it is necessary, in listening to the Spirit, to produce new signs. With the Parish no longer being the primary gathering and social centre, as in former days, it is thus necessary to find new forms of accompaniment and closeness. A task of this kind ought not to be seen as a burden, but rather as a challenge to be embraced with enthusiasm.
15. Imitating their Master, the Lord’s disciples, in the school of Saints and shepherds, learned, not without suffering, how to await the times and ways of God, thus nurturing the certainty that He is present until the end of time, and that the Holy Spirit – the beating heart in the life of the Church– gathers together the children of God dispersed throughout the world. As a result, the Christian community should not be afraid to begin and accompany processes within territories that are host to diverse cultures, in the sure and certain hope that, for the disciples of Christ, “nothing genuinely human fails to raise an echo in their hearts”[17].
IV. Mission: the guiding principle for renewal
16. Given the above-mentioned changing realities, their generous dedication notwithstanding, the current Parish model no longer adequately corresponds to the many expectations of the faithful, especially when one considers the multiplicity of community types in existence today[18]. It is true that a characteristic of the Parish is that its rootedness at the centre of where people live from day to day. However, the Parish territory is no longer a geographical space only, but also the context in which people express their lives in terms of relationships, reciprocal service and ancient traditions. It is in this “existential territory” where the challenges facing the Church in the midst of the community are played out. As a result, any pastoral action that is limited to the territory of the Parish is outdated, which is something the parishioners themselves observe when their Parish appears to be more interested in preserving a nostalgia of former times as opposed to looking to the future with courage[19]. It is worth noting, however, that from a canonical perspective, the territorial principle remains in force, when required by law[20].
17. Moreover, mere repetitive action that fails to have an impact upon people’s concrete lives remains a sterile attempt at survival, which is usually welcomed by general indifference. If the Parish does not exude that spiritual dynamic of evangelisation, it runs the risk of becoming self-referential and fossilised, offering experiences that are devoid of evangelical flavour and missionary drive, of interest only to small groups.
18. The renewal of evangelisation requires a new approach with diverse pastoral proposals, so that the Word of God and the sacramental life can reach everyone in a way that is coherent with their state in life. Ecclesial membership in our present age is less a question of birthplace, much less where someone grew up, as it is about being part of a community by adoption[21], where the faithful have a more extensive experience of the Word of God than they do of being a body made up of many members, with everyone working for the common good (1 Co 12:12-27).
19. Over and above places and reasons for membership, the Parish community is the human context wherein the evangelising work of the Church is carried out, where Sacraments are celebrated and where charity is exercised, all with missionary zeal, which, apart from being an intrinsic part of pastoral action, is a litmus test of its authenticity. In this present age, marked at times by marginalisation and solitude, the Parish community is called to be a living sign of the proximity of Christ through fraternal bonds, ever attentive to new forms of poverty.
20. In view of what has been said so far, it is necessary to identify perspectives that allow for the renewal of “traditional” Parish structures in terms of mission. This is the heart of the desired pastoral conversion, which must touch the proclamation of the Word of God, the sacramental life and the witness of charity, in other words the essential areas in which the Parish grows and conforms to the Mystery in which it believes.
21. Perusing the Acts of the Apostles, one realises the transformative effect of the Word of God, that interior power that brings about the conversion of hearts. The Word is the food that nourishes the Lord’s disciples and makes them witnesses to the Gospel in the various circumstances of life. The Scriptures contain a prophetic impetus that makes them into a living force. It is necessary to provide instruction on how to listen and mediate on the Word of God through a variety of different approaches to proclamation[22], adopting clear and comprehensible means of communication that announce the Lord Jesus according to the ever new witness of the kerygma[23].
22. The celebration of the Eucharistic mystery is “the source and summit of the whole Christian life”[24] and accordingly, the essential moment for building up the Parish community. Therein, the Church becomes aware of the meaning of her name (Ecclesia): the coming together of the People of God to praise, implore, intercede and give thanks. In celebrating the Eucharist, the Christian community welcomes the living presence of the Crucified and Risen Lord, receiving the announcement of the entire mystery of salvation.
23. The Church perceives here the need to rediscover Christian initiation, which generates new life, as it is placed within the mystery of God’s own life. It is a journey that is ongoing, that transcends celebrations or events, because, in essence, it is defined, not as a duty to fulfil a “rite of passage”, but rather as a perpetual sequela Christi. In this context, it would be useful to establish a mystagogical itinerary that genuinely affects existence[25]. Catechesis needs to be presented as an ongoing proclamation of the Mystery of Christ, the objective of which is to foster in the heart of the baptised that full stature of Christ (cf. Eph 4:13) that is derived from a personal encounter with the Lord of life.
Pope Francis has recalled the need to “mention two false forms of holiness that can lead us astray: gnosticism and pelagianism. They are two heresies from early Christian times, yet they continue to plague us”[26]. In the case of gnosticism, one is dealing with an abstract faith that is purely intellectual and made up of knowledge that is far from lived reality; meanwhile, pelagianism leads man to depend on his own abilities, thus ignoring the action of the Holy Spirit.
24. In the mysterious interplay between the action of God and that of man, the proclamation of the Gospel comes through men and women who give credibility to what they say through the witness of their lives, together with their interpersonal relationships that inspire trust and hope. In these times, marked as they are by indifferentism, individualism and the exclusion of others, the rediscovery of brotherhood is paramount and integral to evangelisation, which is closely linked to human relationships[27]. In this way, the Christian community makes Our Lord’s words their own, as they spur us to “put out into the deep” (Lk 5:4), trusting in the Master as we pay out the nets in the assurance of hauling a “large catch”[28].
25. The ‘culture of encounter’ is conducive to dialogue, solidarity and openness to others, as it is person-centred. Naturally, a Parish must be a place that brings people together and fosters long-term personal relationships, thereby giving people a sense of belonging and being wanted.
26. The Parish community is called truly to master the “art of accompaniment”. If deep roots are planted, the Parish will become a place where solitude is overcome, which has affected so many lives, as well as being “a sanctuary where the thirsty come to drink in the midst of their journey and a centre of constant missionary outreach”[29].
V. “A community of communities”: A Parish that is inclusive, evangelising and attentive to the poor
27. The subject of the missionary and evangelising action of the Church is always the People of God as a whole. The Code of Canon Law emphasises that the Parish is not identified as a building or a series of structures, but rather as a specific community of the faithful, where the Parish Priest is the proper pastor[30]. Pope Francis recalled that “the parish is the presence of the Church in a given territory, an environment for hearing God’s word, for growth in the Christian life, for dialogue, proclamation, charitable outreach, worship and celebration”, and affirmed that it is “a community of communities”[31].
28. The various components that make up the Parish are called to communion and unity. When each part recognises its complementary role in service of the community, on the one hand, we see the fulfilment of the collaborative ministry of the Parish Priest with his Assistant Priests, while on the other hand, we see how the various charisms of deacons, consecrated men and women and the laity, cooperate in building up the singular body of Christ (cf. 1 Co 12:12).
29. The Parish is a community gathered together by the Holy Spirit to announce the Word of God and bring new children of God to birth in the baptismal font. Assembled by the pastor, the Parish celebrates the memorial of the passion, death and resurrection of the Lord, bearing witness to faith in charity, living in a permanent state of mission, whilst ensuring that no one is excluded from the salvific, life-giving message. Pope Francis expressed it thus: “The parish is not an outdated institution; precisely because it possesses great flexibility, it can assume quite different contours depending on the openness and missionary creativity of the pastor and the community. While certainly not the only institution which evangelises, if the parish proves capable of self-renewal and constant adaptability, it continues to be “the Church living in the midst of the homes of her sons and daughters”. This presumes that it really is in contact with the homes and the lives of its people, and does not become a useless structure out of touch with people or a self-absorbed group made up of a chosen few. […] We must admit, though, that the call to review and renew our parishes has not yet sufficed to bring them nearer to people, to make them environments of living communion and participation, and to make them completely mission-oriented”[32].
30. The “spiritual and ecclesial style of Shrines” – which are true “missionary outposts” in their own right – is not extraneous to the Parish, characterised as they are by their sprit of welcome, their life of prayer and silence that renews the spirit, the celebration of the Sacrament of Reconciliation and their care for the poor. Parish pilgrimages to various Shrines are precious instruments that can serve to strengthen fraternal communion, openness and welcome upon return to the Parish[33].
31. A Shrine, then, is analogous to a Parish in that it encompasses all the characteristics and services that ought to be found in the parish community, as it represents for the faithful the desired goal of their interior searching and a place where they can encounter the merciful face of Christ in a welcoming Church.
Frequenting Shrines can help the faithful rediscover their being “anointed by the Holy One” (1 Jn 2:20), that is to say their baptismal consecration. At such places, one learns to celebrate with fervour the mysterious presence of God in the midst his people in the liturgy, in the beauty of the evangelising mission of the baptised, and in the call to exercise charity in daily life[34].
32. A ‘sanctuary’ open to all, the Parish, called to reach out to everyone, without exception, should remember that the poor and excluded must always have a privileged place in the heart of the Church. As Pope Benedict XVI affirmed: “The Gospel is addressed in a special way to the poor”[35]. In addition, as Pope Francis observed “the new evangelisation is an invitation to acknowledge the saving power at work in their lives and to put them at the centre of the Church’s pilgrim way. We are called to find Christ in them, to lend our voice to their causes, but also to be their friends, to listen to them, to speak for them and to embrace the mysterious wisdom which God wishes to share with us through them”[36].
33. Oftentimes, the Parish community is the first place of personal human encounter that the poor have with the face of the Church. Priests, deacons and consecrated men and women are among the first to have compassion for the “wounded flesh”[37] of their brothers and sisters, to visit the sick, to support the unemployed and their families, thereby opening the door to those in need. With their gaze fixed upon them, the Parish community evangelises and is evangelised by the poor, discovering anew the call to preach the Word in all settings[38], whilst recalling the “supreme law” of charity, by which we shall all be judged[39].
VI. From the conversion of people to that of structures
34. In the process of renewal and restructuring, the Parish has to avoid the risk of falling into an excessive and bureaucratic organisation of events and an offering of services that do not express the dynamic of evangelisation, but rather the criterion of self-preservation[40].
Quoting Saint Paul VI, Pope Francis, with his usual parrhesia, stated: “The Church must look with penetrating eyes within herself, ponder the mystery of her own being (…) There are ecclesial structures which can hamper efforts at evangelisation, yet even good structures are only helpful when there is a life constantly driving, sustaining and assessing them. Without new life and an authentic evangelical spirit, without the Church’s “fidelity to her own calling”, any new structure will soon prove ineffective”[41].
35. The conversion of structures, which the Church must undertake, requires a significant change in mentality and an interior renewal, especially among those entrusted with the responsibility of pastoral leadership. In order to remain faithful to the mandate of Christ, pastors, especially Parish Priests who “are co-workers of the bishop in a very special way”[42], must resolutely grasp the need for a missionary reform of pastoral action.
36. Taking into consideration the profound emotional and nostalgic bonds within a Christian community, pastors ought not to forget that the faith of the People of God is interwoven with familial and communal memories. Often, a sacred place can evoke important milestones in the life of past generations, where faces and occasions have influenced personal and familial journeys. In order to avoid trauma and hurt in the process of restructuring a Parish or, at times, diocesan communities, it is imperative that it be carried out with flexibility and gradualism.
In reference to the reform of the Roman Curia, Pope Francis emphasised that gradualism “has to do with the necessary discernment entailed by historical processes, the passage of time and stages of development, assessment, correction, experimentation, and approvals ad experimentum. In these cases, it is not a matter of indecisiveness, but of the flexibility needed to be able to achieve a true reform”[43]. Accordingly, one should not act “hastily” in an attempt, as it were, to bring about immediate reforms by means of generic criteria that obey a “rational decision” to the detriment of those who actually live within the territory. Every plan must be situated within the lived experience of a community and implanted in it without causing harm, with a necessary phase of prior consultation, and of progressive implementation and verification.
37. Naturally, a renewal of this sort is not the responsibility solely of the Parish Priest, nor should it be imposed from above in such a way as to exclude the People of God. The pastoral conversion of structures implies the understanding that “the faithful Holy People of God are anointed with the grace of the Holy Spirit; therefore when we reflect, think, evaluate, discern, we must be very attentive to this anointing. Whenever as a Church, as pastors, as consecrated persons, we have forgotten this certainty, we have lost our way. Whenever we try to supplant, silence, look down on, ignore or reduce into small elites the People of God in their totality and differences, we construct communities, pastoral plans, theological accentuations, spiritualities, structures without roots, without history, without faces, without memory, without a body, in the end, without lives. To remove ourselves from the life of the People of God hastens us to the desolation and to a perversion of ecclesial nature”[44].
It does not pertain to the clergy alone, therefore, to carry out the transformation inspired by the Holy Spirit, since this involves the entire People of God[45]. It is necessary, however, “to consciously and lucidly seek areas of communion and participation so that the anointing of the People of God may find its concrete mediations to express itself”[46].
38. Consequently, the need to overcome a self-referential conception of the Parish or the “clericalisation of pastoral activity” becomes apparent. When it is acknowledged that the state of the People of God “is that of the dignity and freedom of the children of God, in whose hearts the Holy Spirit dwells as in His temple”[47], this inspires practises and models by which all the baptised, by virtue of the gift of the Holy Spirit and their infused charisms, become active participants of evangelisation, in the style and modality of an organic community, together with other Parish communities or at the diocesan level. In effect, the whole community, and not simply the hierarchy, is the responsible agent of mission, since the Church is identified as the entire People of God.
39. Pastors have the task of keeping this dynamic alive, so that the baptised realise that they are protagonists of evangelisation. The presbyterate, whose formation is ongoing[48], must exercise the art of discernment with prudence, in such a way as to allow the life of the Parish, with its diversity of vocations and ministries, to grow and mature. As a member and servant of the People of God entrusted to his care, the Priest cannot supplant this discernment. The Parish community has the ability to propose forms of ministry, to proclaim the faith and to bear witness to charity.
40. The centrality of the Holy Spirit – a free gift from the Father and the Son to the Church – profoundly enlivens the aspect of generosity, in accord with the teaching of Jesus, who said: “You received without charge, give without charge” (Mk 10:8). The Lord taught his disciples to have a generous spirit of service, to be a reciprocal gift for the other (cf. Jn 13:14-15), and to have a special care for the poor. From this derives the need not to “commercialise” the sacramental life, and not to give the impression that the celebration of the Sacraments, especially the Holy Eucharist, along with other ministerial activities, are subject to tariffs.
The pastor who willingly serves his flock with generosity, must instruct the faithful, however, in such a way that each member of the community feels responsible and directly involved in caring for the needs of the Church in a variety of ways and in a spirit of solidarity, which the Church requires in order to carry out her pastoral service with freedom and efficacy.
41. The mission required of the Parish, as a central driving force of evangelisation, concerns the People of God in its entirety: priests, deacons, consecrated men and women, and the lay faithful, each according to their respective charisms and the responsibility that corresponds to them.
VII. The Parish and other subdivisions within the Diocese
42. The pastoral conversion of the Parish community, in terms of mission, takes shape and finds expression in a gradual process of a renewal of structures; consequently, different forms of shared pastoral care emerge, as well as forms of participation in it that involve the entire People of God.
43. Using language borrowed from Magisterial documents regarding subdivisions within the diocesan territory[49], new expressions have been added to those of Parish and Vicariates Forane, which are foreseen in the current Code of Canon Law[50], namely “pastoral units” and “pastoral regions”. These appellations effectively define new forms of pastoral organisation within a Diocese, thus reflecting a new relationship between the faithful and the territory.
44. In using terms like “pastoral units” and “pastoral regions”, naturally one does not envisage that by simply giving a new name to already existing realities, a myriad of current problems are overcome. At the heart of a process of renewal, instead of passively undergoing change by supporting and going along with it, there exists today the need to individuate new structures that will incite all those who make up the Christian community to fulfil their vocation to evangelise, with a view to a more effective pastoral care of the People of God, the “key factor” of which is proximity.
45. With this in mind, the canonical norm underlines the need to individuate different territories[51] within each Diocese, with the possibility of these being assembled into intermediate realities between a given Diocese and an individual Parish. Furthermore, by taking the size of the Diocese and its pastoral reality into account, one is better situated to delineate various kinds of Parish groupings[52].
The communal dimension of the Church lives and works at the heart of these groupings, with particular attention given to specific territories, the establishment of which must take into consideration the homogeneity and customs of the inhabitants, together with the common traits of the area, in order to foster a close relationship between Parish Priests and other pastoral workers[53].
VII. a. How to proceed with the establishment of Parish groupings
46. Prior to establishing Parish groupings, the Bishop must first consult with the Presbyteral Council[54], in accord with canonical norms and in the name of ecclesial co-responsibility, shared between the Bishop and the members of said Council.
47. Firstly, the grouping together of various Parishes can take a simple federated form, whereby assembled Parishes would retain their own identity.
In accordance with canonical regulations, when one is grouping together neighbouring Parishes, naturally, the essential elements established by the universal law regarding the Parish as a juridic person must be observed and from which the Bishop cannot dispense[55]. For every Parish that the Bishop plans to supress, he must issue a specific decree to this effect, carefully outlining therein the motivating factors[56].
48. In light of the above, the grouping of Parishes, including their erection or suppression, is enacted by the diocesan Bishop, as envisioned by the norms of Canon Law, namely through extinctive union, where one Parish merges into another, being absorbed into it and losing its former individuality and juridic personality; alternatively, this can be effected through a true and proper fusion, that gives life to a new and unique Parish, resulting in the suppression of the existing Parishes and their juridic personality; or, finally, by division of a Parish community into several autonomous Parishes that are created ex novo[57].
Moreover, the suppression of Parishes by extinctive union is legitimate for causes directly related to a specific Parish. Some causes are not sufficient, such as, for example, the scarcity of diocesan clergy, the general financial situation of a Diocese, or other conditions within the community that are presumably reversible and of brief duration (e.g., numerical consistency, lack of financial self-sufficiency, the urban planning of the territory). As a condition for the legitimacy of this type of provision, the requisite motivations must be directly and organically connected to the interested Parish community, and not on general considerations or theories, or based solely ‘on principle’.
49. Apropos to the erection or suppression of Parishes, it must be borne in mind that every decision must be adopted by means of a formal decree, given in writing[58]. Consequently, it is considered contrary to canonical norms to issue a single provision aimed at producing a reorganisation of a general character, either of the entire Diocese, a part of it, or of a group of Parishes, by means of a singular administrative act, general decree or particular law.
50. With respect to the suppression of Parishes, the decree must clearly state the reasons that led the Bishop to make this decision. The just cause therefore, must be specifically indicated, it being insufficient simply to refer to the “good of souls”.
The act by which a Parish is suppressed must also make provision for the disposition of temporal goods in accord with the law[59]; it is necessary to ensure that the Church of the suppressed Parish remains open to the faithful unless there are grave reasons to the contrary, after having heard the Presbyteral Council[60].
51. Related to the topic of Parish groupings and their possible suppression, is the necessity that sometimes occurs, of the reduction of Churches to profane but not sordid use[61], which belongs to the diocesan Bishop, after having first heard from the Presbyteral Council, whom he is obliged to consult[62].
Ordinarily, also in this case, the legitimate causes for decreeing such a reduction do not include reasons like the lack of clergy, demographic decline or the grave financial state of the Diocese. However, if the building is in such a state as to be unable to be used for divine worship in any way, and there is no possibility of repairing it, then the Bishop can proceed, according to the norm of law, to reduce it to profane but not sordid use.
VII. b. Vicariate Forane
52. It is necessary to recall here that “to foster pastoral care by means of common action, several neighbouring parishes can be joined together in special groups, such as vicariates forane”[63]; these are identified under various headings such as “deaneries”, “pastoral zones” or “prefectures”[64].
53. The Vicar Forane does not necessarily have to be a Parish Priest of a specific Parish[65]. Furthermore, in order to achieve the purpose for which the vicariate is established, his primary responsibility is “to promote and coordinate common pastoral action in the vicariate”[66], so that it does not remain a purely formal institution. In addition, the Vicar Forane “is obliged to visit the Parishes of his district in accordance with the arrangement made by the diocesan Bishop”[67]. In order that he may better fulfil his function and promote common activity among Parishes, the diocesan Bishop may confer upon the Vicar Forane other faculties considered appropriate according to the specific circumstances.
VII. c. Pastoral Units
54. Likewise, when circumstances require it, because of the expansive territory of the vicariate forane, or an increase in the number of the faithful, the Bishop, after hearing the Presbyteral Council[68], can decree a more stable and institutional grouping of various Parishes within the vicariate forane[69] in order to foster greater collaboration among them, bearing in mind the requisite criteria.
55. It is favourable that groupings (known as “pastoral units”[70]) are marked out in the best homogenous way possible, even from a sociological point of view, in order to favour a more unified and cohesive[71] pastoral action that is missionary in nature.
56. Moreover, each Parish within such a grouping must be entrusted to a Parish Priest or to a group of priests in solidum, who would take care of the whole Parish community[72]. Alternatively, when deemed opportune by the Bishop, the grouping could be composed of several Parishes, each having the same Parish Priest[73].
57. In any case, due consideration must be given to priests who have exercised their ministry with merit and the esteem of their communities, also for the good of the faithful, bound as they are to their Pastors by ties of affection and gratitude. The diocesan Bishop, when establishing a particular grouping, must not establish in the same decree that, since several Parishes are being entrusted to a sole Parish Priest[74], that other Parish Priests, who may present and still in office[75], are automatically transferred to the office of Parochial Vicar, or are removed de facto from their assignment.
58. In these cases, unless it concerns appointment in solidum, it belongs to the diocesan Bishop to define, on a case-by-case basis, the functions of the priest who is the leader of such parish groupings, as well as his collaboration with the Vicar Forane[76], thereby establishing the pastoral unit.
59. Once the grouping of Parishes has been established according to the norm of law – as either a vicariate forane or a “pastoral unit” – the Bishop will determine, as appropriate, whether each Parish should have its own Parish Pastoral Council[77], or whether it is better that this task be entrusted to a single Pastoral Council for all of them. In any case, the individual Parishes within the grouping, since they retain juridic personality and capacity, must maintain their own Finance Councils[78].
60. In order to prioritise evangelisation and a more effective pastoral care, it is appropriate that common pastoral services be established in certain areas (for example, catechesis, charity, youth or family pastoral care) for those Parishes within the grouping; with the participation of all the components of the People of God, namely clergy, consecrated men and women and the lay faithful.
VII. d. Pastoral Regions
61. If several “pastoral units” can constitute a vicariate forane, then similarly, especially in Dioceses with a more extensive territory, the Bishop, after hearing the Presbyteral Council[79], could unite several vicariates forane into “districts” or “pastoral regions”[80]. An Episcopal Vicar[81] would lead each region, invested with ordinary executive power for pastoral administration in the Bishop’s name, under his authority and in communion with him, and with any special faculties that the Bishop may wish to attribute to him.
VIII. Ordinary and extraordinary ways of assigning the pastoral care
of the Parish community
62. In the first place, the Parish Priest and the other priests, in communion with the Bishop, are a fundamental reference point for the Parish community, for the role of shepherds that corresponds to them[82]. The Parish Priest and the presbyterate, who together foster a common life and priestly fraternity, celebrate the sacramental life for and with the community, and are called to organise the Parish in such a way as to be an effective sign of communion[83].
63. Regarding the presence and mission of priests in the Parish community, the common life deserves special mention[84]; it is recommended by can. 280, even if this is not an obligation for the secular clergy. In this respect, it is worth recalling the fundamental value of the spirit of communion, prayer and common pastoral activity on the part of clerics[85], with a view to an effective witness of sacramental brotherhood[86] and a more effective evangelising action.
64. When the presbyterate experiences community life, priestly identity is strengthened, material concerns diminish, and the temptation of individualism gives way to profoundly personal relationships. Common prayer, shared reflection and study, which must never be lacking in priestly life, can be of great support in the formation of an incarnate priestly spirituality in daily living.
In any case, it will be fitting that, according to his discernment and as far as possible, the Bishop take into account the human and spiritual affinity between priests to whom he intends to entrust a Parish or a grouping of Parishes, inviting them to a generous availability for their new pastoral mission in a common brotherhood[87].
65. In some cases, especially where the tradition or the custom of a presbytery is lacking, or when for some reason such a dwelling is unavailable, it may happen that a priest returns to live with his family of origin, that first place of human formation and vocational discovery[88].
On the one hand, this arrangement can have a positive effect on the priest's daily life, in that he is assured of a serene and stable home environment, especially when his parents are still living. On the other hand, the priest must ensure that he does not become dependent on these familial relationships, which could negatively affect his availability for full-time mission, his relationship with the presbyteral family and the community of the lay faithful.
VIII. a. Parish Priest
66. The office of Parish Priest, sometimes referred to as Pastor, involves the full care of souls[89]. In order, therefore, for a member of the faithful to be validly appointed Parish Priest (parochus), he must have received the Order of Presbyter[90], thus excluding the possibility of conferring this office on one who lacks this Order and its related functions, even where priests are scarce.
Precisely because of the relationship of familiarity and closeness that is required between a pastor and the community, the office of Parish Priest cannot be entrusted to a juridic person[91]. Apart from what is envisioned by can. 517, §§1-2, the particular office of Parish Priest may not be entrusted to a group composed of clerics and lay people. Consequently, appellations such as “team leader”, “équipe leader", or the like, which convey a sense of collegial government of the Parish, are to be avoided.
67. As a consequence of his being the “pastor of the Parish entrusted to him”[92], the Parish Priest is ipso iure the legal representative of the Parish[93]. He is the administrator responsible for the parish goods, which are “ecclesiastical goods”, therefore subject to the relevant canonical norms[94].
68. As the Second Vatican Ecumenical Council affirmed, “Pastors should enjoy in their respective parishes that stability of office which the good of souls demands”[95]. As a general principle, the Parish Priest ought to be “appointed for an indeterminate period of time”[96].
The diocesan Bishop, however, can appoint Parish Priests for a determined period, if this has been established by decree of the Episcopal Conference. Because of the need for the Parish Priest to be able to establish an effective bond with the community entrusted to him, it is fitting that Episcopal Conferences not establish too short a period, preferably no less than 5 years for a fixed-term appointment.
69. In any case, Parish Priests, even if appointed indefinitely, or before the expiry of his fixed term, must be available for a possible transfer to another Parish or office, if “the good of souls or the necessity or advantage of the Church demands”[97]. It should be recalled that the Parish Priest is at the service of the Parish, and not the other way around.
70. Ordinarily, it is good that the Parish Priest, where possible, have the pastoral care of only one Parish, “however, because of a shortage of priests or other circumstances, the care of a number of neighbouring Parishes can be entrusted to a single Parish Priest”[98]. For example, “other circumstances” may include the small size of the territory or population, as well as proximity to neighbouring Parishes. The diocesan Bishop should carefully evaluate whether the Parish Priest who is entrusted with the care of several Parishes can fully and truly exercise the office of Parish Priest for each and for all of them[99].
71. Once appointed, the Parish Priest remains in the full exercise of the functions entrusted to him, with all the rights and responsibilities thereof, until he has legitimately ceased his pastoral office[100]. For his removal, or transfer, before the expiry of his mandate, the relevant canonical procedures must be observed, which serve the Church as a discernment of what is appropriate in specific cases[101].
72. When the good of the faithful requires it, even if there are no other causes for cessation, the Parish Priest who has reached 75 years of age, should accept the invitation from the diocesan Bishop to resign from the Parish[102]. The presentation of the renunciation, upon having reached 75 years of age[103], is to be considered a moral duty, if not canonical, although it does not mean the Parish Priest ceases from his office automatically. The cessation of office occurs only when the diocesan Bishop has informed the said Parish Priest, in writing, of the acceptance of his resignation[104]. For his part, the Bishop should kindly consider the resignation presented by a Parish Priest, if for no other reason than he has reached 75 years of age.
73. In order then, to avoid a conception of ministry that is purely functional, the diocesan Bishop, prior to accepting the renunciation, will prudently weigh up all the circumstances of person and place, like those of health or disciplinary reasons, the shortage of priests, the good of the Parish community and other such elements, subsequently accepting the resignation for a just and proportionate cause[105].
74. If the personal condition of the priest permits and if it is pastorally feasible, the Bishop could consider the possibility of leaving him in the office of Parish Priest, perhaps with some assistance that would eventually pave the way for his succession. Furthermore, “depending on the circumstances, the Bishop may entrust a smaller and less demanding parish to a pastor who has resigned”[106], or in any case assign him another pastoral task appropriate to his circumstances, helping him, if need be, to understand that in no way should he feel “demoted” or “punished” for a transfer of this kind.
VIII. b. Parish Administrator
75. If it is not possible to proceed immediately with the appointment of the Parish Priest, the appointment of Parish Administrators[107] must be done only in conformity with what is established in the canonical norms[108].
In effect, the office is essentially transitory and is exercised while awaiting the appointment of the new Parish Priest. For this reason, it is illegitimate for the diocesan Bishop to appoint a Parish Administrator and to leave him in that position for an extended period of time, more than a year, or even permanently, in order to avoid the appointment of a Parish Priest.
As experience shows, this solution is often adopted in order to circumvent the requirements of the law regarding the principle of stability for the Parish Priest, which constitutes a violation, with harm to both the mission of the priest and that of the community itself. Because of the uncertainty about the presence of a pastor, the Parish is not able to program far-reaching evangelisation plans and must limit its pastoral care to mere preservation.
VIII. c. Priests in solidum
76. As a further possibility, “where circumstances so require, the pastoral care of a parish, or of a number of parishes together, can be entrusted to several priests jointly”[109]. Such a solution can be adopted when, at the Bishop's discretion, concrete circumstances require it so, particularly for the good of the communities concerned, through shared and more effective pastoral action, and to promote a spirituality of communion among priests[110].
In such cases, the group of priests, in communion with the other members of the Parish community, act in common deliberation, the Moderator being a primus inter pares among the other priests, all of whom are, to all intents and purposes, Parish Priests.
77. It is strongly recommended that each community of priests, to whom the pastoral care of one or more Parishes is entrusted in solidum, should draw up internal rules so that each priest can better carry out the tasks and functions to which he is assigned[111].
The Moderator is responsible for coordinating the joint work of the Parish or Parishes entrusted to the group. Moreover, as their juridical representative[112], he is to coordinate the exercise of the faculty to assist at marriages, grant dispensations, as would Parish Priests[113], and give a report to the Bishop on all the activities of the group[114].
VIII. d. Parochial Vicar
78. Additionally, a priest may be appointed as a Parochial Vicar (also called an Assistant Priest, a Curate, an Associate Pastor, etc.) with responsibility for a sector of pastoral care (the youth, the elderly, the sick, associations, confraternities, formation, catechesis, etc.) across different parishes, or to assist with the entire ministry, or only part of it, in one parish;[115].
With regard to a Parochial Vicar being assigned to several Parishes, which have different Parish Priests, it will be necessary to explain and describe, in the decree of appointment, the tasks entrusted to him in relation to each Parish community, as well as the type of collaboration to be had with each Parish Priest in terms of his residence, sustenance and the celebration of Holy Mass.
VIII. e. Deacons
79. Deacons are ordained ministers, incardinated in a Diocese, or in some other ecclesial reality that has the faculty to do so[116]. They are collaborators of the Bishop and the priests in a singular mission of evangelisation and with the specific task, by virtue of the Sacrament received, to “serve the People of God in the ministries of the liturgy, the word and charity”[117].
80. In order to safeguard the identity of deacons, with a view to promoting their ministry, Pope Francis highlighted several risks related to how the nature of the diaconate is understood: “But we must be careful not to see deacons as half-priests, half-laymen. […] Likewise, the image of the deacon as a sort of intermediary between the faithful and pastors is inappropriate. Neither halfway between priests and laypeople, nor halfway between pastors and faithful. There is the danger of clericalism: the deacon who is too clerical […] And another temptation is functionalism: it is a help that the priest has for this or that”[118].
In that same address, the Holy Father offered some clarifications regarding the specific role of deacons within the ecclesial community: “The diaconate is a specific vocation, a family vocation that requires service […] This word is the key to understanding your charism. Service as one of the characteristic gifts of the people of God. The deacon is, so to say, the custodian of service in the Church. Every word must be carefully measured. You are the guardians of service in the Church: service to the Word, service to the Altar, service to the poor”[119].
81. Teaching on the diaconate has evolved significantly over the centuries. Its resumption at the Second Vatican Council coincided with a doctrinal clarification and expansion, which no longer “limited” the diaconate to charitable service alone or defined it, as did the Council of Trent, as transitional and almost exclusively identified with liturgical service. The Second Vatican Council specified that it is a degree of the Sacrament of Holy Orders and that, consequently, deacons “strengthened by sacramental grace, in communion with the bishop and his group of priests […], serve in the diaconate of the liturgy, of the word, and of charity to the people of God”[120].
The post-conciliar reception takes up what was established by Lumen Gentium, further elucidating how the office of deacons is a participation in the Sacrament of Holy Orders, albeit to a different degree. In an audience with participants at the International Congress on the Diaconate, Paul VI reaffirmed that the deacon serves Christian communities “in proclaiming the Word of God, in sacramental ministry and in the exercise of charity”[121]. In turning to the Acts of the Apostles (6:1-6), it would appear that the seven chosen men are destined only for table service, in reality, the same biblical Book recounts how Stephen and Philip carried out the “diaconia of the Word” in their own right. Therefore, as collaborators of the Twelve and of Paul, they exercised their ministry in two areas: evangelisation and charity.
There are many ecclesial tasks, therefore, that can be entrusted to a deacon, namely, all those that do not involve the full care of souls[122]. The Code of Canon Law, however, determines which offices are reserved to the priest and those that can also be entrusted to the lay faithful, while there is no indication of any particular office in which the deacon's ministry can find specific expression.
82. In any case, the history of the diaconate recalls that it was established within the framework of a ministerial vision of the Church, as an ordained ministry at the service of the Word and of charity; this latter context includes the administration of goods. The twofold mission of the deacon is expressed in the liturgical sphere, where he is called to proclaim the Gospel and to serve at the Eucharistic table. These references can help identify the specific tasks of a deacon, adding value to that which is proper to the diaconate, with a view to promoting the diaconal ministry.
VIII. f. Consecrated men and women
83. Oftentimes, within the Parish community, there are persons belonging to the consecrated life. “This is not a reality external to or independent of the life of the local Church; rather it constitutes a particular way of being in the midst of the local Church, which is marked by the radicalness of the Gospel and which possesses its own specific gifts”[123]. Moreover, integrated into the community with clerics and laity, consecrated life “is located within the charismatic dimension of the Church […] The spirituality of the Institutes of Consecrated Life can become for both the lay faithful and the priest a significant resource enabling them to live their own proper vocation”[124].
84. The contribution that consecrated men and women can bring to the evangelising mission of the Parish community is derived firstly, from their “being”, that is, from the witness of a radical following of Christ through the profession of the evangelical counsels[125], and only secondly from their “doing”, that is, from the works carried out in accordance with the charism of each Institute (for example, catechesis, charity, formation, youth ministry, care of the sick)[126].
VIII. g. The Laity
85. The Parish community is composed in a particular way of the lay faithful[127], who, by virtue of their Baptism and the other Sacraments of Christian initiation, and in many cases by matrimony[128], participate in the evangelising action of the Church, since “the essential vocation and mission of the lay faithful is to strive that earthly realities and all human activity may be transformed by the Gospel”[129].
In a particular way, the lay faithful, who have a specific secular character, “seek the Kingdom of God by engaging in temporal affairs and by ordering them according to the plan of God”[130]. They “can also feel themselves called, or be called, to work with their pastors in the service of the ecclesial community for its growth and life, by exercising a great variety of ministries according to the grace and charisms which the Lord is pleased to give them”[131].
86. The lay faithful are called upon in our present age to make a generous commitment to the service of the mission of evangelisation, first of all through the general witness of their daily lives, lived in conformity with the Gospel, in whatever environment they are in and at every level of responsibility; in a particular way, they are called to place themselves at the service of the Parish community[132].
VIII. h. Other forms of assigning pastoral care
87. There is a further way for the Bishop to provide for the pastoral care of a community, as can be seen from can. 517 §, 2, when it is not possible to appoint a full-time Parish Priest or a Parish Administrator, due to a shortage of priests. In such pastorally problematic circumstances, in order to sustain Christian life and to continue the evangelising mission of the community, the diocesan Bishop may entrust the pastoral care of a Parish to a deacon, to a consecrated religious or layperson, or even to a group of persons (e.g., Religious Institute, Association)[133].
88. Those entrusted with participation in the exercise of the pastoral care of the community will be directed by a priest with legitimate faculties, who will act as a “Moderator of Pastoral Care”, with the powers and functions of a Parish Priest, albeit without an office with its duties and rights.
It should be remembered that we are dealing here with an extraordinary form of entrusting pastoral care, due to the impossibility of appointing a Parish Priest or a Parish Administrator, which is not to be confused with the ordinary active cooperation of the lay faithful in assuming their responsibilities.
89. In view of this extraordinary remedy, the People of God should be adequately prepared in this regard, cognisant that it is a temporary and not a permanent measure[134]. The correct understanding and application of this canon requires that this exceptional provision “be used only with strict adherence to conditions contained in it. These are: a) ob sacerdotum penuriam and not for reasons of convenience or ambiguous “advancement of the laity” […]; b) this is participatio in exercitio curae pastoralis and not directing, coordinating, moderating or governing the Parish; these competencies, according to the canon, are the competencies of a priest alone”[135].
90. In order to ensure a successful outcome in the assignment of pastoral care according to canon 517, §2[136], certain criteria must be observed. Since this is an extraordinary and temporary pastoral solution[137], the only canonical cause that makes recourse to it legitimate, is a lack of priests to provide pastoral care for the Parish community in the appointment of a Parish Priest or Parish Administrator. Furthermore, it would be preferable to appoint one or more deacons over consecrated men and women or laypersons for directing this kind of pastoral care[138].
91. At any rate, the coordination of pastoral activity organised in this way falls to the priest who is appointed as the Moderator by the diocesan Bishop; this priest alone has the powers and faculties proper to the Parish Priest; the other members of the faithful, on the other hand, have “a share in the exercise of the pastoral care of a Parish”[139].
92. The deacon, together with those who have not received Holy Orders and who participate in the exercise of pastoral care, are to perform only those functions which correspond to their respective status as deacons or lay faithful, ensuring that “the original properties of diversity and complementarity of the charisms and functions of ordained ministers and the lay faithful must be carefully observed and respected since these are proper to the Church and are willed by God for its organisation”[140].
93. Finally, in the decree by which he appoints the Moderator Priest, it is strongly recommended that the Bishop would set out, at least briefly, the reasons why it has become necessary to apply this extraordinary form to the assignment of pastoral care to one or more Parish communities, together with the kinds of ministry that the priest in charge will exercise.
IX. Appointments and Pastoral Ministry
94. Besides the occasional collaboration that every person of good will—even the unbaptised—may offer in the daily activities of the Parish, there exist also stable appointments, on the basis of which the faithful accept responsibility for service within the Parish community for a determined time. For example, one thinks of catechists, of altar servers, of educators that work in groups and associations, of those who fulfil the works of charity and those who dedicate themselves to different types of counselling or to listening centres, and of those who visit the sick.
95. In any case, in designating the tasks entrusted to deacons, consecrated men and women and the lay faithful that receive a participation in the exercise of pastoral care, it is necessary to use terminology that corresponds in a correct way to the functions that they can fulfil in conformity with their state of life. In this way, the essential difference that exists between the common priesthood and the ministerial priesthood is clearly maintained, and the identity of the appointment received by each person should be evident.
96. In that vein, it is the responsibility, first of all, of the diocesan Bishop and, as far as it pertains to him, the Parish Priest, to see that the appointments of deacons, religious and laity that have roles of responsibility in the Parish, are not designated as “pastor”, “co-pastor”, “chaplain”, “moderator”, “coordinator”, “Parish manager”, or other similar terms[141] reserved by law to priests,[142] inasmuch as they have a direct correlation to the ministerial profile of priests.
In referring to the aforementioned faithful and deacons, it is likewise illegitimate, and not in conformity with their vocational identity, to use expressions such as “entrust the pastoral care of a parish”, “preside over the parish community”, and other similar phrases, that pertain to the distinct sacerdotal ministry of a Parish Priest.
For example, the terms “Deacon Cooperator” or “Coordinator of (a particular sector of pastoral care)”, “Pastoral Cooperator” or “Pastoral Associate or Assistant” seem to be more appropriate.
97. Lay men, by the norms of law, may be instituted Lectors or Acolytes on a stable basis, by means of the relevant rite, according to canon 230 §1. The non-ordained faithful may use the term “extraordinary minister”, only if called by the competent Authority[143] to fulfil the supplementary functions referred to in canons 230 §3 and 943. The temporary deputation in liturgical celebrations, which canon 230 §2 mentions, even if protracted for some time, does not confer any special designation on the non-ordained faithful[144].
These laypersons must be in full communion with the Catholic Church[145], receive a formation adequate to the function that they are called to perform, and maintain a personal and pastoral conduct that is exemplary, making them convincing in carrying out their service.
98. In addition to what pertains to stably instituted Lectors and Acolytes[146], the Bishop, according to his prudent judgment, may officially entrust to deacons, consecrated men and women and lay faithful, under the direction and responsibility of the Parish Priest, other duties[147] such as:
1°. The celebration of the Liturgy of the Word on Sundays and Holy Days of Obligation, when “participation in the Eucharistic celebration becomes impossible because of the absence of a sacred minister or for another grave cause”[148]. This is considered an exceptional eventuality, recourse to which is made only in circumstances of true impossibility and always taking care to entrust these liturgies to deacons, if they are present;
2°. The administration of Baptism, with due consideration for the fact that, “the ordinary minister of baptism is a bishop, priest or deacon”[149] and that what is provided in canon 861 §2 constitutes an exception, to be evaluated at the discretion of the local Ordinary;
3°. The celebration of funeral rites, as provided in n.19 of the Praenotanda of the Order of Christian Funerals.
99. The lay faithful may preach in a Church or oratory, if circumstances, necessity or a particular case calls for it, “according to the prescripts of the Episcopal Conference”[150] and “when expressly permitted by law or liturgical norms, as long as conditions contained in them are observed”[151]. However, these individuals may not in any case give the homily during the celebration of the Eucharist[152].
100. Moreover, “where there is a lack of priests and deacons, the diocesan Bishop can delegate lay persons to assist at marriages, with the previous favourable vote of the episcopal conference and after obtaining the permission of the Holy See”[153].
X. Bodies of Ecclesial Co-responsibility
X. a. The Parish Finance Council
101. The administration of goods which every Parish has to some extent is an important area of evangelisation and evangelical witness, both in the Church and in civil society, since “all the goods that we have, the Lord gives them to go to the world, to go to humanity, to help others”[154]. The Parish Priest, therefore, cannot and must not remain only at this task[155], so it is necessary that he be assisted by collaborators to administrate the goods of the Church above all with evangelising zeal and a missionary spirit.[156]
102. For this reason, in every Parish a Finance Council must be constituted as a consultative body, presided over by the Parish Priest and formed of at least three other faithful[157]; the minimum number of three is necessary so that this Council may be considered “collegial”. It bears recalling that the Parish Priest is not counted among the members of the Finance Council, but he presides over it.
103. Absent specific norms issued by the diocesan Bishop, it will be for the Parish Priest to determine the number of members of this Council, relative to the size of the Parish, and whether these should be appointed by him, or elected somehow by the Parish community.
The members of this Council, not necessarily belonging to the Parish itself, must be of proven good reputation, and expert in financial and legal questions[158], so as to render an effective and competent service, in such a way that the Council is not established as a mere formality.
104. Unless the diocesan Bishop has decided otherwise, observing the necessary prudence and any pertinent norms of civil law, nothing prevents the same person from being a member of the Finance Council of multiple Parishes, whenever circumstances require.
105. Any eventual norms issued by the diocesan Bishop in these matters must take account of the specific situations of Parishes, such as, for example, those of particularly modest means, or those forming part of a pastoral unit[159].
106. The Finance Council fulfils a role of particular importance in the growth, at the level of the Parish community, of a culture of co-responsibility, of administrative transparency, and of service to the needs of the Church. In a particular way, transparency should not be understood as a mere formal presentation of statistics, but more as information that is the community’s due, and an advantageous opportunity for its formative involvement. Transparency refers to a modus agendi, indispensable for the credibility of the Church, especially where there are significant goods to administer.
107. Ordinarily, the goal of transparency may be attained by publishing the annual financial report that must first be presented to the local Ordinary[160], with detailed indications of income and expenditure. From the annual report, the community as a whole may be aware that these goods belong to the Parish, not the Parish Priest; that he is the steward of them; how they are administered; what the financial situation of the Parish is and what resources are effectively at its disposal.
X. b. The Parish Pastoral Council
108. The current canonical norms[161] leave it to the diocesan Bishop to decide on the establishment of a Pastoral Council in Parishes, but in any case, they may ordinarily be considered as highly recommended, as Pope Francis recalled, “How necessary pastoral councils are! A Bishop cannot guide a Diocese without pastoral councils. A Parish Priest cannot guide without pastoral councils”[162].
The flexibility of the norm permits the adaptation considered apt for the concrete circumstances, as for example, in the case of multiple Parishes entrusted to a single Parish Priest, or those within pastoral units: it is possible in this cases to establish a single Pastoral Council for several Parishes.
109. The theological significance of the Pastoral Council is inscribed in the constitutive reality of the Church, that is, in her being “the Body of Christ”, that generates a “spirituality of communion”. In the Christian community, in fact, the diversity of charisms and ministries that derive from incorporation into Christ and from the gift of the Holy Spirit may never be homogenised until they become “uniformity, the obligation of doing everything together and all as equals, of always thinking the same thing in the same way”[163]. On the contrary, in virtue of the baptismal priesthood[164], every member of the faithful is created for the building up of the whole Body and, at the same time, the whole People of God, in the reciprocal co-responsibility of its members, participates in the mission of the Church, that is, discerning in history the signs of the presence of God and becoming witnesses of His Kingdom[165].
110. Far from being simply a bureaucratic organ, the Pastoral Council highlights and realizes the centrality of the People of God as the subject and active protagonist of the evangelising mission, in virtue of the fact that every member of the faithful has received the gifts of the Spirit through Baptism and Confirmation: “Rebirth to the divine life of baptism is the first step; next comes conducting ourselves as children of God, namely, by conforming ourselves to Christ who works in Holy Church, letting ourselves be involved in her mission in the world. To that end, the anointing of the Spirit is provided: ‘without your strength, we have none’ (cf. Pentecost Sequence). […] As Jesus was animated by the Spirit for his whole life, so also the life of the Church and of each of her members is under the guidance of the same Spirit”[166].
In light of this fundamental vision, the words of St Paul VI come to mind, “It is the function of the pastoral council to investigate everything pertaining to pastoral activities, to weigh them carefully and to set forth practical conclusions concerning them so as to promote conformity of the life and actions of the People of God with the Gospel”[167], in the awareness that, as Pope Francis recalled, the purpose of such a Council “should not be ecclesiastical organization but rather the missionary aspiration of reaching everyone”[168].
111. The Pastoral Council is a consultative body, governed by the norms established by the diocesan Bishop, to define the criteria of its composition, the methods of election of its members, its objectives and manner of functioning[169]. In any case, in order not to distort the nature of this Council, it is best to avoid defining it as a “team” or “équipe”, that is to say in terms that are not suitable to express concretely the ecclesial and canonical relationship between the Parish Priest and the rest of the faithful.
112. With regard to the relative diocesan norms, it is necessary that the Pastoral Council effectively represent the community of which it is an expression in its membership (priests, deacons, religious and laity). This constitutes a specific setting in which the faithful are able to exercise their right and duty to express their own thought concerning the good of the Parish community to the pastors,[170] and to communicate it to other members of the faithful.
113. The Parish Pastoral Council “possesses a consultative vote only”[171], in the sense that its proposals must be accepted favourably by the Parish Priest to become operative. The Parish Priest is then bound to consider the indications of the Pastoral Council attentively, especially if they express themselves unanimously, in a process of common discernment.
So that the service of the Pastoral Council might be efficacious and fruitful, it is necessary to avoid two extremes: on one hand, that of the Parish Priest presenting to the Pastoral Council decisions already made, or without the required information beforehand, or convoking it seldom only pro forma. on the other hand, that of the Council in which the Parish Priest is only one of the members, deprived de facto of his role as Pastor and Leader of the community[172].
114. Finally, it is considered fitting that, as far as possible, the Pastoral Council should consist for the most part of those who have effective responsibility in the pastoral life of the Parish, or who are concretely engaged in it, in order to avoid the meetings becoming an exchange of abstract ideas that do not take into account the real life of the community, with its resources and problems.
X. c. Other forms of co-responsibility in pastoral care
115. When a community of the faithful is not able to be erected as a Parish or quasi-Parish[173], the diocesan Bishop, after having heard the Presbyteral Council[174], is to provide for their pastoral care in another way[175], weighing, for example, the possibility of establishing pastoral centres, dependent on the local Parish, as “mission stations” to promote evangelisation and charity. In these cases, it is necessary to furnish these pastoral centres with a suitable Church or oratory[176] and to create diocesan norms in reference to their activities, in such a way that they may be coordinated and complementary with respect to those of the Parish.
116. Centres thus defined, that in some Dioceses are called a “diaconia”, may be entrusted—where possible—to a Parochial Vicar, or, in a particular way, to one or more permanent deacons, who would have responsibility for them and administrate them, together with the centre’s families, under the responsibility of the Parish Priest.
117. These centres can become missionary outposts and instruments of proximity, especially in Parishes with an extensive territory, in a way that ensures moments of prayer and Eucharistic adoration, catechesis and other activities for the benefit of the faithful. In a particular way, such missions could extend those activities relative to charity to the poor and needy and the care of the sick, enlisting the collaboration of religious and laity, and all persons of good will.
XI. Offerings for the Celebration of the Sacraments
118. A topic connected to the life of Parishes and their evangelising mission, is that of offerings given for the celebration of Holy Mass, destined for the priest celebrant, and of other Sacraments, that belong instead to the Parish[177]. This means that an offering, by its very nature, must be a free act on the part of the one offering, left to one’s conscience and sense of ecclesial responsibility, not a “price to pay” or a “fee to exact”, as if dealing with a sort of “tax on the Sacraments”. In fact, with the offering for Holy Mass, “The Christian faithful […] contribute to the good of the Church and […] share its concern to support its ministers and works”[178].
119. As a result, the importance of sensitising the faithful is shown, so that they contribute voluntarily to the needs of the Parish, which are “their needs”, for which it is good that they learn spontaneously to take responsibility, especially in those Countries where the offerings for Holy Mass remain the only source of income for priests and also the only resource for evangelisation.
120. This sensitisation will only proceed as far as the priests, for their part, offer virtuous examples in their use of money, whether it be that of a sober lifestyle, without excess on a personal level, or that of a transparent management of Parish goods. Good administration is measured not by “projects” of the Parish Priest or of a small group of persons, projects that are good but abstract, but by the real needs of the faithful, especially the poor and needy.
121. In any event, “It is recommended earnestly to priests that they celebrate Mass for the intention of the Christian faithful, especially the needy, even if they have not received an offering”[179].
Among the recommended instruments for reaching this goal, one might think of receiving offerings in an anonymous way, so that everyone feels free to donate what they can, or what they think is just, without feeling an obligation to respond to an expectation or a price.
Conclusion
122. Recalling the ecclesiology of the Second Vatican Council in the light of recent Magisterium, and considering the social contexts that are profoundly changed, the present Instruction is intended to focus the topic of renewal of the Parish in a missionary sense.
While it remains an indispensable institution to encounter Christ and to have a living relationship with Him and with our brothers and sisters in the faith, it is likewise true that the Parish must constantly face changes taking place in today’s culture and in the existential reality of persons, in order to explore creatively new ways and methods that allow it to be at the height of its primary function, that is, being a force of evangelisation.
123. As a consequence, pastoral activity needs to go beyond merely the territorial limits of the Parish, to make ecclesial communion more clearly transparent by means of the synergy between ministers and diverse charisms, structuring itself as a “pastoral care for all”, at the service of the Diocese and of its mission.
This means a pastoral activity that, through an effective and vibrant collaboration between priests, deacons, religious and laity, as well as among different Parish communities of an area or region, occupies itself with identifying together the questions, difficulties and challenges germane to evangelisation, seeking to integrate ways, methods, proposals and means suitable to confront them. Such a common missionary project may be elaborated and realized in relation to social and territorial contexts, that is, in communities that are neighbouring or united by the same socio-cultural conditions, or in reference to related pastoral fields, for example, in a group for the necessary coordination of pastoral care for youth, universities and vocations, as already occurs in many Dioceses.
For this reason, beyond a responsible coordination of activities and structures capable of relating and collaborating among them, the pastoral care of all requires the contribution of all the baptised. In the words of Pope Francis, “When we speak of “the people”, we are not speaking about the structures of society or the Church, but about all those persons who journey, not as individuals, but as a closely-bound community of all and for all”[180].
That demands that the historical Parish institution not remain a prisoner of immobility or of a worrisome pastoral repetition, but rather, it should put into action that “outgoing dynamism” that, through collaboration among different Parish communities and a reinforced communion among clergy and laity, will orient it effectively toward an evangelising mission, the task of the entire People of God, that walks through history as the “family of God” and that, in the synergy of its diverse members, labours for the growth of the entire ecclesial body.
The present Document, therefore, besides underscoring the urgency of a this type of renewal, presents the canonical norms that establish the possibilities, the limits, the rights and the duties of pastors and the laity, so that the Parish might rediscover itself as a fundamental place of evangelical proclamation, of the celebration of the Eucharist, a place of fraternity and charity, from which Christian witness can shine for the world. The Parish, that is, “must remain a place of creativity, of relationship, of motherhood. It is there that this inventive capacity is realised; and when a parish moves forward this way, it achieves what I call ‘the parish on the move’ ”[181].
124. Pope Francis invites us to invoke “Mary, Mother of Evangelisation”, so that, “the Virgin Mother may help us to say our own “yes”, conscious of the urgent need to make the Good News of Jesus resound in our time. May she obtain for us renewed zeal in bringing to everyone the Good News of the life that is victorious over death. May she intercede for us so that we can acquire the holy audacity needed to discover new ways to bring the gift of salvation to every man and woman”[182].
On 27 June 2020, the Holy Father approved the present Document of the Congregation for the Clergy.
Rome, 29 June 2020, the Solemnity of Saints Peter and Paul.
✠ Beniamino Card. Stella
Prefect |
✠ Joël Mercier
Secretary
|
✠ Jorge Carlos Patrón Wong
Secretary for Seminaries
|
Mons. Andrea Ripa
Undersecretary
|
________________________
[1] Francis, Discussion with Parish Priests of Rome (16 September 2013): http://cosarestadelgiorno.wordpress.com/2013/09/16/
[2] Cf. Id., Apostolic Exhortation Evaneglii Gaudium (24 November 2013), n. 287: AAS 105 (2013), 1136.
[3] Ibid., n. 49: AAS 105 (2013), 1040.
[4] Second Vatican Ecumenical Council, Pastoral constitution on the Church in the modern world Gaudium et Spes (7 December 1965), n. 58: AAS 58 (1966), 1079.
[5] Ibid., n. 44: AAS 58 (1966), 1065.
[6] Cf. Saint Ephrem, Commentary on Tatian's Diatessaron 1, 18-19: SC 121, 52-53.
[7] Francis, Encyclical Letter Laudato sì (24 May 2015), n. 68: AAS 107 (2015), 847.
[8] Cf. Paul VI, Encyclical Letter Ecclesiam Suam (6 August 1964): AAS 56 (1964), 639.
[9] Evangelium Gaudium, n. 27: AAS 105 (2013), 1031.
[10] Cf. John Paul II, Post-Synodal Apostolic Exhortation Christifideles Laici (30 December 1988), n. 26: AAS 81 (1989), 438.
[11] Francis, General Audience (12 June 2019): L’Osservatore Romano 134 (13 June 2019), 1.
[12] Second Vatican Ecumenical Council, Decree on the Pastoral Office of Bishops in the Church Christus Dominus (28 October 1965), n. 30: AAS 58 (1966), 688.
[13] John Paul II, Discourse to Participants at the Plenary of the Congregation for the Clergy (20 October 1984), ns. 3 and 4: Insegnamenti VII/2 (1984), 984 and 985; cf. also Id., Apostolic Exhortation Catechesi Tradendae (16 October 1979), n. 67: AAS 71 (1979), 1332.
[14] Benedict XVI, Homily during the pastoral visit to Our Lady Star of Evangelisation Parish of Rome (10 December 2006): Insegnamenti II/2 (2006), 795.
[15] Evangelii Gaudium, n. 28: AAS 105 (2013) 1032.
[16] Cf. Gaudium et Spes, n. 4: AAS 58 (1966), 1027.
[17] Cf. Gaudium et Spes, n. 1: AAS 58 (1966), 1025-1026.
[18] Cf. Evangelii Gaudium, ns. 72-73: AAS 105 (2013), 1050-1051
[19] Cf. Synod of Bishops, XV Ordinary General Assembly (3-28 October 2018): “Young people, the faith and vocational discernment”, Final Document, n. 129 “In this context, an understanding of the parish defined solely by territorial borders and incapable of engaging the faithful in a wide range of initiatives, especially the young, would imprison the parish in unacceptable stagnation and in worryingly repetitive pastoral cycles”: L’Osservatore Romano 247 (29-30 October 2018), 10.
[20] Cf. for example, C.I.C., cann. 102; 1015-1016; 1108, §1.
[21] Christifideles Laici, n. 25: AAS 81 (1989), 436-437.
[22] Cf. Evangelii Gaudium, n. 174: AAS 105 (2013), 1093.
[23] Cf. ibid., n. 164-165: AAS 105 (2013), 1088-1089.
[24] Second Vatican Ecumenical Council, Dogmatic Constitution on the Church Lumen Gentium (21 November 1964), n. 11: AAS 57 (1965), 15.
[25] Cf. Evangelii Gaudium, ns. 166-167: AAS 105 (2013), 1089-1090.
[26] Francis, Apostolic Exhortation on the call to holiness in the contemporary world Gaudete et Exultate (19 March 2018), n. 35: AAS 110 (2018), 1120. The following words of Pope Francis with regard gnosticism and pelagianism are also worth recalling here: “This worldliness can be fuelled in two deeply interrelated ways. One is the attraction of gnosticism, a purely subjective faith whose only interest is a certain experience or a set of ideas and bits of information which are meant to console and enlighten, but which ultimately keep one imprisoned in his or her own thoughts and feelings. The other is the self-absorbed promethean neopelagianism of those who ultimately trust only in their own powers and feel superior to others because they observe certain rules or remain intransigently faithful to a particular Catholic style from the past”. Evangelii Gaudium, n. 94: AAS 105 (2013), 1059-1060; cf. also Congregation for the Doctrine of the Faith, Letter Placuit Deo (22 February 2018): AAS 110 (2018), 429.
[27] Cf. Letter to Diognetus V, 1-10: Patres Apostolici, ed. F.X. Funk, vol. 1, Tubingae 1901, 398.
[28] Cf. John Paul II, Apostolic Letter Novo Millennio Ineunte (6 January 2001), n. 1: AAS 93 (2001), 266.
[29] Evangelii Gaudium, n. 28: AAS 105 (2013), 1032.
[30] Cf. C.I.C. cann. 515; 518; 519.
[31] Evangelii Gaudium, n. 28: AAS 105 (2013), 1031-1032.
[32] Evangelii Gaudium, n. 28: AAS 105 (2013), 1031-1032.
[33] Cf. Francis, Post-Synodal Apostolic Exhortation Christus Vivit (25 March 2019), n. 238, Vatican City 2019.
[34] Cf. Id., Bull of Indiction Misericordiae Vultus (11 April 2015), n. 3: AAS 107 (2015), 400-401.
[35] Benedict XVI, Address to the Bishops of Brazil (11 May 2007), n. 3: Insegnamenti III/I (2007), 826.
[36] Evangelii Gaudium, n. 198: AAS 105 (2013), 1103.
[37] Cf. Francis, Morning Meditation at Santa Marta (30 October 2017).
[38] Cf. Evangelii Gaudium, ns. 186-216: AAS 105 (2013), 1098-1109.
[39] Cf. Gaudete et Exultate, ns. 95-99: AAS 110 (2018), 1137-1138.
[40] Cf. Evangelii Gaudium, n. 27: AAS 105 (2013), 1031; cf. also ibid., n. 189: AAS 105 (2013), 1099: “Changing structures without generating new convictions and attitudes will only ensure that those same structures will become, sooner or later, corrupt, oppressive and ineffectual”.
[41] Ibid., n. 26: AAS 105 (2013), 1030-1031.
[42] Christus Dominus, n. 30: AAS 58 (1966), 688.
[43] Francis, Presentation of Christmas Greetings to the Roman Curia (22 December 2016): AAS 109 (2017), 44.
[44] Id., Carta al Pueblo de Diós que peregrina en Chile (31 May 2018): www.vatican.va/content/francesco/es/letters/2018/documents/papa-francesco_20180531_lettera-popolodidio-cile.html
[45] Cf. ibid.
[46] Ibid.
[47] Lumen Gentium, n. 9: AAS 57 (1965), 13.
[48] Cf. Congregation for the Clergy, Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis (8 December 2016), ns. 80-88, Vatican City 2016, pp. 37-42.
[49] Cf. C.I.C., can. 374, §1.
[50] Cf. ibid., can. 374, §2; cf. also Congregation for Bishops, Directory for the Pastoral Ministry of Bishops Apostolorum Successores (22 February 2004), n. 217: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2110.
[51] Cf. C.I.C., can. 374, §1.
[52] Cf. ibid., can. 374, §2.
[53] Cf. Apostolorum Successores, n. 218: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2114.
[54] Cf. C.I.C., can. 515, §2.
[55] Cf. ibid., can. 86.
[56] Cf. ibid., can. 120, §1.
[57] Cf. ibid., cann. 121-122; cf. also Apostolorum Successores, n. 214: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2099.
[58] Cf. C.I.C., can. 51.
[59] Cf. ibid., cann. 120-123.
[60] Cf. ibid., cann. 500, §2 and 1222, §2.
[61] Cf. Pontifical Council for Culture, Decommissioning and Ecclesial Reuse of Churches. Guidelines (17 December 2018): http://www.cultura.va/content/cultura/it/pub/documenti/decommissioning.html
[62] Cf. C.I.C., can. 1222, §2.
[63] Ibid., can. 374, §2.
[64] Cf. Apostolorum Successores, n. 217: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2110.
[65] Cf. C.I.C., can. 554, §1.
[66] Ibid., can. 555, §1, 1°.
[67] Ibid., can. 555, §4.
[68] Cf. ibid., can. 500, §2.
[69] Cf. Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People, Erga Migrantes Charitas Christi (3 May 2004), n. 95; Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2548.
[70] Cf. Apostolorum Successores, n. 215: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2104.
[71] Cf. ibid.
[72] Cf. C.I.C., can. 517, §1.
[73] Cf. ibid., can. 526, §1.
[74] Cf. Ibid.
[75] Cf. Ibid., can. 522.
[76] Cf. ibid., cann. 553-555.
[77] Cf. ibid., can. 536.
[78] Cf. ibid., can. 537.
[79] Cf. ibid., can. 500, §2.
[80] Cf. Apostolorum Successores, n. 219: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2117; it is convenient to reserve the title of “pastoral region” for this kind of grouping alone, thus avoiding unnecessary confusion.
[81] Cf. C.I.C., cann. 134, §1 and 476.
[82] It should be noted that: a) what is said in reference to the “diocesan Bishop” is valid also for all those equal to him in law; b) what is said about the Parish or the Parish Priest is also valid for quasi-Parishes and quasi-Parish Priests; c) what concerns the lay faithful applies also to members of non-clerical institutes of consecrated life or societies of apostolic life, unless specific reference is being made to the secular; d) the term “Moderator” has different meanings based on the context in which it is used in this present Instruction, in accord with the norms of the code.
[83] Cf. Lumen Gentium, n. 26: AAS 57 (1965), 31-32.
[84] Cf. Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis, ns. 83; 88.e, pp. 37; 39.
[85] Cf. C.I.C., can. 275, §1.
[86] Cf. Second Vatican Ecumenical Council Decree on the ministry and life of priests Presbyterorum Ordinis (7 December 1965), n. 8: AAS 58 (1966), 1003.
[87] Cf. Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis, n. 88, pp. 39-40.
[88] Cf. Francis, Address to participants in the Convention sponsored by the Congregation for the Clergy on the 50th anniversary of the Conciliar Decrees “Optatam Totius” and “Presbyterorum Ordinis” (20 November 2015): AAS 107 (2015), 1295.
[89] Cf. C.I.C., can. 150.
[90] Cf. ibid., can. 521, §1.
[91] Cf. ibid., can. 520, §1.
[92] Ibid., can. 519.
[93] Cf. ibid., can. 532.
[94] Cf. ibid., can. 1257, §1.
[95] Christus Dominus, n. 31: AAS 58 (1965), 689.
[96] C.I.C., can. 522.
[97] Ibid., can. 1748.
[98] Ibid., can. 526, §1.
[99] Cf. ibid., can. 152.
[100] Cf. ibid., can. 538, §§1-2.
[101] Cf. ibid., cann. 1740-1752, keeping in mind cann. 190-195.
[102] Cf. ibid., can. 538, §3.
[103] Ibid.
[104] Cf. ibid., can. 189.
[105] Cf. ibid., can. 189, §2 and Apostolorum Successores, n. 212: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2095.
[106] Apostolorum Successores, n. 212: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2095.
[107] Cf. C.I.C., cann. 539-540.
[108] Cf. in particular ibid., cann. 539, 549, 1747, §3.
[109] Ibid., can. 517, §1; cf. also cann. 542-544.
[110] Cf. ibid., cann. 517, §1 and 526, §1.
[111] Cf. ibid., can. 543, §1.
[112] Cf., ibid., can. 543, §2, 3°; In countries where the Parish is recognised by the State as a juridic entity, he would also assume the role of the civil juridical representative.
[113] Cf., ibid., can. 543, §1.
[114] Cf. ibid., can. 517, §1.
[115] Cf. ibid., can. 545, §2; one can think here of a priest who is experienced in the field of spirituality, who, due to poor health, could be appointed as an ordinary Confessor to five adjoining territorial Parishes.
[116] Cf. ibid., can. 265.
[117] Ibid., can. 1009, §3.
[118] Francis, Encounter with priests and consecrated persons, Milan (25 March 2017): AAS 109 (2017), 376.
[119] Ibid., 376-377.
[120] Lumen Gentium, n. 29: AAS 57 (1965), 36.
[121] Paul VI, Address to the participants of the International Congress on the Diaconate, 25 October 1965: Enchiridion on the Diaconate (2009), 147-148.
[122] Cf. C.I.C., can. 150.
[123] Congregation for the Doctrine of the Faith, Letter Iuvenescit Ecclesia to the Bishops of the Catholic Church regarding the relationship between hierarchical and charismatic gifts in the life and the mission of the Church (15 May 2016), n. 21: Enchiridion Vaticanum 32 (2016), 734.
[124] Ibid., n. 22: Enchiridion Vaticanum 32 (2016), 738.
[125] Cf. C.I.C., can. 573, §1.
[126] Cf. Congregation for Institutes of Consecrated Life and Societies of Apostolic Life – Congregation for Bishops, Mutuae Relationes. Directives for the mutual relations between Bishops and Religious in the Church (14 May 1978), ns. 10; 14, a): Enchiridion Vaticanum 6 (1977-1979), 604-605; 617-620; cf. also Apostolorum Successores, n. 98: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 1803-1804.
[127] Cf. Evangelii Gaudium, n. 102: AAS 105 (2013), 1062-1063.
[128] Cf. Christifideles Laici, n. 23: AAS 81 (1989), 429.
[129] Evangelii Gaudium, n. 201: AAS 105 (2013), 1104.
[130] Lumen Gentium, n. 31: AAS 57 (1965), 37.
[131] Paul VI, Apostolic Exortation Evangelii Nuntiandi (8 dicembre 1975), n. 73: AAS 68 (1976), 61.
[132] Cf. Evangelii Gaudium, n. 81: AAS 105 (2013), 1053-1054.
[133] Cf. C.I.C., can. 517, §2.
[134] Cf. Apostolorum Successores, n. 215, c): Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2105.
[135] Congregation for the Clergy, Instruction [Interdicasterial] on certain questions regarding the collaboration of the non-ordained faithful in the sacred ministry of priest Ecclesiae de Mysterio (15 August 1997), art. 4, §1, a-b): AAS 89 (1997), 866-867; cf. also Apostolorum Successores, n. 215, c): Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2105. The priest will also have the legal representation of the Parish, both canonically and civilly, when foreseen by the Law of the State.
[136] Before resorting to the provision of can. 517, §2, the diocesan Bishop should prudently consider other alternative possibilities, like availing of senior priests who are still valid for ministry, or entrusting several Parishes to a single Parish Priest or several Parishes to a group of priests in solidum.
[137] Cf. Ecclesiae de Mysterio, art. 4, § 1, b): AAS 89 (1997), 866-867, and Congregation for the Clergy, Instruction The priest, pastor and leader of the Parish community (4 August 2002), ns. 23 and 25, regarding “collaboration ad tempus in the exercise of the pastoral care of a parish”, cf. n. 23: Enchiridion Vaticanum 21 (2002), 834-836.
[138] Cf. The priest, pastor and leader of the Parish community, n. 25: Enchiridion Vaticanum 21 (2002), 836.
[139] C.I.C., can. 517, §2.
[140] The priest, pastor and leader of the Parish community, n. 23: Enchiridion Vaticanum 21 (2002), 834.
[141] Cf. Ecclesia de Mysterio, art. 1 §3: AAS 89 (1997), 863.
[142] Cf. The Priest, Pastor and Leader of the Parish Community, n. 23: Enchiridion Vaticanum 21 (2002), 835.
[143] Cf. Apostolorum Successores, n. 112: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 1843.
[144] It is worth remembering that, in addition to the ministry of Lector for men, among the liturgical functions which the diocesan Bishop, after consulting the Episcopal Conference, can temporarily entrust to the lay faithful (men and women), there is also the service at the Altar, in accordance with the relevant canonical norm; cf. Pontifical Council for Legislative Texts, Response (11 July 1992): AAS 86 (1994), 541; Congregation for Divine Worship and the Discipline of the Sacraments, Circular Letter (15 March 1994): AAS 86 (1994), 541-542.
[145] Cf. C.I.C. can. 205.
[146] Cf. ibid., can. 230 §1.
[147] In the act by which the Bishop entrusts the tasks mentioned above to deacons or lay faithful, he is to determine clearly the functions they are enabled to fulfil and for how long.
[148] C.I.C. can. 1248 §2.
[149] Ibid., can. 861 §1.
[150] Ibid., can. 766.
[151] Ecclesia de Mysterio, art. 3 §4: AAS 89 (1997), 865.
[152] Cf. C.I.C. can. 767 §1; cf. also Ecclesia de Mysterio, art. 3 §1: AAS 89 (1997), 864.
[153] C.I.C. can. 1112 §1; cf. John Paul II, Apostolic Constitution Pastor Bonus (28 June 1998), art. 63: AAS 80 (1988), 876, regarding the competence of the Congregation for Divine Worship and the Discipline of the Sacraments.
[154] Francis, Daily Meditation at the Casa Santa Marta (21 October 2013): L’Osservatore Romano 242 (21-22 October 2013), 8.
[155] Cf. C.I.C. cann. 537 and 1280.
[156] In conformity with C.I.C. canon 532, the Parish Priest is responsible for the goods of the Parish, even if in administering them, he must avail himself of the collaboration of lay experts.
[157] Cf. C.I.C. can. 115 §2 and, by analogy, can. 492 §1.
[158] Cf. ibid., can. 537 and Apostolorum Successors, n. 210: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2087.
[159] Cf. C.I.C. cann. 517 and 526.
[160] Cf. ibid., can. 1287 §1.
[161] Cf. ibid., can. 536 §1.
[162] Francis, Discourse during the meeting with clergy, consecrated persons and members of pastoral councils, Assisi (4 October 2013): Insegnamenti I/2 (2013), 328.
[163] Id., Homily at the Mass of the Solemnity of Pentecost, 4 June 2017: AAS 109 (2017), 711.
[164] Cf. Lumen Gentium, n. 10: AAS 57 (1965), 14.
[165] Cf. Congregation for the Clergy, Circular Letter Omnes Christifideles (25 January 1973), ns. 4 and 9: Enchiridion Vaticanum 4 (1971-1973), 1199-1201 and 1207-1209; cf. also Christifideles Laici, n. 27: AAS 81 (1989), 440-441.
[166] Francis, General Audience (23 May 2018).
[167] Paul VI, Apostolic Letter Motu Proprio, Ecclesiae Sanctae (6 August 1966), I, 16 §1: AAS 58 (1966), 766; cf. aslo C.I.C. can. 511.
[168] Evangelii Gaudium, n. 31: AAS 105 (2013), 1033.
[169] Cf. C.I.C. can. 536 §2.
[170] Cf. Ibid., can. 212 §3.
[171] Ibid., can. 536 §2.
[172] Cf. The Priest, Pastor and Leader of the Parish Community, n. 26: Enchiridion Vaticanum 21 (2002), 843.
[173] Cf. C.I.C. can. 516 §1.
[174] Cf. Ibid., can. 515 §2.
[175] Cf. Ibid., can. 516 § 2.
[176] Cf. Ibid., cann. 1214, 1223 and 1225.
[177] Cf. Ibid., cann. 848 and 1264, 2° and cann. 945-958; cf. also Congregation for the Clergy, Decree Mos Iugiter (22 February 1991), approved in forma specifica by John Paul II: Enchiridion Vaticanum 13 (1991-1993), 6-28.
[178] C.I.C. can. 946.
[179] Ibid., can. 945 §2.
[180] Francis, Christus Vivit, n. 231.
[181] Id, Discourse in a Meeting with the Polish Bishops, Krakow (27 July 2016): AAS 108 (2016), 893.
[182] Id, Message for World Mission Sunday 2017 (4 June 2017), n. 10: AAS 109 (2017), 764.
[00886-EN.01] [Original text: English]
Testo in lingua tedesca
Instruktion
Die pastorale Umkehr
der Pfarrgemeinde im Dienst an der missionarischen Sendung der Kirche
Einleitung
1. Die Lehre des Zweiten Vatikanischen Konzils über die Kirche und die bedeutsamen sozialen und kulturellen Veränderungen der vergangenen Jahrzehnte haben einige Diözesen dazu veranlasst, die Form der Übertragung der Hirtensorge für die Pfarrgemeinden neu zu gestalten. Dies hat zu neuen Erfahrungen geführt. Die Dimension der Gemeinschaft wurde aufgewertet und unter der Leitung der Hirten wurde eine harmonische Synthese der Charismen und der Berufungen im Dienst an der Verkündigung der Frohen Botschaft, die den heutigen Erfordernissen der Evangelisierung besser entspricht, verwirklicht.
Papst Franziskus hat zu Beginn seines Dienstes an die Bedeutung der „Kreativität“ erinnert. Es geht darum, «neue Wege zu suchen», d. h. «den Weg für die Verkündigung des Evangeliums». Diesbezüglich folgerte der Heilige Vater, dass «die Kirche und auch der Kodex des kanonischen Rechts uns sehr viele Möglichkeiten und große Freiheiten bieten, um diese Dinge zu suchen»[1].
2. Die in der vorliegenden Instruktion beschriebenen Situationen stellen eine wertvolle Gelegenheit für die pastorale Umkehr im missionarischen Sinn dar. Sie sind eine Einladung an die Pfarrgemeinden, sich zu öffnen und Instrumente für eine auch strukturelle Reform anzubieten, die sich an einem neuen Gemeinschaftsstil, an einem neuen Stil der Zusammenarbeit, der Begegnung, der Nähe, der Barmherzigkeit und der Sorge für die Verkündigung des Evangeliums orientiert.
I. Die pastorale Umkehr
3. Die pastorale Umkehr ist eines der grundlegenden Themen der „neuen Phase der Evangelisierung“[2], die die Kirche heute fördern muss, damit die christlichen Gemeinschaften immer mehr pulsierende Zentren der Begegnung mit Christus sind.
Daher hat der Heilige Vater vorgeschlagen: «Wenn uns etwas in heilige Unruhe versetzen und unser Gewissen beunruhigen muss, dann ist es die Tatsache, dass so viele unserer Brüder und Schwestern ohne die Kraft, das Licht und den Trost der Freundschaft mit Jesus Christus leben, ohne eine Glaubensgemeinschaft, die sie aufnimmt, ohne Hoffnung auf Sinn und Leben. Ich hoffe, dass uns mehr als die Angst, einen Fehler zu begehen, die Furcht davor bewegt, uns einzuschließen in die Strukturen, die uns einen trügerischen Schutz gewähren, in die Normen, die uns in unnachsichtige Richter verwandeln, in die Gewohnheiten, in denen wir uns ruhig fühlen, während draußen eine hungrige Menschenmenge wartet und Jesus uns pausenlos sagt: „Gebt ihr ihnen zu essen!“ (Mk 6,37)»[3].
4. Von dieser heiligen Unruhe getrieben vermag die Kirche, «die ihrer eigenen Tradition treu und sich zugleich der Universalität ihrer eigenen Sendung bewusst ist, […] sich mit mannigfachen Kulturformen zu vereinen. Diese Gemeinschaft bereichert sowohl die Kirche als auch die verschiedenen Kulturen»[4]. Die fruchtbare und kreative Begegnung zwischen dem Evangelium und der Kultur führt zu einem wahren Fortschritt: einerseits inkarniert sich das Wort Gottes in die Geschichte der Menschen und erneuert sie, andererseits «kann die Kirche […] bereichert werden und sie wird es tatsächlich auch durch den Fortschritt des gesellschaftlichen Lebens»[5], um so die ihr durch Christus anvertraute Sendung zu vertiefen, um sie besser in der Zeit, in der sie lebt, zum Ausdruck zu bringen.
5. Die Kirche verkündet, dass das Wort «Fleisch geworden ist und unter uns gewohnt hat» (Joh 1,14). Dieses Wort Gottes, das bei den Menschen sein will, ist in seinem unerschöpflichen Reichtum[6] in der ganzen Welt von verschiedenen Völkern angenommen worden. Es hat die edelsten Bestrebungen in ihnen gefördert, unter anderem die Sehnsucht nach Gott, die Würde des Lebens eines jeden Menschen, die Gleichheit unter den Menschen und die Achtung der Unterschiede in der einen Menschheitsfamilie, den Dialog als Instrument der Teilhabe, das Streben nach Frieden, die Gastfreundschaft als Ausdruck der Zusammengehörigkeit und der Solidarität, die Bewahrung der Schöpfung[7].
Es ist daher unvorstellbar, dass derartig Neues, dessen Verbreitung bis an die Grenzen der Erde noch nicht vollendet ist, schwächer wird oder, was noch schlimmer ist, sich auflöst[8]. Damit der Weg des Wortes sich fortsetzen kann, muss sich in den christlichen Gemeinschaften eine klare Entscheidung für die missionarische Sendung verwirklichen, «die fähig ist, alles zu verwandeln, damit die Gewohnheiten, die Stile, die Zeitpläne, der Sprachgebrauch und jede kirchliche Struktur ein Kanal werden, der mehr der Evangelisierung der heutigen Welt als der Selbstbewahrung dient»[9].
II. Die Pfarrei im gegenwärtigen Kontext
6. Diese missionarische Umkehr, die selbstverständlich auch eine Strukturreform beinhaltet, betrifft in besonderer Weise die Pfarrei, eine Gemeinschaft, die um den Tisch des Wortes und der Eucharistie zusammengerufen wird.
Die Pfarrei hat eine lange Geschichte. Sie hat von Anfang an eine grundlegende Rolle im Leben der Christen und in der Entwicklung und der Pastoral der Kirche gespielt. Schon in den Schriften des hl. Paulus sind ihre ersten Spuren erkennbar. Einige paulinische Texte verweisen auf die Bildung von kleinen Gemeinschaften, Hauskirchen, die der Apostel schlicht mit dem Begriff „Haus“ bezeichnet (vgl. z. B. Röm 16,3-5; 1 Kor 16,19-20; Phil 4,22). In diesen „Häusern“ kann man die Entstehung der ersten „Pfarreien“ sehen.
7. Die Pfarrei ist daher seit ihrer Entstehung eine Antwort auf ein entsprechendes pastorales Erfordernis: durch die Verkündigung des Glaubens und die Spendung der Sakramente das Evangelium den Menschen zu bringen. Die Etymologie des Begriffs macht die Absicht der Institution verständlich: Die Pfarrei ist ein Haus inmitten der Häuser[10] und entspricht der Logik der Inkarnation Jesu Christi, der unter den Menschen lebendig ist und wirkt. Sie ist daher, sichtbar repräsentiert durch das Gotteshaus, ein Zeichen der dauernden Gegenwart des auferstandenen Herrn inmitten seines Volkes.
8. Dennoch muss sich die territoriale Ausrichtung der Pfarrei heute mit einem besonderen Merkmal der gegenwärtigen Welt auseinandersetzen, in der die Zunahme der Mobilität und der digitalen Kultur die Grenzen der Existenz geweitet haben. Einerseits entspricht ein festgelegter und unveränderbarer Kontext immer weniger dem Leben der Menschen, das sich vielmehr in einem „globalen und pluralen Dorf“ abspielt. Andererseits hat die digitale Kultur in unumkehrbarer Weise das Raumverständnis, die Sprache und das Verhalten der Menschen, besonders der jungen Generationen verändert.
Darüber hinaus kann man sich leicht vorstellen, dass die beständige technische Entwicklung weiterhin die Denkweise und das Verständnis, das der Mensch von sich und vom gesellschaftlichen Leben hat, verändert. Die Geschwindigkeit der Veränderungen, der Wechsel der kulturellen Modelle, die problemlose Mobilität und die Schnelligkeit der Kommunikation verändern die Wahrnehmung von Zeit und Raum.
9. Die Pfarrei befindet sich als lebendige Gemeinschaft von Glaubenden in diesem Kontext, in dem die Bindung an einen Ort dahin tendiert, immer weniger wahrgenommen zu werden, die Orte der Zugehörigkeit vielfältig werden und die zwischenmenschlichen Beziehungen Gefahr laufen, sich ohne Verpflichtung und Verantwortung gegenüber dem persönlichen Beziehungszusammenhang in der virtuellen Welt aufzulösen.
10. Es ist inzwischen offenkundig, dass diese kulturellen Veränderungen und die veränderte Beziehung zum Territorium in der Kirche dank der Gegenwart des Heiligen Geistes eine neue Wahrnehmung der Gemeinschaft fördern, die «darin besteht, die Wirklichkeit mit den Augen Gottes, aus dem Blickwinkel der Einheit und der Gemeinschaft zu sehen»[11]. Es ist daher dringend notwendig, das ganze Volk Gottes in das Bemühen einzubeziehen, die Einladung des Geistes anzunehmen, um Prozesse der „Verjüngung“ des Antlitzes der Kirche anzustoßen.
III. Die heutige Bedeutung der Pfarrei
11. Im Zuge dieser Beobachtungen muss die Pfarrei die Impulse der Zeit aufnehmen, um ihren Dienst an die Erfordernisse der Gläubigen und die geschichtlichen Veränderungen anzupassen. Es bedarf einer erneuerten Dynamik, die es ermöglicht, im Lichte der Dokumente des Zweiten Vatikanischen Konzils und des nachfolgenden Lehramtes die Berufung aller Getauften, Jünger Jesu und Verkünder des Evangeliums zu sein, wieder zu entdecken.
12. Die Konzilsväter haben in der Tat weitblickend festgehalten: «Die Seelsorge muss von einem missionarischen Geist beseelt sein»[12]. Übereinstimmend mit dieser Lehre hat der hl. Johannes Paul II. präzisierend hinzugefügt: «Die Pfarrei muss vervollkommnet und in viele andere Formen integriert werden. Dennoch bleibt sie unersetzbar und von höchster Bedeutung innerhalb der sichtbaren Strukturen der Kirche», um «zugunsten der Evangelisierung die Stütze allen pastoralen Handelns, das vordringlich und vorrangig ist, zu sein»[13]. Benedikt XVI. lehrte, dass «die Pfarrei ein Leuchtturm ist, der das Licht des Glaubens ausstrahlt und auf diese Weise der tiefsten Sehnsucht des menschlichen Herzens entgegenkommt, weil sie den Menschen und den Familien Sinn und Hoffnung schenkt»[14]. Schließlich erinnert Papst Franziskus daran, dass «die Pfarrei durch all ihre Aktivitäten ihre Mitglieder ermutigt und formt, damit sie missionarisch aktiv sind»[15].
13. Um die zentrale Bedeutung der missionarischen Präsenz der kirchlichen Gemeinschaft in der Welt zu fördern[16], ist es wichtig, nicht nur über ein neues Konzept der Pfarrei nachzudenken, sondern auch über den Dienst und die Sendung der Priester in ihr. Zusammen mit den Gläubigen haben sie die Aufgabe, „Salz und Licht der Welt“ (vgl. Mt 5,13-14), „ein Licht auf dem Leuchter“ (vgl. Mk 4,21) zu sein und sich als missionarische Gemeinschaft zu erweisen, die fähig ist, die Zeichen der Zeit zu verstehen, die ein glaubwürdiges Zeugnis eines Lebens nach dem Evangelium hervorbringt.
14. Ausgehend von der Betrachtung der Zeichen der Zeit, ist es im Hören auf den Geist notwendig, auch neue Zeichen zu setzen: Da die Pfarrei anders als in der Vergangenheit nicht mehr der vorrangige Versammlung- und Begegnungsort ist, muss sie andere Weisen der Nähe und der Nachbarschaft im Hinblick auf ihre normalen Aktivitäten finden. Diese Aufgabe ist keine Last, die zu ertragen ist, sondern eine Herausforderung, die es mit Enthusiasmus anzupacken gilt.
15. Die Jünger des Herrn haben in der Nachfolge ihres Meisters und in der Schule der Heiligen und Hirten bisweilen durch leidvolle Erfahrungen gelernt, auf Gottes Eingreifen geduldig zu warten, die Gewissheit zu nähren, dass Er bis zum Ende der Zeiten immer da ist und dass der Heilige Geist – das Herz, welches das Leben der Kirche pulsieren lässt – die in der Welt verstreuten Kinder Gottes sammelt. Daher muss die christliche Gemeinschaft keine Angst haben, innerhalb eines Gebietes, in dem verschiedene Kulturen leben, Entwicklungen in dem festen Vertrauten zu beginnen und zu begleiten, dass es für die Jünger Christi «nichts wahrhaft Menschliches gibt, das nicht in ihren Herzen seinen Widerhall findet»[17].
IV. Die Mission – Leitmotiv der Erneuerung
16. In den gegenwärtigen Veränderungen schafft es die Pfarrei trotz großzügigen Einsatzes bisweilen nicht, angemessen den vielen Erwartungen der Gläubigen zu entsprechen, besonders unter Berücksichtigung der mannigfaltigen Gemeinschaftsformen[18]. Es ist richtig, dass es ein Charakteristikum der Pfarrei ist, dass sie dort verwurzelt ist, wo alle Tag ein Tag aus leben. Doch ist insbesondere heute das Gebiet nicht mehr nur ein geografisch abgegrenzter Bereich, sondern der Zusammenhang, in dem jeder sein Leben, das aus Beziehungen, gegenseitiger Hilfe und lange gepflegten Traditionen besteht, lebt. Auf diesem „existenziellen Territorium“ steht die ganze Herausforderung der Kirche auf dem Spiel. Daher erscheint ein pastorales Handeln überholt, das den Handlungsraum ausschließlich auf den Bereich innerhalb der territorialen Grenzen der Pfarrei beschränkt. Oft sind es gerade die Pfarrangehörigen, die diese Sichtweise, die mehr von der Sehnsucht nach dem Vergangenen als vom Mut, die Zukunft zu gestalten, geprägt erscheint, nicht mehr verstehen[19]. Andererseits muss hinzugefügt werden, dass das Territorialprinzip auf der kanonischen Ebene weiterhin uneingeschränkt gilt, wenn es vom Recht her erforderlich ist[20].
17. Darüber hinaus bleibt die bloße Wiederholung von Aktivitäten, die das Leben der Menschen nicht berühren, ein steriler Überlebensversuch, der oft mit allgemeiner Gleichgültigkeit zur Kenntnis genommen wird. Wenn die Pfarrei nicht die der Evangelisierung innewohnende spirituelle Dynamik lebt, läuft sie Gefahr, selbstbezogen zu werden und zu verkalken, da sie Erfahrungen vorschlägt, die den Geschmack des Evangeliums und die missionarische Durchschlagskraft bereits verloren haben und vielleicht nur für kleine Gruppen bestimmt sind.
18. Die Erneuerung der Evangelisierung bedarf neuer Achtsamkeit und passender Initiativen verschiedener Art, damit das Wort Gottes und die Sakramente alle in einer Weise erreichen, die der jeweiligen Lebenssituation der Menschen entspricht. Für die kirchliche Zugehörigkeit ist heutzutage nicht mehr die Herkunft das entscheidende Kriterium, sondern die Aufnahme in eine Gemeinde[21], in der die Gläubigen eine umfassendere Erfahrung des Volkes Gottes machen, eines Leibes, der viele Glieder hat, in dem jeder für das Wohl des ganzen Organismus wirkt (vgl. 1 Kor 12,12-27).
19. Über die Orte und die Gründe der Zugehörigkeit hinaus ist die Pfarrgemeinde der menschliche Kontext, in dem die Evangelisierung der Kirche vonstattengeht, die Sakramente gefeiert werden und die karitative Liebe in einer missionarischen Dynamik erfahrbar wird, die – über die Tatsache hinaus, inneres Element des pastoralen Handelns zu sein – ein Unterscheidungskriterium ihrer Authentizität ist. In der aktuellen Lage, die bisweilen von Marginalisierung und Einsamkeit geprägt ist, ist die Pfarrgemeinde herausgefordert, durch ein Netz geschwisterlicher Beziehungen, die auf die neuen Formen der Armut ausgerichtet sind, lebendiges Zeichen der Nähe Christi zu sein.
20. In Anbetracht des bisher Gesagten geht es darum, Perspektiven auszumachen, die es erlauben, die „traditionellen“ pfarrlichen Strukturen unter missionarischem Gesichtspunkt zu erneuern. Das ist das Herzstück der gewünschten pastoralen Umkehr, die die Verkündigung des Wortes Gottes, die Spendung der Sakramente und das karitative Zeugnis betreffen muss, d. h. die wesentlichen Bereiche, in denen die Pfarrei wächst und sich dem Mysterium, an das sie glaubt, nähert.
21. Ein Blick in die Apostelgeschichte lehrt uns die Bedeutung des Wortes Gottes, das eine innere Macht ist, die die Umkehr der Herzen bewirkt. Es ist die Nahrung, die die Jünger des Herrn stärkt und die sie zu Zeugen des Evangeliums in den verschiedenen Bereichen des Lebens macht. Die Schrift enthält eine prophetische Kraft, die sie immer lebendig sein lässt. Es ist daher notwendig, dass die Pfarrei durch verschiedene Angebote der Glaubensweitergabe[22] dazu anleitet, das Wort Gottes zu lesen und zu betrachten, und dabei klare und verständliche Formen der Kommunikation verwendet, die von Jesus dem Herrn entsprechend dem immer neuen Zeugnis des Kerygmas berichten[23].
22. Die Feier der heiligen Eucharistie ist «Quelle und Höhepunkt des ganzen christlichen Lebens»[24] und daher das wesentliche Geschehen, durch das die Pfarrgemeinde entsteht. In ihr wird sich die Kirche der Bedeutung ihres Namens bewusst: Versammlung des Volkes Gottes, das lobt, bittet, Fürsprache hält und dankt. In der Feier der heiligen Eucharistie öffnet sich die christliche Gemeinde der lebendigen Gegenwart des gekreuzigten und auferstandenen Herrn und hat Anteil an der Verkündigung des ganzen Heilsmysteriums.
23. In diesem Zusammenhang wird die Kirche sich der Notwendigkeit bewusst, die christliche Initiation wieder zu entdecken, die durch die Hineinnahme in das Geheimnis des göttlichen Seins neues Leben zeugt. Sie ist ein Weg ohne Unterbrechung und nicht nur an Zelebrationen oder Ereignisse gebunden, weil es in erster Linie nicht darum geht, einen „Ritus des Übergangs“ zu vollziehen, sondern vielmehr um die Perspektive der beständigen Nachfolge Christi. Hier kann es nützlich sein, mystagogische Rituale, die das Leben direkt berühren[25], einzuführen. Auch die Katechese muss sich als fortdauernde Verkündigung des Geheimnisses Christi erweisen, um die Gestalt Christi durch eine Begegnung mit dem Herrn des Lebens im Herzen des Getauften wachsen zu lassen (vgl. Eph 4,13).
Papst Franziskus hat daran erinnert, dass es notwendig ist, «die Aufmerksamkeit auf zwei Verfälschungen der Heiligkeit lenken, die uns vom Weg abbringen könnten: der Gnostizismus und der Pelagianismus. Es handelt sich um zwei Häresien, die in den ersten christlichen Jahrhunderten entstanden, weiterhin aber besorgniserregend aktuell sind»[26]. Im Falle des Gnostizismus geht es um einen abstrakten Glauben, der nur intellektuell ist und aus einem Wissen besteht, das das Leben wenig betrifft. Der Pelagianismus hingegen bringt den Menschen dazu, lediglich auf die eigene Kraft zu bauen und das Wirken des Heiligen Geistes zu ignorieren.
24. In der geheimnishaften Verflechtung des göttlichen und menschlichen Handelns geschieht die Verkündigung des Evangeliums durch Männer und Frauen, die das glaubwürdig machen, was sie durch ihr Leben in einem Netz zwischenmenschlicher Beziehungen, das Vertrauen und Hoffnung weckt, verkünden. In der gegenwärtigen Zeit, die oft von Gleichgültigkeit, von Egoismus und von fehlender Nächstenliebe geprägt ist, ist die Wiederentdeckung des Miteinanders grundlegend, weil die Evangelisierung eng an die Qualität der menschlichen Beziehungen gebunden ist[27]. Auf diese Weise macht sich die christliche Gemeinschaft das Wort Jesu zu eigen, das dazu anspornt „hinauszufahren“ (vgl. Lk 5,4), in dem Vertrauen, dass die Aufforderung des Meisters, die Netze auszuwerfen, „reichen Fischfang“ [28] garantiert.
25. Die „Kultur der Begegnung“ fördert den Dialog, die Solidarität und die Offenheit gegenüber allen, da sie die zentrale Bedeutung der Person deutlich werden lässt. Es ist daher notwendig, dass die Pfarrei ein „Ort“ ist, der das Beisammensein und das Wachstum persönlicher dauerhafter Beziehungen, die allen gestatten, den Sinn der Zugehörigkeit und der Wertschätzung wahrzunehmen, begünstigt.
26. Die Pfarrgemeinde ist dazu aufgerufen, eine echte und eigene „Kunst der Nähe“ zu entwickeln. Wenn die Pfarrei tiefe Wurzeln schlägt, wird sie wirklich der Ort, an dem die Einsamkeit, die das Leben so vieler Menschen kennzeichnet, überwunden wird, «ein Heiligtum, wo die Durstigen zum Trinken kommen, um ihren Weg fortzusetzen, und ein Zentrum ständiger missionarischer Aussendung»[29].
V. „Gemeinschaft von Gemeinschaften“: Die inklusive, missionarische und auf die Armen bedachte Pfarrei
27. Das Ziel der Mission und Evangelisierung der Kirche ist stets das Volk Gottes als Ganzes. Der Kodex des kanonischen Rechts hebt hervor, dass die Pfarrei kein Gebäude oder ein Bündel von Strukturen ist, sondern eine konkrete Gemeinschaft von Gläubigen, in der der Pfarrer der eigene Hirte ist[30]. Diesbezüglich hat Papst Franziskus daran erinnert, dass «die Pfarrei die Kirche territorial präsent macht, dass sie ein Ort des Hörens des Wortes Gottes, des Wachstums des christlichen Lebens, des Dialogs, der Verkündigung, der großherzigen Nächstenliebe, der Anbetung und der liturgischen Feier ist». Er fügte hinzu, dass sie eine «Gemeinschaft von Gemeinschaften»[31] ist.
28. Die verschiedenen Teile, in welche sich die Pfarrei gliedert, müssen eine Gemeinschaft und eine Einheit bilden. In dem Maß, in dem alle ihre Komplementarität annehmen und sie in den Dienst der Gemeinschaft stellen, kann man einerseits den Dienst des Pfarrers und der priesterlichen Mitarbeiter als Hirten voll verwirklicht sehen, andererseits scheint die Besonderheit der verschiedenartigen Charismen der Diakone, der Gottgeweihten und der Laien auf, weil alle sich für den Aufbau des einen Leibes einsetzen (vgl. 1 Kor 12,12).
29. Daher ist die Pfarrei eine Gemeinde, die vom Heiligen Geist zur Verkündigung des Wortes Gottes und zur Zeugung neuer Glieder durch die Taufe zusammengerufen wurde. Versammelt um ihren Hirten feiert sie das Gedächtnis des Leidens, des Todes und der Auferstehung des Herrn und bezeugt, ihrer beständigen Sendung entsprechend, den Glauben in der Liebe, damit die Botschaft vom Heil, die Leben spendet, niemandem fehlt.
Papst Franziskus hat sich diesbezüglich folgendermaßen geäußert: «Die Pfarrei ist keine hinfällige Struktur; gerade weil sie eine große Formbarkeit besitzt, kann sie ganz verschiedene Gestalten annehmen, die die Beweglichkeit und missionarische Kreativität des Pfarrers und der Gemeinde erfordern. Obwohl sie sicherlich nicht die einzige missionarische Einrichtung ist, wird sie, wenn sie fähig ist, sich ständig zu erneuern und anzupassen, weiterhin „die Kirche [sein], die inmitten der Häuser ihrer Söhne und Töchter lebt“. Das setzt voraus, dass sie wirklich Kontakt zu den Familien und zum Leben des Volkes hat und nicht eine weitschweifige, von den Menschen getrennte Struktur oder eine Gruppe von Auserwählten wird, die auf sich selbst schaut. […] Wir müssen jedoch zugeben, dass der Aufruf zur Überprüfung und zur Erneuerung der Pfarreien noch nicht genügend gefruchtet hat, damit sie noch näher bei den Menschen und Bereiche lebendiger Gemeinschaft und Teilnahme sind und sich völlig auf die Mission ausrichten»[32].
30. Der „geistliche und kirchliche Stil der Wallfahrtsorte“ – die wahre und echte „missionarische Vorposten“ sind – geprägt von der Gastfreundschaft, vom einem Leben aus dem Gebet, von der Stille, die den Geist erneuert, von der Feier des Bußsakramentes und von der Zuwendung zu den Armen, darf der Pfarrei nicht fremd ein. Die Wallfahrten, die die Pfarrgemeinden zu den verschiedenen Heiligtümern unternehmen, sind wertvolle Instrumente für die Förderung der geschwisterlichen Gemeinschaft und zur möglichst offenen und gastfreundlichen Gestaltung des eigenen Zuhause nach der Heimkehr[33].
31. In dieser Hinsicht besteht die Absicht, dass ein Heiligtum alle Merkmale und Dienste aufweisen soll, die in vergleichbarer Weise auch eine Pfarrei haben muss, da es für viele Gläubige das ersehnte Ziel ihrer inneren Suche und der Ort ist, an dem sie dem barmherzigen Antlitz Christi und einer gastfreundlichen Kirche begegnen.
In den Heiligtümern können sie «die Salbung, von dem der heilig ist» (1 Joh 2,20), d. h. ihre Heiligung durch die Taufe, wiederentdecken. An diesen Orten lernt man das Geheimnis der Gegenwart Gottes inmitten seines Volkes, die Schönheit der missionarischen Sendung aller Getauften, den Aufruf, die karitative Liebe Zuhause zu leben, mit Inbrunst in der Liturgie zu feiern[34].
32. Als „Heiligtum“, das allen offensteht, erinnert die Pfarrei, die alle ohne Ausnahme erreichen muss, daran, dass die Armen und die Ausgeschlossenen im Herzen der Kirche immer einen bevorzugten Platz haben müssen. Wie Benedikt XVI. sagte: «Die Armen sind die privilegierten Adressaten der Frohen Botschaft»[35]. Papst Franziskus hat geschrieben, dass «die neue Evangelisierung eine Einladung ist, die heilbringende Kraft ihrer Existenz zu erkennen und sie in den Mittelpunkt des Weges der Kirche zu stellen. Wir sind aufgerufen, Christus in ihnen zu entdecken, uns zu Wortführern ihrer Interessen zu machen, aber auch ihre Freunde zu sein, sie anzuhören, sie zu verstehen und die geheimnisvolle Weisheit anzunehmen, die Gott uns durch sie mitteilen will»[36].
33. Die Pfarrgemeinde ist sehr oft der erste Ort der menschlichen und persönlichen Begegnung der Armen mit dem Antlitz der Kirche. In besonderer Weise werden es die Priester, die Diakone und die Gottgeweihten sein, die Mitleid haben mit den „Wunden“[37] der Menschen, die sie besuchen, wenn sie krank sind, die Menschen und Familien ohne Arbeit unterstützen, die die Tür für Bedürftige öffnen. Den Geringsten aufmerksam zugewendet verkündet die Pfarrgemeinde das Evangelium und lässt sich von den Armen evangelisieren, um auf diese Weise die soziale Verpflichtung der Botschaft in allen ihren verschiedenen Bereichen neu zu entdecken[38], ohne die „oberste Regel“ der Liebe, auf deren Grundlage wir gerichtet werden, zu vergessen[39].
VI. Von der Umkehr der Personen zur Umkehr der Strukturen
34. In diesem Prozess der Erneuerung und der Neuordnung muss die Pfarrei die Gefahr vermeiden, einer exzessiven Bürokratie und Servicementalität zu verfallen, die nicht die Dynamik der Evangelisierung, sondern das Kriterium des Selbsterhalts aufweisen[40].
Auf den heiligen Paul VI. verweisend, hat Papst Franziskus in seiner bekannten Offenheit darauf hingewiesen, dass «die Kirche ihr Bewusstsein vertiefen und über ihr Geheimnis nachsinnen muss. […] Es gibt kirchliche Strukturen, die eine Dynamik der Evangelisierung beeinträchtigen können. In gleicher Weise können die guten Strukturen nützlich sein, wenn ein Leben da ist, das sie beseelt, sie unterstützt und sie beurteilt. Ohne neues Leben und echten, vom Evangelium inspirierten Geist, ohne „Treue der Kirche zu ihrer Berufung“ wird jegliche neue Struktur in kurzer Zeit verderben»[41].
35. Die Reform der Strukturen, die die Pfarrei anstreben muss, bedarf zunächst einer Mentalitätsänderung und einer inneren Erneuerung, vor allem derer, die in die Verantwortung der pastoralen Leitung berufen worden sind. Um dem Auftrag Christi treu zu sein, müssen die Hirten und in besonderer Weise die Pfarrer, «die in vorzüglicher Weise Mitarbeiter des Bischofs sind»[42], dringlich die Notwendigkeit einer missionarischen Reform der Pastoral erkennen.
36. Die christliche Gemeinschaft ist von geschichtlichen und menschlichen Erfahrungen sehr geprägt. Die Hirten müssen daher berücksichtigen, dass der Glaube des Volkes Gottes mit Erinnerungen an familiäre und gemeinschaftliche Erlebnisse verbunden ist. Heilige Orte erinnern sehr oft an bedeutende persönliche und familiäre Ereignisse vergangener Generationen. Um Traumata und Verletzungen zu vermeiden, erscheint es bedeutsam, die Neuorganisation von Pfarrgemeinden und manchmal auch der Diözesen flexibel und behutsam durchzuführen.
Papst Franziskus hat in Bezug auf die Reform der Römischen Kurie hervorgehoben, dass das schrittweise Vorangehen «die Frucht der unentbehrlichen Unterscheidung ist. Diese schließt einen geschichtlichen Prozess, ein Abwägen von Zeiten und Etappen, Überprüfung, Korrekturen, Versuchsphasen und die Approbation „ad experimentum“ ein. Es handelt sich also in diesen Fällen nicht um Unentschiedenheit, sondern um die Flexibilität, die notwendig ist, um eine wirkliche Reform zu erreichen»[43]. Man darf nichts „überstürzen“ und Reformen nicht zu eilig und mit „am grünen Tisch“ erarbeiteten allgemeinen Kriterien durchführen wollen und dabei die konkreten Bewohner eines Gebietes vergessen. Jedes Projekt muss die konkreten Umstände einer Gemeinde berücksichtigen und ohne Traumata mit einer vorausgehenden Phase der Beratung, einer Phase der schrittweisen Verwirklichung und der Überprüfung durchgeführt werden.
37. Die Erneuerung betrifft selbstverständlich nicht nur den Pfarrer und es kann auch nicht von oben herab das Volk Gottes ausgeschlossen werden. Die pastorale Erneuerung der Strukturen schließt das Bewusstsein ein, dass «das heilige, gläubige Volk Gottes mit der Gnade des Heiligen Geistes gesalbt ist. Daher müssen wir in der Phase der Reflexion und Abwägung dieser Salbung gerecht werden. Wenn wir als Kirche, als Hirten, als Gottgeweihte dies vergessen haben, laufen wir in die Irre. Wenn wir das Volk Gottes als Ganzes und in seinen Unterschieden verdrängen, zum Schweigen bringen, zerstören, ignorieren oder auf eine kleine Elite beschränken wollen, setzen wir Gemeinschaften, pastorale Pläne, theologische und spirituelle Akzente und Strukturen ohne Wurzeln, ohne Geschichte, ohne Gesicht, ohne Gedächtnis, ohne Leib, ja ohne Leben in die Welt. Wenn wir uns vom Leben des Volkes Gottes entfernen, werden wir trostlos und verkehren wir das Wesen der Kirche»[44].
In diesem Sinn bewirkt der Klerus nicht allein die vom Heiligen Geist angeregte Veränderung. Er ist vielmehr involviert in die Umkehr, die das ganze Volk Gottes betrifft[45]. Daher muss man «bewusst und erleuchtet Räume der Gemeinschaft und der Teilnahme suchen, damit die Salbung des ganzen Volkes Gottes ihre konkrete Vermittlung findet, um sich zu manifestieren»[46].
38. Folglich liegt es auf der Hand, wie notwendig es ist, sowohl eine Konzeption der Pfarrei, die auf sich selbstbezogen ist, als auch eine „Klerikalisierung der Pastoral“ zu überwinden. Die Tatsache ernst zu nehmen, dass dem Volk Gottes «die Würde und die Freiheit der Kinder Gottes eignet, in deren Herzen der Heilige Geist wie in einem Tempel wohnt»[47], drängt dazu, Vorgehensweisen und Modelle zu fördern, durch die alle Getauften kraft der Gabe des Heiligen Geistes und der empfangenen Charismen sich aktiv, dem Stil und der Weise einer organischen Gemeinschaft entsprechend, in die Evangelisierung mit den anderen Pfarrgemeinden unter Berücksichtigung der Pastoral der Diözese einbringen. Da die Kirche nicht nur Hierarchie, sondern Volk Gottes ist, ist die gesamte Gemeinschaft für ihre Sendung verantwortlich.
39. Es wird die Aufgabe der Hirten sein, diese Dynamik zu erhalten, damit alle Getauften entdecken, dass sie aktive Protagonisten der Evangelisierung sind. Das Presbyterium, das sich stets fortbildet[48], wird die Kunst der Unterscheidung klug zum Tragen bringen. Sie ermöglicht es der Pfarrei, in Anerkennung unterschiedlicher Berufungen und Dienste zu wachsen und zu reifen. Der Priester kann somit als Glied und Diener des Volkes Gottes, das ihm anvertraut ist, nicht an seine Stelle treten. Die Pfarrgemeinde ist befähigt, Formen des Dienstes, der Verkündigung des Glaubens und des Zeugnisses der karitativen Liebe vorzuschlagen.
40. Die zentrale Stellung des Heiligen Geistes – unverdiente Gabe des Vaters und des Sohnes für die Kirche – bringt es mit sich, gemäß der Weisung Jesu zutiefst uneigennützig zu sein: «Umsonst habt ihr empfangen, umsonst sollt ihr geben» (Mt 10,8). Er hat seinen Jüngern gelehrt, großzügig zu dienen, eine Gabe für die anderen zu sein (vgl. Joh 13,14-15) mit besonderer Aufmerksamkeit gegenüber den Armen. Von daher erschließt sich unter anderem die Notwendigkeit, das sakramentale Leben nicht „zu verschachern“ und nicht den Eindruck zu erwecken, dass die Feier der Sakramente – vor allem der heiligen Eucharistie – und die anderen Dienste von Preislisten abhängen.
Der Hirte, der der Herde, ohne auf seinen Vorteil bedacht zu sein, dient, ist andererseits gehalten, die Gläubigen zu bilden. Alle Glieder der Gemeinschaft sollen sich ihrer Verantwortung bewusst sein und durch verschiedene Formen der Hilfe und Solidarität, die die Pfarrei für die freie und wirksame Ausübung ihres pastoralen Dienstes braucht, den Bedürfnissen der Kirche entgegenkommen.
41. Die Sendung, die die Pfarrei als pulsierendes Zentrum der Evangelisierung hat, betrifft daher das ganze Volk Gottes in seinen verschiedenen Teilen: die Priester, die Diakone, die Gottgeweihten, die Gläubigen, alle gemäß ihren Charismen und der entsprechenden Verantwortung.
VII. Die Pfarrei und die anderen Untergliederungen innerhalb der Diözese
42. Die pastorale Umkehr der Pfarrgemeinde im missionarischen Sinn erfolgt daher in einem schrittweisen Prozess der Erneuerung der Strukturen und folglich in verschiedenen Weisen der Übertragung der Hirtensorge und der Beteiligung an ihrer Ausübung, die alle Glieder des Volkes Gottes einschließen.
43. In Bezug auf die interne Untergliederung des Diözesangebietes[49] sind seit einigen Jahrzehnten in der von den Dokumenten des Lehramtes rezipierten Umgangssprache zur Pfarrei und zu den Dekanaten, die der Kodex des kanonischen Rechtes bereits vorsieht[50], Begriffe wie „pastorale Einheit“ und „pastorale Zone“ hinzugekommen. Diese Bezeichnungen definieren Formen der pastoralen Organisation der Diözese, die eine neue Beziehung zwischen den Gläubigen und dem Gebiet umschreiben.
44. Beim Thema „pastorale Einheit“ oder „Zone“, geht sicher niemand davon aus, dass die Lösung der vielfältigen gegenwärtigen Probleme, darin liegt, bereits vorhandene Gegebenheiten neu zu bezeichnen. Um ein schlichtes Ertragen von Veränderungen zu vermeiden und in dem Bemühen, sie vielmehr zu fördern und zu steuern, geht es im Kern dieses Erneuerungsprozesses um die Notwendigkeit, Strukturen zu finden, die geeignet sind, in allen Teilen der christlichen Gemeinschaft die gemeinsame Berufung zur Verkündigung der Frohen Botschaft im Hinblick auf eine wirksamere Hirtensorge für das Volk Gottes, dessen „zentrales Element“ nur die Erreichbarkeit und Nähe sein können, anzufachen.
45. Diesbezüglich hebt das kanonische Recht die Notwendigkeit hervor, die Diözese in verschiedene Teile zu untergliedern[51], mit der Möglichkeit, dass diese nach und nach als Zwischenstrukturen zwischen der Diözese und der einzelnen Pfarrei zusammengeschlossen werden. Daher kann es unter Berücksichtigung der Dimensionen der Diözese und ihrer konkreten pastoralen Gegebenheiten verschiedene Arten von Pfarreizusammenschlüssen geben[52].
In diesen Zusammenschlüssen wirkt und lebt die Kirche als Gemeinschaft mit einer besonderen Ausrichtung auf das konkrete Territorium. Um die Nachbarschaft der Pfarrer und der anderen pastoralen Mitarbeiter zu erleichtern, ist bei ihrer Errichtung möglichst auf eine homogene Bevölkerung und auf ähnliche Gewohnheiten, sowie auf gemeinsame charakteristische Merkmale des Gebietes zu achten[53].
VII.a. Das Vorgehen bei der Errichtung von Pfarreizusammenschlüssen
46. Vor der Errichtung eines Pfarreizusammenschlusses muss der Bischof gemäß dem kanonischen Recht und im Sinne gebotener kirchlicher Mitverantwortung, an der er und die Mitglieder des Priesterrates in rechtlich verschiedener Weise teilhaben, vor allem diesen diesbezüglich hören[54].
47. Die Zusammenschlüsse von mehreren Pfarreien können zunächst in einfacher föderativer Art erfolgen. Auf diese Weise bewahren die zusammengeschlossenen Pfarreien ihre unterschiedliche Identität.
Gemäß der kanonischen Ordnung ist bei der Errichtung aller Arten von Zusammenschlüssen benachbarter Pfarreien darüber hinaus klar, dass die vom universalkirchlichen Recht für die juristische Person der Pfarrei statuierten wesentlichen Elemente, von denen der Bischof nicht dispensieren kann[55], beachtet werden müssen. Er muss daher für jede Pfarrei, die er aufheben möchte, ein spezifisches mit entsprechenden Begründungen versehenes Dekret erlassen[56].
48. Im Lichte des oben Gesagten muss daher der Zusammenschluss, die Errichtung und die Aufhebung von Pfarreien durch den Diözesanbischof gemäß den im kanonischen Recht vorgesehenen Normen durchgeführt werden, d. h. durch Inkorporation, durch die eine Pfarrei in einer anderen aufgeht, da sie von ihr absorbiert wird und ihre ursprüngliche Besonderheit und Rechtspersönlichkeit verliert; oder auch durch eine echte Fusion, durch die eine neue Pfarrei entsteht mit der Konsequenz, dass die vorher existierenden Pfarreien samt Rechtpersönlichkeit aufgehoben werden; oder schließlich durch eine Teilung einer Pfarrgemeinde in mehrere selbständige Pfarreien, die neu entstehen[57].
Darüber hinaus ist die Aufhebung von Pfarreien durch eine Zusammenlegung mit aufhebender Wirkung legitim, wenn Gründe vorliegen, die eine bestimmte Pfarrei direkt betreffen. Hingegen sind beispielsweise keine angemessenen Gründe der bloße Mangel an Klerikern in einer Diözese, deren allgemeine finanzielle Situation oder andere Bedingungen der Gemeinde, die voraussichtlich kurzfristig verändert werden können (z. B. die Zahl der Gläubigen, die fehlende finanzielle Unabhängigkeit, städtebauliche Veränderungen des Gebietes). Damit Maßnahmen dieser Art rechtmäßig sind, müssen die Gründe, auf die man sich bezieht, mit der betroffenen Pfarrei in direkter und organischer Weise in Verbindung stehen. Sie dürfen nicht auf Überlegungen allgemeiner, theoretischer und „prinzipieller“ Art beruhen.
49. Bezüglich der Errichtung und der Aufhebung von Pfarreien ist daran zu erinnern, dass jede Entscheidung durch ein formales schriftlich ausgefertigtes Dekret getroffen werden muss[58]. Folglich entspricht eine singuläre Maßnahme, die auf der Basis eines einzigen Rechtsaktes, allgemeinen Dekretes oder diözesanen Gesetzes auf eine Neuordnung allgemeiner Art hinsichtlich der ganzen Diözese, eines ihrer Teile oder mehrerer Pfarreien abzielt, nicht dem kanonischen Recht.
50. Wenn es um die Aufhebung von Pfarreien geht, muss das Dekret insbesondere in klarer Weise unter Bezugnahme auf die konkrete Situation angeben, welche Gründe vorliegen, die den Bischof dazu veranlasst haben, die Entscheidung zu fällen. Sie müssen daher detailliert angegeben werden. Ein allgemeiner Verweis auf das „Heil der Seelen“ ist nicht ausreichend.
Mit dem Rechtsakt über die Aufhebung einer Pfarrei muss der Bischof schließlich auch die Übertragung ihrer Güter gemäß den kanonischen Normen vorsehen[59]. Wenn nicht schwerwiegende gegenteilige Gründe vorliegen und der Priesterrat gehört worden ist[60], muss die Kirche der aufgehobenen Pfarrei weiterhin für die Gläubigen zugänglich sein.
51. Im Zusammenhang mit dem Thema des Zusammenschlusses von Pfarreien und ihrer eventuellen Aufhebung besteht bisweilen die Notwendigkeit, Kirchen zu profanieren[61]. Diese Entscheidung kommt nach der verpflichtenden Anhörung des Priesterrates dem Diözesanbischof zu[62].
Auch in diesem Fall sind für die Entscheidung über die Profanierung der diözesane Klerikermangel, die Abnahme der Bevölkerung und die schwerwiegende finanzielle Krise der Diözese keine legitimen Gründe. Wenn das Gebäude sich hingegen in einem für die Feier der Liturgie unbrauchbaren irreparablen Zustand befindet, ist es möglich, es gemäß dem kanonischen Recht zu profanieren.
VII.b. Das Dekanat
52. Es ist vor allem daran zu erinnern, dass «um die Seelsorge durch gemeinsames Handeln zu fördern, mehrere benachbarte Pfarreien zu besonderen Zusammenschlüssen, z. B. zu Dekanaten, vereinigt werden können»[63]. Je nach Ort und Gegend werden sie als „Dekanate“, „Archipresbyterate“, als „Seelsorgezonen“ oder „Präfekturen“ bezeichnet[64].
53. Der Dekan muss nicht notwendigerweise ein Pfarrer einer bestimmten Pfarrei sein[65]. Damit das Dekanat seiner Bestimmung gerecht werden kann und nicht nur eine lediglich formale Einrichtung ist, hat der Dekan außer anderen Befugnissen die vorrangige Pflicht, «die gemeinsame pastorale Tätigkeit im Dekanat zu fördern und zu koordinieren»[66]. Darüber hinaus ist er «verpflichtet, gemäß der vom Diözesanbischof getroffenen Bestimmung die Pfarreien seines Bezirkes zu visitieren»[67]. Um seine Aufgabe besser erfüllen zu können und um noch mehr die gemeinsamen Aktivitäten zwischen den Pfarreien zu fördern, kann der Bischof dem Dekan weitere Befugnisse übertragen, die im konkreten Zusammenhang als angemessen betrachtet werden.
VII.c. Die pastorale Einheit
54. Wenn es die Umstände wegen der Größe des Dekanats oder der hohen Anzahl der Gläubigen erfordern, und es deshalb notwendig ist, die organische Zusammenarbeit unter benachbarten Pfarreien zu unterstützen, kann der Bischof ausgehend von ähnlichen Zweckbestimmungen und nach Anhörung des Priesterrates[68] auch den beständigen institutionellen Zusammenschluss mehrerer Pfarreien innerhalb des Dekanats[69] unter Berücksichtigung einiger konkreter Kriterien beschließen.
55. Vor allem wird darauf zu achten sein, dass die Zusammenschlüsse („pastorale Einheiten“[70] genannt) auch vom soziologischen Blickwinkel aus in möglichst homogener Weise definiert werden, damit eine wirkliche Gesamtpastoral[71] in missionarischer Hinsicht verwirklicht werden kann.
56. Darüber hinaus muss jede Pfarrei dieses Zusammenschlusses einem Pfarrer oder auch einer Gruppe von Priestern solidarisch anvertraut werden, die sich um alle Pfarrgemeinden kümmern[72]. Sofern es der Bischof für angemessen hält, kann der Zusammenschluss alternativ auch aus mehreren Pfarreien zusammengesetzt und ein und demselben Pfarrer anvertraut sein[73].
57. In Anbetracht der den Priestern geschuldeten Aufmerksamkeit, die nicht selten den Dienst verdienstvoll und mit Anerkennung vonseiten der Gemeinden verrichtet haben, und wegen des Wohls der Gläubigen, die ihre Hirten schätzen und ihnen dankbar sind, soll der Diözesanbischof bei der Errichtung eines bestimmten Zusammenschlusses auf keinem Fall mit dem gleichen Dekret beschließen, dass in mehreren vereinten und nur einem Pfarrer anvertrauten Pfarreien[74] eventuell andere vorhandene Pfarrer, die noch im Amt sind[75], automatisch zum Pfarrvikar ernannt oder faktisch ihres Amtes enthoben werden.
58. Außer im Falle einer solidarischen Amtsübertragung kommt es dem Diözesanbischof hierbei von Fall zu Fall zu, die Funktionen des moderierenden Priesters dieser Zusammenschlüsse von Pfarreien und das Dienstverhältnis zum Dekan des Dekanats[76], in dem sich die pastorale Einheit befindet, festzulegen.
59. Wenn der Zusammenschluss von Pfarreien – Dekanat oder „pastorale Einheit“ – gemäß dem Recht errichtet ist, wird der Bischof nach Lage der Dinge festlegen, ob in diesem alle Pfarreien einen Pastoralrat haben müssen[77] oder ob es besser ist, dass diese Aufgabe einem Pastroalrat für alle betroffenen Gemeinden anvertraut wird. Auf alle Fälle müssen die einzelnen Pfarreien des Zusammenschlusses, da sie ihre Rechtspersönlichkeit und -fähigkeit behalten, ihren Vermögensverwaltungsrat beibehalten[78].
60. Um das gemeinsame missionarische Handeln und die Seelsorge effektiver zur Geltung zu bringen, erscheint es angemessen, dass sich gemeinsame pastorale Dienste für bestimmte Bereiche (z. B. für die Katechese, die Caritas, die Jugend- oder Familienpastoral) für die Pfarreien des Zusammenschlusses mit der Teilnahme aller, die zum Volk Gottes gehören, d. h. der Kleriker, der Gottgeweihten, der Mitglieder des apostolischen Lebens und der Gläubigen, bilden.
VII.d. Die pastorale Zone
61. Mehrere „pastorale Einheiten“ können ein Dekanat bilden. In gleicher Weise können vor allem in flächenmäßig großen Diözesen mehrere Dekanate vom Bischof nach Anhörung des Priesterrates[79] zu „Bezirken“ oder „pastoralen Zonen“[80] vereint werden. Sie werden von einem Bischofsvikar[81] geleitet, der über die Spezialvollmachten hinaus, die der Diözesanbischof ihm von Fall zu Fall geben will, über ordentliche ausführende Gewalt für die pastorale Verwaltung der Zone im Namen des Diözesanbischofs und unter seiner Autorität und in Gemeinschaft mit ihm verfügt.
VIII. Ordentliche und außerordentliche Formen der Übertragung der Hirtensorge für die Pfarrgemeinde
62. Wegen ihres Hirtendienstes sind der Pfarrer und die anderen Priester zusammen mit dem Bischof an erster Stelle der grundlegende Bezugspunkt für die Pfarrgemeinde[82]. Der Pfarrer und die Priester pflegen den Austausch und die priesterliche Brüderlichkeit und feiern die Sakramente für die Gemeinde und zusammen mit ihr. Ihre Aufgabe besteht darin, die Pfarrei so zu leiten, dass sie ein überzeugendes Zeichen christlicher Gemeinschaft ist[83].
63. In Bezug auf die Mitarbeit und die Sendung der Priester in der Pfarrgemeinde verdient das gemeinsame Leben besonderer Erwähnung[84]. Can. 280 empfiehlt es, obwohl es sich nicht um eine Verpflichtung für den Diözesanklerus handelt. Diesbezüglich ist an den grundlegenden Wert des Gemeinschaftssinnes, des gemeinsamen Gebets und pastoralen Handelns der Kleriker[85] im Hinblick auf ein echtes Zeugnis der sakramentalen Brüderlichkeit[86] und eines wirksameren missionarischen Handelns zu erinnern.
64. Wenn das Presbyterium die Gemeinschaft pflegt, wird die priesterliche Identität gestärkt, die materiellen Sorgen verringern sich und die Versuchung zum Individualismus weicht der Förderung der persönlichen Beziehung. Das gemeinsame Gebet, das gemeinsame Nachdenken und Studium, die im priesterlichen Leben nie fehlen dürfen, können in der Bildung einer priesterlichen Spiritualität, die im Alltag verwurzelt ist, eine große Hilfe sein.
Auf alle Fälle wird es angemessen sein, dass der Bischof gemäß seinem Urteil und im Rahmen des Möglichen die menschliche und geistliche Nähe unter den Priester, denen er eine Pfarrei oder einen Zusammenschluss von Pfarreien anvertrauen will, berücksichtigt und sie zu einer großzügigen Offenheit für die neue pastorale Sendung und für Formen des gemeinsamen Lebens mit den Mitbrüdern einlädt[87].
65. In einigen Fällen, vor allem dort, wo es kein Pfarrhaus gibt oder wo dieses aus verschiedenen Gründen nicht als Wohnung für den Priester zur Verfügung steht, kann es sein, dass dieser in die Herkunftsfamilie zurückkehrt, die der ursprüngliche Ort der menschlichen Formung und der Berufungserfahrung ist[88].
Diese Unterbringung erweist sich einerseits als positiver Beitrag für das alltägliche Leben des Priesters, da ihm eine ruhige und beständige häusliche Umgebung gewährleistet wird, vor allem wenn die Eltern noch leben. Andererseits soll vermieden werden, dass die familiären Beziehungen den Priester innerlich abhängig machen und zeitlich einschränken oder dass sie eine ausschließende – anstatt ergänzende – Alternative zur Beziehung mit dem Presbyterium und der Gemeinschaft der Gläubigen sind.
VIII.a. Der Pfarrer
66. Das Amt des Pfarrers dient der umfassenden Seelsorge[89]. Daher muss ein Gläubiger die Priesterweihe[90] empfangen haben, damit er gültig zum Pfarrer ernannt werden kann. Wer sie nicht hat, kann, auch nicht im Falle des Priestermangels, weder den Titel noch die entsprechenden Funktionen erhalten. Da der Hirte und die Gemeinde sich kennen und einander nahe sein müssen, kann das Amt des Pfarrers auch nicht einer juristischen Person anvertraut werden[91]. Ausgehend von den Bestimmungen des can 517 §§ 1-2, ist besonders darauf hinzuweisen, dass das Amt des Pfarrers nicht einer aus Klerikern und Laien bestehenden Gruppe übertragen werden kann. Daher sind Bezeichnungen wie „Leitungsteam“, „Leitungsequipe“ oder ähnliche Benennungen, die eine kollegiale Leitung der Pfarrei zum Ausdruck bringen könnten, zu vermeiden.
67. Da der Pfarrer der «eigene Hirte der ihm übertragenen Pfarrei» [92] ist, vertritt er von Rechts wegen die Pfarrei bei allen Rechtsgeschäften[93]. Er ist der verantwortliche Verwalter des pfarrlichen Vermögens, das als „kirchliches Vermögen“ den entsprechenden kanonischen Normen unterliegt[94].
68. Gemäß dem Zweiten Vatikanischen Konzil «müssen die Pfarrer in der Pfarrei jene Beständigkeit im Amt besitzen, die das Heil der Seelen erfordert»[95]. Generell gilt daher, dass der Pfarrer «auf unbegrenzte Zeit zu ernennen»[96] ist.
Dennoch kann der Diözesanbischof Pfarrer für eine bestimmte Zeit ernennen, wenn dies durch Dekret der Bischofskonferenz beschlossen worden ist. Da der Pfarrer eine echte und wirksame Beziehung zu der ihm anvertrauten Gemeinde aufbauen muss, sollen die Bischofskonferenzen für die Ernennung auf bestimmte Zeit keine zu kurze Dauer, d. h. nicht unter fünf Jahren, festlegen.
69. Auf jeden Fall müssen die Pfarrer, auch wenn sie auf „unbestimmte Zeit“ ernannt worden sind, oder vor dem Ende der „festgelegten Zeit“ für eine eventuelle Versetzung in eine andere Pfarrei oder auf ein anderes Amt bereit sein «wenn das Heil der Seelen oder die Notwendigkeit oder der Nutzen der Kirche es erfordern»[97]. Es ist daran zu erinnern, dass der Pfarrer der Pfarrei dient und nicht umgekehrt sie ihm.
70. Im Allgemeinen ist es, sofern möglich, gut, wenn der Pfarrer die pfarrliche Sorge für eine Pfarrei hat. «Wegen Priestermangels oder anderer Umstände kann aber die Sorge für mehrere benachbarte Pfarreien demselben Pfarrer anvertraut werden»[98]. „Andere Umstände“ sind beispielsweise die Geringfügigkeit des Territoriums oder der Bevölkerung, sowie auch die Nähe der betroffenen Pfarreien. Wenn demselben Pfarrer mehrere Pfarreien übertragen werden, soll der Bischof sorgsam sicherstellen, dass dieser in voller und konkreter Weise als echter Hirte das Pfarramt aller ihm anvertrauten Pfarreien ausüben kann[99].
71. Wenn er ernannt worden ist, bleibt der Pfarrer mit allen Rechten und mit der gesamten Verantwortung im vollen Besitz der ihm anvertrauten Funktionen bis er sein pastorales Amt rechtmäßig beendet hat[100]. Hinsichtlich seiner Amtsenthebung oder Versetzung vor dem Ende des Mandats müssen die entsprechenden kanonischen Verfahren beachtet werden, derer sich die Kirche bedient, um zu entscheiden, was im konkreten Fall angemessen ist[101].
72. Auch wenn keine anderen Gründe für die Beendigung vorliegen, soll der Pfarrer, der 75 Jahre alt geworden ist, die Einladung des Diözesanbischofs, auf die Pfarrei zu verzichten, annehmen[102], wenn es das Wohl der Gläubigen erfordert. Der Amtsverzicht im Alter von 75 Jahren[103] ist als moralische, wenn nicht gar als kanonische Pflicht zu betrachten. Sie bedeutet aber nicht, dass der Pfarrer automatisch sein Amt verliert. Das Amt endet nur, wenn der Diözesanbischof dem betroffenen Pfarrer schriftlich die Annahme des Amtsverzichts mitgeteilt hat[104]. Andererseits soll der Bischof den Amtsverzicht eines Pfarrers wohlwollend in Erwägung ziehen, auch wenn er lediglich wegen der Vollendung des 75. Lebensjahres eingereicht worden ist.
73. Um eine funktionalistische Auffassung des Dienstes zu vermeiden, wird der Diözesanbischof auf jeden Fall klug alle Umstände der Person und des Ortes, wie beispielsweise das Vorliegen gesundheitlicher oder disziplinärer Gründe, den Mangel an Priestern, das Wohl der Pfarrgemeinde und andere Gesichtspunkte dieser Art, in Erwägung ziehen und den Verzicht bei Vorliegen eines gerechten und angemessenen Grundes annehmen[105].
74. Wenn es die persönliche Situation des Priesters erlaubt und es pastoral angemessen und ratsam ist, soll der Bischof andererseits die Möglichkeit in Betracht ziehen, ihn im Amt des Pfarrers zu belassen, und ihm vielleicht eine Hilfe zur Seite stellen und die Nachfolge vorbereiten. Darüber hinaus «kann der Bischof entsprechend der Sachlage einem Pfarrer, der auf sein Amt verzichtet hat, eine kleinere Pfarrei anvertrauen»[106] oder ihm eine andere pastorale Aufgabe, die seinen konkreten Möglichkeiten entspricht, übertragen. Falls es notwendig sein sollte, soll er ihm zu verstehen geben, dass er eine Versetzung dieser Art keinesfalls als „Degradierung“ oder „Bestrafung“ betrachten soll.
VIII.b. Der Pfarradministrator
75. Wenn es nicht möglich ist, sofort den Pfarrer zu ernennen, muss die Ernennung eines Pfarradministrators[107] in Übereinstimmung mit den kanonischen Normen erfolgen[108].
Es handelt sich um ein Amt, das naturgemäß nicht beständig ist und in Erwartung der Ernennung des neuen Pfarrers ausgeübt wird. Es ist daher illegitim, dass der Diözesanbischof einen Pfarradministrator ernennt, ihn länger als ein Jahr oder gar in beständiger Weise in dieser Position belässt und keinen Pfarrer ernennt.
Erfahrungsgemäß wird eine solche Lösung oft gewählt, um die rechtlichen Vorgaben über die Beständigkeit des Pfarrers im Amt zu umgehen. Diese Rechtsverletzung beschädigt die Sendung des betroffenen Priesters wie auch die der Gemeinde, die wegen der Unsicherheit der Präsenz des Hirten missionarische Vorhaben größeren Ausmaßes nicht planen kann und sich auf eine Pastoral der Bewahrung beschränken muss.
VIII.c. Solidarische Übertragung
76. Weiterhin «kann die Hirtensorge für eine oder für verschiedene Pfarreien zugleich mehreren Priestern solidarisch übertragen werden, wo die Umstände dies erfordern»[109]. Eine solche Lösung kann gewählt werden, wenn nach dem Ermessen des Bischofs die konkreten Umstände dies insbesondere wegen des Wohls der betroffenen Gemeinden oder wegen der Förderung des Gemeinschaftssinnes unter den Priestern durch ein gemeinsames wirksameres pastorales Handeln erfordern[110].
In diesen Fällen agiert die Gruppe der Priester zusammen mit den anderen Mitgliedern der betroffenen Pfarrgemeinden auf der Basis gemeinsamer Entscheidung. Der Moderator ist gegenüber den anderen Priestern, die Pfarrer in jeder Hinsicht sind, primus inter pares.
77. Es wird sehr empfohlen, dass jede Gemeinschaft von Priestern, der solidarisch die Seelsorge einer oder mehrerer Pfarreien anvertraut worden ist, eine interne Ordnung ausarbeitet, damit alle Priester besser ihre Aufgaben und Funktionen, die ihnen zukommen, erfüllen können[111].
Der Moderator leitet die gemeinsame Arbeit in der Pfarrei oder in den Pfarreien, die der Gruppe anvertraut sind. Er vertritt sie rechtlich[112], koordiniert die Ausübung der Befugnis zur Eheassistenz und die Gewährung der Dispensen, die den Pfarrern zukommen[113] und verantwortet vor dem Bischof alle Aktivitäten der Gruppe[114].
VIII.d. Der Pfarrvikar
78. Innerhalb der oben dargelegten Lösungen kann bereichernd die Möglichkeit hinzukommen, dass ein Priester zum Pfarrvikar ernannt und mit einem besonderen pastoralen Bereich beauftragt wird (Jugendliche, alte und kranke Menschen, Vereine, Bruderschaften, Erziehung, Katechese, etc.), um seinen Dienst entweder vollumfänglich oder einen bestimmten Teil davon „pfarreiübergreifend“ oder in einer der Pfarreien auszuüben[115].
Solle der Pfarrvikar für mehrere Pfarreien, in denen verschiedene Pfarrer zuständig sind, beauftragt worden sein, empfiehlt es sich, im Ernennungsdekret die Aufgaben, die ihm in Bezug auf jede einzelne Pfarrgemeinde, anvertraut worden sind, und ebenso das Dienstverhältnis mit den Pfarrern in Bezug auf den Wohnsitz, die Versorgung und die Feier der heiligen Messe genau zu umschreiben.
VIII.e. Die Diakone
79. Die Diakone sind geweihte Diener, die in einer Diözese oder in anderen kirchlichen Verbänden, die die Befugnis hierfür haben[116], inkardiniert sind. Sie sind Mitarbeiter des Bischofs und der Priester in der missionarischen Sendung mit der besonderen Aufgabe, kraft des empfangenen Sakramentes, «dem Volk Gottes in der Diakonie der Liturgie, des Wortes und der Liebe zu dienen»[117].
80. Um die Identität der Diakone zu bewahren und ihren Dienst zu fördern, hat Papst Franziskus von Anfang an vor einigen Gefahren hinsichtlich des Verständnisses des Wesens des Diakonats gewarnt: «Wir müssen jedoch achtgeben, die Diakone nicht als halbe Priester und halbe Laien zu betrachten. […] Und auch die Meinung, der Diakon sei eine Art Vermittler zwischen den Gläubigen und den Hirten, ist nicht in Ordnung. Weder auf halbem Wege zwischen den Priestern und den Laien, noch auf halbem Wege zwischen den Hirten und den Gläubigen. Und es gibt zwei Versuchungen. Es gibt die Gefahr des Klerikalismus: der Diakon, der zu klerikal ist. […] Und die andere Versuchung ist der Funktionalismus: Er ist eine Hilfe, die der Priester für dieses oder jenes hat»[118].
Im weiteren Verlauf der Ansprache hat der Heilige Vater die besondere Rolle der Diakone innerhalb der kirchlichen Gemeinschaft präzisiert: «Der Diakonat ist eine besondere Berufung, eine familiäre Berufung, die auf das Dienen verweist. […] Dieses Wort ist der Schlüssel, um euer Charisma zu verstehen. Das Dienen als eine der Gaben, die das Gottesvolk kennzeichnen. Der Diakon ist – sozusagen – der Hüter des Dienens in der Kirche. Jedes Wort muss gut bemessen sein. Ihr seid die Hüter des Dienens in der Kirche: des Dienstes am Wort, des Dienstes am Altar, des Dienstes an den Armen»[119].
81. Die Lehre über den Diakonat hat im Verlauf der Jahrhunderte eine bedeutende Entwicklung durchgemacht. Ihre Behandlung im Zweiten Vatikanischen Konzil führt zu einer lehrmäßigen Klärung und zu einer Erweiterung der amtlichen Funktionen. Das Konzil begnügt sich nicht damit, den Diakonat nur im karitativen Bereich zu „anzusiedeln“ oder ihn – gemäß den Bestimmungen des Konzils von Trient – lediglich auf die nicht ständigen Diakone und gleichsam nur auf den liturgischen Dienst zu begrenzen. Vielmehr hebt das Zweite Vatikanische Konzil hervor, dass es sich um einen Grad des Weihesakramentes handelt. Daher dienen die Diakone «mit sakramentaler Gnade gestärkt […] dem Volk Gottes in der „Diakonie“ der Liturgie, des Wortes und der Liebestätigkeit in Gemeinschaft mit dem Bischof und seinem Presbyterium»[120].
Die nachkonziliare Rezeption greift auf das zurück, was Lumen gentium festlegte und definiert das Amt des Diakons immer mehr als, wenn auch graduell verschiedene, Teilhabe am Weiheamt. In einer den Teilnehmern am Internationalen Kongress über den Diakonat gewährten Audienz unterstrich Paul VI., dass der Diakon den christlichen Gemeinden «sowohl in der Verkündigung des Wortes Gottes, als auch in der Spendung der Sakramente und in der Ausübung der Caritas»[121] diene. Obwohl gemäß der Apostelgeschichte (vgl. Apg 6, 1-6) die sieben ausgewählten Männer scheinbar nur für den Dienst an den Tischen bestimmt sind, berichtet andererseits das gleiche biblische Buch, wie Stephanus und Philippus sich voll und ganz der „Diakonie des Wortes“ widmen. Als Mitarbeiter der Zwölf und des Paulus üben sie jedenfalls ihren Dienst in zwei Bereichen aus: der Evangelisierung und der Caritas.
Es gibt viele kirchliche Dienste, die einem Diakon anvertraut werden können, d. h. all jene, die nicht die umfassende Seelsorge mit sich bringen[122]. Der Kodex des kanonischen Rechts legt fest, welche Ämter dem Priester vorbehalten sind und welche auch den Gläubigen anvertraut werden können. Hingegen fehlt der Hinweis auf spezifische Ämter, durch die die Eigenart des diakonalen Dienst ersichtlich würde.
82. Die Geschichte des Diakonats macht auf jeden Fall deutlich, dass dieses im Kontext einer Vision von Kirche, in der es Ämter gibt, und daher als sakramentales Dienstamt für die Verkündigung und die Caritas eingeführt worden ist. Der zuletzt genannte Bereich umfasst auch die Verwaltung der Güter. Später kommt diese zweifache Sendung des Diakons in der Liturgie zum Ausdruck, in der er dazu bestellt ist, das Evangelium zu verkünden und am Altar zu dienen. Gerade diese Bezüge könnten hilfreich sein, spezifische Aufgaben für den Diakon durch die Aufwertung der dieser Berufung charakteristischen Aspekte im Hinblick auf die Förderung des diakonalen Dienstes zu bestimmen.
VIII.f. Die Gottgeweihten
83. Innerhalb der Pfarrgemeinde leben nicht selten Menschen, die sich für das geweihte Leben entschieden haben. Dieses «ist nämlich dem Leben der Ortskirche nicht fremd oder davon unabhängig, sondern stellt eine besondere, durch die Radikalität des Evangeliums geprägte Weise dar, im Inneren der Ortskirche mit seinen spezifischen Gaben gegenwärtig zu sein»[123]. Darüber hinaus ist das in die Gemeinde zusammen mit den Klerikern und Laien integrierte geweihte Leben «in der charismatischen Dimension der Kirche angesiedelt. […] Die Spiritualität der Institute des geweihten Lebens kann für die Gläubigen wie auch für die Priester eine bedeutende Ressource werden, um die eigene Berufung zu leben»[124].
84. Der Beitrag, den die Gottgeweihten für die missionarische Sendung der Pfarrgemeinde leisten können, leitet sich in erster Linie von ihrem „Sein“ ab, d. h. vom Zeugnis einer radikalen Nachfolge Christi durch die Profess der evangelischen Räte[125], und nur in zweiter Linie auch von ihrem „Tun“, d. h. von ihren Werken, die dem Charisma der Institute entsprechen (beispielsweise Katechese, Caritas, Bildung, Jugendpastoral, Sorge für die Kranken)[126].
VIII.g. Die Laien
85. Die Pfarrgemeinde setzt sich vor allem aus Laien zusammen[127], die kraft der Taufe und der anderen Sakramente der christlichen Initiation und in vielen Fällen auch kraft des Ehesakramentes[128] am missionarischen Handeln der Kirche teilhaben, weil «die Berufung und die besondere Sendung der Laien die Umwandlung der verschiedenen weltlichen Bereiche ist, damit alles menschliche Tun vom Evangelium verwandelt wird»[129].
Die Laien, denen der Weltcharakter in besonderer Weise eigen ist, d. h. «kraft der ihnen eigenen Berufung in der Verwaltung und gottgemäßen Regelung der zeitlichen Dinge das Reich Gottes zu suchen»[130], «können sich auch berufen fühlen oder berufen werden zur Mitarbeit mit ihren Hirten im Dienst an der kirchlichen Gemeinschaft, für ihr Wachstum und ihr volles Leben. Sie können dabei sehr verschiedene Ämter übernehmen, je nach der Gnade und den Charismen, die der Herr ihnen schenkt»[131].
86. Es ist notwendig, dass heute alle Laien einen großzügigen Einsatz für den Dienst an der missionarischen Sendung leisten vor allem durch das Zeugnis des täglichen Lebens, das in den gewohnten Lebensbereichen und auf jeder Verantwortungsebene dem Evangelium entspricht, und besonders durch die Übernahme ihnen entsprechender Verpflichtungen im Dienst an der Pfarrgemeinde[132].
VIII.h. Andere Formen der Übertragung der Hirtensorge
87. Sodann gibt es für den Bischof eine weitere Möglichkeit – gemäß can. 517 § 2 – für den Hirtendienst in einer Gemeinde Sorge zu tragen, auch wenn es wegen Priestermangels nicht möglich ist, weder einen Pfarrer noch einen Pfarradministrator zu ernennen, der ihn vollzeitlich ausüben kann. In diesen problematischen pastoralen Umständen kann der Bischof, um das christliche Leben zu stützen und um die missionarische Sendung der Gemeinde fortzusetzen, einen Diakon, einen Gottgeweihten oder einen Laien oder auch eine Gemeinschaft von Personen (beispielsweise einen Orden oder eine Vereinigung) an der Ausübung der Hirtensorge einer Pfarrei beteiligen[133].
88. Diejenigen, denen auf diese Weise eine Beteiligung an der Ausübung der Hirtensorge der Gemeinde anvertraut wird, werden durch einen Priester, der mit den entsprechenden Befugnissen ausgestattet und „Moderator der Hirtensorge“ ist, koordiniert und geleitet. Ausschließlich ihm kommen die Vollmacht und die Funktionen des Pfarrers mit den entsprechenden Pflichten und Rechten zu, obwohl er dieses Amt nicht innehat.
Es ist daran zu erinnern, dass es sich um eine außerordentliche Form der Übertragung der Hirtensorge handelt, die der Unmöglichkeit geschuldet ist, einen Pfarrer oder einen Pfarradministrator zu ernennen. Sie darf nicht mit der gewöhnlichen aktiven Mitwirkung und mit der Übernahme von Verantwortung durch alle Gläubige verwechselt werden.
89. Das Volk Gottes muss auf den Einsatz einer solchen außerordentlichen Maßnahme in angemessener Weise vorbereitet werden. Sodann ist dafür zu sorgen, dass sie nicht unbefristet, sondern nur innerhalb des dafür zeitlich notwendigen Rahmens erfolgt[134]. Das rechte Verständnis und die richtige Anwendung dieses Kanons erfordern, dass diese außergewöhnliche Maßnahme, «unter genauer Beachtung der darin enthaltenen Bedingungen durchgeführt wird: a) „ob sacerdotum penuriam“ und nicht aus Gründen der Bequemlichkeit oder einer missverständlichen „Förderung der Laien“ […]; b) vorausgesetzt, es handelt sich um eine „participatio in exercitio curae pastoralis“ und nicht darum, die Pfarrei zu leiten, zu koordinieren, zu moderieren oder zu verwalten; dies steht gemäß dem Text des Kanons nur einem Priester zu»[135].
90. Damit die Beteiligung an der Hirtensorge gemäß can. 517 § 2 ohne Schaden verläuft[136], ist es notwendig, einige Kriterien zu beachten. Da es sich um eine außerordentliche und vorübergehende pastorale Situation handelt[137], ist der einzige kanonische Grund, der die Anwendung dieser Norm rechtmäßig macht, ein Mangel an Priestern, dergestalt, dass es nicht möglich ist, durch die Ernennung eines Pfarrers oder eines Pfarradministrators für die Seelsorge der Pfarrgemeinde Sorge zu tragen. Darüber hinaus haben einer oder mehrere Diakone für diese Form der Verwaltung der Hirtensorge Vortritt vor Gottgeweihten und Laien[138].
91. Auf jeden Fall kommt die Koordination der so organisierten Pastoral dem Priester zu, der vom Diözesanbischof als Moderator ernannt wurde. Nur dieser Priester hat die Vollmacht und die dem Pfarrer eigenen Befugnisse. Die anderen Gläubigen hingegen sind «an der Ausübung der Hirtensorge einer Pfarrei beteiligt»[139].
92. Sowohl der Diakon als auch die anderen Personen ohne Weihe, die sich an der Ausübung der Hirtensorge beteiligen, können nur die Funktionen erfüllen, die dem Stand des Diakons oder des Laien entsprechen. «In diesen Fällen müssen jedoch die ursprünglichen Eigenschaften der Verschiedenheit und Komplementarität zwischen den Gaben und Aufgaben der geweihten Amtsträger und der Laien, wie sie der Kirche, die Gott organisch strukturiert wollte, eigen sind, aufmerksam beachtet und geschützt werden»[140].
93. Schließlich wird dringend empfohlen, dass der Bischof, in dem Dekret, mit dem er den Priester zum Moderator ernennt, wenigstens summarisch die Gründe darlegt, warum die Anwendung einer außerordentlichen Form der Übertragung der Hirtensorge für eine oder mehrere Pfarrgemeinden und daher die Art und Weise der Ausübung des Dienstes des beauftragten Priesters notwendig sind.
IX. Pfarrliche Beauftragungen und Dienste
94. Über die gelegentliche Zusammenarbeit hinaus, die jeder Mensch guten Willens – auch die nicht Nichtgetauften – im Rahmen der alltäglichen pfarrlichen Aktivitäten anbieten kann, gibt es einige beständige Beauftragungen, auf deren Basis die Gläubigen für eine gewisse Zeit die Verantwortung für einen Dienst innerhalb der Pfarrgemeinde übernehmen. Zu denken ist beispielsweise an die Katecheten, an die Ministranten, an die Erzieher, die in Gruppen und Vereinen arbeiten, an die Mitarbeiter der Caritas und an jene, die sich in Beratungsstellen oder -zentren engagieren, an jene, die die Kranken besuchen.
95. Im Hinblick auf die Bezeichnung der den Diakonen, den Gottgeweihten und den Laien übertragenen Beauftragungen ist auf jeden Fall eine Terminologie zu wählen, die in korrekter Weise den Funktionen, die sie ihrem Stand gemäß ausüben können, entspricht, um so den wesentlichen Unterschied zwischen dem allgemeinen und dem besonderen Priestertum nicht zu verdunkeln und damit für alle die Art der eingegangenen Verpflichtung klar ist.
96. In diesem Sinne ist vor allem der Diözesanbischof und in nachgeordneter Weise der Pfarrer verantwortlich, dass die Dienste der Diakone, der Gottgeweihten und der Laien, die in der Pfarrei Verantwortung tragen, nicht mit Titeln wie „Pfarrer“, „Ko-Pfarrer“, „Pastor“, „Kaplan“, „Moderator“, „Pfarrverantwortlicher“ oder mit anderen ähnlichen Begriffen bezeichnet werden[141], die das Recht den Priestern vorbehält[142], weil sie einen direkten Bezug zu deren Dienstprofil haben.
Gleichermaßen illegitim und nicht ihrem kirchlichen Stand entsprechend sind im Hinblick auf die genannten Gläubigen und Diakone auch Formulierungen wie „übertragen der Hirtensorge einer Pfarrei“, „die Pfarrgemeinde leiten“ und andere ähnliche, die sich auf die Eigenart des priesterlichen Dienstes, die dem Pfarrer zusteht, beziehen.
Passender scheinen beispielsweise die Bezeichnungen „diakonaler Mitarbeiter“ und für die Gottgeweihten und die Laien „Koordinator für ... (einen pastoralen Teilbereich)“, „pastoraler Mitarbeiter“, „pastoraler Assistent“ und „Beauftragter für … (einen pastoralen Teilbereich)“.
97. Gemäß can. 230 § 1 können Laien als Lektoren und Akolythen in beständiger Weise beauftragt werden. Der nichtgeweihte Gläubige kann nur dann als „außerordentlicher Beauftragter“ bezeichnet werden, wenn er tatsächlich von der zuständigen Autorität[143] berufen worden ist, die stellvertretenden Funktionen gemäß cann. 230 § 3 und 943 wahrzunehmen. Die zeitlich begrenzte liturgische Beauftragung gemäß can. 230 § 2 verleiht dem nichtgeweihten Gläubigen keine spezielle Bezeichnung[144].
Diese Laien müssen in voller Gemeinschaft mit der katholischen Kirche stehen[145], eine Ausbildung erhalten haben, die den Diensten, die sie ausführen sollen, angemessen ist, und eine beispielhafte persönliche und pastorale Lebensführung aufweisen, die sie für die Durchführung des Dienstes geeignet erscheinen lässt.
98. Über das hinaus, was den auf Dauer bestellten Lektoren und Akolythen zukommt[146], kann der Bischof gemäß seinem klugen Ermessen den Diakonen, den Gottgeweihten und den Laien unter der Leitung und der Verantwortung des Pfarrers einige Dienste[147] in amtlicher Weise übertragen, wie zum Beispiel:
1°. Die Feier eines Wortgottesdienstes an Sonntagen und gebotenen Feiertagen, wenn «wegen des Fehlens eines geistlichen Amtsträgers oder aus einem anderen schwerwiegenden Grund die Teilnahme an einer Eucharistiefeier unmöglich ist»[148]. Es handelt sich um eine außerordentliche Möglichkeit, auf die nur zurückgegriffen werden soll, wenn anders keine Abhilfe geschaffen werden kann. Wenn Diakone zur Verfügung stehen, sollen ihnen solche Liturgien anvertraut werden.
2°. Die Spendung der Taufe unter der Rücksicht, dass «die ordentlichen Spender der Taufe der Bischof, der Priester und der Diakon sind»[149] und dass das durch can. 861 § 2 Normierte eine Ausnahme bildet, die gemäß dem Ermessen des Ortsordinarius zu beurteilen ist.
3°. Die Feier der Beerdigung gemäß dem, was durch die Nr. 19 der Einführung des Beerdigungsritus vorgesehen ist.
99. Die Laien können «nach Maßgabe der Vorschriften der Bischofskonferenz»[150] und «in Einklang mit dem Recht und unter Beachtung der liturgischen Normen»[151] in einer Kirche oder in einer Kapelle predigen, wenn dies die Umstände, die Notwendigkeit oder der besondere Fall erfordern. Während der Feier der Eucharistie dürfen sie jedoch die Homilie auf keinen Fall halten[152].
100. Darüber hinaus «kann der Diözesanbischof aufgrund einer vorgängigen empfehlenden Stellungnahme der Bischofskonferenz und nach Erhalt der Erlaubnis des Heiligen Stuhls, Laien zur Eheschließungsassistenz delegieren, wo Priester und Diakone fehlen»[153].
X. Die Organe kirchlicher Mitverantwortung
X.a. Der Vermögensverwaltungsrat der Pfarrei
101. Die Verwaltung der Güter, über die alle Pfarreien in verschiedenem Ausmaß verfügen, ist ein wichtiger Bereich der Evangelisierung und des evangelischen Zeugnisses gegenüber der Kirche und der Gesellschaft, weil, wie Papst Franziskus sagte, «uns der Herr alle Güter, die wir besitzen, gibt, um die Welt fortschreiten zu lassen, um die Menschheit fortschreiten zu lassen, um den anderen zu helfen»[154]. Der Pfarrer kann und darf daher in dieser Aufgabe nicht allein bleiben[155]. Vielmehr muss er von Mitarbeitern unterstützt werden, um die Güter der Kirche vor allem mit missionarischem Eifer und Geist zu verwalten[156].
102. Daher muss in allen Pfarreien notwendigerweise ein Vermögensverwaltungsrat gebildet werden, der ein Beratungsgremium ist, das der Pfarrer leitet und das aus mindestens drei weiteren Gläubigen besteht[157]. Die Mindestanzahl von drei Mitgliedern ist notwendig, um den Rat als „kollegiales Organ“ betrachten zu können. Es ist daran zu erinnern, dass der Pfarrer nicht zu den Mitgliedern des Vermögensverwaltungsrates zählt, sondern ihn leitet.
103. Wenn der Diözesanbischof keine spezifischen Normen erlassen hat, wird der Pfarrer die Anzahl der Mitglieder des Rates in Bezug auf die Größe der Pfarrei festlegen und bestimmen, ob sie von ihm ernannt oder vielmehr von der Pfarrgemeinde gewählt werden müssen.
Die Mitglieder dieses Rates, die nicht unbedingt zur Pfarrei gehören, müssen einen guten Ruf haben und Fachleute in finanziellen und rechtlichen Fragen sein[158], um einen wirklichen und kompetenten Dienst leisten zu können, damit der Rat nicht nur in formaler Weise gebildet worden ist.
104. Vorausgesetzt, dass der Diözesanbischof nichts Anderes festgelegt hat und unter Beachtung der geschuldeten Klugheit und eventueller Normen des staatlichen Rechts steht schließlich nichts dagegen, dass ein und dieselbe Person Mitglied des Vermögensverwaltungsrates mehrerer Pfarreien sein kann, wenn dies die Umstände erfordern.
105. Die diesbezüglichen vom Diözesanbischof eventuell erlassenen Normen werden die spezifischen Situationen der Pfarreien berücksichtigen müssen, wie z. B. das sehr geringe Vermögen oder die Zugehörigkeit zu einer pastoralen Einheit[159].
106. Der Vermögensverwaltungsrat kann eine wichtige Rolle spielen, um innerhalb der Pfarrgemeinde die Kultur der Mitverantwortung, der Transparenz, der Verwaltung und der Sorge für die Bedürfnisse der Kirche wachsen zu lassen. In besonderer Weise darf die Transparenz nicht nur im Sinne einer formalen Vorlage von Zahlen verstanden werden, sondern vielmehr als der Gemeinde geschuldete Information und willkommene Gelegenheit einer informativen Beteiligung. Es handelt sich um eine Vorgehensweise, die für die Glaubwürdigkeit der Kirche unabdingbar ist, vor allem dann, wenn sie eine große Vermögenmasse zu verwalten hat.
107. Gewöhnlich kann das Ziel der Transparenz durch die Veröffentlichung einer jährlichen Rechnungslegung, die zuerst dem Ortsordinarius vorgelegt werden muss[160], mit der exakten Angabe der Einnahmen und der Ausgaben erreicht werden. Weil es sich um das Vermögen der Pfarrei und nicht des Pfarrers, obwohl er dessen Verwalter ist, handelt, wird so die gesamte Gemeinde wissen, wie die Güter verwaltet worden sind, wie die finanzielle Situation der Pfarrei ist und über welche Ressourcen sie tatsächlich verfügt.
X.b. Der Pastoralrat der Pfarrei
108. Das geltende kanonische Recht[161] überlässt dem Diözesanbischof die Entscheidung über die Errichtung eines Pastoralrates in den Pfarreien, der gemäss Papst Franziskus auf jeden Fall in der Regel sehr empfehlenswert ist: «Wie notwendig sind die Pastoralräte! Ein Bischof kann eine Diözese ohne die pastoralen Räte nicht leiten. Ein Pfarrer kann die Pfarrei ohne die pastoralen Räte nicht leiten!»[162].
Die Interpretierbarkeit der Normen erlaubt die Anpassungen, die in den konkreten Umständen als angemessen betrachtet werden, wie beispielsweise im Falle von mehreren Pfarreien, die nur einem Pfarrer anvertraut worden sind, oder einer pastoralen Einheit. In diesen Fällen ist es möglich einen einzigen Pastoralrat für mehrere Pfarreien zu bilden.
109. Der theologische Sinn des Pastoralrates ist im Wesen der Kirche verankert, d. h. in ihrem „Leib-Christi-Sein“, das eine „Spiritualität der Gemeinschaft“ erzeugt. Die Verschiedenheit der Charismen und Dienste, die sich aus der Eingliederung in Christus und aus dem Geschenk des Heiligen Geistes ergibt, kann in der christlichen Gemeinschaft nie bis zur «Gleichförmigkeit, zur Verpflichtung, alles gemeinsam und gleich zu machen und immer in derselben Weise zu denken»[163] vereinheitlicht werden. Kraft des Priestertums aus der Taufe[164] sind alle Gläubigen dazu bestimmt, den ganzen Leib aufzuerbauen. Zugleich nimmt das gesamte Volk Gottes in der wechselseitigen Mitverantwortung seiner Glieder an der Sendung der Kirche teil, d. h. es erkennt die Zeichen der Gegenwart Gottes in der Geschichte und wird Zeuge seines Reiches[165].
110. Weit davon entfernt, ein schlichter bürokratischer Organismus zu sein, unterstreicht und verwirklicht der Pastoralrat folglich die Bedeutung des Volkes Gottes als Subjekt und aktiver Protagonist der missionarischen Sendung kraft der Tatsache, dass alle Gläubigen die Gaben des Heiligen Geistes in der Taufe und in der Firmung empfangen haben: «Der erste Schritt ist, zum göttlichen Leben neu geboren zu werden. Dann ist es notwendig, als Kind Gottes zu leben, d. h. Christus, der in der heiligen Kirche wirkt, gleichförmig zu werden und an seiner Sendung in der Welt teilzunehmen. Dies bewirkt die Salbung des Heiligen Geistes: „Ohne dein lebendig Wehn kann im Menschen nichts bestehn“ (Pfingstsequenz) […] Wie das ganze Leben Jesu vom Heiligen Geist beseelt war, so steht auch das Leben der Kirche und ihrer Glieder unter der Leitung desselben Geistes»[166].
Im Lichte dieser grundlegenden Sichtweise darf an die Worte des hl. Pauls VI. erinnert werden, gemäß dem «es die Aufgabe des Pastoralrates ist, all das zu untersuchen und zu prüfen, das die pastoralen Aktivitäten betrifft und folglich praktische Schlussfolgerungen vorzulegen, um die Übereinstimmung des Lebens und des Handelns des Volkes Gottes mit dem Evangelium zu fördern»[167], in dem Bewusstsein – und daran erinnert Papst Franziskus –, dass das Ziel dieses Rates «nicht in erster Linie die kirchliche Organisation ist, sondern der missionarische Traum, alle zu erreichen»[168].
111. Der Pastoralrat ist ein Beratungsgremium. Er unterliegt den vom Diözesanbischof erlassenen Normen, welche die Zusammensetzung, die Wahl der Mitglieder, die Ziele und die Funktionsweise festlegen[169]. Um das Wesen dieses Rates nicht zu verdunkeln, ist es auf alle Fälle ratsam, ihn nicht als „Team“ oder „Equipe“ zu bezeichnen, da eine solche Terminologie nicht geeignet ist, die korrekte kirchliche und kanonische Beziehung zwischen dem Pfarrer und den übrigen Gläubigen zum Ausdruck zu bringen.
112. Gemäß den entsprechenden diözesanen Normen soll der Pastoralrat wirklich repräsentativ für die Gemeinde sein, die er in allen ihren Teilen (Priester, Diakone, Gottgeweihte und Laien) abbildet. Er stellt einen spezifischen Bereich dar, in dem die Gläubigen ihr Recht wahrnehmen und ihrer Pflicht nachkommen, ihre Meinung hinsichtlich des Wohls der Pfarrgemeinde den Hirten und auch den anderen Gläubigen mitzuteilen[170].
Die Hauptaufgabe des pfarrlichen Pastoralrates besteht darin, in Übereinstimmung mit den Vorgaben der Diözese praktische Lösungen für die pastoralen und karitativen Initiativen der Pfarrei zu suchen und zu beurteilen.
113. Der Pastoralrat «hat nur beratendes Stimmrecht»[171]. Der Pfarrer muss seine Vorschläge wohlwollend im Hinblick auf ihre Umsetzung prüfen. Er soll außerdem aufmerksam die Anregungen des Pastoralrates bedenken, vor allem wenn sie einvernehmlich nach gemeinsamer Beratung dargelegt worden sind.
Damit der Dienst des Pastoralrates wirksam und fruchtbar ist, gilt es zwei Extreme zu vermeiden: zum einen dass der Pfarrer sich darauf beschränkt, dem Pastoralrat bereits getroffene Entscheidungen vorzulegen, vorausgehend nicht in geschuldeter Weise informiert oder den Rat nur pro forma zusammenruft; andererseits dass der Pfarrer nur Mitglied des Rates und seiner Rolle als Hirte und Leiter der Gemeinde beraubt ist[172].
114. Darüber hinaus erscheint es angemessen, dass der Pastoralrat, soweit dies möglich ist, in der Regel aus denen besteht, die in der Pastoral der Pfarrei wirkliche Verantwortung tragen oder in ihr in konkreter Weise engagiert sind, um zu vermeiden, dass in den Versammlungen realitätsferne Ideen ausgetauscht werden, die nicht die tatsächliche Situation der Gemeinde mit ihren Möglichkeiten und Schwierigkeiten in Betracht ziehen.
X.c. Andere Formen der Mitverantwortung in der Seelsorge
115. Wenn eine Gemeinschaft von Gläubigen nicht als Pfarrei oder Quasipfarrei errichtet werden kann[173], soll der Diözesanbischof nach Anhörung des Priesterrates[174] in anderer Weise ihre Seelsorge gewährleisten[175] und beispielsweise die Möglichkeit in Erwägung ziehen, pastorale Zentren zu errichten, die dem Ortspfarrer wie „Missionsstationen“ unterstellt sind, um die Evangelisierung und die Caritas zu fördern. In diesen Fällen ist das genannte Zentrum mit einer geeigneten Kirche oder einer Kapelle[176] auszustatten. Darüber hinaus sind diözesane Normen für ihre Aktivitäten zu erlassen, um diese mit denen der Pfarrei zu koordinieren und in Einklang zu bringen.
116. Die in dieser Weise gestalteten Zentren, die in einigen Diözesen „Diakonien“ genannt werden, können, wo dies möglich ist, einem Pfarrvikar anvertraut werden, oder auch insbesondere einem oder mehreren ständigen Diakonen, die für sie verantwortlich sind und sie eventuell zusammen mit ihren Familien unter der Verantwortung des Pfarrers betreuen.
117. Solche Zentren können missionarische Vorposten werden, die vor allem in weitläufigen Pfarreien für die Menschen erreichbar sind. Sie gewährleisten Gebets- und Anbetungszeiten, Katechesen und andere Initiativen zum Wohl der Gläubigen, insbesondere Werke der Nächstenliebe zugunsten der Armen, Bedürftigen und Kranken unter Einbeziehung der Zusammenarbeit mit Gottgeweihten und Laien und aller Menschen guten Willens.
Durch den Pfarrer und die anderen Priester der Gemeinde sollen die Verantwortlichen des pastoralen Zentrums für die möglichst häufige Feier der Sakramente, vor allem der Heiligen Messe und des Bußsakramentes, sorgen.
XI. Die Gaben für die Feier der Sakramente
118. Das Messstipendium für den zelebrierenden Priester und die Stolgebühr zugunsten der Pfarrei für die Feier der anderen Sakramente sind ein Thema, das die Pfarrei und ihre missionarische Sendung berührt[177]. Es handelt sich um einen naturgemäß freiwilligen Beitrag vonseiten des Spenders gemäß seinem Gewissen und seinem Verantwortungssinn für die Kirche, nicht aber um einen „zu bezahlenden Preis“ oder um eine „einzufordernde Gebühr“ im Sinne einer Art „Sakramentensteuer“. Mit der Gabe für die Feier der heiligen Messe tragen «die Gläubigen [...] zum Wohl der Kirche bei und beteiligen sich […] an deren Sorge für den Unterhalt von Amtsträgern und Werken»[178].
119. In diesem Sinne ist es wichtig, die Gläubigen zu sensibilisieren, damit sie gern die Bedürfnisse der Pfarrei unterstützen. Es geht um „ihre Sache“. Es ist gut, dass sie lernen, sich bereitwillig darum zu kümmern, besonders in den Ländern, in denen das Messstipendium die einzige Quelle des Unterhalts für die Priester und auch der Ressourcen für die Evangelisierung ist.
120. Die erwähnte Sensibilisierung kann umso mehr erfolgreich sein je mehr die Priester ihrerseits ein „tugendhaftes“ Beispiel hinsichtlich der Verwendung des Geldes geben, sowohl durch einen einfachen und bescheidenen Lebensstil als auch durch eine Verwaltung des pfarrlichen Vermögens, die nachvollziehbar ist und nicht auf vielleicht gute, doch realitätsferne „Vorhaben“ des Pfarrers oder eines begrenzten Personenkreises, sondern auf die wirklichen Nöte der Gläubigen, vor allem der Ärmsten und Bedürftigsten gerichtet ist.
121. Auf jeden Fall ist vom Messstipendium «selbst jeglicher Schein von Geschäft oder Handel gänzlich fernzuhalten»[179]. Es ist zu bedenken, dass den Priestern eindringlich empfohlen wird, «die Messe, auch wenn sie kein Messstipendium erhalten haben, nach Meinung der Gläubigen, vor allem der Bedürftigen zu feiern»[180].
Hinsichtlich der Möglichkeiten, die das Erreichen dieses Zieles unterstützen, kann man an eine Sammlung der Gaben in anonymer Weise denken, so dass jeder sich frei fühlt, das zu geben, was er geben kann, oder was er für angemessen hält, ohne sich verpflichtet zu fühlen, einer Erwartung gerecht werden oder einen Preis bezahlen zu müssen.
Schluss
122. Unter Bezugnahme auf die Ekklesiologie des Zweiten Vatikanischen Konzils, im Lichte des gegenwärtigen Lehramtes und mit Blick auf die tiefgehend veränderten sozialen und kulturellen Gegebenheiten, präzisiert die vorliegende Instruktion das Thema der Erneuerung der Pfarrei im missionarischen Sinn.
Obwohl sie eine unverzichtbare Institution für die Begegnung und die lebendige Beziehung zu Christus und den Geschwistern im Glauben bleibt, ist es ebenso wahr, dass sie sich beständig mit den aktuellen Veränderungen in der heutigen Kultur und im Leben der Menschen auseinandersetzen muss, um mit Kreativität Wege und neue Instrumente erproben zu können, die es ihr erlauben, ihrer erstrangigen Aufgabe zu entsprechen, d. h. ein pulsierendes Zentrum der Evangelisierung zu sein.
123. Folglich muss die Pastoral über die territorialen Grenzen der Pfarrei hinausgehen, die kirchliche Gemeinschaft durch die synergetische Wirkung zwischen verschiedenen Diensten und Charismen klarer sichtbar werden lassen und sich zugleich als ein „pastorales Miteinander“ im Dienste der Diözese und ihrer Sendung strukturieren.
Es geht um ein pastorales Handeln, das durch eine wirkliche und vitale Zusammenarbeit zwischen Priestern, Diakonen, Gottgeweihten und Laien und zwischen verschiedenen Pfarrgemeinden des gleichen Gebietes oder der gleichen Region danach strebt, gemeinsam die Fragen, die Schwierigkeiten und die Herausforderungen hinsichtlich der Evangelisierung auszumachen; das versucht, Wege, Instrumente, Vorschläge und Mittel, die geeignet sind, um diese anzugehen, einzubeziehen. Ein solches gemeinsames missionarisches Projekt könnte in Bezug auf einen territorialen und sozialen Kontext ausgearbeitet und verwirklicht werden, d. h. in Gemeinden, die aneinandergrenzen oder gleiche soziokulturelle Bedingungen haben; darüber hinaus auch in Bezug auf ähnliche pastorale Bereiche, z. B. im Rahmen einer dringenden Koordinierung der Jugend-, Universitäts- und Berufungspastoral, wie das schon in vielen Diözesen geschieht.
Das pastorale Miteinander erfordert daher über eine verantwortliche Koordination der Aktivitäten und der pastoralen Strukturen hinaus, die imstande sind, miteinander in Beziehung zu treten und untereinander zusammenzuarbeiten, den Beitrag aller Getauften. Um es mit den Worten von Papst Franziskus zu sagen: «Wenn wir von „Volk“ sprechen, darf man darunter nicht die Strukturen der Gesellschaft oder der Kirche verstehen, sondern vielmehr die Gesamtheit von Menschen, die nicht als Einzelpersonen unterwegs sind, sondern als das Gefüge einer Gemeinschaft aus allen und für alle»[181].
Das erfordert, dass die historische Institution „Pfarrei“ nicht in der Unbeweglichkeit oder in einer Besorgnis erregenden pastoralen Monotonie gefangen bleibt, sondern jene „missionarische Dynamik“ verwirklicht, die sie durch die Zusammenarbeit zwischen verschiedenen Pfarrgemeinden und eine gestärkte Gemeinschaft zwischen Klerikern und Laien wirklich auf die evangelisierende Mission ausrichtet. Dies ist eine Aufgabe des gesamten Volkes Gottes, das in der Geschichte als „Familie Gottes“ voranschreitet und durch die Synergie der verschiedenen Glieder für das Wachstum des ganzen kirchlichen Leibes arbeitet.
Über die Betonung der Dringlichkeit einer solchen Erneuerung hinaus, legt deshalb das vorliegende Dokument eine Anwendungsweise der kanonischen Normen vor, die die Möglichkeiten, die Grenzen, die Rechte und die Pflichten der Hirten und der Laien festlegt, damit die Pfarrei sich selbst wieder als grundlegenden Ort der Verkündigung des Evangeliums, der Feier der Eucharistie, als Raum der Geschwisterlichkeit und der Caritas entdeckt, von dem aus das Zeugnis des christlichen Glaubens in die Welt ausstrahlt. Das heißt, sie «muss ein Ort der Kreativität, der Mütterlichkeit, ein Bezugspunkt bleiben. Und dort eine erfinderische Fähigkeit verwirklichen; und wenn eine Pfarrei sich so verhält, verwirklicht sie das, was ich als „missionarische Pfarrei“ bezeichne»[182].
124. Papst Franziskus lädt ein, «Maria, die Mutter der Evangelisierung» anzurufen, damit sie uns helfen möge «„Ja“ zu sagen, angesichts der Dringlichkeit, die Frohbotschaft Jesu in unserer heutigen Zeit wieder erklingen zu lassen. Sie erwirke uns eine neue Leidenschaft von Erweckten, damit wir das Evangelium des Lebens, das den Tod besiegt, allen Menschen verkünden. Sie trete für uns ein, damit wir den heiligen Mut erlangen, neue Wege zu suchen, damit das Geschenk der Erlösung zu allen gelange»[183].
Der Heilige Vater hat das vorliegende Dokument der Kongregation für den Klerus am 27. Juni 2020 approbiert.
Rom, am 29. Juni 2020, Hochfest der heiligen Apostel Petrus und Paulus
✠ Beniamino Kard. Stella
Präfekt
✠ Joël Mercier.
Sekretär
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✠ Jorge Carlos Patrón Wong
Sekretär für die Seminare
|
Msgr. Andrea Ripa
Untersekretär
__________________
[1] Franziskus, Ansprache. Begegnung mit den Pfarrern von Rom (16. September 2013).
[2] Vgl. ders., Apostolisches Mahnschreiben Evangelii gaudium (24. November 2013) Nr. 287: AAS 105 (2013) 1136.
[3] Ebd., Nr. 49: AAS 105 (2013) 1040.
[4] II. Vatikanisches Konzil, Pastorale Konstitution über die Kirche in der Welt von heute Gaudium et spes (7. Dezember 1965) Nr. 58: AAS 58 (1966) 1079.
[5] Ebd., Nr. 44: AAS 58 (1966) 1065.
[6] Vgl. Ephrem der Syrer, Kommentar zum Diatessaron 1, 18-19: SC 121, 52-53.
[7] Vgl. Franziskus, Enzyklika Laudato sì (24. Mai 2015) Nr. 68: AAS 107 (2015) 847.
[8] Vgl. Paul VI., Enzyklika Ecclesiam Suam (6. August 1964): AAS 56 (1964) 639.
[9] Evangelii gaudium, Nr. 27: AAS 105 (2013) 1031.
[10] Vgl. Johannes Paul II., Postsynodales Apostolisches Mahnschreiben Christifideles laici (30. Dezember 1988) Nr. 26: AAS 81 (1989) 438.
[11] Franziskus, Generalaudienz (12. Juni 2019): L’Osservatore Romano 134 (13. Juni 2019) 1.
[12] II. Vatikanisches Konzil, Dekret über die Hirtenaufgabe der Bischöfe Christus Dominus (28. Oktober 1965) Nr. 30: AAS 58 (1966) 688.
[13] Johannes Paul II., Ansprache. Vollversammlung der Kongregation für den Klerus (20. Oktober 1984), Nrn. 3 und 4: Insegnamenti VII/2 (1984) 984 und 985; vgl. auch ders., Apostolisches Mahnschreiben Catechesi tradendae (16. Oktober 1979) Nr. 67: AAS 71 (1979) 1332.
[14] Benedikt XVI., Homilie. Pastoralbesuch in der römischen Pfarrei Santa Maria dell’Evangelizzazione (10. Dezember 2006): Insegnamenti II/2 (2006) 795.
[15] Evangelii gaudium, Nr. 28: AAS 105 (2013) 1032.
[16] Vgl. Gaudium et spes, Nr. 4: AAS 58 (1966) 1027.
[17] Ebd., Nr. 1: AAS 58 (1966) 1025-1026.
[18] Vgl. Evangelii gaudium, Nrn. 72-73: AAS 105 (2013) 1050-1051.
[19] Vgl. Bischofssynode, XV. Ordentliche Generalversammlung (3.-28. Oktober 2018): Die Jugendlichen, der Glaube und die Erkenntnis der Berufung, Schlussdokument Nr. 129: «In diesem Zusammenhang würde eine Sicht von Pfarrpastoral, die nur durch räumliche Grenzen definiert und nicht in der Lage wäre, die Gläubigen und insbesondere junge Menschen mit vielfältigen Vorschlägen abzuholen, die Gemeinde in einer nicht akzeptablen Bewegungslosigkeit und besorgniserregenden pastoralen Eintönigkeit erstarren lassen»: L’Osservatore Romano 247 (29.-30. Oktober 2018) 10.
[20] Vgl. beispielsweise cann. 102, 1015-1016, 1108 § 1 CIC.
[21] Vgl. Christifideles laici, Nr. 25: AAS 81 (1989) 436-437.
[22] Vgl. Evangelii gaudium, Nr. 174: AAS 105 (2013) 1093.
[23] Vgl. ebd., Nr. 164-165: AAS 105 (2013) 1088-1089.
[24] II. Vatikanisches Konzil, Dogmatische Konstitution über die Kirche Lumen gentium (21. November 1964) Nr. 11: AAS 57 (1965) 15.
[25] Vgl. Evangelii gaudium, Nr. 166-167: AAS 105 (2013) 1089-1090.
[26] Franziskus, Apostolisches Mahnschreiben Gaudete et exsultate (19. März 2018) Nr. 35: AAS 110 (2018) 1120. Bezüglich des Gnostizismus und des Pelagianismus lohnt es sich, die Worte von Papst Franziskus zur Kenntnis zu nehmen: «Diese Weltlichkeit kann besonders aus zwei zutiefst miteinander verbundenen Quellen gespeist werden. Die eine ist die Faszination des Gnostizismus, eines im Subjektivismus eingeschlossenen Glaubens, bei dem einzig eine bestimmte Erfahrung oder eine Reihe von Überlegungen und Kenntnissen interessiert, von denen man meint, sie könnten Trost und Licht bringen, wo aber das Subjekt letztlich in der Immanenz seiner eigenen Vernunft oder seiner Gefühle eingeschlossen bleibt. Die andere ist der selbstbezogene und prometheische Neu-Pelagianismus derer, die sich letztlich einzig auf die eigenen Kräfte verlassen und sich den anderen überlegen fühlen, weil sie bestimmte Normen einhalten oder weil sie einem gewissen katholischen Stil der Vergangenheit unerschütterlich treu sind»: Evangelii gaudium, Nr. 94: AAS 105 (2013) 1059-1060; vgl. auch Kongregation für die Glaubenslehre, Schreiben Placuit Deo (22. Februar 2018): AAS 110 (2018) 429.
[27] Vgl. Brief an Diogneto V, 1-10: Patres Apostolici, hg. v. F.X. Funk, Bd. 1, Tübingen 1901, 398.
[28] Vgl. Johannes Paul II., Apostolisches Schreiben Novo millennio ineunte (6. Januar 2001) Nr. 1: AAS 93 (2001) 266.
[29] Evangelii gaudium, Nr. 28: AAS 105 (2013) 1032.
[30] Vgl. cann. 515, 518, 519 CIC.
[31] Evangelii gaudium, Nr. 28: AAS 105 (2013) 1031-1032.
[32] Ebd.
[33] Vgl. Franziskus, Postsynodales Apostolisches Mahnschreiben Christus vivit (25. März 2019), Vatikanstadt 2019, Nr. 238.
[34] Vgl. ders., Bulle Misericordiae vultus (11. April 2015) Nr. 3: AAS 107 (2015) 400-401.
[35] Benedikt XVI., Ansprache. Begegnung mit den Bischöfen Brasiliens (11. Mai 2007) Nr. 3: Insegnamenti III/1 (2007) 826.
[36] Evangelii gaudium, Nr. 198: AAS 105 (2013) 1103.
[37] Vgl. Franziskus, Tagesmeditation in Santa Marta (30. Oktober 2017).
[38] Vgl. Evangelii gaudium, Nrn. 186-216: AAS 105 (2013) 1098-1109.
[39] Vgl. Gaudete et exsultate, Nrn. 95-99: AAS 110 (2018) 1137-1138.
[40] Vgl. Evangelii gaudium, Nr. 27: AAS 105 (2013), 1031; ebd., Nr. 189: AAS 105 (2013) 1099: «Eine Änderung der Strukturen, die hingegen keine neuen Einsichten und Verhaltensweisen hervorbringt, wird dazu führen, dass eben diese Strukturen früher oder später korrupt, drückend und unwirksam werden».
[41] Ebd., Nr. 26: AAS 105 (2013) 1030-1031.
[42] Christus Dominus, Nr. 30: AAS 58 (1966) 688.
[43] Franziskus, Ansprache. Weihnachtsempfang für die Römische Kurie (22. Dezember 2016): AAS 109 (2017) 44.
[44] Ders., Carta al Pueblo de Diós que peregrina en Chile (31. Mai 2018): www.vatican.va/content/francesco/es/letters/2018/documents/papa-francesco_20180531_lettera-popolodidio-cile.html
[45] Vgl. ebd.
[46] Ebd.
[47] Lumen gentium, Nr. 9: AAS 57 (1965) 13.
[48] Vgl. Kongregation für den Klerus, Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis (8. Dezember 2016), Vatikanstadt 2016, Nrn. 80-88.
[49] Vgl. can. 374 § 1 CIC.
[50] Vgl. can. 374 § 2 CIC; Kongregation für die Bischöfe, Direktorium für den Hirtendienst der Bischöfe Apostolorum successores (22. Februar 2004) Nr. 217: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004) 2110.
[51] Vgl. can. 374 § 1 CIC.
[52] Vgl. can. 374 § 2 CIC.
[53] Vgl. Apostolorum successores, Nr. 218: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004) 2114.
[54] Vgl. can. 515 § 2 CIC.
[55] Vgl. can. 86 CIC.
[56] Vgl. can. 120 § 1 CIC.
[57] Vgl. cann. 121-122 CIC; Apostolorum successores, Nr. 214: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004) 2099.
[58] Vgl. can. 51 CIC.
[59] Vgl. cann. 120-123 CIC.
[60] Vgl. cann. 500 § 2 und 1222 § 2 CIC.
[61] Vgl. Päpstlicher Rat für die Kultur, La dismissione e il riuso ecclesiale di chiese. Linee guida (17. Dezember 2018):
http://www.cultura.va/content/cultura/it/pub/documenti/decommissioning.html
[62] Vgl. can. 1222 § 2 CIC.
[63] Can. 374 § 2 CIC.
[64] Vgl. Apostolorum successores, Nr. 217: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004) 2110.
[65] Vgl. can. 554 § 1 CIC.
[66] Can. 555 § 1 1° CIC.
[67] Can. 555 § 4 CIC.
[68] Vgl. can. 500 § 2 CIC.
[69] Vgl. Päpstlicher Rat der Seelsorge für die Migranten und Menschen unterwegs, Instruktion Erga migrantes caritas Christi (3. Mai 2004) Nr. 95: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004) 2548.
[70] Vgl. Apostolorum successores, Nr. 215 b): Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004) 2104.
[71] Vgl. ebd.
[72] Vgl. can. 517 § 1 CIC.
[73] Vgl. can. 526 § 1 CIC.
[74] Vgl. ebd.
[75] Vgl. can. 522 CIC.
[76] Vgl. cann. 553-555 CIC.
[77] Vgl. can. 536 CIC.
[78] Vgl. can. 537 CIC.
[79] Vgl. can. 500 § 2 CIC.
[80] Vgl. Apostolorum successores, Nr. 219: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004) 2117. Um Verwirrung zu vermeiden, empfiehlt es sich, die Bezeichnung „pastorale Zone“ nur für diese Art von Zusammenschluss zu verwenden.
[81] Vgl. can. 134 § 1 und 476 CIC.
[82] Es ist zu beachten: a) was auf den „Diözesanbischof“ bezogen ist, gilt auch für die anderen ihm rechtlich Gleichgestellten; b) was sich auf die Pfarrei und auf den Pfarrer bezieht, gilt auch für die Quasipfarrei und für den Quasipfarrer; c) was die Laien betrifft, wird auch auf die Mitglieder der Institute des geweihten Lebens und die Gesellschaften des apostolischen Lebens, die nicht Kleriker sind, angewendet, außer man bezieht sich ausdrücklich auf die Eigentümlichkeit des laikalen Standes; d) je nach Kontext, in dem er in der vorliegenden Instruktion unter Berücksichtigung der kodikarischen Normen verwendet wird, hat der Begriff „Moderator“ verschiedene Bedeutungen.
[83] Vgl. Lumen gentium, Nr. 26: AAS 57 (1965) 31-32.
[84] Vgl. Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis, Nrn. 83; 88.
[85] Vgl. can. 275 § 1 CIC.
[86] Vgl. II. Vatikanisches Konzil, Dekret über Dienst und Leben der Priester Presbyterorum ordinis (7. Dezember 1965) Nr. 8: AAS 58 (1966) 1003.
[87] Vgl. Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis, Nr. 88.
[88] Vgl. Franziskus, Ansprache. Kongress der Kongregation für den Klerus anlässlich des 50. Jahrestages des Erlasses der Konzilsdekrete „Optatam totius“ und „Presbyterorum ordinis“ (20. November 2015): AAS 107 (2015) 1295.
[89] Vgl. can. 150 CIC.
[90] Vgl. can. 521 § 1 CIC.
[91] Vgl. can. 520 § 1 CIC.
[92] Can. 519 CIC.
[93] Vgl. can. 532 CIC.
[94] Vgl. can. 1257 § 1 CIC.
[95] Christus Dominus, Nr. 31: AAS 58 (1965) 689.
[96] Can. 522 CIC.
[97] Can. 1748 CIC.
[98] Can. 526 § 1 CIC.
[99] Vgl. can. 152 CIC.
[100] Vgl. can. 538 §§ 1-2 CIC.
[101] Vgl. cann. 1740-1752 CIC unter Berücksichtigung der cann. 190-195 CIC.
[102] Vgl. can. 538 § 3 CIC.
[103] Ebd.
[104] Vgl. can. 189 CIC.
[105] Vgl. can. 189 § 2 CIC und Apostolorum successores, Nr. 212: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004) 2095.
[106] Apostolorum successores, Nr. 212: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004) 2095.
[107] Vgl. cann. 539-540 CIC.
[108] Vgl. insbesondere cann. 539, 549, 1747 § 3 CIC.
[109] Can. 517 § 1 CIC; vgl. auch cann. 542-544 CIC.
[110] Vgl. cann. 517 § 1 und 526 § 1 CIC.
[111] Vgl. can. 543 § 1 CIC.
[112] Vgl. can. 543 § 2 3° CIC. Er vertritt die Pfarrei rechtlich auch in den Ländern, in denen sie staatlicherseits als Körperschaft anerkannt ist.
[113] Vgl. can. 543 § 1 CIC.
[114] Vgl. can. 517 § 1 CIC.
[115] Vgl. can. 545 § 2 CIC. Man denke beispielsweise an einen Priester mit geistlicher Erfahrung, gesundheitlich jedoch angeschlagen, der für fünf territorial aneinander angrenzende Pfarreien als ordentlicher Beichtvater ernannt wird.
[116] Vgl. can. 265 CIC.
[117] Can. 1009 § 3 CIC.
[118] Franziskus, Ansprache. Begegnung mit Priestern und Gottgeweihten in Mailand (25. März 2017): AAS 109 (2017) 376.
[119] Ebd. 376-377.
[120] Lumen gentium, Nr. 29: AAS 57 (1965) 36.
[121] Paul VI., Ansprache. Internationaler Kongress über den Diakonat (25. Oktober 1965): Enchiridion sul Diaconato (2009), 147-148.
[122] Vgl. can. 150 CIC.
[123] Kongregation für die Glaubenslehre, Schreiben über die Beziehung zwischen hierarchischen und charismatischen Gaben im Leben und in der Sendung der Kirche Iuvenescit Ecclesia (15. Mai 2016) Nr. 21: Enchiridion Vaticanum 32 (2016) 734.
[124] Ebd., Nr. 22: Enchiridion Vaticanum 32 (2016) 738.
[125] Vgl. can. 573 § 1 CIC.
[126] Vgl. Kongregation für die Institute des geweihten Lebens und die Gesellschaften des apostolischen Lebens – Kongregation für die Bischöfe, Richtlinien für die Beziehungen zwischen den Bischöfen und den Ordensleuten in der Kirche Mutuae relationes (14. Mai 1978) Nrn. 10, 14 a): Enchiridion Vaticanum 6 (1977-1979) 604-605, 617-620; vgl. auch Apostolorum successores, Nr. 98: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004) 1803-1804.
[127] Vgl. Evangelii gaudium, Nr. 102: AAS 105 (2013) 1062-1063.
[128] Vgl. Christifideles laici, Nr. 23: AAS 81 (1989) 429.
[129] Evangelii gaudium, Nr. 201: AAS 105 (2013) 1104.
[130] Lumen gentium, Nr. 31: AAS 57 (1965) 37.
[131] Paul VI., Apostolisches Mahnschreiben Evangelii nuntiandi (8. Dezember 1975) Nr. 73: AAS 68 (1976) 61.
[132] Vgl. Evangelii gaudium, Nr. 81: AAS 105 (2013) 1053-1054.
[133] Vgl. can. 517 § 2 CIC.
[134] Vgl. Apostolorum successores, Nr. 215 c): Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004) 2105.
[135] Kongregation für den Klerus, [Interdikasteriale] Instruktion. Zu einigen Fragen über die Mitarbeit der Laien am Dienst der Priester Ecclesiae de mysterio (15. August 1997), Art. 4 § 1 a-b): AAS 89 (1997), 866-867; vgl. auch Apostolorum successores, Nr. 215 c): Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004) 2105. Wo das staatliche Gesetz es vorsieht, kommt diesem Priester auch die rechtliche Vertretung der Pfarrei sowohl gemäß kirchlichem als auch zivilem Recht zu.
[136] Vor der Anwendung des can. 517 § 2 muss der Diözesanbischof umsichtig Alternativen abwägen, wie beispielsweise den Einsatz älterer Priester, die noch fähig sind, Dienst zu tun, die Übertragung mehrerer Pfarreien an einen einzigen Pfarrer oder an eine Gruppe von Priestern, die solidarisch die Hirtensorge ausüben.
[137] Vgl. Ecclesiae de mysterio, Art. 4 § 1 b): AAS 89 (1997) 866-867, und Kongregation für den Klerus, Instruktion. Der Priester, Hirte und Leiter der Pfarrgemeinde (4. August 2002), Nrn. 23 und 25. Es handelt sich vor allem um „eine Zusammenarbeit auf Zeit im Hinblick auf die Ausübung der Hirtensorge für die Pfarrei“; vgl. Nr. 23: Enchiridion Vaticanum 21 (2002) 834-836.
[138] Vgl. Der Priester, Hirte und Leiter der Pfarrgemeinde, Nr. 25: Enchiridion Vaticanum 21 (2002) 836.
[139] Can. 517 § 2 CIC.
[140] Der Priester, Hirte und Leiter der Pfarrgemeinde, Nr. 23: Enchiridion Vaticanum 21 (2002) 834.
[141] Vgl. Ecclesiae de mysterio, Art. 1 § 3: AAS 89 (1997) 863.
[142] Vgl. Der Priester, Hirte und Leiter der Pfarrgemeinde, Nr. 23: Enchiridion Vaticanum 21 (2002) 835.
[143] Vgl. Apostolorum successores, Nr. 112: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004) 1843.
[144] Es ist daran zu erinnern, dass über die dem Lektorendienst eigenen Aufgaben hinaus zu den liturgischen Funktionen, die der Diözesanbischof nach Anhörung der Bischofskonferenz vorübergehend den Laien, Männer und Frauen, übertragen kann, auch der Dienst am Altar gemäß den entsprechenden kanonischen Normen gehört. Vgl. Päpstlicher Rat für die Interpretation der Gesetzestexte, Antwort (11. Juli 1992), AAS 86 (1994) 541; Kongregation für den Gottesdienst und die Disziplin der Sakramente, Rundbrief (15. März 1994), AAS 86 (1994) 541-542.
[145] Vgl. can. 205 CIC.
[146] Vgl. can. 230 § 1 CIC.
[147] In dem Dokument, mit dem der Bischof die oben erwähnten Aufgaben Diakonen oder Laien überträgt, soll er in klarer Weise die Funktionen, die sie ausüben können, und die Dauer des Dienstes festlegen.
[148] Can. 1248 § 2 CIC.
[149] Can. 861 § 1 CIC.
[150] Can. 766 CIC.
[151] Ecclesiae de mysterio, Art. 3 § 4: AAS 89 (1997) 865.
[152] Vgl. can. 767 § 1 CIC; Ecclesiae de mysterio, Art. 3 § 1: AAS 89 (1997) 864.
[153] Can. 1112 § 1 CIC; vgl. Johannes Paul II., Apostolische Konstitution Pastor Bonus (28. Juni 1998), Art. 63: AAS 80 (1988) 876, hinsichtlich der Kompetenzen der Kongregation für den Gottesdienst und die Disziplin der Sakramente.
[154] Franziskus, Tagesmeditation in Santa Marta (21. Oktober 2013): L’Osservatore Romano 242 (21.-22. Oktober 2013) 8.
[155] Vgl. cann. 537 und 1280 CIC.
[156] Gemäß can. 532 CIC ist der Pfarrer für das Pfarrvermögen verantwortlich, auch wenn er für dessen Verwaltung von der Zusammenarbeit mit Fachleuten Gebrauch machen muss.
hierbei auf die Zusammenarbeit mit Fachleuten verwiesen ist.
[157] Vgl. cann. 115 § 2 und analog 492 § 1 CIC.
[158] Vgl. can. 537 CIC und Apostolorum successores, Nr. 210: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004) 2087.
[159] Vgl. cann. 517 und 526 CIC.
[160] Vgl. can. 1287 § 1 CIC.
[161] Vgl. can. 536 § 1 CIC.
[162] Franziskus, Ansprache. Begegnung mit dem Klerus, mit Gottgeweihten und mit Mitgliedern von Pastoralräten in Assisi (4. Oktober 2013): Insegnamenti I/2 (2013) 328.
[163] Ders, Homilie. Heilige Messe Hochfest Pfingsten (4. Juni 2017): AAS 109 (2017) 711,
[164] Vgl. Lumen gentium, Nr. 10: AAS 57 (1965) 14.
[165] Vgl. Kongregation für den Klerus, Rundschreiben Omnes christifideles (25. Januar 1973), Nrn. 4 und 9; Enchiridion Vaticanum 4 (1971-1973) 1199-1201 und 1207-1209; Christifideles laici, Nr. 27: AAS 81 (1989) 440-441.
[166] Franziskus, Generalaudienz (23. Mai 2018).
[167] Paul VI., Apostolisches Schreiben Motu Proprio Ecclesiae Sanctae (6. August 1966) I 16 § 1: AAS 58 (1966) 766; vgl. can. 511 CIC.
[168] Evangelii gaudium, Nr. 31: AAS 105 (2013) 1033.
[169] Vgl. can. 536 § 2 CIC.
[170] Vgl. can. 212 § 3 CIC.
[171] Can. 536 § 2 CIC.
[172] Vgl. Der Priester, Hirte und Leiter der Pfarrgemeinde, Nr. 26: Enchiridion Vaticanum 21 (2002) 843.
[173] Vgl. can. 516 § 1 CIC.
[174] Vgl. can. 515 § 2 CIC.
[175] Vgl. can. 516 § 2 CIC.
[176] Vgl. cann. 1214, 1223 und 1225 CIC.
[177] Vgl. cann. 848 und 1264 2°, ebenso 945-958 CIC und Kongregation für den Klerus, Dekret Mos iugiter (22. Februar 1991), von Johannes Paul II. in forma specifica approbiert: Enchiridion Vaticanum 13 (1991-1993) 6-28.
[178] Can. 946 CIC.
[179] Can. 947 CIC.
[180] Can. 945 § 2 CIC.
[181] Franziskus, Postsynodales Apostolisches Mahnschreiben Christus vivit (25. März 2019), Vatikanstadt 2019, Nr. 231.
[182] Ders, Ansprache. Begegnung mit den polnischen Bischöfen in Krakau (27. Juli 2016): AAS 108 (2016) 893.
[183] Ders., Botschaft anlässlich des Weltmissionssonntags 2017 (4. Juni 2017) Nr. 10: AAS 109 (2017) 764.
[00886-DE.01] [Originalsprache: Deutsch]
Testo in lingua spagnola
Instrucción
La conversión pastoral
de la comunidad parroquial al servicio de la misión evangelizadora de la Iglesia
Introducción
1. La reflexión eclesiológica del Concilio Vaticano II y los notables cambios sociales y culturales de los últimos decenios han inducido, a diversas Iglesias particulares, a reorganizar la forma de encomendar la cura pastoral de las comunidades parroquiales. Esto ha permitido iniciar experiencias nuevas, valorando la dimensión de la comunión y realizando, bajo la guía de los pastores, una síntesis armónica de carismas y vocaciones al servicio del anuncio del Evangelio, que corresponda mejor a las actuales exigencias de la evangelización.
El Papa Francisco, al inicio de su ministerio, recordaba la importancia de la “creatividad”, que significa «buscar caminos nuevos», o sea «buscar el camino para que el Evangelio sea anunciado»; al respecto, concluía el Santo Padre, «la Iglesia, también el Código de Derecho Canónico nos da tantas, tantas posibilidades, tanta libertad para buscar estas cosas»[1].
2. Las situaciones descritas por esta Instrucción representan una preciosa ocasión para la conversión pastoral en sentido misionero. Es, ciertamente, una invitación a las comunidades parroquiales a salir de sí mismas, ofreciendo instrumentos para una reforma, incluso estructural, orientada a un estilo de comunión y de colaboración, de encuentro y de cercanía, de misericordia y de solicitud por el anuncio del Evangelio.
I. La conversión pastoral
3 La conversión pastoral es uno de los temas fundamentales en la “nueva etapa evangelizadora”[2] que hoy la Iglesia está llamada a promover, para que las comunidades cristianas sean centros que impulsen cada vez más el encuentro con Cristo.
Por ello, el Santo Padre indica: «Si algo debe inquietarnos santamente y preocupar nuestra conciencia, es que tantos hermanos nuestros vivan sin la fuerza, la luz y el consuelo de la amistad con Jesucristo, sin una comunidad de fe que los contenga, sin un horizonte de sentido y de vida. Más que el temor a equivocarnos, espero que nos mueva el temor a encerrarnos en las estructuras que nos dan una falsa contención, en las normas que nos vuelven jueces implacables, en las costumbres donde nos sentimos tranquilos, mientras afuera hay una multitud hambrienta y Jesús nos repite sin cansarse: “¡Dadles vosotros de comer!” (Mc 6,37)»[3].
4. Impulsada por esta santa inquietud, la Iglesia, «fiel a su propia tradición y consciente a la vez de la universalidad de su misión, puede entrar en comunión con las diversas formas de cultura; comunión que enriquece al mismo tiempo a la propia Iglesia y a las diferentes culturas»[4]. En efecto, el encuentro fecundo y creativo del Evangelio y la cultura conduce a un verdadero progreso: por una parte, la Palabra de Dios se encarna en la historia de la humanidad, renovándola; por otra, «la Iglesia […] puede enriquecerse, y de hecho se enriquece también, con la evolución de la vida social»[5], al punto de profundizar la misión confiada por Cristo, para expresarla mejor en el tiempo en que vive.
5. La Iglesia anuncia que el Verbo «se hizo carne y habitó entre nosotros» (Jn 1, 14). Esta Palabra de Dios, que ama morar entre los hombres, en su inagotable riqueza[6] ha sido acogida en el mundo entero por diversos pueblos, promoviendo sus más nobles aspiraciones, entre otras el deseo de Dios, la dignidad de la vida de cada persona, la igualdad entre los seres humanos y el respeto por las diferencias dentro de la única familia humana, el diálogo como instrumento de participación, el anhelo de la paz, la acogida como expresión de fraternidad y solidaridad, la tutela responsable de la creación[7].
Es impensable, por tanto, que tal novedad, cuya difusión hasta los confines del mundo aún no ha sido completada, se desvanezca o, peor aún, se disuelva[8]. Para que el camino de la Palabra continúe, se requiere que en las comunidades cristianas se adopte una decidida opción misionera, «capaz de transformarlo todo, para que las costumbres, los estilos, los horarios, el lenguaje y toda estructura eclesial se convierta en un cauce adecuado para la evangelización del mundo actual más que para la autopreservación»[9].
II. La parroquia en el contexto contemporáneo
6. Esta conversión misionera, que conduce naturalmente también a una reforma de las estructuras, implica en modo particular a la parroquia, comunidad convocada en torno a la Mesa de la Palabra y de la Eucaristía.
La parroquia posee una larga historia y ha tenido desde los inicios un rol fundamental en la vida de los cristianos y en el desarrollo y en la acción pastoral de la Iglesia; ya en los escritos de San Pablo se puede entrever la primera intuición de ella. Algunos textos paulinos, en efecto, muestran la constitución de pequeñas comunidades como Iglesias domésticas, identificadas por el Apóstol simplemente con el término “casa” (cfr., por ejemplo, Rm 16, 3-5; 1 Cor 16, 19-20; Fil 4, 22). En estas “casas” se puede reconocer el nacimiento de las primeras “parroquias”.
7. Desde su surgimiento, por tanto, la parroquia se plantea como respuesta a una precisa exigencia pastoral: acercar el Evangelio al pueblo a través del anuncio de la fe y de la celebración de los sacramentos. La misma etimología del término hace comprensible el sentido de la institución: la parroquia es una casa en medio de las casas[10] y responde a la lógica de la Encarnación de Jesucristo, vivo y activo en la comunidad humana. Así pues, visiblemente representada por el edificio de culto, es signo de la presencia permanente del Señor Resucitado en medio de su Pueblo.
8. La configuración territorial de la parroquia, sin embargo, hoy está llamada a confrontarse con una característica peculiar del mundo contemporáneo, en el cual la creciente movilidad y la cultura digital han dilatado los confines de la existencia. Por una parte, la vida de las personas se identifica cada vez menos con un contexto definido e inmutable, desenvolviéndose más bien en “una aldea global y plural”; por otra, la cultura digital ha modificado de manera irreversible la comprensión tanto del espacio como del lenguaje y los comportamientos de las personas, especialmente de las generaciones jóvenes.
Además, es fácil hipotetizar que el constante desarrollo de la tecnología modificará ulteriormente el modo de pensar y la comprensión que el ser humano tendrá de sí mismo y de la vida social. La rapidez de los cambios, el sucederse de los modelos culturales, la facilidad de los traslados y la velocidad de la comunicación están transformando la percepción del espacio y del tiempo.
9. La parroquia, como comunidad viva de creyentes, está inserta en este contexto, en el cual el vínculo con el territorio tiende a ser siempre menos perceptible, los lugares de pertenencia se multiplican y las relaciones interpersonales corren el riesgo de disolverse en el mundo virtual, sin compromiso ni responsabilidad hacia el propio contexto relacional.
10. Hoy se advierte que tales variaciones culturales y la cambiante relación con el territorio están promoviendo en la Iglesia, gracias a la presencia del Espíritu Santo, un nuevo discernimiento comunitario, «que consiste en el ver la realidad con los ojos de Dios, en la óptica de la unidad y de la comunión»[11]. Es, por ello, urgente involucrar a todo el Pueblo de Dios en el esfuerzo de acoger la invitación del Espíritu, para llevar a cabo procesos de “rejuvenecimiento” del rostro de la Iglesia.
III. El valor de la parroquia hoy
11. En virtud de dicho discernimiento, la parroquia está llamada a acoger los desafíos del tiempo presente, para adecuar su propio servicio a las exigencias de los fieles y de los cambios históricos. Es preciso un renovado dinamismo, que permita redescubrir la vocación de cada bautizado a ser discípulo de Jesús y misionero del Evangelio, a la luz de los documentos del Concilio Vaticano II y del Magisterio posterior.
12. Los Padres conciliares, en efecto, escribían con amplitud de miras: «El cuidado de las almas ha de estar animado por el espíritu misionero»[12]. En continuidad con esta enseñanza, San Juan Pablo II precisaba: «La parroquia ha de ser perfeccionada e integrada en muchas otras formas, pero ella sigue siendo todavía un organismo indispensable de primaria importancia en las estructuras visibles de la Iglesia», para «hacer de la evangelización el pivote de toda la acción pastoral, cual exigencia prioritaria, preminente y privilegiada»[13]. Luego, Benedicto XVI enseñaba que «la parroquia es un faro que irradia la luz de la fe y así responde a los deseos más profundos y verdaderos del corazón del hombre, dando significado y esperanza a la vida de las personas y de las familias»[14]. Finalmente, el Papa Francisco recuerda que «a través de todas sus actividades, la parroquia alienta y forma a sus miembros para que sean agentes de evangelización»[15].
13. Para promover la centralidad de la presencia misionera de la comunidad cristiana en el mundo[16], es importante replantear no solo una nueva experiencia de parroquia, sino también, en ella, el ministerio y la misión de los sacerdotes, que, junto con los fieles laicos, tienen la tarea de ser “sal y luz del mundo” (cfr. Mt 5, 13-14), “lámpara sobre el candelero” (cfr. Mc 4, 21), mostrando el rostro de una comunidad evangelizadora, capaz de una adecuada lectura de los signos de los tiempos, que genera un testimonio coherente de vida evangélica.
14. A partir precisamente de la consideración de los signos de los tiempos, a la escucha del Espíritu es necesario también generar nuevos signos: habiendo dejado de ser, como en el pasado, el lugar primario de reunión y de sociabilidad, la parroquia está llamada a encontrar otras modalidades de cercanía y de proximidad respecto a las formas habituales de vida. Esta tarea no constituye una carga a soportar, sino un desafío para ser acogido con entusiasmo.
15. Los discípulos del Señor, siguiendo a su Maestro, en la escuela de los Santos y de los Pastores, han aprendido, a veces a través de duras experiencias, a saber esperar los tiempos y los modos de Dios, a alimentar la certeza que Él está siempre presente hasta el final de la historia, y que el Espíritu Santo – corazón que hace latir la vida de la Iglesia – reúne los hijos de Dios dispersos por el mundo. Por eso, la comunidad cristiana no debe tener temor a iniciar y acompañar procesos dentro de un territorio en el que habitan culturas diversas, con la confiada certeza que para los discípulos de Cristo «nada hay genuinamente humano que no encuentre eco en su corazón»[17].
IV. La misión, criterio guía para la renovación
16. En las transformaciones en curso, la parroquia algunas veces, a pesar de su generoso esfuerzo, no consigue responder adecuadamente a muchas de las expectativas de los fieles, especialmente si se consideran los múltiples tipos de comunidad existentes[18]. Es verdad que una característica de la parroquia es su radicación allí donde cada uno vive cotidianamente. Sin embargo, especialmente hoy, el territorio ya no es solo un espacio geográficamente delimitado, sino el contexto donde cada uno desarrolla su propia vida, conformada por relaciones, servicio recíproco y antiguas tradiciones. Es en este “territorio existencial” donde se juega por completo el desafío de la Iglesia en medio de la comunidad. Parece superada, por tanto, una pastoral que mantiene el campo de acción exclusivamente dentro de los límites territoriales de la parroquia, cuando a menudo son precisamente los parroquianos quienes ya no comprenden esta modalidad, que parece marcada por la nostalgia del pasado, más que inspirada en la audacia por el futuro[19]. Por otra parte, es bueno precisar que, en el ámbito canónico, el principio territorial permanece plenamente vigente, cuando así lo exige el derecho[20].
17. Además, la mera repetición de actividades sin incidencia en la vida de las personas concretas, resulta un intento estéril de supervivencia, a menudo acogido con una general indiferencia. Si no vive del dinamismo espiritual propio de la evangelización, la parroquia corre el riesgo de hacerse autorreferencial y de esclerotizarse, proponiendo experiencias desprovistas de sabor evangélico y de impulso misionero, tal vez destinadas solo a pequeños grupos.
18. La renovación de la evangelización requiere nuevas tareas y propuestas pastorales diversificadas, para que la Palabra de Dios y la vida sacramental puedan alcanzar a todos, de manera coherente con el estado de vida de cada uno. De hecho, hoy la pertenencia eclesial prescinde cada vez más del lugar donde los fieles han nacido o se han criado, y se orienta más bien hacia una comunidad de adopción[21], donde estos hacen una experiencia más amplia del Pueblo de Dios, de un cuerpo que se articula en muchos miembros, donde cada uno obra para el bien de todo el organismo (cfr. 1 Cor 12, 12-27).
19. Más allá de los lugares y de las razones de pertenencia, la comunidad parroquial es el contexto humano donde se realiza la acción evangelizadora de la Iglesia, se celebran los sacramentos y se vive la caridad, en un dinamismo misionero que – además de ser un elemento intrínseco de la acción pastoral – llega a ser el criterio de verificación de su autenticidad. En la hora presente, caracterizada a veces por situaciones de marginación y soledad, la comunidad parroquial está llamada a ser signo vivo de la cercanía de Cristo, a través de una red de relaciones fraternas, proyectadas hacia las nuevas formas de pobreza.
20. Sobre la base de lo dicho hasta ahora, es necesario identificar perspectivas que permitan la renovación de las estructuras parroquiales “tradicionales” en clave misionera. Este es el corazón de la deseada conversión pastoral, que debe afectar al anuncio de la Palabra de Dios, la vida sacramental y el testimonio de la caridad; esto es, a los ámbitos esenciales en los que la parroquia crece y se conforma con el Misterio en el que cree.
21. Recorriendo los Hechos de los Apóstoles, se pone de manifiesto el protagonismo de la Palabra de Dios, fuerza interior que realiza la conversión de los corazones. Ella es la comida que alimenta a los discípulos del Señor y los hace testigos del Evangelio en las distintas condiciones de vida. La Escritura contiene una fuerza profética que la hace siempre viva. Se requiere, por tanto, que la parroquia eduque la lectura y la meditación de la Palabra de Dios, a través de propuestas diversificadas de anuncio[22], asumiendo formas de comunicación claras y comprensibles, que revelen al Señor Jesús según el testimonio siempre nuevo del kerygma[23].
22. La celebración del misterio eucarístico es « fuente y cumbre de toda la vida cristiana»[24] y, por tanto, el momento sustancial de la constitución de la comunidad parroquial. En ella, la Iglesia se hace consciente del significado de su propio nombre: convocación del Pueblo de Dios que alaba, suplica, intercede y agradece. Al celebrar la Eucaristía, la comunidad cristiana acoge la presencia viva del Señor Crucificado y Resucitado, recibiendo el anuncio de todo su misterio de salvación.
23. En consecuencia, la Iglesia advierte la necesidad de redescubrir la iniciación cristiana, que genera una nueva vida, porque se inserta en el misterio de la vida misma de Dios. Es un camino que no tiene interrupción, ni está vinculado solo a celebraciones o a eventos, porque no se ciñe principalmente al deber de realizar un “rito de paso”, sino únicamente a la perspectiva del permanente seguimiento de Cristo. En este contexto, puede ser útil establecer itinerarios mistagógicos que realmente afecten a la existencia[25]. La catequesis también deberá presentarse como un anuncio continuo del Misterio de Cristo, para hacer crecer en el corazón de los bautizados la estatura de Cristo (cfr. Ef 4, 13), a través de un encuentro personal con el Señor de la vida.
Como recordaba el Papa Francisco, se requiere «llamar la atención acerca de dos falsificaciones de la santidad que podrían desviarnos del camino: el gnosticismo y el pelagianismo. Son dos herejías que surgieron en los primeros siglos cristianos, pero que siguen teniendo alarmante actualidad»[26]. En el caso del gnosticismo, se trata de una fe abstracta, solo intelectual, hecha de conocimientos que permanecen lejanos a la vida, mientras que el pelagianismo induce al ser humano a contar solo con sus propias fuerzas, ignorando la acción del Espíritu.
24. En el misterioso entrelazarse de la acción de Dios y la del ser humano, la proclamación del Evangelio se lleva a cabo a través de hombres y mujeres que hacen creíble con su vida lo que anuncian, en una red de relaciones interpersonales que generan confianza y esperanza. En el período actual, a menudo marcado por la indiferencia, el aislamiento del individuo en sí mismo y el rechazo de los demás, el redescubrimiento de la fraternidad es fundamental, ya que la evangelización está estrechamente vinculada a la calidad de las relaciones humanas[27]. Así, la comunidad cristiana hace suya la palabra de Jesús, que impulsa a «remar mar adentro» (Lc 5, 4), en la confianza de que la invitación del Maestro a echar las redes le garantiza la certeza de una “pesca abundante” [28].
25. La “cultura del encuentro” es el contexto que promueve el diálogo, la solidaridad y la apertura a todos, resaltando la centralidad de la persona. Es necesario, por tanto, que la parroquia sea un “lugar” que favorezca el “estar juntos” y el crecimiento de relaciones personales duraderas, que permitan a cada uno percibir el sentido de pertenencia y ser amado.
26. La comunidad parroquial está llamada a desarrollar un verdadero “arte de la cercanía”. Si esta tiene raíces profundas, la parroquia realmente se convierte en el lugar donde se supera la soledad, que afecta la vida de tantas personas, así como en un «santuario donde los sedientos van a beber para seguir caminando, y centro de constante envío misionero»[29].
V. “Comunidad de comunidades”:
la parroquia inclusiva, evangelizadora y atenta a los pobres
27. El sujeto de la acción misionera y evangelizadora de la Iglesia es siempre el Pueblo de Dios en su conjunto. De hecho, el Código de Derecho Canónico resalta que la parroquia no se identifica con un edificio o un conjunto de estructuras, sino con una determinada comunidad de fieles, en la cual el párroco es el pastor propio[30]. Al respecto, el Papa Francisco recuerda que «La parroquia es presencia eclesial en el territorio, ámbito de la escucha de la Palabra, del crecimiento de la vida cristiana, del diálogo, del anuncio, de la caridad generosa, de la adoración y de la celebración», y afirma que ella «es comunidad de comunidades»[31].
28. Los diferentes componentes en los que la parroquia se articula están llamados a la comunión y a la unidad. En la medida en que cada uno, habiendo recibido su propia complementariedad, la pone al servicio de la comunidad, por un lado, se puede apreciar la plena realización del ministerio como pastores tanto del párroco como de los sacerdotes que colaboran y, por otro, emerge la peculiaridad de los diversos carismas de los diáconos, las personas consagradas y los laicos, para que cada uno trabaje en la construcción del único cuerpo (cfr. 1 Cor 12,12).
29. La parroquia, por tanto, es una comunidad convocada por el Espíritu Santo, para anunciar la Palabra de Dios y hacer renacer nuevos hijos en la fuente bautismal; reunida por su pastor, celebra el memorial de la pasión, muerte y resurrección del Señor, y da testimonio de la fe en la caridad, viviendo en un estado permanente de misión, para que a nadie le falte el mensaje salvador, que da la vida.
Al respecto, el Papa Francisco se expresa así: «La parroquia no es una estructura caduca; precisamente porque tiene una gran plasticidad, puede tomar formas muy diversas que requieren la docilidad y la creatividad misionera del Pastor y de la comunidad. Aunque ciertamente no es la única institución evangelizadora, si es capaz de reformarse y adaptarse continuamente, seguirá siendo “la misma Iglesia que vive entre las casas de sus hijos y de sus hijas”. Esto supone que realmente esté en contacto con los hogares y con la vida del pueblo, y no se convierta en una prolija estructura separada de la gente o en un grupo de selectos que se miran a sí mismos. […] Pero tenemos que reconocer que el llamado a la revisión y renovación de las parroquias todavía no ha dado suficientes frutos, en orden a que estén todavía más cerca de la gente, que sean ámbitos de viva comunión y participación, y se orienten completamente a la misión»[32].
30. No pueden ser ajenos a la parroquia el “estilo espiritual y eclesial de los santuarios” – verdaderos y propios “puestos de avanzada misionera” – caracterizado por la acogida, la vida de oración y el silencio que da descanso al espíritu, así como por la celebración del sacramento de la reconciliación y el servicio a los pobres. Las peregrinaciones que las comunidades parroquiales realizan a diversos santuarios son medios preciosos para crecer en comunión fraterna y, al regresar a casa, hacen que los espacios de vida cotidiana sean más abiertos y acogedores[33].
31. En este sentido, se puede decir que el santuario reúne el conjunto de características y de servicios que, análogamente, también una parroquia debe tener, representando para muchos creyentes la meta deseada de su búsqueda interior y el lugar donde se encuentra con el rostro de Cristo misericordioso y con una Iglesia acogedora.
En los santuarios pueden redescubrir “la unción del Santo” (1 Jn 2,20), es decir, su propia consagración bautismal. En estos lugares se aprende a celebrar con fervor, en la liturgia, el misterio de la presencia de Dios en medio de su pueblo, la belleza de la misión evangelizadora de cada bautizado y la llamada a traducirla en caridad en los lugares donde cada uno vive[34].
32. La parroquia, como “santuario” abierto a todos y llamada a llegar a todos sin excepción, recuerda que los pobres y los excluidos siempre deben tener un lugar privilegiado en el corazón de la Iglesia. Como afirmaba Benedicto XVI: «Los pobres son los destinatarios privilegiados del Evangelio»[35]. A su vez, el Papa Francisco ha escrito que «la nueva evangelización es una invitación a reconocer la fuerza salvífica de sus vidas y a ponerlos en el centro del camino de la Iglesia. Estamos llamados a descubrir a Cristo en ellos, a prestarles nuestra voz en sus causas, pero también a ser sus amigos, a escucharlos, a interpretarlos y a recoger la misteriosa sabiduría que Dios quiere comunicarnos a través de ellos»[36].
33. A menudo, la comunidad parroquial es el primer lugar de encuentro humano y personal de los pobres con el rostro de la Iglesia. En particular, los sacerdotes, los diáconos y las personas consagradas son quienes deben mostrar compasión por la “carne herida”[37] de los hermanos, visitándolos en la enfermedad, apoyando a las personas y familias sin trabajo, abriendo la puerta a todos cuantos pasan alguna necesidad. Con la mirada puesta en los últimos, la comunidad parroquial evangeliza y se deja evangelizar por los pobres, redescubriendo así la implicación social del anuncio en sus diferentes ámbitos[38], sin olvidar la “regla suprema” de la caridad, en base a la cual seremos juzgados[39].
VI. De la conversión de las personas a la de las estructuras
34. En su proceso de renovación y reestructuración, la parroquia debe evitar el riesgo de caer en una excesiva y burocrática organización de eventos y en un ofrecimiento de servicios, que no responden a la dinámica de la evangelización, sino al criterio de autoconservación[40].
Citando a San Pablo VI, el Papa Francisco, con su habitual parresia, ha hecho presente que «la Iglesia debe profundizar en la conciencia de sí misma, debe meditar sobre el misterio que le es propio […] Hay estructuras eclesiales que pueden llegar a condicionar un dinamismo evangelizador; igualmente las buenas estructuras sirven cuando hay una vida que las anima, las sostiene y las juzga. Sin vida nueva y auténtico espíritu evangélico, sin “fidelidad de la Iglesia a la propia vocación”, cualquier estructura nueva se corrompe en poco tiempo»[41].
35. La conversión de las estructuras, que la parroquia debe proponerse, requiere en primer lugar un cambio de mentalidad y una renovación interior, sobre todo de aquellos que están llamados a la responsabilidad de la guía pastoral. Para ser fieles al mandato de Cristo, los pastores, y en modo particular los párrocos, “principales colaboradores del Obispo”[42], deben advertir con urgencia la necesidad de una reforma misionera de la pastoral.
36. Teniendo presente cuánto la comunidad cristiana está vinculada con su propia historia y con sus afectos, cada pastor no debe olvidar que la fe del Pueblo de Dios está en relación con la memoria tanto familiar como comunitaria. Con mucha frecuencia, el lugar sagrado evoca momentos significativos de la vida de las generaciones pasadas, rostros y eventos que han marcado itinerarios personales y familiares. Para evitar traumas y heridas, es importante que los procesos de reestructuración de las comunidades parroquiales y, a veces, también diocesanas, se realicen con flexibilidad y gradualidad.
En referencia a la reforma de la Curia Romana, el Papa Francisco hace hincapié en que la gradualidad «es el resultado del indispensable discernimiento que implica un proceso histórico, plazo de tiempo y de etapas, verificación, correcciones, pruebas, aprobaciones “ad experimentum”. En estos casos, por lo tanto, no se trata de indecisión sino de flexibilidad necesaria para lograr una verdadera reforma»[43]. Se trata de estar atentos a no “forzar los tiempos”, queriendo llevar a cabo las reformas apresuradamente y con criterios genéricos, que obedecen a razones elaboradas “en un escritorio”, olvidando a las personas concretas que habitan en el territorio. De hecho, cada proyecto debe situarse en la vida real de una comunidad e insertarse en ella sin traumas, con una necesaria fase previa de consultas; luego, su implementación progresiva y, finalmente, una evaluación.
37. Esta renovación, por supuesto, no solo concierne al párroco, ni puede ser impuesta desde arriba, excluyendo al Pueblo de Dios. La conversión pastoral de las estructuras implica la conciencia de que «el Santo Pueblo fiel de Dios está ungido con la gracia del Espíritu Santo; por tanto, a la hora de reflexionar, pensar, evaluar, discernir, debemos estar muy atentos a esta unción. Cada vez que como Iglesia, como pastores, como consagrados, hemos olvidado esta certeza, erramos el camino. Cada vez que intentamos suplantar, acallar, ningunear, ignorar o reducir a pequeñas elites al Pueblo de Dios en su totalidad y diferencias, construimos comunidades, planes pastorales, acentuaciones teológicas, espiritualidades, estructuras sin raíces, sin historia, sin rostros, sin memoria, sin cuerpo; en definitiva, sin vida. Desenraizarnos de la vida del pueblo de Dios nos precipita a la desolación y perversión de la naturaleza eclesial»[44].
En este sentido, el clero no realiza solo la transformación requerida por el Espíritu Santo, sino que está involucrado en la conversión que concierne a todos los miembros del Pueblo de Dios[45]. Por tanto, se requiere «buscar consciente y lúcidamente espacios de comunión y participación, para que la Unción del Pueblo de Dios encuentre sus mediaciones concretas para manifestarse»[46].
38. En consecuencia, es evidente cuán oportuno es superar tanto una concepción autorreferencial de la parroquia, como una “clericalización de la atención pastoral”. Tomar en serio el hecho de que el Pueblo de Dios «tiene por condición la dignidad y la libertad de los hijos de Dios, en cuyos corazones habita el Espíritu Santo como en un templo»[47], impulsa a promover prácticas y modelos a través de los cuales cada bautizado, en virtud del don del Espíritu Santo y de los carismas recibidos, se convierte en protagonista activo de la evangelización, con el estilo y con las modalidades de una comunión orgánica, tanto con las otras comunidades parroquiales como con la pastoral de conjunto de la diócesis. De hecho, toda la comunidad es el sujeto responsable de la misión, ya que la Iglesia no se identifica solamente con la jerarquía, sino que se constituye como el Pueblo de Dios.
39. Será tarea de los pastores mantener viva esta dinámica, para que cada bautizado se considere un protagonista activo de la evangelización. La comunidad presbiteral, siempre en camino de formación permanente[48], tendrá que ejercer con sabiduría el arte del discernimiento que permita que la vida parroquial crezca y madure, en el reconocimiento de las diferentes vocaciones y ministerios. El presbítero, por tanto, como miembro y servidor del Pueblo de Dios que le ha sido confiado, no puede reemplazarlo. La comunidad parroquial está facultada para proponer formas de ministerialidad, de anuncio de la fe y de testimonio de caridad.
40. La centralidad del Espíritu Santo – don gratuito del Padre y del Hijo a la Iglesia – lleva a vivir profundamente la dimensión de la gratuidad, según la enseñanza de Jesús: «Gratis habéis recibido, dad gratis» (Mt 10, 8). Él enseñaba a sus discípulos una actitud de generoso servicio, a ser cada uno un don para los demás (cfr. Jn 13,14-15), con una opción preferencial por los pobres. De ahí, entre otras cosas, se deriva la exigencia de no “negociar” con la vida sacramental y de no dar la impresión de que la celebración de los sacramentos – especialmente de la Santísima Eucaristía – y las otras acciones ministeriales pueden estar sujetas a tarifas.
Por otra parte, el pastor, que sirve al rebaño con generosa gratuidad, debe formar a los fieles, a fin de que cada miembro de la comunidad se sienta responsable y directamente involucrado en sustentar las necesidades de la Iglesia, a través de las diversas formas de ayuda y solidaridad que la parroquia necesita para llevar a cabo, con libertad y eficacia, su servicio pastoral.
41. La misión a la que está llamada la parroquia, en cuanto centro impulsor de la evangelización, concierne a todo el Pueblo de Dios en sus diversos componentes: presbíteros, diáconos, personas consagradas y fieles laicos, cada uno según su propio carisma y las responsabilidades que le corresponden.
VII. La Parroquia y las otras divisiones internas de la diócesis
42. La conversión pastoral de la comunidad parroquial en sentido misionero toma forma y se expresa en un proceso gradual de renovación de las estructuras y, en consecuencia, en diferentes formas de confiar la cura pastoral y la participación en el ejercicio de ella, que involucran a todos los componentes del Pueblo de Dios.
43. En el lenguaje actual, tomado de los documentos del Magisterio, en relación con la división interna del territorio diocesano[49], desde hace algunas décadas, a la parroquia y a las vicarías foráneas, ya previstas por el Código de Derecho Canónico vigente[50], se han agregado expresiones como “unidad pastoral” y “zona pastoral”. Estas denominaciones, de hecho, definen formas de organización pastoral de la diócesis, que reflejan una nueva relación entre los fieles y el territorio.
44. En el tema de las “unidades” o “zonas pastorales”, obviamente nadie piense que la solución a los múltiples problemas de la hora presente se encuentre en una simple nueva denominación de realidades ya existentes. En el corazón de este proceso de renovación, evitando sufrir el cambio y comprometerse más bien a promoverlo y orientarlo, se encuentra, por el contrario, la exigencia de identificar estructuras a través de las cuales reavivar la vocación común a la evangelización en todos los componentes de la comunidad cristiana, en orden a una más eficaz cura pastoral del Pueblo de Dios, en el cual el “factor clave” solo puede ser la proximidad.
45. En esta perspectiva, la normativa canónica destaca la necesidad de identificar distintas partes territoriales dentro de cada diócesis[51], con la posibilidad de que posteriormente ellas se reagrupen en realidades intermedias entre la diócesis y la parroquia. Como consecuencia de esto, teniendo en cuenta las dimensiones de la diócesis y su realidad pastoral concreta, se pueden dar varios tipos de agrupaciones de parroquias[52].
En el corazón de estas vive y actúa la dimensión comunitaria de la Iglesia, con una particular atención al territorio concreto, de modo que en su erección debe tenerse en cuenta tanto como sea posible la homogeneidad de la población y sus costumbres, así como las características comunes del territorio, para facilitar la relación de cercanía entre los párrocos y los otros agentes pastorales[53].
VII.a. Cómo proceder a la erección de una agrupación de parroquias
46. Antes de proceder a la erección de una agrupación de parroquias, el Obispo ha de consultar necesariamente al Consejo presbiteral[54], conforme a la normativa canónica y en nombre de la debida corresponsabilidad eclesial, compartida a diferente título por el Obispo y por los miembros de dicho Consejo.
47. En primer lugar, las agrupaciones de varias parroquias pueden realizarse simplemente en forma de federaciones, de modo que las parroquias asociadas permanezcan distintas en su propia identidad.
De acuerdo con el ordenamiento canónico, al establecer cualquier tipo de agrupación de parroquias vecinas, se entiende que deben ser respetados los elementos esenciales establecidos por el derecho universal para la persona jurídica de la parroquia, los cuales no son dispensables por el Obispo[55]. Él deberá emitir un decreto específico para cada parroquia que quiera suprimir, en el que consten los motivos pertinentes[56].
48. A la luz de lo anteriormente expuesto, la agrupación, así como la erección o supresión de parroquias, debe ser realizado por el Obispo diocesano en el respeto de la normativa prevista por el Derecho Canónico, es decir: mediante incorporación, por la cual una parroquia confluye en otra, siendo absorbida y perdiendo su originaria individualidad y personalidad jurídica; o, también, por medio de una verdadera y propia fusión, que da vida a una nueva y única parroquia, con la consiguiente extinción de las parroquias preexistentes y de su personalidad jurídica; o, finalmente, mediante la división de una comunidad parroquial en varias parroquias autónomas, que son creadas ex novo[57].
Además, la supresión de parroquias por unión extintiva es legítima por causas directamente relacionadas con una determinada parroquia. En cambio, no son motivos adecuados, por ejemplo, la mera escasez de clero diocesano, la situación financiera general de la diócesis u otras condiciones de la comunidad, presumiblemente reversibles en el corto plazo (por ejemplo, un adecuado número de fieles, la falta de autosuficiencia económica, la modificación del plan urbanístico del territorio). Como condición de legitimidad de este tipo de medidas, se requiere que los motivos a los cuales se haga referencia estén directa y orgánicamente conectados con la comunidad parroquial interesada y no con consideraciones generales, teóricas y “de principios”.
49. Con respecto a la erección y a la supresión de parroquias, vale la pena recordar que cada decisión debe ser adoptada por decreto formal, redactado por escrito[58]. En consecuencia, se debe considerar que no es conforme a la normativa canónica emanar una disposición única, destinada a producir una reorganización de carácter general relativa a toda la diócesis, una parte de ella o un conjunto de parroquias, implementada a través de un solo acto normativo, decreto general o ley particular.
50. De manera específica, en los casos de supresión de parroquias, el decreto debe indicar claramente, con referencia a la situación concreta, cuáles son las razones que llevaron al Obispo a adoptar la decisión. Estas, por tanto, deberán ser indicadas específicamente, ya que no puede bastar una alusión genérica al “bien de las almas”.
Finalmente, en el acto por el cual se suprime una parroquia, el Obispo tendrá también que proveer la devolución de sus bienes, respetando las relativas normas canónicas[59]; a menos que existan razones graves en contra, después de haber escuchado el Consejo presbiteral[60], se requerirá garantizar que la iglesia de la parroquia suprimida continúe estando abierta a los fieles.
51. Vinculado con el tema de la agrupación de parroquias y de la eventual supresión de ellas, a veces se da la necesidad de reducir una iglesia a uso profano no indecoroso[61], decisión que compete al Obispo diocesano, después de haber consultado obligatoriamente al Consejo presbiteral[62].
Ordinariamente, también en este caso, no son causas legítimas para decretar dicha reducción la disminución del clero diocesano, el descenso demográfico o una grave crisis financiera de la diócesis. Por el contrario, si el edificio no se encuentra en condiciones de ser utilizado en manera alguna para el culto divino y no hay posibilidad de repararlo, se podrá proceder a norma del derecho, a reducirlo a un uso profano no indecoroso.
VII.b. Vicaría foránea
52. Ante todo, debe recordarse que, «para facilitar la cura pastoral mediante una actividad común, varias parroquias cercanas entre sí pueden unirse en grupos peculiares, como son las vicarías foráneas»[63]; que en algunos lugares son denominadas “decanatos” o “arciprestazgos”, o también “zonas pastorales” o “prefecturas” [64].
53. El vicario foráneo no necesariamente tiene que ser un párroco de una determinada parroquia[65] y, para que se realice la finalidad para la cual la vicaría fue erigida, entre sus responsabilidades, es primordial «fomentar y coordinar la actividad pastoral común en la vicaría»[66], de modo que no sea una institución puramente formal. Además, el vicario foráneo «tiene el deber de visitar las parroquias de su distrito, según haya determinado el Obispo diocesano»[67]. Para que pueda cumplir mejor su función y para favorecer aún más la actividad común entre las parroquias, el Obispo diocesano podrá conferir al vicario foráneo otras facultades consideradas oportunas, en base al contexto concreto.
VII.c. Unidad pastoral
54. Inspirándose en análogos fines, cuando las circunstancias lo requieran, en razón de la extensión territorial de la vicaría foránea o del gran número de fieles, y sea, por tanto, necesario favorecer mejor la colaboración orgánica entre parroquias limítrofes, después de escuchar el Consejo presbiteral[68], el Obispo puede también decretar la agrupación estable e institucional de varias parroquias dentro de la vicaría foránea[69], teniendo en cuenta algunos criterios concretos.
55. Ante todo, es oportuno que las agrupaciones (denominadas “unidades pastorales” [70]) sean delimitadas de la manera más homogénea posible, también desde un punto de vista sociológico, para que pueda ser realizada una verdadera pastoral de conjunto o integrada[71], en perspectiva misionera.
56. Además, cada parroquia de una agrupación debe confiarse a un párroco o también a un grupo de sacerdotes in solidum, que asuma la responsabilidad de todas las comunidades parroquiales[72]. Alternativamente, donde el Obispo lo estime conveniente, una agrupación podrá también estar compuesta por varias parroquias, confiadas al mismo párroco[73].
57. En cualquier caso, también en consideración a la atención que se debe dar a los sacerdotes, que a menudo han ejercido el ministerio de modo meritorio y que cuentan con el reconocimiento de sus comunidades, así como por el bien de los mismos fieles, vinculados con afecto y gratitud a sus pastores, se requiere que, al momento de constituir una determinada agrupación, el Obispo diocesano no establezca con el mismo decreto que, en varias parroquias unidas y confiadas a un solo párroco[74], otros eventuales párrocos presentes, todavía en el cargo[75], sean transferidos automáticamente al oficio de vicarios parroquiales o removidos de facto de su encargo.
58. En estos casos, a menos que se trate de un nombramiento in solidum, compete al Obispo diocesano establecer, caso a caso, las funciones del sacerdote moderador de dichas agrupaciones de parroquias, así como la relación que este debe tener con el vicario de la vicaría foránea[76], en la que está constituida la unidad pastoral.
59. Una vez que la agrupación de parroquias – vicaría foránea o “unidad pastoral” – haya sido creada según el derecho, el Obispo determinará, según la oportunidad, si en ella, cada una de las parroquias deben estar dotadas del Consejo pastoral parroquial[77], o si es mejor que esa tarea sea confiada a un único Consejo pastoral para todas las comunidades interesadas. En todo caso, las parroquias individuales integradas en la agrupación, ya que conservan su personalidad y capacidad jurídica, deben mantener su propio Consejo de Asuntos Económicos[78].
60. Con el propósito de enriquecer una acción evangelizadora de conjunto y una cura pastoral más efectiva, es oportuno que se constituyan servicios pastorales comunes para determinadas áreas (por ejemplo, catequesis, caridad, pastoral juvenil o familiar) para las parroquias de la agrupación, con la participación de todos los componentes del Pueblo de Dios, clérigos, personas consagradas y fieles laicos.
VII.d. Zona pastoral
61. Si varias “unidades pastorales” pueden constituir una vicaría foránea, de la misma manera, sobre todo en diócesis territorialmente más grandes, el Obispo, después de escuchar al Consejo presbiteral[79], puede reunir distintas vicarías foráneas en “distritos” o “zonas pastorales”[80], bajo la guía de un Vicario episcopal[81], con potestad ejecutiva ordinaria para la administración pastoral de la zona, en nombre del Obispo diocesano, bajo su autoridad y en comunión con él, además de las facultades especiales que este quiera atribuirle para cada caso.
VIII. Formas ordinarias y extraordinarias de encomienda
de la cura pastoral de la comunidad parroquial
62. En primer lugar, el párroco y los demás presbíteros, en comunión con el Obispo, son una referencia fundamental para la comunidad parroquial, por la tarea de pastores que les corresponde[82]. El párroco y el presbiterio, cultivando la vida común y la fraternidad sacerdotal, celebran la vida sacramental para y junto a la comunidad, y están llamados a organizar la parroquia de tal modo que sea un signo eficaz de comunión[83].
63. En relación con la presencia y la misión de los presbíteros en la comunidad parroquial, merece una mención especial la vida común[84]; esta se recomienda en el can. 280, aunque no se prescriba como una obligación para el clero secular. Al respecto, debe recordarse el valor fundamental del espíritu de comunión, la oración y la acción pastoral común de los clérigos[85], en orden a un testimonio efectivo de fraternidad sacramental[86] y a una acción evangelizadora más eficaz.
64. Cuando el presbiterio experimenta la vida comunitaria, su identidad sacerdotal se fortalece, sus preocupaciones materiales disminuyen y la tentación del individualismo da paso a la profundidad de la relación personal. La oración común, la reflexión compartida y el estudio, que nunca deben faltar en la vida sacerdotal, pueden ser de gran apoyo en la formación de una espiritualidad sacerdotal encarnada en la vida cotidiana.
En todo caso, será conveniente que, según su discernimiento y en la medida de lo posible, el Obispo tenga en cuenta la afinidad humana y espiritual entre los sacerdotes, a quienes quiera confiar una parroquia o una agrupación de parroquias, invitándolos a una generosa disponibilidad para la nueva misión pastoral y a alguna forma de compartir la vida con sus hermanos presbíteros[87].
65. En algunos casos, sobre todo donde no hay tradición o costumbre de casa parroquial, o cuando esta no está disponible por alguna razón como vivienda del sacerdote, puede suceder que este regrese a vivir con su familia de origen, el primer lugar de formación humana y de descubrimiento vocacional[88].
Esta acomodación, por una parte, se revela como un aporte positivo para la vida cotidiana del sacerdote, en el sentido de que le garantiza un ambiente doméstico sereno y estable, sobre todo cuando los padres están aún presentes. Por otra, deberá evitarse que estas relaciones familiares sean vividas por el sacerdote con dependencia interior y menor disponibilidad para el ministerio a tiempo pleno, o como una alternativa excluyente – más bien que como un complemento – de la relación con la familia presbiteral y con la comunidad de fieles laicos.
VIII.a. Párroco
66. El oficio de párroco comporta la plena cura de almas[89] y, en consecuencia, para que un fiel sea designado válidamente párroco, debe haber recibido el Orden del presbiterado[90], excluyendo cualquier posibilidad de nombrar a quien no posea este título o las relativas funciones, incluso en caso de carencia de sacerdotes. Precisamente debido a la relación de conocimiento y cercanía que se requiere entre el pastor y la comunidad, el oficio de párroco no puede confiarse a una persona jurídica[91]. En particular – aparte de lo dispuesto en el can. 517, §§ 1-2 – el oficio de párroco no se puede confiar a un grupo de personas, compuesto por clérigos y laicos. En consecuencia, deben evitarse nombres como “team guía”, “equipo guía” u otros similares, que parezcan expresar un gobierno colegiado de la parroquia.
67. Como consecuencia de ser el «pastor propio de la parroquia que se le ha confiado»[92], al párroco corresponde ipso iurela representación legal de la parroquia[93]. Él es el administrador responsable de los bienes parroquiales, que son “bienes eclesiásticos” y, por ello, están sujetos a las relativas normas canónicas[94].
68. Como afirma el Concilio Ecuménico Vaticano II, «cada párroco ha de tener en su parroquia la estabilidad que exija el bien de las almas»[95]. Como principio general, por tanto, se requiere que el párroco sea «nombrado a tiempo indeterminado»[96].
Sin embargo, el Obispo diocesano puede nombrar párrocos a tiempo determinado, si así ha sido establecido por decreto por la Conferencia Episcopal. En razón de la necesidad de que el párroco pueda establecer un vínculo efectivo y eficaz con la comunidad que le ha sido confiada, es conveniente que las Conferencias Episcopales no establezcan un tiempo demasiado breve, inferior a 5 años, para un nombramiento por tiempo determinado.
69. En todo caso, los párrocos, incluso si son nombrados por un “tiempo indeterminado”, o antes de la expiración del “tiempo determinado”, deben estar disponibles para ser eventualmente transferidos a otra parroquia o a otro oficio, «cuando el bien de las almas o la necesidad o la utilidad de la Iglesia lo requieren»[97]. Es útil recordar que el párroco está al servicio de la parroquia, y no al revés.
70. Ordinariamente, donde sea posible, es bueno que el párroco tenga la cura pastoral de una sola parroquia, pero «por escasez de sacerdotes u otras circunstancias, se puede confiar a un mismo párroco la cura de varias parroquias cercanas»[98]. Por ejemplo, entre “otras circunstancias” se puede considerar lo reducido del territorio o de la población de las parroquias interesadas, así como que limiten entre sí. El Obispo diocesano debe valorar atentamente que, si se confían varias parroquias al mismo párroco, este pueda ejercer plena y concretamente el oficio de párroco como verdadero pastor de todas y cada una de ellas[99].
71. Una vez nombrado, el párroco permanece en el pleno ejercicio de las funciones que le han sido confiadas, con todos los derechos y las responsabilidades, hasta que no haya cesado legítimamente su oficio pastoral[100]. Para su remoción o traslado antes de la expiración del mandato, deben observarse los relativos procedimientos canónicos, que la Iglesia utiliza para discernir lo que es conveniente en cada caso concreto[101].
72. Cuando el bien de los fieles lo requiere, aunque no haya otras causas de cesación, el párroco que ha cumplido 75 años de edad, acepte la invitación, que el Obispo diocesano puede dirigirle, a renunciar a la parroquia[102]. La presentación de la renuncia, alcanzados los 75 años de edad[103], que ha de considerarse un deber moral, aunque no canónico, no hace que el párroco pierda automáticamente su oficio. La cesación del mismo ocurre solo cuando el Obispo diocesano haya comunicado al párroco interesado, por escrito, la aceptación de su renuncia[104]. Por otra parte, el Obispo considere benévolamente la renuncia presentada por un párroco, aunque solo sea por haber cumplido 75 años.
73. En todo caso, a fin de evitar una concepción funcionalista del ministerio, antes de aceptar la renuncia, el Obispo diocesano ponderará con prudencia todas las circunstancias de la persona y del lugar, como, por ejemplo, razones de salud o disciplinares, la escasez de sacerdotes, el bien de la comunidad parroquial y otros elementos semejantes, y aceptará la renuncia en presencia de una causa justa y proporcionada[105].
74. De lo contrario, si las condiciones personales del sacerdote lo permiten y la oportunidad pastoral lo aconseja, el Obispo considere la posibilidad de dejarlo en el oficio de párroco, tal vez confiándole un ayudante y preparando la sucesión. Además, «según los casos, el Obispo puede confiar una parroquia más pequeña o menos exigente a un párroco que ha renunciado»[106], o, en todo caso, le asigne otro encargo pastoral adecuado a sus posibilidades concretas, invitando al sacerdote a comprender, si fuera necesario, que en ningún caso deberá sentirse “degradado” o “castigado” por un traslado de tal género.
VIII.b. Administrador parroquial
75. Cuando no sea posible proceder inmediatamente al nombramiento del párroco, la designación de administrador parroquial[107] debe realizarse solo en conformidad con lo establecido por la normativa canónica[108].
En efecto, se trata de un oficio esencialmente transitorio y es ejercido mientras se espera el nombramiento del nuevo párroco. Por esta razón, es ilegítimo que el Obispo diocesano nombre un administrador parroquial y lo deje en ese encargo por un largo período, superior a un año o, incluso, de modo estable, evitando proveer al nombramiento del párroco.
Según lo que la experiencia atestigua, dicha solución es adoptada a menudo para eludir las condiciones del derecho relativas al principio de la estabilidad del párroco, lo que constituye una violación de dicho principio, que daña la misión del presbítero interesado, así como a la comunidad misma, que, ante las condiciones de incertidumbre sobre la presencia del pastor, no podrá programar planes de evangelización de largo alcance y tendrá que limitarse a un cuidado pastoral de conservación.
VIII.c. Encomienda in solidum
76. Como una ulterior posibilidad, «cuando así lo exijan las circunstancias, la cura pastoral de una o más parroquias a la vez puede encomendarse “in solidum” a varios sacerdotes»[109]. Esta solución puede adoptarse cuando, a discreción del Obispo, lo requieran circunstancias concretas, de modo particular para el bien de las comunidades interesadas, a través de una acción pastoral compartida y más eficaz, así como para promover una espiritualidad de comunión entre los presbíteros[110].
En estos casos, el grupo de presbíteros, en comunión con los demás miembros de las comunidades parroquiales interesadas, actúa de común acuerdo, siendo el Moderador ante los otros sacerdotes, párrocos a todos los efectos, un primus inter pares.
77. Se recomienda vivamente que cada comunidad de sacerdotes, a los cuales es confiada in solidum la cura pastoral de una o más parroquias, elabore un reglamento interno, para que cada presbítero pueda cumplir mejor las tareas y funciones que le competen[111].
Como responsabilidad propia, el Moderador coordina el trabajo común de la parroquia o parroquias confiadas al grupo, asume la representación legal de ellas[112], coordina el ejercicio de la facultad para asistir a los matrimonios y para conceder las dispensas que corresponden a los párrocos[113], y responde ante el Obispo por toda la actividad del grupo[114].
VIII.d. Vicario parroquial
78. Como un enriquecimiento, dentro de las soluciones descritas más arriba, puede darse la posibilidad de que un sacerdote sea nombrado vicario parroquial y encargado de un sector específico de la pastoral (jóvenes, ancianos, enfermos, asociaciones, cofradías, formación, catequesis, etc.), “transversal” a diferentes parroquias, o para desempeñar todo el ministerio, o una determinada parte del mismo, en una de ellas[115].
En el caso del encargo conferido a un vicario parroquial en varias parroquias, confiadas a diversos párrocos, será conveniente explicitar y describir en el Decreto de nombramiento, las tareas que se le confían en referencia a cada comunidad parroquial, así como el tipo de relación que debe mantener con los párrocos, respecto a su residencia, sustento y celebración de la Santa Misa.
VIII.e. Diáconos
79. Los diáconos son ministros ordenados, incardinados en una diócesis o en otras realidades eclesiales que tengan la facultad de incardinar[116]; son colaboradores del Obispo y de los presbíteros en la única misión evangelizadora con su tarea específica, en virtud del sacramento recibido, de «servir al pueblo de Dios en la diaconía de la liturgia, de la palabra y de la caridad»[117].
80. Para salvaguardar la identidad de los diáconos, con el propósito de promover su ministerio, el Papa Francisco pone en guardia acerca de algunos riesgos relativos a la comprensión de la naturaleza del diaconado: «Hay que tener cuidado para no ver a los diáconos como medio sacerdotes y medio laicos. […] Tampoco es buena la imagen del diácono como una especie de intermediario entre los fieles y los pastores. Ni a mitad de camino entre los curas y los laicos, ni a mitad de camino entre los pastores y los fieles. Y hay dos tentaciones. Hay el peligro del clericalismo: el diácono que es demasiado clerical. […] Y la otra tentación, el funcionalismo: es una ayuda que tiene el sacerdote para esto o lo otro»[118].
Prosiguiendo en el mismo discurso, el Santo Padre ofrece algunas precisiones sobre el rol específico de los diáconos en la comunidad eclesial: «El diaconado es una vocación específica, es una vocación familiar que llama al servicio. […] Esta palabra es la clave para la comprensión de vuestro carisma. El servicio como uno de los dones característicos del pueblo de Dios. El diácono es – por así decirlo – el custodio del servicio en la Iglesia. Cada palabra debe calibrarse muy bien. Vosotros sois los custodios del servicio en la Iglesia: el servicio de la Palabra, el servicio del altar, el servicio a los pobres»[119].
81. A lo largo de los siglos, la doctrina sobre el diaconado ha experimentado una importante evolución. Su reanudación en el Concilio Vaticano II también coincide con una clarificación doctrinal y con una expansión de su específica acción ministerial, que no se limita a “confinar” el diaconado solo en el ámbito del servicio caritativo o reservarlo – según lo establecido por el Concilio de Trento – solo a los diáconos transitorios y casi exclusivamente para el servicio litúrgico. Más bien, el Concilio Vaticano II especifica que se trata de un grado del sacramento del Orden y, por tanto, los diáconos «confortados con la gracia sacramental, en comunión con el Obispo y su presbiterio, sirven al Pueblo de Dios en la “diaconía” de la liturgia, de la palabra y de la caridad»[120].
La recepción post-conciliar retoma lo establecido por Lumen gentium y define siempre mejor el oficio de los diáconos como participación, aunque en un grado diferente, del Sacramento del Orden. En la Audiencia concedida a los participantes en el Congreso Internacional sobre el Diaconado, Pablo VI quiso reiterar que el diácono sirve a las comunidades cristianas «tanto en el anuncio de la Palabra de Dios como en el ministerio de los sacramentos y en el ejercicio de la caridad» [121]. Por otra parte, aunque en el Libro de los Hechos (Hch 6,1-6) podría parecer que los siete hombres elegidos estuvieran destinados solo al servicio de las mesas, en realidad, el mismo libro bíblico relata cómo Esteban y Felipe llevan a cabo plenamente la “diaconía de la Palabra”. En efecto, como colaboradores de los Doce y de Pablo, ejercen su ministerio en dos ámbitos: la evangelización y la caridad.
Por tanto, son muchos los encargos eclesiales que pueden encomendarse a un diácono: todos aquellos que no implican la plena cura de almas[122]. El Código de Derecho Canónico, con todo, determina qué oficios están reservados al presbítero y cuáles pueden confiarse a los fieles laicos; mientras que no hay indicación de algún oficio particular en el que el ministerio diaconal pueda expresar su especificidad.
82. En todo caso, la historia del diaconado recuerda que fue establecido en el ámbito de una visión ministerial de la Iglesia, como ministerio ordenado al servicio de la Palabra y de la caridad; este último ámbito comprende también la administración de los bienes. Esta doble misión del diácono se expresa en el ámbito litúrgico, en el que está llamado a proclamar el Evangelio y a servir la mesa eucarística. Precisamente, estas referencias podrían ayudar a identificar tareas específicas para el diácono, valorando los aspectos propios de su vocación en orden a la promoción del ministerio diaconal.
VIII.f. Las personas consagradas
83. Dentro de la comunidad parroquial, en numerosos casos, hay personas que pertenecen a la vida consagrada. Esta, «en efecto, no es una realidad externa o independiente de la vida de la Iglesia local, sino que constituye una forma peculiar, marcada por la radicalidad del Evangelio, de estar presente en su interior, con sus dones específicos»[123]. Además, integrada en la comunidad junto a los clérigos y los laicos, la vida consagrada «se coloca en la dimensión carismática de la Iglesia. […]La espiritualidad de los Institutos de vida consagrada puede llegar a ser, tanto para los fieles laicos como para el sacerdote, un recurso importante para vivir su vocación»[124].
84. La contribución que las personas consagradas pueden hacer a la misión evangelizadora de la comunidad parroquial deriva en primer lugar de su “ser”, es decir, del testimonio de un seguimiento radical de Cristo, mediante la profesión de los consejos evangélicos[125], y solo secundariamente también de su “hacer”, es decir, de las acciones realizadas conforme al carisma de cada instituto (por ejemplo, catequesis, caridad, formación, pastoral juvenil, cuidado de los enfermos)[126].
VIII.g. Laicos
85. La comunidad parroquial está compuesta especialmente por fieles laicos[127], los cuales, en virtud del bautismo y de los otros sacramentos de la iniciación cristiana, y en muchos también del matrimonio[128], participan en la acción evangelizadora de la Iglesia, ya que «la vocación y la misión propia de los fieles laicos es la transformación de las distintas realidades terrenas, para que toda actividad humana sea transformada por el Evangelio»[129].
De modo particular, los fieles laicos, teniendo como propio y específico el carácter secular, o sea «obtener el reino de Dios gestionando los asuntos temporales y ordenándolos según Dios»[130], «también pueden sentirse llamados o ser llamados a colaborar con sus Pastores en el servicio de la comunidad eclesial, para el crecimiento y la vida de ésta, ejerciendo ministerios muy diversos según la gracia y los carismas que el Señor quiera concederles»[131].
86. Hoy se requiere un generoso compromiso de todos los fieles laicos al servicio de la misión evangelizadora, ante todo con el testimonio constante de una vida cotidiana conforme al Evangelio, en los ambientes donde habitualmente desarrollan su vida y en todos los niveles de responsabilidad; después, en particular, asumiendo los compromisos que les corresponden al servicio de la comunidad parroquial[132].
VIII.h. Otras formas de encomienda de la cura pastoral
87. Existe otra modalidad para el Obispo – como lo ilustra el can. 517, § 2 – para proveer la cura pastoral de una comunidad incluso si, debido a la escasez de sacerdotes, no es posible nombrar un párroco o un administrador parroquial, que pueda asumirla a tiempo pleno. En estas problemáticas circunstancias pastorales, para sostener la vida cristiana y hacer que continúe la misión evangelizadora de la comunidad, el Obispo diocesano puede confiar una participación del ejercicio de la cura pastoral de una parroquia a un diácono, una persona consagrada o un laico, o incluso a un conjunto de personas (por ejemplo, un instituto religioso, una asociación)[133].
88. Aquellos a quienes se les confiará de dicho modo la participación de la cura pastoral de la comunidad, serán coordinados y guiados por un presbítero con facultades legítimas, constituido “Moderador de la cura pastoral”, al cual competen exclusivamente la potestad y las funciones del párroco, aunque no tenga el oficio, con los consiguientes deberes y derechos.
Debe recordarse que se trata de una forma extraordinaria de encomienda de la cura pastoral, debido a la imposibilidad de nombrar un párroco o administrador parroquial, que no debe confundirse con la cooperación activa ordinaria y con la asunción de responsabilidades por parte de todos los fieles.
89. Si fuera necesario recurrir a esta solución extraordinaria, se requiere preparar adecuadamente al Pueblo de Dios, teniendo cuidado de adoptarla solo por el tiempo necesario, no indefinidamente[134]. La recta comprensión y aplicación de dicho canon requiere que cuanto prevé «se lleve a cabo con un cuidadoso cumplimiento de las cláusulas en él contenidas, a saber: a) “por falta de sacerdotes”, y no por razones de comodidad o una equívoca “promoción del laicado” [...]; b) permaneciendo firme que se trata de “participación en el ejercicio de la cura pastoral” y no de dirigir, coordinar, moderar, gobernar la parroquia; lo que, según el texto del canon, compete solo a un sacerdote»[135].
90. Para llevar a buen fin la encomienda de la cura pastoral según el can. 517, § 2[136], es preciso atenerse a algunos criterios. Sobre todo, tratándose de una solución pastoral extraordinaria y temporal[137], la única causa canónica que hace legítima esta medida es una falta de sacerdotes tal, que no es posible proveer a la cura pastoral de la comunidad parroquial con el nombramiento de un párroco o un administrador parroquial. Además, si fuera el caso, se preferirá uno o más diáconos a personas consagradas y laicos para esta forma de gestión de la cura pastoral[138].
91. En todo caso, la coordinación de la actividad pastoral así organizada compete al presbítero designado por el Obispo diocesano como Moderador; este sacerdote tiene de modo exclusivo la potestad y las facultades propias del párroco; los otros fieles, en cambio, tienen «una participación en el ejercicio de la cura pastoral de la parroquia»[139].
92. Tanto el diácono como las otras personas que no han recibido el orden sagrado, que participan del ejercicio de la cura pastoral, solo pueden desempeñar las funciones que corresponden a su respectivo estado diaconal o de fiel laico, respetando «las propiedades originarias de la diversidad y la complementariedad entre los dones y las funciones de los ministros ordenados y de los fieles laicos, propios de la Iglesia que Dios ha querido orgánicamente estructurada»[140].
93. Por último, se recomienda vivamente que, en el Decreto con el que nombra al presbítero Moderador, el Obispo exponga, al menos brevemente, las motivaciones por las cuales se hizo necesaria la aplicación de esta forma extraordinaria de encomienda de la cura pastoral de una o más comunidades parroquiales y, consecuentemente, el modo de ejercicio del ministerio del sacerdote encargado.
IX. Encargos y ministerios parroquiales
94. Además de la colaboración ocasional, que toda persona de buena voluntad – incluso los no bautizados – puede ofrecer a las actividades cotidianas de la parroquia, existen algunos encargos estables, por los cuales los fieles acogen la responsabilidad, por un cierto tiempo, de un servicio en la comunidad parroquial. Se puede pensar, por ejemplo, en los catequistas, ministros y educadores que trabajan en grupos y asociaciones; en los agentes de caridad, en aquellos que se dedican a los diferentes tipos de consultorios o centros de escucha y en aquellos que visitan a los enfermos.
95. En todo caso, al asignar los encargos encomendados a diáconos, personas consagradas y fieles laicos que reciben una participación en el ejercicio de la cura pastoral, se requiere usar una terminología que corresponda de modo correcto a las funciones que ellos pueden ejercer conforme a su estado, de manera que se mantenga clara la diferencia esencial que existe entre el sacerdocio común y el sacerdocio ministerial, y que sea evidente la identidad de la tarea recibida por cada uno.
96. En este sentido, ante todo, es responsabilidad del Obispo diocesano y, subordinadamente, del párroco, que los encargos de los diáconos, las personas consagradas y los laicos, que tienen roles de responsabilidad en la parroquia, no sean designados con las expresiones “párroco”, “co-párroco”, “pastor”, “capellán”, “moderador”, “responsable parroquial” o con otras denominaciones similares[141], reservadas por el derecho a los sacerdotes[142], en cuanto que hacen alusión directa al perfil ministerial de los presbíteros.
En relación con los fieles y los diáconos recién mencionados, resultan igualmente ilegítimas y no conformes a su identidad vocacional, expresiones como “encomendar la cura pastoral de una parroquia”, “presidir la comunidad parroquial” y otras similares, que se refieren a la peculiaridad del ministerio sacerdotal, que compete al párroco.
Más apropiada parece ser, por ejemplo, la denominación “diácono cooperador” y, para las personas consagradas y los laicos, “coordinador de… (un sector de la pastoral)”, “cooperador pastoral”, “asesor pastoral” y “encargado de ... (un sector de la pastoral)”.
97. Los fieles laicos, a norma del derecho, pueden ser instituidos lectores y acólitos en forma estable, a través de un rito especial, según el can. 230, § 1. El fiel no ordenado puede asumir la denominación “ministro extraordinario” solo si, efectivamente, ha sido llamado por la Autoridad competente[143] a desempeñar las funciones de suplencia mencionadas en los cans. 230, § 3 y 943. La delegación temporal en acciones litúrgicas, referidas en el can. 230, § 2, incluso si se prolonga en el tiempo, no confiere ninguna denominación especial al fiel no ordenado[144].
Estos fieles laicos deben estar en plena comunión con la Iglesia Católica[145], haber recibido la formación adecuada para la función que están llamados a realizar, así como tener una conducta personal y pastoral ejemplar, que les de autoridad para llevar a cabo el servicio.
98. Además de lo que compete a los Lectores y Acólitos instituidos establemente[146], el Obispo, según su prudente juicio, podrá confiar oficialmente algunos encargos[147] a diáconos, personas consagradas y fieles laicos, bajo la guía y la responsabilidad del párroco, como, por ejemplo:
1°. La celebración de una liturgia de la Palabra en los domingos y en las fiestas de precepto, cuando «la falta del ministro sagrado u otra causa grave hace imposible la participación en la celebración eucarística»[148]. Se trata de una eventualidad excepcional a la que recurrir solo en circunstancias de verdadera imposibilidad y siempre teniendo cuidado de confiar esas liturgias a los diáconos, que estén presentes;
2°. La administración del bautismo, teniendo presente que «el ministro ordinario del bautismo es el Obispo, el presbítero y el diácono»[149] y que lo previsto por el can. 861, § 2 constituye una excepción, que debe ser valorada a discreción del Ordinario del lugar;
3°. La celebración del rito de las exequias, respetando lo previsto por el n. 19 de las Praenotanda del Ordo exsequiarum.
99. Los fieles laicos pueden predicar en una iglesia u oratorio, si las circunstancias, la necesidad o un caso particular así lo requieren, «según las disposiciones de la Conferencia Episcopal»[150] y «en conformidad a derecho o a las normas litúrgicas y observando las cláusulas contenidas en ellas»[151]. En ningún caso, sin embargo, ellos podrán tener la homilía durante la celebración de la Eucaristía[152].
100. Además, «donde no haya sacerdotes ni diáconos, el Obispo diocesano, previo voto favorable de la Conferencia Episcopal y obtenida licencia de la Santa Sede, puede delegar a laicos para que asistan a los matrimonios»[153].
X. Los órganos de corresponsabilidad eclesial
X.a. El Consejo parroquial para los Asuntos Económicos
101. La gestión de los bienes que cada parroquia dispone en diversa medida es un ámbito importante de evangelización y de testimonio evangélico, frente a la Iglesia y a la sociedad civil, ya que, como recordaba el Papa Francisco, «todos los bienes que tenemos, el Señor nos los da para hacer que el mundo progrese, para que la humanidad progrese, para ayudar a los demás»[154]. El párroco, por tanto, no puede y no debe permanecer solo en esta tarea[155], sino que es necesario que sea asistido por colaboradores para administrar los bienes de la Iglesia, sobre todo con celo evangelizador y espíritu misionero[156].
102. Por esta razón, en cada parroquia debe necesariamente ser constituido el Consejo de Asuntos Económicos, un órgano consultivo, presidido por el párroco y compuesto por al menos otros tres fieles[157]; el número mínimo de tres es necesario para que se pueda considerar “colegiado” a este Consejo; es útil recordar que el párroco no está incluido entre los miembros del Consejo de Asuntos Económicos, sino que lo preside.
103. En ausencia de normas específicas dadas por el Obispo diocesano, el párroco determinará el número de miembros del Consejo, en relación a las dimensiones de la parroquia, y si ellos deben ser nombrados por él o más bien elegidos por la comunidad parroquial.
Los miembros de este Consejo, no necesariamente pertenecientes a la parroquia misma, deben gozar de probada buena fama, así como ser expertos en asuntos económicos y jurídicos[158], para que puedan prestar un servicio efectivo y competente, de modo que el Consejo no sea constituido solo formalmente.
104. En fin, a menos que el Obispo diocesano no haya dispuesto de otro modo, observando la debida prudencia, así como eventuales normas de derecho civil, nada impide que la misma persona pueda ser miembro del Consejo de Asuntos Económicos de varias parroquias, si las circunstancias lo requieren.
105. Las normas sobre esta materia emanadas eventualmente por el Obispo diocesano deberán tener en cuenta las situaciones específicas de las parroquias, como, por ejemplo, aquellas con una constitución particularmente modesta o las que forman parte de una unidad pastoral[159].
106. El Consejo de Asuntos Económicos puede desempeñar un rol de particular importancia para hacer crecer la cultura de la corresponsabilidad, de la transparencia administrativa y de la ayuda a las necesidades de la Iglesia en de las comunidades parroquiales. En particular, la transparencia ha de entenderse no solo como una presentación formal de datos, sino principalmente como debida información para la comunidad y una provechosa oportunidad para involucrarla en la formación. Se trata de un modus agendi imprescindible para la credibilidad de la Iglesia, sobre todo donde esta tiene bienes significativos que administrar.
107. Ordinariamente, el objetivo de la transparencia se puede lograr publicando el estado de cuentas anual, que debe primero presentarse al Ordinario del lugar[160], con indicación detallada de las entradas y salidas. Así, dado que los bienes son de la parroquia, no del párroco, aunque sea su administrador, la comunidad en su conjunto podrá estar al tanto de cómo son administrados los bienes, cuál es la situación económica de la parroquia y de qué recursos puede efectivamente disponer.
X.b. El Consejo pastoral parroquial
108. La normativa canónica vigente[161] deja al Obispo diocesano la evaluación de la erección de un Consejo pastoral en las parroquias, que puede considerarse de ordinario como altamente recomendable, como recuerda el Papa Francisco: «¡Cuán necesarios son los consejos pastorales! Un Obispo no puede guiar una Diócesis sin el Consejo pastoral. Un párroco no puede guiar la parroquia sin el Consejo pastoral»[162].
La flexibilidad de la norma, con todo, permite adaptaciones consideradas apropiadas en circunstancias concretas, como, por ejemplo, en el caso de varias parroquias confiadas a un solo párroco, o en presencia de unidades pastorales: en tales casos es posible constituir un solo Consejo pastoral para varias parroquias.
109. El sentido teológico del Consejo pastoral se inscribe en la realidad constitutiva de la Iglesia, es decir, su ser “Cuerpo de Cristo”, que genera una “espiritualidad de comunión”. En la Comunidad cristiana, ciertamente, la diversidad de carismas y ministerios, que deriva de la incorporación a Cristo y del don del Espíritu, nunca puede ser homologada hasta el punto de convertirse esta «uniformidad, en la obligación de hacer todo juntos y todo igual, pensando todos de la misma manera»[163]. Al contrario, en virtud del sacerdocio bautismal[164], cada fiel está llamado a la construcción de todo el Cuerpo y, al mismo tiempo, todo el Pueblo de Dios, en la corresponsabilidad recíproca de sus miembros, participa en la misión de la Iglesia, es decir, discierne los signos de la presencia de Dios en la historia y se convierte en testigo de su Reino[165].
110. Por lo tanto, lejos de ser un simple cuerpo burocrático, el Consejo pastoral pone de relieve y realiza la centralidad del Pueblo de Dios como sujeto y protagonista activo de la misión evangelizadora, en virtud del hecho de que cada fiel ha recibido los dones del Espíritu a través del bautismo y la confirmación: «Renacer a la vida divina en el bautismo es el primer paso; es necesario después comportarse como hijos de Dios, o sea, ajustándose a Cristo que obra en la santa Iglesia, dejándose implicar en su misión en el mundo. A esto provee la unción del Espíritu Santo: “mira el vacío del hombre, si tú le faltas por dentro” (cfr. Secuencia de Pentecostés). […] Como toda la vida de Jesús fue animada por el Espíritu, así también la vida de la Iglesia y de cada uno de sus miembros está bajo la guía del mismo Espíritu»[166].
A la luz de esta visión de fondo, se pueden recordar las palabras de San Pablo VI según el cual «Es tarea del Consejo Pastoral estudiar, examinar todo lo que concierne a las actividades pastorales, y proponer, en consecuencia, conclusiones prácticas, a fin de promover la conformación de la vida y de la acción del Pueblo de Dios con el Evangelio»[167], en la consciencia de que, como recuerda el Papa Francisco, el fin de este Consejo «no será principalmente la organización eclesial, sino el sueño misionero de llegar a todos»[168].
111. El Consejo pastoral es un órgano consultivo, regido por las normas establecidas por el Obispo diocesano, para definir sus criterios de composición, las modalidades de elección de sus miembros, los objetivos y el modo de funcionamiento[169]. En todo caso, para no desnaturalizar la índole de este Consejo es bueno evitar definirlo como un “team” o “equipo”, o lo que es lo mismo, en términos que no sean adecuados para expresar correctamente la relación eclesial y canónica entre el párroco y los demás fieles.
112. Respetando las relativas normas diocesanas, es necesario que el Consejo pastoral sea efectivamente representativo de la comunidad, de la cual es una expresión de todos sus componentes (sacerdotes, diáconos, personas consagradas y laicos). Este constituye un ámbito específico en el cual los fieles pueden ejercer su derecho-deber de expresar su parecer a los pastores y también comunicarlo a los otros fieles, acerca del bien de la comunidad parroquial[170].
La función principal del Consejo pastoral parroquial, por tanto, es buscar y estudiar propuestas prácticas en orden a las iniciativas pastorales y caritativas relacionadas con la parroquia, en sintonía con el camino de la diócesis.
113. El Consejo pastoral parroquial “solo tiene voto consultivo” [171], en el sentido de que sus propuestas deben ser acogidas favorablemente por el párroco para llegar a ser operativas. El párroco, a su vez, debe considerar atentamente las indicaciones del Consejo pastoral, especialmente si se expresa por unanimidad, en un proceso de común discernimiento.
Para que el servicio del Consejo pastoral pueda ser eficaz y provechoso, deben evitarse dos extremos: por un lado, que el párroco se limite a presentar al Consejo pastoral decisiones ya tomadas, o sin la debida información previa, o que rara vez lo convoque por mera formalidad; por otro, un Consejo en el que el párroco sea solo uno de sus miembros, privado de hecho de su rol de pastor y guía de la comunidad[172].
114. Finalmente, se considera conveniente que, en la medida de lo posible, el Consejo pastoral esté compuesto principalmente por aquellos que tienen responsabilidades efectivas en la vida pastoral de la parroquia, o que estén concretamente comprometidos en ella, a fin de evitar que las reuniones se transformen en un intercambio de ideas abstractas, que no tienen en cuenta la vida real de la comunidad, con sus recursos y problemáticas.
X.c. Otras formas de corresponsabilidad en la cura pastoral
115. Cuando una comunidad de fieles no puede ser erigida como una parroquia o cuasi-parroquia[173], el Obispo diocesano, después de escuchar al Consejo presbiteral[174], proveerá de otro modo a su cura pastoral[175], considerando, por ejemplo, la posibilidad de establecer centros pastorales, dependientes del párroco del lugar, como “estaciones misioneras” para promover la evangelización y la caridad. En estos casos, se requiere dotarlos de un templo adecuado o de un oratorio[176] y crear una normativa diocesana de referencia para sus actividades, de modo que ellas estén coordinadas y sean complementarias a las de la parroquia.
116. Los centros así definidos, que en algunas diócesis son llamados “diaconías”, podrán ser confiados – donde sea posible – a un vicario parroquial, o también, de modo especial, a uno o más diáconos permanentes, que tengan responsabilidad y los gestionen, eventualmente junto con sus familias, bajo la responsabilidad del párroco.
117. Estos centros podrán convertirse en puestos de avanzada misionera e instrumentos de proximidad, sobre todo en parroquias con un territorio muy extenso, a fin de asegurar momentos de oración y adoración eucarística, catequesis y otras actividades en beneficio de los fieles, en especial aquellas relativas a la caridad hacia los pobres y necesitados, y al cuidado de los enfermos, solicitando la colaboración de consagrados y laicos, así como de otras personas de buena voluntad.
A través del párroco y de los demás sacerdotes de la comunidad, los responsables del centro pastoral cuidarán de garantizar la celebración de los Sacramentos lo más frecuentemente posible, sobre todo la Santa Misa y la Reconciliación.
XI. Ofrendas por la celebración de los Sacramentos
118. Un tema relacionado con la vida de las parroquias y su misión evangelizadora se refiere al estipendio ofrecido para la celebración de la Santa Misa, destinado al celebrante, y de los otros sacramentos, que, en cambio, corresponde a la parroquia[177]. Se trata de una ofrenda que, por su naturaleza, debe ser un acto libre por parte del oferente, dejado a su conciencia y a su sentido de responsabilidad eclesial, no un “precio a pagar” o una “contribución a exigir”; como si se tratara de una suerte de “impuesto a los sacramentos”. En efecto, con el estipendio por la Santa Misa, «los fieles [...] contribuyen al bien de la Iglesia, y [...] participan de su solicitud por sustentar a sus ministros y actividades»[178].
119. En este sentido, resulta importante sensibilizar a los fieles, para que contribuyan voluntariamente a las necesidades de la parroquia, que son “suyas propias” y de las cuales es bueno que aprendan espontáneamente a responsabilizarse, de modo especial en aquellos países donde el estipendio de la Santa Misa sigue siendo la única fuente de sustento para los sacerdotes y también de recursos para la evangelización.
120. Esta sensibilización podrá ser tanto más eficaz cuanto más los presbíteros, por su parte, den ejemplos “virtuosos” en el uso del dinero, tanto con un estilo de vida sobrio y sin excesos en el plano personal, como con una gestión de los bienes parroquiales transparente y acorde no con los “proyectos” del párroco o de un reducido grupo de personas, tal vez buenos, pero abstractos, sino con las necesidades reales de los fieles, sobre todo los más pobres y necesitados.
121. En todo caso, «en materia de estipendios, evítese hasta la más pequeña apariencia de negociación o comercio»[179], teniendo en cuenta que «se recomienda encarecidamente a los sacerdotes que celebren la Misa por las intenciones de los fieles, sobre todo de los necesitados, aunque no reciban ningún estipendio»[180].
Entre los medios que pueden permitir alcanzar este objetivo, se puede pensar en la recepción de ofrendas de forma anónima, de modo que cada uno se sienta libre de donar lo que pueda, o lo que considera justo, sin sentirse obligado a corresponder a una expectativa o a un determinado precio.
Conclusión
122. Inspirándose en la eclesiología del Vaticano II, a la luz del Magisterio reciente y considerando los contextos sociales y culturales profundamente cambiantes, esta Instrucción se centra en el tema de la renovación de la parroquia en sentido misionero.
Si bien ella sigue siendo una institución imprescindible para el encuentro y la relación viva con Cristo y con los hermanos y hermanas en la fe, es igualmente cierto que debe confrontarse constantemente con los cambios en curso en la cultura actual y en la existencia de las personas, a fin de poder explorar con creatividad, nuevas vías y medios que le permitan estar a la altura de su tarea primaria, es decir, ser el centro propulsor de la evangelización.
123. En consecuencia, la acción pastoral debe ir más allá de la mera delimitación territorial de la parroquia, para trasparentar más claramente la comunión eclesial a través de la sinergia entre ministerios y carismas e, igualmente, estructurarse como una “pastoral de conjunto” al servicio de la diócesis y su misión.
Se trata de una acción pastoral que, a través de una colaboración efectiva y vital entre presbíteros, diáconos, personas consagradas y laicos, así como entre las diversas comunidades parroquiales de la misma área o región, se preocupa de identificar juntos las preguntas, dificultades y desafíos respecto de la evangelización, tratando de integrar vías, instrumentos, propuestas y medios adecuados para afrontarlos. Tal proyecto misionero común podría ser elaborado e implementado en relación con contextos territoriales y sociales contiguos, es decir, en comunidades colindantes o que poseen las mismas condiciones socioculturales, o también en referencia a ámbitos pastorales afines, por ejemplo, en el marco de una necesaria coordinación entre la pastoral juvenil, universitaria y vocacional, como ya sucede en muchas diócesis.
La pastoral de conjunto, por tanto, además de la coordinación responsable de las actividades y estructuras pastorales capaces de relacionarse y colaborar entre sí, requiere la contribución de todos los bautizados. Dicho con las palabras del Papa Francisco, «cuando hablamos de “pueblo” no debe entenderse las estructuras de la sociedad o de la Iglesia, sino el conjunto de personas que no caminan como individuos sino como el entramado de una comunidad de todos y para todos»[181].
Esto exige que la histórica institución parroquial no permanezca prisionera del inmovilismo o de una preocupante repetitividad pastoral, sino que, en cambio, ponga en acción aquel “dinamismo en salida” que, a través de la colaboración entre diversas comunidades parroquiales y una reforzada comunión entre clérigos y laicos, la haga orientarse efectivamente a su misión evangelizadora, tarea de todo el Pueblo de Dios, que camina en la historia como “familia de Dios” y que, en la sinergia de sus diversos miembros, trabaja para el crecimiento de todo el cuerpo eclesial.
El presente Documento, por tanto, además de poner en evidencia la urgencia de tal renovación, presenta un modo de aplicar la normativa canónica que establece las posibilidades, límites, derechos y deberes de pastores y laicos, para que la parroquia se redescubra a sí misma como lugar fundamental del anuncio evangélico, de la celebración de la Eucaristía, espacio de fraternidad y caridad, del cual se irradia el testimonio cristiano por el mundo. Así ella «debe permanecer como un puesto de creatividad, de referencia, de maternidad. Y actuar en ella esa capacidad inventiva; cuando una parroquia va adelante así se realiza lo que llamo “parroquia en salida”» [182].
124. El Papa Francisco invita a invocar a «María, Madre de la evangelización», para que «la Virgen nos ayude a decir nuestro “sí” en la urgencia de hacer resonar la Buena Nueva de Jesús en nuestro tiempo; que nos obtenga un nuevo celo de resucitados para llevar a todos el Evangelio de la vida que vence a la muerte; que interceda por nosotros para que podamos adquirir la santa audacia de buscar nuevos caminos para que llegue a todos el don de la salvación»[183].
El 27 de junio de 2020 el Santo Padre aprobó el siguiente documento de la Congregación para el Clero.
Roma, 29 de junio de 2020, Solemnidad de los Santos Pedro y Pablo
✠ Beniamino Card. Stella
Prefecto
✠ Joël Mercier
Secretario
|
✠ Jorge Carlos Patrón Wong
Secretario para los Seminarios
|
Mons. Andrea Ripa
Subsecretario
_______________________
[1] Francisco, Discurso a los párrocos de Roma (16 de septiembre de 2013).
[2] Cfr. Id., Exhortación apostólica Evangelii gaudium (24 de noviembre de 2013), n. 287: AAS 105 (2013), 1136.
[3] Ibíd., n. 49: AAS 105 (2013), 1040.
[4] Concilio Ecuménico Vaticano II, Constitución pastoral sobre la Iglesia en el mundo contemporáneo Gaudium et spes (7 de diciembre de 1965), n. 58: AAS 58 (1966), 1079.
[5] Ibíd., n. 44: AAS 58 (1966), 1065.
[6] Cfr. Efrén el Sirio, Comentarios sobre el Diatésaron 1, 18-19: SC 121, 52-53.
[7] Cfr. Francisco, Carta encíclica Laudato sì (24 de mayo de 2015), n. 68: AAS 107 (2015), 847.
[8] Cfr. Pablo VI, Carta encíclica Ecclesiam Suam (6 de agosto de 1964): AAS 56 (1964), 639.
[9] Evangelii gaudium, n. 27: AAS 105 (2013), 1031.
[10] Cfr. Juan Pablo II, Exhortación apostólica post-sinodal Christifideles laici (30 de diciembre de 1988), n. 26: AAS 81 (1989), 438.
[11] Francisco, Audiencia General (12 de junio de 2019): L’Osservatore Romano 134 (13 de junio de 2019), 1.
[12] Concilio Ecuménico Vaticano II, Decreto sobre la misión pastoral de los Obispos en la Iglesia Christus Dominus (28 de octubre de 1965), n. 30: AAS 58 (1966), 688.
[13] Juan Pablo II, Discurso a los Participantes en la Plenaria de la Congregación para el Clero (20 de octubre de 1984), nn. 3 y 4: Insegnamenti VII/2 (1984), 984 y 985; cfr. también Id., Exhortación apostólica Catechesi tradendae (16 de octubre de 1979), n. 67: AAS 71 (1979), 1332.
[14] Benedicto XVI, Homilía en la visita pastoral a la parroquia romana Santa María de la Evangelización (10 de diciembre de 2006): Insegnamenti II/2 (2006), 795.
[15] Evangelii gaudium, n. 28: AAS 105 (2013), 1032.
[16] Cfr. Gaudium et spes, n. 4: AAS 58 (1966), 1027.
[17] Ibíd., n. 1: AAS 58 (1966), 1025-1026.
[18] Cfr. Evangelii gaudium, nn. 72-73: AAS 105 (2013), 1050-1051.
[19] Cfr. Sínodo de los Obispos, XV Asamblea general ordinaria (3-28 de octubre de 2018): “Los jóvenes, la fe y el discernimiento vocacional”, Documento final, n. 129: «En este contexto, una visión de la acción parroquial delimitada por los meros confines territoriales e incapaz de atraer con propuestas diversificadas la atención de los fieles – y en particular de los jóvenes – recluirían a la parroquia en una inmovilidad inaceptable y en una repetitividad pastoral preocupante»: L’Osservatore Romano 247 (29-30 de octubre de 2018), 10.
[20] Cfr., por ejemplo, C.I.C., cans. 102; 1015-1016; 1108, § 1.
[21] Cfr. Christifideles laici, n. 25: AAS 81 (1989), 436-437.
[22] Cfr. Evangelii gaudium, n. 174: AAS 105 (2013), 1093.
[23] Cfr. ibíd., n. 164-165: AAS 105 (2013), 1088-1089.
[24] Concilio Ecuménico Vaticano II, Constitución dogmática sobre la Iglesia Lumen gentium (21 de noviembre de 1964), n. 11: AAS 57 (1965), 15.
[25] Cfr. Evangelii gaudium, n. 166-167: AAS 105 (2013), 1089-1090.
[26] Francisco, Exhortación apostólica sobre la llamada a la santidad en el mundo contemporáneo Gaudete et exsultate (19 de marzo de 2018), n. 35: AAS 110 (2018), 1120. Respecto al gnosticismo y al pelagianismo, conviene prestar atención también a las palabras del Papa Francisco: «Esta mundanidad puede alimentarse especialmente de dos maneras profundamente emparentadas. Una es la fascinación del gnosticismo, una fe encerrada en el subjetivismo, donde sólo interesa una determinada experiencia o una serie de razonamientos y conocimientos que supuestamente reconfortan e iluminan, pero en definitiva el sujeto queda clausurado en la inmanencia de su propia razón o de sus sentimientos. La otra es el neopelagianismo autorreferencial y prometeico de quienes en el fondo sólo confían en sus propias fuerzas y se sienten superiores a otros por cumplir determinadas normas o por ser inquebrantablemente fieles a cierto estilo católico propio del pasado»: Evangelii gaudium, n. 94: AAS 105 (2013), 1059-1060; cfr. también Congregación para la Doctrina de la Fe, Carta Placuit Deo (22 de febrero de 2018): AAS 110 (2018), 429.
[27] Cfr. Carta a Diogneto V, 1-10: Patres Apostolici, ed. F.X. Funk, vol. 1, Tubingae 1901, 398.
[28] Cfr. Juan Pablo II, Carta apostólica Novo millennio ineunte (6 de enero de 2001), n. 1: AAS 93 (2001), 266.
[29] Evangelii gaudium, n. 28: AAS 105 (2013), 1032.
[30] Cfr. C.I.C., cans. 515; 518; 519.
[31] Evangelii gaudium, n. 28: AAS 105 (2013), 1031-1032.
[32] Ibíd.
[33] Cfr. Francisco, Exhortación apostólica post-sinodal Christus vivit (25 de marzo de 2019), n. 238, Ciudad del Vaticano 2019.
[34] Cfr. Id, Bula Misericordiae vultus (11 de abril de 2015), n. 3: AAS 107 (2015), 400-401.
[35] Benedicto XVI, Discurso a los Obispos de Brasil (11 de mayo de 2007), n. 3: Insegnamenti III/1 (2007), 826.
[36] Evangelii gaudium, n. 198: AAS 105 (2013), 1103.
[37] Cfr. Francisco, Meditación cotidiana en Santa Marta (30 de octubre de 2017).
[38] Cfr. Evangelii gaudium, nn. 186-216: AAS 105 (2013), 1098-1109.
[39] Cfr. Gaudete et exsultate, nn. 95-99: AAS 110 (2018), 1137-1138.
[40] Cfr. Evangelii gaudium, n. 27: AAS 105 (2013), 1031; ibíd., n. 189: AAS 105 (2013), 1099: «Un cambio en las estructuras sin generar nuevas convicciones y actitudes dará lugar a que esas mismas estructuras tarde o temprano se vuelvan corruptas, pesadas e ineficaces».
[41] Ibíd., n. 26: AAS 105 (2013), 1030-1031.
[42] Christus Dominus, n. 30: AAS 58 (1966), 688.
[43] Francisco, Presentación de las Felicitaciones Navideñas a la Curia Romana (22 de diciembre de 2016): AAS 109 (2017), 44.
[44] Id, Carta al Pueblo de Dios que peregrina en Chile (31 de mayo de 2018): www.vatican.va/content/francesco/es/letters/2018/documents/papa-francesco_20180531_lettera-popolodidio-cile.html
[45] Cfr. ibíd.
[46] Ibíd.
[47] Lumen gentium, n. 9: AAS 57 (1965), 13.
[48] Cfr. Congregación para el Clero, Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis (8 de diciembre de 2016), nn. 80-88, Ciudad del Vaticano 2016, pp. 37-42.
[49] Cfr. C.I.C., can. 374, § 1.
[50] Cfr. ibíd., can. 374, § 2; cfr. Congregación para los Obispos, Directorio para el ministerio pastoral de los Obispos Apostolorum successores (22 de febrero de 2004), n. 217: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2110.
[51] Cfr. C.I.C., can. 374, § 1.
[52] Cfr. ibíd., can. 374, § 2.
[53] Cfr. Apostolorum successores, n. 218: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2114.
[54] Cfr. C.I.C., can. 515, § 2.
[55] Cfr. ibíd., can. 86.
[56] Cfr. ibíd., can. 120, § 1.
[57] Cfr. ibíd., cans. 121-122; Apostolorum successores, n. 214: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2099.
[58] Cfr. C.I.C., can. 51.
[59] Cfr. ibíd., cans. 120-123.
[60] Cfr. ibíd., cans. 500, § 2 y 1222, § 2.
[61] Cfr. Pontificio Consejo de la Cultura, La dimisión y la reutilización de las iglesias. Líneas guía (17 de diciembre de 2018): http://www.cultura.va/content/cultura/es/pub/documenti/decommissioning.html
[62] Cfr. C.I.C., can. 1222, § 2.
[63] Ibíd., can. 374, § 2.
[64] Cfr. Apostolorum successores, n. 217: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2110.
[65] Cfr. C.I.C., can. 554, § 1.
[66] Ibíd., can. 555, § 1, 1°.
[67] Ibíd., can. 555, § 4.
[68] Cfr. ibíd., can. 500, § 2.
[69] Cfr. Pontificio Consejo para la Pastoral de los Emigrantes e Itinerantes, Erga migrantes charitas Christi (3 de mayo de 2004), n. 95: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2548.
[70] Cfr. Apostolorum successores, n. 215, b): Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2104.
[71] Cfr. ibíd.
[72] Cfr. C.I.C., can. 517, § 1.
[73] Cfr. ibíd., can. 526, § 1.
[74] Cfr. ibíd.
[75] Cfr. ibíd., can. 522.
[76] Cfr. ibíd., cans. 553-555.
[77] Cfr. ibíd., can. 536.
[78] Cfr. ibíd., can. 537.
[79] Cfr. ibíd., can. 500, § 2.
[80] Cfr. Apostolorum successores, n. 219: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2117; es conveniente reservar el nombre “zona pastoral” solo para este género de agrupación, a fin de evitar confusiones.
[81] Cfr. C.I.C., cans. 134, § 1 y 476.
[82] Se debe tener presente que: a) lo que se refiere al “Obispo diocesano” también se aplica a aquellos otros equiparados a él por el Derecho; b) lo que se refiere a la parroquia y al párroco también se aplica a la cuasi-parroquia y al cuasi-párroco; c) lo que se refiere a los fieles laicos también se aplica a los miembros no clérigos de Institutos de Vida Consagrada o de Sociedades de Vida Apostólica, a menos que haya una referencia expresa a la especificidad laical; d) el término “Moderador” asume diferentes significados en función del contexto en el que se utilice en la presente Instrucción, en el respeto de las normas del Código de Derecho Canónico.
[83] Cfr. Lumen gentium, n. 26: AAS 57 (1965), 31-32.
[84] Cfr. Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis, nn. 83; 88.e, pp. 37; 39.
[85] Cfr. C.I.C., can. 275, § 1.
[86] Cfr. Concilio Ecuménico Vaticano II, Decreto sobre el ministerio y la vida sacerdotal Presbyterorum ordinis (7 de diciembre de 1965), n. 8: AAS 58 (1966), 1003.
[87] Cfr. Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis, n. 88, pp. 39-40.
[88] Cfr. Francisco, Discurso a los participantes en el Congreso organizado por la Congregación para el Clero, con ocasión del 50 aniversario de los Decretos Conciliares “Optatam totius” y “Presbyterorum ordinis” (20 de noviembre de 2015): AAS 107 (2015), 1295.
[89] Cfr. C.I.C., can. 150.
[90] Cfr. ibíd., can. 521, § 1.
[91] Cfr. ibíd., can. 520, § 1.
[92] Ibíd., can. 519.
[93] Cfr. ibíd., can. 532.
[94] Cfr. ibíd., can. 1257, § 1.
[95] Christus Dominus, n. 31: AAS 58 (1965), 689.
[96] C.I.C., can. 522.
[97] Ibíd., can. 1748.
[98] Ibíd., can. 526, § 1.
[99] Cfr. ibíd., can. 152.
[100] Cfr. ibíd., can. 538, §§ 1-2.
[101] Cfr. ibíd., cans. 1740-1752, teniendo en cuenta los cans. 190-195.
[102] Cfr. ibíd., can. 538, § 3.
[103] Ibíd.
[104] Cfr. ibíd., can. 189.
[105] Cfr. ibíd., can. 189, § 2 y Apostolorum successores, n. 212: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2095.
[106] Apostolorum successores, n. 212: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2095.
[107] Cfr. C.I.C., cans. 539-540.
[108] Cfr. en particular ibíd., cans. 539; 549; 1747, § 3.
[109] Ibíd., can. 517, § 1; cfr. también cans. 542-544.
[110] Cfr. ibíd., cans. 517, § 1 y 526, § 1.
[111] Cfr. ibíd., can. 543, § 1.
[112] Cfr. ibíd., can. 543, § 2, 3°; asume también la representación jurídica civil, en los países en los cuales la parroquia es reconocida por el Estado como ente jurídico.
[113] Cfr. ibíd., can. 543, § 1.
[114] Cfr. ibíd., can. 517, § 1.
[115] Cfr. ibíd., can. 545, § 2; como ejemplo, se puede pensar en un sacerdote, con experiencia espiritual, pero con escasa salud, nombrado confesor ordinario para cinco parroquias territorialmente contiguas.
[116] Cfr. ibíd., can. 265.
[117] Ibíd., can. 1009, § 3.
[118] Francisco, Discurso durante el encuentro con los sacerdotes y los consagrados, Milán (25 de marzo de 2017): AAS 109 (2017), 376.
[119] Ibíd., 376-377.
[120] Lumen gentium, n. 29: AAS 57 (1965), 36.
[121] Pablo VI, Alocución en la Audiencia concedida a los participantes en el Congreso Internacional sobre el Diaconado, 25 de octubre de 1965: Enchiridion sul Diaconato (2009), 147-148.
[122] Cfr. C.I.C., can. 150.
[123] Congregación para la Doctrina de la Fe, Carta Iuvenescit Ecclesia a los Obispos de la Iglesia Católica sobre la relación entre los dones jerárquicos y carismáticos para la vida y misión de la Iglesia (15 de mayo de 2016), n. 21: Enchiridion Vaticanum 32 (2016), 734.
[124] Ibíd., n. 22: Enchiridion Vaticanum 32 (2016), 738.
[125] Cfr. C.I.C., can. 573, § 1.
[126] Cfr. Congregación para los Institutos de Vida Consagrada y las Sociedades de Vida Apostólica - Congregación para los Obispos, Mutuae relationes. Criterios pastorales sobre las relaciones entre los Obispos y los religiosos en la Iglesia (14 de mayo de 1978), nn. 10; 14, a): Enchiridion Vaticanum 6 (1977-1979), 604-605; 617-620; cfr. también Apostolorum successores, n. 98: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 1803-1804.
[127] Cfr. Evangelii gaudium, n. 102: AAS 105 (2013), 1062-1063.
[128] Cfr. Christifideles laici, n. 23: AAS 81 (1989), 429.
[129] Evangelii gaudium, n. 201: AAS 105 (2013), 1104.
[130] Lumen gentium, n. 31: AAS 57 (1965), 37.
[131] Pablo VI, Exhortación apostólica Evangelii nuntiandi (8 de diciembre de 1975), n. 73: AAS 68 (1976), 61.
[132] Cfr. Evangelii gaudium, n. 81: AAS 105 (2013), 1053-1054.
[133] Cfr. C.I.C., can. 517, § 2.
[134] Cfr. Apostolorum successores, n. 215, c): Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2105.
[135] Congregación para el Clero, Instrucción [interdicasterial] sobre algunas cuestiones acerca de la colaboración de los fieles laicos en el sagrado ministerio de los sacerdotes Ecclesiae de mysterio (15 de agosto de 1997), art. 4, § 1, a-b): AAS89 (1997), 866-867; cfr. también Apostolorum successores, n. 215, c): Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2105. A tal sacerdote compete también la representación jurídica de la parroquia, tanto canónica como civilmente, donde la Ley del Estado lo prevea.
[136] Antes de recurrir a la solución contemplada en el can. 517, § 2, se requiere que el Obispo diocesano valore prudentemente adoptar otras alternativas posibles, como, por ejemplo, comprometer a sacerdotes ancianos aún capaces para el ministerio, confiar varias parroquias a un solo párroco o encomendar varias parroquias a un grupo de sacerdotes in solidum.
[137] Cfr. Ecclesiae de mysterio, art. 4, § 1, b): AAS 89 (1997), 866-867, y Congregación para el Clero, Instrucción El presbítero, pastor y guía de la comunidad parroquial (4 de agosto de 2002), nn. 23 y 25, en modo particular, se trata de “una colaboración ad tempus en el ejercicio de la cura pastoral de la parroquia”, cfr. n. 23: Enchiridion Vaticanum 21 (2002), 834-836.
[138] Cfr. El presbítero, pastor y guía de la comunidad parroquial, n. 25: Enchiridion Vaticanum 21 (2002), 836.
[139] C.I.C., can. 517, § 2.
[140] El presbítero, pastor y guía de la comunidad parroquial, n. 23: Enchiridion Vaticanum 21 (2002), 834.
[141] Cfr. Ecclesiae de mysterio, art. 1, § 3: AAS 89 (1997), 863.
[142] Cfr. El presbítero, pastor y guía de la comunidad parroquial, n. 23: Enchiridion Vaticanum 21 (2002), 835.
[143] Cfr. Apostolorum successores, n. 112: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 1843.
[144] Es útil recordar que, entre las funciones litúrgicas que el Obispo diocesano, después de escuchar a la Conferencia Episcopal, puede confiar temporalmente a fieles, hombres y mujeres, además de las propias del ministerio del lector, figura también el servicio al altar, respetando la relativa norma canónica; cfr. Pontificio Consejo para la interpretación de los Textos Legislativos, Respuesta (11 de julio de 1992): AAS 86 (1994), 541; Congregación para el Culto Divino y la Disciplina de los Sacramentos, Carta circular (15 de marzo de 1994): AAS 86 (1994), 541-542.
[145] Cfr. C.I.C., can. 205.
[146] Cfr. ibíd., can. 230, § 1.
[147] En el acto por el cual el Obispo confía las tareas mencionadas a diáconos o a fieles laicos, determine claramente las funciones que están habilitados a desempeñar y por cuánto tiempo.
[148] C.I.C., can. 1248, § 2.
[149] Ibíd., can. 861, § 1.
[150] Ibíd., can. 766.
[151] Ecclesiae de mysterio, art. 3, § 4: AAS 89 (1997), 865.
[152] Cfr. C.I.C., can. 767, § 1; Ecclesiae de mysterio, art. 3, § 1: AAS 89 (1997), 864.
[153] C.I.C., can. 1112, § 1; cfr. Juan Pablo II, Constitución apostólica Pastor Bonus (28 de junio de 1998), art. 63: AAS 80 (1988), 876, respecto a las competencias de la Congregación para el Culto Divino y la Disciplina de los Sacramentos.
[154] Francisco, Meditación cotidiana en Santa Marta (21 de octubre de 2013): L’Osservatore Romano 242 (21-22 de octubre de 2013), 8.
[155] Cfr. C.I.C., cans. 537 y 1280.
[156] Conforme al can. 532 C.I.C., el párroco es responsable de los bienes de la parroquia, aunque para administrarlos debe recurrir a la colaboración de expertos laicos.
[157] Cfr. C.I.C., cans. 115, § 2 y, por analogía, 492, § 1.
[158] Cfr. ibíd., can. 537 y Apostolorum successores, n. 210: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2087.
[159] Cfr. C.I.C., cans. 517 y 526.
[160] Cfr. ibíd., can. 1287 § 1.
[161] Cfr. ibíd., can. 536, § 1.
[162] Francisco, Discurso durante el encuentro con el clero, personas consagradas y miembros de Consejos pastorales, Asís (4 de octubre de 2013): Insegnamenti I/2 (2013), 328.
[163] Id, Homilía en la Santa Misa de la Solemnidad de Pentecostés, 4 de junio de 2017: AAS 109 (2017), 711.
[164] Cfr. Lumen gentium, n. 10: AAS 57 (1965), 14.
[165] Cfr. Congregación para el Clero, Carta circular Omnes christifideles (25 de enero de 1973), nn. 4 y 9; Enchiridion Vaticanum 4 (1971-1973), 1199-1201 y 1207-1209; Christifideles laici, n. 27: AAS 81 (1989), 440-441.
[166] Francisco, Audiencia General (23 de mayo de 2018).
[167] Pablo VI, Carta apostólica Motu Proprio Ecclesiae Sanctae (6 de agosto de 1966), I, 16, § 1: AAS 58 (1966), 766; cfr. C.I.C., can. 511.
[168] Evangelii gaudium, n. 31: AAS 105 (2013), 1033.
[169] Cfr. C.I.C., can. 536, § 2.
[170] Cfr. ibíd., can. 212, § 3.
[171] Ibíd., can. 536, § 2.
[172] Cfr. El presbítero, pastor y guía de la comunidad parroquial, n. 26: Enchiridion Vaticanum 21 (2002), 843.
[173] Cfr. C.I.C., can. 516, § 1.
[174] Cfr. ibíd., can. 515, § 2.
[175] Cfr. ibíd., can. 516, § 2.
[176] Cfr. ibíd., cans. 1214; 1223 y 1225.
[177] Cfr. ibíd., cans. 848 y 1264, 2°, así como cans. 945-958 y Congregación para el Clero, Decreto Mos iugiter (22 de febrero de 1991), aprobado en forma específica por Juan Pablo II: Enchiridion Vaticanum 13 (1991-1993), 6-28.
[178] C.I.C., can. 946.
[179] Ibíd., can. 947.
[180] Ibíd., can. 945, § 2.
[181] Francisco, Exhortación apostólica post-sinodal Christus vivit (25 de marzo de 2019), n. 231, Ciudad del Vaticano 2019.
[182] Id, Encuentro con los Obispos polacos, Cracovia (27 de julio de 2016): AAS 108 (2016), 893.
[183] Id., Mensaje para la Jornada Mundial Misionera 2017 (4 de junio de 2017), n. 10: AAS 109 (2017), 764.
[00886-ES.02] [Texto original: Español]
Teso in lingua portoghese
Instrução
A conversão pastoral
da comunidade paroquial a serviço da missão evangelizadora da Igreja
Introdução
1. A reflexão eclesiológica do Concílio Vaticano II e as notáveis transformações sociais e culturais dos últimos decênios induziram diversas Igrejas particulares a reorganizar a forma de confiar o cuidado pastoral das comunidades paroquiais. Isto consentiu de iniciar novas experiências, valorizando a dimensão da comunhão e atuando, sob a orientação dos Pastores, uma síntese harmônica de carismas e vocações a serviço do anúncio do Evangelho, que melhor corresponda às hodiernas exigências da evangelização.
Papa Francisco, no início do seu ministério, recordou a importância da “criatividade”, que significa «procurar novas estradas», ou seja, «procurar a estrada para que o Evangelho seja anunciado»; a tal propósito, concluiu o Santo Padre, «a Igreja, também o Código de Direito Canônico nos dá tantas, tantas possibilidades, tanta liberdade para procurar estas coisas»[1].
2. As situações descritas na presente Instrução representam uma preciosa ocasião para a conversão pastoral no sentido missionário. São, de fato, convites às comunidades paroquiais a sair de si mesmas, oferecendo instrumentos para uma reforma, também estrutural, orientada a um estilo de comunhão e de colaboração, de encontro e de proximidade, de misericórdia e de solicitude para o anúncio do Evangelho.
I. A conversão pastoral
3. A conversão pastoral é um dos temas fundamentais na “nova etapa da evangelização”[2] que a Igreja é chamada hoje a promover, para que as comunidades cristãs tornem-se cada vez mais centros propulsores do encontro com Cristo.
Por isto, o Santo Padre sugeriu: «Se alguma coisa nos deve santamente inquietar e preocupar a nossa consciência é que haja tantos irmãos nossos que vivem sem a força, a luz e a consolação da amizade com Jesus Cristo, sem uma comunidade de fé que os acolha, sem um horizonte de sentido e de vida. Mais do que o temor de falhar, espero que nos mova o medo de nos encerrarmos nas estruturas que nos dão uma falsa proteção, nas normas que nos transformam em juízes implacáveis, nos hábitos em que nos sentimos tranquilos, enquanto lá fora há uma multidão faminta e Jesus repete-nos sem cessar: «Dai-lhes vós mesmos de comer (Mc 6, 37)»[3].
4. Motivada por esta santa inquietude, a Igreja, «fiel à própria tradição e, ao mesmo tempo, consciente da sua missão universal, é capaz de entrar em comunicação com as diversas formas de cultura, com o que se enriquecem tanto a própria Igreja como essas várias culturas»[4]. De fato, o encontro fecundo e criativo entre o Evangelho e a cultura conduz a um progresso verdadeiro: de um lado, a Palavra de Deus se encarna na história dos homens renovando-a; de outro lado, «a Igreja […] pode também ser enriquecida, e de fato o é, com a evolução da vida social»[5], de modo a aprofundar a missão que lhe confiada por Cristo, para melhor expressá-la no tempo em que se vive.
5. A Igreja anuncia que o Verbo «se fez carne e veio habitar em nosso meio» (Jo 1, 14). Esta Palavra de Deus, que ama habitar entre os homens, na sua inesgotável riqueza[6] foi acolhida no mundo inteiro por povos diversos, promovendo suas aspirações mais nobres, incluindo o desejo de Deus, a dignidade da vida de cada pessoa, a igualdade entre os homens e o respeito pelas diferenças na única família humana, o diálogo como instrumento de participação, anseio pela paz, o acolhimento como expressão de fraternidade e solidariedade, a tutela responsável do criado[7].
Não é pensável, então, que uma tal novidade, cuja difusão até os confins do mundo ainda está inacabado, desapareça ou, pior, se dissolva[8]. Para continuar o percurso da Palavra, é necessário que nas comunidades cristãs se atue uma decisiva escolha missionária, «capaz de transformar tudo, para que os costumes, os estilos, os horários, a linguagem e toda a estrutura eclesial se tornem um canal proporcionado mais à evangelização do mundo atual que à autopreservação»[9].
II. A paróquia no contexto contemporâneo
6. Tal conversão missionária, que leva naturalmente também a uma reforma das estruturas, diz respeito em modo particular à paróquia, comunidade chamada ao redor da Mesa da Palavra e da Eucaristia.
A paróquia possui uma longa história e teve desde o início um papel fundamental na vida dos cristãos e no desenvolvimento e no trabalho pastoral da Igreja; já nos escritos de São Paulo pode-se verificar a sua primeira intuição. Alguns textos paulinos, realmente, mostram a constituição de pequenas comunidades como igrejas domésticas, identificadas pelo Apóstolo simplesmente com o termo “casa” (cfr., por exemplo, Rm 16, 3-5; 1 Cor 16, 19-20; Fil 4, 22). Nestas “casas” pode-se decifrar o nascimento das primeiras “paróquias”.
7. Desde da sua origem, então, a paróquia coloca-se como resposta a uma exigência pastoral precisa, aproximar o Evangelho ao Povo através do anúncio da fé e da celebração dos sacramentos. A mesma etimologia do termo torna compreensível o sentido da instituição: a paróquia é uma casa em meio às casas[10] e responde à lógica da Encarnação de Jesus Cristo, vivo e atuante na comunidade humana. Essa, então, visualmente representada pelo edifício de culto, é sinal da presença permanente do Senhor Ressuscitado no meio do seu Povo.
8. A configuração territorial da paróquia, todavia, hoje é convidada a confrontar-se com uma característica peculiar do mundo contemporâneo, no qual a crescente mobilidade e a cultura digital dilataram os confins da existência. De fato, de um lado, a vida das pessoas identifica-se sempre menos com um contexto definitivo e imutável, mas desenvolve-se “num território global e plural”; de outro lado, a cultura digital modificou de maneira irreversível a compreensão do espaço, e a linguagem e os comportamentos das pessoas, especialmente das gerações jovens.
Além disso, é fácil pressupor que o contínuo desenvolvimento da tecnologia modificará ulteriormente o modo de pensar e a compreensão que o homem terá de si e da vida social. A rapidez das alterações, a mudança dos modelos culturais, a facilidade para os deslocamentos e a velocidade da comunicação estão transformando a percepção do espaço e do tempo.
9. A paróquia, como comunidade viva dos fiéis, está inserida em tal contexto, no qual o vínculo com o território tende a ser sempre menos observado, os lugares de pertença tornam-se múltiplos e corre-se o risco das relações interpessoais dissolverem-se no mundo virtual sem compromisso nem responsabilidade com o próprio contexto relacional.
10. Percebe-se hoje que tais mudanças culturais e a alterada relação com o território estão promovendo na Igreja, graças a presença do Espírito Santo, um novo discernimento comunitário, «que consiste no ver a realidade com os olhos de Deus, na ótica da unidade e da comunhão»[11]. É, portanto, urgente envolver todo o Povo de Deus na responsabilidade de acolher o convite do Espírito, para realizar processos de “rejuvenescimento” do rosto da Igreja.
III. O valor da paróquia hoje
11. Em virtude de tal discernimento, a paróquia é chamada a acolher as instâncias do tempo para adequar o próprio serviço às exigências dos fiéis e das alterações históricas. É necessário um renovado dinamismo, que permita de redescobrir a vocação de cada batizado a ser discípulo de Jesus e missionário do Evangelho, à luz dos documentos do Concílio Vaticano II e do Magistério sucessivo.
12. Os Padres conciliares, de fato, escreveram por antecipação: «o cuidado com as almas deve ser animado pelo espírito missionário»[12]. Em continuidade com tal ensinamento, São João Paulo II precisava: «a paróquia é aperfeiçoada e integrada em muitas outras formas, mas essa continua sendo um organismo indispensável de primária importância nas estruturas visíveis da Igreja», para «fazer da evangelização a base de toda a ação pastoral, com exigência prioritária, preeminente e privilegiada»[13]. Bento XVI ensinava então que «a paróquia é um farol que irradia a luz da fé e assim vem ao encontro aos desejos mais profundos e verdadeiros do coração do homem, dando significado e esperança à vida das pessoas e das famílias»[14]. Por fim, Papa Francisco recorda que «Através de todas as suas atividades, a paróquia incentiva e forma os seus membros para serem agentes da evangelização»[15].
13. Para promover a centralidade da presença missionária da comunidade cristã no mundo[16], é importante repensar não só a uma nova experiência de paróquia, mas também, nessa, o ministério e a missão dos sacerdotes, que, junto aos fiéis leigos, têm o compromisso de ser “sal e luz do mundo” (cfr. Mt 5, 13-14), “lâmpada no candelabro” (cfr. Mc 4, 21), mostrando o rosto duma comunidade evangelizadora, capaz de uma adequada leitura dos sinais dos tempos, que gera um coerente testemunho de vida evangélica.
14. A partir justamente da consideração dos sinais dos tempos, escutando o Espírito, é necessário também gerar novos sinais: não sendo mais, como no passado, o lugar primeiro da agregação e da sociabilidade, a paróquia é chamada a encontrar outras modalidades de vizinhança e de proximidade em respeito às atividades habituais. Tal compromisso não constitui um peso a suportar, mas um desafio a acolher com entusiasmo.
15. Os discípulos do Senhor, seguindo o seu Mestre, à escola dos Santos e dos pastores, aprenderam, às vezes através de experiências sofridas, a saber esperar os tempos e os modos de Deus, a alimentar a certeza que Ele está sempre presente até o fim da história, e que o Espírito Santo – coração que faz pulsar a vida da Igreja – reúne os filhos de Deus espalhados no mundo. Para isto, a comunidade cristã não deve ter medo de iniciar e acompanhar processos dentro de um território onde vivem diferentes culturas, na confiante certeza que para os discípulos de Cristo «nada lhes é de genuinamente humano que não encontre eco no seu coração»[17].
IV. A missão, critério guia para o renovamento
16. Nas transformações em ato, não obstante o generoso compromisso, às vezes a paróquia não corresponde adequadamente às muitas expectativas dos fiéis, especialmente considerando as várias tipologias de comunidades[18]. É verdade que uma característica da paróquia é o seu radicar-se ali onde cada um vive quotidianamente. Porém, especialmente hoje, o território não é mais apenas um espaço geográfico delimitado, mas o contexto onde cada um exprime a própria vida feita de relações, de serviço recíproco e de tradições antigas. É neste “território existencial” que se encontra todo o desafio da Igreja em meio da comunidade. Parece então superada uma pastoral que mantém o campo de ação exclusivamente no interior dos limites territoriais da paróquia, quando muitas vezes são os próprios paroquianos a não compreender mais esta modalidade, que aparece assinalada pela saudade do passado, mais que inspirada da audácia para o futuro[19]. De outro lado, é bom precisar que sob o plano canônico, o princípio territorial permanece plenamente vigente, quando requisitado no direito[20].
17. Além disso, a mera repetição de atividade sem incidência na vida das pessoas concretas, permanece uma tentativa estéril de sobrevivência, diversas vezes acolhida pela indiferença geral. Caso não se viva o dinamismo espiritual comum da evangelização, a paróquia corre o risco de se tornar autorreferencial e de esclerosar-se, propondo experiências, por enquanto, privadas de sabor evangélico e de ardor missionário talvez destinadas somente a pequenos grupos.
18. O renovamento da evangelização exige novas atenções e propostas pastorais diversificadas, para que a Palavra de Deus e a vida sacramental possam alcançar a todos, coerente com o estado de vida de cada um. Realmente, a inserção eclesial hoje prescinde sempre mais dos lugares de nascimento e de crescimento dos membros e está mais orientada para uma comunidade de adoção[21], onde os fiéis fazem uma experiência mais ampla do Povo de Deus, de fato, dum corpo que se articula em tantos membros, onde cada um trabalha para o bem de todo o corpo (cfr. 1 Cor 12, 12-27).
19. Além dos lugares e das razões de inserção, a comunidade paroquial é o contexto humano onde se atua a missão evangelizadora da Igreja, celebram-se os sacramentos e experimenta-se a caridade, num dinamismo missionário que – além de ser elemento intrínseco da ação pastoral – torna-se critério de verificação da sua autenticidade. No momento presente, caracterizado, às vezes, por situações de marginalização e solidão, a comunidade paroquial é chamada a ser sinal vivo da proximidade de Cristo através de uma rede de relações fraternas, projetadas pelas novas formas de pobreza.
20. Em razão do que foi dito até aqui, é necessário individualizar prospectivas que permitam de renovar as estruturas paroquiais “tradicionais” em chave missionária. É este o coração da desejada conversão pastoral, que o anúncio da Palavra de Deus deve tocar, a vida sacramental e o testemunho da caridade, ou seja, os âmbitos essenciais nos quais a paróquia cresce e se conforma ao mistério que acredita.
21. Percorrendo os Atos dos Apóstolos, percebe-se o protagonismo da Palavra de Deus, potência interior que trabalha a conversão dos corações. Essa é a comida que alimenta os discípulos do Senhor e os faz testemunhas do Evangelho nas diversas condições de vida. A Escritura contém uma força profética que a torna sempre viva. É necessário, então, que a paróquia eduque à leitura e à meditação da Palavra de Deus através de propostas diversificadas de anúncio[22], assumindo formas comunicativas claras e compreensíveis, que apresentem o Senhor Jesus segundo o testemunho sempre novo do kerigma[23].
22. A celebração do mistério eucarístico, portanto, é «fonte e ápice de toda a vida cristã»[24] e por isso, momento substancial do constituir-se da comunidade paroquial. Nessa a Igreja toma consciência do significado do seu próprio nome: convocação do Povo de Deus que louva, suplica, intercede e agradece. Celebrando a Eucaristia, a comunidade cristã acolhe a presença viva do Senhor Crucificado e Ressuscitado, recebendo o anúncio de todo o seu mistério de salvação.
23. A partir daqui a Igreja recorda a necessidade de redescobrir a iniciação cristã, que gera uma vida nova, porque está inserida no mistério da mesma vida de Deus. É realmente um caminho que não conhece interrupção, nem está ligado apenas às celebrações ou aos eventos, porque não está determinado em primeiro lugar pelo dever de cumprir um “rito de passagem”, mas unicamente pela prospectiva do permanente seguimento a Cristo. Neste contexto, pode ser útil estabelecer itinerários mistagógicos que toquem realmente a existência[25]. A catequese também deverá apresentar-se como um contínuo anúncio do Mistério de Cristo, com a finalidade de fazer crescer no coração do batizado a estatura de Cristo (cfr. Ef 4, 13), através do encontro pessoal com o Senhor da vida.
Como recordou Papa Francisco, é necessário «chamar a atenção para duas falsificações da santidade que poderiam extraviar-nos: o gnosticismo e o pelagianismo. São duas heresias que surgiram nos primeiros séculos do cristianismo, mas continuam a ser de alarmante atualidade»[26]. No caso do gnosticismo, trata-se de uma fé abstrata, só intelectual, feita de conhecimentos que restam longe da vida, enquanto o pelagianismo induz o homem a contar unicamente com as próprias forças, ignorando a ação do Espírito.
24. No misterioso entrelaçamento entre o agir de Deus e aquele do homem, a proclamação do Evangelho acontece através de homens e mulheres que tornam credível aquilo que anunciam com a vida, numa rede de relações interpessoais que geram confiança e esperança. No período atual, muitas vezes assinalado pela indiferença, pelo fechamento do indivíduo em si mesmo e pela rejeição do outro, a redescoberta da fraternidade é fundamental, a partir do momento que a evangelização está estreitamente ligada à qualidade das relações humanas[27]. Assim, a comunidade cristã faz da palavra de Jesus estímulo a «avançar sempre mais profundo» (Lc 5, 4), na confiança que o convite do Mestre de lançar as redes garante a si a certeza de uma “pesca abundante”[28].
25. A “cultura do encontro” é o contexto que promove o diálogo, a solidariedade e a abertura a todos, fazendo emergir a centralidade da pessoa. É necessário, portanto, que a paróquia seja um “lugar” que favorece o estar juntos e o crescimento das relações pessoais duradoras, que consintam a cada um de perceber o sentido de pertença e de ser bem quisto.
26. A comunidade paroquial é chamada a desenvolver uma verdadeira e própria “arte da proximidade”. Se essa planta raízes profundas, a paróquia se torna realmente o lugar de superação da solidão, que ataca a vida de tantas pessoas, e um «santuário onde os sedentos vão beber para continuarem a caminhar, e centro de constante envio missionário»[29].
V. “Comunidade de comunidades”: a paróquia inclusiva, evangelizadora e atenta aos pobres
27. O sujeito da ação missionária e evangelizadora da Igreja é sempre todo o Povo de Deus. Realmente, o Código de Direito Canônico coloca em evidência que a paróquia não se identifica com um edifício ou um conjunto de estruturas, mas sim com uma precisa comunidade de fiéis, na qual o pároco é o seu pastor próprio[30]. A este propósito Papa Francisco recordou que «a paróquia é presença eclesial no território, âmbito para a escuta da Palavra, o crescimento da vida cristã, o diálogo, o anúncio, a caridade generosa, a adoração e a celebração», e afirmou que essa «é comunidade de comunidades»[31].
28. Os diversos componentes que na paróquia se articulam são chamados à comunhão e à unidade. Na medida em que cada um implementa a própria complementariedade, pondo-a a serviço da comunidade, então, de um lado se pode ver plenamente realizado o ministério do pároco e dos presbíteros que colaboram como pastores, de outro lado emerge a peculiaridade dos vários carismas dos diáconos, dos consagrados e dos leigos, para que cada um faça o seu melhor para a construção do único corpo (cfr. 1 Cor 12, 12).
29. A paróquia, portanto, é uma comunidade convocada pelo Espírito Santo para anunciar a Palavra de Deus e fazer renascer novos filhos à fonte batismal; reunida por seu pastor, celebra o memorial da paixão, morte e ressurreição do Senhor e testemunha a fé na caridade, vivendo em permanente estado de missão, para que a ninguém falte a mensagem salvífica, que doa a vida.
A propósito, Papa Francisco assim se expressa: «A paróquia não é uma estrutura caduca; precisamente porque possui uma grande plasticidade, pode assumir formas muito diferentes que requerem a docilidade e a criatividade missionária do Pastor e da comunidade. Embora não seja certamente a única instituição evangelizadora, se for capaz de se reformar e adaptar constantemente, continuará a ser “a própria Igreja que vive no meio das casas dos seus filhos e das suas filhas”. Isto supõe que esteja realmente em contato com as famílias e com a vida do povo, e não se torne uma estrutura complicada, separada das pessoas, nem um grupo de eleitos que olham para si mesmos. […] Temos, porém, de reconhecer que o apelo à revisão e renovação das paróquias ainda não deu suficientemente fruto, tornando-as ainda mais próximas das pessoas, sendo âmbitos de viva comunhão e participação e orientando-as completamente para a missão»[32].
30. Não pode ser estranho à paróquia o “estilo espiritual e eclesial dos santuários” – verdadeiros e próprios “espaços missionários” – caracterizados pelo acolhimento, pela vida de oração e pelo silêncio que restaura o espírito e pela celebração do sacramento da reconciliação e pela atenção para com os pobres. As peregrinações que as comunidades paroquiais realizam aos vários santuários são instrumentos preciosos para o crescimento na comunhão fraterna e, retornar a casa, para transformar os próprios lugares de vida quotidiana muito mais abertos e hospitaleiros[33].
31. Nesta prospectiva, tem-se a ideia que o santuário pode oferecer aquele conjunto de características e de serviços que, analogamente, uma paróquia também deve haver, representando para muitos fiéis o objetivo desejado da própria busca interior e o lugar onde nos encontramos com o rosto de Cristo misericordioso e com uma Igreja acolhedora.
Esses podem redescobrir nos santuários “a unção do Santo” (1 Jo 2,20), isto é, a própria consagração batismal. Destes lugares aprende-se, na liturgia, a celebrar com fervor o mistério da presença de Deus em meio a seu povo, a beleza da missão evangelizadora de cada batizado, o chamado a traduzir em caridade os lugares onde se vive[34].
32. “Santuário” aberto a todos, a paróquia, chamada também a alcançar cada um, sem exceção, recorda que os pobres e os excluídos devem ter sempre um lugar privilegiado no coração da Igreja. Como afirmou Bento XVI: «Os pobres são os destinatários privilegiados do Evangelho»[35]. Por sua vez, Papa Francisco escreveu que «a nova evangelização é um convite a reconhecer a força salvífica das suas vidas, e a colocá-los no centro do caminho da Igreja. Somos chamados a descobrir Cristo neles: não só a emprestar-lhes a nossa voz nas suas causas, mas também a ser seus amigos, a escutá-los, a compreendê-los e a acolher a misteriosa sabedoria que Deus nos quer comunicar através deles»[36].
33. Muitas vezes a comunidade paroquial é o primeiro lugar de encontro humano e pessoal dos pobres com o rosto da Igreja. Os sacerdotes, os diáconos e os consagrados deverão, em particular, manifestar compaixão para com a “carne ferida”[37] dos irmãos, a visitá-los na sua doença, a sustentar pessoas e famílias sem trabalho, a abrir a porta a quantos estão na necessidade. Com o olhar dirigido aos últimos, a comunidade paroquial evangeliza e se deixa evangelizar pelos pobres, reencontrando neste modo o compromisso social do anúncio em todos os seus diferentes âmbitos[38], sem se esquecer da “suprema regra” da caridade em base a qual seremos julgados[39].
VI. Da conversão das pessoas àquela das estruturas
34. Neste processo de renovação e de reestruturação, a paróquia deve evitar o risco de cair na excessiva e burocrática organização de eventos e numa oferta de serviços, que não exprimem a dinâmica da evangelização, mas o critério de autopreservação[40].
Citando São Paulo VI, Papa Francisco, com a sua habitual paresia, trouxe à memória que « a Igreja deve aprofundar a consciência de si mesma, meditar sobre o seu próprio mistério (...). Há estruturas eclesiais que podem chegar a condicionar um dinamismo evangelizador; de igual modo, as boas estruturas servem quando há uma vida que as anima, sustenta e avalia. Sem vida nova e espírito evangélico autêntico, sem “fidelidade da Igreja à própria vocação”, toda e qualquer nova estrutura se corrompe em pouco tempo»[41].
35. A conversão das estruturas, que a paróquia deve propor-se, exige “muito antes” uma mudança de mentalidade e uma renovação interior, sobretudo, de quantos são chamados à responsabilidade como guia pastoral. Os pastores e em modo particular os párocos, «principais colaboradores do Bispo»[42], para serem fiéis ao que Cristo ordenou, devem advertir com urgência a necessidade de uma reforma missionária na pastoral.
36. Tendo presente quanto a comunidade cristã seja ligada a própria história e aos próprios afetos, cada pastor não pode esquecer que a fé do Povo de Deus se relaciona com a memória familiar e com aquela comunitária. Muitas vezes, o lugar sagrado evoca momentos de vida significativos das gerações passadas, rostos e eventos que marcaram itinerários pessoais e familiares. Para evitar traumas e feridas, é importante que os processos de reestruturação das comunidades paroquiais e, às vezes, diocesanas sejam conduzidas a realizá-las com flexibilidade e de modo gradual.
Papa Francisco citando à reforma da Cúria Romana, sublinhou que a ação gradual «é o fruto do indispensável discernimento que implica processo histórico, varredura dos tempos e das etapas, verificação, correções, experimentação, aprovações “ad experimentum”. Então, nestes casos não se trata de indecisão, mas da flexibilidade necessária para poder atingir uma verdadeira reforma»[43]. Trata-se de ter atenção a não “forçar os tempos”, querendo completar as reformas muito rapidamente e com critérios genéricos, que obedecem a lógicas elaboradas “em escritório”, esquecendo-se das pessoas concretas que habitam o território. Realmente, cada projeto deve ser situado na vida real de uma comunidade e inserido nessa sem traumas, com uma necessária fase de consulta prévia e outra de aplicação progressiva e de avaliação.
37. Tal renovação, naturalmente, não diz respeito unicamente ao pároco, nem pode ser imposição vinda do alto, excluindo o Povo de Deus. A conversão pastoral das estruturas implica no conhecimento que «o Santo Povo fiel de Deus é ungido com a graça do Espírito Santo; portanto, na hora de refletir, pensar, avaliar, discernir, devemos ter muito cuidado com essa unção. Cada vez que, como Igreja, como pastores, como consagrados esquecemo-nos esta certeza erramos a estrada. Cada vez que queremos suplantar, silenciar, aniquilar, ignorar ou reduzir o Povo de Deus em sua totalidade e em suas diferenças a pequenas elites, construímos comunidades, planos pastorais, discursos teológicos, espiritualidade e estruturas sem raízes, sem história, sem rosto, sem memória, sem corpo, de fato, sem vida. No momento em que nos erradicamos da vida do Povo de Deus, caímos na desolação e pervertemos a natureza da Igreja»[44].
Neste sentido, o clero não realiza sozinho a transformação solicitada pelo Espírito Santo, mas está envolvido na conversão que diz respeito a todos os integrantes do Povo de Deus[45]. Por isso, é necessário «procurar com consciência e lucidez espaços de comunhão e de participação, para que a Unção de todo o Povo de Deus encontre as suas mediações concretas para manifestar-se»[46].
38. Por consequência, é evidente quanto seja oportuno a superação tanto duma concessão autorreferencial da paróquia, quanto duma “clericalização da pastoral”. Levar a sério que o Povo de Deus «tem por condição a dignidade e a liberdade dos filhos de Deus, em cujos corações o Espírito Santo habita como num templo»[47], leva a promover práticas e modelos através dos quais cada batizado, em virtude do dom do Espírito Santo e dos carismas recebidos, torna-se protagonista ativo da evangelização, no estilo e nas modalidades de uma comunhão orgânica, seja com as outras comunidades paroquiais, seja com a pastoral no geral da diocese. De fato, o sujeito responsável da missão é toda a comunidade, a partir do momento que a Igreja não se identifica somente com hierarquia, mas se constitui como Povo de Deus.
39. Será compromisso dos pastores manter viva tal dinâmica, para que cada batizado se perceba protagonista ativo da evangelização. A comunidade presbiteral, sempre no caminho de formação permanente[48], deverá exercitar com sabedoria a arte do discernimento que permite à vida paroquial de crescer e de amadurecer, no reconhecimento das diversas vocações e ministérios. O presbítero, então, como membro e servidor do Povo de Deus que lhe é confiado, não pode substituí-lo. A comunidade paroquial na sua totalidade é habilitada a propor formas de ministério, de anúncio da fé e de testemunho da caridade.
40. A centralidade do Espírito Santo – dom gratuito do Pai e do Filho à Igreja – leva a viver profundamente a dimensão da gratuidade, segundo o ensinamento de Jesus: «Gratuitamente recebeste, gratuitamente dás» (Mt 10, 8). Ele ensinou aos discípulos a agir no serviço generoso, a cada um ser um dom para os outros (cfr. Jo 13, 14-15), com uma atenção preferencial para com os pobres. Daqui deriva, ademais, a exigência de não “negociar” a vida sacramental e de não dar a impressão que a celebração dos sacramentos – sobretudo da Santíssima Eucaristia – e as outras ações ministeriais possam ser sujeitas à tarifas.
Por outro lado, o pastor que serve o rebanho com generosa gratuidade, é chamado a instruir os fiéis para que cada membro da comunidade se sinta responsável e diretamente envolvido a socorrer às necessidades da Igreja, através das várias formas de ajuda e de solidariedade, que a paróquia precisa para prestar seu serviço pastoral de maneira livre e eficaz.
41. A missão que a paróquia é chamada a cumprir, enquanto centro propulsor da evangelização, diz respeito então a todo o Povo de Deus nos seus diversos componentes: presbíteros, diáconos, consagrados e fiéis leigos, cada um segundo o próprio carisma e segundo as responsabilidades que lhes correspondem.
VII. A Paróquia e os outros órgãos internos da Diocese
42. A conversão pastoral da comunidade paroquial no sentido missionário, então, toma forma e se exprime num processo gradual de renovação das estruturas e, por consequência, em modalidades diversificadas de confiar o cuidado pastoral e a participação no seu exercício, que envolvem todos os componentes do Povo de Deus.
43. Na linguagem atual, oferecida pelos documentos do Magistério, em relação à órgãos internos do território diocesano[49], há algumas décadas são acrescidas à paróquia e aos vicariatos forâneos, já previstos no vigente Código de Direito Canônico[50], expressões como “unidade pastoral” e “zona pastoral”. Tais denominações definem, de fato, formas de organização pastoral da diocese, que exprimem uma nova relação entre os fiéis e o território.
44. No tema de “unidade” ou “zonas pastorais”, ninguém pense obviamente que a solução das múltiplas problemáticas do momento presente dê-se através de uma simples denominação nova para realidades já existentes. No coração de tal processo de renovação, evitando de somente sofrer a mudança e esforçando-se em vez disto a promovê-lo e a orientá-lo, encontra-se talvez a exigência de individuar estruturas através das quais reviver em todos os componentes da comunidade cristã a vocação comum à evangelização, em vista de um cuidado pastoral do Povo de Deus mais eficaz, no qual o “fator chave” não pode ser outro que a proximidade.
45. Em tal prospectiva, a norma canônica coloca em evidência a necessidade de individuar partes distintas ao interno de cada diocese[51], com a possibilidade que essas sejam sucessivamente reagrupadas em realidades intermediárias entre a própria diocese e a singular paróquia. Por consequência disto, então, levando em consideração as dimensões da diocese e da sua concreta realidade pastoral, podem-se dar várias tipologias de reagrupamentos de paróquias[52].
No coração de tais realidades vive e trabalha a dimensão de comunhão da Igreja, com uma particular atenção ao território concreto, para o qual na sua criação deve-se levar em consideração o mais possível da homogeneidade da população e dos seus costumes e das características comuns do território, para facilitar a relação de proximidade entre os párocos e os outros agentes pastorais[53].
VII.a. Como proceder para criação de junção de paróquias
46. Em primeiro lugar, antes de proceder para criação de junção de paróquias, para tal ato o Bispo deve necessariamente consultar o Conselho presbiteral[54], em respeito à norma canônica e em nome da séria corresponsabilidade eclesial, assumida em diversos níveis entre o Bispo e os membros de tal Conselho.
47. Antes de mais nada, as junções de mais paróquias podem acontecer em forma de simples federação, no modo que as paróquias associadas mantenham distintas a sua identidade.
Ao estabelecer cada gênero de junção de paróquias vizinhas, além disso, devem por si serem respeitados os elementos essenciais estabelecidos pelo direito universal para a pessoa jurídica da paróquia, os quais não são dispensáveis pelo Bispo[55]. Ele deverá então emitir para cada paróquia que deseja suprimir um decreto específico, redigido com as motivações pertinentes[56].
48. À luz do quanto foi acima exposto, então, a junção e a criação ou supressão de paróquias, é determinada pelo Bispo diocesano respeitando as normas prevista no Direito Canônico; isto é, mediante incorporação, para qual uma paróquia flui noutra, sendo por essa absorvida e perdendo a sua originária individualidade e personalidade jurídica; ou, ainda, mediante verdadeira e própria fusão, que dá vida a uma nova e única paróquia, com a consequente extinção das paróquias preexistentes e da sua personalidade jurídica; ou, por fim, mediante divisão de uma comunidade paroquial em paróquias autônomas, que são criadas ex novo[57].
Além do mais, a supressão de paróquias para união extintiva é legítima para causas diretamente concernentes uma determinada paróquia. Ao invés, não são motivos adequados, por exemplo, somente a escassez do clero diocesano, a geral situação financeira da diocese, ou outras condições da comunidade presumidamente reversíveis em pouco tempo (por exemplo, a consistência numérica, a não autossuficiência econômica, a modificação do planejamento urbano no território). Como condição de legitimidade deste gênero de providências, é necessário que os motivos aos quais nos referimos estejam direta e organicamente conexos com a comunidade paroquial interessada e não com considerações gerais, teóricas e “de princípio”.
49. A propósito da criação e da supressão de paróquias, é bom lembrar que cada decisão deve ser adotada mediante decreto formal, redigido por escrito[58]. Por consequência, é para considerar não conforme à norma canônica emanar uma única providência, visando criar uma reorganização de caráter geral concernente a toda diocese, uma parte dessa ou um grupo de paróquias, notificadas em único ato normativo, decreto geral ou lei particular.
50. Em modo particular, nos casos de supressão de paróquias, o decreto deve indicar claramente, com referência à situação concreta, quais são as razões que induziram o Bispo a adotar a decisão. Essas, então, deverão ser indicadas especificamente, não sendo suficiente apenas uma genérica alusão ao “bem das almas”.
No ato da supressão da paróquia, realmente, o Bispo deverá providenciar também à devolução dos seus bens em relação às normas canônicas[59]; a menos que não se apresentem graves razões contrárias, ouvido o Conselho presbiteral[60], será necessário garantir que a igreja da paróquia suprimida continue aberta aos fiéis.
51. Ligada ao tema de reagrupamento de paróquias e da eventual supressão dessas está a necessidade que, às vezes, verifique-se de reduzir uma Igreja ao uso profano não indecoroso[61], decisão de competência do Bispo diocesano, depois de obrigatoriamente ter consultado o Conselho presbiteral[62].
Ordinariamente, também neste caso, não são causas legítimas para decretar tal redução a diminuição do clero diocesano, a diminuição demográfica e a grave crise econômica da diocese. Ao contrário, se o prédio encontra-se em tais condições de não poder de algum modo ser utilizado para o culto divino e não seja possível restaurá-lo, poder-se-á reduzi-lo ao uso profano não indecoroso, a norma do direito.
VII.b. Vicariato forâneo
52. Antes de mais nada, é necessário recordar que, «a fim de favorecer a cura pastoral, mediante uma ação comum, podem várias paróquias mais vizinhas unir-se em agrupamentos peculiares, tais como os vicariatos forâneos»[63]; esses assumem nos vários lugares denominações como aquelas de “decanatos” ou “arciprestados”, ou também de “zonas pastorais” ou “prefeituras”[64].
53. O vigário forâneo não deve necessariamente ser um pároco de uma determinada paróquia[65] e, para que se realize a finalidade para a qual o vicariato é criado, entre as suas responsabilidades, a primeira é aquela de «promover e coordenar a atividade pastoral comum no vicariato»[66], em tal modo que não permaneça uma instituição meramente formal. Além do mais, o vigário forâneo «tem a obrigação de, segundo as determinações do Bispo diocesano, visitar as paróquias de sua circunscrição»[67]. Para que possa realizar melhor a sua função e para favorecer ainda mais a atividade comum entre as paróquias, o Bispo diocesano poderá conceder ao vigário forâneo outras faculdades consideradas oportunas segundo o contexto concreto.
VII.c. Unidade pastoral
54. Inspirando-se em finalidades analógicas, quando as circunstâncias exigem, em razão da extensão territorial do vicariato forâneo ou do grande número de fiéis e, para isto, seja necessário favorecer melhor a colaboração orgânica entre paróquias vizinhas, tendo escutado o Conselho presbiteral[68], o Bispo pode também decretar o reagrupamento estável e institucional de várias paróquias no interior do vicariato forâneo[69], levando em consideração alguns concretos critérios.
55. Antes de tudo, é oportuno que os reagrupamentos (denominados “unidades pastorais”[70]) sejam delimitados o quanto mais possível em modo homogêneo, também do ponto de vista sociológico, para que possa ser realizada uma verdadeira pastoral orgânica ou integrada[71], em prospectiva missionária.
56. Além do mais, cada paróquia de tal reagrupamento deve ser confiada a um pároco ou também a um grupo de sacerdotes in solidum, que cuidem de todas as comunidades paroquiais[72]. Alternativamente, onde o Bispo considerar conveniente, o reagrupamento poderá também ser composto por diversas paróquias, confiadas ao mesmo pároco[73].
57. Em todo caso, também em consideração à atenção devida aos sacerdotes, que muitas vezes desenvolveram o ministério com mérito e com o reconhecimento das comunidades e para o bem dos mesmos fiéis, ligados pelos vínculos de afeto e gratidão aos seus pastores, pede-se que, do momento da criação de um determinado reagrupamento, o Bispo diocesano não estabeleça com o mesmo decreto que, em várias paróquias unidas e confiadas a um único pároco[74], outros párocos eventualmente presentes, ainda no exercício do ofício[75], sejam transferidos automaticamente ao ofício de vigário paroquial, ou removidos, de fato, do seu cargo.
58. Nestes casos, a menos que não se trate de uma concessão in solidum, compete ao Bispo diocesano, caso por caso, estabelecer as funções do sacerdote moderador de tais reagrupamentos de paróquias, unida as suas relações com o vigário da forania[76], no interior da qual foi constituída a unidade pastoral.
59. O reagrupamento de paróquias, uma vez criado segundo o direito – vicariato forâneo ou “unidade pastoral” – o Bispo determinará, segundo a oportunidade, se nesse em cada uma das paróquias deva ser instituído o Conselho pastoral paroquial[77], ou no caso considerando-se melhor que tal compromisso seja confiado a um Conselho pastoral único para todas as comunidades interessadas. Em todo caso, as singulares paróquias integrantes do reagrupamento, porque conservam a sua personalidade e capacidade jurídica, devem manter o próprio Conselho para os assuntos econômicos[78].
60. A fim de valorizar uma ação evangelizadora de conjunto e um cuidado pastoral mais eficaz, convém que se constituam serviços pastorais comuns para determinados âmbitos (por exemplo, catequese, caridade, pastoral da juventude ou familiar) para as paróquias do reagrupamento, com a participação de todos os componentes do Povo de Deus, clérigos, consagrados e fiéis leigos.
VII.d. Zona pastoral
61. Se várias “unidades pastorais” podem constituir um vicariato forâneo, ao mesmo modo, sobretudo nas dioceses territorialmente mais extensas, diversos vicariatos forâneos, após escutar o Conselho presbiteral[79], podem ser reunidos pelo Bispo em “distritos” ou “zonas pastorais”[80], sob a coordenação de um Vigário episcopal[81] com poder executivo ordinário para a administração pastoral da zona em nome do Bispo diocesano, sob a sua autoridade e em comunhão com ele, além das especiais faculdades que este deseje atribuir-lhe caso por caso.
VIII. Formas ordinárias e extraordinárias
de confiar o cuidado pastoral da comunidade paroquial
62. Em primeiro lugar, o pároco e os outros presbíteros, em comunhão com o Bispo, são uma referência fundamental para a comunidade paroquial, pelo compromisso de pastores que corresponde a eles[82]. O pároco e o presbitério, cultivando a vida comum e a fraternidade sacerdotal, celebram a vida sacramental para a comunidade e, juntos com essa, são chamados a organizar a paróquia em tal modo a ser sinal eficaz de comunhão[83].
63. Em relação à presença e à missão dos presbíteros na comunidade paroquial, merece uma particular menção a vida comum[84]; essa é recomendada pelo cân. 280, ainda que não se configure como uma obrigação para o clero secular. A esse respeito, recorda-se o fundamental valor do espírito de comunhão, da oração e da ação pastoral comum da parte dos clérigos[85], em vista ao efetivo testemunho de fraternidade sacramental[86] e de uma mais eficaz ação evangelizadora.
64. Quando o presbitério experimenta a vida comunitária, então a identidade sacerdotal se reforça, as preocupações materiais diminuem e a tentação ao individualismo cede o passo à profundidade da relação pessoal. A oração comum, a reflexão partilhada e o estudo, que não devem jamais faltar na vida sacerdotal, podem ser de grande apoio na formação de uma espiritualidade presbiteral incarnada no quotidiano.
Em todo caso, será conveniente que, segundo o seu discernimento e no limite do possível, o Bispo leve em consideração a afinidade humana e espiritual entre os sacerdotes, os quais pretende confiar uma paróquia ou um reagrupamento de paróquias, convidando-lhes a uma generosa disponibilidade para a nova missão pastoral e alguma forma de partilha de vida com os irmãos[87].
65. Em alguns casos, sobretudo onde não existe tradição ou costume de casa paroquial, ou quando essa, por qualquer razão, não está disponível como habitação do sacerdote, pode ocorrer que ele retorne a viver junto à família de origem, primeiro lugar de formação humana e de descoberta vocacional[88].
Este sistema, por um lado, revela-se como um suporte positivo para a vida quotidiana do padre, no sentido de garantir-lhe um ambiente doméstico sereno e estável, principalmente quando os pais ainda estão presentes. Por outro lado, deverá se evitar que tais relações familiares sejam vividas pelo sacerdote com dependência interior e menos disponibilidade para dedicar todo o tempo ao ministério, ou como alternativa excludente – em vez de complemento – à relação com a família presbiteral e a comunidade dos fiéis leigos.
VIII.a. Pároco
66. O ofício de pároco comporta o pleno cuidado das almas[89] e, por consequência, para que um fiel seja validamente nomeado pároco, necessita que tenha recebido a Ordem do presbiterado[90], excluída qualquer possibilidade de conferir a quem for privado desse título ou das relativas funções, também nos casos de carência de sacerdotes. Exatamente pela relação de conhecimento e proximidade exigido entre um pastor e a comunidade, o ofício de pároco não pode ser confiado a uma pessoa jurídica[91]. Em modo particular – além do quanto está previsto no cân. 517, §§ 1 – 2 – o ofício de pároco não pode ser confiado a um grupo de pessoas, constituído por clérigos e leigos. Por consequência, devem-se evitar denominações como, “time guia”, “equipe guia”, ou outras semelhantes, que pareçam expressar um governo colegiado da paróquia.
67. Em consequência do seu ser o “pastor próprio da paróquia que lhe foi confiada”[92], ao pároco compete ipso iure a representação jurídica da paróquia[93]. Ele é o administrador responsável dos bens paroquiais, que são “bens eclesiásticos” e são, portanto, submetidos às relativas normas canônicas[94].
68. Como afirma o Concílio Ecumênico Vaticano II, «os párocos na sua paróquia devem poder gozar daquela estabilidade no ofício que exige o bem das almas»[95]. Como princípio geral, pede-se então que o pároco seja «nomeado por tempo indeterminado»[96].
O Bispo diocesano, todavia, pode nomear párocos por tempo determinado, se assim é estabelecido por decreto da Conferência Episcopal. Em razão da necessidade que o pároco pode estabelecer uma efetiva e eficaz ligação com a comunidade que lhe foi confiada, é conveniente que as Conferências Episcopais não estabeleçam um tempo muito breve, inferior aos 5 anos para a nomeação por tempo determinado.
69. Em todo o caso, os párocos, mesmo se nomeados por “tempo indeterminado”, ou antes de concluir o “tempo determinado”, devem ser disponíveis para eventuais transferências a outra paróquia ou a outro ofício, «se o bem das almas ou a necessidade ou a utilidade da Igreja o exigir»[97]. É bom, de fato, recordar que o pároco está a serviço da paróquia e não o contrário.
70. Ordinariamente, onde é possível, é bom que o pároco tenha o cuidado pastoral de uma única paróquia, mas «todavia, pela escassez de sacerdotes ou por outras circunstâncias, pode ser confiada ao mesmo pároco o cuidado de várias paróquias vizinhas»[98]. Por exemplo, entre as “outras circunstâncias” podem ser o tamanho do território ou da população e a vizinhança entre as paróquias interessadas. O Bispo diocesano avalie atentamente que, se ao mesmo pároco são confiadas várias paróquias, este possa exercitar plena e concretamente como verdadeiro pastor o ofício de pároco de todas e de cada uma dessas[99].
71. Uma vez nomeado, o pároco detém o pleno exercício das funções a ele confiadas, com todos os direitos e as responsabilidades, até o dia que cessar legitimamente o seu ofício pastoral[100]. Para a sua remoção ou para o transferências antes de terminar o tempo do mandato, observem-se os relativos procedimentos canônicos indicados pela Igreja para o discernimento que convém ao caso concreto[101].
72. Quando o bem dos fiéis exige, ainda que não existam outras causas para cessação da função, o pároco que atingir os 75 anos de idade acolha o convite que o Bispo diocesano pode apresentar-lhe para renunciar à paróquia[102]. A apresentação da renúncia, ao atingir os 75 anos de idade[103], que se deve considerar um dever moral, se não canônico, não leva o pároco a perder automaticamente o seu ofício. A cessação deste acontece somente quando o Bispo diocesano tenha comunicado por escrito, ao pároco interessado, a aceitação da sua renúncia[104]. De outro lado, o Bispo tenha em benévola consideração a renúncia apresentada por um pároco, mesmo que só pela razão de ter completado os 75 anos de idade.
73. Em todo caso, para evitar uma concepção funcionalística do ministério, antes de aceitar a renúncia, o Bispo diocesano avaliará prudentemente todas as circunstâncias da pessoa e do lugar, como por exemplo, a presença de motivos de saúde ou disciplinares, a escassez de sacerdotes, o bem da comunidade paroquial, e outros elementos de tal gênero e aceitará a renúncia diante de uma causa justa e proporcionada[105].
74. Diversamente, se as condições pessoais do sacerdote o permitem e a oportunidade pastoral o aconselha, o Bispo considere a possibilidade de deixá-lo no ofício de pároco, quem sabe, oferecendo-lhe um auxílio e preparando a sucessão. Além disso, «Consoante os casos, o Bispo pode confiar uma paróquia mais pequena e menos trabalhosa a um pároco que se demitiu»[106], ou em qualquer caso, conceda-lhe um outro trabalho pastoral adequado às suas concretas possibilidades, convidando o sacerdote a compreender, se for necessário, que em nenhum caso deverá sentir-se “rebaixado” ou “punido” para uma transferência de tal gênero.
VIII.b. Administrador paroquial
75. Se não for possível proceder de imediato com a nomeação do pároco, a designação de administradores paroquiais[107] deve ocorrer somente em conformidade de quanto é estabelecido pela normativa canônica[108].
De fato, trata-se de um ofício essencialmente transitório e exercitado à espera da nomeação do novo pároco. Por este motivo é ilegítimo que o Bispo diocesano nomeie um administrador paroquial e deixe-o em tal função por um longo período, superior a um ano, ou, até, em modo estável, deixando de providenciar à nomeação do pároco.
Segundo quanto comprova a experiência, tal solução é adotada com frequência para iludir as condições do direito relativas ao princípio da estabilidade do pároco, da qual se constitui uma violação, com dano para a missão do presbítero interessado e da mesma comunidade, que, em condições de incerteza quanto a presença do pastor, não poderá programar planos de evangelização abrangente e deverá se limitar a uma pastoral de conservação.
VIII.c. Confiada solidariamente
76. Como ulterior possibilidade, «onde as circunstâncias o exigirem, pode a cura pastoral de uma paróquia ou simultaneamente de várias paróquias ser confiada solidariamente a vários sacerdotes»[109]. Tal solução pode ser adotada quando, a critério do Bispo, exijam as circunstâncias concretas, em modo particular para o bem das comunidades interessadas, através de uma ação pastoral partilhada e mais eficaz e para promover uma espiritualidade de comunhão entre os presbíteros[110].
Em tal caso, o grupo de presbíteros, em comunhão com os outros componentes das comunidades paroquiais interessadas, atua com deliberação comum, sendo o Moderador em relação aos outros sacerdotes, párocos para todos os efeitos, um primus inter pares.
77. Recomenda-se vivamente que cada comunidade de sacerdotes, aos quais é confiada in solidum o cuidado pastoral de uma ou mais paróquias, a elaboração de um regulamento interno para que cada presbítero possa realizar melhor os compromissos e as funções que lhe competem[111].
O Moderador tem por responsabilidade a coordenação do trabalho comum da paróquia ou das paróquias confiadas ao grupo, assume a representação jurídica dessas[112], coordena o exercício da faculdade para assistir os matrimônios e de conceder dispensas que diz respeito aos párocos[113] e responde diante do Bispo sobre toda a atividade do grupo[114].
VIII.d. Vigário paroquial
78. Como enriquecimento, ao interno das soluções acima propostas, pode-se encontrar lugar a possibilidade que um sacerdote seja nomeado vigário paroquial e encarregado de um específico setor da pastoral (jovens, idosos, doentes, associações, irmandades, formação, catequese etc), “transversal” a diversas paróquias, ou para realizar na totalidade o ministério, ou uma parte específica deste, numa dessas paróquias[115].
No caso da função conferida a um vigário paroquial para mais paróquias, confiadas a diversos párocos, será conveniente explicitar e descrever no Decreto de nomeação as tarefas que lhe são confiadas em relação a cada comunidade paroquial e o tipo de relação a ser mantida com os párocos em relação à residência, ao sustento e à celebração da Santa Missa.
VIII.e. Diáconos
79. Os diáconos são ministros ordenados, incardinados numa diocese ou em outra realidade eclesial que tenha a faculdade de incardinar[116]; são colaboradores do Bispo e dos presbíteros na única missão evangelizadora com o compromisso específico, em virtude do sacramento recebido, de «servir o Povo de Deus na diaconia da liturgia, da palavra e da caridade»[117].
80. Para salvaguardar a identidade dos diáconos, em vista da promoção do seu ministério, Papa Francisco já alertou contra alguns riscos relativos à compreensão da natureza do diaconato: «Devemos estar atentos a não ver os diáconos como meio padres e meio leigos. […] E muito menos é correto a imagem do diácono como uma espécie de intermediário entre os fiéis e os pastores. Nem a metade da estrada entre os padres e os leigos, nem meia estrada entre os pastores e os fiéis. E há duas tentações. Há o perigo do clericalismo: o diácono que é muito clerical. […] E a outra tentação, o funcionalismo: é um auxílio que o padre tem para isto ou aquilo»[118].
Prosseguindo no mesmo discurso, o Santo Padre então ofereceu alguns esclarecimentos em mérito ao papel específico dos diáconos no meio da comunidade eclesial: «O diaconato é uma vocação específica, uma vocação familiar que recorda o serviço. […] Esta palavra é a chave para compreender o seu carisma. O serviço como um dos dons característicos do Povo de Deus. O diácono é – por assim dizer – o guardião do serviço na Igreja. Cada palavra deve ser bem medida. Vocês são os guardiães do serviço na Igreja: o serviço da Palavra, o serviço do Altar, o serviço aos Pobres»[119].
81. A doutrina sobre o diaconato a longo dos séculos conheceu uma importante evolução. A sua retomada no Concílio Vaticano II coincide também com uma clareza doutrinal e com um alargamento da ação ministerial de referência, que não se limita a “confinar” o diaconato apenas no âmbito do serviço caritativo ou a reservá-lo – segundo quanto foi estabelecido no Concílio de Trento – só aos transeuntes e quase unicamente para o serviço litúrgico. Em vez disto, o Concílio Vaticano II especifica que se trata de um grau do sacramento da Ordem e, por isto, estes são «sustentados pela graça sacramental, na “diaconia” da liturgia, da pregação e da caridade servem ao povo de Deus, em comunhão com o Bispo e com o seu presbitério»[120].
A recepção pós-conciliar retoma quanto foi estabelecido pela Lumen gentium e define sempre melhor o ofício dos diáconos como participação, se bem num grau diverso, no Sacramento da Ordem. Na Audiência concedida aos participantes do Congresso Internacional sobre o Diaconato, Paulo VI quis reiterar, de fato, que o diácono serve às comunidades cristãs «seja no anúncio da Palavra de Deus que no ministério dos sacramentos e no exercício da caridade»[121]. De outra parte, apesar que no Livro dos Atos (At 6, 1 – 6) pareceria que os sete homens escolhidos sejam destinados apenas ao serviço das mesas, na realidade, o mesmo Livro bíblico conta como Estêvão e Filipe desenvolvem por completo a “diaconia da Palavra”. Então, como colaboradores dos Doze e de Paulo, esses exercitam o seu ministério em dois âmbitos: a evangelização e a caridade.
Portanto, são muitos os cargos eclesiais que podem ser confiados a um diácono, ou seja, todos aqueles que não comportam o pleno cuidado das almas[122]. O Código de Direito Canônico, todavia, determina quais ofícios são reservados ao presbítero e quais podem ser confiados também aos fiéis leigos, enquanto não aparece a indicação de qualquer particular ofício onde o ministério diaconal possa exprimir a sua especificidade.
82. Em todo caso, a história do diaconato recorda que esse foi instituído em vista do anúncio do Evangelho, a plantatio ecclesiae, com a consequente catequese kerygmatica e para a ação caritativa, que comporta também a administração dos bens. Tal dúplice missão do diácono, pois, exprime-se no âmbito litúrgico, no qual ele é chamado a proclamar o Evangelho e a servir à mesa eucarística. Estas mesmas referências poderiam ajudar a individuar trabalhos específicos para o diácono, valorizando os aspectos próprios de tal vocação em vista da promoção do ministério diaconal.
VIII.f. As pessoas consagradas
83. No interior da comunidade paroquial, em numerosos casos, estão presentes pessoas que pertencem à vida consagrada. Esta, «de fato, não é uma realidade externa ou independente da vida da Igreja local, mas constitui um modo peculiar, assinalado pelo radicalismo evangélico, de ser presente no seu interior, com os seus dons específicos»[123]. Além do mais, integrada na comunidade junto aos clérigos e aos leigos, a vida consagrada «coloca-se na dimensão carismática da Igreja. […]. A espiritualidade dos Institutos de vida consagrada pode se tornar, seja para o fiel leigo que para o presbítero, um significativo recurso para viver a própria vocação»[124].
84. A contribuição que os consagrados podem trazer à missão evangelizadora da comunidade paroquial deriva em primeiro lugar do seu “ser”, isto é, do testemunho de um radical seguimento de Cristo mediante a profissão dos conselhos evangélicos[125], e somente posteriormente também o seu “trabalho”, isto é, as atividades realizadas em conformidade ao carisma de cada instituto (por exemplo, catequese, caridade, formação, pastoral juvenil, cuidado dos doentes)[126].
VIII.g. Leigos
85. A comunidade paroquial compõem-se em modo especial de fiéis leigos[127], os quais, por força do batismo e dos outros sacramentos da iniciação cristã – e em muitos casos também do matrimônio[128] – participam da ação evangelizadora da Igreja, a partir do momento que «a vocação e a missão própria dos fiéis leigos é a transformação das diversas realidades terrenas para que toda a atividade humana seja transformada pelo Evangelho»[129].
Em modo particular, os fiéis leigos, tendo como próprio e específico o caráter secular, ou «procurar o Reino de Deus tratando das realidades temporais e ordenando-as segundo Deus»[130], «podem também sentir-se chamados ou vir a ser chamados para colaborar com os próprios Pastores ao serviço da comunidade eclesial, para o crescimento e a vida da mesma, pelo exercício dos ministérios muito diversificados, segundo a graça e os carismas que o Senhor houver por bem depositar neles»[131].
86. Espera-se hoje de todos os fiéis leigos um generoso trabalho a serviço da missão evangelizadora, antes de mais nada, com o testemunho em geral de uma vida quotidiana em conformidade ao Evangelho nos habituais ambientes de vida e em cada nível de responsabilidade, depois em particular, com a assunção dos seus compromissos correspondentes ao serviço da comunidade paroquial[132].
VIII.h. Outras formas de confiar o cuidado pastoral
87. Existe, pois, uma ulterior modalidade para o Bispo – como ilustra o cân. 517, § 2 – de providenciar o cuidado pastoral duma comunidade mesmo se, pela escassez de sacerdotes, não seja possível nomear um pároco nem um administrador paroquial que possa assumi-la a tempo integral. Em tais circunstâncias pastoralmente problemáticas, para sustentar a vida cristã e dar prosseguimento à missão evangelizadora da comunidade, o Bispo diocesano pode confiar a um diácono uma participação ao exercício do cuidado pastoral duma paróquia, a um consagrado ou um leigo, ou também a um grupo de pessoas (por exemplo, um instituto religioso, uma associação)[133].
88. Aqueles aos quais em tal modo será confiada a participação no cuidado pastoral da comunidade, serão coordenados e guiados por um presbítero com legítimas faculdades, constituído “Moderador do cuidado pastoral”, ao qual compete exclusivamente o poder e as funções de pároco, mesmo não havendo o ofício, com os conseguintes deveres e direitos.
É bom recordar que se trata de uma forma extraordinária de confiar o cuidado pastoral, devido à impossibilidade de nomear um pároco ou um administrador paroquial, para não confundir com a ordinária ativa cooperação e com a assunção de responsabilidades da parte de todos os fiéis.
89. Em vista do recurso a tal remédio extraordinário, é necessário preparar adequadamente o Povo de Deus, havendo, pois, o cuidado de adotá-lo somente para o tempo necessário, não indefinidamente[134]. A reta compreensão e aplicação de tal cânone exige que o recurso a quanto previsto, «aconteça no cuidado com respeito às cláusulas neste contidas, ou: a) “pela carência de sacerdotes”, e não por razões de comodidade ou de uma equívoca “promoção do laicato” […]; b) permanecendo que se trata de “participação no exercício do cuidado pastoral” e não de dirigir, coordenar, moderar, governar a paróquia; uma coisa que, segundo o texto do cânone, compete somente a um sacerdote»[135].
90. Em vista a levar a bom termo a confiança do cuidado pastoral segundo o cân. 517, § 2[136], é necessário observar alguns critérios. Em primeiro lugar, tratando-se duma solução pastoral extraordinária e temporânea[137], a única causa canônica que legitima o seu recurso é a falta de sacerdotes, a ponto de não ser possível prover ao cuidado pastoral da comunidade paroquial com a nomeação de um pároco ou de um administrador paroquial. Além do mais, um ou mais diáconos serão preferíveis a consagrados e leigos para tal forma de gestão do cuidado pastoral[138].
91. Em todo caso, a coordenação da atividade pastoral assim organizada compete ao presbítero designado pelo Bispo diocesano como Moderador; tal sacerdote tem exclusivamente os poderes e as faculdades próprias do pároco; os outros fiéis têm, ao invés, «uma participação no exercício do cuidado pastoral da paróquia»[139].
92. Seja o diácono, seja as outras pessoas não assinaladas pela ordem sagrada, que participam no exercício do cuidado pastoral, podem realizar somente as funções que correspondem ao respectivo estado diaconal ou de fiéis leigos, respeitando «as propriedades originárias da diversidade e complementariedade entre os dons e as funções dos ministros ordenados e dos fiéis leigos, próprios da Igreja que Deus quis organicamente estruturada»[140].
93. Por fim, no Decreto com o qual se nomeia o presbítero Moderador é altamente recomendado que o Bispo exponha, pelo menos sumariamente, as motivações em virtude das quais se apresenta necessária a aplicação duma forma extraordinária de confiar o cuidado pastoral de uma ou mais comunidades paroquiais e, consequentemente, as formas de exercício do ministério do sacerdote responsável.
IX. Cargos e ministérios paroquiais
94. Além da colaboração ocasional que cada pessoa de boa vontade – também os não batizados – pode oferecer às atividades quotidianas da paróquia, existem alguns cargos estáveis, em base aos quais os fiéis acolhem a responsabilidade para um certo tempo dum serviço no interior da comunidade paroquial. Pode-se pensar, por exemplo, nos catequistas, nos ministrantes, nos educadores que trabalham em grupos e associações, nos operários da caridade e aqueles que se dedicam aos diversos tipos de consultório ou centro de escuta e aqueles que visitam os doentes.
95. Em todo caso, ao designar os cargos confiados aos diáconos, aos consagrados e aos fiéis leigos que receberam uma participação no exercício do cuidado pastoral, é necessário usar uma terminologia que corresponda no modo correto às funções que esses podem exercitar em conformidade ao seu estado, assim para manter clara a diferença essencial que decorre entre o sacerdócio comum e o sacerdócio ministerial e de tal modo que seja evidente a identidade da missão recebida por cada um.
96. Em tal sentido, antes de tudo, é responsabilidade do Bispo diocesano e, para quanto lhe corresponde, do pároco, que os cargos dos diáconos, dos consagrados e dos leigos, que têm papel de responsabilidade na paróquia, não sejam designados com as expressões de “pároco”, “co-pároco”, “pastor”, “capelão”, “moderador”, “responsável paroquial” ou com outras denominações similares[141], reservadas pelo direito aos sacerdotes[142], enquanto têm relevância direta com o perfil ministerial dos presbíteros.
Com relação aos mencionados fiéis e aos diáconos, resultam ilegítimas e não conformes a sua identidade vocacional, o emprego de expressões como “confiar o cuidado pastoral de uma paróquia”, “presidir a comunidade paroquial”, e outras similares, que se referem à peculiaridade do ministério sacerdotal, que compete ao pároco.
Parece ser mais apropriada, por exemplo, a denominação de “diácono cooperador” e, para os consagrados e os leigos, de “coordenador pastoral”, de “cooperador pastoral”, de “assistente pastoral” e de “coordenador de.. (um setor da pastoral)”.
97. Os fiéis leigos, a norma do direito, podem ser instituídos leitores e acólitos em modo estável, através de rito especial, segundo o cân. 230, § 1. O fiel não ordenado pode assumir a denominação de “ministro extraordinário” somente se, efetivamente, foi convocado pela Autoridade competente[143] para realizar as funções de suplência à luz dos cânn. 230, § 3 e 943. A delegação temporânea nas ações litúrgicas, segundo o cân. 230, § 2, mesmo que dure com o tempo, não confere alguma denominação especial ao fiel não ordenado[144].
Tais fiéis leigos devem estar em plena comunhão com a Igreja Católica[145], ter recebido uma formação adequada à função a qual são chamados a desenvolver e manter uma conduta pessoal e pastoral exemplar, que os torne respeitáveis no desenvolver o serviço.
98. Além do quanto compete aos Leitores e aos Acólitos estavelmente instituídos[146], o Bispo, a seu prudente juízo, poderá conceder oficialmente alguns cargos[147] aos diáconos, às pessoas consagradas e aos fiéis leigos, sob a orientação e a responsabilidade do pároco, como, por exemplo:
1°. A celebração da liturgia da Palavra nos domingos e nas festas de preceito, «se for impossível a participação na celebração eucarística por falta de ministro sagrado ou por outra causa grave»[148]. Trata-se de uma eventualidade excepcional, a ser utilizado somente em circunstâncias de verdadeira impossibilidade e sempre havendo o cuidado de confiar tais liturgias aos diáconos, se eles estiverem presentes;
2°. A administração do batismo, tendo presente que «o ministro ordinário do batismo é o Bispo, o presbítero e o diácono»[149] e que quanto está previsto no cân. 861, § 2 constitui uma exceção, a ser avaliada a critério do Ordinário do lugar;
3°. A celebração do rito das exéquias, no respeito de quanto está previsto no n. 19 dos Praenotanda do Ordo exsequiarum.
99. Os fiéis leigos podem pregar numa Igreja ou num oratório, se as circunstâncias, a necessidade ou um caso particular o exigem, «segundo as disposições da Conferência Episcopal»[150] e «em conformidade com o direito ou às normas litúrgicas e na observância das cláusulas desses conteúdos»[151]. Esses, ao invés, não podem em nenhum caso proferir a homilia durante a celebração da Eucaristia[152].
100. A respeito, «onde faltarem sacerdotes e diáconos, o Bispo diocesano, obtido previamente o parecer favorável da Conferência Episcopal e a licença da Santa Sé pode delegar leigos para assistirem os matrimônios»[153].
X. Os organismos de corresponsabilidade eclesial
X.a. O Conselho paroquial para os assuntos Econômicos
101. A gestão dos bens que cada paróquia dispõe em diversas medidas é um âmbito importante da evangelização e do testemunho evangélico, defronte da Igreja e da sociedade civil, em quanto, como recordou Papa Francisco, «todos os bens que temos, o Senhor os dá para fazer andar avante o mundo, para fazer andar avante a humanidade, para ajudar os outros»[154]. O pároco, então, não pode e não deve estar sozinho em tal trabalho[155], mas é necessário que seja assistido por colaboradores para administrar os bens da Igreja antes de tudo com zelo evangelizador e espírito missionário[156].
102. Por esta razão, em cada paróquia deve necessariamente ser constituído o Conselho para os Assuntos Econômicos, órgão consultivo, presidido pelo pároco e formado de pelo menos outros três fiéis[157]; o número mínimo de três é necessário para que tal conselho possa ser considerar “colegial”; é bom recordar que o pároco não está incluído entre os membros do Conselho para os Assuntos Econômicos, mas o preside.
103. Na ausência de normas específicas dadas pelo Bispo diocesano, o pároco deverá determinar o número dos membros do Conselho, em relação às dimensões da paróquia e se esses devam ser por ele nomeados, ou em vez disto, eleitos pela comunidade paroquial.
Os membros de tal conselho, não devem necessariamente pertencer à mesma paróquia, devem ser de boa fama comprovada e espertos em questões econômicas e jurídicas[158], para poder fazer um trabalho efetivo e competente, em modo tal que o Conselho não seja constituído só formalmente.
104. Por fim, a menos que o Bispo diocesano não tenha disposto de outra forma, observada a devida prudência e eventuais normas do direito civil, nada impede que a mesma pessoa possa ser membro do Conselho para os Assuntos Econômicos de mais paróquias, onde as circunstâncias o exijam.
105. As normas eventualmente emanadas na matéria por parte do Bispo diocesano deverão levar em consideração as situações específicas das paróquias, como, por exemplo, a consistência particularmente modesta ou pertencer a uma unidade pastoral[159].
106. O Conselho para os Assuntos Econômicos pode desenvolver um papel de particular importância no crescimento, no interior das comunidades paroquiais, da cultura da corresponsabilidade, da transparência administrativa e do socorro às necessidades da Igreja. Em modo particular, a transparência é entendida não somente como formal apresentação de dados, mas sim como necessária informação à comunidade e profícua oportunidade para um seu envolvimento formativo. Trata-se de um modus agendi imprescindível para a credibilidade da Igreja, sobretudo onde esta se encontra em posse de bens significativos para administrar.
107. Ordinariamente, o objetivo da transparência pode ser conseguido publicando o balanço anual que deve ser apresentado antes ao Ordinário do lugar[160], com a indicação detalhada dos créditos e dos débitos. Assim, a partir do momento que os bens são da paróquia, não do pároco, que é o seu administrador, a comunidade no seu conjunto poderá ser consciente de como os bens foram administrados, qual a situação econômica da paróquia e de quais recursos essa possa efetivamente dispor.
X.b. O Conselho Pastoral paroquial
108. A normativa canônica vigente[161] permite ao Bispo diocesano a avaliação sobre a criação dum Conselho pastoral nas paróquias, que pode em qualquer caso ser considerado como norma recomendada vivamente, como recordou Papa Francisco, «Quanto são necessários, os conselhos pastorais! Um Bispo não pode guiar uma diocese sem os conselhos pastorais. Um pároco não pode conduzir a paróquia sem os conselhos pastorais»[162].
A elasticidade da norma permite em qualquer caso às adaptações consideradas oportunas nas circunstâncias concretas, como, por exemplo, no caso de mais paróquias confiadas a um único pároco, ou na presença de unidades pastorais: é possível em tais casos constituir um único Conselho pastoral para mais paróquias.
109.O sentido teológico do Conselho pastoral está inscrito na realidade constitutiva da Igreja, isto é, o seu ser “Corpo de Cristo”, que gera uma “espiritualidade de comunhão”. Na Comunidade cristã, de fato, a diversidade de carismas e ministérios que deriva da incorporação a Cristo e do dom do Espírito, não pode jamais ser homologada até se tornar «uniformidade, obrigação de fazer tudo juntos e tudo igual, de pensar todos sempre ao mesmo modo»[163]. Ao contrário, em virtude do sacerdócio batismal[164], cada fiel é estabelecido para a edificação de todo o Corpo e, ao mesmo tempo, o conjunto do Povo de Deus, na recíproca corresponsabilidade dos seus membros, participa da missão da Igreja, isto é, discerne na história os sinais da presença de Deus e se torna testemunha do Seu Reino[165].
110. Longe de ser um simples organismo burocrático, então, o Conselho pastoral coloca em destaque e realiza a centralidade do Povo de Deus como sujeito e protagonista ativo da missão evangelizadora, em virtude do fato que cada fiel recebeu os dons do Espírito através do batismo e da crisma: «Renascer à vida divina no Batismo é o primeiro passo; é preciso então comportar-se como filho de Deus, ou seja, conformar-se ao Cristo que age na santa Igreja, deixando-se envolver na sua missão no mundo. A isso provê a unção do Espírito Santo: “sem a sua força, nada está no homem” (cfr. Sequência de Pentecostes). […] Como toda a vida de Jesus foi animada pelo Espírito, assim também a vida da Igreja e de cada seu membro está sob a orientação do mesmo Espírito»[166].
À luz desta visão de fundo, podem-se recordar as palavras de São Paulo VI segundo o qual «É compromisso do Conselho Pastoral estudar, examinar tudo isto que concerne as atividades pastorais e propor então conclusões práticas, a fim de promover a conformidade da vida e da ação do Povo de Deus com o Evangelho»[167], na consciência que, como recordou Papa Francisco, a finalidade de tal Conselho «não há de ser principalmente a organização eclesial, mas o sonho missionário de chegar a todos»[168].
111. O Conselho pastoral é um organismo consultivo, criado com normas estabelecidas pelo Bispo diocesano para definir os critérios de composição, as modalidades de eleição dos membros, os objetivos e o modo de funcionamento[169]. Em todo caso, para não desnaturalizar a índole de tal Conselho é bom evitar de defini-lo “time” ou “equipe”, vale dizer, em termos não idôneos a exprimir corretamente a relação eclesial e canônica entre o pároco e os outros fiéis.
112. No respeito às relativas normas diocesanas, é necessário que o Conselho pastoral seja efetivamente representativo da comunidade da qual é expressão em todos os seus componentes (presbíteros, diáconos, consagrados e leigos). Esse constitui um âmbito específico em que o fiéis possam exercitar o seu direito-dever de exprimir o próprio pensamento aos pastores e comunicá-lo também aos outros fiéis, sobre o bem da comunidade paroquial[170].
A função principal do Conselho Pastoral Paroquial está, portanto, em pesquisar e estudar propostas práticas em ordem às iniciativas pastorais e caritativas que dizem respeito à paróquia, em sintonia com o caminho da diocese.
113. O Conselho Pastoral Paroquial «tem somente voto consultivo»[171], no sentido que as suas propostas devem ser acolhidas favoravelmente pelo pároco para tornar-se operativas. O pároco, pois, é obrigado a considerar atentamente as indicações do Conselho Pastoral, especialmente se expressas por unanimidade, num processo de comum discernimento.
Para que o serviço do Conselho pastoral possa ser eficaz e profícuo, é necessário evitar dois extremos: duma parte, aquele do pároco que se limita a apresentar ao Conselho pastoral decisões já tomadas, ou sem a devida informação prévia, ou que o convoca raramente, somente pro forma; de outra, aquele dum Conselho onde o pároco é apenas um dos membros, privado de fato do seu papel de pastor e guia da comunidade[172].
114. Enfim, é considerado conveniente que, para quanto possível, o Conselho pastoral seja mais composto por aqueles que têm efetivas responsabilidades na vida pastoral da paróquia, ou que nessa são concretamente compromissados, a fim de evitar que as reuniões se transformem numa troca de ideias abstratas, que não levem em consideração a vida real da comunidade, com os seus recursos e problemáticas.
X.c. Outras formas de corresponsabilidade no cuidado pastoral
115. Quando uma comunidade de fiéis não pode ser criada como paróquia ou quase-paróquia[173], o Bispo diocesano, ouvido o Conselho presbiteral[174], providenciará um outro modo para o seu cuidado pastoral[175], avaliando por exemplo a possibilidade de estabelecer centros pastorais, dependentes do pároco do lugar, como “estações missionárias” para promover a evangelização e a caridade. Em tais casos, necessita dotar tais realidades de uma igreja idônea ou de um oratório[176] e criar uma normativa diocesana de referência para as suas atividades, em modo que essas sejam coordenadas e complementadas em respeito àquelas da paróquia.
116. Os centros assim definidos, que em algumas dioceses são chamados “diaconias”, poderão ser confiados – onde possível – a um vigário paroquial, ou também, em modo especial, a um ou mais diáconos permanentes, que tenham a responsabilidade e eventualmente os gerenciem juntos as suas famílias, sob a responsabilidade do pároco.
117. Tais centros poderão se tornar postos missionários avançados e instrumentos de proximidade, sobretudo nas paróquias com um território muito extenso, em modo de garantir momentos de oração e adoração eucarística, catequese e outras atividades a benefício dos fiéis, em especial modo aquelas relativas à caridade aos pobres e aos necessitados e ao cuidado com os doentes, solicitando a colaboração de consagrados e leigos e de todas as pessoas de boa vontade.
Será tarefa dos responsáveis pelo centro pastoral garantir, o quanto mais possível, a frequente celebração dos Sacramentos, sobretudo da Santa Missa e da Reconciliação, através do pároco e dos outros presbíteros da comunidade.
XI. Ofertas para a celebração dos Sacramentos
118. Um tema conexo à vida das paróquias e a sua missão evangelizadora é aquele da oferta dada para a celebração da Santa Missa, destinada ao sacerdote celebrante e dos outros sacramentos, que é destinado à paróquia[177]. Trata-se de uma oferta que, por sua natureza, deve ser um ato livre da parte do ofertante, deixando a sua consciência e ao seu senso de responsabilidade eclesial, não um “preço a pagar” ou uma “taxa a exigir”, como se se tratasse de um tipo de “imposto sobre sacramentos”. De fato, com a oferta para a Santa Missa, «os fiéis […] contribuem para o bem da Igreja e […] participam da sua solicitude para com o sustento dos ministros e das obras»[178].
119. Em tal sentido, revela-se importante a obra de sensibilização dos fiéis, para que contribuam livremente às necessidades da paróquia, que são “coisa sua” e da qual é bom que aprendam espontaneamente a ter cuidado, em especial modo, naqueles Países onde a oferta da Santa Missa é ainda a única fonte de sustento para os sacerdotes e também de recursos para a evangelização.
120. A mencionada sensibilização poderá proceder tanto mais eficazmente quanto mais os presbíteros do seu lado oferecem exemplos “virtuosos” no bom uso do dinheiro, seja com um estilo de vida sóbria e sem excessos em nível pessoal, que com uma gestão dos bens paroquiais transparente e comensurada não sobre “projetos” do pároco ou dum grupo restrito de pessoas, talvez bons, mas abstratos, mas sim, sobre reais necessidades dos fiéis, sobretudo os mais pobres e necessitados.
121. Em todo caso, «da oferta das Missas deve ser absolutamente obrigada a afastar também a aparência de contratação ou de comércio»[179], levando em consideração que «é vivamente recomendado aos sacerdotes de celebrar a Missa pela intenção dos fiéis, sobretudo dos mais pobres, também sem receber alguma oferta»[180].
Entre os instrumentos que podem consentir a realização de tal fim, pode-se pensar o recolhimento das ofertas em modo anônimo, assim que cada um se sinta livre de doar aquilo que pode, ou que considera justo, sem sentir-se no dever de corresponder ao que se espera ou um preço.
Conclusão
122. Chamando novamente a eclesiologia do Concílio Vaticano II, à luz do recente Magistério e considerando os contextos sociais e culturais profundamente mudados, a presente Instrução pretende focalizar o tema da renovação da paróquia no sentido missionário.
Enquanto essa permanece uma instituição imprescindível para o encontro e a relação viva com Cristo e com os irmãos na fé, é mesmo verdadeiro que deve constantemente confrontar-se com as mudanças em ato na cultura hodierna e na existência das pessoas, assim de poder explorar com criatividade estradas e instrumentos novos, que as consintam de estar à altura do seu compromisso primário, isto é, ser o centro propulsor da evangelização.
123. Por consequência, a ação pastoral tem necessidade de andar além somente da delimitação territorial da paróquia, de fazer transparecer mais claramente a comunhão eclesial através da sinergia entre ministérios e carismas diversos e, não menos, de estruturar-se como uma “pastoral orgânica” a serviço da diocese e da sua missão.
Trata-se dum agir pastoral que, através de uma efetiva e vital colaboração entre presbíteros, diáconos, consagrados e leigos e entre diversas comunidades paroquiais de uma mesma área ou região, preocupa-se de individuar junto as questões, as dificuldades e os desafios concernentes à evangelização, procurando integrar estradas, instrumentos, propostas e meios idôneos para afrontá-las. Um tal projeto missionário comum poderia ser elaborado e realizado em relação a contextos territoriais e sociais contíguos, isto é, em comunidades confinantes ou unidas pelas mesmas condições socioculturais ou em referência a âmbitos pastorais afins, por exemplo, no quadro duma necessária coordenação entre pastoral juvenil, universitária e vocacional, como já acontece em várias dioceses.
A pastoral orgânica, por isto, além da coordenação responsável das atividades e de estruturas pastorais capazes de relacionar-se e colaborar entre elas, exige a contribuição de todos os batizados. Com as palavras de Papa Francisco, «Quando falamos em “povo” não se deve compreender as estruturas da sociedade ou da Igreja, quanto em vez o conjunto de pessoas que não caminham como indivíduos, mas como o tecido duma comunidade de todos e para todos»[181].
Isto exige que a histórica instituição paroquial não permaneça prisioneira do imobilismo ou duma preocupante repetitividade pastoral, mas, invés, coloque em ato aquele “dinamismo em saída” que, através da colaboração entre diversas comunidades paroquiais e uma reforçada comunhão entre clérigos e leigos, a torne efetivamente orientada à missão evangelizadora, compromisso de todo o Povo de Deus, que caminha na história como “família de Deus” e que, na sinergia dos diversos membros, trabalha para o crescimento de todo o corpo eclesial.
O presente Documento, por isto, além de evidenciar a urgência de uma símile renovação, apresenta uma normativa canônica que estabelece as possibilidades, os limites, os direitos e os deveres de pastores e leigos, para que a paróquia redescubra si mesma como lugar fundamental do anúncio evangélico, da celebração da Eucaristia, espaço de fraternidade e caridade, de onde se irradia o testemunho cristão para o mundo. Isto é, essa «deve permanecer como um lugar de criatividade, de referência, de maternidade. E ali atuar aquela capacidade de inventividade; e quando uma paróquia vai avante assim se realiza aquilo que eu chamo “paróquia em saída”»[182].
124. Papa Francesco convida a invocar «Maria, Mãe da evangelização», para que «nos ajude a Virgem a dizer o nosso “sim” na urgência de fazer ressoar a Boa Notícia de Jesus no nosso tempo; nos conceda um novo ardor de ressuscitados para levar a todos o Evangelho da vida que vence a morte; interceda por nós a fim que possamos adquirir a santa audácia de procurar novas estradas para que alcance a todos o dom da salvação»[183].
No dia 27 de junho de 2020, o Santo Padre aprovou o presente Documento da Congregação para o Clero.
Roma, 29 de junho de 2020, Solenidade dos Santos Pedro e Paulo.
✠ Beniamino Card. Stella
Prefeito
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✠ Joël Mercier
Secretário
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✠ Jorge Carlos Patrón Wong
Secretário para os Seminários
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Mons. Andrea Ripa
Sub-Secretári
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________________________
[1] Francisco, Discurso aos párocos de Roma (16 de setembro de 2013).
[2] Cfr. Id., Exortação apostólica Evangelii gaudium (24 de novembro de 2013), n. 287: AAS 105 (2013), 1136.
[3] Ibid., n. 49: AAS 105 (2013), 1040.
[4] Concilio Ecumênico Vaticano II, Constituição pastoral sobre a Igreja no mundo contemporâneo Gaudium et spes (7 de dezembro de 1965), n. 58: AAS 58 (1966), 1079.
[5] Ibid., n. 44: AAS 58 (1966), 1065.
[6] Cfr. Efrém o Sírio, Comentários sobre Diatessaron 1, 18-19: SC 121, 52-53.
[7] Cfr. Francisco, Carta encíclica Laudato sì (24 de maio de 2015), n. 68: AAS 107 (2015), 847.
[8] Cfr. Paulo VI, Carta encíclica Ecclesiam Suam (6 de agosto de 1964): AAS 56 (1964), 639.
[9] Evangelii gaudium, n. 27: AAS 105 (2013), 1031.
[10] Cfr. João Paulo II, Exortação apostólica pós-sinodal Christifideles laici (30 de dezembro de 1988), n. 26: AAS 81 (1989), 438.
[11] Francisco, Audiência Geral (12 de junho de 2019): L’Osservatore Romano 134 (13 de junho de 2019), 1.
[12] Concílio Ecumênico Vaticano II, Decreto sobre a missão pastoral dos Bispos na Igreja Christus Dominus (28 de outubro de 1965), n. 30: AAS 58 (1966), 688.
[13] João Paulo II, Discurso aos Participantes à Plenária da Congregação para o Clero (20 de outubro de 1984), nn. 3 e 4: Ensinamentos VII/2 (1984), 984 e 985; cfr. também Id., Exortação apostólica Catechesi tradendae (16 de outubro de 1979), n. 67: AAS 71 (1979), 1332.
[14] Bento XVI, Homilia na visita pastoral à paróquia romana Santa Maria da Evangelização (10 de dezembro de 2006): Ensinamentos II/2 (2006), 795.
[15] Evangelii gaudium, n. 28: AAS 105 (2013), 1032.
[16] Cfr. Gaudium et spes, n. 4: AAS 58 (1966), 1027.
[17] Ibid., n. 1: AAS 58 (1966), 1025-1026.
[18] Cfr. Evangelii gaudium, nn. 72-73: AAS 105 (2013), 1050-1051.
[19] Cfr. Sínodo dos Bispos, XV Assembleia geral ordinária (3-28 outubro/2018): “Os jovens, a fé e o discernimento vocacional”, Documento final, n. 129: «Em tal contexto, uma visão diversificada da ação paroquial delimitada apenas dos confins territoriais e incapaz de interceptar os fiéis, e em particular os jovens, com propostas diversificadas, aprisionaria a paróquia num imobilismo inaceitável e numa preocupante repetição pastoral»: L’Osservatore Romano 247 (29-30 outubro/2018), 10.
[20] Cfr., por exemplo, C.I.C., cânn. 102; 1015-1016; 1108, § 1.
[21] Cfr. Christifideles laici, n. 25: AAS 81 (1989), 436-437.
[22] Cfr. Evangelii gaudium, n. 174: AAS 105 (2013), 1093.
[23] Cfr. ibid., n. 164-165: AAS 105 (2013), 1088-1089.
[24] Concílio Ecumênico Vaticano II, Constituição dogmática sobre a Igreja Lumen gentium (21 de novembro de 1964), n. 11: AAS 57 (1965), 15.
[25] Cfr. Evangelii gaudium, n. 166-167: AAS 105 (2013), 1089-1090.
[26] Francisco, Exortação apostólica sobre o chamado à santidade no mundo contemporâneo Gaudete et exsultate (19 de março de 2018), n. 35: AAS 110 (2018), 1120. A propósito do gnosticismo e do pelagianismo, convém escutar ainda as palavras de Papa Francisco: «Este mundanismo pode alimentar-se sobretudo de duas maneiras profundamente relacionadas. Uma delas é o fascínio do gnosticismo, uma fé fechada no subjetivismo, onde apenas interessa uma determinada experiência ou uma série de raciocínios e conhecimentos que supostamente confortam e iluminam, mas, em última instância, a pessoa fica enclausurada na imanência da sua própria razão ou dos seus sentimentos. A outra maneira é o neopelagianismo autorreferencial e prometeuco de quem, no fundo, só confia nas suas próprias forças e se sente superior aos outros por cumprir determinadas normas ou por ser irredutivelmente fiel a um certo estilo católico próprio do passado»: Evangelii gaudium, n. 94: AAS 105 (2013), 1059-1060; cfr. também Congregação para a Doutrina da Fé, Carta Placuit Deo (22 de fevereiro de 2018): AAS 110 (2018), 429.
[27] Cfr. Carta a Dioneto V, 1-10: Padres Apostólicos, ed. F.X. Funk, vol. 1, Tubingae 1901, 398.
[28] Cfr. João Paulo II, Carta apostólica Novo millennio ineunte (6 de janeiro de 2001), n. 1: AAS 93 (2001), 266.
[29] Evangelii gaudium, n. 28: AAS 105 (2013), 1032.
[30] Cfr. C.I.C., cânn. 515; 518; 519.
[31] Evangelii gaudium, n. 28: AAS 105 (2013), 1031-1032.
[32] Ibid.
[33] Cfr. Francisco, Exortação Apostólica pós-sinodal Christus vivit (25 de março de 2019), n. 238, Cidade do Vaticano 2019.
[34] Cfr. Id, Bula Misericordiae vultus (11 de abril de 2015), n. 3: AAS 107 (2015), 400-401.
[35] Bento XVI, Discurso aos Bispos do Brasil (11 de maio de 2007), n. 3: Ensinamentos III/1 (2007), 826.
[36] Evangelii gaudium, n. 198: AAS 105 (2013), 1103.
[37] Cfr. Francisco, Meditação quotidiana em S. Marta (30 de outubro de 2017).
[38] Cfr. Evangelii gaudium, nn. 186-216: AAS 105 (2013), 1098-1109.
[39] Cfr. Gaudete et exsultate, nn. 95-99: AAS 110 (2018), 1137-1138.
[40] Cfr. Evangelii gaudium, n. 27: AAS 105 (2013), 1031; ibid., n. 189: AAS 105 (2013), 1099: «Uma mudança nas estruturas que não gera novas convicções e atitudes fará sim que aquelas mesmas estruturas cedo ou tarde tornem-se corrutas, pesadas e ineficazes».
[41] Ibid., n. 26: AAS 105 (2013), 1030-1031.
[42] Christus Dominus, n. 30: AAS 58 (1966), 688.
[43] Francisco, Apresentação da Saudação Natalina à Cúria Romana (22 de dezembro de 2016): AAS 109 (2017), 44.
[44] Id, Carta ao Povo de Deus que peregrina no Chile (31 de maio de 2018): www.vatican.va/content/francesco/es/letters/2018/documents/papa-francesco_20180531_lettera-popolodidio-cile.html
[45] Cfr. ibid.
[46] Ibid.
[47] Lumen gentium, n. 9: AAS 57 (1965), 13.
[48] Cfr. Congregação para o Clero, Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis (8 de dezembro de 2016), nn. 80-88, Cidade do Vaticano 2016, pp. 37-42.
[49] Cfr. C.I.C., cân. 374, § 1.
[50] Cfr. ibid., cân. 374, § 2; cfr. Congregação para os Bispos, Diretório para o ministério pastoral dos Bispos Apostolorum successores (22 de fevereiro de 2004), n. 217: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2110.
[51] Cfr. C.I.C., cân. 374, § 1.
[52] Cfr. ibid., cân. 374, § 2.
[53] Cfr. Apostolorum successores, n. 218: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2114.
[54] Cfr. C.I.C., cân. 515, § 2.
[55] Cfr. ibid., cân. 86.
[56] Cfr. ibid., cân. 120, § 1.
[57] Cfr. ibid., cânn. 121-122; Apostolorum successores, n. 214: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2099.
[58] Cfr. C.I.C., cân. 51.
[59] Cfr. ibid., cânn. 120-123.
[60] Cfr. ibid., cânn. 500, § 2 e 1222, § 2.
[61] Cfr. Pontifício Conselho da Cultura, A disposição e reutilização eclesial de igrejas. Orientação (17 de dezembro de 2018): http://www.cultura.va/content/cultura/it/pub/documenti/decommissioning.html
[62] Cfr. C.I.C., cân. 1222, § 2.
[63] Ibid., cân. 374, § 2.
[64] Cfr. Apostolorum successores, n. 217: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2110.
[65] Cfr. C.I.C., cân. 554, § 1.
[66] Ibid., cân. 555, § 1, 1°.
[67] Ibid., cân. 555, § 4.
[68] Cfr. ibid., cân. 500, § 2.
[69] Cfr. Pontifício Conselho da Pastoral dos Migrantes e dos Itinerantes, Erga migrantes charitas Christi (3 de maio de 2004), n. 95: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2548.
[70] Cfr. Apostolorum successores, n. 215, b): Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2104.
[71] Cfr. ibid.
[72] Cfr. C.I.C., cân. 517, § 1.
[73] Cfr. ibid., cân. 526, § 1.
[74] Cfr. ibid.
[75] Cfr. ibid., cân. 522.
[76] Cfr. ibid., cânn. 553-555.
[77] Cfr. ibid., cân. 536.
[78] Cfr. ibid., cân. 537.
[79] Cfr. ibid., cân. 500, § 2.
[80] Cfr. Apostolorum successores, n. 219: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2117; convém reservar o nome de “zona pastoral” somente para este gênero de reagrupamento, a fim de não criar confusão.
[81] Cfr. C.I.C., cânn. 134, § 1 e 476.
[82] Ter presente que: a) quanto é referido ao “Bispo diocesano” vale também para os outros a ele equiparados no Direito; b) quanto se refere à paróquia e ao pároco vale também para a quase-paróquia e para o quase-pároco; c) quanto concerne aos fiéis leigos, se aplica também aos membros não clérigos dos institutos de vida consagrada ou de sociedade de vida apostólica, a menos que seja expresso referimento à especificidade laical; d) o termo “Moderador” assume significados diversos em base ao contexto onde está utilizado na presente instrução, que diz respeito às normas do código.
[83] Cfr. Lumen gentium, n. 26: AAS 57 (1965), 31-32.
[84] Cfr. Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis, nn. 83; 88.e, pp. 37; 39.
[85] Cfr. C.I.C., cân. 275, § 1.
[86] Cfr. Concílio Ecumênico Vaticano II, Decreto sobre o ministério e a vida sacerdotal Presbyterorum ordinis (7 de dezembro de 1965), n. 8: AAS 58 (1966), 1003.
[87] Cfr. Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis, n. 88, pp. 39-40.
[88] Cfr. Francisco, Discurso aos participantes do Convênio promovido pela Congregação para o Clero, por ocasião do 50° aniversário dos Decretos Conciliares “Optatam totius” e “Presbyterorum ordinis” (20 de novembro de 2015): L’Osservatore Romano 266 (20 de novembro de 2015), 6.
[89] Cfr. C.I.C., cân. 150.
[90] Cfr. ibid., cân. 521, § 1.
[91] Cfr. ibid., cân. 520, § 1.
[92] Ibid., cân. 519.
[93] Cfr. ibid., cân. 532.
[94] Cfr. ibid., cân. 1257, § 1.
[95] Christus Dominus, n. 31: AAS 58 (1965), 689.
[96] C.I.C., cân. 522.
[97] Ibid., cân. 1748.
[98] Ibid., cân. 526, § 1.
[99] Cfr. ibid., cân. 152.
[100] Cfr. ibid., cân. 538, §§ 1-2.
[101] Cfr. ibid., cânn. 1740-1752, levando em consideração os cânn. 190-195.
[102] Cfr. ibid.
[103] Cfr. ibid.
[104] Cfr. ibid., cân. 189.
[105] Cfr. ibid., cân. 189, § 2 e Apostolorum successores, n. 212: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2095.
[106] Apostolorum successores, n. 212: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2095.
[107] Cfr. C.I.C., cânn. 539-540.
[108] Cfr. em particular ibid., cânn. 539, 549, 1747, § 3.
[109] Ibid., cân. 517, § 1; cfr. também cânn. 542-544.
[110] Cfr. ibid., cânn. 517, § 1 e 526, § 1.
[111] Cfr. ibid., cân. 543, § 1.
[112] Cfr. ibid., cân. 543, § 2, 3°; assume também a representação jurídica civil, nos Países onde a paróquia é recnhecida pelo Estado como ente jurídico.
[113] Cfr. ibid., cân. 543, § 1.
[114] Cfr. ibid., cân. 517, § 1.
[115] Cfr. ibid, cân. 545, § 2; a título de exemplo, pensa-se a um sacerdote, com experiência espiritual, mas de fraca saúde, nomeado confessor ordinário para cinco paróquias territorialmente vizinhas.
[116] Cfr. ibid., cân. 265.
[117] Ibid., cân. 1009, § 3.
[118] Francisco, Discurso durante o encontro com os sacerdotes e os consagrados, Milão (25 de março de 2017): AAS 109 (2017), 376.
[119] Ibid, 376-377.
[120] Lumen Gentium, n. 29: AAS 57 (1965), 36.
[121] Paulo VI, Alocução na Audiência concedida aos participantes do Congresso Internacional sobre o Diaconato, 25 de outubro de 1965: Enchiridion sul Diaconato (2009), 147-148.
[122] Cfr. C.I.C., cân. 150.
[123] Congregação para a Doutrina da Fé, Carta Iuvenescit Ecclesia aos Bispos da Igreja católica sobre a relação entre dons hierárquicos e carismáticos para a vida e a missão da Igreja (15 de maio de 2016), n. 21: Enchiridion Vaticanum 32 (2016), 734.
[124] Ibid., n. 22: Enchiridion Vaticanum 32 (2016), 738.
[125] Cfr. C.I.C., cân. 573, § 1.
[126] Cfr. Congregação para os Institutos de Vida Consagrada e as Sociedades de Vida Apostólica- Congregação para os Bispos, Mutuae relationes. Critérios diretivos sobre as relações entre os Bispos e os religiosos na Igreja (14 de maio de 1978), nn. 10; 14, a): Enchiridion Vaticanum 6 (1977-1979), 604-605; 617-620; cfr. também Apostolorum successores, n. 98: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 1803-1804.
[127] Cfr. Evangelii gaudium, n. 102: AAS 105 (2013), 1062-1063.
[128] Cfr. Christifideles laici, n. 23: AAS 81 (1989), 429.
[129] Evangelii gaudium, n. 201: AAS 105 (2013), 1104.
[130] Lumen gentium, n. 31: AAS 57 (1965), 37.
[131] Paulo VI, Exortação apostólica Evangelii nuntiandi (8 de dezembro de 1975), n. 73: AAS 68 (1976), 61.
[132] Cfr. Evangelii gaudium, n. 81: AAS 105 (2013), 1053-1054.
[133] Cfr. C.I.C., cân. 517, § 2.
[134] Cfr. Apostolorum successores, n. 215, c): Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2105.
[135] Congregação para o Clero, Instrução [interdicasterial] sobre algumas questões sobre a colaboração dos fiéis leigos ao ministério dos sacerdotes Ecclesiae de mysterio (15 de agosto de 1997), art. 4, § 1, a-b): AAS 89 (1997), 866-867; cfr. também Apostolorum successores, n. 215, c): Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2105. A tal sacerdote esperará também a representação jurídica da paróquia, seja canonicamente que civilmente, onde a Lei do Estado o prever.
[136] Antes de recorrer à solução consentida pelo cân. 517, § 2, é necessário que o Bispo diocesano avalie prudentemente outras possibilidades a adotar alternativamente, como por exemplo nomear sacerdotes anciães ainda ativos para o ministério, confiar várias paróquias a um único pároco ou confiar várias paróquias a um grupo de sacerdotes in solidum.
[137] Cfr. Ecclesiae de mysterio, art. 4, § 1, b): AAS 89 (1997), 866-867, e Congregação para o Clero, Instrução O presbítero, pastor e guia da comunidade paroquial (4 de agosto de 2002), nn. 23 e 25, em modo particular, trata-se de “uma colaboração ad tempus no exercício do cuidado pastoral da paróquia”, cfr. n. 23: Enchiridion Vaticanum 21 (2002), 834-836.
[138] Cfr. O presbítero, pastor e guia da comunidade paroquial, n. 25: Enchiridion Vaticanum 21 (2002), 836.
[139] C.I.C., cân. 517, § 2.
[140] O presbítero, pastor e guia da comunidade paroquial, n. 23: Enchiridion Vaticanum 21 (2002), 834.
[141] Cfr. Ecclesiae de mysterio, art. 1, § 3: AAS 89 (1997), 863.
[142] Cfr. O presbítero, pastor e guia da comunidade paroquial, n. 23: Enchiridion Vaticanum 21 (2002), 835.
[143] Cfr. Apostolorum successores, n. 112: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 1843.
[144] É bom recordar que, além daquelas próprias do ministério do leitorado, entre as funções litúrgicas que o Bispo diocesano, consultado a Conferência Episcopal, pode confiar temporaneamente a fiéis leigos, homens e mulheres, figura também o serviço ao altar, respeitando a relativa norma canônica: Pontifício Conselho para a interpretação dos Textos Legislativos, Resposta (11 de julho de 1992), AAS 86 (1994), 541; Congregação para o Culto Divino e a Disciplina dos Sacramentos, Carta circular (15 março de 1994), AAS 86 (1994), 541-542.
[145] Cfr. C.I.C., cân. 205.
[146] Cfr. ibid., cân. 230, § 1.
[147] No ato onde o Bispo confia os acima mencionados cargos a diáconos ou a fiéis leigos, determine claramente as funções que estão habilitados a desenvolver e por quanto tempo.
[148] C.I.C., cân. 1248, § 2.
[149] Ibid., cân. 861, § 1.
[150] Ibid., cân. 766.
[151] Ecclesiae de mysterio, art. 3, § 4: AAS 89 (1997), 865.
[152] Cfr. C.I.C., cân. 767, § 1; Ecclesiae de mysterio, art. 3, § 1: AAS 89 (1997), 864.
[153] C.I.C., cân. 1112, § 1; cfr. João Paulo II, Constituição apostólica Pastor Bonus (28 de junho de 1998), art. 63: AAS 80 (1988), 876, a propósito das competências da Congregação para o Culto Divino e la Disciplina dos Sacramentos.
[154] Francisco, Meditação quotidiana em Santa Marta (21 de outubro de 2013): L’Osservatore Romano 242 (21-22 outubro 2013), 8.
[155] Cfr. C.I.C., cânn. 537 e 1280.
[156] Em conformidade ao cân. 532 C.I.C., o pároco é responsável pelos bens da paróquia, também se ao administrá-los deve contar com a colaboração de leigos espertos.
[157] Cfr. C.I.C., cânn. 115, § 2 e, por analogia, 492, § 1.
[158] Cfr. ibid., cân. 537 e Apostolorum successores, n. 210: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2087.
[159] Cfr. C.I.C., cânn. 517 e 526.
[160] Cfr. ibid., cân. 1287 § 1.
[161] Cfr. ibid., cân. 536, § 1.
[162] Francisco, Discurso durante o encontro com o clero, pessoas de vida consagrada e membros de conselhos pastorais, Assis (4 de outubro de 2013): Ensinamentos I/2 (2013), 328.
[163] Id, Homilia da Santa Missa na Solenidade de Pentecostes, 4 de junho 2017: AAS 109 (2017), 711.
[164] Cfr. Lumen gentium, n. 10: AAS 57 (1965), 14.
[165] Cfr. Congregação para o Clero, Carta circular Omnes christifideles (25 de janeiro de 1973), nn. 4 e 9; Enchiridion Vaticanum 4 (1971-1973), 1199-1201 e 1207-1209; Christifideles laici, n. 27: AAS 81 (1989), 440-441.
[166] Francisco, Audiência Geral (23 de maio de 2018).
[167] Paulo VI, Carta apostólica Motu Proprio Ecclesiae Sanctae (6 de agosto de 1966), I, 16, § 1: AAS 58 (1966), 766; cfr. C.I.C., cân. 511.
[168] Evangelii gaudium, n. 31: AAS 105 (2013), 1033
[169] Cfr. C.I.C., cân. 536, § 2.
[170] Cfr. ibid, cân. 212, § 3.
[171] Ibid., cân. 536, § 2.
[172] Cfr. O presbítero, pastor e guia da comunidade paroquial, n. 26: Enchiridion Vaticanum 21 (2002), 843.
[173] Cfr. C.I.C., cân. 516, § 1.
[174] Cfr. ibid., cân. 515, § 2.
[175] Cfr. ibid., cân. 516, § 2.
[176] Cfr. ibid., cânn. 1214, 1223 e 1225.
[177] Cfr. ibid., cânn. 848 e 1264, 2° e cânn. 945-958 e Congregação para o Clero, Decreto Mos iugiter (22 de fevereiro de 1991), aprovado em forma específica por João Paulo II: Enchiridion Vaticanum 13 (1991-1993), 6-28.
[178] C.I.C., cân. 946.
[179] Ibid., cân. 947.
[180] Ibid., cân. 945, § 2.
[181] Francisco, Exortação Apostólica pós-sinodal Christus vivit (25 de março de 2019), n. 231, Cidade do Vaticano 2019.
[182] Id., Encontro com os Bispos poloneses. Cracóvia (27 de julho de 2016): AAS 108 (2016), 893.
[183] Id., Mensagem para a Jornada Missionária Mundial 2017 (4 de junho de 2017), n. 10: AAS 109 (2017), 764.
[00886-PO.01] [Texto original: Português]
Testo in lingua polacca
Instrukcja
Nawrócenie duszpasterskie
wspólnoty parafialnej w służbie misji ewangelizacyjnej Kościoła
Wprowadzenie
1. Refleksja eklezjologiczna Soboru Watykańskiego II oraz znaczące zmiany społeczne i kulturowe ostatnich dziesięcioleci spowodowały, iż niektóre Kościoły partykularne zreorganizowały formę duszpasterstwa wspólnot parafialnych. Proces ten pozwolił wprowadzić nowe doświadczenia, podkreślające w większym stopniu wymiar wspólnoty oraz wdrożyć, pod przewodnictwem duszpasterzy, harmonijną syntezę charyzmatów i powołań kościelnych w służbie głoszenia Ewangelii, która lepiej odpowiada dzisiejszym potrzebom ewangelizacji.
Papież Franciszek na początku swojej posługi przypomniał o znaczeniu „kreatywności”, która oznacza „szukanie nowych dróg”, a mianowicie „szukanie drogi, aby była głoszona Ewangelia”; w związku z tym, Ojciec Święty zakończył: „Kościół, także Kodeks Prawa Kanonicznego daje nam wiele, wiele możliwości, wiele swobody w tym względzie”[1].
2. Sytuacje opisane w niniejszej Instrukcji stanowią cenną okazję do duszpasterskiego nawrócenia w sensie misyjnym. Są bowiem zaproszeniami skierowanymi do wspólnot parafialnych, aby wyszły poza swoje struktury, oferując narzędzia reformy, również strukturalnej, ukierunkowanej na komunię i współpracę, spotkanie i bliskość, miłosierdzie i troskę o głoszenie Ewangelii.
I. Nawrócenie duszpasterskie
3. Nawrócenie duszpasterskie jest jednym z podstawowych tematów „nowego etapu ewangelizacji”[2], który Kościół jest dzisiaj wezwany do promowania, aby wspólnoty chrześcijańskie stały się w coraz większym stopniu siłą pobudzającą do spotkania z Chrystusem.
Dlatego Ojciec Święty przypomniał: „Jeśli coś ma wywoływać święte oburzenie, niepokoić i przyprawiać o wyrzuty sumienia, to niech będzie to fakt, że tylu naszych braci żyje pozbawionych siły, światła i pociechy z przyjaźni z Jezusem Chrystusem, bez przygarniającej ich wspólnoty wiary, bez perspektywy sensu i życia. Mam nadzieję, że zamiast lęku przed pomyleniem się, będziemy się kierować lękiem przed zamknięciem się w strukturach dostarczających nam fałszywej ochrony, lękiem przed przepisami czyniącymi nas nieubłaganymi sędziami, lękiem przed przyzwyczajeniami, w których czujemy się spokojni, podczas gdy obok nas znajduje się zgłodniała rzesza ludzi, a Jezus powtarza nam bez przerwy: «Wy dajcie im jeść!» (Mk 6, 37)”[3].
4. Kościół inspirowany tą świętą troską, „trwając przy własnej tradycji, a równocześnie świadomy swojej powszechnej misji, jest zdolny wchodzić w związek z różnymi formami kultury, przez co ubogaca się zarówno on sam, jak i różne kultury”[4]. Istotnie, owocne i twórcze spotkanie Ewangelii z kulturą prowadzi do prawdziwego postępu: z jednej strony Słowo Boże wciela się w historię ludzi, odnawiając ją; z drugiej strony, „Kościół […] może być, i jest, wzbogacany również przez ewolucję ludzkiego życia społecznego” [5], aby pogłębić misję powierzoną mu przez Chrystusa i właściwiej ją dostosować do czasów, w których żyje.
5. Kościół głosi, że Słowo „stało się ciałem i zamieszkało wśród nas” (J 1, 14). To Słowo Boże, które ma upodobanie mieszkać pomiędzy ludźmi, w swoim niewyczerpanym bogactwie[6] zostało przyjęte na całym świecie przez różne ludy, wzbudzając najszlachetniejsze aspiracje, w tym pragnienie Boga, godność życia każdego człowieka, równość ludzi i szacunek dla odmienności w jednej rodzinie ludzkiej, dialog jako narzędzie uczestnictwa, tęsknotę za pokojem, gościnność jako wyraz braterstwa i solidarności, odpowiedzialną ochronę stworzenia[7].
Jest zatem nie do pomyślenia, aby taka nowość, której rozprzestrzenianie się aż po krańce świata jest wciąż niedokończone, osłabła lub, co gorsza, zaniknęła[8]. Aby Słowo Boże mogło być dalej głoszone, wspólnoty chrześcijańskie muszą dokonać decydującego wyboru misyjnego „zdolnego przemienić wszystko, aby zwyczaje, style, rozkład zajęć, język i wszystkie struktury kościelne stały się odpowiednią drogą bardziej dla ewangelizowania współczesnego świata, niż do zachowania stanu rzeczy”[9].
II. Parafia we współczesnym kontekście
6. To nawrócenie misyjne, które naturalnie prowadzi również do reformy struktur, szczególnie dotyczy parafii, wspólnoty zgromadzonej wokół Stołu Słowa i Eucharystii.
Parafia ma długą historię i od początku odgrywała fundamentalną rolę w życiu chrześcijan, w rozwoju i duszpasterstwie Kościoła; już w pismach św. Pawła można dostrzec niejako pierwsze wzmianki o niej. Niektóre bowiem teksty Pawła pokazują ustanawianie małych wspólnot jako kościołów domowych, określanych zazwyczaj przez Apostoła słowem „dom” (por., np. Rz 16, 3-5; 1 Kor 16, 19-20; Flp 4, 22). W tych „domach” można dostrzec narodziny pierwszych „parafii”.
7. Dlatego parafia od początku była odpowiedzią na szczególną potrzebę duszpasterską, aby przybliżyć Ewangelię Ludowi Bożemu poprzez głoszenie wiary i celebrację sakramentów. Sama etymologia słowa „parafia” czyni zrozumiałym sens tej instytucji: parafia jest domem pośród domów[10] i odpowiada logice wcielenia Jezusa Chrystusa, żywego i działającego we wspólnocie ludzkiej. Dlatego, widzialnie reprezentowana przez budynek kultu, jest znakiem stałej obecności Zmartwychwstałego Pana pośród Jego Ludu Bożego.
8. Terytorialna konfiguracja parafii wezwana jest jednak dziś do konfrontacji ze szczególną cechą współczesnego świata, w którym zwiększona mobilność i kultura cyfrowa poszerzyły granice istnienia. Istotnie, z jednej strony życie ludzi utożsamia się coraz mniej z określonym i niezmiennym środowiskiem, tocząc się raczej w „globalnej i zbiorowej wiosce”; z drugiej strony kultura cyfrowa nieodwracalnie zmieniła rozumienie przestrzeni, a także język i zachowanie ludzi, zwłaszcza młodszych pokoleń.
Co więcej, łatwo przewidzieć, że ciągły rozwój technologii jeszcze bardziej zmodyfikuje sposób myślenia i rozumienia, jaki człowiek będzie miał o sobie i życiu społecznym. Szybkość dokonujących się zmian, modyfikacja modeli kulturowych, łatwość poruszania się i szybkość komunikacji zmieniają postrzeganie przestrzeni i czasu.
9. Parafia, jako żywa wspólnota wierzących, włączona jest we wspomniany kontekst, w którym związek z terytorium jest coraz mniej zauważalny, miejsca przynależności stają się wielorakie, a relacje międzyludzkie są wystawione na ryzyko rozpadu w wirtualnym świecie bez zaangażowania ani odpowiedzialności za własne relacje.
10. Dziś zauważa się, że zmiany kulturowe i odmienne odniesienie do terytorium sprzyjają w Kościele, dzięki obecności Ducha Świętego, nowemu rozeznaniu wspólnotowemu, „które polega na widzeniu rzeczywistości oczami Boga, z myślą o jedności i komunii”[11]. Dlatego należy pilnie zaangażować cały Lud Boży w przyjęcie zaproszenia Ducha Świętego, aby przeprowadzić procesy „odmłodzenia” oblicza Kościoła.
III. Znaczenie parafii dzisiaj
11. Kierowana takim rozeznaniem, parafia jest wezwana do tego, aby zgodnie z wymaganiami czasu dostosować swoją posługę do potrzeb wiernych i historycznych przemian. Potrzebny jest odnowiony dynamizm, który pozwoliłby na nowo odkryć powołanie każdego ochrzczonego do bycia uczniem Jezusa i misjonarzem Ewangelii, w świetle dokumentów Soboru Watykańskiego II i późniejszego Magisterium.
12. Ojcowie Soboru pisali bowiem z dalekowzrocznością: „duszpasterstwo winno być zawsze prowadzone w duchu misyjnym”[12]. Kontynuując tę naukę, Jan Paweł II twierdził: „parafia musi zostać udoskonalona i zintegrowana w wielu innych formach, ale nadal pozostaje niezastąpionym organizmem o pierwszorzędnym znaczeniu w widzialnych strukturach Kościoła”, aby „uczynić ewangelizację osią wszystkich działań duszpasterskich, potrzebą priorytetową, najważniejszą i uprzywilejowaną”[13]. Później Benedykt XVI nauczał że: „parafia jest latarnią, która promieniuje światłem wiary, a tym samym spełnia najgłębsze i najprawdziwsze pragnienia serca człowieka, nadając sens i nadzieję życiu ludzi i rodzin”[14]. Wreszcie papież Franciszek przypomina, że „dzięki całej swojej działalności parafia zachęca i formuje swoich członków, aby byli ludźmi zaangażowanymi w ewangelizację[15].
13. Dla promowania fundamentalnej roli misyjnej wspólnoty chrześcijańskiej w świecie[16], ważne jest przemyślenie nie tylko nowego doświadczenia parafii, ale także posługi i misji kapłanów, którzy wraz z wiernymi świeckimi mają za zadanie być „solą i światłem świata” (por. Mt 5, 13-14), „lampą na świeczniku” (por. Mk 4, 21), ukazującą oblicze wspólnoty ewangelizacyjnej, zdolnej do odpowiedniego odczytania znaków czasu i skłaniającej do dawania spójnego świadectwa życia ewangelicznego.
14. Poczynając od rozważania znaków czasu pod natchnieniem Ducha Świętego, należy także tworzyć nowe znaki: parafia, nie będąc już, jak kiedyś, głównym miejscem agregacji i socjalizacji, jest wezwana do szukania innych sposobów bliskości niż zwykłe działania. Zadanie to nie stanowi jakiegoś ciężaru do niesienia, ale jest wyzwaniem, które należy przyjąć z entuzjazmem.
15. Uczniowie Pana, podążając za swoim Mistrzem, w szkole Świętych i pasterzy, nauczyli się, czasem poprzez bolesne doświadczenia, jak czekać na czasy i drogi Boga, karmić się pewnością, że On jest zawsze obecny do końca czasów i że Duch Święty - serce, którym pulsuje życie Kościoła - gromadzi dzieci Boże rozproszone po całym świecie. Z tego powodu wspólnota chrześcijańska nie powinna obawiać się inicjować procesy i im towarzyszyć w miejscach, na których żyją ludzie reprezentujący różne kultury, mając całkowitą pewność, że dla uczniów Chrystusa „nie można znaleźć nic prawdziwie ludzkiego, co nie odbijałoby się echem w ich sercach”[17].
IV. Misja, główne kryterium odnowienia
16. W dokonujących się przemianach, pomimo hojnego zaangażowania, parafia czasami nie jest w stanie odpowiednio sprostać licznym oczekiwaniom wiernych, zwłaszcza biorąc pod uwagę różnorodne typy wspólnot[18]. Prawdą jest, że cechą charakterystyczną parafii jest jej zakorzenienie tam, gdzie wszyscy żyją na co dzień. Jednak szczególnie dzisiaj terytorium nie jest już tylko ograniczoną przestrzenią geograficzną, ale środowiskiem, w którym każdy wyraża swoje życie poprzez relacje, wzajemną służbę i dawne tradycje. To na tym „egzystencjalnym terytorium” rozgrywają się wyzwania Kościoła pośród społeczności. Opieka duszpasterska, sprawowana wyłącznie w granicach terytorialnych parafii, wydaje się być przestarzała, gdyż parafianie często nie rozumieją już takiej formy, która wydaje się bardziej naznaczona nostalgią za przeszłością, niż inspirowana odwagą na przyszłość[19]. Z drugiej strony należy podkreślić, że na poziomie kanonicznym zasada terytorialna pozostaje w pełni obowiązująca, gdy wymaga tego prawo[20].
17. Ponadto samo powtarzanie czynności duszpasterskich niemających wpływu na życie konkretnych ludzi staje się sterylną próbą przetrwania, często przyjmowaną z ogólną obojętnością. Jeśli parafia nie żyje duchowym dynamizmem właściwym ewangelizacji, naraża się na ryzyko bycia strukturą skupiającą się na sobie i sklerotyczną, która proponuje doświadczenia pozbawione już ewangelicznego i misyjnego smaku, być może przeznaczone tylko dla małych grup.
18. Odnowa ewangelizacji wymaga nowej uwagi i różnorodnych propozycji duszpasterskich, aby Słowo Boże i życie sakramentalne mogły dotrzeć do każdego w sposób odpowiadający jego sytuacji życiowej. Istotnie, przynależność w czasach współczesnych do wspólnoty kościelnej w coraz większym stopniu pomija miejsce urodzenia i dojrzewania jej członków, a jest raczej nastawiona na wspólnotę adopcyjną[21], w której wierni mają szersze doświadczenie Ludu Bożego, jako Ciała podzielonego na wiele członków, z których każdy działa dla dobra całego organizmu (por. 1 Kor 12, 12-27).
19. Poza miejscami i racjami związanymi z przynależnością, wspólnota parafialna stanowi także środowisko ludzkie, w którym odbywa się działalność ewangelizacyjna Kościoła, celebruje się sakramenty i świadczy dzieła miłosierdzia, w dynamice misyjnej, która – oprócz tego, że jest nieodłącznym elementem działalności duszpasterskiej – staje się kryterium weryfikacji jej autentyczności. We współczesnej dobie, czasami charakteryzującej się marginalizacją i samotnością, wspólnota parafialna jest powołana, aby być żywym znakiem bliskości Chrystusa poprzez sieć braterskich relacji, skierowanych na nowe formy ubóstwa.
20. W świetle tego, co zostało powiedziane do tej pory, konieczne jest określenie perspektyw, które pozwolą odnowić „tradycyjne” struktury parafialne w kluczu misyjnym. Jest to serce pożądanego nawrócenia duszpasterskiego, które musi dotyczyć głoszenia Słowa Bożego, życia sakramentalnego, świadczenia miłosierdzia, lub istotnych obszarów, w których parafia wzrasta i dostosowuje się do Tajemnicy, w którą wierzy.
21. Lektura Dziejów Apostolskich pozwala nam uświadomić sobie fundamentalne znaczenie Słowa Bożego, jego wewnętrznej mocy, która dokonuje nawrócenia serc. Stanowi ono pokarm, który karmi uczniów Pana i czyni ich świadkami Ewangelii w różnych okolicznościach życia. Pismo Święte zawiera proroczą moc, która czyni go ciągle żywym. Konieczne jest zatem, aby parafia uczyła czytać i rozważać Słowo Boże poprzez różnorodne sposoby jego głoszenia[22], stosując jasne i zrozumiałe formy przekazu, które mówiłyby o Panu Jezusie zgodnie z wciąż nowym świadectwem kerygmatu[23].
22. Następnie, celebrowanie tajemnicy eucharystycznej jest „źródłem i szczytem całego życia chrześcijańskiego”[24], a zatem stanowi zasadniczy moment w tworzeniu wspólnoty parafialnej. W celebracji Eucharystii Kościół uświadamia sobie znaczenie swojego imienia: zgromadzenie Ludu Bożego, który oddaje chwałę, prosi, wstawia się i dziękuje. Przez jej sprawowanie wspólnota chrześcijańska przyjmuje żywą obecność Pana Ukrzyżowanego i Zmartwychwstałego, otrzymując przesłanie o całej Jego tajemnicy zbawienia.
23. Dlatego Kościół odczuwa potrzebę ponownego odkrycia inicjacji chrześcijańskiej, która rodzi nowe życie, ponieważ jest wpisana w tajemnicę życia samego Boga. W rzeczywistości jest bowiem drogą do przebycia, która wymaga ciągłości, nie jest związana jedynie z celebracjami lub wydarzeniami, ponieważ nie jest determinowana na pierwszym miejscu przez obowiązek odprawienia „rytuału przejścia”, ale jedynie przez perspektywę stałego naśladowania Chrystusa. W tym kontekście może być przydatne wyznaczenie dróg mistagogicznych, odnoszących się w sposób rzeczywisty do życia[25]. Również katecheza powinna być przedstawiana jako ciągłe głoszenie Tajemnicy Chrystusa, aby Jego pełnia wzrastała w sercu ochrzczonych (por. Ef 4, 13) poprzez osobiste spotkanie z Panem życia.
Jak przypomniał papież Franciszek, należy „zwrócić uwagę na dwa zafałszowania świętości, które mogłyby nas sprowadzić na manowce: gnostycyzm i pelagianizm. Są to dwie herezje, które powstały w pierwszych wiekach chrześcijaństwa, ale wciąż są alarmująco aktualne”[26]. W przypadku gnostycyzmu chodzi o wiarę abstrakcyjną, wyłącznie intelektualną, opartą na wiedzy, która pozostaje daleka od życia, podczas gdy pelagianizm skłania człowieka do polegania wyłącznie na własnych siłach, ignorując działanie Ducha Świętego.
24. W tajemniczym splocie między działaniem Boga a działaniem człowieka głoszenie Ewangelii odbywa się za pośrednictwem mężczyzn i kobiet, którzy uwiarygodniają to, co głoszą przez życie, w sieci relacji międzyludzkich, budzących zaufanie i nadzieję. W obecnych czasach, często naznaczonych obojętnością, zamknięciem jednostki w sobie i odrzuceniem drugiego, ponowne odkrycie braterstwa ma fundamentalne znaczenie, ponieważ ewangelizacja jest ściśle związana z jakością relacji międzyludzkich[27]. W ten sposób wspólnota chrześcijańska uznaje słowo Jezusa za własne, co pobudza do „wypłynięcia na głębię” (Łk 5, 4) z nadzieją, że zaproszenie Mistrza do rzucenia sieci gwarantuje „obfity połów ryb”[28].
25. „Kultura spotkania” jest środowiskiem, który promuje dialog, solidarność i otwartość na wszystkich, podkreślając centralną rolę osoby. Konieczne jest zatem, aby parafia była „miejscem” sprzyjającym byciu razem i rozwojowi trwałych relacji osobowych, które pozwalają każdemu doświadczyć poczucia przynależności i bycia akceptowanym.
26. Wspólnota parafialna jest wezwana do rozwijania prawdziwej „sztuki bliskości”. Jeśli zapuści ona głębokie korzenie, parafia naprawdę stanie się miejscem, w którym zostaje przezwyciężona samotność, obecna w życiu wielu ludzi, a także „sanktuarium, gdzie spragnieni przychodzą i piją, by dalej kroczyć drogą, oraz centrum stałego misyjnego posyłania”[29].
V. „Wpólnota wspólnot”:
Parafia integrująca, ewangelizująca i okazująca wrażliwość na ubogich
27. Przedmiotem misji i ewangelizacji Kościoła jest zawsze Lud Boży jako całość. Istotnie, Kodeks Prawa Kanonicznego podkreśla, że parafia nie utożsamia się z budynkiem lub jakimiś strukturami, ale z określoną wspólnotą wiernych, nad którą pasterską pieczę, powierza się proboszczowi jako jej własnemu pasterzowi[30]. W związku z tym Papież Franciszek przypomniał, że „parafia jest formą obecności Kościoła na terytorium, jest środowiskiem słuchania Słowa, wzrostu życia chrześcijańskiego, dialogu, przepowiadania, ofiarnej miłości, adoracji i celebracji” i stwierdził, że jest ona „wspólnotą wspólnot”[31].
28. Różne członki poprzez które wyraża się parafia, są wezwane do komunii i jedności. W zakresie, w jakim każdy przyjmuje swoją komplementarność, oddając ją na rzecz wspólnoty, z jednej strony można ujrzeć realizowaną w pełni posługę proboszcza i prezbiterów współpracujących jako pasterze, a z drugiej strony specyfikę różnych charyzmatów diakonów, osób konsekrowanych i świeckich, do budowania przez każdego jednego Ciała (por. 1 Kor 12, 12).
29. Dlatego parafia jest wspólnotą powołaną przez Ducha Świętego, aby głosić Słowo Boże i prowadzić do zrodzenia w źródle chrzcielnym nowych dzieci; zgromadzona przez swojego duszpasterza, celebruje pamiątkę męki, śmierci i zmartwychwstania Pana oraz świadczy o wierze w miłość, żyjąc nieustannie duchem misyjnym, aby nikt nie był pozbawiony zbawczego przesłania, które daje życie.
Mając to na uwadze Papież Franciszek stwierdził: „Parafia nie jest strukturą ułomną; właśnie dlatego, że ma wielką elastyczność, może przyjąć bardzo odrębne formy, wymagające otwarcia i misyjnej kreatywności ze strony duszpasterza i wspólnoty. Chociaż z pewnością nie jest jedyną instytucją ewangelizacyjną, jeśli zachowuje zdolność do reformowania się i stałego przystosowania, nadal będzie «samym Kościołem zamieszkującym pośród swych synów i córek». Zakłada to, że rzeczywiście utrzymuje kontakt z rodzinami i z życiem ludu, i nie staje się strukturą ociężałą, odseparowaną od ludzi albo grupą wybranych zapatrzonych w samych siebie […]. Musimy jednak przyznać, że wezwanie do rewizji i odnowy naszych parafii nie przyniosło jeszcze wystarczających owoców, aby były bliżej ludzi i stanowiły środowiska żywej komunii i uczestnictwa i ukierunkowały się całkowicie na misję”[32].
30. Parafii nie może być obcy „duchowy i eklezjalny sanktuariów styl” – prawdziwych i właściwych „placówek misyjnych” – charakteryzujący się przyjęciem, życiem modlitwy i ciszą, która pokrzepia ducha, a także sprawowaniem sakramentu pojednania i wrażliwością na potrzeby ubogich. Pielgrzymki, które wspólnoty parafialne odbywają do różnych sanktuariów, są cennymi narzędziami do wzrastania w braterskiej wspólnocie, a po powrocie do domu sprawiają, że ich codzienne życie staje się bardziej otwarte i gościnne[33].
31. W tej perspektywie wydaje się czymś oczywistym, że sanktuarium może obejmować wszystkie te cechy i posługi, które również analogicznie powinna posiadać parafia, reprezentując dla wielu wiernych upragnione środowisko ich wewnętrznych poszukiwań i miejsce, w którym się spotykają z obliczem miłosiernego Chrystusa i gościnnego Kościoła.
W sanktuariach mogą oni odkryć „namaszczenie od Świętego” (1 J 2, 20), to znaczy własną konsekrację chrzcielną. W tych miejscach uczą się celebrować z zapałem tajemnicę obecności Boga pośród Jego Ludu, poznają piękno misji ewangelizacyjnej każdego ochrzczonego, odkrywają wezwanie do świadczenia miłosierdzia w miejscach, w których żyją[34].
32. „Sanktuarium” otwarte dla wszystkich oraz parafia, również powołana, by dotrzeć do wszystkich bez wyjątku, przypominają, że biedni i wykluczeni muszą zawsze mieć uprzywilejowane miejsce w sercu Kościoła. Benedykt XVI powiedział: „Biedni są uprzywilejowanymi odbiorcami Ewangelii”[35]. Z kolei papież Franciszek napisał: „Nowa ewangelizacja jest zaproszeniem do uznania zbawczej mocy ich egzystencji i do postawienia jej w centrum drogi Kościoła. Jesteśmy wezwani do odkrycia w nich Chrystusa, do użyczenia im naszego głosu w ich sprawach, ale także do bycia ich przyjaciółmi, słuchania ich, zrozumienia ich i przyjęcia tajemniczej mądrości, którą Bóg chce nam przekazać przez nich”[36].
33. Bardzo często parafia jest pierwszym miejscem osobistego spotkania osób ubogich ze wspólnotą Kościoła. W sposób szczególny kapłani, diakoni i osoby konsekrowane powinni odnosić się ze współczuciem do „zranionego ciała”[37] braci, odwiedzać ich w chorobie, wspierać ludzi i rodziny bez pracy, otwierać drzwi potrzebującym. Wspólnota parafialna, zwracając wzrok ku ostatnim, ewangelizuje i pozwala się ewangelizować ubogim, odnajdując w ten sposób zaangażowanie społeczne do przepowiadania we wszystkich swoich różnorodnych środowiskach[38], bez zapominania o „najwyższej zasadzie” miłości, według której będziemy sądzeni[39].
VI. Od nawrócenia osób do przekształcenia struktur
34. W tym procesie odnowy i przekształceń, parafia powinna unikać ryzyka nadmiernej i biurokratycznej organizacji wydarzeń oraz świadczenia posług, które nie wyrażają dynamiki ewangelizacji, ale kryterium samozachowawcze[40].
Papież Franciszek, cytując Pawła VI szczerze stwierdził: „Kościół powinien pogłębić świadomość samego siebie, medytować nad swoją tajemnicą (…). Istnieją struktury kościelne, które mogą warunkować ewangelizacyjny dynamizm; podobnie, dobre struktury służą, kiedy jest życie, które je ożywia, podtrzymuje i ocenia. Bez nowego życia i autentycznego ewangelicznego ducha, bez «wierności Kościoła swojemu powołaniu», każda nowa struktura w krótkim czasie ulega degradacji”[41].
35. Przekształcenie struktur, które parafia wyznacza sobie za cel, wymaga wcześniejszej zmiany mentalności i odnowy wewnętrznej, szczególnie tych, którzy są odpowiedzialni za duszpasterstwo. Pasterze, aby być wiernymi misji otrzymanej od Chrystusa, a zwłaszcza proboszczowie, „szczególni współpracownicy biskupa”[42], powinni koniecznie dostrzec potrzebę reformy duszpasterstwa o charakterze misyjnym.
36. Pamiętając o tym, jak bardzo wspólnota chrześcijańska docenia własną historię i przywiązania, żaden pasterz nie może zapominać, że wiara Ludu Bożego wiąże się ze wspomnieniami rodzinnymi i wspólnotowymi. Bardzo często święte miejsce przywołuje na pamięć ważne momenty życia minionych pokoleń, ludzi i wydarzenia, które wpływały na historie osobiste i rodzinne. Aby uniknąć niepotrzebnych nieporozumień, ważne jest, aby procesy reorganizacji wspólnot parafialnych, a niekiedy diecezjalnych, przebiegały elastycznie i stopniowo.
Papież Franciszek, odnosząc się do reformy Kurii Rzymskiej podkreślił, że stopniowość „jest owocem niezbędnego rozeznania, które zakłada proces historyczny, rytmiczność badań i etapów, weryfikację, poprawki, eksperymentowanie, zatwierdzanie ad experimentum [na próbę]. W tych wypadkach nie jest to zatem niezdecydowanie, ale chodzi o elastyczność, niezbędną do tego, aby móc doprowadzić do prawdziwej reformy”[43]. Chodzi o to, aby uniknąć niepotrzebnego „przyśpieszenia”, chcąc przeprowadzać reformy zbyt pochopnie i według ogólnikowych kryteriów, które choć logicznie opracowane „przy stole”, zapominają o konkretnych ludziach zamieszkujących dane terytorium. Każdy projekt bowiem musi brać pod uwagę konkretne życie wspólnoty, być wprowadzony elastycznie i poprzedzony niezbędnym etapem wcześniejszych konsultacji oraz etapem wdrażania i weryfikacji.
37. Oczywiście odnowienia takiego nie może dokonać jedynie proboszcz, ani nie powinno ono być narzucone z góry, wykluczając Lud Boży. Zmiana duszpasterska struktur implikuje świadomość, że „Święty Lud wierny Bogu jest namaszczony łaską Ducha Świętego; dlatego w trakcie refleksji, oceniania i rozeznawania musimy być bardzo uważni na to namaszczenie. Ilekroć jako Kościół, jako pasterze, jako osoby konsekrowane zapominamy o tej prawdzie, podążamy złą drogą. Ilekroć chcemy zastąpić, uciszyć, unicestwić, zignorować lub zredukować do małych elit Lud Boży w jego całości oraz odmiennościach, budujemy wspólnoty, tworzymy programy duszpasterskie, koncepcje teologiczne, duchowość i struktury bez korzeni, bez historii, bez twarzy, bez pamięci, bez ciała, w rzeczywistości, bez życia. W chwili, gdy odcinamy się od życia Ludu Bożego, popadamy w pustkę i wypaczamy naturę Kościoła”[44].
W tym sensie nie tylko samo duchowieństwo ma dokonać przemiany, do której wzywa Duch Święty, ale ma być ono zaangażowane w nawrócenie, dotyczące wszystkich członków Ludu Bożego[45]. Dlatego konieczne jest „świadome i klarowne poszukiwanie przestrzeni komunii i uczestnictwa, po to by Namaszczenie całego Ludu Bożego znalazło swoje konkretne pośrednictwo, aby się objawić”[46].
38. W związku z tym wydaje się oczywiste, że właściwe byłoby przezwyciężenie zarówno autoreferencyjnej koncepcji parafii, jak i „klerykalizacji duszpasterstwa”. Poważne potraktowanie faktu, że udziałem Ludu Bożego „stała się godność i wolność dzieci Bożych, w których sercach Duch Święty mieszka jak w świątyni[47], zachęca do promowania praktyk i modeli, dzięki którym każdy ochrzczony, dzięki darowi Ducha Świętego i otrzymanych charyzmatów, staje się aktywnym protagonistą ewangelizacji, w stylu i zgodnie z zasadami organicznej komunii, zarówno z innymi wspólnotami parafialnymi, jak ogólnym duszpasterstwem diecezjalnym. Rzeczywiście, cała wspólnota jest podmiotem odpowiedzialnym za misję, ponieważ Kościół nie utożsamia się jedynie z hierarchią, ale stanowi siebie jako Lud Boży.
39. Zadaniem pasterzy będzie utrzymanie żywej dynamiki, mocą której każdy ochrzczony będzie mógł odkryć, że jest aktywnym protagonistą ewangelizacji. Wspólnota prezbiterów, nieustannie uczestnicząca w formacji permanentnej[48], powinna mądrze realizować sztukę rozeznania, która pozwala wzrastać i dojrzewać życiu parafialnemu przy respektowaniu różnych powołań i posług. Stąd prezbiter, jako członek i sługa Ludu Bożego, który został mu powierzony, nie może go zastąpić. Wspólnota parafialna jest upoważniona do proponowania form posługi, głoszenia wiary i świadectwa miłosierdzia.
40. Fundamentalne znaczenie Ducha Świętego – bezinteresownego daru Ojca i Syna dla Kościoła – prowadzi do głębokiego przeżywania wymiaru bezinteresowności, zgodnie z nauczaniem Jezusa: „Darmo otrzymaliście, darmo dawajcie!” (Mt 10,8). Nauczał On swoich uczniów postawy wielkodusznej służby, aby każdy z nich był darem dla innych (por. J 13, 14-15), ze szczególnym uwzględnieniem ubogich. Stąd, wynika między innymi, potrzeba „nie targowania się” jeśli chodzi o życie sakramentalne i nie sprawiania wrażenia, że sprawowanie sakramentów – zwłaszcza Najświętszej Eucharystii – i innych posług mogłyby podlegać opłatom.
Z drugiej strony pasterz, który hojnie służy trzodzie, jest zobowiązany do formowania wiernych, aby każdy członek wspólnoty czuł się odpowiedzialny i bezpośrednio zaangażowany w zaspokajanie potrzeb Kościoła, poprzez różne formy pomocy i solidarności, których parafia potrzebuje do pełnienia swojej posługi duszpasterskiej ze swobodą i skutecznością.
41. Misja promowania ewangelizacji, do wypełniania której powołana jest przede wszystkim parafia, dotyczy zatem całego Ludu Bożego, różnych jego członków: prezbiterów, diakonów, konsekrowanych i świeckich, każdego zgodnie z własnym charyzmatem i powierzonymi mu zadaniami.
VII. Parafia i inne wewnętrzne podziały w diecezji
42. Nawrócenie duszpasterskie wspólnoty parafialnej w sensie misyjnym nabiera zatem kształtu i wyraża się w stopniowym procesie odnowy struktur, i w konsekwencji, w różnorodnym powierzeniu opieki duszpasterskiej i uczestnictwie w jej realizacji, angażując wszystkich członków Ludu Bożego.
43. W terminologii obecnie używanej, zmienionej przez dokumenty Magisterium, która dotyczy wewnętrznego podziału terytorium diecezjalnego[49], już od kilkudziesięcioleci są dodane do wyrażeń określających parafie i wikariaty rejonowe, przewidzianych w obowiązującym Kodeksie Prawa Kanonicznego[50], takie wyrażenia jak “jednostki duszpasterskie” czy “okręgi duszpasterskie”. Określają one de facto formy organizacji duszpasterstwa diecezji wyrażające nową relację między wiernymi a terytorium.
44. Jeśli chodzi o „jednostki” lub „okręgi duszpasterskie”, nie można oczywiście sądzić, że rozwiązaniem wielu współczesnych problemów jest po prostu nowe nazewnictwo już istniejących struktur. W centrum procesu odnowy, unikając znacznych zmian, a angażując się raczej do jego promowania i ukierunkowania, należy wyodrębnić struktury, dzięki którym można we wszystkich członkach wspólnoty chrześcijańskiej ożywić wspólne powołanie do ewangelizacji, mając na względzie bardziej skuteczną opiekę duszpasterską nad Ludem Bożym, w której „kluczowym czynnikiem” może być tylko bliskość.
45. W tej perspektywie ustawodawstwo kanoniczne podkreśla potrzebę wyodrębnienia wewnątrz każdej diecezji części terytorialnych[51], z zachowaniem możliwości do późniejszego ich połączenia w struktury pośrednie pomiędzy diecezją a pojedynczą parafią. W związku z tym, biorąc pod uwagę wielkość diecezji i jej konkretną działalność duszpasterską, można podać różne typologie łączenia parafii[52].
W sercu łączonych parafii uwidacznia się wspólnotowy wymiar Kościoła, ze szczególnym uwzględnieniem konkretnego terytorium, dlatego przy ich erygowaniu należy w jak największym stopniu uwzględniać jednorodność ludności i jej zwyczaje, a także wspólne cechy tego terytorium, dla ułatwiania relacji bliskości między proboszczami i innymi osobami zaangażowanymi w duszpasterstwie[53].
VII.a. Jak erygować łączone parafie
46. Przede wszystkim, przed przystąpieniem do erygowania łączonych parafii, biskup musi koniecznie skonsultować się z Radą kapłańską[54], zgodnie z ustawodawstwem kanonicznym i w imię koniecznej współodpowiedzialności kościelnej, spoczywającej na różny sposób na biskupie i członkach Rady.
47. Połączenia kilku parafii można dokonać przede wszystkim poprzez prostą formę federacyjną, w taki sposób, że połączone parafie zachowałyby swą odrębność pod względem tożsamości.
Oczywiście, zgodnie prawodawstwem kanonicznym, przy wszelkiego rodzaju łączeniu sąsiednich parafii, należy uszanować zasadnicze przepisy ustanowione przez prawo powszechne względem parafii jako osoby prawnej, które nie mogą podlegać dyspensie ze strony biskupa[55]. Dlatego biskup będzie musiał wydać dla każdej parafii, którą zamierzałby znieść, określony dekret, wraz z dołączoną właściwą motywacją[56].
48. W związku z powyższym połączenie, jak również erygowanie lub zniesienie parafii, musi być dokonywane przez biskupa diecezjalnego zgodnie z normami przewidzianymi w Prawie Kanonicznym, to znaczy przez inkorporację, dzięki której jedna parafia stając się częścią składową drugiej, zostaje przez nią wchłonięta, tracąc pierwotną indywidualność i osobowość prawną; lub poprzez rzeczywistą fuzję, która tworzy nową i jedną parafię, powodując w konsekwencji likwidację wcześniej istniejących parafii i ich osobowości prawnych; lub wreszcie, poprzez podział wspólnoty parafialnej na kilka parafii autonomicznych, które są tworzone ex novo[57].
Ponadto, zniesienie parafii przez ich łączenie, jest uzasadnione przyczynami bezpośrednio dotyczącymi konkretnej parafii. Natomiast nie są do tego odpowiednimi powodami, na przykład, brak duchowieństwa diecezjalnego, ogólna sytuacja finansowa diecezji lub inne uwarunkowania dotyczące wspólnoty, które prawdopodobnie są do przezwyciężenia w krótkim okresie czasu (liczba wiernych, brak ekonomicznej samowystarczalności, urbanistyczna modyfikacja terytorium). Tego rodzaju działania, mogą być uzasadnione legalnie tylko powodami bezpośrednio i organicznie związanymi z daną wspólnotą parafialną, a nie z ogólnymi, teoretycznymi względami.
49. W przypadku erygowania i zniesienia parafii warto pamiętać, że każda decyzja musi być podjęta poprzez wydanie formalnego dekretu, sporządzonego na piśmie[58]. W związku z tym należy uznać za niezgodne z ustawodawstwem kanonicznym wydanie pojedynczego rozporządzenia, mającego na celu ogólną reorganizację całej diecezji, jej części lub grupy parafii, wprowadzoną w życie za pomocą pojedynczego aktu prawnego, dekretu ogólnego lub prawa szczegółowego.
50. Szczególnie, w przypadkach zniesienia parafii, dekret musi wyraźnie wskazywać, w odniesieniu do konkretnej sytuacji, przyczyny, które skłoniły biskupa do podjęcia takiej decyzji. Dlatego należy je dokładnie podać, ponieważ ogólna aluzja do „dobra dusz” może nie być wystarczająca.
Wreszcie, w akcie, poprzez który parafia jest zniesiona, biskup musi również podjąć decyzję co do przeznaczenia jej dóbr zgodnie z obowiązującymi normami kanonicznymi[59]; chyba, że istnieją poważne powody, by postąpić inaczej i po wysłuchaniu Rady kapłańskiej[60], konieczne będzie zapewnienie, aby kościół zniesionej parafii był nadal otwarty dla wiernych.
51. Z tematem łączenia i możliwym zniesieniem parafii związana jest czasem potrzeba przeznaczenia budynku kościoła do odpowiedniego, świeckiego użytku[61]. Decyzję w tym względzie podejmuje biskup diecezjalny, po koniecznym zasięgnięciu opinii Rady kapłańskiej[62].
Zazwyczaj, również w tym przypadku, spadek ilości duchowieństwa diecezjalnego, niż demograficzny i poważny kryzys finansowy diecezji nie są uzasadnionymi przyczynami do tego typu działania. Przeciwnie, jeśli budynek kościoła znajduje się w stanie, który nie pozwala w żaden sposób na wykorzystanie go do kultu religijnego i nie ma możliwości jego remontu, będzie można postępować zgodnie z prawem i przeznaczyć do stosownego świeckiego użytku.
VII.b. Wikariat rejonowy (dekanat)
52. Przede wszystkim trzeba pamiętać, że „celem wsparcia pasterzowania przez wspólne działanie, kilka sąsiednich parafii może być łączonych w specjalne zespoły, takimi są wikariaty rejonowe (dekanaty)”[63]; przyjmują one w różnych miejscach nazwy takie jak „dekanaty”, albo „archiprezbiteraty”, albo „okręg duszpasterski”, albo „prefektury”[64].
53. Dziekanem nie musi być koniecznie proboszcz jakiejś określonej parafii[65] i by zrealizował się cel, dla którego wikariat rejonowy został erygowany, pośród jego zadań, pierwszym jest: „popierać i koordynować w ramach dekanatu wspólną działalność pasterską”[66], w taki sposób by nie pozostał on instytucją czysto formalną. Ponadto, dziekan „ma obowiązek wizytować parafie swojego rejonu w sposób określony przez biskupa diecezjalnego”[67]. W celu lepszego wypełnienia powierzonej funkcji i aby jeszcze bardziej wspierać działalność międzyparafialną, biskup diecezjalny może udzielić dziekanowi innych uprawnień, które uzna się za potrzebne, biorąc pod uwagę konkretny kontekst.
VII.c. Jednostka duszpasterska
54. Inspirując się analogicznymi celami, kiedy okoliczności tego wymagają i z racji na przestrzenny zasięg dekanatu albo dużą liczbę wiernych, należy bardziej popierać organiczną współpracę między okolicznymi parafiami, i po wysłuchaniu Rady kapłańskiej[68], biskup może również zadekretować trwałe i instytucjonalnie zarządzone połączenie różnych parafii wewnątrz dekanatu[69], biorąc pod uwagę niektóre konkretne kryteria.
55. Przede wszystkim jest korzystne, aby to połączenie parafii (nazywane „jednostkami duszpasterskimi”[70]) było wyznaczone w sposób jak najbardziej jednorodny, również z punktu widzenia socjologicznego, aby można było realizować prawdziwie całościową oraz zintegrowaną[71] posługę duszpasterską w perspektywie misyjnej.
56. Ponadto, każdą parafię takiej jednostki duszpasterskiej należy powierzyć jednemu proboszczowi, bądź też wspólnie zespołowi kapłanów (in solidum), który troszczy się o wszystkie wspólnoty parafialne[72]. Ewentualnie, jeśli biskup uzna to za stosowne, jednostka duszpasterska będzie mogła składać się z kilku parafii, powierzonych temu samemu proboszczowi[73].
57. W każdym razie, również ze względu na należny szacunek kapłanom, którzy często ofiarnie pełnili swą posługę i cieszyli się uznaniem wspólnot, a także dla dobra samych wiernych, złączonych więzami miłości i wdzięczności wobec swoich pasterzy, wymaga się, aby w momencie ustanowienia określonej jednostki parafialnej, biskup diecezjalny nie ustanawiał poprzez ten sam dekret, że w kilku połączonych parafiach i powierzonych tylko jednemu proboszczowi[74], wszyscy ewentualni i obecni proboszczowie, nadal pełniący tę funkcję[75], zostali automatycznie przeniesieni na urząd wikariuszy parafialnych lub de facto usunięci ze stanowiska proboszcza.
58. W tych przypadkach, o ile nie jest to powierzenie in solidum, do kompetencji biskupa diecezjalnego należy, w zależności od sytuacji, ustanowienie zadań kapłana moderatora połączonych parafii w powiązaniu z wikariuszem rejonowym dekanatu[76], wewnątrz którego została utworzona jednostka duszpasterska.
59. Po utworzeniu, zgodnie z prawem, połączonych parafii – dekanatu lub „jednostki duszpasterskiej” – biskup określi, stosownie do potrzeb, czy każda parafia powinna posiadać Parafialną radę duszpasterską[77], czy też lepiej, aby to zadanie było powierzone jednej Radzie duszpasterskiej ustanowionej dla wszystkich zainteresowanych wspólnot parafialnych. W każdym razie poszczególne parafie wchodzące w skład jednostki duszpasterskiej, z racji że zachowują osobowość i zdolność prawną, muszą posiadać własną Radę do spraw ekonomicznych[78].
60. W celu dowartościowania całościowej działalności ewangelizacyjnej i skuteczniejszej opieki duszpasterskiej jest właściwym utworzenie wspólnych posług duszpasterskich w określonych obszarach (na przykład: katechezy, działalności charytatywnej, duszpasterstwa młodzieży lub rodziny) dla połączonych parafii, z udziałem wszystkich członków Ludu Bożego, duchownych, osób konsekrowanych i wiernych świeckich.
VII.d. Okręg duszpasterski
61. Jeśli więcej „jednostek duszpasterskich” może utworzyć dekanat, w ten sam sposób, zwłaszcza w diecezjach większych terytorialnie, odrębne dekanaty, po wysłuchaniu Rady kapłańskiej[79], mogą być połączone przez biskupa w „rejony” lub „okręgi duszpasterskie”[80] pod kierunkiem wikariusza biskupiego[81]. Działając z upoważnienia i w jedności z biskupem diecezjalnym, sprawuje on w jego imieniu zwyczajną władzę wykonawczą do duszpasterskiego zarządzania okręgiem, a oprócz tego, posiada specjalne uprawnienia, których chciałby mu on udzielić w poszczególnych przypadkach.
VIII. Zwyczajne i nadzwyczajne formy powierzenia pieczy pasterskiej o wspólnotę parafialną
62. Na pierwszym miejscu, proboszcz i pozostali prezbiterzy, w łączności z biskupem, stanowią zasadniczy punkt odniesienia dla wspólnoty parafialnej, z racji na zadanie bycia pasterzami, które jest im przypisane[82]. Proboszcz i prezbiterium, pielęgnując wspólne życie i braterstwo w kapłaństwie, celebrują życie sakramentalne dla wspólnoty i wraz z nią, oraz są powołani do zorganizowania parafii w taki sposób, aby była skutecznym znakiem komunii[83].
63. W związku z obecnością i misją prezbiterów we wspólnocie parafialnej na szczególną uwagę zasługuje życie wspólne[84]; jest ono zalecane przez kan. 280, nawet jeśli nie jest obowiązkiem duchownych diecezjalnych. W związku z tym należy pamiętać o podstawowej wartości ducha komunii, modlitwie i wspólnym podejmowaniu działań duszpasterskich przez duchownych[85], mając na względzie skuteczne świadectwo braterstwa sakramentalnego[86] i bardziej efektywne działanie ewangelizacyjne.
64. Kiedy prezbiterium przeżywa życie wspólnotowe, wzmacnia się tożsamość kapłańska, maleją materialne troski, a pokusa indywidualizmu ustępuje miejsca głębokiej relacji osobistej. Wspólna modlitwa, refleksja i studia, których nigdy nie może zabraknąć w życiu kapłańskim, mogą być wielkim wsparciem w formacji duchowej kapłanów realizowanej w codziennym życiu.
W każdym razie, będzie korzystne, aby zgodnie ze swoim rozeznaniem i w miarę możliwości biskup wziął pod uwagę ludzkie i duchowe więzi między kapłanami, którym zamierza powierzyć parafię lub jednostkę parafialną, zapraszając ich do wielkodusznej dyspozycyjności w nowej misji duszpasterskiej i do jakiejś formy dzielenia życia ze współbraćmi[87].
65. W niektórych przypadkach, szczególnie tam, gdzie nie ma tradycji ani zwyczaju plebanii, lub gdy z jakiegoś powodu nie jest ona dostępna jako miejsce zamieszkania kapłana, może się zdarzyć, że powróci on, by zamieszkać z rodziną pochodzenia, w pierwszym miejscu formacji ludzkiej i odkrywania swojego powołania[88].
Takie zamieszkanie, z jednej strony okazuje się być pozytywnym wkładem w codzienne życie kapłana, gdyż zapewnia mu spokojne i stabilne środowisko domowe, zwłaszcza gdy rodzice są nadal obecni. Z drugiej strony, należy unikać sytuacji, by relacje rodzinne były przeżywane przez kapłana w wewnętrznej zależności i z mniejszą dyspozycyjnością do posługi w pełnym wymiarze, lub jako alternatywa, która zamiast uzupełniać będzie wykluczać relacje z rodziną prezbiterium i wspólnotą wiernych świeckich.
VIII.a Proboszcz
66. Urząd proboszcza pociąga za sobą pełną odpowiedzialność duszpasterską[89], a zatem, aby ktoś został nim ważnie mianowany, trzeba by otrzymał święcenia kapłańskie[90], wykluczając jakąkolwiek możliwość przyznania komuś, kto jest ich pozbawiony, tytułu do bycia proboszczem, albo do wykonywania powiązanych z nim funkcji, nawet w przypadku braku kapłanów. Właśnie ze względu na relację znajomości i bliskości między pasterzem a wspólnotą, urzędu proboszcza nie można powierzyć osobie prawnej[91]. W sposób szczególny – oprócz przepisów przewidzianych w kan. 517, §§ 1-2 – urzędu proboszcza nie można powierzyć grupie osób, złożonej z duchownych i świeckich. W związku z tym należy unikać określeń „przewodnik zespołu”, „przewodnik ekipy” lub tym podobnych, które wydają się wyrażać kolegialny zarząd parafii.
67. W związku z tym, że proboszcz jest „własnym pasterzem zleconej sobie parafii”[92], przysługuje mu ipso iure prawne reprezentowanie parafii[93]. Jest on administratorem odpowiedzialnym za dobra parafialne, które są „dobrami kościelnymi” i dlatego są regulowane odnoszącymi się do nich normami kanonicznymi[94].
68. Jak stwierdza Sobór Watykański II, „proboszczom natomiast niech we własnych parafiach przysługuje taka stałość na stanowisku, jakiej wymaga dobro dusz”[95]. Co do ogólnej zasady wymaga się zatem, aby proboszcz był „mianowany na czas nieokreślony”[96].
Biskup diecezjalny może jednak mianować proboszczów na czas określony, jeżeli zostało to ustalone dekretem Konferencji Episkopatu. Ze względu na potrzebę nawiązania przez proboszcza rzeczywistej i skutecznej więzi z powierzoną mu wspólnotą, będzie stosowne, aby Konferencje Episkopatu nie ustanawiały zbyt krótkiego czasu, poniżej 5 lat, w celu mianowania go na czas określony.
69. W każdym razie proboszczowie, nawet powołani na „czas nieokreślony” lub przed upływem „czasu określonego”, muszą być gotowi do ewentualnego przeniesienia na inną parafię lub na inny urząd, „jeśli wymaga tego dobro dusz albo potrzeba lub pożytek Kościoła”[97]. Należy bowiem przypomnieć, że proboszcz jest w służbie parafii, a nie odwrotnie.
70. Zazwyczaj, tam gdzie to możliwe, proboszcz powinien sprawować opiekę duszpasterską tylko nad jedną parafią, lecz „jednak z powodu braku kapłanów albo na skutek innych okoliczności, można takiemu proboszczowi powierzyć pieczę pasterską o kilka sąsiednich parafii”[98]. Na przykład, do „innych okoliczności” można zaliczyć niewielki obszar lub małą liczbę ludności, a także bliskość między zainteresowanymi parafiami. Jeśli kilka parafii zostanie powierzonych temu samemu proboszczowi, niech biskup diecezjalny uważnie rozważy czy będzie on w stanie, w pełni i faktycznie wypełnić funkcję proboszcza w każdej z nich jako prawdziwy pasterz[99].
71. Po mianowaniu, proboszcz w pełni wykonuje powierzone mu funkcje, ze wszystkimi prawami i obowiązkami, do momentu, gdy zgodnie z prawem traci swój urząd duszpasterski[100]. W celu jego usunięcia lub przeniesienia przed wygaśnięciem mandatu należy przestrzegać odnośnych procedur kanonicznych, które Kościół stosuje do rozeznania tego, co jest stosowne w konkretnym przypadku[101].
72. Gdy wymaga tego dobro wiernych, nawet jeśli nie ma innych przyczyn wygaśnięcia urzędu, proboszcz, który ukończył 75 lat, niech przyjmie zaproszenie, które biskup diecezjalny może do niego skierować, aby zrzekł się parafii[102]. Złożenie rezygnacji, po ukończeniu 75 lat[103], należy uznać za moralny, choć nie kanoniczny obowiązek, co nie powoduje, że proboszcz automatycznie traci swój urząd. Jego utrata następuje dopiero wtedy, gdy biskup diecezjalny powiadomił zainteresowanego proboszcza na piśmie o przyjęciu jego rezygnacji[104]. Z drugiej strony, niech biskup przychylnie rozpatrzy rezygnację złożoną przez proboszcza, nawet jeśli nastąpiła tylko z powodu ukończenia 75 roku życia.
73. W każdym przypadku, aby uniknąć funkcjonalistycznej koncepcji posługi, przed przyjęciem rezygnacji proboszcza, niech biskup diecezjalny roztropnie rozważy wszystkie okoliczności dotyczące samej osoby i miejsca, takie jak na przykład: przyczyny zdrowotne lub dyscyplinarne, niewystarczającą liczbę kapłanów, dobro wspólnoty parafialnej i inne tego typu czynniki, przyjmując rezygnację w sytuacji pojawienia się słusznej i proporcjonalnej przyczyny[105].
74. W przeciwnym razie, jeśli osobiste warunki kapłana pozwalają i skłania ku temu zasadność duszpasterska, niech biskup rozważy pozostawienie go na stanowisku proboszcza, o ile to konieczne wspierając go i przygotowując jego następcę. Ponadto, „w zależności od przypadku biskup może powierzyć mniejszą i mniej wymagającą parafię proboszczowi, który złożył rezygnację”[106], albo może mu wyznaczyć inne zadanie duszpasterskie odpowiednie do jego konkretnych możliwości, prosząc kapłana o zrozumienie, gdyby byłaby taka potrzeba, że w żadnym wypadku nie musi czuć się „zdegradowany” lub „ukarany” z powodu takiego przeniesienia.
VIII.b Administrator parafialny
75. Jeżeli nie można niezwłocznie dokonać nominacji proboszcza, wyznaczenie administratorów parafialnych[107] musi się odbyć wyłącznie zgodnie z przepisami prawa kanonicznego[108].
W rzeczywistości jest to urząd zasadniczo przejściowy i jest sprawowany w oczekiwaniu na mianowanie nowego proboszcza. Z tego powodu jest niezgodne z prawem, aby biskup diecezjalny mianował administratora parafialnego i pozostawił go na tym stanowisku przez okres dłuższy niż rok, a nawet na stałe, unikając mianowania proboszcza.
Zgodnie z tym co potwierdza doświadczenie, takie rozwiązanie stosuje się często w celu obejścia reguł prawnych, które dotyczą zasady stałości proboszcza. W ten sposób zostaje ona naruszona, ze szkodą dla misji danego prezbitera, a także samej wspólnoty, która w warunkach niepewności co do obecności pasterza, nie będzie w stanie opracować dalekosiężnych planów ewangelizacji, będąc zmuszoną, by ograniczyć się do duszpasterstwa zachowawczego.
VIII.c Parafie powierzone wspólnie (in solidum) kilku kapłanom
76. Dodatkową możliwością, tam „gdzie domagają się tego okoliczności, piecza pasterska o parafię lub kilka parafii równocześnie, może być powierzona wspólnie kilku kapłanom”[109]. To rozwiązanie może zostać przyjęte, gdy według uznania biskupa wymagałyby tego konkretne okoliczności, zwłaszcza dla dobra zainteresowanych parafii, poprzez wspólne i bardziej skuteczne działanie duszpasterskie, a także by wspierać duchowość komunii wśród księży[110].
W takich przypadkach zespół prezbiterów, w komunii z innymi członkami zainteresowanych wspólnot parafialnych, działa na drodze razem podejmowanych decyzji, stając się wedle prawa moderatorem w stosunku do innych kapłanów i proboszczów, jako primus inter pares.
77. Stanowczo zaleca się, aby każda wspólnota kapłanów, której zostało powierzone in solidum duszpasterstwo jednej lub kilku parafii, opracowała wewnętrzny regulamin, aby każdy prezbiter mógł lepiej wypełniać zadania i funkcje, które do niego należą[111].
Moderator ponosi odpowiedzialność za koordynowanie wspólnej pracy w parafii lub w parafiach powierzonych zespołowi, przyjmuje na siebie ich prawne reprezentowanie[112], nadzoruje wykonywanie uprawnień do asystowania przy zawieraniu małżeństw i udzielania dyspens, które należą do proboszczów[113] i odpowiada przed biskupem za całe działanie zespołu[114].
VIII.d. Wikariusz parafialny
78. Jako ubogacenie, w ramach przedstawionych powyżej rozwiązań, może mieć miejsce sytuacja, w której jeden z kapłanów zostaje nominowany wikariuszem parafialnym, powierzając mu jakiś określony sektor duszpasterski (młodzież, osoby starsze, chorzy, stowarzyszenia, bractwa, formacja, katecheza, itp.), jako przeznaczony do posług w różnych parafiach, albo w celu całościowego pełnienia posługi lub jakiejś jej części, w jednej z parafii[115].
W przypadku obowiązków zleconych wikariuszowi parafialnemu w kilku parafiach, powierzonych różnym proboszczom, właściwym będzie wyjaśnienie i opisanie w dekrecie nominacji zadań, które ma do wypełnienia w odniesieniu do każdej wspólnoty parafialnej, a także rodzaj relacji, które należy zachować z proboszczami jeśli chodzi o miejsce zamieszkania, utrzymanie i sprawowanie Mszy Świętej.
VIII.e. Diakoni
79. Diakoni są wyświęconymi szafarzami, inkardynowanymi w diecezji lub w innych rzeczywistościach kościelnych, które posiadają taką zdolność[116]; są współpracownikami biskupa i kapłanów w jedynej misji ewangelizacyjnej z konkretnym zadaniem, na mocy otrzymanego sakramentu, aby „służyli Ludowi Bożemu poprzez diakonię liturgii, słowa i miłości”[117].
80. W celu zagwarantowania właściwej tożsamości diakonów, mając na względzie promocję ich posługi, papież Franciszek przestrzega najpierw przed niektórymi zagrożeniami związanymi ze zrozumieniem natury diakonatu: „musimy uważać, aby nie widzieć w diakonach pół-kapłanów, ani pół-świeckich. [...] Nie jest też właściwym obraz diakona, gdy widzi się w nim pewnego rodzaju pośrednika między wiernymi a duszpasterzami. Ani w połowie drogi między księżmi a świeckimi, ani w połowie drogi między duszpasterzami a wiernymi. I są tu dwie pokusy. Istnieje niebezpieczeństwo klerykalizmu: diakona, który jest zbyt sklerykalizowany. [...] Oraz druga pokusa, funkcjonalizmu: diakona jako pomocy, którą kapłan ma do tego lub tamtego”[118].
W dalszym ciągu tego samego przemówienia Ojciec Święty wprowadził kilka uściśleń dotyczących szczególnej roli diakonów we wspólnocie kościelnej: „Diakonat jest powołaniem szczególnym, powołaniem rodzinnym, które wymaga służby. [...] To słowo jest kluczem do zrozumienia waszego charyzmatu. Służba jako jeden z charakterystycznych darów Ludu Bożego. Diakon jest – można powiedzieć – strażnikiem służby w Kościele. Każde słowo musi być dobrze wyważone. Jesteście gwarantami służby w Kościele: służby Słowu, służby ołtarzowi, służby ubogim”[119].
81. Na przestrzeni wieków doktryna o diakonacie przeszła poważną ewolucję. Jej ponowne odkrycie zbiega się również z doktrynalnym doprecyzowaniem i z poszerzeniem posług diakona, co nie ogranicza się do zamknięcia diakonatu jedynie w granicach posługi charytatywnej ani nie rezerwuje jego rozumienia – zgodnie z ustaleniami Soboru Trydenckiego – do diakonów przejściowych, redukując niemal wyłącznie do służby w liturgii. Sobór Watykański II określa, że chodzi tu o stopień sakramentu święceń, i dlatego diakoni „umocnieni [...] łaską sakramentalną, w «diakonii» liturgii, słowa i miłości służą Ludowi Bożemu w łączności z biskupem i jego kapłanami”[120].
Recepcja posoborowa podejmuje myśl Lumen gentium, definiując coraz lepiej urząd diakonów jako uczestnictwo, choć w różnym stopniu, w sakramencie święceń. Podczas audiencji udzielonej uczestnikom Międzynarodowego Kongresu na temat Diakonatu, Paweł VI jeszcze raz potwierdził, że diakon służy wspólnotom chrześcijańskim „zarówno w głoszeniu Słowa Bożego jak i w sprawowaniu sakramentów oraz w uczynkach miłosierdzia”[121]. Z drugiej strony, choć z Dziejów Apostolskich (Dz 6,1-6) wydawałoby się, że siedmiu wybranych mężczyzn zostało przeznaczonych wyłącznie do służby stołu, w rzeczywistości ta sama księga biblijna opowiada o Szczepanie i Filipie w pełni realizujących „diakonię Słowa”. Zatem, jako współpracownicy Dwunastu i Pawła spełniają swoją posługę w dwóch obszarach: ewangelizacji i miłosierdzia.
Dlatego istnieje wiele zadań kościelnych, które można powierzyć diakonowi, czyli wszystkie te, które nie realizują pełnego duszpasterstwa[122]. Kodeks Prawa Kanonicznego określa jednak, które urzędy są zastrzeżone dla prezbitera, a które mogą być powierzone wiernym świeckim, podczas gdy nie pojawia się wzmianka na temat jakiegoś szczególnego urzędu, w którym mogłoby się wyrazić specyfika posługi diakonatu.
82. W każdym razie historia diakonatu przypomina, że został on ustanowiony w kontekście służebnej wizji Kościoła, a zatem jako posługa święceń w służbie Słowa e miłości; ten drugi obszar obejmuje również zarządzanie dobrami. Ta podwójna misja diakona wyraża się potem w przestrzeni liturgicznej, w której jest on powołany do głoszenia Ewangelii i do posługi przy stole eucharystycznym. To właśnie te obszary mogłyby pomóc w określeniu specyficznych zadań diakona, dowartościowując własne aspekty takiego powołania w celu jego promocji.
VIII.f. Osoby konsekrowane
83. Wewnątrz wspólnot parafialnych często spotyka się osoby, które prowadzą życie konsekrowane, „które nie jest przecież formą zewnętrzną lub niezależną od życia Kościoła lokalnego, ale stanowi jedyny w swoim rodzaju, naznaczony ewangelicznym radykalizmem, sposób bogatej w szczególne dary obecności wewnątrz Kościoła”[123]. Ponadto, życie konsekrowane, zintegrowane we wspólnocie wraz z duchownymi i świeckimi „wpisuje się w charyzmatyczny wymiar Kościoła. [...] Duchowość instytutów życia konsekrowanego może stać się tak dla wiernych świeckich, jak też dla prezbiterów, ważnym źródłem treści służących realizacji swojego własnego powołania”[124].
84. Wkład osób konsekrowanych, który mogą wnieść w misję ewangelizacyjną wspólnoty parafialnej, bierze się przede wszystkim z ich „bycia”, to znaczy ze świadectwa radykalnego naśladowania Chrystusa poprzez profesję rad ewangelicznych[125], a jedynie wtórnie z ich „działania”, to znaczy z czynów pełnionych zgodnie z charyzmatem każdego instytutu (na przykład, katecheza, posługa miłości, formacja, duszpasterstwo młodzieży, opieka nad chorymi) [126].
VIII.g. Osoby świeckie
85. Wspólnota parafialna składa się zwłaszcza z wiernych świeckich[127], którzy na mocy chrztu i pozostałych sakramentów inicjacji chrześcijańskiej, a także wielu spośród nich poprzez małżeństwo[128], uczestniczy w ewangelizacyjnym działaniu Kościoła, ponieważ „powołaniem oraz misją wiernych świeckich jest przemienianie różnych rzeczywistości ziemskich, aby wszelka działalność ludzka była przemieniona przez Ewangelię”[129].
W sposób szczególny wierni świeccy, posiadając swój własny i specyficzny charakter świecki, którym „jest szukać Królestwa Bożego zajmując się sprawami świeckimi i kierując nimi po myśli Bożej”[130], „mogą czuć się powołani do współdziałania ze swymi Pasterzami w służbie dla wspólnoty kościelnej, dla jej wzrostu i żywotności, wybierając rozmaite posługi, według łaski i charyzmatów, jakich im Pan raczy użyczyć”[131].
86. Od wszystkich wiernych świeckich wymagane jest dziś wielkoduszne zaangażowanie w służbie misji ewangelizacyjnej, przede wszystkim poprzez ich świadectwo codziennego życia zgodnego z Ewangelią w swoich naturalnych środowiskach i na każdym poziomie odpowiedzialności, a zwłaszcza przy podejmowaniu odpowiadających im zobowiązań w służbie wspólnoty parafialnej[132].
VIII.h. Inne formy powierzenia pieczy duszpasterskiej
87. Istnieje również kolejne rozwiązanie, którym może posłużyć się biskup – jak ukazuje kan. 517 § 2 – aby zapewnić opiekę duszpasterską wspólnocie, nawet jeśli z powodu braku kapłanów byłoby niemożliwe nominowanie proboszcza lub administratora parafialnego do zaangażowania w pełnym wymiarze. W takich problematycznych okolicznościach duszpasterskich, aby wesprzeć życie chrześcijańskie i kontynuować misję ewangelizacyjną wspólnoty, biskup diecezjalny może powierzyć opiekę duszpasterską parafii diakonowi, osobie konsekrowanej lub świeckiej, a nawet jakiemuś zespołowi osób (na przykład instytutowi zakonnemu, stowarzyszeniu)[133].
88. Nad tymi, którym zostanie powierzone uczestnictwo w sprawowaniu opieki duszpasterskiej nad wspólnotą, zostanie ustanowiony prezbiter posiadający uprawnienia jako „moderator duszpasterski”, który koordynuje i prowadzi zespół osób powołanych do tego zadania. Jemu należy się wyłączna władza i funkcje proboszczowskie, mimo że nie sprawuje tego urzędu, wraz z wynikającymi z tego obowiązkami i prawami.
Należy pamiętać, że jest to nadzwyczajna forma powierzenia opieki duszpasterskiej, która wynika z niemożliwości powołania proboszcza lub administratora parafialnego; nie należy mylić jej ze zwyczajną, aktywną współpracą i przyjęciem odpowiedzialności przez wszystkich wiernych.
89. Mając na względzie zastosowanie tego nadzwyczajnego środka, należy zadbać o to, by przyjąć go tylko na niezbędny czas, nie w sposób nieokreślony, a Lud Boży powinien być odpowiednio przygotowany do takiego zadania[134]. Prawidłowe zrozumienie i stosowanie tego rozwiązania wymaga, aby zgodnie z przepisami prawa „odbywało się z należytym poszanowaniem zawartych w nim klauzul, to znaczy: a) «z powodu braku kapłanów», a nie ze względu na wygodę lub niejednoznaczną «promocję świeckich»[...]; b) z zastrzeżeniem, że chodzi o «współudział w sprawowaniu opieki duszpasterskiej», a nie o kierowanie, koordynowanie, moderowanie, czy zarządzanie parafią, co zgodnie z treścią kanonu, należy tylko do kapłana”[135].
90. W celu pomyślnego powierzenia opieki duszpasterskiej zgodnie z kan. 517 § 2[136], należy przestrzegać pewnych kryteriów. Przede wszystkim, z racji że jest to nadzwyczajne i tymczasowe rozwiązanie duszpasterskie[137], jedyną kanoniczną przyczyną, która uzasadnia posłużenie się nim, jest brak kapłanów, tak że nie można zapewnić opieki duszpasterskiej wspólnocie parafialnej poprzez mianowanie proboszcza lub administratora parafialnego. Ponadto, w tej formie zarządzania duszpasterstwem korzystniejsze będzie danie pierwszeństwa diakonowi lub kilku diakonom niż osobom konsekrowanym[138].
91. W każdym wypadku, za koordynację tak zorganizowanej działalności duszpasterskiej odpowiada prezbiter wyznaczony przez biskupa diecezjalnego na moderatora; wyłącznie taki kapłan posiada władzę i uprawnienia właściwe proboszczowi; inni wierni mogą natomiast być dopuszczeni do „współudziału w trosce o pasterzowanie parafii” [139].
92. Zarówno diakon jak i inne osoby, którym nie udzielono sakramentu święceń prezbiteratu, a mające współudział w sprawowaniu opieki duszpasterskiej, mogą pełnić jedynie funkcje odpowiadające ich stanom diakonatu bądź wiernego świeckiego, respektując „właściwości związane z rozróżnieniem i komplementarnością darów i funkcji tak wyświęconych szafarzy jak i wiernych świeckich. Właściwości te przysługują bowiem Kościołowi, który z Bożego ustanowienia ma strukturę organiczną”[140].
93. Wreszcie, w dekrecie nominacji prezbitera na moderatora, zdecydowanie zaleca się, aby biskup przedstawił, przynajmniej krótko, powody, dla których stało się konieczne zastosowanie nadzwyczajnej formy powierzenia duszpasterstwa o jedną lub kilka wspólnot parafialnych, i w związku z tym przedstawił formy sprawowania tej posługi przez kapłana wyznaczonego do tego zadania.
IX. Funkcje i posługi parafialne
94. Oprócz okazjonalnej współpracy, którą każda osoba dobrej woli – nawet nieochrzczona – może zaofiarować w codziennej działalności parafialnej, istnieją pewne stałe zadania, w ramach których wierni na pewien czas przyjmują odpowiedzialność za posługi we wspólnocie parafialnej. Można pomyśleć, na przykład, o katechetach, ministrantach, wychowawcach pracujących w grupach i stowarzyszeniach, pracownikach charytatywnych oraz o tych, którzy poświęcają się w różnego rodzaju poradniach lub centrach wsparcia, bądź którzy odwiedzają chorych.
95. W każdym wypadku, przy wyznaczaniu zadań powierzonych diakonom, osobom konsekrowanym i wiernym świeckim, którzy współuczestniczą w sprawowaniu opieki duszpasterskiej, należy stosować właściwą terminologię odpowiadającą funkcjom, które mogą pełnić zgodnie ze swoim stanem. W ten sposób będzie możliwe zachowanie zasadniczej różnicy między powszechnym kapłaństwem a kapłaństwem służebnym, tak by jasno wynikała z niej tożsamość obowiązków, które każdy otrzymał.
96. W tym sensie, to najpierw na biskupie diecezjalnym spoczywa odpowiedzialność i, w zakresie swoich kompetencji, na proboszczu, aby obowiązki diakonów, osób konsekrowanych i świeckich, którzy pełnią funkcje w parafii, nie były określane za pomocą wyrażeń: „proboszcz”, „współ-proboscz”, „pasterz”, „kapelan”, „moderator”, „koordynator”, „odpowiedzialny za parafię”, albo poprzez inne podobne terminy[141], zastrzeżone w prawie kapłanom[142], jako że mają bezpośredni związek z profilem posługi prezbiterów.
W nawiązaniu do wyżej wymienionych diakonów i wiernych wyrażenia jak „powierzenie duszpasterstwa parafii”, „przewodniczenie wspólnocie parafialnej” i tym podobne, które odnoszą się do specyfiki posługi kapłańskiej należnej proboszczowi, również są nieuzasadnione i niezgodne z ich tożsamością powołaniową.
Bardziej odpowiednim wydaje się być, na przykład, określenie „współpracujący diakon”, a dla osób konsekrowanych i świeckich „koordynator... (jakiegoś sektora duszpasterskiego)”, „współpracownik duszpasterski”, „asystent duszpasterski” oraz „odpowiedzialny za… (jakiś sektor duszpasterski)”.
97. Zgodnie z prawem wierni świeccy mogą być ustanowieni na stałe lektorami i akolitami, poprzez specjalny obrzęd, w myśl kan. 230, § 1. Wierny, który nie został wyświęcony, może przyjąć tytuł „szafarza nadzwyczajnego” tylko wtedy, gdy w rzeczywistości został powołany przez właściwy organ[143] do pełnienia funkcji zastępczych, o których mowa w kann. 230, § 3 i 943. Tymczasowe delegowanie do czynności liturgicznych, o których mowa w kan. 230 § 2, nawet jeśli przedłuża się w czasie, nie nadaje żadnej szczególnej nazwy wiernemu, który nie jest wyświęcony[144].
Świeccy, o których mowa, powinni pozostawać w pełnej komunii z Kościołem katolickim[145], otrzymać odpowiednią formację do wypełnienia funkcji, do której zostali powołani, a także zachowywać się wzorowo w życiu osobistym i duszpasterskim, co czyni ich wiarygodnymi w sprawowaniu posługi.
98. Oprócz funkcji lektorów i akolitów ustanowionych na stałe[146], biskup, w swoim roztropnym osądzie, może oficjalnie powierzyć niektóre zadania[147] diakonom, osobom konsekrowanym oraz wiernym świeckim, pod przewodnictwem i odpowiedzialnością proboszcza, jak na przykład:
1°. Celebracje Liturgii Słowa w niedziele i dni świąteczne nakazane, kiedy „z braku świętego szafarza albo z innej poważnej przyczyny nie można uczestniczyć w Eucharystii”[148]. Chodzi o wyjątkową ewentualność, do której można się uciec jedynie w okolicznościach rzeczywistej niemożliwości i zawsze dbając o powierzenie tych liturgii diakonom, gdyby byli obecni;
2°. Sprawowanie chrztu, uwzględniając, że „zwyczajnym szafarzem chrztu jest biskup, prezbiter i diakon”[149], oraz że przepis kan. 861 § 2 stanowi wyjątek, do oceny według uznania miejscowego ordynariusza;
3°. Celebracje obrzędu pogrzebowego, zgodnie z postanowieniami nr. 19 Praenotanda dell’Ordo exsequiarum.
99. Wierni świeccy mogą przepowiadać w kościele lub kaplicy, jeżeli wymagają tego okoliczności, konieczność lub szczególny przypadek, „zgodnie z przepisami wydanymi przez Konferencję Episkopatu”[150] i „w sposób zgodny z prawem lub z przepisami liturgicznymi oraz przy zachowaniu klauzul w nich zawartych”[151]. Jednak w żadnym wypadku nie będą mogli wygłaszać homilii podczas celebracji Eucharystii[152].
100. Ponadto, tam „gdzie nie ma kapłanów i diakonów, biskup diecezjalny, uzyskawszy – po wcześniejszej pozytywnej opinii Konferencji Episkopatu – zezwolenie Stolicy Apostolskiej, może delegować świeckich do asystowania przy zawieraniu małżeństw”[153].
X. Instytucje o współodpowiedzialności kościelnej
X.a. Parafialna rada do spraw ekonomicznych
101. Zarządzanie dobrami, którymi każda parafia rozporządza w różnym stopniu, jest ważnym obszarem ewangelizacji i ewangelicznego świadectwa wobec Kościoła i społeczeństwa, ponieważ – jak przypomniał papież Franciszek – „wszystkie dobra, które mamy, Pan daje nam, aby świat mógł postępować naprzód, aby rozwijała się ludzkość, aby pomagać innym”[154]. Dlatego proboszcz nie może i nie powinien sam spełniać tego zadania[155], ale konieczne jest, aby współpracownicy pomagali mu zarządzać dobrami Kościoła przede wszystkim z ewangelizacyjnym zapałem i w duchu misyjnym[156].
102. Z tego powodu, w każdej parafii należy koniecznie utworzyć Radę do spraw ekonomicznych, organ doradczy, któremu przewodniczy proboszcz, składający się z co najmniej trzech innych wiernych[157]; minimalna liczba trzech osób jest niezbędna, aby tę Radę można było uznać za „kolegialną”; należy pamiętać, że proboszcz nie jest zaliczany do członków Rady do spraw ekonomicznych, ale jej przewodniczy.
103. W przypadku braku szczegółowych przepisów podanych przez biskupa diecezjalnego, proboszcz określi liczbę członków Rady, w zależności od wielkości parafii, oraz zadecyduje czy powinni oni być mianowani przez niego, czy raczej wybierani przez wspólnotę parafialną.
Członkowie tej Rady, niekoniecznie należący do samej parafii, muszą cieszyć się wypróbowaną, dobrą opinią, a także być ekspertami w kwestiach ekonomicznych i prawnych[158], tak że mogliby spełniać skuteczną i kompetentną posługę, aby Rada nie była ustanowiona jedynie formalnie.
104. W końcu, o ile biskup diecezjalny nie postanowi inaczej, z należytą roztropnością, a także przestrzegając wszelkich norm prawa cywilnego, nic nie stoi na przeszkodzie, aby ta sama osoba była członkiem Rady do spraw ekonomicznych kilku parafii, jeżeli wymagałyby tego okoliczności.
105. Przepisy, które biskup diecezjalny może wydać w tej kwestii, muszą uwzględniać specyficzne sytuacje parafii, jak na przykład tych o strukturach szczególnie niewielkich lub stanowiących część jednostki duszpasterskiej[159].
106. Rada do spraw ekonomicznych może odegrać szczególną rolę w podnoszeniu kultury współodpowiedzialności, w przejrzystości w zarządzaniu i w zaspokajaniu potrzeb Kościoła we wspólnotach parafialnych. W sposób szczególny, transparentność należy rozumieć nie tylko jako formalne przedstawianie danych ekonomicznych, ale raczej jako należną wspólnocie informację oraz cenną okazję dla jej formacyjnego zaangażowania. Jest to niezbędny modus agendi dla wiarygodności Kościoła, szczególnie tam, gdzie jest on w posiadaniu znaczących dóbr, którymi trzeba zarządzać.
107. Zwykle, zapewnienie przejrzystości ekonomicznej można osiągnąć poprzez opublikowanie rocznego sprawozdania, które najpierw należy przedłożyć ordynariuszowi miejsca[160], ze szczegółowym wskazaniem dochodów i wydatków. W ten sposób, dobra należą do parafii a nie do proboszcza. Choć jest on ich zarządcą, cała wspólnota będzie miała świadomość tego jak zarządzano majątkiem, jaka jest sytuacja ekonomiczna parafii i jakimi zasobami mogłaby ona realnie rozporządzać.
X.b. Parafialna rada duszpasterska
108. Obowiązujące ustawodawstwo kanoniczne[161] pozostawia biskupowi diecezjalnemu ocenę dotyczącą erygowania w parafiach Parafialnej rady duszpasterskiej, co jednak można zwykle uznać za szczególnie zalecane, jak przypomniał nam papież Franciszek: „Jakże konieczne są rady duszpasterskie! Biskup nie może prowadzić diecezji bez rad duszpasterskich. Proboszcz nie może prowadzić parafii bez rady duszpasterskiej”[162].
Elastyczność tego przepisu pozwala jednak na adaptacje uznane za właściwe w konkretnych okolicznościach, jak na przykład, gdy kilka parafii jest powierzonych jednemu proboszczowi, lub w sytuacji jednostek duszpasterskich: w takich przypadkach można ustanowić jedną Radę duszpasterską dla kilku parafii.
109. Teologiczny sens Rady duszpasterskiej wpisany jest w konstytutywną rzeczywistość Kościoła, co znaczy, że jest on „Ciałem Chrystusa”, które rodzi „duchowość komunii”. We wspólnocie chrześcijańskiej, bowiem, różnorodność charyzmatów i posług, które wynikają z włączenia w Chrystusa i z daru Ducha Świętego, nigdy nie może zostać poddana uniformizacji, by stać się „jednolitością, obowiązkiem czynienia wszystkiego razem i wszystkiego w ten sam sposób, myśląc wszyscy zawsze tak samo”[163]. Przeciwnie, na mocy kapłaństwa chrzcielnego[164] każdy wierny zostaje ustanowiony dla budowania całego Ciała, a jednocześnie cały Lud Boży, we wzajemnej współodpowiedzialności swoich członków, uczestniczy w misji Kościoła, to znaczy, rozeznaje w historii znaki obecności Boga i staje się świadkiem Jego Królestwa[165].
110. Rada duszpasterska, daleka od bycia zwykłym organizmem biurokratycznym, uwydatnia zatem i urzeczywistnia sobą fundamentalne znaczenie Ludu Bożego jako podmiotu oraz aktywnego i ważnego uczestnika misji ewangelizacyjnej, ponieważ każdy wierny otrzymał dary Ducha Świętego poprzez chrzest i bierzmowanie: „Odrodzenie się do życia Bożego w chrzcie jest pierwszym krokiem; należy następnie postępować jak dzieci Boże, a więc upodabniać się do Chrystusa, który działa w Kościele świętym, włączając się w Jego misję w świecie. To zapewnia namaszczenie Duchem Świętym: «bez Twojego tchnienia nie ma nic w człowieku» (por. Sekwencja uroczystości Zesłania Ducha Świętego). [...] Tak jak całe życie Jezusa było ożywiane przez Ducha, podobnie życiem Kościoła i każdego jego członka kieruje Duch”[166].
W świetle tej podstawowej wizji możemy przypomnieć słowa Pawła VI, zgodnie z którymi „zadaniem Rady duszpasterskiej jest studiowanie, badanie wszystkiego co dotyczy działalności duszpasterskiej, a zatem proponowanie praktycznych wniosków w celu promowania zgodności życia i działania Ludu Bożego z Ewangelią”[167], mając świadomość, jak przypomniał papież Franciszek, że celem tej Rady „nie będzie w pierwszym rzędzie organizacja kościelna, lecz realizacja misyjnego marzenia o dotarciu do wszystkich”[168].
111. Rada duszpasterska jest organem doradczym, który kieruje się normami ustanowionymi przez biskupa diecezjalnego, w celu określenia kryteriów jego składu, metod wyboru członków, celów i sposobu działania[169]. W każdym razie, aby nie wypaczyć natury tej Rady, dobrze jest unikać definiowania jej jako „zespołu” lub „ekipy”, to znaczy w kategoriach, które nie nadają się do prawidłowego określenia eklezjalnej i kanonicznej relacji między proboszczem a innymi wiernymi.
112. Zgodnie z odpowiednimi normami diecezjalnymi jest konieczne, aby Rada duszpasterska faktycznie reprezentowała wspólnotę, której wyrazem są wszyscy jej członkowie (kapłani, diakoni, osoby konsekrowane i świeccy). Stanowi ona szczególną przestrzeń, w której wierni mogą korzystać z przysługującego im prawa-obowiązku do wyrażania swojego zdania duszpasterzom, a także do podawania go do wiadomości innym wiernym w sprawach dotyczących dobra wspólnoty parafialnej[170].
Główną funkcją Parafialnej rady duszpasterskiej jest zatem poszukiwanie i analizowanie praktycznych propozycji w odniesieniu do inicjatyw duszpasterskich i charytatywnych dotyczących parafii, zgodnie z programem diecezji.
113. Parafialna rada duszpasterska „posiada jedynie głos doradczy”[171], w tym sensie, że jej propozycje muszą zostać zaaprobowane przez proboszcza, by mogły wejść w życie. Proboszcz powinien następnie poważnie rozważyć wskazania Rady duszpasterskiej, zwłaszcza jeśli zostaną one wyrażone jednomyślnie, na drodze wspólnego rozeznania.
Aby posługa Rady duszpasterskiej była skuteczna i owocna, należy unikać dwóch skrajności: z jednej strony, proboszcza, który ogranicza się jedynie do przedkładania Radzie duszpasterskiej decyzji już podjętych lub bez należytego przekazania uprzedniej informacji, albo gdy zwołuje ją rzadko i jedynie pro forma; z drugiej strony, Rady, w której proboszcz jest tylko jednym z jej członków, de facto pozbawionym roli pasterza i przewodnika wspólnoty[172].
114. W końcu uważa się za właściwe, aby w miarę możliwości Rada duszpasterska składała się głównie z tych, którzy ponoszą rzeczywistą odpowiedzialność za życie duszpasterskie parafii, lub którzy są w niej konkretnie zaangażowani, aby zapobiec by spotkania przekształciły się w wymianę abstrakcyjnych idei, które nie uwzględniają prawdziwego życia wspólnoty, z jej bogactwem i problemami.
X.c. Inne formy współodpowiedzialności duszpasterskiej
115. Jeśli wspólnota wiernych nie może być erygowana jako zwyczajna parafia lub parafia tymczasowa[173], biskup diecezjalny, po wysłuchaniu Rady kapłańskiej[174], powinien zapewnić jej w inny sposób opiekę duszpasterską[175], biorąc pod uwagę na przykład możliwość ustanowienia ośrodków duszpasterskich, zależnych od miejscowego proboszcza, jako „stacji misyjnych” w celu promowania ewangelizacji i dzieł miłosierdzia. W tych przypadkach konieczne jest wyposażenie takiego ośrodka duszpasterskiego w odpowiedni kościół lub kaplicę[176] i stworzenie prawodawstwa diecezjalnego regulującego jego działania tak, aby były one skoordynowane i komplementarne do działań parafii.
116. Tak zdefiniowane ośrodki, nazywane w niektórych diecezjach „diakoniami”, będą mogły być powierzone – tam gdzie to możliwe – wikariuszowi parafialnemu, a nawet, w sposób szczególny, jednemu lub większej liczbie diakonów stałych, którzy byliby za nie odpowiedzialni i nimi zarządzali, ewentualnie wraz z ich rodzinami, pod nadzorem proboszcza.
117. Ośrodki te mogłyby stać się placówkami misyjnymi i narzędziami bliskości, szczególnie w parafiach o bardzo dużym terytorium, aby zapewnić chwile modlitwy i adoracji eucharystycznej, katechezy i inne działania na rzecz wiernych, zwłaszcza te mające na celu świadczenie miłosierdzia wobec ubogich i potrzebujących oraz opiekę nad chorymi, zachęcając do współpracy osoby konsekrowane i świeckie, a także wszystkich ludzi dobrej woli.
Odpowiedzialni za ośrodek duszpasterski powinni troszczyć się o zapewnienie poprzez posługę proboszcza i innych prezbiterów wspólnoty sprawowanie sakramentów, szczególnie Eucharystii i Sakramentu pojednania, tak często, jak to możliwe.
XI. ofiary składane za udzielanie sakramentów
118. Tematem związanym z życiem parafii i ich misją ewangelizacyjną jest ofiara złożona za celebrację Mszy Świętej przeznaczonej dla celebrującego kapłana, i przy okazji innych sakramentów, która należy natomiast do parafii[177]. Chodzi o ofiarę, która ze swej natury musi być działaniem dobrowolnym ze strony ofiarodawcy i której wysokość pozostawiona jest jego sumieniu i poczuciu odpowiedzialności kościelnej, a nie „ceną do zapłaty” lub „wymaganą taryfą”, jakby to był rodzaj „podatku sakramentalnego”. Istotnie poprzez składaną ofiarę za sprawowaną Mszę świętą „wierni [...] przyczyniają się do dobra Kościoła oraz uczestniczą [...] w jego trosce o utrzymanie szafarzy i dzieł”[178].
119. W tym sensie ważne jest działanie uświadamiające wiernych, aby chętnie przyczyniali się do zaradzania potrzebom parafii, które są „ich sprawą” i by nauczyli się o nie spontanicznie troszczyć, szczególnie w krajach, w których ofiara za celebrowaną Mszę Świętą jest nadal jedynym źródłem utrzymania dla kapłanów, a także jednym ze środków materialnych niezbędnych do ewangelizacji.
120. Wspomniane uświadamianie wiernych może przebiegać tym skuteczniej, im bardziej prezbiterzy ze swojej strony zaoferują „wzorcowe” przykłady wykorzystania pieniędzy, zarówno poprzez oszczędny styl życia, bez osobistych nadużyć, jak również poprzez przejrzyste i odpowiednie zarządzanie majątkiem parafialnym, opierające się nie na „planach” proboszcza lub małej grupy ludzi, być może dobrych, choć abstrakcyjnych, lecz mające na uwadze rzeczywiste potrzeby wiernych, zwłaszcza najbiedniejszych i najbardziej potrzebujących.
121. W każdym razie, „od ofiar mszalnych należy bezwzględnie usuwać wszelkie pozory transakcji lub handlu”[179], biorąc to pod uwagę, że „usilnie zaleca się kapłanom, ażeby także nie otrzymawszy ofiary odprawiali Mszę świętą w intencji wiernych, zwłaszcza ubogich”[180].
Wśród środków, które mogą pozwolić na osiągnięcie tego celu, może być anonimowa zbiórka ofiar, tak, aby każdy poczuł się wolny w ofiarowaniu tego, co może lub co uważa za słuszne, bez obowiązku poczuwania się, by odpowiedzieć na jakieś oczekiwanie lub określoną opłatę.
Zakończenie
122. Odwołując się do eklezjologii Soboru Watykańskiego II, do najnowszego Magisterium Kościoła i biorąc pod uwagę głębokie zmiany społeczne i kulturowe, niniejsza Instrukcja pragnie skupić się na temacie odnowy parafii w sensie misyjnym.
Mając na uwadze, że parafia pozostaje zasadniczą instytucją do spotkania i żywej relacji z Chrystusem oraz z braćmi i siostrami w wierze, należy zauważyć, że musi ona nieustannie mierzyć się ze zmianami dokonującymi się w dzisiejszej kulturze i życiu ludzi, tak, aby móc odkrywać z kreatywnością nowe drogi i narzędzia, które pozwalają jej sprostać najważniejszemu zadaniu, jakim jest bycie centrum promowania ewangelizacji.
123. W związku z tym duszpasterstwo musi wykraczać poza granice terytorialne parafii, aby wspólnota kościelna była bardziej widoczna poprzez synergię między różnymi posługami i charyzmatami, i niemniej, ukształtowała się jako „duszpasterstwo całościowe” w służbie diecezji i jej misji.
Chodzi o działanie duszpasterskie, które poprzez skuteczną i żywotną współpracę między prezbiterami, diakonami, osobami konsekrowanymi i świeckimi, a także między różnymi wspólnotami parafialnymi z tego samego obszaru lub regionu, miałoby na celu wspólne zidentyfikowanie pytań, trudności i wyzwań dotyczących ewangelizacji, starając się zintegrować sposoby, narzędzia, propozycje i odpowiednie środki, aby się z nimi zmierzyć. Taki wspólny projekt misyjny mógłby zostać opracowany i wdrożony w odniesieniu do bliskich sobie środowisk terytorialnych i społecznych, to znaczy w sąsiadujących z sobą wspólnotach lub prezentujących te same warunki społeczno-kulturowe lub na obszarach duszpasterskich w których, na przykład jest konieczna koordynacja między duszpasterstwem młodzieżowym, akademickim i powołaniowym, jak to już dzieje się w niektórych diecezjach.
Dlatego duszpasterstwo całościowe, oprócz odpowiedzialnej koordynacji działań duszpasterskich i struktur zdolnych do wzajemnej współpracy między sobą, wymaga zaangażowania wszystkich ochrzczonych. Papież Franciszek zauważa, że „kiedy mówimy o „ludzie”, nie należy przez to rozumieć struktur społeczeństwa i Kościoła, ale raczej ogół osób, które nie podążają jako jednostki, lecz jako tkanka wspólnoty wszystkich i dla wszystkich”[181].
Wymaga to, aby parafia jako historyczna instytucja nie pozostała więźniem bezruchu lub niepokojącej powtarzalności duszpasterskiej, lecz by realizowała ten „dynamizm wychodzenia”, który poprzez współpracę różnych wspólnot parafialnych i wzmocnioną komunię duchowieństwa i świeckich, uczyniłby ją skutecznie ukierunkowaną na misję ewangelizacyjną. Stanowi to zadanie całego Ludu Bożego, pielgrzymującego przez historię jako „rodzina Boża”, która w synergii różnych członków, działałaby na rzecz wzrostu całego Ciała eklezjalnego.
Dlatego dokument ten, oprócz podkreślenia pilnej potrzeby takiej odnowy, przedstawia przepisy kanoniczne, które określają możliwości, ograniczenia, prawa i obowiązki duszpasterzy i świeckich, tak aby sama parafia prezentowała się jako podstawowe miejsce ewangelicznego przepowiadania, celebracji Eucharystii, przestrzeń braterstwa i miłości, z której promieniuje chrześcijańskie świadectwo dla świata. Ona „musi pozostać jako miejsce kreatywności, odniesienia, macierzyństwa. Tam należy realizować wszelką zdolność kreatywności; a kiedy parafia rozwija się w ten sposób, to dokonuje się to, co nazywam „parafia wychodząca”[182].
124. Papież Franciszek zaprasza do modlitwy do „Maryi, Matki ewangelizacji”, aby „pomogła nam w wypowiedzeniu naszego „tak” wobec pilnej potrzeby, by Dobra Nowina Jezusa rozbrzmiewała w naszych czasach. Aby wyjednała nam nowy zapał, aby wszystkim zanieść Ewangelię życia, która zwycięża śmierć. Aby wstawiała się za nami, byśmy mogli zyskać świętą śmiałość poszukiwania nowych dróg, aby do wszystkich dotarł dar zbawienia[183].
27 czerwca 2020, Ojciec Święty zatwierdził Dokument Kongregacji ds. Duchowieństwa
Rzym, 29 czerwca 2020, Uroczystość Świętych Apostołów Piotra i Pawła.
✠ Beniamino Kard. Stella
Prefekt
✠ Joël Mercier
Sekretarz
|
✠ Jorge Carlos Patrón Wong
Sekretarz ds. Seminariów
|
Ks. Prał. Andrea Ripa
Podsekretarz
__________________________
[1] Franciszek, Przemówienie do proboszczów Rzymu (16 września 2013).
[2] Por. tenże, Adhortacja apostolska Evangelii gaudium (24 listopada 2013), 287: AAS 105 (2013), 1136.
[3] Tamże, 49: AAS 105 (2013), 1040.
[4] Sobór watykański II, Konstytucja duszpasterska o Kościele w świecie współczesnym Gaudium et spes (7 grudnia 1965), 58: AAS 58 (1966), 1079.
[5] Tamże, 44: AAS 58 (1966), 1065.
[6] Por. Efrem Syryjczyk, Komentarze do Diatessaronu 1, 18-19: SC 121, 52-53.
[7] Por. Franciszek, Encyklika Laudato sì (24 maja 2015), 68: AAS 107 (2015), 847.
[8] Por. Paweł VI, List apostolski Ecclesiam Suam (6 sierpnia 1964): AAS 56 (1964), 639.
[9] Evangelii gaudium, 27: AAS 105 (2013), 1031.
[10] Por. Jan Paweł II, Adhortacja apostolska posynodalna Christifideles laici (30 grudnia1988), 26: AAS 81 (1989), 438.
[11] Franciszek, Audiencja generalna (12 czerwca 2019): L’Osservatore Romano 134 (13 czerwca 2019), 1.
[12] Sobór Watykański II, Dekret o pasterskich zadaniach biskupów w Kościele Christus Dominus (28 października 1965), 30: AAS 58 (1966), 688.
[13] Jan Paweł II, Przemówienie do uczestników posiedzenia plenarnego Kongregacji ds. Duchowieństwa (20 października 1984), 3 i 4: Insegnamenti VII/2 (1984), 984 i 985; por. także tenże, Adhortacja apostolska Catechesi tradendae (16 pażdziernika 1979), 67: AAS 71 (1979), 1332.
[14] Benedykt XVI, Homilia podczas wizyty pasterskiej w rzymskiej parafii Świętej Maryi Patronki Ewangelizacji (10 grudnia 2006): Insegnamenti II/2 (2006), 795.
[15] Evangelii gaudium, 28: AAS 105 (2013), 1032.
[16] Por. Gaudium et spes, 4: AAS 58 (1966), 1027.
[17] Tamże, 1: AAS 58 (1966), 1025-1026.
[18] Por. Evangelii gaudium, 72-73: AAS 105 (2013), 1050-1051.
[19] Por. Synod biskupów, XV Zgromadzenie ogólne zwyczajne (3-28 października 2018): „Młodzi, wiara i rozeznanie powołaniowe”. Dokument końcowy, 129: „W tym kontekście wizja działań parafialnych zamknięta w samych tylko granicach terytorialnych, niezdolna do przyciągnięcia różnorodnymi propozycjami wiernych, a zwłaszcza młodych, doprowadziłaby parafię do niedopuszczalnej stagnacji i niepokojącego braku innowacyjności duszpasterskiej”: L’Osservatore Romano 247 (29-30 października 2018), 10.
[20] Por., na przykład, KPK, kann. 102; 1015-1016; 1108, § 1.
[21] Por. Christifideles laici, 25: AAS 81 (1989), 436-437.
[22] Por. Evangelii gaudium, 174: AAS 105 (2013), 1093.
[23] Por. tamże, 164-165: AAS 105 (2013), 1088-1089.
[24] Sobór Watykański II, Konstytucja dogmatyczna o Kościele Lumen gentium (21 litopada 1964), 11: AAS 57 (1965), 15.
[25] Por. Evangelii gaudium, 166-167: AAS 105 (2013), 1089-1090.
[26] Franciszek, Adhortacja apostolska o powołaniu do świętości w świecie współczesnym Gaudete et exsultate (19 marca 2018), 35: AAS 110 (2018), 1120. Odnośnie gnostycyzmu i pelagianizmu, powinno się jeszcze mieć na uwadze słowa Papieża Franciszka: „Światowość ta może się umacniać na dwa powiązane ze sobą sposoby. Jednym z nich jest fascynacja gnostycyzmem, wiarą zamkniętą w subiektywizmie, gdzie interesuje jedynie określone doświadczenie albo seria rozumowań i wiedzy, uważanych za przynoszące otuchę i oświecenie, ale gdzie podmiot ostatecznie zostaje zamknięty w immanencji swojego własnego rozumu lub swoich uczuć. Drugim jest zwracający się ku sobie i prometejski neopelagianizm tych, którzy w ostateczności liczą tylko na własne siły i stawiają siebie wyżej od innych, ponieważ zachowują określone normy, albo ponieważ są niewzruszenie wierni wobec pewnego katolickiego stylu z przeszłości”: Evangelii gaudium, 94: AAS 105 (2013), 1059-1060; por. także Kongregacja doktryny wiary, List Placuit Deo (22 lutego 2018): AAS 110 (2018), 429.
[27] Por. List do Diogeneta V, 1-10: Patres Apostolici, wyd. F.X. Funk, t. 1, Tubingae 1901, 398.
[28] Por. Jan Paweł II, List apostolski Novo millennio ineunte (6 stycznia 2001), 1: AAS 93 (2001), 266.
[29] Evangelii gaudium, 28: AAS 105 (2013), 1032.
[30] Por. KPK, kann. 515; 518; 519.
[31] Evangelii gaudium, 28: AAS 105 (2013), 1031-1032.
[32] Tamże.
[33] Por. Franciszek, Adhortacja apostolska posynodalna Christus vivit (25 marzo 2019), 238, Watykan 2019.
[34] Por. tenże, Bulla Misericordiae vultus (11 kwietnia 2015), 3: AAS 107 (2015), 400-401.
[35] Benedykt XVI, Przemówienie do biskupów brazylijskich (11 maja 2007), 3: Insegnamenti III/1 (2007), 826.
[36] Evangelii gaudium, 198: AAS 105 (2013), 1103.
[37] Por. Franciszek, Rozważanie w czasie codziennej Mszy świętej w Domu świętej Marty (30 października 2017).
[38] Por. Evangelii gaudium, 186-216: AAS 105 (2013), 1098-1109.
[39] Por. Gaudete et exsultate, 95-99: AAS 110 (2018), 1137-1138.
[40] Por. Evangelii gaudium, 27: AAS 105 (2013), 1031; tamże, 189: AAS 105 (2013), 1099: „Zmiana w strukturach nieprowadząca do nowych przekonań i postaw sprawi, że te same struktury wcześniej czy później staną się skorumpowane, ociężałe i nieskuteczne”.
[41] Tamże, 26: AAS 105 (2013), 1030-1031.
[42] Christus Dominus, 30: AAS 58 (1966), 688.
[43] Franciszek, Prezentacja życzeń z racji świąt Bożego Narodzenia dla Kurii Rzymskiej (22 grudnia 2016): AAS 109 (2017), 44.
[44]Tenże, List do pielgrzymującego Ludu Bożego w Chile (31 maja 2018): www.vatican.va/content/francesco/es/letters/2018/documents/papa-francesco_20180531_lettera-popolodidio-cile.html
[45] Por. tamże.
[46] Tamże.
[47] Lumen gentium, 9: AAS 57 (1965), 13.
[48] Por. Kongregacja ds. duchowieństwa, Dar powołania do kapłaństwa. Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis (8 grudnia 2016), 80-88, Watykan 2016, ss. 37-42.
[49] Por. KPK, kan. 374, § 1.
[50] Por. tamże, kan. 374, § 2; por. Kongregacja ds. Biskupów, Dyrektorium o pasterskiej posłudze Biskupów Apostolorum successores (22 lutego 2004), 217: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2110.
[51] Por. KPK, kan. 374, § 1.
[52] Por. tamże, kan. 374, § 2.
[53] Por. Apostolorum successores, 218: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2114.
[54] Por. KPK, kan. 515, § 2.
[55] Por. tamże, kan. 86.
[56] Por. tamże, kan. 120, § 1.
[57] Por. tamże, kann. 121-122; Apostolorum successores, 214: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2099.
[58] Por. KPK, kan. 51.
[59] Por. tamże, kann. 120-123.
[60] Por. tamże, kann. 500, § 2 i 1222, § 2.
[61] Por. Papieska Rada ds. Kultury, Wytyczne dotyczące ponownego wykorzystania kościołów po zakończeniu ich właściwego przeznaczenia. (17 grudnia 2018): http://www.cultura.va/content/cultura/it/pub/documenti/decommissioning.html
[62] Por. KPK, kan. 1222, § 2.
[63] Tamże, kan. 374, § 2.
[64] Por. Apostolorum succesores, 217: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2110.
[65] Por. KPK, kan. 554, § 1.
[66] Tamże, kan. 555, § 1, 1°.
[67] Tamże, kan. 555, § 4.
[68] Por. tamże, kan. 500, § 2.
[69] Por. Papieska Rada ds. Duszpasterstwa Migrantów i Podróżujących, Erga migrantes charitas Christi (3 maja 2004), 95: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2548.
[70] Por. Apostolorum successores, 215, b): Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2104.
[71] Por. tamże.
[72] Por. KPK, kan. 517, § 1.
[73] Por. tamże, kan. 526, § 1.
[74] Por. tamże.
[75] Por. tamże, kan. 522.
[76] Por. tamże, kann. 553-555.
[77] Por. tamże, kan. 536.
[78] Por. tamże, kan. 537.
[79] Por. tamże, kan. 500, § 2.
[80] Por. Apostolorum successores, 219: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2017; jest stosowne by zarezerwować nazwę „okręg duszpasterski” tylko do tego rodzaju łączenia parafii, w tym celu by nie powodować zamieszania.
[81] Por. KPK, kann. 134, § 1 i 476.
[82] Należy uwzględnić, że a) to co odnosi się do „biskupa diecezjalnego”, obowiązuje również innych zrównanych mu przez prawo; b) to co odnosi się do parafii i do proboszcza dotyczy również quasi-parafii i quasi-proboszcza; c) to co odnosi się do świeckich wiernych, dotyczy także członków instytutów życia konsekrowanego lub stowarzyszeń życia apostolskiego, którzy nie są duchownymi, chyba że istnieje wyraźne odniesienie do specyfiki świeckich; d) termin „moderator” przybiera różne znaczenia w zależności od kontekstu, w jakim jest używany w tej Instrukcji w odniesieniu do norm kodeksowych.
[83] Por. Lumen gentium, 26: ASS 57 (1965), 31-32.
[84] Por. Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis, 83; 88.e, ss. 37; 39.
[85] Por. KPK, kan. 275, § 1.
[86] Por. Sobór Watykański II, Dekret o posłudze i życiu kapłanów Presbyterorum ordinis (7 grudnia 1965), 8: AAS 58 (1966), 1003.
[87] Por. Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis, 88.e, ss. 39-40.
[88] Por. Franciszek, Przemówienie do uczestników Sympozjum zorganizowanego przez Kongregację ds. Duchowieństwa z okazji 50° rocznicy Dekretów soborowych „Optatam totius” i „Presbyterorum ordinis” (20 listopada 2015): AAS 107 (2015), 1295.
[89] Por. KPK, kan. 150.
[90] Por. tamże, kan. 521, § 1.
[91] Por. tamże, kan. 520, § 1.
[92] Tamże, kan. 519.
[93] Por. tamże, kan. 532.
[94] Por. tamże, kan. 1257, § 1.
[95] Christus Dominus, 31: AAS 58 (1965), 689.
[96] KPK, kan. 522.
[97] Tamże, kan. 1748.
[98] Tamże, kan. 526, § 1.
[99] Por. tamże, kan. 152.
[100] Por. tamże, kan. 538, §§ 1-2.
[101] Por. tamże, kann. 1740-1752, uwzględniając kann. 190-195.
[102] Por. tamże, kan. 538, § 3.
[103] Por. tamże.
[104] Por. tamże, kan. 189.
[105] Por. tamże, kan. 189, § 2 i Apostolorum successores, 212: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2095.
[106] Apostolorum successores, 212: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2095.
[107] Por. KPK, kann. 539-540.
[108] Por. w sczególności tamże, kann. 539, 549, 1747, § 3.
[109] Tamże, kan. 517, § 1; por. także kann. 542-544.
[110] Por. tamże, kann. 517, § 1 i 526, § 1.
[111] Por. tamże, kan. 543, § 1.
[112] Por. tamże, kan. 543, § 2, 3°; przyjmuje na siebie również reprezentowanie w prawie cywilnym, w krajach w których parafia jest uznana przez państwo jako osoba prawna.
[113] Por. tamże, kan. 543, § 1.
[114] Por. tamże, kan. 517, § 1.
[115] Por. tamże, kan. 545, § 2; jako przykład niech posłuży kapłan z doświadczeniem duchowym, ale słabym zdrowiem, mianowany zwyczajnym spowiednikiem dla pięciu sąsiadujących terytorialnie parafii.
[116] Por. tamże, kan. 265.
[117] Tamże, kan. 1009, § 3.
[118] Franciszek, Przemówienie podczas spotkania z kapłanami i osobami konsekrowanymi, Mediolan (25 marca 2017): AAS 109 (2017), 376.
[119] Tamże, 376-377.
[120] Lumen gentium, 29: AAS 57 (1965), 36.
[121] Paweł VI, Przemówienie w czasie audiencji udzielonej uczestnikom Międzynarodowego Kongresu na temat diakonatu, 25 października 1965: Enchiridion sul Diaconato (2009), 147-148.
[122] Por. KPK, kan. 150.
[123] Kongregacja Nauki Wiary, List Iuvenescit Ecclesia do biskupów Kościoła katolickiego na temat relacji między darami hierarchicznymi a charyzmatycznymi dla życia i misji Kościoła (15 maja 2016), 21: Enchiridion Vaticanum 32 (2016), 734.
[124] Tamże, 22: Enchiridion Vaticanum 32 (2016), 738.
[125] Por. KPK., kan. 573, § 1.
[126] Por. Kongregacja ds. Instytutów Życia Konsekrowanego i Stowarzyszeń Życia Apostolskiego-Kongregacja ds. Biskupów, Mutuae relationes. Podstawowe kryteria na temat relacji między biskupami a zakonnikami w Kościele (14 maja 1978), 10; 14, a): Enchiridion Vaticanum 6 (1977-1979), 604-605; 617-620; por. także Apostolorum successores, 98: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 1803-1804.
[127] Por. Evangelii gaudium, 102: AAS 105 (2013), 1062-1063.
[128] Por. Christifideles laici, 23: AAS 81 (1989), 429.
[129] Evangelii gaudium, 201: AAS 105 (2013), 1104.
[130] Lumen gentium, 31: AAS 57 (1965), 37.
[131] Paweł VI, Adhortacja apostolska Evangelii nuntiandi (8 grudnia 1975), 73: AAS 68 (1976), 61.
[132] Por. Evangelii gaudium, 81: AAS 105 (2013), 1053-1054.
[133] Por. KPK. kan. 517, § 2.
[134] Por. Apostolorum successores, 215, c): Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2105.
[135] Kongregacja ds. duchowieństwa, Instrukcja [interdykasterialna] o niektórych kwestiach dotyczących współpracy wiernych świeckich w ministerialnej posłudze kapłanów Ecclesiae de mysterio (15 sierpnia 1997), art. 4, § 1, a-b): AAS 89 (1997), 866-867; por. także Apostolorum successores, 215, c): Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2105. Do takiego kapłana będzie należało również prawne reprezentowanie parafii, zarówno kanonicznie jak i cywilnie, tam gdzie prawo państwowe to przewiduje.
[136] Przed skorzystaniem z rozwiązania dopuszczonego przez kan. 517, § 2, biskup diecezjalny powinien uważnie rozważyć inne możliwości, które należy przyjąć jako alternatywę, takie jak zaangażowanie starszych kapłanów nadal zdolnych do posługi, powierzenie kilku parafii jednemu proboszczowi lub powierzenie kilku parafii zespołowi kapłanów in solidum.
[137] Por. Ecclesiae de mysterio, art. 4, § 1, b): AAS 89 (1997), 866-867; Kongregacja ds. Duchowieństwa, Instrukcja Kapłan, pasterz i przewodnik wspólnoty parafialnej (4 sierpnia 2002), 23 i 25, w sposób szczególny chodzi o powierzenie „współpracy ad tempus w duszpasterstwie parafialnym”: Enchiridion Vaticanum 21 (2002), 834-836.
[138] Por. Kapłan, pasterz i przewodnik wspólnoty parafialnej, 25: Enchiridion Vaticanum 21 (2002), 836.
[139] KPK, kan. 517, § 2.
[140] Kapłan, pasterz i przewodnik wspólnoty parafialnej, 23: Enchiridion Vaticanum 21 (2002), 834.
[141] Por. Ecclesiae de mysterio, art. 1, § 3: AAS 89 (1997), 863.
[142] Por. Kapłan, pasterz i przewodnik wspólnoty parafialnej, 23: Enchiridion Vaticanum 21 (2002), 835.
[143] Por. Apostolorum successores, 112: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 1843.
[144] Należy pamiętać, że oprócz zadań właściwych posłudze lektoratu, wśród funkcji liturgicznych, które biskup diecezjalny, po wysłuchaniu Konferencji Episkopatu, może tymczasowo powierzyć wiernym świeckim, mężczyznom i kobietom, znajduje się także posługa ołtarza, zgodnie z odnośnym przepisem prawa kanonicznego; Papieska Rada ds. Interpretacji Tekstów Prawnych, Odpowiedź (11 lipca 1992): AAS 86 (1994), 541; Kongregacja ds. Kultu Bożego i Sakramentów, List okólny (15 marca 1994): AAS 86 (1994), 541-542.
[145] Por. KPK, kan. 205.
[146] Por. tamże, kan. 230, § 1.
[147] W akcie, poprzez który powierza się powyższe zadania diakonom lub wiernym świeckim, niech biskup wyraźnie określi funkcje, do wykonywania których zostali upoważnieni i czas na jaki otrzymali takie uprawnienia.
[148] KPK, kan. 1248, § 2.
[149] Tamże, kan. 861, § 1.
[150] Tamże, kan. 766.
[151] Ecclesiae de mysterio, art. 3, § 4: AAS 89 (1997), 865.
[152] Por. KPK., kan. 767, § 1; Ecclesiae de mysterio, art. 3, § 1: AAS 89 (1997), 864.
[153] KPK, kan. 1112, § 1; por. Jan Paweł II, Konstytucja apostolska Pastor Bonus (28 czerwca 1998), art. 63: AAS 80 (1988), 876, w odniesieniu do kompetencji Kongregacji ds. Kultu Bożego i Dyscypliny Sakramentów.
[154] Franciszek, Rozważanie w Domu św. Marty (21 października 2013): L’Osservatore Romano 242 (21-22 października 2013), 8.
[155] Por. KPK., kann. 537 e 1280.
[156] Zgodnie z kan. 532 KPK, proboszcz ponosi odpowiedzialność za dobra parafii, choć zarządzając nimi, musi korzystać ze współpracy świeckich ekspertów.
[157] Por. KPK, kann. 115, § 2 i, przez analogię, 492, § 1.
[158] Por. tamże, kan. 537 i Apostolorum successores, 210: Enchiridion Vaticanum 22 (2003-2004), 2087.
[159] Por. KPK, kann. 517 e 526.
[160] Por. tamże, kan. 1287 § 1.
[161] Por. tamże, kan. 536, § 1.
[162] Franciszek, Przemówienie w czasie spotkania z duchowieństwem, osobami życia konsekrowanego i członkami rad duszpasterskich, Asyż (4 października 2013): Insegnamenti I/2 (2013), 328.
[163] Tenże, Homilia w czasie Mszy Świętej w Uroczystość Zesłania Ducha Świętego, 4 czerwca 2017: AAS 109 (2017), 711.
[164] Por. Lumen gentium, 10: AAS 57 (1965), 14.
[165] Por. Kongregacja ds. Duchowieństwa, List okólny Omnes christifideles (25 stycznia 1973), 4 i 9; Enchiridion Vaticanum 4 (1971-1973), 1199-1201 i 1207-1209; Christifideles laici, 27: AAS 81 (1989), 440-441.
[166] Franciszek, Audiencja Generalna (23 maja 2018).
[167] Paweł VI, List apostolski Ecclesiae Sanctae (6 sierpnia 1966), I, 16, § 1: AAS 58 (1966), 766; por. KPK, kan. 511.
[168] Evangelii gaudium, 31: AAS 105 (2013), 1033.
[169] Por. KPK, kan. 536, § 2.
[170] Por. tamże, kan. 212, § 3.
[171] Tamże, kan. 536, § 2.
[172] Por. Kapłan, pasterz i przewodnik wspólnoty parafialnej, 26: Enchiridion Vaticanum 21 (2002), 843.
[173] Por. KPK, kan. 516, § 1.
[174] Por. tamże, kan. 515, § 2.
[175] Por. tamże, kan. 516, § 2.
[176] Por. tamże, kann. 1214, 1223 i 1225.
[177] Por. tamże, kann. 848 e 1264, 2°, ponadto kann. 945-958; kongregacja ds. duchowieństwa, Dekret Mos iugiter (22 lutego 1991), zatwierdzony w formie specyficznej przez Jana Pawła II: Enchiridion Vaticanum 13 (1991-1993), 6-28.
[178] KPK, kan. 946.
[179] Tamże, kan. 947.
[180] Tamże, kan. 945, § 2.
[181] Franciszek, Adhortacja apostolska posynodalna Christus vivit (25 marca 2019), 231, Watykan 2019.
[182] Tenże, Spotkanie z polskimi biskupami, Kraków (27 lipca 2016): AAS 108 (2016), 893.
[183] Tenże, Orędzie na Światowy Dzień Misyjny 2017 (4 czerwca 2017), 10: AAS 109 (2017), 764.
[00886-PL.01] [Testo originale: Polacco]