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Messaggio del Santo Padre Francesco alle Pontificie Opere Missionarie, 21.05.2020


Messaggio del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Pubblichiamo di seguito il Messaggio che il Santo Padre Francesco ha inviato alle Pontificie Opere Missionarie:

Messaggio del Santo Padre

Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra». Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi (At 1,6-9).

Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio. Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano (Mc 16,19-20).

Poi li condusse fuori verso Betania e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio (Lc 24,50-53).

* * *

Cari fratelli e sorelle!

Quest’anno avevo deciso di partecipare alla vostra Assemblea generale annuale, giovedì 21 maggio, festa dell’Ascensione del Signore. Poi l’Assemblea è stata annullata a causa della pandemia che ci coinvolge tutti. E allora vorrei inviare a tutti voi questo messaggio, per farvi giungere comunque le cose che avevo in cuore di dirvi. Questa festa cristiana, nei tempi inimmaginabili che stiamo vivendo, mi appare ancora più feconda di suggestioni per il cammino e la missione di ognuno di noi e di tutta la Chiesa.

Celebriamo l’Ascensione come una festa, eppure essa commemora il congedo di Gesù dai suoi discepoli e da questo mondo. Il Signore ascende in Cielo, e la liturgia orientale racconta lo stupore degli angeli nel vedere un uomo che con la sua carne sale alla destra del Padre. Eppure, mentre Cristo è sul punto di ascendere al cielo, i discepoli – che pure lo hanno visto risorto – non sembrano ancora aver capito bene che cosa è accaduto. Lui sta per dare inizio al compimento del suo Regno, e loro si perdono ancora dietro alle proprie congetture. Gli chiedono se sta per restaurare il regno d’Israele (cfr At 1,6). Ma quando Cristo li lascia, invece di essere tristi, tornano a Gerusalemme «pieni di gioia», come scrive Luca (cfr 24,52). Sarebbe una stranezza, se non fosse accaduto qualcosa. E infatti Gesù ha già promesso loro la forza dello Spirito Santo, che scenderà su di essi a Pentecoste. Questo è il miracolo che cambia le cose. E loro diventano più sicuri, quando affidano tutto al Signore. Sono pieni di gioia. E la gioia in loro è la pienezza della consolazione, la pienezza della presenza del Signore.

Paolo scrive ai Galati che la pienezza di gioia degli Apostoli non è l’effetto di emozioni che soddisfano e rendono allegri. È una gioia traboccante che si può sperimentare solo come frutto e dono dello Spirito Santo (cfr 5,22). Ricevere la gioia dello Spirito è una grazia. Ed è l’unica forza che possiamo avere per predicare il Vangelo, per confessare la fede nel Signore. La fede è testimoniare la gioia che ci dona il Signore. Una gioia così, uno non se la può dare da solo.

Gesù, prima di andar via, ha detto ai suoi che avrebbe mandato loro lo Spirito, il Consolatore. E così ha consegnato allo Spirito anche l’opera apostolica della Chiesa, per tutta la storia, fino al suo ritorno. Il mistero dell’Ascensione, insieme all’effusione dello Spirito nella Pentecoste, imprime e trasmette per sempre alla missione della Chiesa il suo tratto genetico più intimo: quello di essere opera dello Spirito Santo e non conseguenza delle nostre riflessioni e intenzioni. È questo il tratto che può rendere feconda la missione e preservarla da ogni presunta autosufficienza, dalla tentazione di prendere in ostaggio la carne di Cristo – asceso al Cielo – per i propri progetti clericali di potere.

Quando nella missione della Chiesa non si coglie e riconosce l’opera attuale ed efficace dello Spirito Santo, vuol dire che perfino le parole della missione – anche le più esatte, anche le più pensate – sono diventate come “discorsi di umana sapienza”, usati per dar gloria a sé stessi o rimuovere e mascherare i propri deserti interiori.

LA GIOIA DEL VANGELO

La salvezza è l’incontro con Gesù, che ci vuole bene e ci perdona, inviandoci lo Spirito che ci consola e ci difende. La salvezza non è la conseguenza delle nostre iniziative missionarie, e nemmeno dei nostri discorsi sull’incarnazione del Verbo. La salvezza per ognuno può accadere solo attraverso lo sguardo dell’incontro con Lui, che ci chiama. Per questo il mistero della predilezione inizia e non può iniziare che in uno slancio di gioia, di gratitudine. La gioia del Vangelo, la “gioia grande” delle povere donne che la mattina di Pasqua erano andate al Sepolcro di Cristo e lo avevano trovato vuoto, e che poi per prime incontrarono Gesù risorto e corsero a dirlo agli altri (cfr Mt 28,8-10). Solo così questo essere scelti e prediletti può testimoniare davanti a tutto il mondo, con le nostre vite, la gloria di Cristo risorto.

I testimoni, in ogni situazione umana, sono coloro che attestano ciò che viene compiuto da qualcun altro. In questo senso, e solo in questo senso noi possiamo essere testimoni di Cristo e del suo Spirito. Dopo l’Ascensione, come racconta il finale del Vangelo di Marco, gli apostoli e i discepoli «partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che l’accompagnavano» (16,20). Cristo, con il suo Spirito, testimonia sé stesso mediante le opere che compie in noi e con noi. La Chiesa – spiegava già Sant’Agostino – non pregherebbe il Signore per chiedere che la fede sia donata a quelli che non conoscono Cristo, se non credesse che è Dio stesso a rivolgere e attirare verso di sé la volontà degli uomini. La Chiesa non farebbe pregare i suoi figli per chiedere al Signore di perseverare nella fede in Cristo, se non credesse che è proprio il Signore ad avere in mano i nostri cuori. Infatti, se la Chiesa chiedesse a Lui queste cose, ma pensasse di potersele dare da sé stessa, vorrebbe dire che tutte le sue preghiere non sono autentiche, ma sono formule vuote, dei “modi di dire”, dei convenevoli imposti dal conformismo ecclesiastico (cfr Il dono della perseveranza. A Prospero e Ilario, 23, 63).

Se non si riconosce che la fede è un dono di Dio, anche le preghiere che la Chiesa rivolge a Lui non hanno senso. E non si esprime attraverso di esse nessuna sincera passione per la felicità e la salvezza degli altri, e di quelli che non riconoscono Cristo risorto, anche se si passa il tempo a organizzare la conversione del mondo al cristianesimo.

È lo Spirito Santo ad accendere e custodire la fede nei cuori, e riconoscere questo fatto cambia tutto. Infatti, è lo Spirito che accende e anima la missione, le imprime dei connotati “genetici”, accenti e movenze singolari che rendono l’annuncio del Vangelo e la confessione delle fede cristiana un’altra cosa rispetto ad ogni proselitismo politico o culturale, psicologico o religioso.

Ho richiamato molti di questi tratti distintivi della missione nella Esortazione apostolica Evangelii gaudium. Ne riprendo alcuni.

Attrattiva. Il mistero della Redenzione è entrato e continua a operare nel mondo attraverso un’attrattiva, che può avvincere il cuore degli uomini e delle donne perché è e appare più attraente delle seduzioni che fanno presa sull’egoismo, conseguenza del peccato. «Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato», dice Gesù nel Vangelo di Giovanni (6,44). La Chiesa ha sempre ripetuto che per questo si segue Gesù e si annuncia il suo Vangelo: per la forza dell’attrazione operata da Cristo stesso e dal suo Spirito. La Chiesa – ha affermato Papa Benedetto XVI – cresce nel mondo per attrazione e non per proselitismo (cfr Omelia nella Messa di apertura della V Conferenza Gen. dell’Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi, Aparecida, 13 maggio 2007: AAS 99 [2007], 437). Sant’Agostino diceva che Cristo si rivela a noi attirandoci. E, per dare un’immagine di questa attrattiva, citava il poeta Virgilio, secondo il quale ciascuno è attratto da ciò che gli piace. Gesù non solo convince la nostra volontà, ma attira il nostro piacere (Commento al Vangelo di Giovanni, 26, 4). Se si segue Gesù felici di essere attratti da lui, gli altri se ne accorgono. E possono stupirsene. La gioia che traspare in coloro che sono attirati da Cristo e dal suo Spirito è ciò che può rendere feconda ogni iniziativa missionaria.

Gratitudine e gratuità. La gioia di annunciare il Vangelo brilla sempre sullo sfondo di una memoria grata. Gli Apostoli non hanno mai dimenticato il momento in cui Gesù toccò loro il cuore: «Erano circa le quattro del pomeriggio» (Gv1,39). La vicenda della Chiesa risplende quando in essa si manifesta la gratitudine per la gratuita iniziativa di Dio, perché «è lui che ha amato noi» per primo (1 Gv4,10), perchè «è Dio solo che fa crescere» (1 Cor3,7). La predilezione amorosa del Signore ci sorprende, e lo stupore, per sua natura, non può essere posseduto né imposto da noi. Non ci si può “stupire per forza”. Solo così può fiorire il miracolo della gratuità, del dono gratuito di sé. Anche il fervore missionario non si può mai ottenere in conseguenza di un ragionamento o di un calcolo. Il mettersi “in stato di missione” è un riflesso della gratitudine. È la risposta di chi dalla gratitudine viene reso docile allo Spirito, e quindi è libero. Senza percepire la predilezione del Signore, che rende grati, perfino la conoscenza della verità e la stessa conoscenza di Dio, ostentati come un possesso da raggiungere con le proprie forze, diventerebbero di fatto “lettera che uccide” (cfr 2 Cor 3,6), come hanno mostrato per primi San Paolo e Sant’Agostino. Solo nella libertà della gratitudine si conosce veramente il Signore.Mentre non serve a niente e soprattutto non è appropriato insistere nel presentare la missione e l’annuncio del Vangelo come se fossero un dovere vincolante, una specie di “obbligo contrattuale” dei battezzati.

Umiltà. Se la verità e la fede, se la felicità e la salvezza non sono un nostro possesso, un traguardo raggiunto per meriti nostri, il Vangelo di Cristo può essere annunciato solo con umiltà. Mai si può pensare di servire la missione della Chiesa esercitando arroganza come singoli e attraverso gli apparati, con la superbia di chi snatura anche il dono dei sacramenti e le parole più autentiche della fede cristiana come un bottino che ci si è meritato. Si può essere umili non per buona educazione, non per voler apparire accattivanti. Si è umili se si segue Cristo, che ai suoi ha detto: «Imparate da me, che sono mite e umile di cuore» (Mt 11,29). Sant’Agostino si chiede come mai, dopo la Risurrezione, Gesù si è fatto vedere solo dai suoi discepoli e non invece da chi lo aveva crocifisso; e risponde che Gesù non voleva dare l’impressione di «sfidare in qualche modo i suoi uccisori. Per lui era infatti più importante insegnare l’umiltà agli amici, piuttosto che rinfacciare la verità ai nemici» (Discorso 284, 6).

Facilitare, non complicare. Un altro tratto dell’autentica opera missionaria è quello che rimanda alla pazienza di Gesù, che anche nei racconti del Vangelo accompagnava sempre con misericordia i passi di crescita delle persone. Un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può far contento il cuore di Dio più delle ampie falcate di chi procede nella vita senza grandi difficoltà. Un cuore missionario riconosce la condizione reale in cui si trovano le persone reali, con i loro limiti, i peccati, le fragilità, e si fa «debole con i deboli» (1 Cor9,22). “Uscire” in missione per giungere alle periferie umane non vuol dire errare senza una direzione e senza senso, come venditori impazienti che si lamentano perché la gente è troppo rozza e primitiva per essere interessata alla loro merce. A volte si tratta di rallentare il passo, per accompagnare chi è rimasto al bordo della strada. A volte c’è da imitare il padre della parabola del figlio prodigo, che lascia le porte aperte e scruta ogni giorno l’orizzonte aspettando il ritorno di suo figlio (cfr Lc 15,20). La Chiesa non è una dogana, e chi in qualsiasi modo partecipa alla missione della Chiesa è chiamato a non aggiungere pesi inutili sulle vite già affaticate delle persone, a non imporre cammini di formazione sofisticati e affannosi per godere di ciò che il Signore dona con facilità. Non mettere ostacoli al desiderio di Gesù, che prega per ognuno di noi e vuole guarire tutti, salvare tutti.

Prossimità nella vita “in atto”. Gesù ha incontrato i suoi primi discepoli sulle rive del lago di Galilea, mentre erano intenti al loro lavoro. Non li ha incontrati a un convegno, o a un seminario di formazione, o al tempio. Da sempre, l’annuncio di salvezza di Gesù raggiunge le persone lì dove sono e così come sono, nelle loro vite in atto. L’ordinarietà della vita di tutti, nella partecipazione alle necessità, alle speranze e ai problemi di tutti, è il luogo e la condizione in cui chi ha riconosciuto l’amore di Cristo e ricevuto il dono dello Spirito Santo può rendere ragione, a coloro che lo chiedono, della fede, della speranza e della carità. Camminando insieme con gli altri, al fianco di tutti. Soprattutto nel tempo in cui viviamo, non si tratta di inventare percorsi di addestramento “dedicati”, di creare mondi paralleli, di costruire bolle mediatiche in cui far riecheggiare i propri slogan, le proprie dichiarazioni d’intenti, ridotte a rassicuranti “nominalismi dichiarazionisti”. Ho ricordato altre volte, a titolo di esempio, che nella Chiesa c’è chi continua a far riecheggiare con enfasi lo slogan «È l’ora dei laici!», ma intanto l’orologio sembra essersi fermato.

Il “sensus fidei” del Popolo di Dio. C’è una realtà nel mondo che ha una specie di “fiuto” per lo Spirito Santo e la sua azione. È il Popolo di Dio, chiamato e prediletto da Gesù, e che a sua volta continua a cercare Lui e domanda sempre di Lui negli affanni della vita. Il Popolo di Dio mendica il dono del suo Spirito: affida la sua attesa alle parole semplici delle preghiere, e mai si accomoda nella presunzione della propria autosufficienza. Il santo Popolo di Dio radunato e unto dal Signore, in virtù di questa unzione è resoinfallibile “in credendo”, come insegna la Tradizione della Chiesa. Il lavoro dello Spirito Santo dota il Popolo dei fedeli di un “istinto” della fede– ilsensus fidei– che lo aiuta a non sbagliare quando crede le cose di Dio, anche se non conosce ragionamenti e formule teologiche per definire i doni che sperimenta. Il mistero del popolo pellegrino, che con la sua spiritualità popolare cammina verso i santuari e si affida a Gesù, a Maria e ai santi, attinge e si mostra connaturale alla libera e gratuita iniziativa di Dio, senza dover seguire piani di mobilitazione pastorale.

Predilezione per i piccoli e i poveri. Ogni slancio missionario, se è mosso dallo Spirito Santo, manifesta la predilezione per i poveri e i piccoli come segno e riflesso della preferenza del Signore verso di loro. Le persone coinvolte direttamente in iniziative e strutture missionarie della Chiesa non dovrebbero mai giustificare la loro disattenzione verso i poveri con la scusa – molto usata in certi ambienti ecclesiastici – di dover concentrare le proprie energie su incombenze prioritarie per la missione. La predilezione per i poveri non è per la Chiesa un’opzione facoltativa.

Le dinamiche e gli approcci sopra descritti fanno parte della missione della Chiesa, animata dallo Spirito Santo. Di solito, negli enunciati e nei discorsi ecclesiastici, la necessità dello Spirito Santo come sorgente della missione della Chiesa viene riconosciuta e affermata. Ma accade anche che tale riconoscimento si riduca a una specie di “omaggio formale” alla Santissima Trinità, una formula convenzionale introduttiva per interventi teologici e piani pastorali. Ci sono nella Chiesa tante situazioni in cui il primato della grazia rimane solo come un postulato teorico, una formula astratta. Succede che tante iniziative e organismi legati alla Chiesa, invece di lasciar trasparire l’operare dello Spirito Santo, finiscono per attestare solo la propria autoreferenzialità. Tanti apparati ecclesiastici, ad ogni livello, sembrano risucchiati dall’ossessione di promuovere sé stessi e le proprie iniziative. Come se fosse quello l’obiettivo e l’orizzonte della loro missione.

Fin qui ho voluto riprendere e riproporre criteri e spunti sulla missione della Chiesa, che avevo già esposto in maniera più distesa nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium. L’ho fatto perché credo che anche per le POM sia utile e fecondo – e non rinviabile – confrontarsi con quei criteri e suggerimenti, in questo tratto del loro cammino.

LE POM E IL TEMPO PRESENTE.
TALENTI DA SVILUPPARE, TENTAZIONI E MALATTIE DA EVITARE

Dove conviene guardare, per il presente e il futuro delle POM? Quali zavorre rischiano invece di appesantirne il cammino?

Nella fisionomia, direi nell’identità delle Pontificie Opere Missionarie si colgono certi tratti distintivi – alcuni, per così dire, genetici, altri acquisiti lungo il percorso storico – che vengono spesso trascurati o considerati come scontati. Eppure proprio quei tratti possono custodire e rendere prezioso, soprattutto nel tempo presente, il contributo di questa “rete” alla missione universale cui è chiamata tutta la Chiesa.

- Le Opere Missionarie sono nate spontaneamente, dal fervore missionario espresso dalla fede dei battezzati. C’è e permane una consonanza intima, una familiarità tra le Opere Missionarie e il sensus fidei infallibile in credendo del Popolo fedele di Dio.

- Le Opere Missionarie, fin dall’inizio, sono andate avanti procedendo su due “binari”, o meglio lungo due argini che corrono sempre paralleli, e nella loro elementarità sono da sempre familiari al cuore del Popolo di Dio: quello della preghiera e quello della carità, nella forma dell’elemosina, che «salva dalla morte e purifica da ogni peccato» (Tb 12,9), la «carità fervente» che «copre una moltitudine di peccati» (1Pt 4,8). Gli iniziatori delle Opere Missionarie, a partire da Pauline Jaricot, non inventarono le preghiere e le opere a cui affidare i loro desideri riguardo all’annuncio del Vangelo, ma li trassero semplicemente dal tesoro inesauribile dei gesti più familiari e abituali per il Popolo di Dio in cammino nella storia.

- Le Opere Missionarie, sorte in maniera gratuita nella trama di vita del popolo di Dio, per la loro configurazione semplice e concreta sono state riconosciute e stimate dalla Chiesa di Roma e dai suoi Vescovi, i quali nell’ultimo secolo hanno chiesto di poterle adottare come peculiare strumento del servizio da essi reso alla Chiesa universale. Per questa via è stato attribuita a tali Opere la qualifica di “Pontificie”. Da quel momento, risalta nella fisionomia delle POM la loro caratteristica di strumento di servizio a sostegno delle Chiese particolari, nell’opera di annuncio del Vangelo. Per questa medesima via le Pontificie Opere Missionarie si sono offerte con docilità come strumento di servizio alla Chiesa, in seno al ministero universale svolto dal Papa e dalla Chiesa di Roma, che «presiede nella carità». In questo modo, con il loro stesso percorso, e senza entrare in complesse dispute teologiche, le POM hanno smentito gli argomenti di chi, anche negli ambienti ecclesiastici, contrappone in maniera impropria carismi e istituzioni, leggendo sempre i rapporti tra queste realtà attraverso una ingannevole “dialettica dei principi”. Mentre nella Chiesa anche gli elementi strutturali permanenti – come i sacramenti, il sacerdozio e la successione apostolica – vanno continuamente ricreati dallo Spirito Santo, e non sono a disposizione della Chiesa come un oggetto di possesso acquisito (cfr Card. J. Ratzinger, I movimenti ecclesiali e la loro collocazione teologica. Intervento al Convegno mondiale dei movimenti ecclesiali, Roma, 27-29 maggio 1998).

- Le Opere missionarie, fin dalla loro prima diffusione, si sono strutturate come una rete capillare diffusa nel Popolo di Dio, pienamente ancorata e di fatto “immanente” alla rete delle preesistenti istituzioni e realtà della vita ecclesiale, come le diocesi, le parrocchie, le comunità religiose. La vocazione peculiare delle persone coinvolte nelle Opere Missionarie non è mai stata vissuta e percepita come una via alternativa, un’appartenenza “esterna” rispetto alle forme ordinarie della vita delle Chiese particolari. La sollecitazione a pregare e raccogliere risorse per la missione è sempre stata esercitata come un servizio alla comunione ecclesiale.

- Le Opere Missionarie, diventate col tempo rete diffusa in tutti i Continenti, riflettono per la loro stessa configurazione la varietà di accenti, condizioni, problemi e doni che connotano la vita della Chiesa nei diversi luoghi del mondo. Una pluralità che può proteggere da omologazioni ideologiche e unilateralismi culturali. In questo senso, anche attraverso le POM si può sperimentare il mistero dell’universalità della Chiesa, in cui l’opera incessante dello Spirito Santo crea l’armonia tra le voci diverse, mentre il Vescovo di Roma, con il suo servizio di carità, esercitato anche attraverso le Pontificie Opere Missionarie, custodisce l’unità nella fede.

Tutte le caratteristiche fin qui descritte possono aiutare le Pontificie Opere Missionarie a sottrarsi alle insidie e patologie incombenti sul loro cammino e su quello di tante altre istituzioni ecclesiali. Ne segnalo alcune.

INSIDIE DA EVITARE

Autoreferenzialità. Organizzazioni ed entità ecclesiastiche, al di là delle buone intenzioni dei singoli, finiscono talvolta per ripiegarsi su sé stesse, dedicando energie e attenzioni soprattutto alla propria auto-promozione e alla celebrazione in chiave pubblicitaria delle proprie iniziative. Altre sembrano dominate dall’ossessione di ridefinire continuamente la propria rilevanza e i propri spazi in seno alla Chiesa, con la giustificazione di voler rilanciare al meglio la propria missione. Per queste vie – ha detto una volta l’allora Cardinale Joseph Ratzinger – si alimenta anche l’idea ingannevole che una persona sia tanto più cristiana quanto più è impegnata in strutture intra-ecclesiali, mentre in realtà quasi tutti i battezzati vivono la fede, la speranza e la carità nelle loro vite ordinarie, senza essere mai comparsi in comitati ecclesiastici e senza occuparsi degli ultimi sviluppi di politica ecclesiastica (cfr Una compagnia sempre riformanda, Conferenza al Meeting di Rimini, 1 settembre 1990).

Ansia di comando. A volte capita che istituzioni e organismi sorti per aiutare le comunità ecclesiali, servendo i doni suscitati in esse dallo Spirito Santo, col tempo pretendano di esercitare supremazie e funzioni di controllo nei confronti delle comunità che dovrebbero servire. Questo atteggiamento si accompagna quasi sempre con la presunzione di esercitare il ruolo di “depositari” dispensatori di patenti di legittimità nei confronti degli altri. Di fatto, in questi casi ci si comporta come se la Chiesa fosse un prodotto delle nostre analisi, dei nostri programmi, accordi e decisioni.

Elitarismo. Tra chi fa parte di organismi e realtà organizzate nella Chiesa, prende piede diverse volte un sentimento elitario, l’idea non detta di appartenere a un’aristocrazia. Una classe superiore di specialisti che cerca di allargare i propri spazi in complicità o in competizione con altre elite ecclesiastiche, e addestra i suoi membri secondo i sistemi e le logiche mondani della militanza o della competenza tecnico-professionale, sempre con l’intento primario di promuovere le proprie prerogative oligarchiche.

Isolamento dal popolo. La tentazione elitista in alcune realtà connesse alla Chiesa si accompagna talvolta a un sentimento di superiorità e di insofferenza verso la moltitudine dei battezzati, verso il popolo di Dio che magari frequenta le parrocchie e i santuari, ma non è composto di “attivisti” occupati in organizzazioni cattoliche. In questi casi, anche il popolo di Dio viene guardato come una massa inerte, che ha sempre bisogno di essere rianimata e mobilitata attraverso una “presa di coscienza” da stimolare attraverso ragionamenti, richiami, insegnamenti. Si agisce come se la certezza della fede fosse conseguenza di un discorso persuasivo o di metodi di addestramento.

Astrazione. Organismi e realtà legate alla Chiesa, quando diventano autoreferenziali, perdono il contatto con la realtà e si ammalano di astrazione. Si moltiplicano inutili luoghi di elaborazione strategica, per produrre progetti e linee-guida che servono solo come strumenti di autopromozione di chi li inventa. Si prendono i problemi e li si seziona in laboratori intellettuali, dove tutto viene addomesticato, verniciato secondo le chiavi ideologiche di preferenza. Dove tutto, fuori dal contesto reale, può essere cristallizzato in simulacro, anche i riferimenti alla fede o i richiami verbali a Gesù e allo Spirito Santo.

Funzionalismo. Le organizzazioni autoreferenziali ed elitarie, anche nella Chiesa, finiscono spesso per puntare tutto sull’imitazione dei modelli di efficienza mondani, come quelli imposti dalla esasperata competizione economica e sociale. La scelta del funzionalismo garantisce l’illusione di “sistemare i problemi” con equilibrio, tenere le cose sotto controllo, accrescere la propria rilevanza, migliorare l’ordinaria amministrazione dell’esistente. Ma come già vi dissi nell’incontro che abbiamo avuto nel 2016, una Chiesa che ha paura di affidarsi alla grazia di Cristo e punta sull’efficientismo degli apparati è già morta, anche se le strutture e i programmi a favore dei chierici e dei laici “auto-occupati” dovessero durare ancora per secoli.

CONSIGLI PER IL CAMMINO

Guardando al presente e al futuro, e cercando anche nel percorso delle POM le risorse per superare le insidie del cammino e andare avanti, mi permetto di dare alcuni suggerimenti, per aiutare il vostro discernimento. Dal momento che avete intrapreso anche un percorso di riconsiderazione delle POM, che volete sia ispirato dalle indicazioni del Papa, offro alla vostra attenzione criteri e spunti generali, senza entrare nei dettagli, anche perché i diversi contesti possono richiedere adattamenti e varianti.

1) Per quello che potete, e senza farci sopra troppe congetture, custodite o riscoprite l’inserimento delle POM in seno al Popolo di Dio, la loro immanenza alla trama di vita reale in cui sono nate. Farà bene una più intensa “immersione” nella vita reale delle persone, così com’è. Fa bene a tutti uscire dal chiuso delle proprie problematiche interne, quando si segue Gesù. Conviene calarsi nelle circostanze e nelle condizioni concrete, anche curando o provando a reintegrare la capillarità dell’azione e dei contatti delle POM, nel suo intrecciarsi alla rete ecclesiale (diocesi, parrocchie, comunità, gruppi). Se si privilegia la propria immanenza al Popolo di Dio, con le sue luci e le sue difficoltà, si riesce a sfuggire meglio anche all’insidia dell’astrazione. Occorre dare risposte a domande ed esigenze reali, più che formulare e moltiplicare proposte. Forse nel corpo a corpo con la vita in atto, e non dai cenacoli chiusi, o dalle analisi teoriche sulle proprie dinamiche interne, possono arrivare anche intuizioni utili per cambiare e migliorare le proprie procedure operative, adattandole ai diversi contesti e alle diverse circostanze.

2) Suggerisco di fare in modo che l’impianto essenziale delle POM rimanga quello legato alle pratiche della preghiera e della raccolta di risorse per la missione, prezioso e caro proprio per la sua elementarità e la sua concretezza. Esso esprime l’affinità delle POM con la fede del Popolo di Dio. Con tutta la flessibilità e gli adattamenti richiesti, conviene che questo disegno elementare delle POM non venga dimenticato o stravolto. Preghiere al Signore perché apra Lui i cuori al Vangelo, e suppliche a tutti affinché sostengano anche concretamente l’opera missionaria: c’è in questo una semplicità e una concretezza che tutti possono avvertire con godimento nel tempo presente, in cui anche nella circostanza del flagello della pandemia si avverte dovunque il desiderio di incontrare e rimanere vicino a tutto ciò che è semplicemente Chiesa. Cercate pure nuove strade, nuove forme per il vostro servizio; ma, nel fare questo, non serve complicare ciò che è semplice.

3) Le POM sono e vanno vissute come uno strumento di servizio alla missione nelle Chiese particolari, nell’orizzonte della missione della Chiesa, che abbraccia sempre tutto il mondo. In questo consiste il loro contributo sempre prezioso all’annuncio del Vangelo. Siamo tutti chiamati a custodire per amore e gratitudine, anche con le vostre opere, i germogli di vita teologale che lo Spirito di Cristo fa sbocciare e crescere dove vuole Lui, anche nei deserti. Per favore, nella preghiera chiedete per prima cosa che il Signore ci renda tutti più pronti a cogliere i segni del suo operare, per poi indicarli a tutto il mondo. Questo solo può essere utile: chiedere che per noi, per l’intimo del nostro cuore, l’invocazione allo Spirito Santo non sia ridotta a un postulato sterile e ridondante delle nostre riunioni e delle nostre omelie. Mentre non serve fare congetture e teorizzare su super-strateghi o “centrali direttive” della missione, a cui delegare, come a presunti e immodesti “depositari” della dimensione missionaria della Chiesa, l’impresa di ridestare lo spirito missionario o di dare patenti di missionarietà agli altri. Se in alcune situazioni il fervore della missione viene meno, è segno che sta venendo meno la fede. E, in quei casi, la pretesa di rianimare la fiamma che si spegne con strategie e discorsi finisce per indebolirla ancora di più, e fa avanzare solo il deserto.

4) Il servizio svolto dalle POM porta per sua natura gli operatori a contatto con innumerevoli realtà, situazioni ed eventi che fanno parte del grande flusso della vita della Chiesa, in tutti i Continenti. In questo flusso ci si può imbattere in tante pesantezze e sclerosi che accompagnano la vita ecclesiale, ma anche nei doni gratuiti di guarigione e consolazione che lo Spirito Santo dissemina nella vita quotidiana di quella che si potrebbe chiamare la “classe media della santità”. E voi potete rallegrarvi ed esultare, gustando gli incontri che vi possono capitare grazie al lavoro delle POM, lasciandovi sorprendere da essi. Penso ai racconti ascoltati di tanti miracoli che accadono tra i bambini, che magari incontrano Gesù attraverso le iniziative proposte dall’Infanzia missionaria. Per questo la vostra è un’opera che non va mai “sterilizzata” in una dimensione esclusivamente burocratico-professionale. Non possono esistere burocrati o funzionari della missione. E la vostra gratitudine può diventare a sua volta un dono e una testimonianza per tutti. Potete indicare per il conforto di tutti, con i mezzi che avete, senza artificiosità, le vicende di persone e comunità che voi potete incontrare con più facilità di altri, persone e comunità in cui risplende gratuitamente il miracolo della fede, della speranza e della carità.

5) La gratitudine davanti ai prodigi che opera il Signore tra i suoi prediletti, i poveri e i piccoli a cui Lui rivela le cose nascoste ai sapienti (cfr Mt 11,25-26), può rendere più facile anche per voi sottrarsi alle insidie dei ripiegamenti autoreferenziali e uscire da sé stessi, seguendo Gesù. L’idea di una missionarietà autoreferenziale, che passa il tempo a contemplare e auto-incensarsi per le proprie iniziative, sarebbe in sé stessa un assurdo. Non consumate troppo tempo e risorse a “guardarvi addosso”, a elaborare piani auto-centrati sui meccanismi interni, su funzionalità e competenze del proprio apparato. Guardate fuori, non guardatevi allo specchio. Rompete tutti gli specchi di casa. I criteri da seguire, anche nella realizzazione dei programmi, puntino ad alleggerire, a rendere flessibili strutture e procedure, piuttosto che appesantire con ulteriori elementi di apparato la rete delle POM. Ad esempio, ogni direttore nazionale, durante il suo mandato, si impegni a individuare le figure di qualche potenziale successore, avendo come unico criterio quello di segnalare non persone del suo giro di amici o compagni di “cordata” ecclesiastica, ma persone che gli sembrano avere più fervore missionario di lui.

6) Riguardo alla raccolta di risorse per aiutare la missione, in occasione dei nostri incontri passati ho già richiamato il rischio di trasformare le POM in una ONG tutta votata al reperimento e allo stanziamento dei fondi. Questo dipende dal cuore con cui si fanno le cose, più che dalle cose che si fanno. Nella raccolta di fondi può essere certo consigliabile e addirittura opportuno utilizzare con creatività anche metodologie aggiornate di reperimento dei finanziamenti da parte di potenziali e benemeriti sovventori. Ma se in alcune aree la raccolta di donazioni viene meno, anche per l’affievolirsi della memoria cristiana, in quei casi può venire la tentazione di risolvere noi il problema “coprendo” la realtà e puntando su qualche sistema di raccolta più efficace, che vada alla ricerca dei grandi donatori. Invece la sofferenza per il venir meno della fede e anche per il calare delle risorse non va rimossa, va messa nelle mani del Signore. E comunque è bene che la richiesta di offerte per le missioni continui a essere rivolta prioritariamente a tutta la moltitudine dei battezzati, anche puntando in maniera nuova sulla colletta per le missioni che si effettua nelle chiese di tutti i Paesi a ottobre, in occasione della Giornata Missionaria Mondiale. La Chiesa continua da sempre ad andare avanti anche grazie all’obolo della vedova, al contributo di tutta quella schiera innumerevole di persone che si sentono guarite e consolate da Gesù e che per questo, per il traboccare della gratitudine, donano quello che hanno.

7) Riguardo all’uso delle donazioni ricevute, vagliate sempre con appropriato sensus Ecclesiae la redistribuzione dei fondi a sostegno di strutture e progetti che realizzano in vario modo la missione apostolica e l’annuncio del Vangelo nelle diverse parti del mondo. Si tenga sempre conto delle reali necessità primarie delle comunità, e nel contempo si evitino forme di assistenzialismo, che invece di offrire strumenti al fervore missionario finiscono per intiepidire i cuori e alimentare anche nella Chiesa fenomeni di clientelismo parassitario. Con il vostro contributo puntate a dare risposte concrete a esigenze oggettive, senza dilapidare risorse in iniziative connotate da astrattezza, auto-referenzialità o partorite dal narcisismo clericale di qualcuno. Non cedete a complessi di inferiorità o tentazioni di emulazione verso quelle organizzazioni super-funzionali che raccolgono fondi per cause giuste, poi utilizzati in buona percentuale per finanziare il proprio apparato e per fare pubblicità al proprio marchio. Anche quella a volte diventa una strada per curare innanzitutto i propri interessi, pur mostrando di operare a vantaggio dei poveri e di chi è nel bisogno.

8) Riguardo ai poveri, anche voi non dimenticatevi di loro. Questa fu la raccomandazione che, al Concilio di Gerusalemme, gli apostoli Pietro, Giovanni e Giacomo diedero a Paolo, Barnaba e Tito, venuti a discutere della loro missione tra i non circoncisi: «Ci pregarono soltanto di ricordarci dei poveri» (Gal 2,10). Dopo quella raccomandazione, Paolo organizzò le collette in favore dei fratelli della Chiesa di Gerusalemme (cfr 1 Cor 16,1). La predilezione per i poveri e i piccoli fa parte fin dall’inizio della missione di annunciare il Vangelo. Le opere di carità spirituale e corporale verso di loro manifestano una “preferenza divina” che interpella la vita di fede di tutti i cristiani, chiamati ad avere gli stessi sentimenti di Gesù (cfr Fil 2,5).

9) Le POM, con la loro rete diffusa in tutto il mondo, rispecchiano la ricca varietà del “popolo dai mille volti” raccolto dalla grazia di Cristo, con il suo fervore missionario. Fervore che non è intenso e vivace sempre e dovunque alla stessa maniera. E comunque, nel condividere la stessa urgenza di confessare Cristo morto e risorto, si esprime con accenti diversi, adattandosi a diversi contesti. La rivelazione del Vangelo non si identifica con nessuna cultura e, nell’incontro con nuove culture che non hanno accolto la predicazione cristiana, non bisogna imporre una determinata forma culturale insieme con la proposta evangelica. Oggi, anche nel lavoro delle POM, conviene non portare bagagli pesanti; conviene custodire il loro profilo vario e il loro comune riferimento ai tratti essenziali della fede. Può fare ombra all’universalità della fede cristiana anche la pretesa di standardizzare la forma dell’annuncio, magari puntando tutto su clichè e slogan che vanno di moda in certi circoli di certi Paesi culturalmente o politicamente dominanti. A questo riguardo, anche il rapporto speciale che unisce le POM al Papa e alla Chiesa di Roma rappresenta una risorsa e un sostegno di libertà, che aiuta tutti a sottrarsi a mode passeggere, appiattimenti su scuole di pensiero unilaterali o omologazioni culturali di impronta neo-colonialista. Fenomeni che purtroppo si registrano anche in contesti ecclesiastici.

10) Le POM non sono nella Chiesa un’entità a sé stante, sospesa nel vuoto. Tra le loro specificità che conviene sempre coltivare e rinnovare c’è il vincolo speciale che le unisce al Vescovo della Chiesa di Roma, che presiede nella carità. È bello e confortante riconoscere che questo vincolo si manifesta in un lavoro condotto in letizia, senza cercare applausi o accampare pretese. Un’opera che proprio nella sua gratuità si intreccia con il servizio del Papa, servo dei servi di Dio. Vi chiedo che il carattere distintivo della vostra vicinanza al Vescovo di Roma sia proprio questo: la condivisione dell’amore alla Chiesa, riflesso per l’amore verso Cristo, vissuto ed espresso nel silenzio, senza gonfiarsi, senza marcare i “propri territori”. Con un lavoro quotidiano che attinga alla carità e al suo mistero di gratuità. Con un’opera che sostenga innumerevoli persone interiormente grate, ma che magari non sanno nemmeno chi ringraziare, perché delle POM non conoscono neanche il nome. Il mistero della carità, nella Chiesa, si realizza così. Continuiamo ad andare avanti insieme, contenti di avanzare tra le prove grazie ai doni e alle consolazioni del Signore. Mentre, ad ogni passo, riconosciamo in letizia di essere tutti servi inutili, a partire da me.

CONCLUSIONE

Partite con slancio: nel cammino che vi aspetta ci sono tante cose da fare. Se ci sono cambiamenti da sperimentare nelle procedure, è bene che essi puntino ad alleggerire, e non ad aumentare i pesi; che siano volti a guadagnare flessibilità operativa, e non a produrre ulteriori apparati rigidi e sempre minacciati di introversione. Tenendo presente che un’eccessiva centralizzazione, anziché aiutare, può complicare la dinamica missionaria. E anche un’articolazione su scala puramente nazionale delle iniziative mette a repentaglio la fisionomia stessa della rete delle POM, nonché lo scambio di doni tra Chiese e comunità locali vissuto come frutto e segno tangibile della carità tra i fratelli, nella comunione con il Vescovo di Roma.

In ogni caso, chiedete sempre che ogni considerazione riguardante l’assetto operativo delle POM sia illuminata dall’unica cosa necessaria: un po’ d’amore vero alla Chiesa, come riflesso dell’amore a Cristo. Il vostro è un servizio reso al fervore apostolico, cioè a uno slancio di vita teologale che solo lo Spirito Santo può operare nel Popolo di Dio. Voi pensate a fare bene il vostro lavoro, «come se tutto dipendesse da voi, sapendo che in realtà tutto dipende da Dio» (S. Ignazio di Loyola). Come vi ho già detto in un nostro incontro, abbiate la prontezza di Maria. Quando andò da Elisabetta, Maria non lo fece come un gesto proprio: andò come una serva del Signore Gesù, che portava in grembo. Di sé stessa non disse nulla, soltanto portò il Figlio e lodò Dio. Non era lei la protagonista. Andava come la serva di Colui che è anche l’unico protagonista della missione. Ma non perse tempo, andò di fretta, a fare cose per accudire la sua congiunta. Lei ci insegna questa prontezza, la fretta della fedeltà e dell’adorazione.

La Madonna custodisca voi e le Pontificie Opere Missionarie, e vi benedica suo Figlio, il Signore Nostro Gesù Cristo. Lui, prima di salire al Cielo, ci ha promesso di stare sempre con noi. Fino alla fine del tempo.

Dato a Roma, presso San Giovanni in Laterano, il 21 maggio 2020, Solennità dell’Ascensione del Signore

FRANCESCO

[00656-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Étant donc réunis, ils l’interrogeaient ainsi : « Seigneur, est-ce maintenant, le temps où tu vas restaurer la royauté d’Israël ? » Il leur répondit : « Il ne vous appartient pas de connaître les temps et les moments que le Père a fixés de sa seule autorité. Mais vous allez recevoir une force, celle de l’Esprit Saint qui descendra sur vous. Vous serez alors mes témoins à Jérusalem, dans toute la Judée et la Samarie, et jusqu’aux extrémités de la terre. » A ces mots, sous leurs regards, il s’éleva, et une nuée le déroba à leurs yeux (Ac 1, 6-9).

Or, le Seigneur Jésus, après leur avoir parlé, fut enlevé au ciel et il s’assit à la droite de Dieu. Alors, les disciples s’en allèrent prêcher en tout lieu. Le Seigneur agissait avec eux, confirmant la Parole par les signes qui l’accompagnaient (Mc 16, 19-20).

Puis il les emmena vers Béthanie et, levant les mains, il les bénit. Et il advint, comme il les bénissait, qu’il se sépara d’eux et fut emporté au ciel. Pour eux, s’étant prosternés devant lui, ils retournèrent à Jérusalem en grande joie, et ils étaient continuellement dans le temple à louer Dieu (Lc 24, 50-53).

*.*.*

Chers frères et sœurs!

Cette année, j’avais décidé de participer à votre Assemblée Générale annuelle, le jeudi 21 mai, Fête de l’Ascension du Seigneur. Puis, l’Assemblée a été annulée en raison de la pandémie qui nous implique tous. C’est ainsi que je voudrais envoyer à tous ce message, afin de vous communiquer les choses que j’avais à cœur de vous dire. Cette fête chrétienne, dans les temps inimaginables que nous vivons, me semble encore plus riche en suggestions pour le cheminement et la mission de chacun de nous et de toute l’Église.

Nous célébrons l’Ascension comme une fête, et pourtant elle commémore la séparation de Jésus d’avec ses disciples et d’avec ce monde. Le Seigneur monte au Ciel, et la liturgie orientale raconte l’émerveillement des anges en voyant un homme qui, avec sa chair, s’élève à droite du Père. Cependant, alors que le Christ est sur le point de monter au ciel, les disciples - qui l’ont pourtant vu ressuscité - ne semblent pas encore avoir bien compris ce qui s’est passé. Jésus commence l’accomplissement de son Royaume, et ses disciples se perdent encore en conjectures. Ils lui demandent s’il va restaurer la royauté d’Israël (cf. Ac1, 6). Mais, lorsque le Christ les quitte, au lieu d'être tristes, ils retournent à Jérusalem "en grande joie", comme l'écrit Luc (cf. 24, 52). Ce fait serait étrange si quelque chose ne s'était pas passé. En fait, Jésus leur a déjà promis la force du Saint-Esprit, qui descendra sur eux à la Pentecôte. Ceci est le miracle qui change tout. Ils deviennent plus assurés lorsqu'ils confient tout au Seigneur. Ils sont pleins de joie. Et la joie en eux est la plénitude de la consolation, la plénitude de la présence du Seigneur.

Paul écrit aux Galates que la plénitude de joie des Apôtres n'est pas l'effet d’émotions qui procurent satisfaction et rendent joyeux. C'est une joie débordante qui ne peut être vécue que comme fruit et don du Saint-Esprit (cf. 5, 22). Recevoir la joie de l'Esprit est une grâce. Elle est la seule force que nous puissions avoir pour prêcher l'Évangile, pour professer la foi au Seigneur. La foi, c'est témoigner de la joie que le Seigneur nous donne. Une telle joie, personne ne peut se la donner à soi-même.

Avant de quitter ses disciples, Jésus leur a dit qu'il leur enverrait l'Esprit, le Consolateur. Ainsi, il a confié aussi à l'Esprit l'œuvre apostolique de l'Église, tout au long de l'histoire, jusqu'à son retour. Le mystère de l'Ascension, avec l'effusion de l'Esprit à la Pentecôte, imprime et transmet à la mission de l'Église son caractère génétique le plus intime à tout jamais: celui d’être l'œuvre du Saint-Esprit et non la conséquence de nos réflexions et intentions. C'est ce caractère qui la rend féconde et la préserve de toute autosuffisance présumée, de la tentation de prendre en otage la chair du Christ - monté au Ciel - en vue de ses propres projets cléricaux de pouvoir.

Lorsque, dans la mission de l'Église, on ne saisit pas et on ne reconnaît pas l'œuvre actuelle et efficace du Saint-Esprit, cela signifie que même les paroles de la mission - voire les plus exactes ou les plus réfléchies - ne sont plus que des "discours de sagesse humaine", utilisés pour se donner la gloire ou pour refouler et masquer ses déserts intérieurs.

LA JOIE DE L'ÉVANGILE

Le salut est la rencontre avec Jésus, qui nous aime et nous pardonne, en nous envoyant l'Esprit qui nous console et nous défend. Le salut n'est pas la conséquence de nos initiatives missionnaires, ni même de nos discours sur l'incarnation du Verbe. Le salut de chacun ne peut arriver que par le regard de la rencontre avec Lui, qui nous appelle. Pour cette raison, le mystère de la prédilection commence et ne peut commencer que dans un élan de joie, de gratitude. La joie de l'Évangile, cette "grande joie" des pauvres femmes qui, au matin de Pâques, étaient allées au Sépulcre du Christ et l'avaient trouvé vide; et qui, ayant rencontré les premières Jésus ressuscité, avaient couru le dire aux autres (cf. Mt 28, 8-10). C’est seulement de cette manière que le fait d’être choisis et aimés peut témoigner, par nos vies, la gloire du Christ ressuscité devant le monde entier.

Les témoins, dans toute situation humaine, sont ceux qui attestent ce qui a été fait par quelqu'un d'autre. Dans ce sens, et seulement dans ce sens, nous pouvons être témoins du Christ et de son Esprit. Après l'Ascension, comme le raconte la fin de l'Évangile de Marc, les Apôtres et les disciples «s’en allèrent prêcher en tout lieu. Le Seigneur agissait avec eux, confirmant la Parole par les signes qui l’accompagnaient" (16, 20). Le Christ, par son Esprit, donne son propre témoignage à travers les œuvres qu'il accomplit en nous et avec nous. L'Église - Saint Augustin l'expliquait déjà - ne prierait pas le Seigneur pour demander que la foi soit donnée à ceux qui ne connaissent pas le Christ, si elle ne croyait pas que c'est Dieu lui-même qui convertit et attire à lui les volontés des hommes; l’Eglise ne ferait pas prier ses enfants pour demander au Seigneur de persévérer dans la foi au Christ si elle ne croyait pas que le Seigneur a lui-même nos cœurs en son pouvoir. Car si l'Eglise lui demandait ces choses, mais pensait pouvoir se les donner à elle-même, cela voudrait dire que toutes ces prières ne sont pas authentiques mais sont des formules vides, des “manières de dire”, des convenances imposées par le conformisme ecclésiastique (cf. Le don de la persévérance. A Prosper et à Hilaire, 23, 63).

Si on ne reconnaît pas que la foi est un don de Dieu, même les prières que l'Église lui adresse n'ont aucun sens. Et on n'exprime à travers elles aucune passion sincère pour le bonheur et le salut des autres, et de ceux qui ne reconnaissent pas le Christ ressuscité, même si on consacre du temps à organiser la conversion du monde au christianisme.

C'est le Saint-Esprit qui enflamme et garde la foi dans les cœurs, et le fait de reconnaître cela change tout. En fait, c'est l'Esprit qui enflamme et anime la mission, il l’imprègne des connotations "génétiques", des accents et des mouvements singuliers qui font de l’annonce de l'Évangile et de la confession de la foi chrétienne une autre chose par rapport à tout prosélytisme politique ou culturel, psychologique ou religieux.

J'ai rappelé bon nombre de ces traits distinctifs de la mission dans l'Exhortation apostolique Evangelii gaudium. J'en reprends ici certains.

Attraction. Le mystère de la Rédemption est entré dans le monde et continue d'y opérer grâce à une attraction qui peut gagner le cœur des hommes et des femmes parce qu'elle est et semble plus attrayante que les séductions qui ont prise sur l'égoïsme, conséquence du péché. «Nul ne peut venir à moi si le Père qui m'a envoyé ne l'attire», dit Jésus dans l'Évangile de Jean (6, 44). L'Église a toujours répété que c'est pour cette raison qu’on suit Jésus et qu’on annonce son Évangile: la puissance d'attraction exercée par le Christ lui-même et par son Esprit. L'Église - a déclaré le Pape Benoît XVI - croît dans le monde par attraction et non par prosélytisme (cf. Homélie de la messe d'ouverture de la Cinquième Conférence Générale de l'Episcopat d'Amérique latine et des Caraïbes, Aparecida, 13 mai 2007: AAS 99 [2007], 437). Saint Augustin disait que le Christ se révèle à nous en nous attirant. Et, pour donner une image de cette attraction, il citait le poète Virgile, selon lequel chacun est attiré par ce qui lui plaît. Jésus non seulement convainc notre volonté, mais attire notre plaisir (Commentaire sur l'Évangile de Jean, 26, 4). Si l’on suit Jésus, heureux d'être attiré par lui, les autres le remarquent. Et ils peuvent s’en étonner. La joie qui transparaît chez ceux qui sont attirés par le Christ et par son Esprit, voilà ce qui peut rendre féconde et fructueuse chaque initiative missionnaire.

Gratitude et gratuité. La joie d'annoncer l'Évangile brille toujours sur fond d’une mémoire reconnaissante. Les Apôtres n'ont jamais oublié le moment où Jésus a touché leur cœur: «C’était environ la dixième heure, c’est-à-dire quatre heures du soir» (Jn1, 39). L'histoire de l'Église brille lorsque la gratitude se manifeste en elle pour l’initiative gratuite de Dieu, parce que «c'est lui qui nous a aimés» le premier (1 Jn 4, 10), parce que «c'est Dieu seul qui donne la croissance» (1 Co 3, 7). La prédilection aimante du Seigneur nous surprend et l'émerveillement, de par sa nature, ne peut pas être possédé ou imposé par nous. On ne peut pas “s’émerveiller par force”. Ce n'est que de cette manière que le miracle de la gratuité, du don gratuit de soi-même, peut s’accomplir. Même la ferveur missionnaire ne peut jamais être obtenue à la suite d'un raisonnement ou d'un calcul. Le fait de se mettre “en état de mission” est un reflet de la gratitude. C'est la réponse de celui qui par gratitude se rend docile à l'Esprit, et donc est libre. Sans percevoir la prédilection du Seigneur, qui nous rend reconnaissants, même la connaissance de la vérité, voire la connaissance même de Dieu, affichées comme une propriété à atteindre par ses propres forces, deviendrait en fait une "lettre qui tue" (cf. 2 Co 3, 6), comme l'ont montré in primis Saint Paul et Saint Augustin. Ce n'est que dans la liberté de la gratitude que l’on reconnait vraiment le Seigneur. A l’inverse, il est inutile et surtout inapproprié d'insister à présenter la mission et la proclamation de l'Évangile comme si elles étaient un devoir contraignant, une sorte “d'obligation contractuelle” des baptisés.

Humilité. Si la vérité et la foi, si le bonheur et le salut ne sont pas notre propriété, un objectif à atteindre par nos propres mérites, l'Évangile du Christ ne peut être annoncé qu'avec humilité. On ne peut jamais penser servir la mission de l'Église en faisant preuve d'arrogance en tant qu'individus et à travers les structures, avec l'orgueil de celui qui dénature même le don des sacrements et les paroles les plus authentiques de la foi chrétienne, les considérant comme un butin qu’il nous a mérité. On peut être humble non pas par bonne éducation, ni pour vouloir paraître attrayant. On est humble si on suit le Christ, qui a dit à ses disciples: «Apprenez de moi, que je suis doux et humble de cœur» (Mt 11, 29). Saint Augustin se demande pourquoi, après la résurrection, Jésus ne s'est fait voir qu’à ses disciples et non à ceux qui l'ont crucifié; et il répond que Jésus ne voulait pas donner l'impression de «défier ses assassins d'une manière ou d'une autre. En effet, il était plus important pour lui d'enseigner l'humilité à ses amis plutôt que d’exhiber la vérité à ses ennemis» (Discours 284, 6).

Faciliter, ne pas compliquer. Un autre trait de l'œuvre missionnaire authentique est celui qui fait référence à la patience de Jésus qui, aussi dans les récits de l'Évangile, a toujours accompagné les étapes de croissance des personnes avec miséricorde. Un petit pas, au milieu de grandes limites humaines, peut rendre le cœur de Dieu plus heureux que les grands pas de ceux qui avancent dans la vie sans grandes difficultés. Un cœur missionnaire reconnaît la condition réelle dans laquelle se trouvent les personnes réelles, avec leurs limites, leurs péchés, leurs faiblesses, et se fait « faible avec les faibles » (1 Co 9, 22). “Sortir” en mission pour atteindre les périphéries humaines ne signifie pas errer sans direction et sans sens, comme des vendeurs impatients qui se plaignent parce que les gens sont trop frustes et primitifs pour s'intéresser à leur marchandise. Il s'agit parfois de ralentir le rythme, pour accompagner ceux qui sont restés au bord de la route. Parfois, il faut imiter le père de la parabole du fils prodigue, qui laisse les portes ouvertes et scrute l'horizon chaque jour en attendant le retour de son fils (cf. Lc 15, 20). L'Église n'est pas une douane, et quiconque participe de quelque manière que ce soit à la mission de l'Église est appelé à ne pas ajouter des fardeaux inutiles à la vie déjà chargée des gens, à ne pas imposer des voies de formation sophistiquées et pénibles pour profiter de ce que le Seigneur donne avec facilité. Ne pas mettre d'obstacles au désir de Jésus, qui prie pour chacun de nous et veut guérir et sauver tout le monde.

Proximité dans la vie concrète. Jésus a rencontré ses premiers disciples sur les rives du lac de Galilée alors qu'ils étaient occupés par leur travail. Il ne les a pas rencontrés lors d'une convention, d'un séminaire de formation ou dans un temple. Depuis toujours, l'annonce du salut de Jésus atteint les gens là où ils sont et tels qu'ils sont, dans leur vie concrète. L'ordinaire de la vie de chacun, en participant aux besoins, aux espoirs et aux problèmes de tous, est le lieu et la condition dans lesquels ceux qui ont reconnu l'amour du Christ et ont reçu le don du Saint-Esprit peuvent rendre raison, à ceux qui le demandent, de la foi, de l'espérance et de la charité. Et cela, en marchant avec les autres, au côté de chacun. Surtout en ce temps-ci, il ne s'agit pas d'inventer des formations "réservées", de créer des mondes parallèles, de construire des bulles médiatiques dans lesquelles on fait écho à ses propres slogans, à ses propres déclarations d'intention, réduites à de rassurants "nominalismes déclaratifs". J'ai rappelé en d'autres circonstances, à titre d'exemple, que dans l'Église, il y en a qui continuent à lancer avec emphase le slogan: "C’est le temps des laïcs!", mais en attendant, l'horloge semble s'être arrêtée.

Le "sensus fidei" du Peuple de Dieu. Il y a une réalité dans le monde qui a une espèce de “flair” pour le Saint-Esprit et pour son action. C'est le Peuple de Dieu, appelé et aimé par Jésus, qui à son tour continue de Le chercher et d’avoir recours à Lui dans les soucis de la vie. Le Peuple de Dieu mendie le don de son Esprit: il confie son attente aux paroles simples des prières et ne s'installe jamais dans la présomption de son autosuffisance. Le saint Peuple de Dieu, rassemblé et oint par le Seigneur, est rendu infaillible "in credendo", en vertu de cette onction, comme l'enseigne la Tradition de l'Église. L'œuvre du Saint-Esprit confère au Peuple des fidèles un "instinct" de foi - le sensus fidei - qui l’aide à ne pas se tromper lorsqu'il croit aux choses de Dieu, même s'il ne connaît pas les raisonnements et les formules théologiques pour définir les dons qu'il expérimente. Le mystère du peuple pèlerin, qui, avec sa spiritualité populaire, marche vers les sanctuaires et se confie à Jésus, à Marie et aux saints, puise et se révèle connaturel à l’initiative libre et gratuite de Dieu, sans avoir à suivre des plans de mobilisation pastorale.

Prédilection pour les petits et les pauvres. Tout élan missionnaire, s’il est animé par le Saint-Esprit, manifeste une prédilection pour les pauvres et les petits comme signe et reflet de la préférence du Seigneur pour eux. Les personnes directement impliquées dans les initiatives et les structures missionnaires de l'Église ne devraient jamais justifier leur inattention aux pauvres avec l'excuse - largement utilisée dans certains cercles ecclésiastiques - de devoir concentrer leurs énergies sur les tâches prioritaires de la mission. La préférence pour les pauvres n'est pas une option facultative pour l'Église.

Les dynamiques et les approches décrites ci-dessus font partie de la mission de l'Église, animée par le Saint-Esprit. Habituellement, dans les déclarations et les discours ecclésiastiques, on reconnaît et on affirme la nécessité du Saint-Esprit comme source de la mission de l'Église. Mais, il arrive aussi que cette reconnaissance se réduise à une sorte “d'hommage formel” à la Très Sainte Trinité, à une formule conventionnelle d’introduction aux interventions théologiques et aux plans pastoraux. Il existe de nombreuses situations dans l'Église où la primauté de la grâce ne demeure qu'un postulat théorique, une formule abstraite. Il arrive que de nombreuses initiatives et instances liées à l'Église, au lieu de laisser transparaître l'œuvre du Saint-Esprit, finissent par n’être qu’autoréférentiels. De nombreuses structures ecclésiastiques, à tous les niveaux, semblent être en proie à l'obsession de se promouvoir elles-mêmes et leurs propres initiatives. Comme si tel était le but et l'horizon de leur mission.

Jusqu'à présent, j'ai voulu reprendre et proposer de nouveau les critères et les points d’attraction sur la mission de l'Église que j'avais déjà formulés de manière plus détaillée dans l'Exhortation apostolique Evangelii gaudium. Je l'ai fait parce que je pense qu'il est également utile et fructueux, voire urgent, pour les OPM de se mesurer avec ces critères et suggestions, à ce niveau de leur parcours.

LES OPM ET LE TEMPS PRÉSENT.
TALENTS À DÉVELOPPER, TENTATIONS ET MALADIES À ÉVITER

Vers quelle direction devons-nous regarder pour le présent et pour l'avenir des OPM? Quels obstacles risquent par contre d’en alourdir le cheminement?

Dans la physionomie, je dirais dans l'identité, des Œuvres Pontificales Missionnaires, on distingue quelques traits spécifiques - certains, pour ainsi dire, génétiques, et d'autres acquis au long du parcours historique - qui sont souvent négligés ou tenus pour sûrs. Or, précisément, ces traits peuvent sauvegarder et rendre précieuse, surtout à l'heure actuelle, la contribution de ce “réseau” à la mission universelle à laquelle toute l'Église est appelée.

- Les Œuvres Missionnaires sont nées spontanément de la ferveur missionnaire exprimée par la foi des baptisés. Il existe et demeure une consonance profonde, une familiarité entre les Œuvres Missionnaires et le sensus fidei infaillible in credendo du Peuple fidèle de Dieu.


- Les Œuvres Missionnaires, depuis le début, ont avancé en marchant sur deux “voies”, ou plutôt sur deux routes, toujours parallèles, qui, dans leur simplicité, ont toujours été familières au cœur du Peuple de Dieu: la voie de la prière et celle de la charité, sous la forme de l’aumône, qui «sauve de la mort et purifie de tout péché» (Tb 12, 9), la «charité fervente» qui «recouvre une multitude de péchés» (1P 4, 8). Les initiateurs des Œuvres Missionnaires, à commencer par Pauline Jaricot, n'ont pas inventé les prières et les œuvres à qui confier leurs désirs concernant la proclamation de l'Évangile, mais ils les ont simplement tirées du trésor inépuisable des gestes les plus familiers et habituels du Peuple de Dieu en marche dans l'histoire.


- Les Œuvres Missionnaires, nées de manière gratuite dans la vie du peuple de Dieu, de par leur configuration simple et concrète, ont été reconnues et estimées par l'Église de Rome et par ses Évêques, lesquels ont demandé, au siècle dernier, de pouvoir les adopter comme un instrument particulier du service rendu par elles à l'Église universelle. De cette façon, le qualificatif "Pontificales" a été attribué à ces Œuvres. Dès lors, les OPM se distinguent comme instrument de service en soutien aux Églises particulières, dans l’œuvre d’annonce de l'Évangile. De la même manière, les Œuvres Pontificales Missionnaires se sont offertes avec docilité comme instrument au service de l'Église, dans le ministère universel exercé par le Pape et par l'Église de Rome, qui "préside dans la charité". En ce sens, suivant leur propre chemin, et sans entrer dans des conflits théologiques complexes, les OPM ont contredit les arguments de ceux qui, même dans les cercles ecclésiastiques, opposent indûment charismes et institutions, lisant toujours les relations entre ces réalités à travers une "dialectique des principes"trompeuse ; alors que dans l'Église, même les éléments structurels permanents - tels que les sacrements, le sacerdoce et la succession apostolique - doivent être continuellement recréés par l’Esprit Saint et ne sont pas à la disposition de l'Église comme des biens acquis (cf. Card. J. RATZINGER, Les mouvements ecclésiaux et leur situation théologique. Discours à la Conférence mondiale des mouvements ecclésiaux, Rome, 27-29 mai 1998).

- Les Œuvres Missionnaires, depuis leur première diffusion, se sont structurées comme un réseau capillaire répandu dans le Peuple de Dieu, pleinement ancré et de fait "ajusté" au réseau des institutions antérieures et des réalités de la vie ecclésiale, telles que les diocèses, les paroisses, communautés religieuses. La vocation particulière des personnes impliquées dans les Œuvres Missionnaires n'a jamais été vécue et perçue comme une voie alternative, une appartenance “externe” par rapport aux formes de vie ordinaires des Églises particulières. L’invitation à prier et à collecter des fonds pour la mission a toujours été vécue comme un service à la communion ecclésiale.

- Les Œuvres Missionnaires, devenues au fil du temps un réseau étendu sur tous les continents, reflètent par leur configuration même la variété d’accents, de conditions, de problèmes et de dons qui caractérisent la vie de l'Église dans les différents lieux du monde. Une pluralité qui peut protéger contre les récupérations idéologiques et les unilatéralismes culturels. En ce sens, le mystère de l'universalité de l'Église peut également être vécu à travers les OPM, dans lesquelles le travail incessant du Saint-Esprit crée l'harmonie entre les différentes voix, tandis que l'Evêque de Rome, par son service de charité, exercé également par le biais des Œuvres Pontificales Missionnaires, garantit l'unité dans la foi.

Toutes les caractéristiques décrites jusqu'ici peuvent aider les Œuvres Pontificales Missionnaires à éviter les pièges et les pathologies qui entravent leur cheminement et celui de nombreuses autres institutions ecclésiales. Je voudrais en souligner quelques-uns.

PIÈGES À ÉVITER

Autoréférencialité. Au-delà des bonnes intentions des individus, certaines organisations et entités ecclésiales finissent parfois par se replier sur elles-mêmes, dépensant énergies et attention avant tout à leur autopromotion et à la célébration publicitaire de leurs initiatives. D'autres semblent être dominées par l'obsession de redéfinir continuellement leur importance et leurs espaces au sein de l'Église, avec la justification de vouloir mieux relancer leur mission. En conséquence - disait alors le cardinal Joseph Ratzinger - s’alimente la trompeuse idée qu'une personne est d'autant plus chrétienne qu'elle est plus engagée dans des structures intra-ecclésiales, alors qu'en réalité presque tous les baptisés vivent la foi, l'espérance et la charité dans leur vie ordinaire, sans jamais apparaître dans les comités ecclésiastiques et sans se soucier des derniers développements de politique ecclésiastique (cf. Une Société à réformer sans cesse, Conférence au Meeting de Rimini, 1er septembre 1990).

Souci de commander. Il arrive parfois que des institutions et des organismes, nés pour aider les communautés ecclésiales, en servant les dons suscités en eux par l’Esprit Saint, prétendent, au fil du temps, exercer la suprématie et les fonctions de contrôle sur les communautés qu’ils devraient servir. Cette attitude s’accompagne presque toujours de la présomption d’exercer envers les autres le rôle de “détenteurs” et dispensateurs de licences de légitimité. De fait, dans ces cas, on se comporte comme si l’Église était le fruit de nos analyses, de nos programmes, de nos accords et de nos décisions.

Élitisme. Parmi les personnes qui font partie d’organismes et de réalités organisées dans l’Église, s’installe souvent un sentiment élitiste, cette idée inavouée d’appartenir à une aristocratie; une classe supérieure de spécialistes qui cherche à élargir ses propres espaces en complicité ou en concurrence avec d’autres élites ecclésiastiques, et qui forme ses membres suivant les systèmes et les logiques mondains du militantisme ou de la compétence technico-professionnelle, toujours avec l’intention principale de promouvoir ses propres prérogatives oligarchiques.

Isolement du peuple. La tentation élitiste, dans certaines structures liées à l’Église, s’accompagne parfois d’un sentiment de supériorité et d’impatience à l’égard de la multitude des baptisés, envers le peuple de Dieu qui fréquente peut-être les paroisses et les sanctuaires, mais qui n’est pas composé de “militants” engagés dans des organisations catholiques. Dans ces cas, le peuple de Dieu est également considéré comme une masse inerte, qui a toujours besoin d’être relancée et mobilisée à travers une “prise conscience” à stimuler par des raisonnements, des rappels, des enseignements. On agit comme si la certitude de la foi était le résultat d’un discours de persuasion ou de méthodes de formation.

Abstraction. Des organismes et des réalités liés à l'Église, lorsqu'ils deviennent autoréférentiels, perdent contact avec la réalité et tombent dans la maladie de l'abstraction. On multiplie des lieux inutiles d'élaboration stratégique pour produire des projets et des lignes directrices qui ne servent qu’à l'autopromotion de leurs auteurs. Les problèmes pris en compte sont alors fractionnés dans des laboratoires intellectuels, où tout est maîtrisé et interprété selon les clés idéologiques préférées. Extrait du contexte réel, tout peut être transformé en simulacre, même les références à la foi, les appels verbaux à Jésus et au Saint-Esprit.

Fonctionnalisme. Les organisations autoréférentielles et élitistes, y compris dans l'Église, finissent souvent par tout miser sur l'imitation des modèles mondains d'efficacité, tels ceux imposés par la concurrence économique et sociale exacerbée. Le choix du fonctionnalisme garantit l'illusion de "résoudre les problèmes" avec équilibre, de garder les choses sous contrôle, d'augmenter sa propre importance, d'améliorer l'administration ordinaire de ce qui existe. Cependant, comme je vous l'ai déjà dit lors de notre rencontre de 2016, une Église qui a peur de compter sur la grâce du Christ et qui se concentre sur l'efficacité de son organisation est déjà morte, même si les structures et les programmes en faveur des clercs et des laïcs “auto-engagés” devaient durer des siècles.

CONSEILS POUR LE CHEMINEMENT

Regardant le présent et vers l'avenir, et en recherchant aussi dans le parcours des OPM les ressources pour surmonter les pièges qui se dressent sur leur cheminement afin d’avancer, je me permets de faire quelques suggestions pour aider votre discernement. Puisque vous vous êtes aussi engagés dans une voie de réexamen des OPM, que vous voulez inspiré par les indications du Pape, je propose à votre attention quelques critères et traits généraux, sans entrer dans les détails, étant donné que les différents contextes peuvent requérir des adaptations et des variations.

1) Autant que possible, et sans faire trop de conjectures à ce sujet, maintenez ou redécouvrez l’insertion des OPM au sein du Peuple de Dieu, leur ajustement dans la trame de la vie réelle dans laquelle elles sont nées. Une plus profonde "immersion" dans la vie réelle des personnes telles qu’elles sont fera du bien. Cela fait du bien à chacun de sortir du renfermement de ses problématiques personnelles, lorsqu’on suit Jésus. Il faut descendre dans les circonstances et les conditions concrètes, même en veillant ou en essayant de réintégrer la capillarité de l'action et des contacts des OPM, dans son entrelacement avec le réseau ecclésial (diocèses, paroisses, communautés, groupes). En privilégiant l’ajustement au Peuple de Dieu, avec ses lumières et ses difficultés, on échappe mieux au piège de l'abstraction. Il faut répondre à des questions et à des besoins réels, plutôt que de formuler et de multiplier des propositions. Peut-être dans le corps à corps avec la vie concrète, et non pas à partir des cercles fermés ou des analyses théoriques sur leurs dynamiques internes, des intuitions utiles pourraient surgir pour changer et améliorer leurs procédures de fonctionnement, en les adaptant aux différents contextes et circonstances.

2) Je suggère de veiller à ce que la structure essentielle des OPM reste celle liée aux pratiques de la prière et de la collecte de fonds pour la mission. Cette structure est précieuse et chère précisément en raison de sa nature simple et concrète. Elle exprime l'affinité des OPM avec la foi du Peuple de Dieu. Avec toute la flexibilité et les adaptations requises, il convient que cette conception de base des OPM ne soit pas oubliée ou déformée. Prières au Seigneur car c’est lui qui ouvre les cœurs à l'Évangile, et invitations à tous afin qu'ils soutiennent aussi concrètement l'œuvre missionnaire: il y a en cela une simplicité et un caractère concret que chacun peut ressentir avec plaisir en ce temps présent où, même dans les circonstances du fléau de la pandémie, se fait sentir partout le désir de trouver et de rester proche de tout ce qu’est simplement l’Église. Recherchez donc de nouvelles voies, de nouvelles formes pour votre service; mais, ce faisant, il n'est pas nécessaire de compliquer ce qui est simple.

3) Les OPM sont et doivent être vécues comme un instrument au service de la mission dans les Eglises particulières, dans l'horizon de la mission de l'Eglise qui embrasse toujours le monde entier. En cela réside leur contribution toujours précieuse pour l’annonce de l'Évangile. Nous sommes tous appelés à sauvegarder, par amour et gratitude, même à travers vos œuvres, les germes de la vie théologale que l'Esprit du Christ fait éclore et croître où il veut, même dans les lieux désertiques. S'il vous plaît, dans la prière, demandez d'abord au Seigneur de nous rendre tous davantage prêts à saisir les signes de son œuvre, pour ensuite les faire connaître au monde entier. Seul ceci peut être utile: demander pour nous, pour le fond de notre cœur, que l'invocation du Saint-Esprit ne se réduise pas à un postulat stérile et redondant de nos rencontres et homélies. Il n'est pas utile de spéculer et de théoriser sur de super stratégies ou sur les "directives centralisées" de la mission, à qui confier, comme à des "gardiens" présumés et immodestes de dimension missionnaire de l’Eglise, la tâche de réveiller l'esprit missionnaire ou de donner aux autres des licences pour la mission. Si dans certaines situations la ferveur de la mission diminue, c'est le signe que la foi faiblit. Dans ces cas, la prétention à raviver la flamme qui s'éteint par des stratégies et des discours finit par l'affaiblir encore plus, et ne fait que faire avancer le désert.

4) De par sa nature, le service assuré par les OPM permet aux opérateurs d’entrer en contact avec d'innombrables réalités, situations et événements qui font partie du grand flux de la vie de l'Église dans tous les continents. Dans ce flux, on peut tomber sur de nombreuses pesanteurs et scléroses qui accompagnent la vie ecclésiale, mais aussi sur des dons gratuits de guérison et de consolation que le Saint-Esprit répand dans la vie quotidienne de ce que l'on pourrait appeler la "classe moyenne de sainteté". Quant à vous, réjouissez-vous et exultez de joie à cause des rencontres que vous expérimentez grâce au travail des OPM, vous laissant surprendre par ces rencontres. Je pense aux récits entendus de tant de miracles qui se produisent chez les enfants, qui rencontrent peut-être Jésus à travers les initiatives proposées par l'Enfance missionnaire. C'est pourquoi votre travail ne doit jamais être “stérilisé” dans une dimension exclusivement bureaucratico-professionnelle. Il ne peut pas y avoir de bureaucrates ou de fonctionnaires de la mission. Votre gratitude peut à son tour devenir un don et un témoignage pour tout le monde. Vous pouvez raconter pour le réconfort de tous, par les moyens dont vous disposez et sans artifice, les histoires de personnes et de communautés que vous pouvez rencontrer avec plus de facilité que d'autres; des personnes et des communautés sur lesquelles brille gratuitement le miracle de la foi, de l'espérance et de la charité.

5) La gratitude devant les merveilles que le Seigneur opère parmi ses bien-aimés, les pauvres et les petits auxquels il révèle les choses tenues cachées aux sages (cf. Mt 11, 25-26), peut aussi vous permettre d'échapper plus facilement aux pièges des replis autoréférentiels, et de sortir de soi, en suivant Jésus. L'idée d'une activité missionnaire autoréférentielle qui passe son temps à contempler ses propres initiatives et à s'auto-encenser serait en soi absurde. Ne perdez pas trop de temps et d’énergies à vous "regarder dans la glace", à élaborer des plans autocentrés sur des mécanismes internes, sur la fonctionnalité et les compétences de votre structure. Portez votre regard à l’extérieur, ne vous regardez pas dans le miroir. Brisez tous les miroirs de la maison. Les critères à suivre, même dans la mise en œuvre des programmes, doivent viser à alléger, à assouplir les structures et les procédures, plutôt qu'à alourdir le réseau des OPM avec d'autres éléments organisationnels. Par exemple, chaque Directeur national, au cours de son mandat, devrait s'engager à identifier quelques potentiels successeurs, en ayant comme seul critère celui de ne pas choisir des personnes de son cercle d'amis ou les membres de sa "coterie" ecclésiastique, mais plutôt des personnes qui lui semblent avoir plus de ferveur missionnaire que lui.

6) Concernant la collecte de fonds pour aider la mission, à l'occasion de nos précédentes rencontres j'avais rappelé le risque de transformer les OPM en une ONG entièrement consacrée à la recherche et à la distribution de fonds. Cela dépend du cœur avec lequel on fait les choses, plutôt que des choses que l’on fait. Dans la collecte de fonds, il peut certainement être conseillé et même approprié d'utiliser avec créativité des méthodologies mises à jour pour trouver des financements auprès d’éventuels mécènes méritants. Mais si, dans certaines régions, la collecte de dons diminue, notamment en raison de la perte de la mémoire chrétienne, dans ces cas, la tentation peut nous venir de vouloir résoudre le problème en “couvrant” la réalité et en se focalisant sur un système de collecte plus efficace qui va à la recherche de grands donateurs. Au contraire, la souffrance pour la perte de foi et la baisse des fonds ne devrait pas être occultée, elle doit être placée entre les mains du Seigneur. De toute façon, il est bon que la demande d'offrandes pour les missions soit toujours adressée prioritairement à la multitude des baptisés, en se concentrant également d'une manière nouvelle sur la collecte pour les missions qui est effectuée dans les églises de tous les pays en octobre, à l'occasion de la Journée Missionnaire Mondiale. L'Église a avancé depuis toujours grâce aussi à l'offrande de la veuve, à la contribution de toutes ces innombrables personnes qui se sentent guéries et réconfortées par Jésus et qui, pour cette raison, débordant de gratitude, donnent ce qu'elles ont.

7) En ce qui concerne l'utilisation des dons reçus, examinez toujours, avec un sensus Ecclesiae approprié, la redistribution des fonds qui soutiennent les structures et les projets qui mènent à bien, de manières variées, la mission apostolique et l’annonce de l'Évangile dans diverses parties du monde. Tenez toujours compte de véritables besoins essentiels des communautés, et évitez en même temps les formes d'assistance qui, au lieu d'offrir des outils à la ferveur missionnaire, finissent par refroidir les cœurs et alimenter des phénomènes de clientélisme parasitaire, aussi dans l'Église. Par votre contribution, visez à donner des réponses concrètes à des besoins objectifs, sans gaspiller les ressources dans des initiatives caractérisées par l'abstraction, l'autoréférentialité ou nées du narcissisme clérical de l’un ou de l’autre. Ne cédez pas aux complexes d'infériorité ou aux tentations d'émulation envers ces organisations super-fonctionnelles qui collectent des fonds pour des causes justes, utilisées ensuite, pour un bon pourcentage, afin de financer leur propre fonctionnement et faire la publicité de leur marque. Même cela devient parfois un moyen de prendre soin de ses propres intérêts, tout en montrant qu’on travaille pour le bien des pauvres et des nécessiteux.

8) Quant aux pauvres, ne les oubliez pas vous non plus. Telle était la recommandation que, au Concile de Jérusalem, les Apôtres Pierre, Jean et Jacques ont donnée à Paul, Barnabé et Titus, venus discuter de leur mission parmi les incirconcis: «Ils nous ont seulement demandé de songer aux pauvres» (Ga 2, 10). Après cette recommandation, Paul a organisé des collectes en faveur des frères de l'Église de Jérusalem (cf. 1 Co 16, 1). La prédilection pour les pauvres et les petits fait partie de la mission d'annoncer l'Évangile depuis le début. Les œuvres de charité spirituelle et corporelle envers eux témoignent d'une "préférence divine" qui défie la vie de foi de tous les chrétiens, appelés à avoir les mêmes sentiments que Jésus (cf. Ph 2, 5).

9) Que les OPM, avec leur réseau répandu dans le monde entier, reflètent la riche variété du "peuple aux mille visages" rassemblé par la grâce du Christ, avec sa ferveur missionnaire. Une ferveur qui n'est pas, toujours et partout, intense et vive de la même manière. En tout cas, en partageant la même urgence à confesser le Christ mort et ressuscité, elle s’exprime avec des accents différents, s'adaptant aux différents contextes. La révélation de l'Évangile ne s’identifie à aucune culture. Aussi, dans la rencontre de nouvelles cultures qui n'ont pas reçu la prédication chrétienne, il n’est pas nécessaire d’imposer une forme culturelle spécifique avec la proposition évangélique. Aujourd'hui, même dans le travail des OPM, il ne convient pas de porter de lourds bagages; il vaut mieux que ces Œuvres gardent leur profil varié et leur référence commune aux traits essentiels de la foi. La prétention de standardiser la forme de l'annonce peut être aussi préjudiciable à l'universalité de la foi chrétienne, en se concentrant entièrement sur des clichés et des slogans à la mode dans quelques cercles de certains pays culturellement ou politiquement dominants. À cet égard, la relation spéciale qui unit les OPM au Pape et à l'Église de Rome représente également une ressource et un soutien à la liberté, qui aide tous à échapper aux modes éphémères, aux nivellements des écoles de pensée unilatérale ou aux uniformisations culturelles d’empreinte néo-colonialiste. Des phénomènes qui se produisent malheureusement même dans des contextes ecclésiaux.

10) Les OPM ne sont pas une entité en soi dans l'Église, suspendue dans le vide. Elles en font partie. Parmi leurs spécificités, qui doivent toujours être cultivées et renouvelées, figure le lien spécial qui les unit à l'Evêque de l'Église de Rome, qui préside à la charité. Il est beau et réconfortant de reconnaître que ce lien se manifeste dans un travail accompli dans la joie, sans rechercher des applaudissements ni afficher des prétentions. Une œuvre qui, dans sa gratuité même, se relie au service du Pape, serviteur des serviteurs de Dieu. Je vous demande que le caractère distinctif de votre proximité avec l'Évêque de Rome consiste précisément en ceci: le partage de l'amour de l'Église, reflet de l'amour envers le Christ, vécu et exprimé en silence, sans s’enfler, sans marquer "ses propres territoires". Par un travail de chaque jour qui puise dans la charité et dans son mystère de gratuité; par un travail qui soutient d'innombrables personnes qui sont intérieurement reconnaissantes, mais ne savent même pas qui remercier, car ne connaissant rien des OPM, pas même le nom. Le mystère de la charité dans l'Église se réalise de cette manière. Continuons d'avancer ensemble, heureux de marcher au milieu des épreuves grâce aux dons et aux consolations du Seigneur. Cependant, à chaque étape, reconnaissons dans la joie de n’être tous que des serviteurs inutiles, à commencer par moi.

CONCLUSION

Allez avec enthousiasme: au long du cheminement qui vous attend, il y a beaucoup de choses à faire. S'il y a des changements à apporter dans les procédures, il est bon qu'ils visent à alléger, et non à augmenter les poids; qu’ils visent à faire gagner en flexibilité opérationnelle, et non à produire de nouveaux systèmes rigides et toujours menacés d’introversion. Ayez à l'esprit qu'une centralisation excessive, au lieu d'aider, peut compliquer la dynamique missionnaire. Et aussi, une articulation des initiatives à l’échelle purement nationale met en péril la physionomie même du réseau des OPM, tout comme l'échange de dons entre Églises et communautés locales, vécu comme le fruit et le signe tangible de charité entre frères, en communion avec l'Evêque de Rome.

Dans tous les cas, demandez toujours que toute considération concernant la structure opérationnelle des OPM soit éclairée par la seule chose nécessaire: un peu d'amour vrai pour l'Église, comme reflet de l'amour pour le Christ. Votre travail est un service rendu à la ferveur apostolique, c'est-à-dire à un élan de vie théologale que seul le Saint-Esprit peut opérer dans le Peuple de Dieu. Quant à vous, pensez à bien faire votre travail «comme si tout dépendait de vous, sachant qu'en réalité tout dépend de Dieu» (Saint Ignace de Loyola). Comme je vous l'ai déjà dit lors d'une rencontre, ayez la promptitude et la disponibilité de Marie. Lorsqu'elle est allée voir Elisabeth, Marie n'a pas agi à titre personnel: elle est allée en tant que servante du Seigneur Jésus qu'elle portait dans ses entrailles. Elle n'a rien dit d'elle-même, elle n'a fait que porter le Fils et louer Dieu. Ce n’était pas elle la protagoniste. Elle est allée comme la servante du seul protagoniste de la mission. Mais elle n'a pas perdu de temps, elle est allée en toute hâte pour assister sa parente. Elle nous enseigne cette disponibilité, cette promptitude, cette hâte de la fidélité et de l'adoration.

Que la Vierge vous garde, vous et les Œuvres Pontificales Missionnaires, et que son Fils, Notre Seigneur Jésus-Christ, vous bénisse. Avant de monter au Ciel, il nous a promis d'être toujours avec nous. Jusqu'à la fin des temps.

Donné à Rome, près Saint Jean de Latran, le 21 mai 2020, Solennité de l'Ascension du Seigneur

FRANÇOIS

[00656-FR.01] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

When they had come together, they asked him, “Lord, will you at this time restore the kingdom to Israel?” He said to them, “It is not for you to know times or seasons which the Father has fixed by his own authority. But you shall receive power when the Holy Spirit has come upon you; and you shall be my witnesses in Jerusalem and in all Judea and Samaria and to the end of the earth”. When he had said this, as they were looking on, he was lifted up, and a cloud took him out of their sight (Acts 1:6-9).

The Lord Jesus, after he spoke to them, was taken up into heaven and took his seat at the right hand of God. Nonetheless, they went forth and preached everywhere, while the Lord worked with them and confirmed the word through accompanying signs (Mk 16:19-20).

Then he led them [out] as far as Bethany, raised his hands, and blessed them. As he blessed them, he parted from them and was taken up to heaven. They did him homage and then returned to Jerusalem with great joy, and they were continually in the temple praising God (Lk 24:50-53).

* * *

Dear brothers and sisters,

This year I had decided to participate in your annual General Assembly on Thursday, 21 May, the feast of the Ascension of the Lord. The Assembly was subsequently cancelled because of the pandemic that affects us all. I would now like to send this Message in order to share what I had intended to say to you personally. This Christian feast, in the remarkable times in which we are living, appears to me even more fruitful as a source of reflection for the journey and mission belonging to each one of us and to the entire Church.

We celebrate the Ascension as a feast, yet it commemorates the departure of Jesus from his disciples and from this world. The Lord ascends to heaven and the Eastern liturgy narrates the astonishment of the angels in seeing a man who in his flesh rises to be seated at the right hand of the Father. Even so, while Christ is at the point of ascending to heaven, the disciples, who had seen him risen, still do not seem to understand what is happening. He is about to bring his Kingdom to fulfilment and they are still caught up in their own ideas. They ask him if he is going to restore the kingdom to Israel (cf. Acts 1:6). Yet, when Christ leaves them, instead of being sad, they return to Jerusalem “with great joy”, as Luke tells us (cf. 24:52). It would be odd if something had not occurred. Indeed, Jesus had already promised them the power of the Holy Spirit, who was to descend upon them at Pentecost. This is the miracle that changes everything. They become more confident when they entrust everything to the Lord. They are filled with joy. Moreover, that joy is the fullness of consolation, the fullness of the presence of the Lord.

Paul writes to the Galatians that the Apostles’ fullness of joy is not the effect of pleasant feelings that make them happy. It is an overflowing joy that can only be experienced as a fruit and gift of the Holy Spirit (cf. 5:22). Receiving the joy of the Spirit is a grace. Moreover, it is the only force that enables us to preach the Gospel and to confess our faith in the Lord. Faith means bearing witness to the joy that the Lord gives to us. A joy such as this cannot be the result of our own efforts.

Jesus told his disciples that he would send them the Spirit, the Comforter, prior to his departure. In this way, he also entrusted the apostolic work of the Church to the Spirit for all time, until his return. The mystery of the Ascension, together with the outpouring of the Spirit at Pentecost, indelibly marks the mission of the Church: it is the work of the Holy Spirit and not the consequence of our ideas and projects. This is the feature that makes missionary activity bear fruit and preserves it from the presumption of self-sufficiency, much less the temptation to commandeer Christ’s flesh, ascended to heaven, for narrowly “clerical” projects and aims.

When the ongoing work and efficacy of the Holy Spirit is not appreciated in the Church’s mission, it means that even the most carefully chosen missionary language becomes like “words of human wisdom” aimed at glorifying oneself or concealing one’s own interior deserts.

THE JOY OF THE GOSPEL

Salvation is an encounter with Jesus, who loves and forgives us by sending the Spirit who comforts and defends us. Salvation is not the consequence of our missionary initiatives nor of our talking about the incarnation of the Word. For each one of us, salvation can take place only through the lens of an encounter with the one who calls us. For this reason, the mystery of predilection begins and can only begin with an outburst of joy and gratitude. The joy of the Gospel is that “great joy” of the poor women who on Easter morning went to the tomb of Christ, found it empty, then encountered the risen Jesus and raced home to tell the others (cf. Mt 28:8-10). Only because we have been chosen and singled out can we bear witness to the glory of the risen Christ before the entire world.

In every human context witnesses are those who vouch for what someone else has done. In this sense, and only in this sense, can we be witnesses of Christ and his Spirit. As described in the conclusion of the Gospel of Mark, after the Ascension the apostles and disciples “went forth and preached everywhere, while the Lord worked with them and confirmed the word through accompanying signs” (16:20). By his Spirit, Christ testifies to himself through the works that he fulfils in and with us. As Saint Augustine explains, the Church would not pray to the Lord to ask that faith be given to those who do not know Christ unless she believed that it is God himself who directs and draws our wills towards himself. The Church would not make her children pray to the Lord to persevere in the faith of Christ if she did not believe that it is the Lord himself who possesses our hearts. Indeed, if she asked him for these things, but thought that she could give them to herself, it would mean that all her prayers would be empty words, rote formulas or platitudes imposed by ecclesiastical custom rather than authentic prayer (cf. On the Gift of Perseverance. To Prosper and Hilary, 23, 63).

Unless we realize that faith is a gift of God, even the prayers which the Church raises to God are meaningless. Nor do they reflect a sincere passion for the happiness and salvation of others and for those who do not recognize the risen Christ, however much time we may spend on planning for the conversion of the world to Christianity.

If we recognize that the Holy Spirit ignites and preserves the faith in our hearts, everything changes. Indeed, the Spirit enkindles and enlivens the Church’s mission, bestowing all those individual accents and styles that make the proclamation of the Gospel and the confession of the Christian faith something different from all political, cultural, psychological or religious forms of proselytism.

I considered many of these features of mission in my Apostolic Exhortation Evangelii Gaudium, and here I shall recall a few of them.

Attractiveness. The mystery of the Redemption entered into and continues to work in the world through an attraction that can draw the hearts of men and women because it is and appears more alluring than the seductions which appeal to the selfishness that is a result of sin. As Jesus says in the Gospel of John, “No one can come to me unless the Father who sent me draw him” (6:44). The Church has always insisted that this is the reason why we follow Jesus and proclaim his Gospel: through the force of attraction wrought by Christ himself and by his Spirit. The Church, as Pope Benedict XVI has said, grows in the world through attraction and not through proselytism (cf. Homily, Mass for the Inauguration of the Fifth General Conference of the Bishops of Latin America and the Caribbean, Aparecida, 13 May 2007: AAS 99 [2007], 437). Saint Augustine says that Christ reveals himself by attracting us. Moreover, he cites the poet Virgil, who states that all are attracted to what gives them pleasure. Jesus does not just persuade our wills, but awakens our pleasure (Commentary on the Gospel of John, 26, 4). If one follows Jesus, happy to be attracted by him, others will take notice. They may even be astonished. The joy that radiates from those attracted by Christ and by his Spirit is what can make any missionary initiative fruitful.

Gratitude and Gratuitousness. The joy of proclaiming the Gospel always shines brightly against the backdrop of a grateful memory. The Apostles never forgot the moment that Jesus touched their hearts: “It was about four in the afternoon” (Jn 1:39). The reality of the Church shines forth whenever gratitude is manifested within her by the free initiative of God, for “he loved us” first (1 Jn 4:10) and “it is only God who gives the growth” (1 Cor 3:7). The loving predilection of God surprises us, and surprise by its very nature cannot be owned or imposed by us. One cannot be “necessarily surprised”. Only in this way can the miracle of gratuitousness, the gratuitous gift of self, blossom. Nor can missionary fervour ever be obtained as the result of reasoning or calculation. To be “in a state of mission” is a reflection of gratitude. It is the response of one who by gratitude is made docile to the Spirit and is therefore free. Without a recognition of the predilection of the Lord, who inspires gratitude in us, even knowledge of the truth and of God himself would, presented as a goal to be achieved by our own efforts, in fact become a “letter that brings death” (cf. 2 Cor 3:6), as Saint Paul and Saint Augustine were the first to point out. Only in the freedom of gratitude can one truly know the Lord, whereas it is useless and above all improper to insist on presenting missionary activity and the proclamation of the Gospel as if they were a binding duty, a kind of “contractual obligation” on the part of the baptized.

Humility. Since truth and faith, happiness and salvation are not our own possessions, a goal achieved by our own merits, then the Gospel of Christ can be proclaimed with humility. One can never think of serving the Church’s mission by employing arrogance as individuals and through bureaucracies, with the pride of one who misunderstands even the gift of the sacraments and the most authentic words of the Christian faith, seeing them as merited rewards. One cannot be humble out of good manners or the desire to appear attractive. We are humble when we follow Christ, who said to his disciples: “Learn from me, for I am meek and humble of heart” (Mt 11:29). Saint Augustine asks why, after the resurrection, Jesus let himself be seen by his disciples and not by those who had crucified him, concluding that Jesus did not want to give the impression of “challenging his killers in some way. For Jesus, it was actually more important to teach humility to his friends, rather than uphold the truth before his enemies” (Sermon 284, 6).

To facilitate, not to complicate. Another authentic feature of missionary work is its imitation of the patience of Jesus, who always showed mercy to others as they continued to grow. A small step forward in the midst of great human limitations can be more pleasing before God than the great strides made by those who go through life without great difficulties. A missionary heart recognizes the real condition of real people, with their own limits, sins and frailties in order to become “weak among the weak” (cf. 1 Cor 9:22). “Going forth” on mission to reach human peripheries does not mean wandering without direction and meaning, like those frustrated vendors who complain that people are too unsophisticated to be interested in their wares. Sometimes this means slowing our pace in order to lead a person who is still by the wayside. At times this means imitating the father in the parable of the prodigal son, who leaves the doors open and looks out each day awaiting the return of his son (cf. Lk 15:20). The Church is not a customs office and anyone who participates in the mission of the Church is called not to impose unnecessary burdens on people already worn out or to require demanding programmes of formation in order to enjoy what the Lord gives easily, or to erect obstacles to the will of Jesus, who prays for each of us and wants to heal and save everyone.

Proximity to life “in progress”. Jesus met his first disciples on the shore of the Sea of Galilee while they were focused on their work. He did not meet them at a convention, a training workshop, or in the Temple. It has always been the case that the proclamation of Jesus’ salvation reaches people right where they are and just how they are in the midst of their lives in progress. Amid the needs, hopes and problems of everyday life we find the place where one who has acknowledged the love of Christ and received the gift of the Holy Spirit can offer an account of his or her faith, hope, and charity to those who ask for it. By journeying together with others, alongside everyone. Especially given the times in which we live, this has nothing to do with designing “specialized” training programmes, creating parallel worlds, or constructing “slogans” that merely echo our own thoughts and concerns. I have elsewhere spoken of those in the Church who proclaim loudly that “this is the hour of the laity”, while in the meantime the clock seems to have stopped.

The “sensus fidei” of the People of God. There is one reality in the world that has a kind of “feel” for the Holy Spirit and his workings. It is the People of God, called and loved by Jesus, who for their part continue to seek him amid the difficulties of their lives. The People of God beg for the gift of his Spirit: entrusting their expectation to the simple words of their prayers and never entertaining the presumption of their own self-sufficiency. The holy People of God are gathered together and anointed by the Lord, and in virtue of this anointing are made infallible “in credendo”, as the Tradition of the Church teaches. The working of the Holy Spirit equips the faithful People with an “instinct” of faith, the sensus fidei, which helps them not to err when believing the things of God, even if they do not know the theological arguments and formulas that define the gifts they experience. The mystery of the pilgrim people, who with their popular piety travel to shrines and entrust themselves to Jesus, Mary and the saints, draws from this and shows that it is connatural to the free and gratuitous initiative of God, apart from our pastoral planning.

A special care for the little ones and the poor. Any missionary impulse, if derived from the Holy Spirit, manifests predilection for the poor and vulnerable as a sign and reflection of the Lord’s own preference for them. Those directly involved with the Church’s missionary initiatives and structures should never justify their lack of concern for the poor with the excuse, widely used in particular ecclesiastical circles, of having to concentrate their energies on certain priorities for the mission. For the Church, a preference for the poor is not optional.

All these demands and approaches are part of the Church’s mission, guided by the Holy Spirit. Normally, in ecclesiastical language and speech, the necessity of the Holy Spirit as the source of the Church’s missionary activity is acknowledged and affirmed. Yet this acknowledgement can at times be reduced to a type of “ceremonial nod” to the Most Holy Trinity, a stock introductory preface to our theological discussions and pastoral plans. There are many situations in the Church where the primacy of grace appears to be no more than a theoretical concept or an abstract formulation. Instead of leaving room for the working of the Holy Spirit, many initiatives and entities connected to the Church end up being concerned only with themselves. Many ecclesiastical establishments, at every level, seem to be swallowed up by the obsession of promoting themselves and their own initiatives, as if that were the objective and goal of their mission.

To this point, I have sought to reiterate criteria and starting points for the missionary activity of the Church that I explained in greater detail in my Apostolic Exhortation Evangelii Gaudium. I have done so because I believe that for the PMS it is beneficial and fruitful – and indeed urgently necessary – to discuss these criteria and suggestions in this stage of their journey.

THE PMS AT THE PRESENT TIME.
TALENTS TO DEVELOP, TEMPTATIONS AND MALADIES TO AVOID

Where should we look in considering the present and future of the PMS? What are the dead weights that risk burdening the journey?

The identity of the Pontifical Mission Societies has certain hallmarks. In a manner of speaking, some are genetic, whereas others have developed through a lengthy historical process and are often overlooked or taken for granted. Yet these features can safeguard and enhance, above all in the present time, the contribution of this “network” to the universal mission to which the entire Church is called.

- The Missionary Societies arose spontaneously from missionary fervour expressed by the faith of the baptized. There has always been a deep relationship between the Missionary Societies and the infallible sensus fidei in credendo of the faithful People of God.

- The Missionary Societies, since their beginning, have moved along two “tracks”, or better along two parallel channels, that in their simplicity have always been close to the heart of the People of God: those of prayer and of charity in the form of almsgiving which “saves from death, and purges all sin” (Tob 12:9), the “intense love” that “covers a multitude of sins” (1 Pet 4:8). The founders of the Mission Societies, beginning with Pauline Jaricot, did not invent the prayers and works to which they entrusted their hopes for the proclamation of the Gospel. They simply drew them from the infinite treasury of those familiar and habitual gestures of the People of God on its pilgrimage through history.

- The Mission Societies, which arose spontaneously from the life of the People of God, in their simple and concrete configuration were recognized by the Church of Rome and her Bishops, who in the last century sought to adopt them as a unique expression of their own service to the universal Church. Hence the title “Pontifical” was conferred upon these Societies. From that time on, the PMS have always shown themselves to be an instrument of service in support of the particular Churches in the work of proclaiming the Gospel. In this same way, the Pontifical Mission Societies have readily served the Church as part of the universal ministry exercised by the Pope and by the Church of Rome, which “presides in charity”. In this way, carrying out their work and without becoming embroiled in complex theological disputes, the PMS have countered the claims of those who, also in ecclesiastical circles, wrongly contrast charisms and institutions, reading their relationship through the lens of a fallacious “dialectic of principles”. For in the Church even permanent structural elements, such as the sacraments, the priesthood, and apostolic succession are continuously to be recreated by the Holy Spirit and are not simply realities at the Church’s disposal (cf. Card. J. Ratzinger, The Theological Locus of Ecclesial Movements, Address given at the World Congress of Ecclesial Movements, Rome, 27-29 May 1998).

- The Missionary Societies, since their initial diffusion, have been structured as a widespread network spread throughout the People of God, wholly anchored and indeed “immanent” in the network of preexisting institutions and realities in the Church’s life, such as dioceses, parishes, and religious communities. The particular vocation of persons engaged in the Missionary Societies has never been lived or perceived as an alternative path, a relationship “external” to the ordinary forms of the life of the particular Churches. The summons to pray and gather resources for the missions has always been exercised as a service to ecclesial communion.

- The Missionary Societies, which in time became a network spread throughout the world, mirror in their own configuration the variety of accents, situations, problems, and gifts that characterize the life of the Church in the various parts of the world. This plurality can serve as a safeguard against ideological homogenization and cultural unilateralism. In this sense, the PMS reflect the mystery of the universality of the Church, in which the incessant work of the Holy Spirit creates harmony from different voices, even as the Bishop of Rome, in his service of charity, exercised also through the Pontifical Mission Societies, safeguards unity in faith.

All the characteristics described above can help the Pontifical Mission Societies to avoid certain pitfalls and pathologies on their journey and that of many other ecclesial institutions. Let me present a few of these.

PITFALLS TO AVOID

Self-absorption. Church organizations and agencies, quite apart from the good intentions of their individual members, sometimes end up turning in on themselves, devoting energy and attention primarily to promoting themselves and to advertising their own initiatives. Some seem to be dominated by an obsession to continually redefine their own importance and their own bailiwicks within the Church, under the guise of relaunching their specific mission. In this way, as Cardinal Joseph Ratzinger once said, they can foster the misleading idea that a person is somehow more Christian if he or she is occupied with intra-ecclesial structures, whereas in reality nearly all the baptized are daily living lives of faith, hope, and charity, without ever participating in Church committees or concerned for the latest news about ecclesiastical politics (cf. Una compagnia sempre riformanda, Speech at the IX Meeting in Rimini, 1 September 1990).

Control anxiety. Institutions and agencies sometimes set out to help ecclesial communities by employing the gifts generated in them by the Holy Spirit, yet over time they presume to exercise supremacy and control over the very communities they are meant to serve. This attitude is almost always accompanied by the claim that they are exercising the role of “overseers” called to determine the legitimacy of other groups. They end up acting as if the Church was a product of our own calculations, plans, agreements and decisions.

Elitism. An elitist feeling, the unspoken notion of belonging to an aristocracy, takes hold at times among those who are part of groups and organized institutions in the Church: a superior class of specialists who strive to increase their own influence in collusion or in competition with other ecclesiastical elites, and train their members according to secular notions of activism or technical-professional competence, but always with the main goal of promoting their own oligarchic privileges.

Isolation from the people. The elitist temptation in some organizations connected to the Church can be accompanied at times by a sentiment of superiority and of intolerance towards the rest of the baptized, towards the people of God who may attend parishes and visit shrines, but are not “activists” busy in Catholic organizations. The People of God is viewed as an inert mass, always in need of being awakened and mobilized through a “consciousness-raising” consisting in arguments, appeals and teachings. As if the certainty of faith was the consequence of persuasive speech or training methods.

Abstraction. Once they become self-absorbed, institutions and entities connected to the Church lose contact with reality and fall prey to abstraction. They needlessly multiply instances of strategic planning in order to produce projects and guidelines that serve only as means of self-promotion for those who come up with them. They take problems and dissect them in intellectual laboratories where everything has been domesticated and is viewed through the lens of their own ideology. Everything, even references to the faith or verbal appeals to Jesus and the Holy Spirit, once taken outside of their proper context, can thus end up rigidified and unreal.

Functionalism. Self-absorbed and elitist organizations, even within the Church, often end up staking everything on the imitation of secular models of worldly efficiency, like those rooted in competition, whether economic or social. Opting for functionalism gives the illusion of being able to “sort matters out” in a balanced way, keeping things under control, maximizing one’s own relevance, and improving the everyday management of existing structures. However, as I already said to you at our 2016 meeting, a Church afraid of entrusting herself to the grace of Christ and focusing on the efficiency of its bureaucracy is already dead, even if structures and programmes that favour the interest of “self-absorbed” clergy or lay people linger for centuries.

RECOMMENDATIONS FOR THE JOURNEY

Looking at the present and towards the future, and considering the resources needed for the PMS to overcome the pitfalls of the journey and move forward, I would like to offer a few suggestions as an aid for your discernment. Since you have undertaken your own process of re-evaluation of the PMS, which you would like to be guided by the thinking of the Pope, I offer for your attention some general criteria and starting points, without entering into details, not least because different situations may require adaptations and modifications.

1) To the best of your ability, and without undue speculation about the future, preserve or recover the role of the PMS as part of the larger People of God from which they arose. It would prove beneficial to seek a greater “immersion” in the reality of people’s lives. Following Jesus means emerging from our own problems and concerns. It would be worthwhile to enter into concrete circumstances and conditions, while seeking to reintegrate the capillary effect of actions and contacts of the PMS within the greater network of Church institutions (dioceses, parishes, communities, and groups). By prioritizing your specific presence in the People of God, with its bright spots and difficulties, you can better elude the pitfall of abstraction. One must provide answers to real questions and not just formulate and multiply proposals. Perhaps concrete contact with real life situations, and not just discussions in boardrooms or theoretical analyses of our own internal dynamics, will generate useful insights for changing and improving operating procedures and adapting them to different contexts and circumstances.

2) I suggest proceeding in such a way that the essential structure of the PMS remains bound to the practice of prayer and of gathering resources for mission, in all its simplicity and practicality. This would clearly demonstrate the relationship of the PMS to the faith of the People of God. With all necessary flexibility and adaptations, this basic design of the PMS should neither be forgotten nor distorted. Asking the Lord to open hearts to the Gospel and asking everyone to tangibly support missionary work: these are simple and practical things that everyone can readily do in this present time when, even amid the scourge of this pandemic, there is a great desire to encounter and remain close to the heart of the Church’s life. So seek new paths, new forms of service, but try not to complicate what in reality is quite simple.

3) The PMS are and must be experienced as an instrument of service for the mission of the particular Churches, against the backdrop of the mission of the universal Church. This is the ever-precious contribution that the Societies make to the spread of the Gospel. All of us are called to nurture by means of love and gratitude, as well as by our works, the seeds of divine life that the Spirit of Christ causes to blossom and grow where he wills, even in the deserts. Please, in your prayer ask above all that the Lord make everyone better prepared to recognize the signs of his activity, in order then to reveal them to the whole world. Even this can be helpful: to ask that, in the depths of our own hearts, our prayer to the Holy Spirit may not be reduced to a mere formality in our meetings and homilies. It is not helpful to theorize about super-strategies or mission “core guidelines” as a means of reviving missionary spirit or giving missionary patents to others. If, in some cases, missionary fervour is fading, it is a sign that faith itself is fading. In such cases, the attempt to revive the flame by strategies and speeches will end up only weakening it all the more, causing the desert to expand.

4) The service undertaken by the PMS naturally brings its staff into contact with countless realities, situations and events that are part of the great ebb and flow of the life of the Church on every continent. In this contact, we may encounter numerous problems and forms of inertia that can mark ecclesial life, but also the gratuitous gifts of healing and consolation that the Holy Spirit disseminates in daily life, in what might be called the “middle class of holiness”. Rejoice and savour these encounters that you experience thanks to the work of the PMS, and let yourselves be astonished by them. I think of the reports of many miracles that happen to children, who perhaps encounter Jesus thanks to the initiatives proposed by the Holy Childhood. Yours is a labour that can never be reduced to an exclusively bureaucratic-professional scope. When it comes to mission, bureaucracies or functionaries should never exist. Your gratitude can in turn become a gift and witness for all. With the means that you have at your disposal, and quite naturally, you can recount the comforting story of persons and communities in which the miracle of faith gratuitously shines with hope and charity.

5) Gratitude for the wonders worked by the Lord among his chosen ones, the poor and the little ones to whom he reveals those things hidden from the wise (cf. Mt 11:25-26), can make it easier for you too to avoid the pitfalls of self-absorption and leave yourselves behind as you follow Jesus. The very notion of a self-centred missionary effort, which spends time contemplating and celebrating its own initiatives, would be absurd. Do not waste time and resources, then, in looking at yourself in a mirror, devising plans centred on internal mechanisms, functionality and the efficiency of your own bureaucracy. Look outside. Do not look at yourselves in the mirror. Break every mirror in the house! The criteria employed in implementing programmes should aim not at burdening the network of the PMS but at making structures and procedures more flexible. National Directors, for example, should be working to identify potential successors, taking as their sole criterion proposing persons with great missionary zeal, not just members of their own small group.

6) Regarding the collection of resources to help the missions, I have already spoken during our past gatherings about the risk of turning the PMS into an NGO, where everything is devoted to locating and appropriating funds. This depends more on the attitude with which things are done than the goals that are achieved. It can certainly be advisable and even appropriate when fundraising to use creativity and even updated methods for seeking funding from potential and worthy sources. However, if in some areas the collection of donations lessens, even because of the waning of Christian memory, the temptation may arise to resolve the problem ourselves by “covering up” the situation and gambling on some better fundraising system developed by groups specializing in large donors. Our pain at the loss of faith and the reduction of resources should not be covered up but rather placed in the hands of the Lord. In any case, asking for offerings for the missions should continue to be directed first and foremost to the larger body of the baptized, also through different ways of taking up the collection for the missions carried out in every country in October on the occasion of World Mission Day. The Church continues to advance thanks to the widow’s mite and the contributions of innumerable people healed and consoled by Jesus, who for this reason, overflowing with gratitude, donate whatever they have.

7) The use of the donations received is always to be evaluated with an appropriate sensus Ecclesiae regarding the distribution of funds in support of structures and projects capable of advancing the apostolic mission and the preaching of the Gospel in various ways and in diverse parts of the world. Attention should always be paid to the most fundamental necessities of communities while at the same time avoiding a welfare culture, which instead of assisting missionary zeal ends up making hearts lukewarm and feeding phenomena of parasitic dependency, also within the Church. Your contribution should aim at giving concrete answers to objective needs, without squandering resources in initiatives marked by abstraction, self-absorption or generated by clerical narcissism. Do not yield to inferiority complexes or the temptation to imitate those super-functional organizations that collect funds for good causes and then use a good percentage of them to finance their own bureaucracy and to publicize their brand name. Even publicity can at times become a way of promoting one’s own interests by showing how one works for the poor and those in need.

8) As for the poor, you too must not forget them. This was the recommendation at the Council of Jerusalem that the apostles Peter, James and John passed on to Paul, Barnabas and Titus, who came to discuss their mission among the uncircumcised: “Only, we were to be mindful of the poor” (Gal 2:10). Following that recommendation, Paul organized collections for the benefit of the brethren of the Church of Jerusalem (cf. 1 Cor 16:1). The preferential option for the poor and the little ones has always been present since the origins of the mission of proclaiming the Gospel. Works of spiritual and corporal charity on their behalf are expressions of a “divine preference” that serves as a constant challenge to the faith of all Christians, who are called to have the same attitude as that of Jesus (cf. Phil 2:5).

9) The PMS, in their worldwide network, reflect the rich variety of the “people with a thousand faces”, gathered together by the grace of Christ and marked by missionary fervour. That zeal is not always intense and lively in the same way everywhere. Even so, the same urgency of confessing Christ dead and resurrected finds expression in a variety of accents and adapts to diverse contexts. The revelation of the Gospel is not identified with any one culture and when it encounters new cultures that have not yet received the Christian message, a specific cultural form must not be imposed along with the preaching of the Gospel. Today, also in the work of the PMS, there is no need for extra baggage but rather the effort to value differences and relate them to the essentials of the faith we share. Any attempt to standardize the form of our message may obscure the universality of the Christian faith, even promoting clichés and slogans fashionable in certain circles and in particular countries that are culturally and politically dominant. In this regard, the special relationship that unites the PMS to the Pope and to the Church of Rome represents a resource and a support for freedom from fleeting fads, certain unilateral schools of thought or the cultural homogenization associated with neo-colonialism. These are phenomena that, regrettably, are not absent from ecclesiastical contexts.

10) The PMS are not an autonomous entity in the Church, acting in a vacuum. Among their distinctive features always to be cultivated and renewed is the special bond uniting them to the Bishop of the Church of Rome, which presides in charity. It is comforting to know that this bond manifests itself in a work carried out joyfully, without seeking applause or staking claims. A work that precisely in its gratuitousness is intertwined with service to the Pope, the servant of the servants of God. I would ask that the distinctive sign of your closeness to the Bishop of Rome be precisely this: the sharing of the love of the Church, a reflection of her own love for Christ, experienced and expressed quietly, without pride or a concern for “turf wars”. Daily efforts born of charity and the mystery of gratuitousness, which support countless persons who remain deeply thankful, yet perhaps even unaware of whom to thank, since they may never have heard of the PMS. The mystery of charity, within the Church, works in this way. We continue to advance together, even amid trials, thanks to the gifts and the consolations of the Lord. In the meantime, and at every step, we joyfully acknowledge that all of us are useless servants, beginning with myself.

CONCLUSION

Move forward with enthusiasm! There is much to do on the journey that awaits you. If there are changes to make in procedures, it is good that these point towards unburdening rather than increasing the load, aiming at operational flexibility and not producing more rigid bureaucracies that involve the threat of introversion. An excessive centralization, rather than helping, can complicate missionary outreach. Even a purely national organization of initiatives can jeopardize the nature of the PMS network, as well as the exchange of gifts between the Churches and local communities lived as the tangible fruit and sign of charity among brothers and sisters in communion with the Bishop of Rome.

In any event, always demand that every consideration regarding the operational aspect of the PMS be illuminated by the one thing necessary: a spark of true love for the Church as a reflection of love for Christ. Yours is a service rendered to apostolic fervour, namely to that impulse of Christian life which only the Holy Spirit can bring about within the People of God. Think about doing your work well, “as if everything depended on you, while knowing that everything in fact depends on God” (Saint Ignatius of Loyola). As I already mentioned to you in one of our encounters, imitate the ready spirit of Mary. When she visited Elizabeth, Mary did not do so on her own: she went as a servant of the Lord Jesus, whom she carried in her womb. She said nothing about herself, but simply brought her Son and praised God. It was not about her. She went as the servant of the One who is the sole protagonist of missionary activity. Nonetheless, she wasted no time, going in haste and doing what was needed to look after her kinswoman. She teaches us this same readiness, the haste born of fidelity and adoration.

May Our Lady watch over you and the Pontifical Mission Societies, and may her Son, the Lord Jesus Christ, bless you. For before ascending to heaven, he promised to be with us always, to the end of time.

Given in Rome, at Saint John Lateran, the 21st of May 2020, the Solemnity of the Ascension of the Lord.

FRANCIS

[00656-EN.01] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua spagnola

Los que se habían reunido, le preguntaron, diciendo: «Señor, ¿es ahora cuando vas a restaurar el reino a Israel?». Les dijo: «No os toca a vosotros conocer los tiempos o momentos que el Padre ha establecido con su propia autoridad; en cambio, recibiréis la fuerza del Espíritu Santo que va a venir sobre vosotros y seréis mis testigos en Jerusalén, en toda Judea y Samaría y hasta el confín de la tierra». Dicho esto, a la vista de ellos, fue elevado al cielo, hasta que una nube se lo quitó de la vista (Hch 1,6-9).

Después de hablarles, el Señor Jesús fue llevado al cielo y se sentó a la derecha de Dios. Ellos se fueron a predicar por todas partes, y el Señor cooperaba confirmando la palabra con las señales que los acompañaban (Mc 16,19-20).

Y los sacó hasta cerca de Betania y, levantando sus manos, los bendijo. Y mientras los bendecía, se separó de ellos, y fue llevado hacia el cielo. Ellos se postraron ante Él y se volvieron a Jerusalén con gran alegría; y estaban siempre en el templo bendiciendo a Dios (Lc 24,50-53).

* * *

Queridos hermanos y hermanas:

Este año había decidido participar en vuestra Asamblea general anual, el jueves 21 de mayo, fiesta de la Ascensión del Señor, pero se ha cancelado a causa de la pandemia que nos afecta a todos. Por eso, deseo enviaros a todos vosotros este mensaje, para haceros llegar, igualmente, lo que tengo en el corazón para deciros. Esta fiesta cristiana, en estos tiempos inimaginables que estamos viviendo, me parece aún más rica de sugerencias para el camino y la misión de cada uno de nosotros y de toda la Iglesia.

Celebramos la Ascensión como una fiesta y, sin embargo, en ella se conmemora la despedida de Jesús de sus discípulos y de este mundo. El Señor asciende al Cielo, y la liturgia oriental narra el estupor de los ángeles al ver a un hombre que con su cuerpo sube a la derecha del Padre. No obstante, mientras Cristo estaba para ascender al Cielo, los discípulos —que, además, lo habían visto resucitado— no parecían que hubiesen entendido aún lo sucedido. Él iba a dar inicio al cumplimiento de su Reino y ellos se perdían todavía en sus propias conjeturas. Le preguntaban si iba a restaurar el reino de Israel (cf. Hch 1,6). Pero, cuando Cristo los dejó, en vez de quedarse tristes, volvieron a Jerusalén «con gran alegría», como escribe Lucas (24,52). Sería extraño que no hubiera ocurrido nada. En efecto, Jesús ya les había prometido la fuerza del Espíritu Santo, que descendería sobre ellos en Pentecostés. Este es el milagro que cambió las cosas. Y ellos cobraron seguridad, porque confiaron todo al Señor. Estaban llenos de alegría. Y la alegría en ellos era la plenitud de la consolación, la plenitud de la presencia del Señor.

Pablo escribe a los Gálatas que la plenitud del gozo de los Apóstoles no es el efecto de unas emociones que satisfacen y alegran. Es un gozo desbordante que se puede experimentar solamente como fruto y como don del Espíritu Santo (cf. 5,22). Recibir el gozo del Espíritu Santo es una gracia. Y es la única fuerza que podemos tener para predicar el Evangelio, para confesar la fe en el Señor. La fe es testimoniar la alegría que nos da el Señor. Un gozo como ese no nos lo podemos dar nosotros solos.

Jesús, antes de irse, dijo a los suyos que les mandaría el Espíritu, el Consolador. Y así entregó también al Espíritu la obra apostólica de la Iglesia, durante toda la historia, hasta su venida. El misterio de la Ascensión, junto con la efusión del Espíritu en Pentecostés, imprime y confiere para siempre a la misión de la Iglesia su rasgo genético más íntimo: el de ser obra del Espíritu Santo y no consecuencia de nuestras reflexiones e intenciones. Y este es el rasgo que puede hacer fecunda la misión y preservarla de cualquier presunta autosuficiencia, de la tentación de tomar como rehén la carne de Cristo —que asciende al Cielo— para los propios proyectos clericales de poder.

Cuando, en la misión de la Iglesia, no se acoge ni se reconoce la obra real y eficaz del Espíritu Santo, quiere decir que, hasta las palabras de la misión —incluso las más exactas y las más reflexionadas— se han convertido en una especie de “discursos de sabiduría humana”, usados para auto glorificarse o para quitar y ocultar los propios desiertos interiores.

LA ALEGRÍA DEL EVANGELIO

La salvación es el encuentro con Jesús, que nos ama y nos perdona, enviándonos el Espíritu, que nos consuela y nos defiende. La salvación no es la consecuencia de nuestras iniciativas misioneras, ni siquiera de nuestros razonamientos sobre la encarnación del Verbo. La salvación de cada uno puede ocurrir sólo a través de la perspectiva del encuentro con Él, que nos llama. Por esto, el misterio de la predilección inicia —y no puede no iniciar— con un impulso de alegría, de gratitud. La alegría del Evangelio, esa “alegría grande” de las pobres mujeres que, en la mañana de Pascua, fueron al sepulcro de Cristo y lo hallaron vacío, y que luego fueron las primeras en encontrarse con Jesús resucitado y corrieron a decírselo a los demás (cf. Mt 28,8-10). Sólo así, el ser elegidos y predilectos puede testimoniar ante todo el mundo, con nuestras vidas, la gloria de Cristo resucitado.

Los testigos, en cualquier situación humana, son aquellos que certifican lo que otro ha hecho. En este sentido —y sólo así—, podemos nosotros ser testigos de Cristo y de su Espíritu. Después de la Ascensión, como cuenta el final del Evangelio de Marcos, los apóstoles y los discípulos «se fueron a predicar por todas partes, y el Señor cooperaba confirmando la palabra con las señales que los acompañaban» (16,20). Cristo, con su Espíritu, da testimonio de sí mismo mediante las obras que lleva a cabo en nosotros y con nosotros. La Iglesia —explicaba ya san Agustín— no rogaría al Señor que les concediera la fe a aquellos que no conocen a Cristo, si no creyera que es Dios mismo el que dirige y atrae hacia sí la voluntad de los hombres. La Iglesia no haría rezar a sus hijos para pedir al Señor la perseverancia en la fe en Cristo, si no creyese que es el mismo Señor quien tiene en su mano nuestros corazones. En efecto, si la Iglesia le rogase estas cosas, pero pensara que se las puede dar a sí misma, significaría que sus oraciones no serían auténticas, sino solamente fórmulas vacías, frases hechas, formalismos impuestos por el conformismo eclesiástico (cf. El don de la perseverancia. A Próspero y a Hilario, 23.63).

Si no se reconoce que la fe es un don de Dios, tampoco tendrían sentido las oraciones que la Iglesia le dirige. Y no se manifestaría a través de ellas ninguna sincera pasión por la felicidad y por la salvación de los demás y de aquellos que no reconocen a Cristo resucitado, aunque se dedique mucho tiempo a organizar la conversión del mundo al cristianismo.

Es el Espíritu Santo quien enciende y custodia la fe en los corazones, y reconocer este hecho lo cambia todo. En efecto, es el Espíritu el que suscita y anima la misión, le imprime connotaciones “genéticas”, matices y movimientos particulares que hacen del anuncio del Evangelio y de la confesión de la fe cristiana algo distinto a cualquier proselitismo político o cultural, psicológico o religioso.

He recordado muchos de estos rasgos distintivos de la misión en la Exhortación apostólica Evangelii gaudium; retomo algunos de ellos.

Atractivo. El misterio de la Redención entró y continúa obrando en el mundo a través de un atractivo que puede fascinar el corazón de los hombres y de las mujeres, porque es y parece más atrayente que las seducciones basadas en el egoísmo, consecuencia del pecado. «Nadie puede venir a mí si no lo atrae el Padre que me ha enviado», dice Jesús en el Evangelio de Juan (6,44). La Iglesia siempre ha repetido que seguimos a Jesús y anunciamos su Evangelio por esto: por la fuerza de atracción que ejercen el mismo Cristo y su Espíritu. La Iglesia —afirmó el Papa Benedicto XVI—– crece en el mundo por atracción y no por proselitismo (cf. Homilía en la Misa de apertura de la V Conferencia General del Episcopado Latinoamericano y del Caribe, Aparecida, 13 mayo 2007: AAS 99 [2007], 437). San Agustín decía que Cristo se nos revela atrayéndonos. Y, para poner un ejemplo de este atractivo, citaba al poeta Virgilio, según el cual toda persona es atraída por aquello que le gusta. Jesús no sólo es atrayente para nuestra voluntad, sino también para nuestro gusto (cf. Comentario al Evangelio de San Juan, 26, 4). Cuando uno sigue a Jesús, contento por ser atraído por Él, los demás se darán cuenta y podrán asombrarse de ello. La alegría que se transparenta en aquellos que son atraídos por Cristo y por su Espíritu es lo que hace fecunda cualquier iniciativa misionera.

Gratitud y gratuidad. La alegría de anunciar el Evangelio brilla siempre sobre el fondo de una memoria agradecida. Los apóstoles nunca olvidaron el momento en el que Jesús les tocó el corazón: «Era como la hora décima» (Jn 1,39). El acontecimiento de la Iglesia resplandece cuando en él se manifiesta el agradecimiento por la iniciativa gratuita de Dios, porque «Él nos amó» primero (1 Jn 4,10), porque «fue Dios quien hizo crecer» (1 Co 3,6). La predilección amorosa del Señor nos sorprende, y el asombro —por su propia naturaleza— no podemos poseerlo por nosotros mismos ni imponerlo. No es posible “asombrarse a la fuerza”. Sólo así puede florecer el milagro de la gratuidad, el don gratuito de sí. Tampoco el fervor misionero puede obtenerse como consecuencia de un razonamiento o de un cálculo. Ponerse en “estado de misión” es un efecto del agradecimiento, es la respuesta de quien, en función de su gratitud, se hace dócil al Espíritu Santo y, por tanto, es libre. Si no se percibe la predilección del Señor, que nos hace agradecidos, incluso el conocimiento de la verdad y el conocimiento mismo de Dios —ostentados como posesión que hay que adquirir con las propias fuerzas— se convertirían, de hecho, en “letra que mata” (cf. 2 Co 3,6), como demostraron por vez primera san Pablo y san Agustín. Sólo en la libertad del agradecimiento se conoce verdaderamente al Señor. Y resulta inútil —y, más que nada, inapropiado— insistir en presentar la misión y el anuncio del Evangelio como si fueran un deber vinculante, una especie de “obligación contractual” de los bautizados.

Humildad. Si la verdad y la fe, la felicidad y la salvación no son una posesión nuestra, una meta alcanzada por nuestros méritos, entonces el Evangelio de Cristo se puede anunciar solamente desde la humildad. Nunca se podrá pensar en servir a la misión de la Iglesia con la arrogancia individual y a través de la ostentación, con la soberbia de quien desvirtúa también el don de los sacramentos y las palabras más auténticas de la fe, haciendo de ellos un botín que ha merecido. No se puede ser humilde por buena educación o por querer parecer cautivadores. Se es humilde si se sigue a Cristo, que dijo a los suyos: «Aprended de mí, que soy manso y humilde de corazón» (Mt 11,29). San Agustín se pregunta cómo es posible que, después de la Resurrección, Jesús se dejó ver sólo por sus discípulos y no, en cambio, por los que lo habían crucificado. Responde que Jesús no quería dar la impresión de querer «burlarse de quienes le habían dado muerte. Era más importante enseñar la humildad a los amigos que echar en cara a los enemigos la verdad» (Discurso 284, 6).

Facilitar, no complicar. Otro rasgo de la auténtica obra misionera es el que nos remite a la paciencia de Jesús, que también en las narraciones del Evangelio acompañaba siempre con misericordia las etapas de crecimiento de las personas. Un pequeño paso, en medio de las grandes limitaciones humanas, puede alegrar el corazón de Dios más que las zancadas de quien va por la vida sin grandes dificultades. Un corazón misionero reconoce la condición actual en la que se encuentran las personas reales, con sus límites, sus pecados, sus debilidades, y se hace «débil con los débiles» (1 Co 9,22). “Salir” en misión para llegar a las periferias humanas no quiere decir vagar sin dirección ni sentido, como vendedores impacientes que se quejan de que la gente es muy ruda y anticuada como para interesarse por su mercancía. A veces se trata de aminorar el paso para acompañar a quien se ha quedado al borde del camino. A veces hay que imitar al padre de la parábola del hijo pródigo, que deja las puertas abiertas y otea todos los días el horizonte, con la esperanza de la vuelta de su hijo (cf. Lc 15,20). La Iglesia no es una aduana, y quien participa de algún modo en la misión de la Iglesia está llamado a no añadir cargas inútiles a las vidas ya difíciles de las personas, a no imponer caminos de formación sofisticados y pesados para gozar de aquello que el Señor da con facilidad. No pongamos obstáculos al deseo de Jesús, que ora por cada uno de nosotros y nos quiere curar a todos, salvar a todos.

Cercanía en la vida “cotidiana”. Jesús encontró a sus primeros discípulos en la orilla del lago de Galilea, mientras estaban ocupados en su trabajo. No los encontró en un convenio, ni en un seminario de formación, ni en el templo. Desde siempre, el anuncio de salvación de Jesús llega a las personas allí donde se encuentran y así como son en la vida de cada día. La vida ordinaria de todos, la participación en las necesidades, esperanzas y problemas de todos, es el lugar y la condición en la que quien ha reconocido el amor de Cristo y ha recibido el don del Espíritu Santo puede dar razón a quien le pregunte de la fe, de la esperanza y de la caridad. Caminando juntos, con los demás. Principalmente en este tiempo en el que vivimos, no se trata de inventar itinerarios de adiestramiento “dedicados”, de crear mundos paralelos, de construir burbujas mediáticas en las que hacer resonar los propios eslóganes, las propias declaraciones de intenciones, reducidas a tranquilizadores “nominalismos declaratorios”. He recordado ya otras veces —a modo de ejemplo—, que en la Iglesia hay quien continúa a evocar enfáticamente el eslogan: “Es la hora de los laicos”, pero mientras tanto parece que el reloj se hubiera parado.

El “sensus fidei” del Pueblo de Dios. Hay una realidad en el mundo que tiene una especie de “olfato” para el Espíritu Santo y su acción. Es el Pueblo de Dios, predilecto y llamado por Jesús, que, a su vez, sigue buscándolo y clama siempre por Él en las angustias de la vida. El Pueblo de Dios mendiga el don de su Espíritu; confía su espera a las sencillas palabras de las oraciones y nunca se acomoda en la presunción de la propia autosuficiencia. El santo Pueblo de Dios reunido y ungido por el Señor, en virtud de esta unción, se hace infalible “in credendo”, como enseña la Tradición de la Iglesia. La acción del Espíritu Santo concede al Pueblo de los fieles un “instinto” de la fe —el sensus fidei— que le ayuda a no equivocarse cuando cree lo que es de Dios, aunque no conozca los razonamientos ni las formulaciones teológicas para definir los dones que experimenta. Es el misterio del pueblo peregrino que, con su espiritualidad popular, camina hacia los santuarios y se encomienda a Jesús, a María y a los santos; que recurre y se revela connatural a la libre y gratuita iniciativa de Dios, sin tener que seguir un plan de movilización pastoral.

Predilección por los pequeños y por los pobres. Todo impulso misionero, si está movido por el Espíritu Santo, manifiesta predilección por los pobres y por los pequeños, como signo y reflejo de la preferencia que el Señor tiene por ellos. Las personas directamente implicadas en las iniciativas y estructuras misioneras de la Iglesia no deberían justificar nunca su falta de atención a los pobres con la excusa —muy usada en ciertos ambientes eclesiásticos— de tener que concentrar sus propias energías en los cometidos prioritarios de la misión. La predilección por los pobres no es algo opcional en la Iglesia.

Las dinámicas y los criterios arriba descritos forman parte de la misión de la Iglesia, animada por el Espíritu Santo. Normalmente, en los enunciados y en los discursos eclesiásticos, se reconoce y afirma la necesidad del Espíritu Santo como fuente de la misión de la Iglesia, pero también sucede que tal reconocimiento se reduce a una especie de “homenaje formal” a la Santísima Trinidad, una fórmula introductoria convencional para las intervenciones teológicas y para los planes pastorales. Hay en la Iglesia muchas situaciones en las que el primado de la gracia se reduce a un postulado teórico, a una fórmula abstracta. Sucede que muchos proyectos y organismos vinculados a la Iglesia, en vez de dejar que se transparente la obra del Espíritu Santo, acaban confirmando solamente la propia autorreferencialidad. Muchos mecanismos eclesiásticos a todos los niveles parecen estar absorbidos por la obsesión de promocionarse a sí mismos y sus propias iniciativas, como si ese fuera el objetivo y el horizonte de su misión.

Hasta aquí he querido retomar y volver a proponer criterios y sugerencias sobre la misión de la Iglesia que ya había expuesto de forma más extensa en la Exhortación apostólica Evangelii gaudium. Lo he hecho porque creo que también para las OMP puede ser útil y fecundo —y no aplazable— confrontarse con esos criterios y sugerencias en esta etapa de su camino.

LAS OMP Y EL TIEMPO PRESENTE:
TALENTOS A DESARROLLAR, TENTACIONES Y ENFERMEDADES A EVITAR

¿Hacia dónde conviene mirar de cara al presente y al futuro de las OMP? ¿Cuáles son los estorbos que hacen el camino más gravoso?

En la fisionomía, es decir, en la identidad de las Obras Misionales Pontificias, se aprecian ciertos rasgos distintivos —algunos, por así decirlo, genéticos; otros, adquiridos durante el largo recorrido histórico— que con frecuencia se descuidan o se dan por supuestos. Pues bien, esos rasgos justamente pueden custodiar y hacer preciosa —sobre todo en el momento presente— la contribución de esta “red” a la misión universal, a la que toda la Iglesia está llamada.

- Las Obras Misionales nacieron de forma espontánea del fervor misionero manifestado por la fe de los bautizados. Existe y permanece una íntima afinidad, una familiaridad entre las Obras Misionales y el sensus fidei infalible in credendo del Pueblo fiel de Dios.

- Las Obras Misionales, desde el principio, avanzaron sobre dos “binarios” o, mejor dicho, sobre dos vías que van siempre paralelas y que, en su sencillez, han sido siempre familiares al corazón del Pueblo de Dios: la oración y la caridad, en la forma de limosna, que «libra de la muerte y purifica del pecado» (Tb 12,9), el «amor intenso» que «tapa multitud de pecados» (cf. 1 P 4,8). Los fundadores de las Obras Misionales, empezando por Pauline Jaricot, no se inventaron las oraciones y las obras a las que confiar sus intenciones de anunciar el Evangelio, sino que las tomaron simplemente del tesoro inagotable de los gestos más cercanos y habituales para el Pueblo de Dios en camino por la historia.

- Las Obras Misionales, surgidas de forma gratuita en la trama de la vida del Pueblo de Dios, por su configuración simple y concreta, han sido reconocidas y valoradas por la Iglesia de Roma y por sus obispos, quienes, en el último siglo, han pedido poder adoptarlas como peculiar instrumento del servicio que ellos prestan a la Iglesia universal. De aquí que se haya atribuido a tales Obras la calificación de “Pontificias”. Desde ese momento, resalta en la fisionomía de las OMP su característica de instrumento de servicio para sostener a las Iglesias particulares en la obra del anuncio del Evangelio. De este modo, las Obras Misionales Pontificias se ofrecieron con docilidad como instrumento de servicio a la Iglesia, dentro del ministerio universal desempeñado por el Papa y por la Iglesia de Roma, que “preside en la caridad”. Así, con su propio itinerario y sin entrar en complicadas disputas teológicas, las OMP han desmentido los argumentos de aquellos que, también en los ambientes eclesiásticos, contraponen de modo inadecuado carismas e instituciones, leyendo siempre las relaciones entre ambas realidades a través de una engañosa “dialéctica de principios”. En cambio, en la Iglesia, incluso los elementos estructurales permanentes —como los sacramentos, el sacerdocio y la sucesión apostólica— son continuamente recreados por el Espíritu Santo y no están a disposición de la Iglesia como un objeto de posesión adquirida (cf. Card. J. Ratzinger, Los movimientos eclesiales y su colocación teológica. Intervención durante el Convenio mundial de movimientos eclesiales, Roma, 27-29 mayo 1998).

- Las Obras Misioneras, desde su primera difusión, se estructuraron como una red capilar extendida en el Pueblo de Dios, totalmente sujeta y, de hecho, “inmanente” a las redes de las instituciones y realidades ya presentes en la vida eclesial, como las diócesis, las parroquias, las comunidades religiosas. La vocación peculiar de las personas implicadas en las Obras Misionales nunca se ha vivido ni percibido como una vía alternativa, como una pertenencia “externa” a las formas ordinarias de la vida de las Iglesias particulares. La invitación a la oración y a la colecta de recursos para la misión siempre se ha ejercido como un servicio a la comunión eclesial.

- Las Obras Misionales, convertidas con el tiempo en una red extendida por todos los continentes, manifiestan por su propia configuración la variedad de matices, condiciones, problemas y dones que caracterizan la vida de la Iglesia en los diferentes lugares del mundo. Una pluralidad que puede proteger contra homogenizaciones ideológicas y unilateralismos culturales. En este sentido, también a través de las OMP se puede experimentar el misterio de la universalidad de la Iglesia, en la que la obra incesante del Espíritu Santo crea armonía entre las distintas voces, mientras que el Obispo de Roma, con su servicio de caridad, ejercido también a través de las Obras Misionales Pontificias, custodia la unidad de la fe.

Todas las características hasta aquí descritas pueden ayudar a las Obras Misionales Pontificias a evitar las insidias y patologías que amenazan su camino y el de otras muchas instituciones eclesiales. Señalaré algunas de ellas.

INSIDIAS A EVITAR

Autorreferencialidad. Las organizaciones y los entes eclesiásticos, más allá de las buenas intenciones de cada particular, acaban a veces replegándose sobre sí mismos, dedicando sus fuerzas y su atención, sobre todo, a su propia promoción y a la celebración de sus propias iniciativas en clave publicitaria. Otros parecen dominados por la obsesión de redefinir continuamente su propia relevancia y sus propios espacios en el seno de la Iglesia, con la justificación de querer relanzar mejor su propia misión. Por estas vías —dijo una vez el entonces cardenal Joseph Ratzinger— se alimenta también la idea falsa de que una persona es más cristiana si está más comprometida en estructuras intraeclesiales, cuando en realidad casi todos los bautizados viven la fe, la esperanza y la caridad en su vida ordinaria, sin haber formado parte nunca de comisiones eclesiásticas y sin interesarse por las últimas novedades de política eclesial (cf. Una compañía siempre reformable, Conferencia en el “Meeting de Rimini”, 1 septiembre 1990).

Ansia de mando. Sucede a veces que las instituciones y los organismos surgidos para ayudar a la comunidad eclesial, poniendo al servicio los dones suscitados en ellos por el Espíritu Santo, pretenden ejercer con el tiempo supremacías y funciones de control en las comunidades a las que deberían servir. Esta postura suele ir acompañada por la presunción de ejercitar el papel de “depositarios” dispensadores de certificados de legitimidad hacia los demás. De hecho, en estos casos, se comportan como si la Iglesia fuera un producto de nuestros análisis, de nuestros programas, acuerdos y decisiones.

Elitismo. Entre aquellos que forman parte de organismos o entidades estructuradas de la Iglesia, gana terreno, en diversas ocasiones, un sentimiento elitista, la idea no declarada de pertenecer a una aristocracia, a una clase superior de especialistas que busca ampliar sus propios espacios en complicidad o competencia con otras élites eclesiásticas, y que adiestra a sus miembros con los sistemas y las lógicas mundanas de la militancia o de la competencia técnico-profesional, con el propósito principal de promover siempre sus propias prerrogativas oligárquicas.

Aislamiento del pueblo. La tentación elitista en algunas realidades vinculadas a la Iglesia va a veces acompañada por un sentimiento de superioridad y de intolerancia hacia la multitud de los bautizados, hacia el Pueblo de Dios que quizás asiste a las parroquias y a los santuarios, pero que no está compuesto de “activistas” comprometidos en organizaciones católicas. En estos casos, también se mira al Pueblo de Dios como a una masa inerte, que tiene siempre necesidad de ser reanimada y movilizada por medio de una “toma de conciencia” que hay que estimular a través de razonamientos, llamadas de atención, enseñanzas. Se actúa como si la certeza de la fe fuera consecuencia de palabras persuasivas o de métodos de adiestramiento.

Abstracción. Los organismos y las realidades vinculadas a la Iglesia, cuando son autorreferenciales, pierden el contacto con la realidad y se enferman de abstracción. Se multiplican encuentros inútiles de planificación estratégica, para producir proyectos y directrices que sólo sirven como instrumentos de autopromoción de quien los inventa. Se toman los problemas y se seccionan en laboratorios intelectuales donde todo se manipula y se barniza según las claves ideológicas de preferencia; donde todo, se puede convertir en simulacro fuera de su contexto real, incluso las referencias a la fe y las menciones a Jesús y al Espíritu Santo.

Funcionalismo. Las organizaciones autorreferenciales y elitistas, incluso en la Iglesia, frecuentemente acaban dirigiendo todo hacia la imitación de los modelos de eficiencia mundanos, como aquellos impuestos por la exacerbada competencia económica y social. La opción por el funcionalismo garantiza la ilusión de “solucionar los problemas” con equilibrio, de tener las cosas bajo control, de acrecentar la propia relevancia, de mejorar la administración ordinaria de lo que se tiene. Pero, como ya os dije en el encuentro que tuvimos en 2016, una Iglesia que tiene miedo a confiarse a la gracia de Cristo y que apuesta por la eficacidad del sistema está ya muerta, aun cuando las estructuras y los programas en favor de clérigos y laicos “auto-afanados” durase todavía siglos.

CONSEJOS PARA EL CAMINO

Mirando al presente y al futuro, y buscando también dentro del itinerario de las OMP los recursos para superar las insidias del camino y seguir adelante, me permito daros algunas sugerencias, para ayudaros en vuestro discernimiento. Puesto que habéis iniciado también un proceso de reconsideración de las OMP que queréis que esté inspirado por las indicaciones del Papa, ofrezco a vuestra consideración criterios y sugerencias generales, sin entrar en detalles, porque los contextos diferentes pueden requerir de igual modo adaptaciones y variaciones.

1) En la medida en que podáis, y sin hacer demasiadas conjeturas, custodiad o redescubrid la inserción de las OMP en el seno del Pueblo de Dios, su inmanencia respecto a la trama de la vida real en que nacieron. Sería buena una “inmersión” más intensa en la vida real de las personas, tal como es. A todos nos hace bien salir de la cerrazón de las propias problemáticas internas cuando se sigue a Jesús. Conviene adentrarse en las circunstancias y en las condiciones concretas, cuidando o procurando también restituir la capilaridad de la acción y de los contactos de las OMP en su entrelazamiento con la red eclesial —diócesis, parroquias, comunidades, grupos—. Si se da preferencia a la propia inmanencia al Pueblo de Dios, con sus luces y sus dificultades, se puede huir mejor de la insidia de la abstracción. Es necesario dar respuesta a las preguntas y a las exigencias reales, más que formular o multiplicar propuestas. Quizás, desde el cuerpo a cuerpo con la vida ordinaria, y no desde cenáculos cerrados o a partir de análisis teóricos sobre las propias dinámicas internas, podrán surgir además intuiciones útiles para cambiar y mejorar los propios procedimientos operativos, adaptándolos a los diversos contextos y a las diversas circunstancias.

2) Mi sugerencia es encontrar el modo en el que la estructura esencial de las OMP siga unida a las prácticas de la oración y de la colecta de recursos para las misiones, algo valioso y apreciado, debido a su elementalidad y concreción. Esto manifiesta la afinidad de las OMP con la fe del Pueblo de Dios. Aun con toda la flexibilidad y demás adaptaciones que se requieran, conviene que este modelo elemental de las OMP no se olvide ni se altere. Orar al Señor para que Él abra los corazones al Evangelio y suplicar a todos para que sostengan también en lo concreto la obra misionera. En esto hay una sencillez y una concreción que todos pueden percibir con gozo en el tiempo presente, en el cual, incluso en la circunstancia del flagelo de la pandemia, se nota por todas partes el deseo de estar y de quedarse cerca de todo aquello que es, simplemente, Iglesia. Buscad también nuevos caminos, nuevas formas para vuestro servicio; pero, al hacerlo, no es necesario complicar lo que es simple.

3) Las OMP son —y así deben experimentarse— un instrumento de servicio a la misión de las Iglesias particulares, en el horizonte de la misión de la Iglesia, que abarca siempre todo el mundo. En esto consiste su contribución siempre preciosa al anuncio del Evangelio. Todos estamos llamados a custodiar por amor y gratitud, también con nuestras obras, los brotes de vida teologal que el Espíritu de Cristo hace germinar y crecer donde Él quiere, incluso en los desiertos. Por favor, en la oración, pedid primero que el Señor nos disponga a discernir las señales de su obrar, para después indicárselas a todo el mundo. Sólo esto puede ser útil: pedir que, para nosotros, en lo íntimo de nuestro corazón, la invocación al Espíritu Santo no se reduzca a un postulado estéril y redundante de nuestras reuniones y de nuestras homilías. Sin embargo, no es útil hacer conjeturas y teorías sobre grandes estrategias o “directivas centrales” de la misión a las que delegar, como a presuntos y fatuos “depositarios” de la dimensión misionera de la Iglesia, la tarea de volver a despertar el espíritu misionero o de dar licencias misioneras a los demás. Si, en alguna situación, el fervor de la misión disminuye, es signo de que está menguando la fe. Y, en tales casos, la pretensión de reanimar la llama que se apaga con estrategias y discursos acaba por debilitarla aún más y hace avanzar sólo el desierto.

4) El servicio llevado a cabo por las OMP, por su naturaleza, pone a los agentes en contacto con innumerables realidades, situaciones y acontecimientos que forman parte del gran flujo de la vida de la Iglesia en todos los continentes. En este flujo podemos encontrarnos con muchas lentitudes y esclerosis que acompañan a la vida eclesial, pero también con los dones gratuitos de curación y consolación que el Espíritu Santo esparce en la vida cotidiana de lo que podría llamarse la “clase media de la santidad”. Y vosotros podéis alegraros y exultar saboreando los encuentros que puedan surgir gracias al trabajo de las OMP, dejándoos sorprender por ellos. Pienso en las historias que he escuchado de muchos milagros que ocurren entre los niños, que quizás se encuentran con Jesús a través de las iniciativas propuestas por la Infancia misionera. Por eso, vuestra acción no se puede “esterilizar” en una dimensión exclusivamente burocrática-profesional. No pueden existir burócratas o funcionarios de la misión. Y vuestra gratitud puede hacerse a la vez don y testimonio para todos. Podéis indicar para el consuelo de todos —con los medios que tenéis, sin artificiosidad—, las vicisitudes de personas y comunidades que vosotros podéis encontrar con mayor facilidad que otros; personas y comunidades en las que brilla gratuitamente el milagro de la fe, de la esperanza y de la caridad.

5) La gratitud ante los prodigios que realiza el Señor entre sus predilectos, los pobres y los pequeños a los que Él revela lo que es escondido a los sabios (cf. Mt 11,25-26), también os puede ayudar a sustraeros de las insidias de los replegamientos autorreferenciales y a salir de vosotros mismos en el seguimiento a Jesús. La idea de una acción misionera autorreferencial, que se pasa el tiempo contemplándose e incensándose por sus propias iniciativas, sería en sí misma un absurdo. No dediquéis demasiado tiempo y recursos a “miraros” y a redactar planes centrados en los propios mecanismos internos, en la funcionalidad y en las competencias del propio sistema. Mirad hacia fuera, no os miréis al espejo. Romped todos los espejos de vuestra casa. Los criterios a seguir, también en la realización de los programas, tienen que mirar a aligerar, a hacer más flexibles las estructuras y los procesos, más que a cargar con adicionales elementos estructurales la red de las OMP. Por ejemplo, que cada director nacional, durante su mandato, se comprometa a individuar algún potencial sucesor, teniendo como único criterio el de indicar no a personas de su círculo de amigos o compañeros de “cordada” eclesiástica, sino a personas que le parezca que tienen más fervor misionero que él.

6) Con referencia a la colecta de recursos para ayudar a la misión, ya en ocasión de otros encuentros pasados, llamé la atención sobre el riesgo de transformar las OMP en una ONG dedicada sólo a la recaudación y a la asignación de fondos. Esto depende del ánimo con que se hacen las cosas, más que de lo que se hace. En cuanto a la recaudación de fondos puede ser ciertamente aconsejable, y aún más oportuno, utilizar con creatividad incluso metodologías actualizadas de búsqueda de financiaciones por parte de potenciales y beneméritos patrocinadores. Pero, si en algunas zonas disminuye la recaudación de donativos —también por el debilitamiento de la memoria cristiana—, en esos casos, podemos estar tentados de resolver nosotros el problema “cubriendo” la realidad y poniendo todo el esfuerzo en un sistema de colecta más eficaz, que busque grandes donantes. Sin embargo, el sufrimiento por la pérdida de la fe y por la disminución de los recursos no hay que eliminarlo, sino hay que ponerlo en las manos del Señor. Y, de todas formas, es bueno que la petición de donativos para las misiones siga dirigiéndose prioritariamente a toda la multitud de los bautizados, buscando también una forma nueva para la colecta en favor de las misiones que se realiza en las Iglesias de todos los países en octubre, con ocasión de la Jornada Mundial de las Misiones. La Iglesia continúa, desde siempre, yendo hacia adelante también gracias al óbolo de la viuda, a la contribución de toda la multitud de personas que se sienten sanadas y consoladas por Jesús y que, por ello, por su inmensa gratitud, donan lo que tienen.

7) Con respecto al uso de las donaciones recibidas, discernid siempre con un apropiado sensus Ecclesiae la distribución de los fondos, para sostener las estructuras y los proyectos que, de distintos modos, realizan la misión apostólica y el anuncio del Evangelio en las distintas partes del mundo. Tened siempre en cuenta las verdaderas necesidades primarias de las comunidades y, al mismo tiempo, evitad formas de asistencialismo que, en vez de ofrecer instrumentos al fervor misionero, acaban por entibiar los corazones y alimentar también dentro de la Iglesia fenómenos de clientela parasitaria. Con vuestra contribución, buscad dar respuestas concretas a exigencias objetivas, sin dilapidar los recursos en iniciativas con connotaciones abstractas, replegadas sobre sí mismas o fabricadas por el narcisismo clerical de alguien. No cedáis al complejo de inferioridad ni a las tentaciones de imitar a aquellas organizaciones tan funcionales que recogen fondos para causas justas y luego destinan un buen porcentaje de ellos para financiar su estructura y promocionar su propia identidad. También esto se convierte a veces en un modo para cuidar los propios intereses, aunque hagan ver que trabajan en favor de los pobres y necesitados.

8) Por lo que respecta a los pobres, no os olvidéis de ellos tampoco vosotros. Esta fue la recomendación que, en el Concilio de Jerusalén, los apóstoles Pedro, Juan y Santiago dieron a Pablo, Bernabé y Tito, que discutían sobre su misión entre los incircuncisos: «Sólo nos pidieron que nos acordáramos de los pobres» (Ga 2,10). Después de aquella recomendación, Pablo organizó las colectas en favor de los hermanos de la Iglesia de Jerusalén (cf. 1 Co 16,1). La predilección por los pobres y los pequeños es parte de la misión de anunciar el Evangelio, que está desde el principio. Las obras de caridad espirituales y corporales hacia ellos manifiestan una “preferencia divina” que interpela la vida de fe de todo cristiano, llamado a tener los mismos sentimientos de Jesús (cf. Flp 2,5).

9) Las OMP, con su red difundida por todo el mundo, reflejan la rica variedad del “pueblo con muchos rostros” reunido por la gracia de Cristo, con su fervor misionero. Fervor que no es igual de intenso ni vivaz en todo tiempo y lugar. Y, además, la misma urgencia compartida de confesar a Cristo muerto y resucitado, se manifiesta con tonos diversos, según los diversos contextos. La revelación del Evangelio no se identifica con ninguna cultura y, en el encuentro con nuevas culturas que no han acogido la predicación cristiana, no es necesario imponer una forma determinada cultural junto con la propuesta evangélica. Hoy, también en el trabajo de las OMP, conviene no llevar cargas pesadas; conviene custodiar su perfil variado y su referencia común a los rasgos esenciales de la fe. También puede ofuscar la universalidad de la fe cristiana la pretensión de estandarizar la forma del anuncio, tal vez orientado todo hacia clichés o a eslóganes que están de moda en algunos círculos de ciertos países cultural o políticamente dominantes. A este respecto, también la relación especial que une a las OMP con el Papa y con la Iglesia de Roma representa un recurso y un apoyo a la libertad, que ayuda a todos a sustraerse de modas pasajeras, de servilismos a escuelas de pensamiento unilateral o a homogeneizaciones culturales con características neocolonialistas; fenómenos que, por desgracia, se dan también en contextos eclesiásticos.

10) Las OMP no son en la Iglesia un ente independiente, suspendido en el vacío. Dentro de su especificidad, que conviene cultivar y renovar siempre, está el vínculo especial que las une al Obispo de la Iglesia de Roma, que preside en la caridad. Es hermoso y confortante reconocer que este vínculo se manifiesta en una labor llevada a cabo con la alegría, sin buscar aplausos o reclamar pretensiones; una obra que, justamente en su gratuidad, se entrelaza con el servicio del Papa, siervo de los siervos de Dios. Os pido que el carácter distintivo de vuestra cercanía al Obispo de Roma sea precisamente este: compartir el amor a la Iglesia, reflejo del amor a Cristo, vivido y manifestado en el silencio, sin jactarse, sin delimitar el “terreno propio”; con un trabajo cotidiano que se inspire en la caridad y en su misterio de gratuidad; con una obra que sostenga a innumerables personas interiormente agradecidas, pero que quizás no saben a quién dar las gracias, porque desconocen hasta el nombre de las OMP. El misterio de la caridad en la Iglesia se lleva a cabo así. Sigamos caminando juntos hacia adelante, felices de avanzar en medio de las pruebas, gracias a los dones y a las consolaciones del Señor. Mientras tanto, reconocemos con alegría en cada paso, que todos somos siervos inútiles, empezando por mí.

CONCLUSIÓN

Id con ardor: en el camino que os espera hay mucho que hacer. Si hubiera que experimentar cambios en los procedimientos, sería bueno que estos mirasen a aligerar y no a aumentar los pesos; que se dirigiesen a ganar flexibilidad operativa y no a producir nuevos sistemas rígidos y siempre amenazados de introversión; teniendo presente que una excesiva centralización, más que ayudar, puede complicar la dinámica misionera. Y también que una articulación a escala puramente nacional de las iniciativas pondría en peligro la fisionomía misma de la red de las OMP, además del intercambio de dones entre las Iglesias y comunidades locales, algo que se experimenta como fruto y signo tangible de la caridad entre hermanos, en comunión con el Obispo de Roma.

En cualquier caso, pedid siempre que toda consideración relativa a la organización operativa de las OMP esté iluminada por lo único necesario: un poco de amor verdadero a la Iglesia, como reflejo del amor a Cristo. Vuestra tarea se realiza al servicio del fervor apostólico, es decir, al impulso de vida teologal que sólo el Espíritu Santo puede operar en el Pueblo de Dios. Preocupaos de hacer bien vuestro trabajo, «como si todo dependiese de vosotros, sabiendo que, en realidad, todo depende de Dios» (S. Ignacio de Loyola). Como ya os dije en otro encuentro, tened la prontitud de María. Cuando fue a casa de Isabel, María no lo hizo como un gesto propio: fue como sierva del Señor Jesús, al que llevaba en su seno. No dijo nada de sí misma, sólo llevó al Hijo y alabó a Dios. Ella no era la protagonista. Fue como la sierva de aquel que es también el único protagonista de la misión. Pero no perdió el tiempo, fue de prisa, para asistir a su pariente. Ella nos enseña esta prontitud, la prisa de la fidelidad y de la adoración.

Que la Virgen os custodie a vosotros y a las Obras Misionales Pontificias, y que su Hijo, Nuestro Señor Jesucristo, os bendiga. Él, antes de subir al Cielo, nos prometió que estaría siempre con nosotros hasta el final de los tiempos.

Dado en Roma, en San Juan de Letrán, el 21 de mayo de 2020, Solemnidad de la Ascensión del Señor.

FRANCISCO

[00656-ES.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

«Estavam todos reunidos, quando Lhe perguntaram: “Senhor, é agora que vais restaurar o Reino de Israel?” Respondeu-lhes: “Não vos compete saber os tempos nem os momentos que o Pai fixou com a sua autoridade. Mas ides receber uma força, a do Espírito Santo, que descerá sobre vós, e sereis minhas testemunhas em Jerusalém, por toda a Judeia e Samaria e até aos confins do mundo”. Dito isto, elevou-Se à vista deles e uma nuvem subtraiu-O a seus olhos» (At 1, 6-9).

«O Senhor Jesus, depois de lhes ter falado, foi arrebatado ao Céu e sentou-Se à direita de Deus. Eles, partindo, foram pregar por toda a parte; o Senhor cooperava com eles, confirmando a Palavra com os sinais que a acompanhavam» (Mc 16, 19-20).

«Depois, levou-os até junto de Betânia e, erguendo as mãos, abençoou-os. Enquanto os abençoava, separou-Se deles e elevava-Se ao Céu. E eles, depois de se terem prostrado diante d’Ele, voltaram para Jerusalém com grande alegria. E estavam continuamente no templo a bendizer a Deus» (Lc 24, 50-53).

* * *

Queridos irmãos e irmãs!

Neste ano, havia decidido participar na vossa Assembleia Geral anual, prevista para 21 de maio, uma quinta-feira e festa da Ascensão do Senhor. Mas, depois, a Assembleia foi cancelada por causa da pandemia que nos afeta a todos. Quero, porém, enviar a todos vós esta Mensagem para de algum modo dar a conhecer as coisas que tinha no coração para vos dizer. Esta festa cristã, em tempos inimagináveis como os que estamos a viver, parece-me ainda mais fecunda em sugestões para o caminho e a missão de cada um de nós e de toda a Igreja.

Celebramos a Ascensão como uma festa e, todavia, comemora a despedida de Jesus dos seus discípulos e deste mundo. O Senhor eleva-Se até ao Céu (a Liturgia oriental descreve a maravilha dos anjos ao verem um homem que sobe, com a sua carne, para a direita do Pai). Quanto aos discípulos, apesar de O terem visto ressuscitado, parecem não ter ainda entendido o que aconteceu, mesmo agora que Cristo está prestes a subir ao Céu; está para dar início à realização do seu Reino, e eles ainda se perdem atrás das suas conjeturas. Perguntam-Lhe se é agora que vai restaurar o Reino de Israel (cf. At 1, 6). Contudo, quando Cristo os deixa, em vez de ficar tristes, voltam para Jerusalém – como escreve Lucas (cf. 24, 52) – «com grande alegria». Isto seria estranho, se algo não tivesse acontecido pelo meio. Efetivamente, Jesus já lhes prometeu a força do Espírito Santo, que descerá sobre eles no Pentecostes. Este é o milagre que muda a situação. E tornam-se mais seguros, quando confiam tudo ao Senhor. Estão cheios de alegria. E a alegria neles é a plenitude da consolação, a plenitude da presença do Senhor.

Tendo presente aquilo que Paulo escreve aos Gálatas, sabemos que a plenitude da alegria dos Apóstolos não é efeito de emoções que deleitam e os fazem rejubilar; mas trata-se duma alegria transbordante que só se pode experimentar como fruto e dom do Espírito (cf. Gal 5, 22). Receber a alegria do Espírito é uma graça; e é a única força que podemos ter para pregar o Evangelho, confessar a fé no Senhor. Fé é testemunhar a alegria que nos dá o Senhor. Alegria assim, uma pessoa não a pode conseguir só por si mesma.

Antes de partir, Jesus disse aos seus discípulos que havia de lhes mandar o Espírito, o Consolador. E de igual modo deixou entregue ao Espírito também a obra apostólica da Igreja ao longo da história até ao seu retorno. O mistério da Ascensão, juntamente com a efusão do Espírito no Pentecostes, imprime e transmite para sempre à missão da Igreja o seu delineamento mais íntimo: o de ser obra do Espírito Santo, e não consequência das nossas reflexões e intenções. Este é o traço que pode tornar fecunda a missão e preservá-la de qualquer suposta autossuficiência, da tentação de tomar como refém a carne de Cristo – elevado ao Céu – para os seus projetos clericais de poder.

Quando não se vê nem reconhece a obra atual e eficaz do Espírito Santo na missão da Igreja, isso quer dizer que as próprias palavras da missão – incluindo as mais exatas, as mais pensadas – se tornaram como que «discursos de sabedoria humana», usadas para dar glória a si mesmo ou encobrir e mascarar os próprios desertos interiores.

A ALEGRIA DO EVANGELHO

A salvação é o encontro com Jesus, que nos ama e perdoa, enviando-nos o Espírito que nos consola e defende. A salvação não é consequência das nossas iniciativas missionárias, nem dos nossos discursos sobre a encarnação do Verbo. A salvação só pode vir para cada um mediante o olhar do encontro com Ele, que nos chama. Por isso, o mistério da predileção tem início e só pode começar num ímpeto de gratidão, de alegria: a alegria do Evangelho, a «grande alegria» daquelas pobres mulheres que, ao amanhecer do domingo de Páscoa, tinham ido ao sepulcro de Cristo e acharam-no vazio, mas depois foram as primeiras a encontrar Jesus ressuscitado e correram a dizê-lo aos outros (cf. Mt 28, 8-10). Só assim, apesar de escolhidos e prediletos, poderemos testemunhar ao mundo inteiro, com as nossas vidas, a glória de Cristo ressuscitado.

Em qualquer situação humana, as testemunhas atestam o que foi feito por outra pessoa. Só neste sentido é que podemos ser testemunhas de Cristo e do seu Espírito. Depois da Ascensão, como aparece narrado na conclusão do Evangelho de Marcos, os apóstolos e os discípulos «foram pregar por toda a parte; e o Senhor cooperava com eles, confirmando a Palavra com os sinais que a acompanhavam» (16, 20). Cristo, com o seu Espírito, dá testemunho de Si próprio através das obras que realiza em nós e connosco. Já explicava Santo Agostinho que a Igreja não suplicaria ao Senhor que a fé fosse concedida àqueles que não conhecem a Cristo, se não acreditasse que é o próprio Deus a revirar e atrair para Si mesmo a vontade dos homens. A Igreja não levaria os seus filhos a rezarem ao Senhor para perseverar na fé em Cristo, se não acreditasse que é precisamente o Senhor que detém na sua mão os nossos corações. De facto, se a Igreja mandasse pedir a Cristo estas coisas, mas pensando que ela mesma as poderia dar, isso significava que todas as suas orações não eram autênticas, mas fórmulas vazias, «modos de falar», conveniências ditadas pelo conformismo eclesiástico (cf. O dom da perseverança. A Próspero e Hilário, 23, 63).

Se não se reconhece que a fé é um dom de Deus, as próprias orações que a Igreja Lhe dirige não teriam sentido. Através delas, não se manifestaria qualquer paixão sincera pela felicidade e a salvação dos outros, daqueles que não reconhecem Cristo ressuscitado, mesmo que transcorra o tempo a organizar a conversão do mundo ao cristianismo.

É o Espírito Santo que acende e guarda a fé nos corações: o reconhecimento deste dado muda tudo. Efetivamente, é o Espírito que inflama e anima a missão, imprimindo-lhe feições «genéticas», acentuações e andamentos singulares que tornam o anúncio do Evangelho e a confissão da fé cristã uma coisa diferente de qualquer proselitismo político ou cultural, psicológico ou religioso.

Recordei muitos destes traços distintivos da missão, na Exortação apostólica Evangelii gaudium. Retomo alguns.

Atração. O mistério da Redenção entrou e continua a operar no mundo através duma atração, que pode conquistar o coração dos homens e mulheres, porque é, e se manifesta, mais atraente do que as seduções que fazem apelo ao egoísmo, consequência do pecado. «Ninguém pode vir a Mim se o Pai que Me enviou o não atrair», diz Jesus no Evangelho de João (6, 44). A Igreja sempre reafirmou que segue-se Jesus e anuncia-se o seu Evangelho pela força da atração exercida pelo próprio Cristo e pelo seu Espírito. O Papa Bento XVI afirmou que a Igreja cresce no mundo, não por proselitismo, mas por atração (cf. Homilia na Missa de abertura da V Conferência Geral do Episcopado da América Latina e do Caribe, Aparecida, 13/V/2007). Santo Agostinho dizia que Cristo revela-Se a nós atraindo-nos. E, para dar uma imagem desta atração, citava o poeta Virgílio segundo o qual cada um é atraído por aquilo que lhe agrada. Jesus não só convence a nossa vontade, mas atrai o nosso prazer (Comentário sobre o Evangelho de João, 26, 4). Quando uma pessoa segue feliz Jesus, porque se sente atraída por Ele, os outros dão-se conta disso; e podem maravilhar-se. A alegria que transparece nas pessoas que são atraídas por Cristo e pelo seu Espírito é o que pode tornar fecunda qualquer iniciativa missionária.

Gratidão e gratuidade. A alegria de anunciar o Evangelho sempre brilha no horizonte duma memória agradecida. Os dois primeiros discípulos nunca esqueceram o momento em que Jesus lhes tocou o coração: «Eram as quatro da tarde» (Jo 1, 39). A história da Igreja resplandece, quando nela se manifesta a gratidão pela iniciativa gratuita de Deus, porque «foi Ele mesmo que nos amou» primeiro (1 Jo 4, 10), porque «só Deus [é] que faz crescer» (1 Cor 3, 7). A predileção amorosa do Senhor surpreende-nos e gera maravilha; esta, por sua natureza, não pode ser possuída nem imposta por nós. Não é possível «maravilhar-se à força». Só assim pode florir o milagre da gratuidade, do dom gratuito de si mesmo. O próprio ardor missionário nunca se pode obter em consequência dum raciocínio ou dum cálculo. Colocar-se «em estado de missão» é um reflexo da gratidão. Trata-se da resposta duma pessoa que, por gratidão, se torna dócil ao Espírito e, consequentemente, é livre. Se não nos apercebermos da predileção do Senhor, que nos torna agradecidos, até o conhecimento da verdade e o próprio conhecimento de Deus, ostentados como uma possessão alcançável com as próprias forças, se tornariam de facto «letra [que] mata» (2 Cor 3, 6), como demonstraram primeiramente São Paulo e Santo Agostinho. Só na liberdade da gratidão é que se conhece verdadeiramente o Senhor. Por isso, não vale nada e sobretudo não é apropriado insistir na apresentação da missão e do anúncio do Evangelho como se fossem um dever vinculante, uma espécie de «obrigação contratual» dos batizados.

Humildade. Se a verdade e a fé, se a felicidade e a salvação não são nossa possessão nem uma meta alcançada pelos nossos méritos, o Evangelho de Cristo só pode ser anunciado com humildade. Jamais se pode pensar em servir a missão da Igreja cultivando a arrogância, seja como indivíduos seja através dos organismos, com a altivez de quem distorce até o dom dos Sacramentos e as palavras mais autênticas da fé cristã como se fossem um espólio que ganhamos. Não se pode ser humilde por boa educação, nem por desejar aparecer cativante; uma pessoa é humilde, se seguir Cristo, que disse aos seus: «Aprendei de Mim, porque sou manso e humilde de coração» (Mt 11, 29). Santo Agostinho interroga-se por que motivo Jesus, depois da Ressurreição, Se fez ver apenas aos seus discípulos, e não àqueles que O crucificaram; responde ele que Jesus não queria dar a impressão de «desafiar de alguma maneira os seus assassinos. Efetivamente, para Ele, era mais importante ensinar a humildade aos amigos do que lançar a verdade à cara dos inimigos» (Discurso 284, 6).

Facilitar, não complicar. Outra caraterística do trabalho missionário autêntico é a que alude à paciência de Jesus, que, nas próprias narrações do Evangelho, acompanhava sempre com misericórdia os passos de crescimento das pessoas. Um pequeno passo, no meio de grandes limitações humanas, pode fazer o coração de Deus mais feliz do que os largos passos de quem avança na vida sem grandes dificuldades. Um coração missionário reconhece a condição real em que se encontram as pessoas reais, com as suas limitações, pecados, fragilidades, e faz-se «fraco com os fracos» (1 Cor 9, 22). «Sair» em missão para alcançar as periferias humanas não significa vagar sem direção nem sentido, como vendedores impacientes que se lamentam porque a gente é demasiado rude e primitiva para se interessar pela sua mercadoria. Umas vezes, trata-se de abrandar o passo, para acompanhar quem ficou na beira da estrada; outras vezes, é preciso imitar o pai da parábola do filho pródigo, que deixa as portas abertas e perscruta, diariamente, o horizonte enquanto espera o regresso do filho (cf. Lc 15, 20). A Igreja não é uma alfândega e quem participa de algum modo na missão da Igreja é chamado a não acrescentar pesos inúteis às vidas já afadigadas das pessoas, a não impor percursos sofisticados e trabalhosos de formação para usufruir daquilo que o Senhor concede com facilidade. Não se coloquem obstáculos ao desejo de Jesus, que reza por cada um de nós e quer curar a todos, salvar a todos.

Aproximação à vida real. Jesus encontrou os seus primeiros discípulos nas margens do lago da Galileia, quando estavam ocupados no seu trabalho. Não os encontrou num congresso, num seminário de preparação nem no Templo. O anúncio de salvação de Jesus alcança as pessoas sempre onde estão e como estão, nas suas vidas reais. A normalidade da vida comum, tomando parte nas necessidades, esperanças e problemas de todos, é o lugar e a condição onde quem reconheceu o amor de Cristo e recebeu o dom do Espírito Santo pode dar razão da sua fé, esperança e caridade àqueles que lha pedirem; caminhando juntamente com os outros, ao lado de todos. Sobretudo neste tempo em que vivemos, não se trata de inventar percursos de preparação «reservados», criar mundos paralelos, criar bolhas mediáticas onde fazer ressoar os próprios slogans, as próprias declarações de intentos, reduzidas a pacatos «nominalismos declaratórios». A título de exemplo, como já tenho recordado outras vezes, na Igreja continua a haver quem apregoe o slogan «é a hora dos leigos», mas o relógio parece ter parado...

O «sensus fidei» do povo de Deus. No mundo, há um povo que possui uma espécie de «olfato» que pressente o Espírito Santo e a sua ação. É o povo de Deus, chamado e querido a Jesus, o qual, por sua vez, continua a procurá-Lo e sempre recorre a Ele nas aflições da vida. O povo de Deus suplica o dom do seu Espírito: confia a espera por Este às palavras simples das orações, e nunca se acomoda na presunção da sua autossuficiência. O santo povo de Deus é reunido e ungido pelo Senhor; e, em virtude desta unção, torna-se infalível «in credendo», como ensina a Tradição da Igreja. A ação do Espírito Santo dota o povo fiel com um «instinto» da fé – o sensus fidei –, que o ajuda a não se enganar nas coisas de Deus que crê, embora não conheça raciocínios e fórmulas teológicas para definir os dons que experimenta. O mistério do povo peregrino, que, na sua espiritualidade popular, caminha rumo aos santuários e se consagra a Jesus, a Maria e aos Santos, bebe e adere de forma conatural à iniciativa livre e gratuita de Deus, sem precisar de seguir planos de mobilização pastoral.

Predileção pelos humildes e os pobres. Todo o ardor missionário, se for guiado pelo Espírito Santo, mostra uma predileção pelos pobres e os humildes como sinal e reflexo da preferência que o Senhor tem por eles. As pessoas diretamente envolvidas em iniciativas e estruturas missionárias da Igreja nunca deveriam justificar a sua falta de atenção aos pobres com a desculpa – muito usada em certos círculos eclesiásticos – de ter que concentrar as suas energias em tarefas prioritárias para a missão. A preferência pelos pobres não é uma opção facultativa para a Igreja.

As dinâmicas e abordagens anteriormente descritas fazem parte da missão da Igreja, animada pelo Espírito Santo. Habitualmente é reconhecida e afirmada, nas declarações e discursos eclesiásticos, a necessidade do Espírito Santo como fonte da missão da Igreja. Mas sucede também que tal reconhecimento se reduza a uma espécie de «homenagem formal» à Santíssima Trindade, uma fórmula introdutória convencional para intervenções teológicas e planos pastorais. Na Igreja, há muitas situações em que o primado da graça permanece apenas como um postulado teórico, uma fórmula abstrata. Acontece que muitas iniciativas e organismos ligados à Igreja, em vez de deixar transparecer a atividade do Espírito Santo, acabam por dar testemunho apenas da sua autorreferencialidade. Muitos sistemas eclesiásticos, em todos os níveis, parecem absorvidos pela obsessão de se promover a si mesmos e às suas iniciativas; como se isto fosse o objetivo e o horizonte da sua missão.

Até aqui limitei-me a tomar e repropor critérios e ideias sobre a missão da Igreja, que expusera de forma mais desenvolvida na Exortação apostólica Evangelii gaudium. Fi-lo por acreditar que seria útil e fecundo – e inadiável – também para as Pontifícias Obras Missionárias (POM) confrontar-se com tais critérios e sugestões, neste trecho do seu caminho.

AS POM E O TEMPO PRESENTE.
TALENTOS A DESENVOLVER, TENTAÇÕES E DOENÇAS A EVITAR

Que perspetivas se abrem para o presente e o futuro das POM? Que lastro se arrisca a sobrecarregar-lhes o caminho?

Na fisionomia, eu diria na identidade, das Pontifícias Obras Missionárias, aparecem certos traços distintivos – alguns, por assim dizer, genéticos, outros adquiridos ao longo do seu percurso histórico – que muitas vezes são transcurados ou vistos como um dado adquirido. Ora, são precisamente tais traços que podem salvaguardar e tornar preciosa, sobretudo no tempo presente, a contribuição desta «rede» para a missão universal a que é chamada toda a Igreja.

As Obras Missionárias nasceram, espontaneamente, do ardor missionário manifestado pela fé dos batizados. Há e permanece uma consonância íntima, uma familiaridade entre as Obras Missionárias e o sensus fidei infalível in credendo do povo fiel de Deus.

As Obras Missionárias, desde o início, avançaram sobre dois «trilhos», ou melhor, ao longo de duas margens que seguem sempre paralelas e, no seu caráter elementar, sempre se apresentaram familiares ao coração do povo de Deus: a oração e a caridade, sob a forma da esmola, que «livra da morte e limpa de todo o pecado» (Tob 12, 9), a «caridade intensa» que «cobre a multidão dos pecados» (1 Ped 4, 8). Os fundadores das Obras Missionárias, a começar por Pauline Jaricot, não inventaram as orações nem as obras às quais confiaram os seus anseios a propósito do anúncio do Evangelho, mas limitaram-se a extraí-las do tesouro inexaurível dos gestos mais familiares e habituais que tem o povo de Deus no seu caminho ao longo da história.

As Obras Missionárias, surgidas de maneira gratuita na trama vital do povo de Deus, pela sua configuração simples e concreta foram reconhecidas e tão estimadas pela Igreja de Roma e seus Bispos, que estes, no século passado, pediram para poder adotá-las como instrumento peculiar do serviço por eles prestado à Igreja universal. Este caminho levou a atribuir a tais Obras a designação de «Pontifícias». Desde então sobressai, na fisionomia das POM, a sua caraterística de instrumentos de serviço às Igrejas particulares apoiando-as na obra de anúncio do Evangelho. Seguindo o mesmo caminho, as Pontifícias Obras Missionárias ofereceram-se docilmente como instrumentos de serviço à Igreja, no seio do ministério universal realizado pelo Papa e pela Igreja de Roma, que «preside na caridade». Assim, pelo seu próprio percurso e sem entrar em complexas disputas teológicas, as POM refutaram os argumentos de quem, mesmo em ambientes eclesiásticos, contrapõe de maneira imprópria carisma e instituição, lendo sempre as relações entre as duas realidades através duma equivocada «dialética dos princípios». Efetivamente, na Igreja, os próprios elementos estruturais permanentes – tais como os Sacramentos, o sacerdócio e a sucessão apostólica – não estão à disposição da Igreja como um objeto de posse adquirida, mas devem ser continuamente recriados pelo Espírito Santo (cf. Card. J. Ratzinger, Os movimentos eclesiais e a sua colocação teológica. Intervenção no Congresso mundial dos movimentos eclesiais, Roma, 27-29/V/1998).

As Obras Missionárias, desde a sua difusão inicial, estruturaram-se como uma rede capilar espalhada no seio do povo de Deus, plenamente ancorada e efetivamente «imanente» à rede das instituições e realidades da vida eclesial pré-existentes, como as dioceses, as paróquias, as comunidades religiosas. A vocação peculiar das pessoas envolvidas nas Obras Missionárias nunca foi vivida e sentida como um caminho alternativo, uma pertença «externa» relativamente às formas comuns da vida das Igrejas particulares. A solicitação no sentido de rezar e angariar recursos para a missão sempre foi feita como um serviço à comunhão eclesial.

As Obras Missionárias, tornando-se com o decorrer do tempo uma rede espalhada por todos os Continentes, refletem pela sua própria configuração a variedade de acentos, condições, problemas e dons que conotam a vida da Igreja nos diferentes lugares do mundo. Uma pluralidade que pode proteger contra assimilações ideológicas e unilateralismos culturais. Nesta linha é possível experimentar, também através das POM, o mistério da universalidade da Igreja: enquanto a obra incessante do Espírito Santo cria a harmonia entre as diferentes vozes, o Bispo de Roma, com o seu serviço de caridade exercido inclusivamente através das Pontifícias Obras Missionárias, salvaguarda a unidade na fé.

Todas as caraterísticas descritas até agora podem ajudar as Pontifícias Obras Missionárias a subtraírem-se às armadilhas e patologias que pairam sobre o caminho delas e de tantas outras instituições eclesiais. Assinalo algumas delas.

ARMADILHAS A EVITAR

Autorreferencialidade. Sem pretender negar as boas intenções dos indivíduos, organizações e entidades eclesiais, às vezes acabam fechadas em si mesmas, dedicando energias e atenção sobretudo à sua autopromoção e à celebração em chave publicitária das suas iniciativas. Outras parecem dominadas pela obsessão de redefinir continuamente a sua relevância e os seus espaços dentro da Igreja, com a justificação de quererem relançar o melhor possível a sua missão. Desta maneira, como disse uma vez o então Cardeal Joseph Ratzinger, alimenta-se a ideia enganadora de que uma pessoa seria tanto mais cristã quanto mais estivesse empenhada em estruturas intraeclesiais, quando na realidade quase todos os batizados vivem a fé, a esperança e a caridade na sua vida normal, sem nunca aparecer em comissões eclesiais nem se ocupar dos últimos desenvolvimentos de política eclesiástica (cf. Uma companhia sempre em reforma, Conferência no Encontro de Rimini, 01/IX/1990).

Ânsia de comando. Sucede às vezes que instituições e organismos surgidos para ajudar as comunidades eclesiais, pondo ao serviço destas os dons que neles suscitou o Espírito Santo, pretendam com o passar do tempo exercer supremacias e funções de controle sobre as comunidades que deveriam servir. Este comportamento é quase sempre acompanhado pela presunção de exercer o papel de «depositários», distribuidores de licenças de legitimidade a respeito dos outros. Efetivamente, nestes casos, comportam-se como se a Igreja fosse um produto das nossas análises, dos nossos programas, acordos e decisões.

Elitismo. Várias vezes se apodera daqueles que fazem parte de organismos e realidades organizadas na Igreja um sentimento elitista, a ideia tácita de pertencer a uma aristocracia. Uma classe superior de especialistas que procura ampliar os seus espaços em cumplicidade ou em concorrência com outras elites eclesiásticas, e prepara os seus membros segundo os sistemas e as lógicas mundanas da militância ou da competência técnico-profissional, sempre com a intenção principal de promover as suas prerrogativas oligárquicas.

Isolamento do povo. Nalgumas realidades ligadas à Igreja, a tentação elitista é às vezes acompanhada por um sentimento de superioridade e impaciência face à multidão dos batizados, ao povo de Deus, que talvez frequente as paróquias e os santuários, mas não se compõe de «ativistas» ocupados em organizações católicas. Nestes casos, o próprio povo de Deus é visto como uma massa inerte, que precisa incessantemente de ser reanimada e mobilizada através duma «tomada de consciência» que se deve estimular por meio de argumentações, apelos, ensinamentos. Comportam-se como se a certeza da fé fosse consequência de um discurso persuasivo ou de métodos de preparação.

Abstração. Organismos e realidades ligadas à Igreja, quando se tornam autorreferenciais, perdem o contacto com a realidade e adoecem de abstração. Multiplicam-se inúteis locais de elaboração estratégica, para produzir projetos e diretrizes que servem apenas como instrumentos de autopromoção de quem os inventa. Tomam-se os problemas e seccionam-se em laboratórios intelectuais, onde tudo acaba domesticado e envernizado segundo as chaves ideológicas de preferência; onde tudo, fora do contexto real, pode ser cristalizado num simulacro, incluindo as referências à fé ou os apelos verbais a Jesus e ao Espírito Santo.

Funcionalismo. As organizações autorreferenciais e elitistas, mesmo na Igreja, acabam frequentemente por apostar tudo na imitação dos modelos mundanos de eficiência, como os impostos por uma competição económica e social exacerbada. A opção do funcionalismo garante a ilusão de «resolver os problemas» com equilíbrio, ter as coisas sob controle, aumentar a sua relevância, melhorar a administração ordinária do que existe. Mas, como já vos disse no encontro que tivemos em 2016, uma Igreja que tem medo de se abandonar à graça de Cristo e aposta na eficiência do sistema, já está morta, mesmo que as estruturas e programas a favor dos clérigos e leigos «auto-ocupados» possam ainda durar séculos.

CONSELHOS PARA O CAMINHO

Perscrutando o presente e o futuro e procurando também no percurso das POM os recursos para superar as armadilhas do caminho e continuar para diante, permito-me dar algumas sugestões para ajudar o vosso discernimento. Tendo vós empreendido um percurso de reavaliação das próprias POM, que quereis que seja inspirado nas indicações do Papa, proponho à vossa atenção critérios e ideias gerais, sem entrar em detalhes, até porque os diferentes contextos poderão exigir adaptações e variações.

1) Na medida das vossas possibilidades e sem vos perderdes em demasiadas conjeturas, salvaguardai ou redescobri a inserção das POM no seio do povo de Deus, a sua imanência na trama da vida real em que nasceram. Será útil uma «imersão» mais intensa na vida real das pessoas, tal como é. Quando se segue a Jesus, faz bem a todos sair do ambiente fechado das próprias problemáticas internas. Convém mergulhar nas circunstâncias e condições concretas, inclusive procurando ou tentando reintegrar a capilaridade da ação e dos contactos das POM no seu entrelaçamento com a rede eclesial (dioceses, paróquias, comunidades, grupos). Se se privilegiar a própria imanência no povo de Deus, com as suas luzes e dificuldades, consegue-se também fugir melhor da armadilha da abstração. Mais do que formular e multiplicar propostas, é preciso dar respostas a perguntas e exigências reais. Talvez seja a partir duma luta corpo a corpo com a vida em ato, e não dos cenáculos fechados ou das análises teóricas sobre as próprias dinâmicas internas, que poderão chegar as intuições úteis para mudar e melhorar os procedimentos operacionais, adaptando-os aos variados contextos e às diferentes circunstâncias.

2) Sugiro proceder de modo que o sistema essencial das POM permaneça ligado às práticas da oração e da coleta de recursos para a missão, um sistema válido e estimado precisamente pela sua natureza elementar e concreta. Expressa a afinidade das POM com a fé do povo de Deus. Com toda a flexibilidade e as necessárias adaptações, convém que não seja esquecido nem distorcido este traçado elementar das POM: orações ao Senhor, para que Ele abra os corações ao Evangelho, e súplicas a todos, para que sustentem também de forma concreta a obra missionária. Há nisto uma simplicidade e um concretismo que todos podem apreciar no momento atual, pois, mesmo nas circunstâncias ditadas pelo flagelo da pandemia, se sente por todo o lado o desejo de encontrar e permanecer próximo de tudo o que é simplesmente Igreja. Procurai também novas estradas, novas formas para o vosso serviço, mas, para o conseguir, não adianta complicar o que é simples.

3) As POM são e devem comportar-se como um instrumento de serviço à missão nas Igrejas particulares, tendo por horizonte a missão da Igreja que sempre abraça o mundo inteiro. Está nisto a sua contribuição, sempre valiosa, para o anúncio do Evangelho. Todos somos chamados a guardar por amor e gratidão, mesmo com as nossas obras, os germes de vida teologal que o Espírito de Cristo faz desabrochar e crescer onde Ele quer, mesmo nos desertos. Por favor, na oração, a primeira coisa a pedir ao Senhor é que nos torne a todos mais prontos a captar os sinais do seu agir para depois os indicar ao mundo inteiro. Só isto pode ser útil: pedir que em nós, no íntimo do nosso coração, a invocação do Espírito Santo não se reduza a um postulado estéril e redundante das nossas reuniões e homilias; pelo contrário, não adianta fazer conjeturas e teorizar a propósito de super-estrategas ou «centrais dirigentes» da missão, a quem delegar, como a presumidos e enfatuados «guardiões» da dimensão missionária da Igreja, a tarefa de despertar o espírito missionário ou conceder licenças para missionar os outros. Se, nalgumas situações, definha o ardor pela missão, é sinal de que está a desfalecer a fé. E, neste caso, a pretensão de reanimar a chama que se apaga com estratégias e discursos, acaba por enfraquecê-la ainda mais, fazendo apenas avançar o deserto.

4) Por sua natureza, o serviço prestado pelas POM coloca os seus executores em contacto com inúmeras realidades, situações e eventos que fazem parte do grande fluxo da vida da Igreja, em todos os Continentes. Neste fluxo, pode-se embater não só em muitos gravames e escleroses que acompanham a vida eclesial, mas também nos dons gratuitos de cura e consolação que o Espírito Santo semeia na vida diária daquela que poderia chamar-se a «classe média da santidade». E podeis alegrar-vos e exultar, saboreando os encontros que vos acontecem, graças ao trabalho das POM, e deixando-vos maravilhar por eles. Penso nas narrações que ouvi de tantos milagres sucedidos com as crianças, que encontraram Jesus talvez através das iniciativas propostas pela Infância Missionária. Por isso, nunca deixeis que o vosso trabalho acabe «esterilizado» numa dimensão exclusivamente burocrático-profissional. Não pode haver burocratas nem funcionários da missão. E a vossa gratidão pode tornar-se, por sua vez, um dom e um testemunho para todos. Para conforto de todos, podeis, com os meios de que dispondes e sem artificialismos, referir os casos de pessoas e comunidades que pudestes encontrar mais facilmente do que outras, por resplandecer gratuitamente nelas o milagre da fé, da esperança e da caridade.

5) A gratidão à vista dos prodígios operados pelo Senhor entre os seus prediletos – os pobres e os pequeninos a quem Ele revela as coisas ocultas aos sábios (cf. Mt 11, 25-26) – pode tornar mais fácil, também para vós, subtrair-vos às armadilhas das retiradas autorreferenciais e sair de vós mesmos, seguindo a Jesus. A ideia duma atividade missionária autorreferencial, que passa o tempo a contemplar e autoincensar-se pelas suas iniciativas, seria em si mesma um absurdo. Não gasteis demasiado tempo nem recursos a «olhar para vós mesmos», a elaborar planos autocentrados nos mecanismos internos, na funcionalidade e capacidades do seu organigrama. Olhai para fora, não vos olheis ao espelho. Quebrai todos os espelhos de casa. Os critérios a seguir, mesmo na realização dos programas, tenham em vista aliviar, tornar mais flexíveis estruturas e procedimentos, em vez de sobrecarregar com outros elementos do sistema a rede das POM. Por exemplo, cada diretor nacional, durante o seu mandato, esforce-se por identificar as figuras de um possível sucessor, tendo como único critério não assinalar pessoas do seu círculo de amigos ou companheiros de «agregação» eclesiástica, mas pessoas que lhe parecem ter mais ardor missionário do que ele próprio.

6) Quanto à angariação de recursos para ajudar a missão, por ocasião dos nossos encontros anteriores, já chamei a atenção para o risco de transformar as POM numa ONG inteiramente dedicada à busca e atribuição dos fundos. Isso depende mais do coração com que se fazem as coisas, do que das coisas que se fazem. Na recolha de fundos, certamente pode ser aconselhável e até oportuno recorrer criativamente a metodologias atualizadas para se obter financiamentos da parte de potenciais e beneméritos doadores. Mas quando, nalgumas áreas, a coleta de doações falha, devido também ao declínio da memória cristã, então pode vir a tentação de resolvermos nós o problema «encobrindo» a realidade e apostando nalgum sistema de angariação mais eficaz, que vai à procura dos grandes doadores. Ao contrário, o sofrimento pela perda da fé e também pela diminuição dos recursos não se deve descartar, mas colocar nas mãos do Senhor. Em todo o caso, é bom que o pedido de ofertas para as missões continue a ser feito prioritariamente a toda a multidão dos batizados, inclusive apostando de maneira nova na coleta para as missões que se realiza nas igrejas de todos os países, em outubro, por ocasião do Dia Mundial das Missões. A Igreja sempre continuou a avançar graças também ao óbolo da viúva, à contribuição daquela série inumerável de pessoas que se sentem curadas e consoladas por Jesus e, consequentemente, pelo transbordar da sua gratidão, dão o que têm.

7) Quanto ao uso das doações recebidas, avaliai sempre com apropriado sensus Ecclesiae a distribuição dos fundos para apoio de estruturas e projetos que realizam de variados modos a missão apostólica e o anúncio do Evangelho nas diferentes partes do mundo. Tenha-se sempre em conta reais necessidades primárias das comunidades e, ao mesmo tempo, evitem-se formas de assistencialismo que, em vez de oferecer instrumentos ao ardor missionário, acabam por entibiar os corações e alimentar na própria Igreja fenómenos de clientelismo parasitário. Com a vossa contribuição, procurai dar respostas concretas a exigências objetivas, sem desperdiçar recursos em iniciativas caraterizadas pela abstração, autorreferência ou produzidas pelo narcisismo clerical de alguém. Não cedais a complexos de inferioridade nem tentações de emulação com organizações super-funcionais que arrecadam fundos para causas justas e depois uma boa percentagem dos mesmos é utilizada para financiar o sistema e fazer publicidade da própria marca. Mesmo isso torna-se às vezes uma estrada para cuidar primeiro dos próprios interesses, embora mostrando que se está a trabalhar em benefício dos pobres e necessitados.

8) A propósito dos pobres, também vós não vos esqueçais deles. Esta foi a recomendação que os apóstolos Pedro, João e Tiago deram, no Concílio de Jerusalém, a Paulo, Barnabé e Tito que lá se tinham deslocado para debater a sua missão entre os incircuncisos: «Só nos disseram que nos devíamos lembrar dos pobres» (Gal 2, 10). Na sequência de tal recomendação, Paulo organizou as coletas a favor dos irmãos da Igreja de Jerusalém (cf. 1 Cor 16, 1). Desde o início, a predileção pelos pobres e os pequeninos faz parte da missão de anunciar o Evangelho. As obras de caridade espiritual e corporal em seu favor manifestam uma «preferência divina» que interpela a vida de fé de todos os cristãos, chamados a ter os mesmos sentimentos de Jesus (cf. Flp 2, 5).

9) As POM, com a sua rede espalhada por todo o mundo, refletem a rica variedade do «povo de mil rostos» reunido pela graça de Cristo, com o seu ardor missionário; um ardor, que não é sempre intenso e vigoroso da mesma maneira em toda parte. Entretanto, ao partilhar a mesma urgência de confessar Cristo morto e ressuscitado, expressa-se com acentuações diferentes, adaptando-se aos vários contextos. A revelação do Evangelho não se identifica com nenhuma cultura e, no encontro com novas culturas que ainda não receberam a pregação cristã, é preciso não impor uma determinada forma cultural juntamente com a proposta do Evangelho. Hoje, no próprio trabalho das POM, convém não levar bagagens pesadas; é melhor cingir aos traços essenciais da fé o seu perfil diferenciado e o seu referimento comum. Também pode ofuscar a universalidade da fé cristã a pretensão de estandardizar a forma do anúncio, apostando tudo talvez sobre estereótipos e slogans que estão na moda em certos círculos de determinados países cultural ou politicamente dominantes. A propósito, a própria relação especial que une as POM ao Papa e à Igreja de Roma constitui um recurso e um sustentáculo de liberdade, que a todos ajuda a subtrair-se de modas passageiras, da restrição a escolas de pensamento unilaterais ou de homologações culturais de cunho neocolonialista: fenómenos que, infelizmente, se registam também em contextos eclesiásticos.

10) As POM não são, na Igreja, uma entidade fechada em si mesma, suspensa no vazio. Entre as suas especificidades, que sempre se devem cultivar e renovar, está o vínculo especial que as une ao Bispo da Igreja de Roma, que preside na caridade. É belo e reconfortante reconhecer que este vínculo se manifesta num trabalho realizado com alegria, sem procurar aplausos nem avançar reivindicações. Uma obra que, precisamente na sua gratuidade, se entrelaça com o serviço do Papa, servo dos servos de Deus. Peço-vos que o caráter distintivo da vossa proximidade ao Bispo de Roma seja precisamente este: a partilha do amor à Igreja, reflexo do amor a Cristo, vivido e traduzido no silêncio, sem enfatuar-se nem assinalar «os próprios territórios»; com um trabalho diário que beba na caridade e no seu mistério de gratuidade; com uma atividade que apoia inúmeras pessoas, interiormente gratas mas que talvez não saibam sequer a quem agradecer, pois nem conhecem pelo nome as POM. O mistério da caridade na Igreja, realiza-se assim. Continuemos a caminhar juntos, felizes de avançar por entre provações, graças aos dons e consolações do Senhor. Entretanto reconheçamos com alegria que somos todos – a começar por mim – servos inúteis.

CONCLUSÃO

Ide com entusiasmo: no caminho que vos espera, há tanto a fazer. Se houver mudanças a experimentar nos procedimentos, é bom que as mesmas procurem aliviar, e não aumentar o peso; visem ganhar flexibilidade operacional, e não produzir sistemas rígidos adicionais e sempre ameaçados de introversão. Tende presente, por um lado, que uma centralização excessiva, em vez de ajudar, pode complicar a dinâmica missionária e, por outro, que uma articulação puramente nacional das iniciativas põe em risco a própria fisionomia da rede das POM, bem como o intercâmbio de dons entre as Igrejas e comunidades locais, vivido como fruto e sinal tangível da caridade entre os irmãos, na comunhão com o Bispo de Roma.

Em todo o caso, rezai sempre para que toda a consideração relativa à estrutura operacional das POM seja iluminada pela única coisa necessária: um pouco de verdadeiro amor à Igreja, como reflexo do amor a Cristo. O vosso é um serviço prestado ao ardor apostólico, isto é, a um ímpeto de vida teologal que só o Espírito Santo pode operar no povo de Deus. Procurai fazer bem o vosso trabalho «como se tudo dependesse de vós, sabendo que, na realidade, tudo depende de Deus» (Santo Inácio de Loyola). Como vos disse anteriormente, durante um dos nossos encontros, tende a prontidão de Maria. Quando foi ter com Isabel, Maria não o fez por interesse próprio: foi como serva do Senhor Jesus, que levava no seio. De Si mesma, nada disse; apenas levou o Filho e louvou a Deus. Não era Ela a protagonista. Fora como a serva d’Aquele que é também o único protagonista da missão. Mas não perdeu tempo, foi apressadamente trabalhar para ajudar a sua parenta. Ela ensina-nos esta prontidão, a pressa da fidelidade e da adoração.

Nossa Senhora guarde a vós e às Pontifícias Obras Missionárias e vos abençoe o seu Filho, o Senhor nosso Jesus Cristo. Ele, antes de subir ao Céu, prometeu estar sempre connosco... até ao fim dos tempos.

Dado em Roma, em São João de Latrão, na Solenidade da Ascensão do Senhor, 21 de maio de 2020.

FRANCISCO

[00656-PO.01] [Texto original: Italiano]

[B0295-XX.02]