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Udienza al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede per la presentazione degli auguri per il nuovo anno, 09.01.2020


Discorso del Santo Padre

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Traduzione in lingua araba

 

 

Questa mattina, nella Sala Regia del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza i Membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede per la presentazione degli auguri per il nuovo anno.

Dopo le parole introduttive del Decano del Corpo Diplomatico, S.E. il Signor George Poulides, Ambasciatore di Cipro presso la Santa Sede, il Papa ha pronunciato il discorso che riportiamo di seguito:

Discorso del Santo Padre

Eccellenze, Signore e Signori,

un nuovo anno si apre dinanzi a noi e, come il vagito di un bimbo appena nato, ci invita alla gioia e ad assumere un atteggiamento di speranza. Vorrei che questa parola – speranza –, che per i cristiani è una virtù fondamentale, animasse lo sguardo con cui ci addentriamo nel tempo che ci attende.

Certo, sperare esige realismo. Esige la consapevolezza delle numerose questioni che affliggono la nostra epoca e delle sfide all’orizzonte. Esige che si chiamino i problemi per nome e che si abbia il coraggio di affrontarli. Esige di non dimenticare che la comunità umana porta i segni e le ferite delle guerre succedutesi nel tempo, con crescente capacità distruttiva, e che non cessano di colpire specialmente i più poveri e i più deboli[1]. Purtroppo, il nuovo anno non sembra essere costellato da segni incoraggianti, quanto piuttosto da un inasprirsi di tensioni e violenze.

È proprio alla luce di queste circostanze che non possiamo smettere di sperare. E sperare esige coraggio. Esige la consapevolezza che il male, la sofferenza e la morte non prevarranno e che anche le questioni più complesse possono e devono essere affrontate e risolte. La speranza «è la virtù che ci mette in cammino, ci dà le ali per andare avanti, perfino quando gli ostacoli sembrano insormontabili»[2].

Con quest’animo, vi accolgo oggi, cari Ambasciatori, per porgervi gli auguri per il nuovo anno. Ringrazio in modo speciale il Decano del Corpo Diplomatico, S.E. il Signor George Poulides, Ambasciatore di Cipro, per le cordiali espressioni che mi ha indirizzato a nome di tutti voi e vi sono grato per la presenza, così numerosa e significativa, e per l’impegno che quotidianamente dedicate a consolidare le relazioni che legano la Santa Sede ai vostri Paesi e alle vostre Organizzazioni internazionali a vantaggio della pacifica convivenza tra i popoli.

La pace e lo sviluppo umano integrale sono infatti l’obiettivo principale della Santa Sede nell’ambito del suo impegno diplomatico. Ad essa sono orientati gli sforzi della Segreteria di Stato e dei Dicasteri della Curia Romana, come pure quelli dei Rappresentanti Pontifici, che ringrazio per la dedizione con cui compiono la duplice missione loro affidata di rappresentare il Papa sia presso le Chiese locali sia presso i vostri Governi.

In tale prospettiva si collocano pure gli Accordi di carattere generale, firmati o ratificati nel corso dell’anno appena trascorso, con la Repubblica del Congo, cara la Repubblica Centroafricana, il Burkina Faso e l’Angola, come pure l’Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica Italiana per l’applicazione della Convenzione di Lisbona sul riconoscimento dei titoli di studio relativi all’insegnamento superiore nella Regione Europea.

Anche i Viaggi Apostolici, oltre che essere una via privilegiata attraverso la quale il Successore dell’Apostolo Pietro conferma i fratelli nella fede, sono un’occasione per favorire il dialogo a livello politico e religioso. Nel 2019 ho avuto l’opportunità di visitare diverse realtà significative. Vorrei ripercorrere con voi le tappe che ho compiuto, cogliendo l’opportunità per uno sguardo più ampio su alcune questioni problematiche del nostro tempo.

All’inizio dello scorso anno, in occasione della XXXIV Giornata Mondiale della Gioventù, ho incontrato a Panama giovani provenienti dai cinque continenti, pieni di sogni e speranze, lì convenuti per pregare e ravvivare il desiderio e l’impegno di creare un mondo più umano[3]. È sempre una gioia e una grande opportunità poter incontrare i giovani. Essi sono il futuro e la speranza delle nostre società, ma anche il presente.

Eppure, come è tristemente noto, non pochi adulti, compresi diversi membri del clero, si sono resi responsabili di delitti gravissimi contro la dignità dei giovani, bambini e adolescenti, violandone l’innocenza e l’intimità. Si tratta di crimini che offendono Dio, causano danni fisici, psicologici e spirituali alle vittime e ledono la vita di intere comunità.[4] In seguito all’incontro con gli episcopati di tutto il mondo, che ho convocato in Vaticano nel febbraio scorso, la Santa Sede rinnova il suo impegno affinché si faccia luce sugli abusi compiuti e si assicuri la protezione dei minori, attraverso un ampio spettro di norme che consentano di affrontare detti casi nell’ambito del diritto canonico e attraverso la collaborazione con le autorità civili, a livello locale e internazionale.

Di fronte a così gravi ferite, risulta tuttavia ancora più urgente che gli adulti non abdichino al compito educativo che compete loro, anzi si facciano carico di tale impegno con maggior zelo per condurre i giovani alla maturità spirituale, umana e sociale.

Per questa ragione intendo promuovere, il 14 maggio prossimo, un evento mondiale che avrà per tema: Ricostruire il patto educativo globale. Si tratta di un incontro volto a «ravvivare l’impegno per e con le giovani generazioni, rinnovando la passione per un’educazione più aperta ed inclusiva, capace di ascolto paziente, dialogo costruttivo e mutua comprensione. Mai come ora, c’è bisogno di unire gli sforzi in un’ampia alleanza educativa per formare persone mature, capaci di superare frammentazioni e contrapposizioni e ricostruire il tessuto di relazioni per un’umanità più fraterna»[5].

Ogni cambiamento, come quello epocale che stiamo attraversando, richiede un cammino educativo, la costituzione di un villaggio dell’educazione [6] che generi una rete di relazioni umane e aperte. Tale villaggio deve mettere al centro la persona, favorire la creatività e la responsabilità per una progettualità di lunga durata e formare persone disponibili a mettersi al servizio della comunità.

Occorre dunque un concetto di educazione che abbracci l’ampia gamma di esperienze di vita e di processi di apprendimento e che consenta ai giovani, individualmente e collettivamente, di sviluppare le loro personalità. L’educazione non si esaurisce nelle aule delle scuole o delle Università, ma è assicurata principalmente rispettando e rafforzando il diritto primario della famiglia a educare, e il diritto delle Chiese e delle aggregazioni sociali a sostenere le famiglie e collaborare con esse nell’educazione dei figli.

Educare esige di entrare in un dialogo leale con i giovani. Sono anzitutto loro a richiamarci all’urgenza di quella solidarietà intergenerazionale, che purtroppo è venuta a mancare negli ultimi anni. C’è, infatti, una tendenza, in molte parti del mondo, a chiudersi in se stessi, a proteggere i diritti e i privilegi acquisiti, a concepire il mondo dentro un orizzonte limitato che tratta con indifferenza gli anziani e soprattutto non offre più spazio alla vita nascente. L’invecchiamento generale di parte della popolazione mondiale, specialmente nell’Occidente, ne è una triste ed emblematica rappresentazione.

Se da un lato non dobbiamo dimenticare che i giovani attendono la parola e l’esempio degli adulti, nello stesso tempo dobbiamo avere ben presente che essi hanno molto da offrire con il loro entusiasmo, con il loro impegno e con la loro sete di verità, attraverso la quale ci richiamano costantemente al fatto che la speranza non è un’utopia e la pace è un bene sempre possibile.

Lo abbiamo visto nel modo con cui molti giovani si stanno impegnando per sensibilizzare i leader politici sulla questione dei cambiamenti climatici. La cura della nostra casa comune dev’essere una preoccupazione di tutti e non oggetto di contrapposizione ideologica fra diverse visioni della realtà, né tantomeno fra le generazioni, poiché «a contatto con la natura – come ricordava Benedetto XVI –, la persona ritrova la sua giusta dimensione, si riscopre creatura, piccola ma al tempo stesso unica, “capace di Dio” perché interiormente aperta all’Infinito»[7]. La custodia del luogo che ci è stato donato dal Creatore per vivere non può dunque essere trascurata, né ridursi ad una problematica elitaria. I giovani ci dicono che non può essere così, poiché esiste una sfida urgente, a tutti i livelli, di proteggere la nostra casa comune e «di unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale»[8]. Essi ci richiamano all’urgenza di una conversione ecologica, che «va intesa in maniera integrale, come una trasformazione delle relazioni che intratteniamo con le nostre sorelle e i nostri fratelli, con gli altri esseri viventi, con il creato nella sua ricchissima varietà, con il Creatore che è origine di ogni vita»[9].

Purtroppo, l’urgenza di questa conversione ecologica sembra non essere acquisita dalla politica internazionale, la cui risposta alle problematiche poste da questioni globali come quella dei cambiamenti climatici è ancora molto debole e fonte di forte preoccupazione. La XXV Sessione della Conferenza degli Stati Parte della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (COP25), svoltasi a Madrid lo scorso dicembre, rappresenta un grave campanello di allarme circa la volontà della Comunità internazionale di affrontare con saggezza ed efficacia il fenomeno del riscaldamento globale, che richiede una risposta collettiva, capace di far prevalere il bene comune sugli interessi particolari.

Queste considerazioni riportano la nostra attenzione all’America Latina, in particolare all’Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per la regione amazzonica, svoltasi in Vaticano lo scorso mese di ottobre. Il Sinodo è stato un evento essenzialmente ecclesiale, mosso dalla volontà di mettersi in ascolto delle speranze e delle sfide della Chiesa in Amazzonia e di aprire nuove strade all’annuncio del Vangelo al Popolo di Dio, specialmente alle popolazioni indigene. Tuttavia, l’Assemblea sinodale non poteva esimersi dal toccare anche altre tematiche, a partire dall’ecologia integrale, che riguardano la vita stessa di quella Regione, così vasta e importante per tutto il mondo, poiché «la foresta amazzonica è un “cuore biologico” per la Terra, sempre più minacciata»[10].

Oltre alla situazione nella regione amazzonica, desta preoccupazione il moltiplicarsi di crisi politiche in un crescente numero di Paesi del continente americano, con tensioni e insolite forme di violenza che acuiscono i conflitti sociali e generano gravi conseguenze socio-economiche e umanitarie. Le polarizzazioni sempre più forti non aiutano a risolvere i veri e urgenti problemi dei cittadini, soprattutto dei più poveri e vulnerabili, né tantomeno può farlo la violenza, che per nessun motivo può essere adottata come strumento per affrontare le questioni politiche e sociali. In questa sede desidero ricordare specialmente il Venezuela, affinché non venga meno l’impegno a cercare soluzioni.

In generale, i conflitti della regione americana, pur avendo radici diverse, sono accomunati dalle profonde disuguaglianze, dalle ingiustizie e dalla corruzione endemica, nonché dalle varie forme di povertà che offendono la dignità delle persone. Occorre, pertanto, che i leader politici si sforzino di ristabilire con urgenza una cultura del dialogo per il bene comune e per rafforzare le istituzioni democratiche e promuovere il rispetto dello stato di diritto, al fine di prevenire derive antidemocratiche, populiste ed estremiste.

Nel mio secondo viaggio del 2019, mi sono recato negli Emirati Arabi Uniti, prima visita di un Successore di Pietro nella Penisola arabica. Ad Abu Dhabi ho firmato con il Grande Imam di Al-Azhar Ahmad al-Tayyib il Documento sulla Fratellanza Umana per la pace mondiale e la convivenza comune. Si tratta di un testo importante, volto a favorire la mutua comprensione tra cristiani e musulmani e la convivenza in società sempre più multietniche e multiculturali, poiché nel condannare fermamente l’uso del «nome di Dio per giustificare atti di omicidio, di esilio, di terrorismo e di oppressione»[11], richiama l’importanza del concetto di cittadinanza, che «si basa sull’eguaglianza dei diritti e dei doveri sotto la cui ombra tutti godono della giustizia»[12]. Ciò esige il rispetto della libertà religiosa e che ci si adoperi per rinunciare all’uso discriminatorio del termine minoranze, che porta con sé i semi del sentirsi isolati e dell’inferiorità e prepara il terreno alle ostilità e alla discordia, discriminando i cittadini in base all’appartenenza religiosa[13]. A tal fine è particolarmente importante formare le generazioni future al dialogo interreligioso, quale via maestra per la conoscenza, la comprensione e il sostegno reciproco fra appartenenti a diverse religioni.

Pace e speranza sono stati anche al centro della mia visita in Marocco, dove con Sua Maestà il Re Mohammed VI ho sottoscritto un appello congiunto su Gerusalemme, «riconoscendo l’unicità e la sacralità di Gerusalemme / Al Qods Acharif e avendo a cuore il suo significato spirituale e la sua peculiare vocazione di Città della Pace»[14]. E da Gerusalemme, città cara ai fedeli delle tre religioni monoteiste, chiamata ad essere luogo-simbolo di incontro e di coesistenza pacifica, in cui si coltivano il rispetto reciproco e il dialogo[15], il mio pensiero non può che estendersi a tutta la Terra Santa per richiamare l’urgenza che l’intera Comunità internazionale, con coraggio e sincerità e nel rispetto del diritto internazionale, riconfermi il suo impegno a sostegno del processo di pace israelo-palestinese.

Un più assiduo ed efficace impegno da parte della Comunità internazionale è quanto mai urgente anche in altre parti dell’area mediterranea e del Medio Oriente. Mi riferisco anzitutto alla coltre di silenzio che rischia di coprire la guerra che ha devastato la Siria nel corso di questo decennio. È particolarmente urgente trovare soluzioni adeguate e lungimiranti che permettano al caro popolo siriano, stremato dalla guerra, di ritrovare la pace e avviare la ricostruzione del Paese. La Santa Sede accoglie con favore ogni iniziativa volta a porre le basi per la risoluzione del conflitto ed esprime ancora una volta la propria gratitudine alla Giordania e al Libano per aver accolto ed essersi fatti carico, con non pochi sacrifici, di migliaia di profughi siriani. Purtroppo, oltre alle fatiche provocate dall’accoglienza, altri fattori di incertezza economica e politica, in Libano e in altri Stati, stanno provocando tensioni tra la popolazione, mettendo ulteriormente a rischio la fragile stabilità del Medio Oriente.

Particolarmente preoccupanti sono i segnali che giungono dall’intera regione, in seguito all’innalzarsi della tensione fra l’Iran e gli Stati Uniti e che rischiano anzitutto di mettere a dura prova il lento processo di ricostruzione dell’Iraq, nonché di creare le basi di un conflitto di più vasta scala che tutti vorremmo poter scongiurare. Rinnovo dunque il mio appello perché tutte le parti interessate evitino un innalzamento dello scontro e mantengano «accesa la fiamma del dialogo e dell’autocontrollo»[16], nel pieno rispetto della legalità internazionale.

Il mio pensiero va pure allo Yemen, che vive una delle più gravi crisi umanitarie della storia recente, in un clima di generale indifferenza della Comunità internazionale, e alla Libia, che da molti anni attraversa una situazione conflittuale, aggravata dalle incursioni di gruppi estremisti e da un ulteriore acuirsi di violenza nel corso degli ultimi giorni. Tale contesto è fertile terreno per la piaga dello sfruttamento e del traffico di essere umani, alimentato da persone senza scrupoli che sfruttano la povertà e la sofferenza di quanti fuggono da situazioni di conflitto o di povertà estrema. Tra questi, molti finiscono preda di vere e proprie mafie che li detengono in condizioni disumane e degradanti e ne fanno oggetto di torture, violenze sessuali, estorsioni.

In generale, occorre rilevare che nel mondo vi sono diverse migliaia di persone, con legittime richieste di asilo e bisogni umanitari e di protezione verificabili, che non vengono adeguatamente identificati. Molti rischiano la vita in viaggi pericolosi per terra e soprattutto per mare. È con dolore che si continua a constatare come il Mare Mediterraneo rimanga un grande cimitero[17]. È sempre più urgente, dunque, che tutti gli Stati si facciano carico della responsabilità di trovare soluzioni durature.

Da parte sua, la Santa Sede guarda con grande speranza agli sforzi compiuti da numerosi Paesi per condividere il peso del reinsediamento e fornire agli sfollati, in particolare a causa di emergenze umanitarie, un posto sicuro in cui vivere, un’educazione, nonché la possibilità di lavorare e di ricongiungersi con le proprie famiglie.

Cari Ambasciatori,

nei viaggi dello scorso anno ho avuto modo di toccare anche tre Paesi dell’Europa orientale, raggiungendo prima la Bulgaria e la Macedonia del Nord e, in un secondo momento, la Romania. Si tratta di tre Paesi diversi tra loro, accomunati tuttavia dal fatto di essere stati, nei secoli, ponti fra l’Oriente e l’Occidente e crocevia di culture, etnie e civiltà differenti. Visitandoli, ho potuto sperimentare ancora una volta quanto siano importanti il dialogo e la cultura dell’incontro per costruire società pacifiche, nelle quali ognuno possa liberamente esprimere la propria appartenenza etnica e religiosa.

Rimanendo nel contesto europeo, vorrei richiamare l’importanza di sostenere il dialogo e il rispetto della legalità internazionale per risolvere i “conflitti congelati” che persistono nel continente, alcuni dei quali ormai da decenni, e che esigono una soluzione, a cominciare dalle situazioni riguardanti i Balcani occidentali e il Caucaso meridionale, tra cui la Georgia. In questa sede vorrei, inoltre, esprimere l’incoraggiamento della Santa Sede ai negoziati per la riunificazione di Cipro, che incrementerebbero la cooperazione regionale, favorendo la stabilità di tutta l’area mediterranea, nonché l’apprezzamento per i tentativi volti a risolvere il conflitto nella parte orientale dell’Ucraina e porre fine alla sofferenza della popolazione.

Il dialogo – e non le armi – è lo strumento essenziale per risolvere le contese. A tale riguardo, desidero in questa sede menzionare il contributo offerto, ad esempio, in Ucraina dall’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), specialmente in quest’anno in cui ricorre il 45° anniversario dell’Atto finale di Helsinki, che concluse la Conferenza sulla Sicurezza e sulla Cooperazione in Europa (CSCE), iniziata nel 1973 per favorire la distensione e la collaborazione tra i Paesi dell’Europa occidentale e quelli dell’Europa orientale, quando il continente era ancora diviso dalla cortina di ferro. Si è trattato di una tappa importante di un processo iniziato sulle macerie della Seconda Guerra Mondiale e che ha visto nel consenso e nel dialogo uno strumento essenziale per risolvere le contese.

Già nel 1949, nell’Europa occidentale, con la creazione del Consiglio d’Europa e la successiva adozione della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo, si gettarono le basi del processo d’integrazione europea, che videro nella Dichiarazione dell’allora Ministro degli Affari Esteri francese Robert Schuman, del 9 maggio 1950, un pilastro fondamentale. Schuman afferma che «la pace non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano». Nei Padri fondatori dell’Europa moderna c’era la consapevolezza che il continente si sarebbe potuto riprendere dalle lacerazioni della guerra e dalle nuove divisioni che sopravanzavano solo in un processo graduale di condivisione di ideali e di risorse.

Fin dai primi anni la Santa Sede ha guardato con interesse il progetto europeo, ricorrendo quest’anno il 50 anniversario della presenza della Santa Sede come Osservatore presso il Consiglio d’Europa, così come lo stabilimento delle relazioni diplomatiche con le allora Comunità Europee. Si tratta di un interesse che intende sottolineare un’idea di costruzione inclusiva, animata da uno spirito partecipativo e solidale, capace di fare dell’Europa un esempio di accoglienza ed equità sociale nel segno di quei valori comuni che ne sono alla base. Il progetto europeo continua ad essere una fondamentale garanzia di sviluppo per chi ne fa parte da tempo e un’opportunità di pace, dopo turbolenti conflitti e lacerazioni, per quei Paesi che ambiscono a parteciparvi.

L’Europa non perda dunque il senso di solidarietà che per secoli l’ha contraddistinta, anche nei momenti più difficili della sua storia. Non perda quello spirito che affonda le sue radici, tra l’altro, nella pietas romana e nella caritas cristiana, che ben descrivono l’animo dei popoli europei. L’incendio della Cattedrale di Notre Dame a Parigi ha mostrato quanto sia fragile e facile da distruggere anche ciò che sembra solido. I danni sofferti da un edificio, non solo caro ai cattolici ma significativo per tutta la Francia e l’umanità intera, hanno ridestato il tema dei valori storici e culturali dell’Europa e delle radici sulle quali essa si fonda. In un contesto in cui mancano valori di riferimento, diventa più facile trovare elementi di divisione più che di coesione.

Il trentesimo anniversario della caduta del Muro di Berlino ci ha posto dinanzi agli occhi uno dei simboli più laceranti della storia recente del continente, rammentandoci quanto sia facile ergere barriere. Il Muro di Berlino rimane emblematico di una cultura della divisione che allontana le persone le une dalle altre e apre la strada all’estremismo e alla violenza. Lo vediamo sempre più nel linguaggio d’odio diffusamente usato in internet e nei mezzi di comunicazione sociale. Alle barriere dell’odio, noi preferiamo i ponti della riconciliazione e della solidarietà, a ciò che allontana preferiamo ciò che avvicina, consapevoli che «nessuna pace [può] consolidarsi […] se contemporaneamente non si placano gli odi e i rancori per mezzo di una riconciliazione fondata sulla vicendevole carità»[18], come scrisse cent’anni fa il mio predecessore Benedetto XV.

Cari Ambasciatori,

Segni di pace e di riconciliazione ho potuto vedere nel corso del viaggio in Africa, dove appare evidente la gioia di chi insieme si sente popolo e affronta le fatiche quotidiane in uno spirito di condivisione. Ho sperimentato la concretezza della speranza attraverso numerosi gesti incoraggianti, a partire dagli ulteriori progressi compiuti in Mozambico, con la firma dell’Accordo per la cessazione definitiva delle ostilità il 1° agosto scorso.

In Madagascar ho potuto constatare che è possibile costruire sicurezza laddove c’era precarietà, vedere speranza dove si vedeva solo fatalità, scorgere vita dove tanti annunciavano morte e distruzione[19]. A tal fine sono essenziali la famiglia e il senso della comunità che consente di stabilire la fiducia fondamentale che è alla base di ogni rapporto umano. A Mauritius ho notato come «le diverse religioni, con le loro rispettive identità, collaborano insieme per contribuire alla pace sociale e per ricordare il valore trascendente della vita contro ogni tipo di riduzionismo»[20]. Confido che l’entusiasmo che ho potuto toccare con mano nel corso del viaggio continui a concretizzarsi in gesti di accoglienza e in progetti capaci di promuovere la giustizia sociale, evitando dinamiche di chiusura.

Allargando lo sguardo ad altre parti del continente, duole, invece, constatare come continuino, in particolare in Burkina Faso, Mali, Niger e Nigeria, episodi di violenza contro persone innocenti, tra cui tanti cristiani perseguitati e uccisi per la loro fedeltà al Vangelo. Esorto la Comunità internazionale a sostenere gli sforzi che questi Paesi compiono nella lotta per sconfiggere la piaga del terrorismo, che sta insanguinando sempre più intere parti dell’Africa, come altre regioni del mondo. Alla luce di questi eventi, è necessario che si attuino strategie che comprendano interventi non solo nell’ambito della sicurezza, ma anche nella riduzione della povertà, nel miglioramento del sistema sanitario, nello sviluppo e nell’assistenza umanitaria, nella promozione del buon governo e dei diritti civili. Sono questi i pilastri di un reale sviluppo sociale.

Parimenti, occorre incoraggiare le iniziative che promuovono la fraternità tra tutte le espressioni culturali, etniche e religiose del territorio, specialmente nel Corno d’Africa, in Camerun, nonché nella Repubblica Democratica del Congo, dove, specialmente nelle regioni orientali del Paese, persistono violenze. Le conflittualità e le emergenze umanitarie, aggravate dagli sconvolgimenti climatici, aumentano il numero di sfollati e si ripercuotono sulle persone che già vivono in stato di grave povertà. Molti dei Paesi colpiti da queste situazioni mancano di strutture adeguate che consentano di venire incontro ai bisogni di quanti sono stati sfollati.

Al riguardo, vorrei qui sottolineare che, purtroppo, non esiste ancora una risposta internazionale coerente per affrontare il fenomeno dello sfollamento interno, poiché in gran parte esso non ha una definizione internazionale concordata, avvenendo all’interno di confini nazionali. Il risultato è che gli sfollati interni non ricevono sempre la protezione che meritano e dipendono dalla capacità di rispondere e dalle politiche dello Stato in cui si trovano.

Recentemente è stato avviato il lavoro dello United Nations High-Level Panel on Internal Displacement, che spero possa favorire l’attenzione e il sostegno globale per gli sfollati, sviluppando raccomandazioni concrete.

In tale prospettiva, guardo pure al Sudan, con l’auspicio che i suoi cittadini possano vivere nella pace e nella prosperità e collaborare alla crescita democratica ed economica del Paese; alla Repubblica Centrafricana, dove, nel febbraio scorso, è stato firmato un Accordo globale per porre fine a oltre cinque anni di guerra civile; e al Sud Sudan, che spero di poter visitare nel corso di quest’anno e al quale ho dedicato una giornata di ritiro lo scorso mese di aprile con la presenza dei leader del Paese e il prezioso contributo dell’Arcivescovo di Canterbury, Sua Grazia Justin Welby, e dell’ex Moderatore della Chiesa presbiteriana della Scozia, il Reverendo John Chalmers. Confido che, con l’aiuto della Comunità internazionale, quanti hanno responsabilità politiche proseguano il dialogo per attuare gli accordi raggiunti.

L’ultimo viaggio dell’anno appena concluso è stato nell’Asia orientale. In Tailandia ho potuto constatare l’armonia apportata dai numerosi gruppi etnici che costituiscono il Paese, con la loro diversità filosofica, culturale e religiosa. Si tratta di un richiamo importante nell’attuale contesto di globalizzazione che tende ad appiattire le differenze e considerarle primariamente in termini economico-finanziari, con il rischio di cancellare le note essenziali che contraddistinguono i vari popoli.

Infine, in Giappone ho toccato con mano il dolore e l’orrore che come esseri umani siamo in grado di infliggerci[21]. Ascoltando le testimonianze di alcuni Hibakusha, i sopravvissuti ai bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki, mi è parso evidente che non si può costruire una vera pace sulla minaccia di un possibile annientamento totale dell’umanità provocato dalle armi nucleari. Gli Hibakusha «mantengono viva la fiamma della coscienza collettiva, testimoniando alle generazioni successive l’orrore di ciò che accadde nell’agosto del 1945 e le sofferenze indicibili che ne sono seguite fino ad oggi. La loro testimonianza risveglia e conserva in questo modo la memoria delle vittime, affinché la coscienza umana diventi sempre più forte di fronte ad ogni volontà di dominio e di distruzione»[22], specialmente quella provocata da ordigni a così alto potenziale distruttivo, come le armi nucleari. Esse non solo favoriscono un clima di paura, diffidenza e ostilità, ma distruggono la speranza. Il loro uso è immorale, «un crimine, non solo contro l’uomo e la sua dignità, ma contro ogni possibilità di futuro nella nostra casa comune»[23].

Un mondo «senza armi nucleari è possibile e necessario»[24], ed è tempo che quanti hanno responsabilità politiche ne divengano pienamente consapevoli, poiché non è il possesso deterrente di potenti mezzi di distruzione di massa a rendere il mondo più sicuro, bensì il paziente lavoro di tutte le persone di buona volontà che si dedicano concretamente, ciascuno nel proprio ambito, a edificare un mondo di pace, solidarietà e rispetto reciproco.

Il 2020 offre un’opportunità importante in questa direzione, poiché dal 27 aprile al 22 maggio si svolgerà a New York la X Conferenza d’Esame del Trattato di non proliferazione delle armi nucleari. Auspico vivamente che in quella occasione la Comunità internazionale riesca a trovare un consenso finale e proattivo sulle modalità di attuazione di questo strumento giuridico internazionale, che si rileva essere ancora più importante in un momento come quello attuale.

Nel terminare la rassegna dei luoghi che ho raggiunto nel corso dell’anno appena concluso, vorrei rivolgere un particolare pensiero a un Paese che non ho visitato, l’Australia, colpito duramente negli ultimi mesi da persistenti incendi, i cui effetti hanno raggiunto anche altre regioni dell’Oceania. Al popolo australiano, specialmente alle vittime e a quanti si trovano nelle regioni colpite dai roghi, desidero assicurare la mia vicinanza e preghiera.

Eccellenze, Signore e Signori,

Quest’anno, la Comunità internazionale ricorda il 75° anniversario della fondazione delle Nazioni Unite. In seguito alle tragedie sperimentate nelle due guerre mondiali, con la Carta delle Nazioni Unite, firmata il 26 giugno 1945, quarantasei Paesi diedero vita ad una nuova forma di collaborazione multilaterale. Le quattro finalità dell’Organizzazione, delineate nell’articolo 1 della Carta, rimangono valide ancora oggi e possiamo dire che l’impegno delle Nazioni Unite in questi 75 anni è stato, in gran parte, un successo, specialmente nell’evitare un’altra guerra mondiale. I principi fondativi dell’Organizzazione – il desiderio della pace, la ricerca della giustizia, il rispetto della dignità della persona, la cooperazione umanitaria e l’assistenza – esprimono le giuste aspirazioni dello spirito umano e costituiscono gli ideali che dovrebbero sottostare alle relazioni internazionali.

In questo anniversario, vogliamo riaffermare il proposito di tutta quanta la famiglia umana a operare per il bene comune, quale criterio di orientamento dell’azione morale e prospettiva che deve impegnare ogni Paese a collaborare per garantire l’esistenza e la sicurezza nella pace di ogni altro Stato, in uno spirito di uguale dignità e di effettiva solidarietà, nell’ambito di un ordinamento giuridico fondato sulla giustizia e sulla ricerca di equi compromessi[25].

Una tale azione sarà tanto più efficace quanto più si cercherà di superare quell’approccio trasversale, utilizzato nel linguaggio e negli atti degli organi internazionali, che mira a legare i diritti fondamentali a situazioni contingenti, dimenticando che essi sono intrinsecamente fondati nella natura stessa dell’essere umano. Laddove al lessico delle Organizzazioni internazionali viene a mancare un chiaro ancoraggio oggettivo, si rischia di favorire l’allontanamento, anziché l’avvicinamento, dei membri della Comunità internazionale, con la conseguente crisi del sistema multilaterale, che è tristemente sotto gli occhi di tutti. In questo contesto, appare urgente riprendere il percorso verso una complessiva riforma del sistema multilaterale, a partire dal sistema onusiano, che lo renda più efficace, tenendo in debita considerazione l’attuale contesto geo-politico.

Cari Ambasciatori,

Nel giungere alla conclusione di queste riflessioni, desidero menzionare ancora due anniversari che ricorrono quest’anno, apparentemente estranei al nostro incontro odierno. Il primo è il cinquecentenario della morte di Raffaello Sanzio, il grande artista di Urbino, deceduto a Roma il 6 aprile 1520. A Raffaello dobbiamo un ingente patrimonio di inestimabile bellezza. Come il genio dell’artista sa comporre armonicamente materie grezze, colori e suoni diversi rendendoli parte di un’unica opera d’arte, così la diplomazia è chiamata ad armonizzare le peculiarità dei vari popoli e Stati per edificare un mondo di giustizia e di pace, che è il bel quadro che vorremmo poter ammirare.

Raffaello è stato un figlio importante di un’epoca, quella del Rinascimento, che ha arricchito l’umanità intera. Un’epoca non priva di difficoltà, ma animata da fiducia e speranza. Attraverso questo insigne artista, desidero far giungere i miei più sentiti auguri al Popolo italiano, al quale auguro di riscoprire quello spirito di apertura al futuro che ha contraddistinto il Rinascimento e che ha reso questa penisola così bella e ricca di arte, storia e cultura.

Uno dei soggetti preferiti della pittura di Raffaello era Maria. A lei ha dedicato numerose tele che possono oggi essere ammirate in diversi musei del mondo. Per la Chiesa Cattolica, quest’anno ricorre il settantesimo anniversario della proclamazione dell’Assunzione di Maria Vergine al Cielo. Con lo sguardo a Maria, desidero rivolgere un pensiero particolare a tutte le donne, 25 anni dopo la IV Conferenza mondiale delle Nazioni Unite sulla donna, svoltasi a Pechino nel 1995, auspicando che in tutto il mondo sia sempre più riconosciuto il ruolo prezioso delle donne nella società e cessi ogni forma di ingiustizia, disuguaglianza e violenza nei loro confronti. «Ogni violenza inferta alla donna è una profanazione di Dio»[26]. Esercitare violenza contro una donna o sfruttarla non è un semplice reato, è un crimine che distrugge l’armonia, la poesia e la bellezza che Dio ha voluto dare al mondo[27].

L’Assunzione di Maria ci invita pure a guardare oltre, al compimento del nostro cammino terreno, al giorno in cui la giustizia e la pace saranno pienamente ristabilite. Ci sentiamo così incoraggiati, attraverso la diplomazia, che è il nostro tentativo umano, imperfetto ma pur sempre prezioso, a lavorare con zelo per anticipare i frutti di questo desiderio di pace, sapendo che la meta è possibile. Con questo impegno, rinnovo a tutti voi, cari Ambasciatori e distinti Ospiti qui convenuti, e ai vostri Paesi il mio cordiale augurio per un nuovo anno copioso di speranza e di benedizioni.

Grazie!

_________________________

[1] Cfr Messaggio per la LIII Giornata Mondiale della Pace, 8 dicembre 2019, 1.     
[2] Ibid
[3] Cfr Incontro con le Autorità, con il Corpo Diplomatico e con rappresentanti della società, Panama, 24 gennaio 2019.
[4] Cfr Motu proprio Vos estis lux mundi, 7 maggio 2019.   
[5] Messaggio per il lancio del Patto Educativo, 12 settembre 2019.              
[6] Cfr ibid.         
[7] Angelus, Les Combes, 17 luglio 2005.  
[8] Cfr Lett. enc. Laudato si’, 24 maggio 2015, 13. 
[9] Messaggio per la LIII Giornata Mondiale della Pace, 8 dicembre 2019, 4.            
[10] Documento finale del Sinodo dei Vescovi per l’Amazzonia: “Nuovi cammini per la Chiesa e per un’ecologia integrale”, 2.            
[11] Documento sulla Fratellanza Umana per la pace mondiale e la convivenza comune, Abu Dhabi, 4 febbraio 2019.
[12] Ibid.
[13] Cfr ibid.        
[14] Appello di Sua Maestà il Re Mohammed VI e di Sua Santità Papa Francesco su Gerusalemme / Al Qods Città santa e luogo di incontro, Rabat, 30 marzo 2019.           
[15] Cfr ibid.        
[16] Angelus, 5 gennaio 2020.        
[17] Cfr Discorso al Parlamento Europeo, Strasburgo, 25 novembre 2014.   
[18] Benedetto XV, Lett. enc. Pacem, Dei munus pulcherrimum, 23 maggio 1920.       
[19] Cfr Saluto nella Città dell’Amicizia – Akamasoa, Antananarivo, 8 settembre 2019.           
[20] Discorso alle Autorità, ai rappresentanti della società civile e al Corpo Diplomatico, Port Louis, 9 settembre 2019.
[21] Cfr Discorso sulle armi nucleari, Nagasaki, 24 novembre 2019.              
[22] Messaggio per la LIII Giornata Mondiale della Pace, 8 dicembre 2019, 2.          
[23] Discorso nell’Incontro per la pace, Hiroshima, 24 novembre 2019.                      
[24] Discorso sulle armi nucleari, Nagasaki, 24 novembre 2019.      
[25] Cfr Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris, 11 aprile 1963, 54.          
[26] Omelia nella Solennità di Maria Santissima Madre di Dio e nella 53ma Giornata Mondiale della Pace, 1° gennaio 2020.   
[27] Cfr La donna è l’armonia del mondo. Meditazione mattutina nella Cappella della Domus Sanctæ Marthæ, 9 febbraio 2017.

[00035-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Excellences, Mesdames et Messieurs,

une nouvelle année s’ouvre devant nous et, comme les pleurs d’un enfant à peine né, elle nous invite à la joie et à assumer une attitude d’espérance. Je voudrais que ce mot – espérance –, qui pour les chrétiens est une vertu fondamentale, anime le regard avec lequel nous entrons dans la période qui nous attend.

Certes, espérer exige du réalisme. Espérer exige la prise de conscience des nombreuses questions qui touchent notre époque et des défis qui se profilent à l’horizon. Espérer exige qu’on appelle les problèmes par leur nom et qu’on ait le courage de les affronter. Espérer exige de ne pas oublier que la communauté humaine porte les signes et les blessures des guerres qui se sont succédées dans le temps, avec une capacité destructive croissante, et ne cessent de frapper spécialement les plus pauvres et les plus faibles[1]. Malheureusement, l’année nouvelle ne semble pas être semée de signes encourageants, mais plutôt s’envenimer par des tensions et des violences.

C’est justement à la lumière de ces circonstances que nous ne pouvons pas cesser d’espérer. Espérer exige du courage. Espérer exige la prise de conscience que le mal, la souffrance et la mort ne prévaudront pas et que même les questions les plus complexes peuvent et doivent être affrontées et résolues. L’espérance «est la vertu qui nous met en chemin, qui nous donne des ailes pour aller de l’avant, même quand les obstacles semblent insurmontables»[2].

Dans cet esprit, je vous accueille aujourd’hui, chers Ambassadeurs, afin de vous présenter mes vœux pour la nouvelle année. Je remercie de façon particulière le Doyen du Corps Diplomatique, S.E. Monsieur George Poulides, Ambassadeur de Chypre, pour les paroles cordiales qu’il m’a adressées en votre nom à tous et je vous suis reconnaissant pour votre présence, si nombreuse et significative, ainsi que pour l’engagement que vous dédiez quotidiennement à consolider les relations qui lient le Saint-Siège à Vos Pays et Organisations internationales au service de la coexistence pacifique entre les peuples.

La paix et le développement humain intégral sont, en effet, l’objectif principal du Saint-Siège dans le domaine de son engagement diplomatique. Vers eux sont orientés les efforts de la Secrétairerie d’Etat et des Dicastères de la Curie Romaine, comme aussi ceux des Représentations Pontificales que je remercie pour le dévouement avec lequel elles accomplissent la double mission qui leur est confiée de représenter le Pape, aussi bien auprès des Eglises locales qu’auprès de vos Gouvernements.

Dans cette perspective s’inscrivent également les Accords à caractère général, signés ou ratifiés au cours de l’année qui vient de s’achever, avec la République du Congo, la chère République Centrafricaine, le Burkina Faso et l’Angola, comme aussi l’Accord entre le Saint-Siège et la République Italienne pour l’application de la Convention de Lisbonne sur la reconnaissance des diplômes de l’enseignement supérieur en Europe.

De même, les Voyages Apostoliques, en plus d’être une voie privilégiée à travers laquelle le Successeur de l’Apôtre Pierre confirme ses frères dans la foi, sont une occasion pour favoriser le dialogue au niveau politique et religieux. En 2019, j’ai eu l’occasion de visiter diverses réalités significatives. Je voudrais parcourir avec vous les étapes que j’ai accomplies, en saisissant l’opportunité pour avoir un regard plus large sur certaines questions problématiques de notre temps.

Au début de l’année dernière, à l’occasion des 36ème Journées Mondiales de la Jeunesse, j’ai rencontré à Panama des jeunes provenant des cinq continents, pleins de rêves et d’espérances, réunis là, pour prier et raviver le désir et l’engagement de créer un monde plus humain[3]. C’est toujours une joie et une grande chance de pouvoir rencontrer les jeunes. Ils sont l’avenir et l’espérance de nos sociétés, mais aussi le présent.

Cependant, c’est tristement reconnu, un certain nombre d’adultes, y compris certains membres du clergé, se sont rendus coupables de délits très graves contre la dignité des jeunes, des enfants et des adolescents, en en violant l’innocence et l’intimité. Il s’agit de crimes qui offensent Dieu, causent des dommages physiques, psychologiques et spirituels aux victimes et portent atteinte à la vie des communautés entières[4]. Dans le prolongement de la rencontre avec les épiscopats du monde entier que j’ai convoqués au Vatican en février dernier, le Saint-Siège renouvelle son engagement pour que la lumière soit faite sur les abus commis et que la protection des mineurs soit assurée, à travers un large éventail de normes permettant de faire face à de tels cas dans le domaine du droit canonique et à travers la collaboration avec les autorités civiles, au niveau local et international.

Devant des blessures si graves, il apparaît toutefois encore plus urgent que les adultes ne renoncent pas au devoir d’éducation qui leur revient, mieux encore, qu’ils assument cet engagement avec un zèle plus grand afin de conduire les jeunes à la maturité spirituelle, humaine et sociale.

Pour cette raison, je souhaite promouvoir un évènement mondial le 14 mai prochain qui aura pour thème: Reconstruire le pacte éducatif mondial. Il s’agit d’une rencontre visant à «raviver l’engagement pour et avec les jeunes générations, en renouvelant la passion d’une éducation plus ouverte et plus inclusive, capable d’écoute patiente, de dialogue constructif et de compréhension mutuelle. Il est plus que jamais nécessaire d’unir nos efforts dans une vaste alliance éducative pour former des personnes mûres, capables de surmonter les morcellements et les oppositions, et de recoudre le tissu des relations en vue d’une humanité plus fraternelle»[5].

Tout changement, comme le changement d’époque que nous traversons, demande un cheminement éducatif, la constitution d’un village de l’éducation[6], créant un réseau de relations humaines et ouvertes. Ce village doit mettre au centre la personne, favoriser la créativité et la responsabilité pour une planification de longue durée et former des personnes disponibles à se mettre au service de la communauté.

Il faut donc un concept d’éducation qui embrasse la vaste gamme d’expériences de vie et de processus d’apprentissage et permettent aux jeunes, individuellement et collectivement, de développer leur personnalité. L’éducation ne s’arrête pas dans les salles de classe des écoles ou des Universités, mais elle est assurée principalement en respectant et en renforçant le droit primaire de la famille à éduquer, et le droit des Eglises et des groupements sociaux à soutenir et à collaborer avec les familles dans l’éducation des enfants.

Eduquer exige d’entrer dans un dialogue sincère et loyal avec les jeunes. Ce sont d’abord eux qui doivent nous rappeler l’urgence de cette solidarité intergénérationnelle, qui a malheureusement échoué ces dernières années. En fait, il y a une tendance, dans de nombreuses régions du monde, à se renfermer sur soi, à protéger ses droits et les privilèges acquis; à concevoir le monde à l’intérieur d’un horizon limité qui traite avec indifférence les personnes âgées et surtout n’offre plus d’espace à la vie naissante. Le vieillissement général d’une partie de la population mondiale, spécialement en Occident, en est une triste et emblématique représentation.

Même si d’une part, nous ne devons pas oublier que les jeunes attendent la parole et l’exemple des adultes, en même temps nous devons avoir bien présent à l’esprit qu’ils ont beaucoup à offrir avec leur enthousiasme, leur engagement et leur soif de vérité, à travers laquelle ils nous rappellent constamment le fait que l’espérance n’est pas une utopie et la paix un bien toujours possible.

Nous l’avons vu dans la manière dont beaucoup de jeunes s’engagent pour sensibiliser les leaders politiques sur la question des changements climatiques. La préservation de notre maison commune doit être une préoccupation de tous et non l’objet d’oppositions idéologiques entre les différentes visions de la réalité, et encore moins entre les générations, puisqu’ «au contact de la nature – comme le rappelait Benoît XVI -, la personne retrouve sa juste dimension, elle redécouvre qu’elle est une créature, petite mais dans le même temps unique, en mesure “d’accueillir Dieu” car intérieurement ouverte à l’infini»[7]. La protection du lieu qui nous a été donné par le Créateur pour vivre ne peut donc pas être négligée, ni se réduire à une problématique élitiste. Les jeunes nous disent qu’il ne peut en être ainsi, puisqu’il existe un défi urgent, à tous les niveaux, de protéger notre maison commune et «d’unir toute la famille humaine dans la recherche d’un développement durable et intégral»[8]. Ils nous rappellent à l’urgence d’une conversion écologique, qui «doit être comprise de manière intégrale, comme une transformation des relations que nous entretenons avec nos sœurs et nos frères, avec les autres êtres vivants, avec la création dans sa très riche variété, avec le Créateur qui est l’origine de toute vie»[9].

Malheureusement, l’urgence de cette conversion écologique semble ne pas être acquise dans la politique internationale, dont la réponse aux problématiques posées par des questions globales comme celle des changements climatiques est encore très faible et source de forte préoccupation. La 25ème Session de la Conférence des Parties de la Convention-cadre des Nations Unies sur les changements climatiques (COP25), qui s’est déroulée à Madrid en décembre dernier, représente une sérieuse sonnette d’alarme concernant la volonté de la Communauté internationale d’affronter avec sagesse et efficacité le phénomène du réchauffement global, qui demande une réponse collective capable de faire prévaloir le bien commun sur les intérêts particuliers.

Ces considérations rappellent à notre attention l’Amérique Latine, en particulier l’Assemblée Spéciale du Synode des Evêques pour la région de l’Amazonie, qui s’est déroulée au Vatican au mois d’octobre dernier. Le Synode a été un évènement essentiellement ecclésial, mû par la volonté de se mettre à l’écoute des espérances et des défis de l’Eglise en Amazonie et d’ouvrir de nouveaux chemins à l’annonce de l’Evangile au Peuple de Dieu, spécialement aux populations indigènes. Cependant, l’Assemblée synodale ne pouvait pas s’abstenir d’aborder également d’autres questions, à commencer par l’écologie intégrale, qui concernent la vie même de cette région, si vaste et importante pour le monde entier, puisque «la forêt amazonienne est un “cœur biologique” pour cette terre de plus en plus menacée»[10].

En plus de la situation dans la région amazonienne, la multiplication des crises politiques dans un nombre croissant de pays du continent américain suscite la préoccupation, avec des tensions et des formes insolites de violences qui aggravent les conflits sociaux et génèrent de graves conséquences socio-économiques et humanitaires. Les polarisations toujours plus fortes n’aident pas à résoudre les problèmes vrais et urgents des citoyens, surtout des plus pauvres et des plus vulnérables, et encore moins la violence qui ne peut en aucun cas être adoptée pour affronter les questions politiques et sociales. Devant cette assemblée, je veux rappeler en particulier le Venezuela, afin que l’engagement à chercher des solutions ne faiblisse pas.

En général, les conflits dans la région américaine, bien qu’ayant des racines diverses, ont en commun les profondes inégalités, les injustices et la corruption endémique, ainsi que les diverses formes de pauvreté, qui sont une offense à la dignité des personnes. Il faut donc que les leaders politiques s’efforcent de rétablir urgemment une culture du dialogue pour le bien commun et pour renforcer les institutions démocratiques et promouvoir le respect de l’état de droit, afin de prévenir des dérives anti-démocratiques, populistes et extrémistes.

Dans mon second voyage en 2019, je me suis rendu aux Emirats Arabes Unis, première visite d’un Successeur de Pierre dans la Péninsule arabique. A Abou Dabi, j’ai signé avec le Grand Imam de Al-Azhar Ahmad al-Tayyib, le Document sur la Fraternité Humaine pour la Paix Mondiale et la coexistence commune. Il s’agit d’un texte important visant à favoriser la compréhension mutuelle entre chrétiens et musulmans et la coexistence dans des sociétés toujours plus multi-ethniques et multi-culturelles, parce que, condamner fermement l’utilisation du « nom de Dieu pour justifier des actes d’homicide, d’exil, de terrorisme et d’oppression »[11], rappelle l’importance du concept de citoyenneté, qui « se base sur l’égalité des droits et des devoirs à l’ombre de laquelle tous jouissent de la justice »[12]. Cela exige le respect de la liberté religieuse et l’engagement à renoncer à l’usage discriminatoire du terme “minorités”, qui porte avec lui les germes du sentiment d’isolement et d’infériorité et prépare le terrain aux hostilités et à la discorde, discriminant les citoyens à partir de l’appartenance religieuse[13]. A cet effet, il est particulièrement important de former les générations futures au dialogue interreligieux, comme voie royale pour la connaissance, la compréhension et le soutien réciproque entre les membres des diverses religions.

Paix et espérance ont été aussi au centre de ma visite au Maroc où, avec sa Majesté le Roi Mohamad VI, j’ai signé un appel conjoint sur Jérusalem, « reconnaissant l’unicité et la sacralité de Jérusalem / Al Qods Acharif et ayant à cœur sa signification spirituelle et sa vocation particulière de Ville de la Paix »[14]. De Jérusalem, Ville chère aux fidèles des trois religions monothéistes, appelée à être un lieu symbole de rencontre et de coexistence pacifique, où se cultive le respect réciproque et le dialogue[15], ma pensée ne peut que s’étendre à toute la Terre Sainte, pour rappeler l’urgence à ce que toute la communauté internationale, avec courage et sincérité et dans le respect du droit international, reconfirme son plein soutien au processus de paix israélo-palestinien.

Un engagement plus assidu et efficace de la part de la Communauté internationale est plus que jamais urgent aussi dans d’autres régions méditerranéennes et du Moyen Orient. Je me réfère surtout à la chape de silence qui risque de recouvrir la guerre qui a dévasté la Syrie au cours de cette décennie. Il est particulièrement urgent de trouver des solutions adéquates et clairvoyantes qui permettent au cher peuple syrien, épuisé par la guerre, de retrouver la paix et d’entamer la construction du pays. Le Saint-Siège accueille favorablement toute initiative visant à poser les bases en vue de la résolution du conflit et exprime, une fois encore sa gratitude à la Jordanie et au Liban pour avoir accueilli et pris en charge, avec de nombreux sacrifices, des milliers de réfugiés syriens. Malheureusement, en plus des fatigues causées par l’accueil, d’autres facteurs d’incertitude économique et politique, au Liban et dans d’autres Etats, sont en train de provoquer des tensions au sein de la population, mettant ultérieurement à risque, la fragile stabilité du Moyen Orient.

Les signes qui parviennent de toute la région sont particulièrement préoccupants, suite à l’élévation de la tension entre l’Iran et les Etats Unis, et qui risquent surtout de mettre à dure épreuve le lent processus de reconstruction de l’Iraq, et aussi de créer les bases d’un conflit à plus grande échelle que nous voudrions tous pouvoir empêcher. Je renouvelle donc mon appel pour que les parties intéressées évitent un durcissement de la confrontation et maintiennent «allumée la flamme du dialogue et de l’autocontrôle»[16] dans le plein respect du droit international.

Ma pensée va aussi au Yémen, qui vit une des plus graves crises humanitaires de l’histoire récente, dans un climat d’indifférence générale de la part de la Communauté internationale, et à la Lybie qui, depuis plusieurs années, vit une situation conflictuelle aggravée par des attaques de groupes extrémistes et par une augmentation des violences ces derniers jours. Un tel contexte est un terrain fertile pour cette plaie de l’exploitation et du trafic d’êtres humains, alimenté par des personnes sans scrupules qui exploitent la pauvreté et la souffrance de ceux qui fuient les situations de conflits ou de pauvreté extrême. Parmi eux, nombreux sont la proie de vraies mafias qui les détiennent dans des conditions inhumaines et dégradantes et en font des objets de tortures, de violences sexuelles, d’extorsions.

En général, il convient de relever que dans le monde, il existe plusieurs milliers de personnes – avec de légitimes demandes d’asile, de besoins humanitaires et de protection vérifiables -, qui ne sont pas adéquatement identifiées. Un grand nombre d’entre eux risquent leur vie dans des voyages périlleux par voie de terre et surtout par voie de mer. Avec douleur, on continue de constater combien la Mer Méditerranée reste un grand cimetière[17]. Il est donc plus urgent, que tous les Etats prennent sur eux la responsabilité de trouver des solutions durables.

Pour sa part, le Saint-Siège regarde avec une grande espérance les efforts accomplis par de nombreux pays pour partager le poids de la réinsertion et fournir aux personnes déplacées, en particulier en raison des urgences humanitaires, un endroit sûr pour vivre, une éducation, ainsi que la possibilité de travailler et de se retrouver avec leurs familles.

Chers Ambassadeurs,

Durant les voyages de l’année dernière, j’ai eu l’occasion de toucher aussi trois pays de l’Europe orientale, en rejoignant d’abord la Bulgarie et la Macédoine du Nord et, dans un second temps, la Roumanie. Il s’agit de trois pays différents, réunis cependant pour avoir été, durant des siècles, des ponts entre l’Orient et l’Occident, et un carrefour de cultures, d’ethnies et de civilisations diverses. En les visitant, j’ai pu expérimenter, une fois encore, combien le dialogue et la culture de la rencontre sont importants pour construire des sociétés pacifiques, dans lesquelles chacun puisse exprimer librement sa propre appartenance ethnique et religieuse.

En restant dans le contexte européen, je voudrais rappeler l’importance de soutenir le dialogue et le respect du droit international pour résoudre les «conflits gelés» qui persistent sur le continent - pour certains, depuis des décennies - et qui exigent une solution, à commencer par les situations relatives aux Balkans occidentaux et au Caucase méridional, en particulier la Géorgie. Devant cette assemblée je voudrais, de plus, exprimer l’encouragement du Saint-Siège aux pourparlers sur la réunification de Chypre, qui renforcerait la coopération régionale en favorisant la stabilité de toute la région méditerranéenne, ainsi que sa reconnaissance pour les tentatives visant à résoudre le conflit dans la partie orientale de l’Ukraine et mettre fin à la souffrance de la population.

Le dialogue – et non les armes – est l’instrument essentiel pour résoudre les querelles. A ce propos, je désire, devant cette assemblée, mentionner la contribution offerte, par exemple, en Ukraine par l’Organisation pour la Sécurité et la Coopération en Europe (OSCE), spécialement en cette année du 45° anniversaire de l’Acte final de Helsinki, qui a clôturé la Conférence sur la Sécurité et sur la Coopération en Europe (CSCE), initiée en 1973 pour favoriser l’apaisement et la collaboration entre les pays d’Europe occidentale et d’Europe de l’Est, quand le continent était encore divisé par le rideau de fer. C’était une étape importante d’un processus initié sur les décombres de la Seconde Guerre Mondiale et qui a vu dans le consensus et le dialogue un instrument essentiel pour résoudre les querelles.

Depuis 1949, en Europe occidentale, avec la création du Conseil de l’Europe et l’adoption de la Convention européenne des droits de l’homme qui a suivi, ont été jetées les bases du processus d’intégration européenne, qui trouvèrent dans la Déclaration du 9 mai 1950 du Ministre français des Affaires étrangères de l’époque, Robert Schuman, un pilier fondamental. Schuman affirme que « la paix ne pourra être préservée que par des efforts créatifs, proportionnels aux dangers qui la menacent ». Chez les Pères fondateurs de l’Europe moderne, il y avait la conscience que le continent ne pouvait se remettre du déchirement de la guerre et des nouvelles divisions qui apparaissaient uniquement à travers un processus progressif d’échange d’idéaux et de ressources.

Depuis les premières années, le Saint-Siège a regardé avec intérêt le projet européen, en célébrant le 50° anniversaire de la présence du Saint-Siège comme Observateur auprès du Conseil de l’Europe, de même que l’établissement des relations diplomatiques avec les Communautés européennes de l’époque. Il s’agit d’un intérêt qui entend souligner une idée de construction inclusive, animée d’un esprit participatif et solidaire, capable de faire de l’Europe un exemple d’accueil et d’équité sociale, sous le signe de ces valeurs communes qui en sont la base. Le projet européen continue d’être une garantie fondamentale de développement pour celui qui en fait partie depuis longtemps et une opportunité de paix, après de turbulents conflits et déchirures, pour ces pays qui souhaitent y participer.

Que l’Europe ne perde donc pas le sens de la solidarité qui, des siècles durant, l’a caractérisée, même dans les moments plus difficiles de son histoire. Qu’elle ne perde pas cet esprit qui s’enracine, entre autre, dans la pietas romaine et dans la caritas chrétienne, qui décrivent bien l’âme des peuples européens. L’incendie de la Cathédrale Notre Dame à Paris a montré combien il est fragile et facile de détruire même ce qui semble solide. Les dégâts subis par un édifice, cher non seulement aux catholiques mais significatif pour toute la France et l’humanité tout entière, ont réveillé le thème des valeurs historiques et culturelles de l’Europe et des racines sur lesquelles elle se fonde. Dans un contexte dans lequel les valeurs de référence manquent, il devient plus facile de trouver des éléments de division que de cohésion.

Le trentième anniversaire de la chute du Mur de Berlin nous a mis devant les yeux un des symboles les plus déchirants de la récente histoire du continent, nous rappelant combien il est facile d’ériger des barrières. Le Mur de Berlin demeure emblématique d’une culture de la division qui éloigne les personnes les unes des autres et ouvre la voie à l’extrémisme et à la violence. Nous le remarquons toujours plus dans le langage de haine largement diffusé sur internet et à travers les moyens de communication sociale. Face aux barrières de la haine, nous préférons les ponts de la réconciliation et de la solidarité, face à ce qui éloigne, nous préférons ce qui rapproche, conscients que « aucune paix ne [peut] se consolider (...) si, en même temps, les haines et les rancœurs ne se calment pas au moyen d’une réconciliation fondée sur la charité réciproque »[18], comme écrivait il y a cent ans mon prédécesseur Benoît XV.

Chers Ambassadeurs,

J’ai pu voir des signes de paix et de réconciliation au cours de mon voyage en Afrique où la joie de ceux qui, ensemble, se sentent être un peuple et font face aux difficultés quotidiennes dans un esprit de partage est manifeste. J’ai fait l’expérience du caractère concret de l’espérance à travers de nombreux gestes encourageants, en commençant par les derniers progrès accomplis au Mozambique, avec la signature de l’Accord pour la cessation définitive des hostilités le 1er août dernier.

A Madagascar j’ai pu constater qu’il est possible de construire la sécurité là où il y avait la précarité, de voir l’espérance là où il n’y avait que fatalité, de percevoir de la vie là où beaucoup annonçaient la mort et la destruction[19]. A cet effet, la famille et le sens de la communauté qui permettent d’établir la confiance indispensable à la base de tout rapport humain, sont essentiels. A l’Ile Maurice j’ai remarqué combien «les différentes religions, avec leurs identités propres, travaillent main dans la main pour contribuer à la paix sociale et rappeler la valeur transcendante de la vie contre toutes sortes de réductionnisme »[20]. J’ai confiance que l’enthousiasme que j’ai pu toucher du doigt au cours du voyage continue à se concrétiser par des gestes d’accueil et des projets capables de promouvoir la justice sociale, en évitant les dynamiques de repli sur soi.

Elargissant le regard à d’autres parties du continent, il est douloureux, en revanche, de constater que continuent, en particulier au Burkina Faso, au Mali, au Niger et au Nigeria, des actes de violence contre des personnes innocentes, parmi lesquelles beaucoup de chrétiens persécutés et tués en raison de leur fidélité à l’Evangile. J’exhorte la Communauté internationale à soutenir les efforts que ces pays accomplissent dans la lutte pour vaincre la plaie du terrorisme qui ensanglante toujours plus des parties entières de l’Afrique, comme d’autres régions du monde. A la lumière de ces événements, il est nécessaire que des stratégies soient mises en œuvre avec des interventions non seulement dans le domaine de la sécurité, mais aussi dans la réduction de la pauvreté, du développement et de l’assistance humanitaire, de la promotion du bon gouvernement et des droits civils, de l’amélioration du système de santé. Ce sont les piliers d’un vrai développement social.

De la même manière, il faut encourager les initiatives qui promeuvent la fraternité entre toutes les expressions culturelles, ethniques et religieuses du territoire, spécialement dans la Corne de l’Afrique, au Cameroun, mais aussi en République Démocratique du Congo où, surtout dans les régions orientales du pays, des violences persistent. Les conflits et les urgences humanitaires, aggravées par les bouleversements climatiques, augmentent le nombre des personnes déplacées et se répercutent sur les personnes qui vivent déjà dans un état de grande pauvreté. Un grand nombre de pays pays touchés par ces situations manquent des structures adéquates permettant de subvenir aux besoins de tous ceux qui ont été déplacés.

A cet égard, je voudrais ici souligner qu’il n’existe malheureusement pas encore de réponse internationale cohérente pour faire face au phénomène du déplacement interne, en grande partie parce que celui-ci n’a pas une définition internationale établie, puisqu’il se produit à l’intérieur des frontières nationales. Le résultat est que les personnes déplacées à l’intérieur ne reçoivent pas toujours la protection qu’elles méritent mais dépendent de la capacité à répondre et des politiques de l’Etat dans lequel elles se trouvent.

Récemment le travail de l’United Nations High-Level Panel on Internal Displacement a été initié, j’espère qu’il pourra favoriser l’attention et le soutien mondial pour les personnes déplacées, en faisant des recommandations concrètes.

Dans cette perspective, je regarde aussi le Soudan, avec le souhait que ses citoyens puissent vivre dans la paix et dans la prospérité et collaborer à la croissance démocratique et économique du pays; la République Centrafricaine où, en février dernier a été signé un Accord global pour mettre fin à plus de cinq années de guerre civile; le Sud Soudan que j’espère pouvoir visiter dans le cours de cette année et auquel j’ai dédié une journée de retraite en avril dernier avec la présence de responsables du pays et la précieuse contribution de l’Archevêque de Canterbury, Sa Grace Justin Welby, et de l’ex-Modérateur de l’Eglise presbytérienne d’Ecosse, le Révérend John Chalmers. J’ai confiance qu’avec l’aide de la Communauté internationale, ceux qui ont des responsabilités politiques poursuivent le dialogue pour mettre en œuvre les accords établis.

Le dernier voyage de l’année qui vient de s’achever a été en Asie orientale. En Thaïlande, j’ai pu constater l’harmonie apportée par les nombreux groupes ethniques qui constituent le pays, avec leurs diversité philosophique, culturelle et religieuse. Il s’agit d’un rappel important dans le contexte actuel de globalisation qui tend à aplatir les différences et les considérer d’abord en termes économico-financiers, avec le risque d’effacer les caractéristiques essentielles qui distinguent les différents peuples.

Enfin, au Japon j’ai touché du doigt la souffrance et l’horreur que nous sommes capables de nous infliger en tant qu’êtres humains[21]. En écoutant les témoignages de quelques Hibakusha, les survivants aux bombardements atomiques d’Hiroshima et de Nagasaki, il m’est apparu évident que l’on ne peut pas construire une véritable paix sur la menace d’un possible anéantissement total de l’humanité provoqué par les armes nucléaires. Les Hibakusha «maintiennent vivante la flamme de la conscience collective, témoignant aux générations successives l’horreur de ce qui est arrivé en août 1945 et les souffrances indicibles qui ont suivi jusqu’à aujourd’hui. Leur témoignage réveille et conserve de cette façon la mémoire des victimes afin que la conscience humaine devienne toujours plus forte face à toute volonté de domination et de destruction»[22], en particulier celle provoquée par les engins à si haut potentiel de destruction, comme les armes nucléaires. Celles-ci, non seulement favorisent un climat de peur, de méfiance et d’hostilité, mais aussi détruisent l’espérance. Leur utilisation est immorale, «un crime, non seulement contre l’homme et sa dignité, mais aussi contre toute possibilité d’avenir dans notre maison commune »[23].

Un monde «sans armes nucléaires est possible et nécessaire»[24], et il est temps que tous ceux qui ont des responsabilités politiques en deviennent pleinement conscients, puisque ce n’est pas la possession dissuasive de puissants moyens de destruction massive qui rend le monde plus sûr, mais plutôt le patient travail de toutes les personnes de bonne volonté qui se dévouent concrètement, chacune dans son domaine, pour édifier un monde de paix, de solidarité et de respect réciproque.

2020 offre une opportunité importante dans cette direction, puisque du 27 avril au 22 mai se tiendra à New York la Xème Conférence d’Examen du Traité de non-prolifération des armes nucléaires. Je souhaite vivement qu’à cette occasion la Communauté internationale réussisse à trouver un consensus final et proactif sur les manières d’actualiser cet instrument juridique international, qui se révèle être encore plus important en un moment comme celui-ci.

Terminant la liste des lieux où je suis allé au cours de l’année qui vient de s’achever, je voudrais avoir une pensée particulière pour un pays que je n’ai pas visité, l’Australie, durement touché ces derniers mois par de longs incendies dont les effets ont atteint aussi d’autres régions de l’Océanie. Je veux assurer le peuple australien, en particulier les victimes et tous ceux qui vivent dans les régions touchées par les feux, de ma proximité et de ma prière.

Excellences, Mesdames et Messieurs,

Cette année, la Communauté internationale rappelle le 75ème anniversaire de la fondation des Nations Unies. Suite aux tragédies expérimentées lors des deux guerres mondiales, avec la Charte des Nations Unies, signée le 26 juin 1945, quarante-six pays ont donné vie à une nouvelle forme de collaboration multilatérale. Les quatre finalités de l’Organisation, définies à l’article 1 de la Charte, restent valides encore aujourd’hui et nous pouvons dire que l’engagement des Nations Unies, durant ces 75 ans a été, en grande partie, un succès, spécialement pour éviter une autre guerre mondiale. Les principes fondateurs de l’Organisation – le désir de la paix, la recherche de la justice, le respect de la dignité de la personne, la coopération humanitaire et l’assistance – expriment les justes aspirations de l’esprit humain et constituent les idéaux qui devraient sous-tendre les relations internationales.

En cet anniversaire, nous voulons réaffirmer tout ce que la famille humaine doit faire pour le bien commun, le critère d’orientation de l’action morale et la perspective qui doit engager chaque pays à collaborer pour garantir l’existence et la sécurité dans la paix de tout autre Etat, dans un esprit d’égale dignité et d’effective solidarité, dans le domaine d’un système juridique fondé sur la justice et sur la recherche de compromis équitables[25].

Une telle action sera d’autant plus efficace que l’on cherchera à surmonter cette approche transversale, utilisée dans le langage et dans les actes des organes internationaux, qui vise à associer les droits fondamentaux à des situations contingentes, en oubliant qu’ils sont intrinsèquement fondés dans la nature même de l’être humain. Quand un clair ancrage objectif manque au vocabulaire des Organisations internationales, on risque de favoriser l’éloignement, et non le rapprochement, des membres de la Communauté internationale, avec la crise conséquente du système multilatéral, qui est malheureusement visible par tous. Dans ce contexte, il apparaît urgent de reprendre le chemin vers une réforme générale du système multilatéral, à partir du système onusien, qui le rende plus efficace, en prenant dûment en considération le contexte géopolitique actuel.

Chers Ambassadeurs,

arrivant à la conclusion de ces réflexions, je désire encore mentionner deux anniversaires qui auront lieu cette année, apparemment étrangers à notre rencontre d’aujourd’hui. Le premier est le 500e anniversaire de la mort de Raphaël, le grand artiste d’Urbino, décédé à Rome le 6 avril 1520. Nous devons à Raphaël un considérable patrimoine d’une inestimable beauté. De même que le génie de l’artiste sait composer harmonieusement des matières brutes et des sons différents en les rendant partie d’une unique œuvre d’art, de même la diplomatie est appelée à harmoniser les particularités des divers peuples et Etats pour édifier un monde de justice et de paix, qui est le beau tableau que nous voudrions pouvoir admirer.

Raphaël a été un fils important d’une époque, celle de la Renaissance, qui a enrichi l’humanité entière. Une époque, non exempte de difficultés, mais animée de confiance et d’espérance. A travers cet artiste éminent, je désire faire parvenir mes vœux cordiaux au Peuple italien, à qui je souhaite de redécouvrir cet esprit d’ouverture au futur qui a caractérisé la Renaissance et qui a rendu cette péninsule si belle et si riche en art, en histoire et en culture.

Un des sujets préférés de la peinture de Raphaël était Marie. Il lui a dédié plusieurs toiles qui peuvent aujourd’hui être admirées dans divers musées du monde. L’Eglise catholique célèbre cette année le soixante-dixième anniversaire de la proclamation de l’Assomption de la Vierge Marie au Ciel. Avec le regard sur Marie, je désire adresser une pensée particulière à toutes les femmes, vingt-cinq ans après la 4ème Conférence mondiale des Nations Unies sur la femme, qui s’est déroulée à Pékin en 1995, en souhaitant que, dans le monde entier, le rôle précieux des femmes dans la société soit toujours plus reconnu et que cesse toute forme d’injustice, d’inégalités et de violence à leur égard. «Toute violence faite à la femme est une profanation de Dieu»[26]. Exercer une violence contre une femme ou l’exploiter n’est pas un simple délit, c’est un crime qui détruit l’harmonie que Dieu a voulu donner au monde: l’harmonie la poésie et la beauté[27].

L’Assomption de Marie nous invite aussi à regarder au-delà, l’accomplissement de notre cheminement terrestre, au jour où la justice et la paix seront pleinement rétablies. Nous nous sentons ainsi encouragés, à travers la diplomatie, qui est notre tentative humaine, imparfaite mais aussi toujours précieuse, à travailler avec zèle pour anticiper les fruits de ce désir de paix, en sachant que le but est possible. Avec cet engagement, je renouvelle à chacun de vous, chers Ambassadeurs et distingués Invités ici réunis, et à chacun de vos Pays mon vœu cordial pour une nouvelle année pleine d’espérance et de bénédictions.

Merci!

_______________________

[1] Cf. Message pour la 23ème Journée Mondiale de la Paix, 8 décembre 2019, n. 1.
[2]
Ibid.
[3]
Cf. Rencontre avec les Autorités, avec le Corps Diplomatique et avec les représentants de la société, Panama, 24 janvier 2019.
[4]
Cf. Motu proprio Vos estis lux mundi, 7 mai 2019.
[5]
Message à l'occasion du lancement du Pacte Éducatif, 12 septembre 2019.
[6]
Cf. Ibid.
[7]
Angelus, Les Combes, 17 juillet 2005.
[8]
Cf. Lett. Enc. Laudato si’, 24 mai 2015, n. 13.
[9]
Message pour la 53ème Journée Mondiale de la Paix, 8 décembre 2019, n. 4.
[10]
Document final de l’Assemblée Spéciale du Synode des Évêques pour l’Amazonie: “nouveaux chemins pour l’Eglise et pour une écologie intégrale”, n. 2.
[11]
Document sur la Fraternité Humaine pour la Paix mondiale et la coexistence commune, Abou Dabi, 4 février 2019.
[12]
Ibid.
[13]
Cf. Ibid.
[14]
Appel de sa Majesté le Roi Mohammed VI et de Sa Sainteté le Pape François sur Jérusalem /Al Qods Ville sainte et lieu de rencontre, Rabat, 30 mars 2019.
[15]
Cf. Ibid.
[16]
Angelus, 5 janvier 2020.
[17]
Cf. Discours au Parlement Européen, Strasbourg, 25 novembre 2014.
[18]
Benoît XV, Lett. Enc. Pacem, Dei munus pulcherrimum, 23 mai 1920.
[19]
Cf. Salut à la Cité de l’Amitié – Akamasoa, Antananarivo, 8 septembre 2019.
[20]
Discours aux Autorités, aux représentants de la société civile et au Corps diplomatique, Port Louis, 9 septembre 2019.
[21]
Cf. Discours sur les armes nucléaires, Nagasaki, 24 novembre 2019.
[22]
Message pour la 53ème Journée Mondiale de la Paix, 8 décembre 2019, n. 2.
[23]
Discours lors de la Rencontre pour la paix, Hiroshima, 24 novembre 2019.
[24]
Discours sur les armes nucléaires, Nagasaki, 24 novembre 2019.
[25]
Cf. Jean XXIII, Lett. Enc. Pacem in terris, 11 avril 1963, n. 54.
[26]
Homélie de la Solennité de Marie Mère de Dieu, 53ème Journée Mondiale de la Paix, 1er janvier 2020.
[27]
Cf. La femme est l’harmonie du monde. Méditation dans la Chapelle de la Domus Santae Mathae, 9 février 2017.

[00035-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

Your Excellencies, Ladies and Gentlemen,

A new year is opening before us; like the cry of a newborn baby, it fills us with joy and hope. I would like that word, “hope”, which is an essential virtue for Christians, to inspire our way of approaching the times that lie ahead.

Certainly, hope has to be realistic. It demands acknowledging the many troubling issues confronting our world and the challenges lurking on the horizon. It requires that problems be called by their name and the courage be found to resolve them. It urges us to keep in mind that our human family is scarred and wounded by a succession of increasingly destructive wars that especially affect the poor and those most vulnerable.[1] Sadly, the new year does not seem to be marked by encouraging signs, as much as by heightened tensions and acts of violence.

Precisely in light of these situations, we cannot give up hope. And hope requires courage.  It means acknowledging that evil, suffering and death will not have the last word, and that even the most complex questions can and must be faced and resolved. For hope is “the virtue that inspires us and keeps us moving forward, even when obstacles seem insurmountable”.[2]

In this spirit, dear Ambassadors, I welcome you today and offer you my good wishes for the New Year. I thank in a particular way the Dean of the Diplomatic Corps, His Excellency George Poulides, the Ambassador of Cyprus, for his cordial greetings on your behalf. I am grateful to all of you for your much appreciated presence, and for your daily efforts to consolidate the relations existing between the Holy See and your various countries and international organizations for the sake of peaceful coexistence between peoples.

Peace and integral human development are in fact the principal aim of the Holy See in its involvement in the field of diplomacy. This is likewise the aim of the work carried out by the Secretariat of State and the Dicasteries of the Roman Curia, but also by the Papal Representatives, whom I thank for the dedication with which they carry out their twofold mission of representing the Pope to the local Churches and to your respective governments.

In this regard, we can think of the Agreements of a general nature signed and ratified in the past year with the Republic of the Congo, the beloved Central African Republic, Burkina Faso and Angola, as well as the Agreement between the Holy See and the Republic of Italy on the application of the Lisbon Convention on the recognition of qualifications concerning higher education in the European region.

So too, the Apostolic Visits that, in addition to being a privileged means for the Successor of Peter to confirm his brothers and sisters in the faith, represent an occasion for promoting dialogue at the political and religious levels. In 2019, I had the opportunity to make several significant visits.  I would like to review them with you and to use this as an opportunity to take a a deeper look at some of the critical issues of the present time.

At the beginning of last year, during the XXXIV World Youth Day in Panama, I met young people from five continents, brimming with dreams and hopes, who came together to pray and nurture their desire to be involved in building a more humane world.[3] It is always a joy and a great opportunity to meet young people.  They are the future and the hope of our societies, but also their present.

Tragically however, as we know, not a few adults, including different members of the clergy, have been responsible for grave crimes against the dignity of young people, children and teenagers, violating their innocence and privacy. These are crimes that offend God, cause physical, psychological and spiritual damage to their victims, and damage the life of whole communities.[4] Following my meeting in the Vatican last February with representatives of the world’s episcopates, the Holy See has renewed its commitment that abuses already committed be brought to light and that the protection of minors be ensured through a wide range of norms for dealing with such cases in accordance with canon law and in cooperation with civil authorities on the local and international level.

Given the gravity of the harm involved, it becomes all the more urgent for adults not to abdicate their proper educational responsibilities, but to carry out those responsibilities with greater zeal, in order to guide young people to spiritual, human and social maturity.

For this reason, I have planned a worldwide event to take place on 14 May next with the theme: Reinventing the Global Compact on Education.  This gathering is meant to “rekindle our commitment to and with young people, renewing our passion for a more open and inclusive education, including patient listening, constructive dialogue and better mutual understanding.  Never before has there been such need to unite our efforts in a broad educational alliance, to form mature individuals capable of overcoming division and antagonism, and to restore the fabric of relationships for the sake of a more fraternal humanity”.[5]

All change, like the epochal change we are now experiencing, calls for a process of education and the creation of an educational village capable of forming a network of open and human relationships.[6] That village should put the human person at the centre, investing creatively and responsibly in long-term projects that train individuals willing to offer themselves in service to the community.

What is needed, then, is an educational vision that can encompass a broad range of life experiences and learning processes, in order to enable young people, individually and collectively, to develop their personalities. Education is not limited to school and university classrooms; it is principally ensured by strengthening and reinforcing the primary right of the family to educate, and the right of Churches and social communities to support and assist families in raising their children.

Education requires entering into sincere and genuine dialogue with young people. They are the ones who above all make us aware of the urgent need for that intergenerational solidarity which has sadly been lacking in recent years. There is, in fact, a tendency, in many parts of the world, to be self-absorbed, to defend acquired rights and privileges, and to view the world within a narrow horizon that treats the elderly with indifference and no longer welcomes the newborn. The general ageing of the world population, especially in the West, is a sad and emblematic example of this.

While not forgetting that young people look to the words and example of adults, we should also be well aware that they themselves have much to offer, thanks to their enthusiasm and commitment. To say nothing of their thirst for truth, which constantly reminds us of the fact that hope is not utopian and that peace is always a good that can be attained.

We have seen this in the way many young people have become active in calling the attention of political leaders to the issue of climate change. Care for our common home ought to be a concern of everyone and not the object of ideological conflict between different views of reality or, much less, between generations. In the words of Pope Benedict XVI, “in contact with nature, individuals rediscover their proper dimension; they recognize that they are creatures but at the same time unique, ‘capable of God’ since they are inwardly open to the Infinite”.[7] The protection of the home given to us by the Creator cannot be neglected or reduced to an elitist concern. Young people are telling us that this cannot be the case, for at every level we are being urgently challenged to protect our common home and to “bring the whole human family together to seek a sustainable and integral development”.[8] They remind us of the urgent need for an ecological conversion, which “must be understood in an integral way, as a transformation of how we relate to our sisters and brothers, to other living beings, to creation in all its rich variety and to the Creator who is the origin and source of all life”.[9]

Sadly, the urgency of this ecological conversion seems not to have been grasped by international politics, where the response to the problems raised by global issues such as climate change remains very weak and a source of grave concern. The XXV Conference of the Parties to the United Nations Framework Convention on Climate Change (COP25), held in Madrid last December, raises serious concern about the will of the international community to confront with wisdom and effectiveness the phenomenon of global warming, which demands a collective response capable of placing the common good over particular interests.

These considerations bring our attention back to Latin America, and in particular to the Special Assembly of the Synod of Bishops for the Amazon Region, held in the Vatican last October. The Synod was an essentially ecclesial event, prompted by the desire to listen to the hopes and challenges of the Church in Amazonia and to open new paths for the proclamation of the Gospel to the People of God, especially to the indigenous peoples.  Nonetheless, the synodal assembly could not help but discuss other issues as well, beginning with integral ecology. Those issues impact the life of that region, so vast and important for the entire world, inasmuch as “the Amazon rainforest is a ‘biological heart’ for the increasingly threatened earth”.[10]

In addition to the situation in the Amazon region, another cause for concern is the proliferation of political crises in a growing number of countries of the American continent, accompanied by tensions and unaccustomed forms of violence that sharpen social conflicts and have grave socioeconomic and humanitarian consequences.  Greater polarization does not help to resolve the real and pressing problems of citizens, especially those who are poorest and most vulnerable, nor can violence, which for no reason can be employed as a means of dealing with political and social issues. Here, in this setting, I would like to mention Venezuela in particular, so that efforts to seek solutions will continue.

Generally speaking, the conflicts of the American region, despite their different roots, are linked by profound forms of inequality, injustice and endemic corruption, as well as by various kinds of poverty that offend the dignity of persons.  Consequently, there is a need for political leaders to work diligently to reestablish a culture of dialogue for the sake of the common good, to reinforce democratic institutions and promote respect for the rule of law, as a means of countering anti-democratic, populist and extremist tendencies.

In my second journey of 2019, I went to the United Arab Emirates, the first visit of a Successor of Peter to the Arabian Peninsula. At Abu Dhabi, I joined the Grand Imam of Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb in signing the Document on Human Fraternity for World Peace and Living Together. This is an important text, aimed at fostering mutual understanding between Christians and Muslims, and peaceful coexistence in increasingly multiethnic and multicultural societies. In forcefully condemning the use of “the name of God to justify acts of murder, exile, terrorism and oppression”,[11] the Document recalls the importance of the concept of citizenship, “based on the equality of rights and duties, under which all enjoy justice”.[12] This requires respect for religious freedom and the resolve to reject the discriminatory use of the term “minorities”, which engenders feelings of isolation and inferiority, and paves the way for hostility and discord, discriminating between citizens on the basis of their religious affiliation.[13] To this end, it is particularly important to train future generations in interreligious dialogue, the main road to greater knowledge, understanding and reciprocal support between the members of different religions.

Peace and hope were also at the heart of my visit to Morocco where, with His Majesty King Muhammed VI, I signed a joint appeal on Jerusalem, in recognition of “the unique and sacred character of Jerusalem/Al-Quds Acharif, and with deep concern for its spiritual significance and its special vocation as a city of peace”.[14] And from Jerusalem, a city dear to the faithful of the three monotheistic religions, one called to be a symbolic place of encounter and of peaceful coexistence where mutual respect and dialogue are cultivated,[15] I cannot fail to turn to the entire Holy Land and to reiterate the urgent need for the whole international community to reconfirm, with courage and sincerity, and in respect for international law, its commitment to support the Israeli-Palestinian peace process.

A more steadfast and effective engagement on the part of the international community is most urgent in other parts of the Mediterranean area and in the Middle East. I think especially of the pall of silence that risks falling over the war that has devastated Syria over the course of the last decade. It is imperative to devise suitable and far-sighted solutions capable of enabling the beloved Syrian people, exhausted by war, to regain peace and to begin the reconstruction of the country. The Holy See favourably regards every initiative aimed at laying the groundwork for the resolution of the conflict, and once more expresses its gratitude to Jordan and Lebanon for having welcomed and taken responsibility, not without significant sacrifice, for millions of Syrian refugees. Sadly, in addition to the difficulties caused by this welcome, other factors of economic and political uncertainty, in Lebanon and in other states, are provoking tensions among the population, further endangering the fragile stability of the Middle East.

Particularly troubling are the signals coming from the entire region following the heightening of tensions between Iran and the United States, which risk above all compromising the gradual process of rebuilding in Iraq, as well as setting the groundwork for a vaster conflict that all of us would want to avert. I therefore renew my appeal that all the interested parties avoid an escalation of the conflict and “keep alive the flame of dialogue and self-restraint”,[16] in full respect of international law.

My thoughts turn also to Yemen, which is experiencing one of the most serious humanitarian crises of recent history amid general indifference on the part of the international community, and to Libya, which for many years has experienced a situation of conflict aggravated by incursions of extremist groups and by a further intensification of violence in recent days.  That situation provides fertile terrain for the scourge of exploitation and human trafficking, carried out by unscrupulous persons who exploit the poverty and suffering of those fleeing situations of conflict or of extreme poverty. Among the latter, many fall prey to genuinely criminal organizations that imprison them in inhumane and degrading conditions and subject them to torture, sexual violence and forms of extortion.

More generally, it should be noted that many thousands of persons in our world present legitimate requests for asylum, and have verifiable humanitarian needs and a need for protection that are not adequately identified. Many are risking their lives in perilous journeys by land and above all by sea. It is painful to acknowledge that the Mediterranean Sea continues to be a vast cemetery.[17] Consequently, it is increasingly urgent that all states accept responsibility for finding lasting solutions.

For its part, the Holy See looks with great hope to the efforts being made by many countries to share the burden of resettling refugees, in particular those fleeing from humanitarian emergencies, and to provide them with a secure place in which to live, education and possibilities for employment and reunion with their families.

Dear Ambassadors,

In my journeys during this past year, I was also able to visit three Eastern European countries, first Bulgaria and North Macedonia, and then Romania. Three countries each different from the others, yet linked by the fact that for centuries they have been bridges between East and West, and a crossroads of diverse cultures, ethnicities and civilizations. As I visited them, I experienced once again the importance of dialogue and the culture of encounter for creating peaceful societies in which each individual can freely express his or her ethnic and religious identity.

Remaining within the European context, I would like to reaffirm the importance of supporting dialogue and respect for international law as a means of resolving the “frozen conflicts” that persist on the continent, some of which have lasted for decades and demand a solution, beginning with the situations involving the western Balkans and the southern Caucasus, including Georgia.  In this setting, I would also like to express the Holy See’s encouragement of the negotiations for the reunification of Cyprus, which would increase regional cooperation and promote the stability of the entire Mediterranean area. I would also express my appreciation for the efforts made to resolve the conflict in eastern Ukraine and to put an end to the suffering of its people.

Dialogue – not arms – is the essential way to resolve disputes. In this regard, I would like in this setting to acknowledge the contribution made, for example, in Ukraine by the Organization for Security and Co-operation in Europe (OSCE), particularly during this year that marks the forty-fifth anniversary of the Helsinki Final Act. That Act concluded the Conference on Security and Co-operation in Europe (CSCE), initiated in 1973 to foster détente and cooperation between the countries of Western and Eastern Europe, at a time when the continent was still divided by the Iron Curtain. The Final Act was an important stage in a process begun in the aftermath of the Second World War, one that viewed consensus and dialogue as key instruments for the resolution of conflicts.

The foundations of the process of European integration were laid in Western Europe in 1949 with the creation of the Council of Europe and the subsequent adoption of the European Convention on Human Rights, which saw in the 9 May 1950 Declaration of then Minister of Foreign Affairs of France, Robert Schuman, an essential pillar. Schuman stated that “peace cannot be ensured except by making creative efforts proportionate to the dangers that menace it”. The founders of modern Europe realized that only through a gradual process of sharing ideals and resources would the continent be able to recover from the devastation of war and the new divisions that arose after it.

The Holy See followed the European project with great interest from its earliest years; this year marks the fiftieth anniversary of its presence as an Observer to the Council of Europe and the establishment of diplomatic relations with the then European Communities.  It has sought to emphasize the ideal of an inclusive process of growth inspired by a spirit of participation and solidarity, capable of making Europe a model of welcome and social equality guided by shared underlying values. The European project continues to be a fundamental guarantee of development for those who have long shared in it, and an opportunity for peace in the aftermath of turbulent conflicts and injuries for those countries that aspire to take part in it.

Consequently, Europe ought not to lose that sense of solidarity that has for centuries set it apart, even at the most difficult moments of its history. May it not lose that spirit, which finds its roots, among other things, in the Roman pietas and the Christian caritas that have shaped the spirit of the European peoples. The fire at Notre Dame Cathedral in Paris showed how even what seems so solid can be fragile and easily destroyed. The damage suffered by an edifice that is not only precious to Catholics but important for all of France and the whole of humanity, has revived the question of Europe’s historical and cultural values, and its deeper roots. In situations where a framework of values is lacking, it becomes easier to identify elements of division than those of cohesion.

The thirtieth anniversary of the fall of the Berlin Wall has reminded us of one of the most painful symbols of the continent’s more recent history and made us realize once again how easy it is to erect barriers. The Berlin Wall remains emblematic of a culture of division that alienates people from one another and opens the way to extremism and violence. We see this more and more in the hate speech widespread on the internet and in the social communications media. Rather than walls of hatred, we prefer bridges of reconciliation and solidarity; rather than what alienates, we prefer what draws people closer together. For we are aware that, as my predecessor Pope Benedict XV wrote a hundred years ago, “there can be no stable peace… without a reconciliation based on mutual charity as a means of quelling hatred and banishing enmity”.[18]

Dear Ambassadors,

I was able to see signs of peace and reconciliation during my visit to Africa, where joy is so evident in those who feel part of a people and together face the daily challenges of life in a spirit of sharing. I experienced concrete hope in the form of many encouraging events, starting with the further progress achieved in Mozambique by the 1 August 2019 signing of the Agreement on the definitive cessation of hostilities.

In Madagascar, I saw how it is possible to create security where earlier there was instability, to see hope in place of inevitability, to see signs of life in a place where many proclaimed death and destruction.[19] Essential in this regard are families and the sense of community that can enable the growth of that basic trust which is at the root of every human relationship. In Mauritius, I observed how “the different religions, while respecting their specific identities, work hand-in-hand to contribute to social harmony and to uphold the transcendent value of life against every kind of reductionism”.[20] I am confident that the enthusiasm, which was so tangible at every moment of my journey, will continue to inspire concrete acts of acceptance and projects capable of promoting social justice and avoiding expressions of exclusion.

Broadening our gaze to other parts of the continent, it is painful to witness, particularly in Burkina Faso, Mali, Niger and Nigeria, continuing episodes of violence against innocent people, including many Christians persecuted and killed for their fidelity to the Gospel. I urge the international community to support the efforts made by these countries to eliminate the scourge of terrorism that is causing more and more bloodshed in whole parts of Africa, as in other parts of the world. In the light of these events, we need to implement practical strategies aimed not only at increased security, but at reducing poverty, improving healthcare systems, favouring development and humanitarian assistance, and promoting good governance and civil rights.  These are the pillars of authentic social development.

Likewise, there is a need to encourage initiatives to foster fraternity among all local cultural, ethnic and religious groups, particularly in the Horn of Africa, in Cameroon and in the Democratic Republic of the Congo, where violence continues, especially in the eastern part of that country. Situations of conflict and humanitarian crises, aggravated by climate change, are increasing the numbers of displaced persons and affecting people already living in a state of dire poverty. Many of the countries experiencing these situations lack adequate structures for meeting the needs of the displaced.

In this regard, I would like to point out that, sadly, there does not yet exist a consistent international response to help address the phenomenon of internal displacement. This is due in large part to the lack of an internationally agreed definition, since that phenomenon takes place within national borders. The result is that internally displaced persons do not always receive the protection they deserve, and depend on the policies and response capabilities of the nations in which they find themselves.

Recently, the United Nations High-Level Panel on Internal Displacement has begun its work, which I hope will garner attention and worldwide support for displaced persons, while devising concrete plans and projects.

In this regard, I think also of Sudan, with the fervent hope that its citizens will be able to live in peace and prosperity, and cooperate in the democratic and economic growth of the country. I think also of the Central African Republic, where a global agreement was signed last February to put an end to over five years of civil war. My thoughts turn also to South Sudan, which I hope to be able to visit in the course of this year. Last April I dedicated a day-long retreat to that country, in the presence of its leaders and with the much-appreciated contribution of His Grace Justin Welby, the Archbishop of Canterbury, and the Reverend John Chalmers, former Moderator of the Presbyterian Church of Scotland. I am confident that, with the help of the international community, all those charged with political responsibilities will pursue dialogue in order to implement the agreements reached.

My final journey in the year just ended was to eastern Asia. In Thailand, I was able to witness the harmony that characterizes the country’s numerous ethnic groups with their diverse philosophies, cultures and religions. This represents a significant challenge in the current context of globalization, where differences tend to be flattened out and considered primarily in economic and financial terms, with the risk of erasing the distinctive features of various peoples.

Lastly, in Japan I tangibly experienced the pain and horror that we human beings are capable of inflicting on one another.[21] In hearing the testimonies of some Hibakusha, the survivors of the atomic bombs dropped on Hiroshima and Nagasaki, it became clear to me that true peace cannot be built on the threat of a possible total annihilation of humanity by nuclear weapons. The Hibakusha “keep alive the flame of collective conscience, bearing witness to succeeding generations to the horror of what happened in August 1945 and the unspeakable sufferings that have continued to the present time. Their testimony awakens and preserves the memory of the victims, so that the conscience of humanity may rise up in the face of every desire for dominance and destruction”,[22] especially that fostered by the possession of such potentially destructive devices as nuclear weapons. These weapons do not only foster a climate of fear, suspicion and hostility; they also destroy hope. Their use is immoral, “a crime not only against the dignity of human beings but against any possible future for our common home”.[23]

A world “without nuclear weapons is possible and necessary”.[24] The time has come for political leaders to realize that a safer world comes about not by the deterrent possession of powerful means of mass destruction, but rather by the patient efforts of men and women of good will who devote themselves concretely, each in his or her own field, to building a world of peace, solidarity and mutual respect.

2020 offers an important opportunity in this regard, since the Tenth Review Conference of the Treaty on the Non-Proliferation of Nuclear Weapons will be held in New York this coming 27 April to 22 May. It is my lively hope that the international community will then manage to achieve a conclusive and proactive consensus on ways to implement this international legal instrument, which has shown itself to be all the more important in times like our own.

As I conclude this review of the places that I visited in the past year, my thoughts turn in a particular way to one country that I have not visited, Australia, hard hit in recent months by persistent fires that have affected other areas of Oceania as well. I would like to assure the Australian people, especially the victims and all those in the areas devastated by the fires, of my closeness and my prayers.

Your Excellencies, Ladies and Gentlemen,

This year, the international community celebrates the seventy-fifth anniversary of the founding of the United Nations. Following the tragedies experienced in the wake of two world wars, on 26 April 1945 forty-six countries signed the Charter of the United Nations and established a new form of multilateral cooperation. The four goals of the Organization, set forth in Article 1 of the Charter, remain valid today. We may say that the efforts of the United Nations in these past seventy-five years have been largely successful, particularly by preventing another world war. The foundational principles of the Organization – the desire for peace, the pursuit of justice, respect for the dignity of the human person, humanitarian cooperation and assistance – express the just aspirations of the human spirit and constitute ideals that should be at the basis of international relations.

In this anniversary year, we wish to reaffirm the resolve of the entire human family to work for the common good as a criterion for moral action and a goal inspiring each country to cooperate in guaranteeing the existence and peaceful security of all others, in a spirit of equal dignity and effective solidarity, and within a legal system based on justice and the pursuit of just compromises.[25]

This will be the more effective to the extent that efforts are made to overcome the transversal approach employed in the language and acts of international bodies, which seeks to link fundamental rights to contingent situations. Such an approach forgets that these rights are intrinsically grounded in human nature itself. Whenever the lexicon of international organizations loses a clear objective anchoring, one risks fostering estrangement rather than rapprochement between the members of the international community, with the consequent crisis of the multilateral system, which is now sadly evident to all.  In this context, there is a clear need to move once again towards an overall reform of the multilateral system, beginning with the UN system, which would make it more effective, taking into due account the present geopolitical context.

Dear Ambassadors,

As I come to the end of these reflections, I would like to mention two other anniversaries occurring this year, which might seem to have little to do with today’s meeting. The first is the five-hundredth anniversary of the death of Raphael [Raffaello Sanzio], the great artist from Urbino, who died in Rome on 6 April 1520. Raphael left us a vast legacy of inestimable beauty. Just as an artist’s genius can blend raw materials and different colours and sounds to create a unique work of art, so diplomacy is called upon to harmonize the distinctive features of the various peoples and states in order to build a world of justice and peace. This is in fact the beautiful masterpiece that all of us want to be able to admire.

Raphael was an important figure of the Renaissance, an age that enriched all humanity. It was an age that had its own problems, and yet was filled with confidence and hope. In recalling this outstanding artist, I would like to offer my cordial greeting to the people of Italy, with the prayerful hope that they will rediscover that spirit of openness to the future that exemplified the Renaissance and made this peninsula so beautiful and rich in art, history and culture.

One of Raphael’s favourite subjects was the Virgin Mary. To her he dedicated many a canvas that can be admired today in museums throughout the world. For the Catholic Church, this year marks the seventieth anniversary of the proclamation of the Assumption of the Blessed Virgin Mary. Looking to Mary, I would like to say a special word to all women, twenty-five years after the United Nations Fourth World Conference on Women, held in Beijing in 1995. It is my hope that the invaluable role of women in society may be increasingly acknowledged worldwide and that all forms of injustice, discrimination and violence against women come to an end. “Every form of violence inflicted upon a woman is a blasphemy against God”.[26] Acts of violence and exploitation directed at women are not merely wrong; they are crimes that destroy the harmony, the poetry and beauty that God wished to bestow on the world.[27]

The Assumption of Mary also invites us to look ahead to the completion of our earthly journey, to that day when justice and peace will be fully reestablished. May we feel encouraged, then, to work diligently, through the diplomacy that is our own imperfect yet always valuable human contribution, to hasten the fulfilment of this longing for peace, in the knowledge that the goal can be attained. Reaffirming this commitment, I renew to all of you, dear Ambassadors and distinguished guests, and to your countries, my cordial best wishes for a new year rich in hope and every blessing.

Thank you!

__________________________

[1] Cf. Message for the 2020 World Day of Peace, 8 December 2019, 1.
[2]
Ibid.
[3]
Address at the Meeting with Authorities, the Diplomatic Corps and Representatives of Society, Panama, 24 January 2019.
[4]
Cf. Motu Proprio Vox Estis Lux Mundi, 7 May 2019.
[5]
Message for the Launch of the Global Compact on Education, 12 September 2019.
[6]
Cf. ibid.
[7]
Angelus, Les Combes, 17 July 2005.
[8]
Encyclical Letter Laudato Si’, 24 May 2015, 13.
[9]
Message for the 2020 World Day of Peace, 8 December 2019, 4.
[10]
Final Document of the Synod of Bishops for the Amazon Region, “The Amazon: New Paths for the Church and for an Integral Ecology”, 2.
[11]
Document on Human Fraternity for World Peace and Living Together, Abu Dhabi, 4 February 2019.
[12]
Ibid.
[13]
Cf. ibid.
[14]
Appeal of His Majesty King Mohammed VI and His Holiness Pope Francis on Jerusalem/Al Quds, the Holy City and a place of encounter, Rabat, 30 March 2019.
[15]
Cf. ibid.
[16]
Angelus, 5 January 2020.
[17]
Cf. Address to the European Parliament, Strasbourg, 25 November 2014.
[18]
BENEDICT XV, Encyclical Letter Pacem, Dei Munus Pulcherrimum, 23 May 1920.
[19]
Cf. Greeting in the Akamasoa City of Friendship, Antananarivo, 8 September 2019.
[20]
Address to the Authorities, Representatives of Civil Society and the Diplomatic Corps, Port Louis, 9 September 2019.
[21]
Cf. Address on Nuclear Weapons, Nagasaki, 24 November 2019.
[22]
Message for the 2020 World Day of Peace, 8 December 2019, 2.
[23]
Address at the Meeting for Peace, Hiroshima, 24 November 2019.
[24]
Address on Nuclear Weapons, Nagasaki, 24 November 2019.
[25]
Cf. JOHN XXIII, Encyclical Letter Pacem in Terris, 11 April 1963, 98 [ed. Carlen].
[26]
Homily for the Solemnity of Mary, Mother of God and for the 2020 World Day of Peace, 1 January 2020.
[27]
Cf. La donna è l’armonia del mondo. Meditation at morning Mass in the chapel of the Domus Sanctae Marthae, 9 February 2017.

[00035-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Exzellenzen, meine Damen und Herren,

ein neues Jahr liegt offen vor uns, und wie die ersten Laute eines neugeborenen Kindes lädt es uns zur Freude und zu einer Haltung der Hoffnung ein. Ich möchte, dass dieses Wort – Hoffnung –, das für die Christen eine Grundtugend ist, den Blick belebt, mit dem wir in die Zeit, die uns erwartet, eintreten.

Gewiss, das Hoffen erfordert Realismus. Es erfordert ein Bewusstsein für die vielen Fragen, die unsere Zeit bewegen, und die Herausforderungen, die sich am Horizont abzeichnen. Es verlangt, dass wir Probleme beim Namen nennen und den Mut haben, uns ihnen zu stellen. Es verlangt, dass wir nicht vergessen, dass die menschliche Gemeinschaft die Zeichen und die Wunden der Kriege, die im Laufe der Zeit mit wachsender Zerstörungskraft aufeinander gefolgt sind, trägt und dass sie nicht aufhören, besonders die Ärmsten und Schwächsten zu treffen[1]. Leider scheint das neue Jahr nicht gerade voll von ermutigenden Zeichen zu sein, sondern die Spannungen und die Gewalt scheinen sich zu verschärfen.

Doch gerade angesichts dieser Umstände dürfen wir die Hoffnung nicht aufgeben. Und Hoffen erfordert Mut. Es verlangt das Bewusstsein, dass das Böse, das Leid und der Tod nicht siegen werden und dass selbst die komplexesten Fragen angegangen und gelöst werden können und müssen. Die Hoffnung ist »die Tugend, die uns aufbrechen lässt, die uns die Flügel verleiht, um weiterzugehen, selbst dann, wenn die Hindernisse unüberwindlich scheinen«[2].

In diesem Sinne begrüße ich Sie heute, liebe Botschafterinnen und Botschafter, um Ihnen meine besten Wünsche für das neue Jahr zu übermitteln. Ich danke in besonderer Weise dem Doyen des Diplomatischen Korps, S.E. Herrn George Poulides, dem Botschafter von Zypern, für die herzlichen Worte, die er in Ihrer aller Namen an mich gerichtet hat, und ich bin Ihnen dankbar für Ihre so zahlreiche und bedeutende Anwesenheit sowie für den Einsatz, den Sie jeden Tag für die Festigung der Beziehungen leisten, die den Heiligen Stuhl mit Ihren Ländern sowie mit Ihren internationalen Organisationen zugunsten eines friedlichen Zusammenlebens der Völker verbinden.

Der Frieden und die ganzheitliche menschliche Entwicklung sind in der Tat das Hauptziel des diplomatischen Engagements des Heiligen Stuhls. Die Bemühungen des Staatssekretariats und der Dikasterien der Römischen Kurie wie auch der Päpstlichen Repräsentanten sind darauf ausgerichtet, und ich danke ihnen allen für die Hingabe, mit der sie die ihnen anvertraute doppelte Aufgabe erfüllen, den Papst sowohl den Ortskirchen als auch Ihren Regierungen gegenüber zu vertreten.

In diesem Zusammenhang sind auch die im vergangenen Jahr unterzeichneten oder ratifizierten Abkommen allgemeiner Art mit der Republik Kongo, mit der geschätzten Zentralafrikanischen Republik, Burkina Faso und Angola zu sehen, wie auch die Übereinkunft zwischen dem Heiligen Stuhl und der Republik Italien zur Umsetzung des Übereinkommens von Lissabon über die Anerkennung von Qualifikationen im Hochschulbereich der europäischen Region.

Auch die apostolischen Reisen sind für den Nachfolger des Apostels Petrus nicht nur eine besondere Gelegenheit, seine Brüder und Schwestern im Glauben zu stärken, sie bieten auch Gelegenheit zur Weiterführung des Dialogs auf politischer und religiöser Ebene. Im Jahr 2019 hatte ich die Gelegenheit zu verschiedenen wichtigen Besuchen. Ich möchte mit Ihnen diese Stationen nochmals durchgehen und die Gelegenheit nutzen, einen weiteren Blick auf einige Probleme unserer Zeit zu werfen.

Anfang letzten Jahres, anlässlich des 34. Weltjugendtages, traf ich in Panama junge Menschen aus den fünf Kontinenten, die voller Träume und Hoffnungen waren und sich dort versammelt hatten, um zu beten und den Wunsch und die Verpflichtung, eine menschlichere Welt zu schaffen, neu zu beleben[3]. Es ist immer eine Freude und eine große Chance, junge Menschen zu treffen. Sie sind die Zukunft und die Hoffnung unserer Gesellschaften, aber auch ihre Gegenwart.

Doch wie schmerzlich bekannt ist, haben nicht wenige Erwachsene, darunter auch etliche Mitglieder des Klerus, sich schwerster Verbrechen gegen die Würde von Jugendlichen, Kindern und Heranwachsenden schuldig gemacht, indem sie deren Unschuld und ihr Innerstes verletzt haben. Das sind Verbrechen, die Gott beleidigen, den Opfern physischen, psychischen und spirituellen Schaden zufügen und das Leben ganzer Gemeinschaften schädigen[4]. Im Anschluss an die Begegnung mit den Bischöfen der ganzen Welt, die ich im Februar letzten Jahres im Vatikan einberufen habe, erneuert der Heilige Stuhl seine Verpflichtung, die begangenen Missbrauchsfälle aufzuklären und den Schutz der Minderjährigen zu gewährleisten, und zwar durch eine breite Palette von Normen, die es ermöglichen, diese Fälle kirchenrechtlich wie auch durch die Zusammenarbeit mit den staatlichen Behörden auf nationaler und internationaler Ebene zu behandeln.

Angesichts solch schwerwiegender Verletzungen ist es jedoch umso dringlicher, dass die Erwachsenen sich nicht dem ihnen zukommenden Erziehungsauftrag entziehen, sondern sich mit größerem Eifer dieser Aufgabe stellen, um die Jugendlichen zu geistlicher, menschlicher und sozialer Reife zu führen.

Aus diesem Grund möchte ich für eine internationale Veranstaltung am 14. Mai diesen Jahres werben, die eine Wiederherstellung des globalen Bildungspakts zum Thema hat. Es handelt sich dabei um »ein Treffen zur Wiederbelebung des Engagements für und mit den jungen Menschen, bei dem die Begeisterung für eine offenere und integrativere Bildung, die fähig ist, geduldig zuzuhören, einen konstruktiven Dialog und gegenseitiges Verständnis zu fördern, erneuert wird. Noch nie zuvor war es so notwendig, die Bemühungen in einem breiten Bildungsbündnis zu vereinen, um reife Menschen zu formen, die in der Lage sind, Spaltungen und Gegensätze zu überwinden und das Gefüge der Beziehungen für eine geschwisterlichere Menschheit wiederherzustellen.«[5]

Jede Veränderung, wie auch dieser epochaler Wandel, in dem wir uns befinden, erfordert einen Bildungsprozess, die Errichtung eines Dorfes der Bildung[6], das ein Netzwerk menschlicher und offener Beziehungen schafft. Ein solches Dorf muss den Menschen in den Mittelpunkt stellen, Kreativität und Verantwortung für eine langfristige Entwicklung fördern und Menschen heranbilden, die bereit sind, sich in den Dienst der Gemeinschaft zu stellen.

Es bedarf daher eines Bildungskonzepts, das die vielfältigen Lebenserfahrungen und Lernprozesse umfasst und die jungen Menschen als Einzelne und als Gemeinschaft in die Lage versetzt, ihre Persönlichkeit zu entwickeln. Bildung geschieht nicht nur in den Klassenzimmern der Schulen oder in den Hörsälen der Universitäten, sondern wird in erster Linie durch die Achtung und Stärkung des primären Rechts der Familie, ihre Kinder zu erziehen und des Rechts der Kirchen und sozialen Gruppen, die Familien bei der Erziehung ihrer Kinder zu unterstützen, gewährleistet.

Erziehung erfordert einen aufrichtigen und ehrlichen Dialog mit den Jugendlichen. Sie sind es vor allem, die uns auf die Dringlichkeit jener Solidarität zwischen den Generationen aufmerksam machen, die in den letzten Jahren leider abhandengekommen ist. Tatsächlich besteht in vielen Teilen der Welt die Tendenz, sich in sich selbst zu verschließen und erworbene Rechte und Privilegien zu schützen; eine Tendenz, die Welt nur innerhalb eines begrenzten Horizonts zu begreifen, der die alten Menschen mit Gleichgültigkeit behandelt und vor allem keinen Raum mehr für das entstehende Leben bietet. Die allgemeine Überalterung eines Teils der Weltbevölkerung, insbesondere im Westen, macht dies auf traurige und sinnbildliche Weise sichtbar.

Einerseits dürfen wir nicht vergessen, dass die Jugendlichen auf das Wort und das Beispiel der Erwachsenen warten, andererseits aber müssen wir uns gleichzeitig bewusst sein, dass sie mit ihrem Enthusiasmus, ihrem Engagement und ihrem Durst nach Wahrheit viel zu bieten haben, denn dadurch erinnern sie uns beständig daran, dass die Hoffnung keine Utopie ist und Frieden immer möglich ist.

Wir haben dies an der Art und Weise gesehen, mit der sich viele junge Menschen dafür engagieren, das Bewusstsein für den Klimawandel bei den politisch Verantwortlichen zu erhöhen. Die Sorge um unser gemeinsames Haus muss allen ein Anliegen sein und darf nicht zum Gegenstand ideologischer Auseinandersetzung zwischen verschiedenen Wirklichkeitsauffassungen sein, und noch weniger zwischen den Generationen, denn »im Kontakt mit der Natur« – daran erinnerte Benedikt XVI. – »findet der Mensch seine rechte Dimension wieder; er entdeckt sich von neuem als kleines aber zugleich einzigartiges Geschöpf, das „gottfähig“ ist, weil es in seinem Inneren für den Unendlichen offen ist . Die Bewahrung des Lebensraumes, der uns vom Schöpfer geschenkt wurde, kann daher weder vernachlässigt noch als ein elitäres Problem heruntergespielt werden. Die Jugendlichen sagen uns, dass dies nicht so sein kann, denn es gibt eine dringende Herausforderung auf allen Ebenen, unser gemeinsames Haus zu schützen und »die gesamte Menschheitsfamilie in der Suche nach einer nachhaltigen und ganzheitlichen Entwicklung zu vereinen«[8]. Sie erinnern uns an die dringenden Notwendigkeit einer ökologischen Umkehr, die »ganzheitlich zu verstehen [ist], als eine Veränderung unserer Beziehungen zu unseren Schwestern und Brüdern, zu den anderen Lebewesen, zur Schöpfung in ihrer so reichen Vielfalt und zum Schöpfer, dem Urgrund allen Lebens«[9].

Leider scheint die Dringlichkeit dieser ökologischen Umkehr von der internationalen Politik nicht erfasst worden zu sein, denn ihre Antwort auf die Probleme, die durch globale Fragen wie den Klimawandel entstehen, ist noch sehr schwach und sehr besorgniserregend. Die 25. UN-Klimakonferenz (COP25), die im Dezember letzten Jahres in Madrid stattfand, ist ein ernstes Alarmzeichen hinsichtlich der Bereitschaft der internationalen Gemeinschaft, das Phänomen der globalen Erwärmung weise und wirksam anzugehen. Dies erfordert eine kollektive Antwort, die in der Lage ist, das Gemeinwohl über Einzelinteressen zu stellen.

Diese Überlegungen lenken unsere Aufmerksamkeit wieder auf Lateinamerika, insbesondere auf die Sonderversammlung der Bischofssynode für die Amazonas-Region, die im vergangenen Oktober im Vatikan stattfand. Die Synode war ein im Wesentlichen kirchliches Ereignis, bewegt von dem Wunsch, auf die Hoffnungen und Herausforderungen der Kirche im Amazonasgebiet zu hören und neue Wege zur Verkündigung des Evangeliums an das Volk Gottes, besonders an die indigenen Völker, zu eröffnen. Dennoch kam die Synodenversammlung nicht umhin, ausgehend von einer ganzheitlichen Ökologie auch andere Themen anzusprechen, die das Leben in dieser Region betreffen, die so groß und wichtig für die ganze Welt ist, denn »der Urwald Amazoniens ist das „biologische Herz“ der Erde, das mehr und mehr bedroht wird«[10].

Besorgniserregend ist neben der Situation im Amazonasgebiet auch die Zunahme politischer Krisen in einer wachsenden Zahl von Ländern des amerikanischen Kontinents mit Spannungen und ungewöhnlichen Formen der Gewalt, die soziale Konflikte verschärfen und schwerwiegende sozioökonomische und humanitäre Folgen nach sich ziehen. Die immer stärkeren Polarisierungen tragen nicht dazu bei, die realen und dringenden Probleme der Bürger, insbesondere der ärmsten und schwächsten, zu lösen. Ebenso wenig vermag das die Gewalt, die aus keinem Grund als Mittel zum Umgang mit politischen und sozialen Problemen eingesetzt werden darf. An dieser Stelle möchte ich besonders an Venezuela erinnern, auf dass die Bemühungen um Lösungen nicht nachlassen.

Auch wenn den Konflikten in Südamerika unterschiedliche Ursachen zugrunde liegen, haben sie generell doch die starke Ungleichheit, die Ungerechtigkeit und eine endemische Korruption, sowie verschiedene Formen der Armut, die die Würde der Menschen verletzen, gemeinsam. Die politisch Verantwortlichen müssen sich daher dringend um die Wiederherstellung einer Kultur des Dialogs zum Wohle der Allgemeinheit und um die Stärkung der demokratischen Institutionen wie auch um die Förderung der Achtung der Rechtsstaatlichkeit bemühen, um antidemokratische, populistische und extremistische Tendenzen zu verhindern.

Meine zweite Reise im Jahr 2019 führte mich in die Vereinigten Arabischen Emirate, was der erste Besuch eines Nachfolgers Petri auf der Arabischen Halbinsel war. In Abu Dhabi unterzeichnete ich mit dem Großimam von Al-Azhar Ahmad Al-Tayyib das Dokument über die Brüderlichkeit aller Menschen für ein friedliches Zusammenleben in der Welt. Es handelt sich dabei um einen wichtigen Text, der darauf abzielt, das gegenseitige Verständnis zwischen Christen und Muslimen und das Zusammenleben in zunehmend multiethnischen und multikulturellen Gesellschaften zu fördern. Indem dieses Dokument es scharf verurteilt »den Namen Gottes zu benutzen, um Mord, Exil, Terrorismus und Unterdrückung zu rechtfertigen«[11], erinnert es nämlich an die Bedeutung einer Auffassung von Bürgerrecht, die »auf der Gleichheit der Rechte und Pflichten [beruht], unter deren Schutz alle die gleiche Gerechtigkeit genießen«[12]. Dies erfordert eine Achtung der Religionsfreiheit und ein Bemühen, auf die diskriminierende Verwendung des Begriffs „Minderheiten“ zu verzichten, der den Keim des Gefühls der Isolation und Minderwertigkeit in sich trägt und den Boden für Feindseligkeit und Zwietracht bereitet, da er Bürger aufgrund ihrer Religionszugehörigkeit diskriminiert[13]. Zu diesem Zweck ist es besonders wichtig, die künftigen Generationen im interreligiösen Dialog zu schulen, der den besten Zugang zum Kennenlernen und Verstehen und zur gegenseitigen Unterstützung zwischen Angehörigen verschiedener Religionen darstellt.

Frieden und Hoffnung standen auch im Mittelpunkt meines Besuchs in Marokko, wo ich mit Seiner Majestät König Mohammed VI. einen gemeinsamen Appell zu Jerusalem unterzeichnete, »in Anerkennung der Einzigartigkeit und Sakralität Jerusalems / Al Qods Acharifs und im Anliegen seiner geistlichen Bedeutung und seiner besonderen Berufung als Stadt des Friedens«[14]. Und wenn von Jerusalem die Rede ist, einer Stadt, die den Gläubigen der drei monotheistischen Religionen am Herzen liegt und die dazu berufen ist, ein symbolischer Ort der Begegnung und des friedlichen Zusammenlebens zu sein, wo gegenseitiger Respekt und Dialog gepflegt werden[15], denke ich zwangsläufig an das ganze Heilige Land, um an die Dringlichkeit zu erinnern, dass die gesamte internationale Gemeinschaft mit Mut und Aufrichtigkeit und unter Achtung des Völkerrechts ihre Verpflichtung zur Unterstützung des israelisch-palästinensischen Friedensprozesses erneut bekräftigt.

Ein beständigeres und wirksameres Engagement der internationalen Gemeinschaft ist auch in anderen Teilen des Mittelmeerraums und des Nahen Ostens dringender denn je. Ich beziehe mich in erster Linie auf den Mantel des Schweigens, der den Krieg zu verdecken droht, der Syrien im Laufe des letzten Jahrzehnts verwüstet hat. Es ist von besonderer Dringlichkeit, angemessene und weitsichtige Lösungen zu finden, die es dem vom Krieg erschöpften geliebten syrischen Volk ermöglichen, zum Frieden zurückzufinden und mit dem Wiederaufbau des Landes zu beginnen. Der Heilige Stuhl begrüßt jede Initiative, die darauf abzielt, die Grundlagen für die Lösung des Konflikts zu schaffen, und spricht Jordanien und dem Libanon erneut seinen Dank dafür aus, dass dort – unter nicht geringen Opfern – tausende syrischer Flüchtlinge aufgenommen und versorgt wurden. Leider führen neben den Anstrengungen zur Aufnahme der Flüchtlinge auch andere Faktoren wirtschaftlicher und politischer Unsicherheit im Libanon und in anderen Staaten zu Spannungen in der Bevölkerung und gefährden die fragile Stabilität des Nahen Ostens zusätzlich.

Besorgniserregend sind vor allem die Signale, die infolge der wachsenden Spannung zwischen dem Iran und den Vereinigten Staaten aus der ganzen Region kommen und vor allem den langsamen Prozess des Wiederaufbaus des Irak gefährden, wenn daraus nicht sogar die Basis eines umfangreichen Konflikts entsteht, den wir alle verhindern möchten. Ich erneuere daher meinen Appell an alle Beteiligten, man möge eine weitere Eskalation vermeiden und unter voller Achtung der internationalen Rechtsordnung »die Flamme des Dialogs und der Selbstbeherrschung«[16] am Brennen halten.

Meine Gedanken richten sich auch auf den Jemen, der in einem Klima allgemeiner Gleichgültigkeit der internationalen Gemeinschaft eine der schwersten humanitären Krisen der jüngeren Geschichte durchlebt, und sie gehen nach Libyen, das sich seit vielen Jahren in einer konfliktträchtigen Situation befindet, die sich durch das Eindringen extremistischer Gruppen und einer weiteren Verschärfung der Gewalt in den letzten Tagen verstärkt hat. Ein solches Umfeld ist ein fruchtbarer Boden für die Geißel der Ausbeutung und den Menschenhandel, der von skrupellosen Menschen genährt wird, die die Armut und das Leiden derer ausnutzen, die vor Konflikten oder extremer Armut fliehen. Viele von ihnen enden als Beute echter organisierter Kriminalität, die sie unter unmenschlichen und erniedrigenden Bedingungen wie auch unter Folter, sexueller Gewalt und Erpressung gefangen halten.

Generell ist festzustellen, dass es weltweit mehrere Tausend Menschen mit berechtigtem Asylbegehren gibt, die nachweislich humanitärer Hilfe und des Schutzes bedürfen, die aber nicht ausreichend identifiziert werden. Viele riskieren ihr Leben auf gefährlichen Reisen zu Land und vor allem zu Wasser. Mit Schmerz sehen wir weiterhin, dass das Mittelmeer ein großer Friedhof bleibt[17]. Es wird daher immer dringlicher, dass alle Staaten Verantwortung für dauerhafte Lösungen übernehmen.

Der Heilige Stuhl blickt seinerseits mit großer Hoffnung auf die Bemühungen vieler Länder, die Last der Wiedereingliederung von Migranten mitzutragen und ihnen, insbesondere den aus humanitären Notlagen geflüchteten, einen sicheren Ort zum Leben, zur Ausbildung, zur Arbeit sowie zur Familienzusammenführung zu bieten.

Liebe Botschafterinnen und Botschafter,

auf meinen Reisen im vergangenen Jahr konnte ich auch drei Länder Osteuropas besuchen, zunächst Bulgarien und Nordmazedonien und dann Rumänien. Es handelt sich um drei unterschiedliche Länder, denen jedoch gemeinsam ist, dass sie im Laufe der Jahrhunderte Brücken zwischen Ost und West und Kreuzungspunkte von verschiedenen Kulturen, Ethnien und Zivilisationen waren. Bei diesen Besuchen konnte ich einmal mehr erleben, wie wichtig der Dialog und die Kultur der Begegnung sind, um friedliche Gesellschaften aufzubauen, in denen jeder seine ethnische und religiöse Zugehörigkeit frei zum Ausdruck bringen kann.

Stets im Zusammenhang mit Europa möchte ich darauf hinweisen, wie wichtig es ist, den Dialog und die Beachtung der internationalen Rechtsordnung zu unterstützen, um die festgefahrenen Konflikte auf dem Kontinent zu lösen, von denen manche schon Jahrzehnte fortdauern. Sie erfordern eine Lösung, angefangen bei der Lage auf dem Westbalkan und im Südkaukasus, darunter Georgien. An dieser Stelle möchte ich ferner die Unterstützung des Heiligen Stuhls für die Verhandlungen zur Wiedervereinigung Zyperns zum Ausdruck bringen. Sie würde die Zusammenarbeit in der Region verstärken und die Stabilität des ganzen Mittelmeerraumes begünstigen. Desgleichen ist es mir ein Anliegen, die Versuche zur Lösung des Konflikts in der Ostukraine und zur Beendigung des Leids der dortigen Bevölkerung zu würdigen.

Der Dialog – und nicht die Waffen – ist das wesentliche Mittel, um die Auseinandersetzungen zu lösen. Diesbezüglich möchte ich hier den Beitrag erwähnen, den zum Beispiel die Organisation für Sicherheit und Zusammenarbeit in Europa (OSZE) in der Ukraine geleistet hat. Eben in diesem Jahr wird der 45. Jahrestag der Schlussakte von Helsinki begangen, mit der die Konferenz über Sicherheit und Zusammenarbeit in Europa (KSZE) abgeschlossen wurde, die 1973 zur Förderung der Entspannung und Zusammenarbeit zwischen den Ländern West- und Osteuropas im damals noch durch den Eisernen Vorhang geteilten Kontinent eröffnet wurde. Es handelte sich um eine wichtige Etappe eines Prozesses, der auf den Trümmern des Zweiten Weltkriegs begonnen wurde und der im Konsens und Dialog ein wesentliches Mittel für die Lösung von Auseinandersetzungen erblickte.

Bereits 1949 wurde in Westeuropa mit der Gründung des Europarates und der späteren Annahme der Europäischen Menschenrechtskonvention der Grundstein für den europäischen Integrationsprozess gelegt. Die Erklärung des damaligen französischen Außenministers Robert Schuman vom 9. Mai 1950 stellte hierfür einen Grundpfeiler dar. Schuman sagte: »Der Friede der Welt kann nicht gewahrt werden ohne schöpferische Anstrengungen, die der Größe der Bedrohung entsprechen.« Die Gründerväter des modernen Europa waren sich bewusst, dass sich der Kontinent nur dann von den Wunden des Krieges und von den neuen fortdauernden Spaltungen erholen konnte, wenn Ideale und Ressourcen in einem schrittweisen Prozess gemeinsam geteilt wurden.

Der Heilige Stuhl hat das europäische Projekt von seinen ersten Jahren an mit Interesse verfolgt. Dieses Jahr sind es fünfzig Jahre, dass der Heilige Stuhl als Beobachter beim Europarat vertreten ist und auch diplomatische Beziehungen mit den damaligen Europäischen Gemeinschaften aufgenommen wurden. Es handelt sich um ein Interesse, das die Idee eines inklusiven Aufbaus unterstreichen will, der von einem partizipativen und solidarischen Geist beseelt ist und der aus Europa im Zeichen seiner zugrundeliegenden gemeinsamen Werte ein Beispiel an Aufnahme und sozialer Gerechtigkeit machen kann. Das europäische Projekt ist weiterhin eine wesentliche Garantie der Entwicklung für alle, die seit längerem daran teilnehmen, und stellt für jene Länder, die eine Teilnahme anstreben, nach turbulenten Konflikten und Verwundungen eine Gelegenheit zum Frieden dar.

Europa möge also seinen Sinn für Solidarität, der es über Jahrhunderte, auch in seinen ganz schwierigen Momenten, ausgezeichnet hat, nicht verlieren. Es möge nicht den Geist verlieren, der unter anderem in der römischen pietas und in der christlichen caritas wurzelt, welche die Seele der europäischen Völker gut beschreiben. Der Brand der Kathedrale von Notre Dame in Paris hat gezeigt, wie brüchig und leicht zerstörbar auch das ist, was solide scheint. Die Schäden an einem Gebäude, das nicht nur den Katholiken teuer ist, sondern für ganz Frankreich und die gesamte Menschheit von Bedeutung ist, haben die Frage nach den geschichtlichen und kulturellen Werten Europas und seiner Wurzeln neu geweckt. In einem Kontext, wo Richtwerte fehlen, ist es einfacher, Elemente der Spaltung als des Zusammenhalts zu finden.

Der dreißigste Jahrestag des Falls der Berliner Mauer hat uns wieder eines der erschütterndsten Symbole der jüngeren Geschichte des Kontinents vor Augen geführt und zugleich daran erinnert, wie leicht es ist, Barrieren zu errichten. Die Berliner Mauer bleibt ein Sinnbild für eine Kultur der Teilung, die Menschen voneinander entfernt und dem Extremismus und der Gewalt die Türen öffnet. Wir sehen dies immer mehr an der Sprache des Hasses, die im Internet und in den sozialen Kommunikationsmitteln weite Verbreitung findet. Den Barrieren das Hasses ziehen wir die Brücken der Versöhnung und der Solidarität vor, gegenüber dem, was Entfernung schafft, bevorzugen wir das, was Annäherung bringt. Denn wir sind uns bewusst, dass, wie vor hundert Jahren mein Vorgänger Benedikt XV. schrieb, »sich kein Friede festigen kann […] wenn nicht gleichzeitig Hass und Groll durch eine auf gegenseitiger Nächstenliebe gegründete Versöhnung besänftigt werden«[18].

Liebe Botschafterinnen und Botschafter,

Zeichen des Friedens und der Versöhnung konnte ich während meiner Reise nach Afrika erblicken, wo die Freude derer ersichtlich scheint, die sich gemeinsam als Volk fühlen und die täglichen Strapazen in einem Geist des Miteinanders anpacken. Ich habe die konkrete Hoffnung in zahlreichen ermutigenden Handlungen erlebt, angefangen bei den weiteren Fortschritten, die in Mozambik mit der Unterzeichnung des Abkommens vom vergangenen 1. August zur endgültigen Einstellung der Feindseligkeiten erzielt wurden.

In Madagaskar konnte ich feststellen, dass es möglich ist, Sicherheit zu schaffen, wo Unsicherheit herrschte, Hoffnung zu sehen, wo man nur Schicksalsergebenheit vorfand, Leben zu erkennen, wo viele Tod und Zerstörung ankündigten.[19] Hierzu sind die Familie und der Gemeinschaftssinn notwendig, der es erlaubt, das Grundvertrauen herzustellen, das die Basis jeder menschlichen Beziehung bildet. Auf Mauritius habe ich bemerkt, »wie die verschiedenen Religionsgemeinschaften […] entsprechend ihren jeweiligen Identitäten zusammenarbeiten, um zum sozialen Frieden beizutragen und den transzendenten Wert des Lebens gegen jede Art von Relativismus in Erinnerung zu halten«[20]. Ich vertraue darauf, dass die Begeisterung, die ich während meiner Reise mit Händen greifen konnte, in der Gastfreundschaft sowie in Projekten zur Förderung der sozialen Gerechtigkeit weiter konkret Gestalt annimmt und Mechanismen der der Abschottung vermeidet.

Wenn wir den Blick auf andere Teile des Kontinents lenken, schmerzt es hingegen festzustellen, wie Vorfälle der Gewalt gegen Unschuldige – darunter viele Christen, die wegen ihrer Treue zum Evangelium verfolgt und getötet werden – weitergehen, insbesondere in Burkina Faso, Mali, Niger und Nigeria. Ich fordere die internationale Gemeinschaft auf, die Anstrengungen dieser Länder im Kampf zur Überwindung der Plage des Terrorismus, der immer mehr in ganzen Teilen Afrikas wie auch in anderen Regionen der Welt Blut fließen lässt, zu unterstützen. Im Licht dieser Ereignisse ist es notwendig, dass Strategien umgesetzt werden, die nicht nur Maßnahmen im Sicherheitsbereich beinhalten, sondern auch im Hinblick auf die Armutsreduzierung, auf die Verbesserung des Gesundheitswesens, auf die humanitäre Entwicklung und Fürsorge, auf die Förderung der good governance und der Bürgerrechte. Dies sind die Pfeiler einer echten sozialen Entwicklung.

Gleichfalls müssen die Initiativen gestärkt werden, welche die Brüderlichkeit zwischen allen Formen kultureller, ethnischer und religiöser Art auf dem Kontinent fördern, vor allem am Horn von Afrika, in Kamerun sowie in der Demokratischen Republik Kongo, wo besonders in den östlichen Regionen des Landes die Gewalt anhält. Die Konfliktsituationen und die humanitären Notlagen, verschärft durch klimatisch bedingte Verwüstungen, erhöhen die Zahl der Vertriebenen und wirken sich auf die Menschen aus, die bereits in schwerer Armut leben. Viele der von diesen Situationen betroffenen Länder haben keine angemessenen Strukturen, die es ihnen erlauben würden, den Bedürfnissen der Vertriebenen entgegenzukommen.

Diesbezüglich möchte ich hervorheben, dass es leider noch keine konsequente internationale Antwort gibt, um dem Phänomen der Binnenvertreibung entgegenzutreten. Zum Großteil harrt sie nämlich einer gemeinsamen internationalen Definition, da sie innerhalb nationaler Grenzen erfolgt. Das Ergebnis ist, dass die Binnenvertriebenen nicht immer den Schutz erhalten, den sie verdienen, und von der Politik des Staates, in dem sie sich befinden, wie auch von seiner Fähigkeit, darauf zu reagieren, abhängen.

Vor kurzem wurde die Arbeit des United Nations High-Level Panel on Internal Displacement aufgenommen, die, wie ich hoffe, die globale Aufmerksamkeit und Unterstützung für die Vertriebenen fördern und zugleich konkrete Empfehlungen entwickeln kann.

Unter diesem Blickwinkel schaue ich auch auf den Sudan in der Hoffnung, dass seine Bürger in Frieden und Wohlergehen leben können und am demokratischen Aufbau und wirtschaftlichen Wachstum mitwirken können; ferner auf die Zentralafrikanische Republik, wo letzten Februar ein globales Abkommen zur Beendigung des seit über fünf Jahren andauernden Bürgerkrieges unterzeichnet wurde; wie auch auf den Südsudan, den ich, so hoffe ich, im Laufe dieses Jahres besuchen kann. Ihm habe ich im vergangenen April einen Einkehrtag gewidmet, an dem die führenden Personen des Landes teilnahmen und an dem der Erzbischof von Canterbury Justin Welby und der frühere Moderator der Presbyterianischen Kirche von Schottland John Chalmers bedeutend mitgewirkt haben. Ich vertraue darauf, dass mit der Hilfe der internationalen Gemeinschaft die politischen Verantwortungsträger den Dialog fortführen werden, um die erzielten Vereinbarungen umzusetzen.

Die letzte Reise des gerade zu Ende gegangenen Jahres führte nach Ostasien. In Thailand konnte ich das harmonische Zusammenleben feststellen, zu dem die zahlreichen ethnischen Gruppen des Landes mit ihrer philosophischen, kulturellen und religiösen Vielfalt beitragen. Es handelt sich um eine wichtige Mahnung im gegenwärtigen Kontext der Globalisierung mit ihrer Tendenz, die Unterschiede zu verflachen und sie in erster Linie in wirtschaftlich-finanzieller Hinsicht zu betrachten, was die Gefahr mit sich bringt, die wesentlichen Merkmale zu beseitigen, welche die verschiedenen Völker auszeichnen.

In Japan schließlich konnte ich gleichsam selbst erfahren, welchen Schmerz und Schrecken wir Menschen einander zuzufügen fähig sind.[21] Als ich die Zeugnisse einiger Hibakusha, der Überlebenden der Atombombenangriffe von Hiroshima und Nagasaki, hörte, schien es mir offensichtlich, dass ein echter Frieden nicht auf der Bedrohung einer möglichen totalen Vernichtung der Menschheit durch Nuklearwaffen aufgebaut werden kann. Die Hibakusha erhalten »das kollektive Bewusstsein lebendig […] Sie bezeugen nämlich den nachfolgenden Generationen das schreckliche Geschehen vom August 1945 und die unsäglichen Leiden, die bis heute daraus erwachsen sind. Auf diese Weise ruft ihr Zeugnis das Gedächtnis an die Opfer wach und bewahrt es, damit das menschliche Gewissen immer stärker werde gegenüber jedem Willen zur Vorherrschaft und zur Zerstörung«[22], besonders der Zerstörung, die von Sprengkörpern mit so hohem Vernichtungspotenzial verursacht wird wie Nuklearwaffen. Diese begünstigen nicht nur ein Klima der Angst, der Misstrauens und der Feindseligkeit, sondern vernichten auch die Hoffnung. Ihr Einsatz ist unmoralisch, »ein Verbrechen […] nicht nur gegen den Menschen und seine Würde, sondern auch gegen jede Zukunftsmöglichkeit in unserem gemeinsamen Haus«[23].

»Eine Welt ohne Atomwaffen [ist] möglich und vonnöten«[24], und es ist an der Zeit, dass alle politischen Verantwortungsträger sich dessen voll bewusst werden. Denn nicht der Besitz leistungsfähiger Massenvernichtungsmittel zur Abschreckung macht die Welt sicherer, sondern die geduldige Arbeit aller Menschen guten Willens, die sich konkret, jeder in seinem Bereich, dafür einsetzen, eine Welt des Friedens, der Solidarität und der gegenseitigen Achtung aufzubauen.

Das Jahr 2020 bietet eine bedeutsame Möglichkeit in dieser Richtung, da vom 27. April bis zum 22. Mai in New York die 10. Überprüfungskonferenz des Vertrags über die Nichtverbreitung von Kernwaffen (Atomwaffensperrvertrag) stattfinden wird. Ich hoffe sehr, dass es der internationalen Gemeinschaft bei dieser Gelegenheit gelingen möge, einen endgültigen proaktiven Konsens über die Ausführungsmodalitäten dieses internationalen Rechtsmittels zu finden, das sich in einem Augenblick wie dem gegenwärtigen als noch wichtiger erweist.

Am Ende dieses Überblicks der Orte, die ich im Laufe des letzten Jahres aufgesucht habe, gehen meine Gedanken besonders zu einem Land, das ich nicht besucht habe, nämlich Australien. In den vergangenen Monaten wurde es von anhaltenden Bränden hart getroffen, deren Auswirkungen auch andere Regionen Ozeaniens erreicht haben. Dem australischen Volk, insbesondere den Opfern und allen Menschen in den von den Bränden betroffenen Gegenden, möchte ich meine Nähe und mein Gebet versichern.

Exzellenzen, Damen und Herren,

dieses Jahr gedenkt die internationale Gemeinschaft des 75. Jahrestages der Gründung der Vereinten Nationen. Nach den Tragödien der zwei Weltkriege haben sechsundvierzig Staaten mit der Unterzeichnung der Charta der Vereinten Nationen am 26. Juni 1945 eine neue Form der multilateralen Zusammenarbeit ins Leben gerufen. Die im Artikel 1 der Charta umrissenen vier Ziele der Organisation sind auch heute noch gültig, und wir können sagen, dass der Einsatz der Vereinten Nationen in diesen 75 Jahren großenteils ein Erfolg war, besonders bei der Vermeidung eines weiteren Weltkrieges. Die Gründungsprinzipien der Organisation – der Wunsch nach Frieden, die Suche nach Gerechtigkeit, die Achtung der Menschenwürde, die humanitäre Zusammenarbeit und Unterstützung – sind Ausdruck des rechten Strebens des menschlichen Geistes und stellen die Ideale dar, die den internationalen Beziehungen zugrunde liegen sollten.

Anlässlich dieses Jahrestages wollen wir die Absicht der ganzen Menschheitsfamilie, für das Gemeinwohl zu arbeiten, bekräftigen. Denn das Gemeinwohl ist der Orientierungsmaßstab für das sittliche Handeln und die Perspektive, die jedes Land zur Zusammenarbeit verpflichtet, um die Existenz und Sicherheit in Frieden aller anderen Staaten zu gewährleisten. Dies geschieht in einem Geist der Gleichheit der Würde und aktiver Solidarität sowie im Rahmen einer Rechtsordnung auf der Grundlage der Gerechtigkeit und der Suche nach gerechten Kompromissen.[25]

Ein solches Handeln wird umso wirksamer, je mehr man jenen transversalen Ansatz zu überwinden sucht, der im Sprachgebrauch und den Dokumenten internationaler Institutionen verwendet wird. Dieser ist nämlich bestrebt, die Grundrechte an kontingente Situationen zu binden, und vergisst dabei, dass diese zutiefst in der Natur des Menschen selbst gründen. Wenn der Terminologie der internationalen Organisationen eine klare objektive Verankerung fehlt, läuft man Gefahr, anstatt einer Annäherung eine Entfremdung der Mitglieder der internationalen Gemeinschaft zu begünstigen. Das führt zu einer Krise des multilateralen Systems, wie wir heute leider augenscheinlich feststellen können. In diesem Zusammenhang scheint es dringlich, den Weg zu einer umfassenden Reform des multilateralen Systems wiederaufzunehmen, beginnend beim System der Vereinten Nationen. Dadurch möge es unter gebührender Beachtung des gegenwärtigen geopolitischen Kontexts effektiver werden.

Liebe Botschafterinnen und Botschafter,

zum Abschluss dieser Überlegungen möchte ich noch zwei Jubiläen erwähnen, die wir dieses Jahr begehen. Auf den ersten Blick haben sie nichts mit unserem heutigen Treffen zu tun. Das erste ist der 500. Todestag von Raffaello Sanzio, dem großen Künstler aus Urbino, der am 6. April 1520 in Rom verstorben ist. Raffael haben wir ein beachtliches Erbe von unermesslicher Schönheit zu verdanken. Wie das Genie des Künstlers unterschiedliche Rohmaterialien, Farben und Töne harmonisch zu verbinden vermag und daraus ein einziges Gesamtkunstwerk entstehen lässt, so ist die Diplomatie aufgerufen, die Besonderheiten der verschiedenen Völker und Staaten untereinander in Einklang zu bringen, um eine gerechte und friedvolle Welt aufzubauen, die das schöne Bild darstellt, das wir bewundern wollen.

Raffael war ein bedeutender Vertreter einer Epoche, der Renaissance, welche die gesamte Menschheit bereichert hat. Es war eine Zeit, die nicht frei von Schwierigkeiten und doch von Zuversicht und Hoffnung beseelt war. Über diesen berühmten Künstler möchte ich dem italienischen Volk meine herzlichsten Glückwünsche zukommen lassen. Möge es diesen Geist der Offenheit auf die Zukunft hin wieder neu entdecken, der die Renaissance ausgezeichnet hat und der diese Halbinsel so schön und reich an Kunst, Geschichte und Kultur gemacht hat.

Eines der Lieblingsobjekte der Malerei Raffaels war Maria. Ihr hat er zahlreiche Gemälde gewidmet, die heute in verschiedenen Museen auf der Welt bewundert werden können. Die katholische Kirche feiert dieses Jahr den 70. Jahrestag der Verkündigung des Dogmas der Aufnahme der Jungfrau Maria in den Himmel. Mit dem Blick auf Maria möchte ich 25 Jahre nach der 4. Weltfrauenkonferenz 1995 in Peking allen Frauen einen besonderen Gedanken widmen. Auf der ganzen Welt möge die wertvolle Rolle der Frau für die Gesellschaft immer mehr anerkannt werden. Jede Form von Ungerechtigkeit, Benachteiligung und Gewalt ihnen gegenüber möge enden. »Jede Gewalt an der Frau ist eine Schändung Gottes.«[26] Gewalt gegen eine Frau zu verüben oder sie auszunützen ist nicht einfach eine Straftat, sondern ein Verbrechen, das die Harmonie, die Poesie und die Schönheit zerstört, die Gott der Welt schenken wollte[27].

Die Aufnahme Mariens in den Himmel lädt uns auch dazu ein, weiter auszuschauen, auf das Ende unseres irdischen Weges, auf den Tag, an dem die Gerechtigkeit und der Frieden voll wiederhergestellt werden. Wir fühlen uns so – durch die Diplomatie, unsere unvollkommenes, aber immer wertvolles menschliche Bemühen – ermutigt, mit Eifer zu arbeiten, damit die Früchte dieser Sehnsucht nach Frieden schon vorweg reifen, weil wir wissen, dass das Ziel erreicht werden kann. Mit dieser Verpflichtung drücke ich Ihnen allen, liebe hier anwesende Botschafterinnen, Botschafter und werte Gäste, wie auch Ihren Ländern erneut meine herzlichen Wünsche für ein neues Jahr reich an Hoffnung und Segen aus.

Danke!

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[1] Vgl. Botschaft zum 53. Weltfriedenstag, 8. Dezember 2019, 1.
[2]
Ebd.
[3]
Vgl. Begegnung mit den Vertretern des öffentlichen Lebens und der Zivilgesellschaft sowie mit dem Diplomatischen Korps, Panama, 24. Januar 2019.
[4]
Vgl. Motu proprio Vos estis lux mundi, 7. Mai 2019.
[5]
Botschaft zum Start des Bildungspakts, 12. September 2019.
[6]
Vgl. ebd.
[7]
Angelus, Les Combes, 17. Juli 2005.
[8]
Vgl. Enzyklika Laudato si’, 24. Mai 2015, 13.
[9]
Botschaft zum 53. Weltfriedenstag, 8. Dezember 2019, 4.
[10]
Schlussdokument der Sonderversammlung der Bischofssynode für Amazonien: Amazonien. Neue Wege für die Kirche und für eine ganzheitliche Ökologie, 2.
[11]
Dokument über die Brüderlichkeit aller Menschen für ein friedliches Zusammenleben in der Welt, Abu Dhabi, 4. Februar 2019.
[12]
Ebd.
[13]
Vgl. ebd.
[14]
Appell Seiner Majestät König Mohameds VI. und Seiner Heiligkeit Papst Franziskus zu Jerusalem / Al Qods als Heiliger Stadt und Ort der Begegnung, Rabat, 30. März 2019.
[15]
Vgl. ebd.
[16]
Angelus, 5. Januar 2020.
[17]
Vgl. Ansprache an den Europarat, Straßburg, 25. November 2014.
[18]
Enzyklika Pacem, Dei munus pulcherrimum, 23. Mai 1920.
[19]
Vgl. Grußwort beim Besuch der Stadt der Freundschaft – Akamasoa, Antananarivo, 8. September 2019.
[20]
Ansprache an die Vertreter der Regierung, der Zivilgesellschaft und an das Diplomatische Korps, Port Louis, 9. September 2019.
[21]
Vgl. Ansprache über Atomwaffen, Nagasaki, 24. November 2019.
[22]
Botschaft zum 53. Weltfriedenstag, 8. Dezember 2019, 2.
[23]
Ansprache beim Friedenstreffen, Hiroshima, 24. November 2019.
[24]
Ansprache über Atomwaffen, Nagasaki, 24. November 2019.
[25]
Vgl. Johannes XXIII., Enzyklika Pacem in terris, 11. April 1963, 54.
[26]
Homilie am Hochfest der Gottesmutter Maria, 1. Januar 2020.
[27]
Vgl. Die Frau ist die Harmonie der Welt. Tagesmeditation in der Kapelle des Gästehauses Domus Sanctae Marthae, 9. Februar 2017.

[00035-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

Excelencias, señoras y señores:

Un nuevo año se abre delante de nosotros y, como el llanto de un niño recién nacido, nos invita a la alegría y a asumir una actitud de esperanza. Quisiera que esta palabra —esperanza—, que para los cristianos es una virtud fundamental, anime la mirada con la que nos adentramos en el tiempo que nos aguarda.

Ciertamente, esperar exige realismo. Requiere ser conscientes de las numerosas cuestiones que afligen nuestra época y de los desafíos que se vislumbran en el horizonte. Exige que se llame a los problemas por su nombre y que se tenga el valor de afrontarlos. Demanda no olvidar que la comunidad humana lleva los signos y las heridas de las guerras que se han producido a lo largo del tiempo, con una capacidad destructiva cada vez mayor, y que no dejan de afectar especialmente a los más pobres y a los más débiles[1]. Desgraciadamente, el año nuevo no parece estar marcado por signos alentadores, sino por una intensificación de las tensiones y la violencia.

Es precisamente a la luz de estas circunstancias que no podemos dejar de esperar. Y esperar exige valentía. Pide tener la conciencia de que el mal, el sufrimiento y la muerte no prevalecerán y que incluso las cuestiones más complejas pueden y deben ser afrontadas y resueltas. La esperanza «es la virtud que nos pone en camino, nos da alas para avanzar, incluso cuando los obstáculos parecen insuperables»[2].

Con este ánimo, os acojo hoy, estimados Embajadores, para desearos lo mejor para el año nuevo. Agradezco de manera especial al Decano del Cuerpo Diplomático, el Excmo. señor George Poulides, Embajador de Chipre, por las cordiales palabras que me ha dirigido en nombre de todos vosotros y os agradezco vuestra presencia, tan numerosa y significativa, como también el compromiso que cada día dedicáis para consolidar las relaciones que unen a la Santa Sede con vuestros países y las Organizaciones internacionales en beneficio de la convivencia pacífica entre los pueblos.

La paz y el desarrollo humano integral son de hecho el objetivo principal de la Santa Sede en el ámbito de su tarea diplomática. A ella se orientan los esfuerzos de la Secretaría de Estado y de los Dicasterios de la Curia Romana, como además los de los Representantes Pontificios, a los que agradezco por la dedicación con la que cumplen la doble misión que les ha sido encomendada: representar al Papa ante las Iglesias locales como también ante vuestros Gobiernos.

En esa perspectiva se sitúan también los Acuerdos de carácter general, firmados o ratificados en el curso del año que acaba de concluir, con la República del Congo, la querida República Centroafricana, Burkina Faso y Angola, como además el Acuerdo entre la Santa Sede y la República Italiana para la aplicación de la Convención de Lisboa sobre el reconocimiento de los títulos de estudio concernientes a la enseñanza superior en la región europea.

También los Viajes Apostólicos que, además de ser un camino privilegiado por el que el Sucesor del apóstol Pedro confirma a los hermanos en la fe, son una ocasión para favorecer el diálogo en el ámbito político y religioso. En el 2019 tuve la oportunidad de visitar diferentes realidades significativas. Quisiera recorrer con vosotros las etapas que realicé, aprovechando la ocasión para dar una mirada más amplia sobre algunas cuestiones problemáticas de nuestro tiempo.

Al inicio del año pasado, con motivo de la XXXIV Jornada Mundial de la Juventud, encontré en Panamá a jóvenes provenientes de los cinco continentes, llenos de sueños y esperanzas, reunidos allí para rezar y reavivar el deseo y el compromiso de crear un mundo más humano[3]. Encontrar a los jóvenes es siempre una alegría y una gran motivación. Ellos son el futuro y la esperanza de nuestras sociedades, y también el presente.

Sin embargo, como es tristemente conocido, no pocos adultos, entre los que se cuentan varios miembros del clero, fueron responsables de delitos gravísimos contra la dignidad de los jóvenes, niños y adolescentes, violando su inocencia y su intimidad. Se trata de crímenes que ofenden a Dios, causan daños físicos, psicológicos y espirituales a las víctimas y lesionan la vida de comunidades enteras[4]. Después del encuentro con los episcopados de todo el mundo, que convoqué en el Vaticano el pasado mes de febrero, la Santa Sede renueva su compromiso para que se investiguen los abusos cometidos y se asegure la protección de los menores, a través de un amplio espectro de normas que consientan afrontar dichos casos en el ámbito del derecho canónico y a través de la colaboración con las autoridades civiles, a nivel local e internacional.

Ante heridas tan graves, resulta todavía más urgente que los adultos no depongan la tarea educativa que les compete, más aún, que se hagan cargo de dicho compromiso con mayor dedicación, para conducir a los jóvenes a la madurez espiritual, humana y social.

Por esta razón, deseo promover un evento mundial el próximo 14 de mayo, que tendrá como tema: Reconstruir el pacto educativo global. Se trata de un encuentro dirigido a «reavivar el compromiso por y con las jóvenes generaciones, renovando la pasión por una educación más abierta e incluyente, capaz de la escucha paciente, del diálogo constructivo y de la mutua comprensión. Hoy más que nunca, es necesario unir los esfuerzos por una alianza educativa amplia para formar personas maduras, capaces de superar fragmentaciones y contraposiciones y reconstruir el tejido de las relaciones por una humanidad más fraterna»[5].

Todo cambio, como el de época que estamos viviendo, pide un camino educativo, la constitución de una aldea de la educación[6] que cree una red de relaciones humanas y abiertas. Dicha aldea debe poner a la persona en el centro, favorecer la creatividad y la responsabilidad para unos proyectos de larga duración y formar personas disponibles para ponerse al servicio de la comunidad.

Por tanto, es necesario un concepto de educación que abrace la amplia gama de experiencias de vida y de procesos de aprendizaje y que consienta a los jóvenes desarrollar su personalidad de manera individual y colectiva. La educación no termina en las aulas de las escuelas o de las universidades, sino que se afirma principalmente respetando y reforzando el derecho primario de la familia a educar, y el derecho de las Iglesias y de los entes sociales a sostener y colaborar con las familias en la educación de los hijos.

Educar exige entrar en un diálogo sincero y leal con los jóvenes. Ante todo, ellos son quienes nos interpelan sobre la urgencia de esa solidaridad intergeneracional, que desgraciadamente ha desaparecido en los últimos años. En efecto, hay una tendencia en muchas partes del mundo a encerrarse en sí mismos, a proteger los derechos y los privilegios adquiridos, a concebir el mundo dentro de un horizonte limitado que trata con indiferencia a los ancianos y, sobre todo, que no ofrece más espacio a la vida naciente. El envejecimiento general de una parte de la población mundial, especialmente en Occidente, es la triste y emblemática representación de todo esto.

Si bien por un lado no debemos olvidar que los jóvenes esperan la palabra y el ejemplo de los adultos, al mismo tiempo hemos de tener presente que ellos tienen mucho que ofrecer con su entusiasmo, con su compromiso y con su sed de verdad, a través de la que nos recuerdan constantemente que la esperanza no es una utopía y la paz es un bien siempre posible.

Lo hemos visto en el modo con el que muchos jóvenes se están comprometiendo para sensibilizar a los líderes políticos sobre la cuestión del cambio climático. El cuidado de nuestra casa común debe ser una preocupación de todos y no el objeto de una contraposición ideológica entre las diferentes visiones de la realidad, ni mucho menos entre las generaciones, porque «en contacto con la naturaleza —como nos recordaba Benedicto XVI—, la persona recobra su justa dimensión, se redescubre criatura, pequeña pero al mismo tiempo única, “capaz de Dios” porque interiormente está abierta al Infinito»[7]. Por tanto, la protección del lugar que el Creador nos dio para vivir no puede descuidarse, ni reducirse a una problemática elitista. Los jóvenes nos dicen que no puede ser así, porque existe un desafío urgente, a todos los niveles, de proteger nuestra casa común y «unir a toda la familia humana en la búsqueda de un desarrollo sostenible e integral»[8]. Ellos nos reclaman la urgencia de una conversión ecológica, que «debe entenderse de manera integral, como una transformación de las relaciones que tenemos con nuestros hermanos y hermanas, con los otros seres vivos, con la creación en su variedad tan rica, con el Creador que es el origen de toda vida»[9].

Lamentablemente, la urgencia de esta conversión ecológica parece no ser acogida por la política internacional, cuya respuesta a las problemáticas planteadas por cuestiones globales, como la del cambio climático, es todavía muy débil y fuente de gran preocupación. La XXV Sesión de la Conferencia de los Estados Parte de la Convención Marco de las Naciones Unidas sobre el Cambio Climático (COP25), celebrada en Madrid el pasado mes de diciembre, representa una seria llamada de atención sobre la voluntad de la Comunidad internacional para afrontar con sabiduría y eficacia el fenómeno del calentamiento global, que requiere una respuesta colectiva, capaz de hacer prevalecer el bien común sobre los intereses particulares.

Estas consideraciones dirigen nuestra atención hacia América Latina, de modo particular a la Asamblea Especial del Sínodo de los Obispos para la región amazónica, realizada en el Vaticano el pasado mes de octubre. El Sínodo fue un evento esencialmente eclesial, promovido por la voluntad de ponerse a la escucha de las esperanzas y de los desafíos de la Iglesia en la Amazonia y de abrir nuevos caminos al anuncio del Evangelio al Pueblo de Dios, especialmente a las poblaciones indígenas. Por tanto, la Asamblea sinodal no podía eximirse de tocar, desde la ecología integral, también otras temáticas, que tienen que ver con la vida misma de esa región, tan grande e importante para todo el mundo, porque «la selva amazónica es un “corazón biológico” para la tierra cada vez más amenazada»[10].

Además de la situación en la región amazónica, suscita preocupación la multiplicación de crisis políticas que se van extendiendo en numerosos países del continente americano, con tensiones e insólitas formas de violencia que empeoran los conflictos sociales y generan graves consecuencias socioeconómicas y humanitarias. Las polarizaciones, cada vez más fuertes, no ayudan a resolver los auténticos y urgentes problemas de los ciudadanos, sobre todo de los más pobres y vulnerables, y mucho menos lo logra la violencia, que por ningún motivo puede ser adoptada como instrumento para afrontar las cuestiones políticas y sociales. En este contexto, quiero recordar especialmente a Venezuela, para que continúe presente el compromiso de la búsqueda de soluciones.

En general, los conflictos de la región americana, aun cuando tienen raíces diferentes, están acomunados por profundas desigualdades, por injusticias y por la corrupción endémica, así como por las diversas formas de pobreza que ofenden la dignidad de las personas. Por tanto, es necesario que los líderes políticos se esfuercen por restablecer con urgencia una cultura del diálogo para el bien común y para reforzar las instituciones democráticas y promover el respeto del estado de derecho, con el fin de prevenir las desviaciones antidemocráticas, populistas y extremistas.

En mi segundo viaje de 2019, fui a los Emiratos Árabes Unidos, primera visita de un Sucesor de Pedro a la Península Arábiga. En Abu Dabi firmé, con el gran Imán de Al-Azhar Ahmad al-Tayyeb, el Documento sobre la fraternidad humana por la paz mundial y la convivencia común. Se trata de un texto importante, dirigido a favorecer la mutua comprensión entre cristianos y musulmanes, y la convivencia en sociedades cada vez más multiétnicas y multiculturales, ya que en la firme condena del uso del «nombre de Dios para justificar actos de homicidio, exilio, terrorismo y opresión»[11], recuerda la importancia del concepto de ciudadanía, que «se basa en la igualdad de derechos y deberes bajo cuya protección todos disfrutan de la justicia»[12]. Esto exige el respeto de la libertad religiosa y que haya un compromiso para renunciar al uso discriminatorio de la palabra minorías, que trae consigo las semillas del sentirse aislados y de la inferioridad, y prepara el terreno para la hostilidad y la discordia, excluyendo a los ciudadanos en base a su pertenencia religiosa[13]. Con este fin, es particularmente importante formar a las generaciones futuras en el diálogo interreligioso, como vía principal para el conocimiento, la comprensión y el respaldo recíproco entre los miembros de diversas religiones.

Paz y esperanza estuvieron también en el centro de mi visita a Marruecos, donde firmé con Su Majestad el Rey Mohamed VI un llamamiento conjunto sobre Jerusalén, «reconociendo la singularidad y la sacralidad de Jerusalén / Al Qods Acharif, y teniendo en cuenta su significado espiritual y su vocación peculiar como Ciudad de Paz»[14]. Y desde Jerusalén, ciudad amada por los fieles de las tres religiones monoteístas, que está llamada a ser un lugar símbolo de encuentro y de coexistencia pacífica, en el que se cultivan el respeto recíproco y el diálogo[15], mi pensamiento no puede dejar de ir a toda la Tierra Santa, para recordar la urgencia de que la Comunidad internacional entera, con valentía y sinceridad, y en el respeto del derecho internacional, confirme de nuevo su compromiso de sostener el proceso de paz israelí-palestino.

Un compromiso más asiduo y eficaz por parte de la Comunidad internacional es ahora más urgente que nunca también en otras partes del área mediterránea y de Oriente Medio. Me refiero en primer lugar al manto de silencio que intenta cubrir la guerra que ha destruido Siria durante este decenio. Es particularmente urgente encontrar soluciones adecuadas y con amplitud de miras que permitan al querido pueblo sirio, exhausto por la guerra, reencontrar la paz y comenzar la reconstrucción del país. La Santa Sede acepta favorablemente cualquier iniciativa destinada a poner las bases para la resolución del conflicto y expresa una vez más su gratitud a Jordania y al Líbano por haber acogido y hacerse cargo, con no pocos sacrificios, de miles de refugiados sirios. Por desgracia, además de las fatigas provocadas por la acogida, otros factores de incertidumbre económica y política, tanto en Líbano como en otros Estados, están provocando tensiones entre la población, poniendo ulteriormente en riesgo la frágil estabilidad de Oriente Medio.

De modo particular, son preocupantes las señales que llegan de toda la región, después del aumento de la tensión entre Irán y los Estados Unidos y que amenazan poner en riesgo ante todo el lento proceso de reconstrucción de Irak, como también crear las bases de un conflicto a mayor escala que todos desearíamos poder evitar. Por lo tanto, renuevo mi llamamiento para que todas las partes interesadas eviten el aumento de la confrontación y mantengan «encendida la llama del diálogo y del autocontrol»[16], en el pleno respeto de la legalidad internacional.

Mi pensamiento va también al Yemen, que vive una de las más graves crisis humanitarias de la historia reciente, en un clima de indiferencia general por parte de la Comunidad internacional, y a Libia, que desde hace muchos años experimenta una situación de conflicto, agravada por las incursiones de grupos extremistas y una nueva escalada de violencia en los últimos días. Dicho contexto es terreno fértil para el flagelo de la explotación y del tráfico de seres humanos, que es alimentado por personas carentes de escrúpulos, que explotan la pobreza y el sufrimiento de los que huyen de situaciones de conflicto o de la pobreza extrema. Entre estos, muchos terminan presa de auténticas mafias que los retienen en condiciones deshumanas y degradantes, y los hacen objeto de torturas, violencias sexuales, extorsiones.

En general, es necesario recordar que en el mundo hay varios miles de personas, con legítimas peticiones de asilo y necesidades humanitarias y de protección probada, que no son identificadas adecuadamente. Muchas arriesgan su vida en viajes peligrosos por tierra y sobre todo por mar. Se continúa constatando con dolor que el mar Mediterráneo sigue siendo un gran cementerio[17]. Por tanto, es cada vez más urgente que todos los Estados se hagan cargo de la responsabilidad de encontrar soluciones duraderas.

Por su parte, la Santa Sede mira con gran esperanza los esfuerzos realizados por numerosos países para compartir el peso de la reubicación y procurar a los desplazados, en particular a causa de las emergencias humanitarias, un lugar seguro donde vivir, una educación, así como la posibilidad de trabajar y de reunirse con sus familias.

Queridos Embajadores: En los viajes del pasado año tuve la oportunidad de visitar también tres países de Europa del este, en primer lugar, Bulgaria y Macedonia del Norte y, en un segundo momento, Rumanía. Se trata de tres países diferentes entre sí, pero unidos por el hecho de haber sido durante siglos puentes entre Oriente y Occidente, y encrucijadas de culturas, etnias y civilizaciones diferentes. Visitándolos, pude experimentar una vez más qué importante es el diálogo y la cultura del encuentro para construir sociedades pacíficas en las que cada uno pueda expresar libremente su propia pertenencia étnica y religiosa.

Permaneciendo en el contexto europeo, quisiera recordar la importancia de apoyar el diálogo y el respeto por la legalidad internacional para resolver los “conflictos congelados” que persisten en el continente, algunos de estos ya desde hace décadas, y que requieren una solución, comenzando por las situaciones relacionadas con los Balcanes occidentales y el Cáucaso meridional, incluida Georgia. Desde aquí, me gustaría manifestar además el estímulo de la Santa Sede ante las negociaciones para la reunificación de Chipre, que aumentarían la cooperación regional, promoviendo la estabilidad de toda el área mediterránea, como también el aprecio por los intentos dirigidos a resolver el conflicto en la parte oriental de Ucrania y poner fin al sufrimiento de la población.

El diálogo —y no las armas— es el instrumento esencial para resolver las controversias. A este respecto, deseo mencionar en esta sede la contribución ofrecida, por ejemplo, en Ucrania por la Organización para la Seguridad y la Cooperación en Europa (OSCE), especialmente en este año en el que se celebra el 45 aniversario del Acta final de Helsinki, que concluyó la Conferencia sobre la Seguridad y sobre la Cooperación en Europa (CSCE), iniciada en 1973 para favorecer la distensión y la colaboración entre los países de Europa occidental y de Europa oriental, cuando el continente estaba todavía dividido por el telón de acero. Fue una etapa importante para un proceso que inició sobre los escombros de la Segunda Guerra Mundial y que vio en el consenso y en el diálogo un instrumento esencial para resolver las divergencias.

Ya en 1949, en Europa occidental, con la creación del Consejo de Europa y la sucesiva adopción de la Convención europea de los derechos humanos, se pusieron las bases del proceso de integración europea, que vieron en la Declaración del entonces Ministro de Asuntos Exteriores francés, Robert Schuman, del 9 de mayo de 1950, un pilar fundamental. Schuman afirma que «la paz mundial no puede salvaguardarse sin unos esfuerzos creativos equiparables a los peligros que la amenazan». En los Padres fundadores de la Europa moderna había una consciencia de que el continente se podría reponer de las heridas de la guerra y de las nuevas divisiones que surgían sólo en un proceso gradual de comunión de ideales y de recursos.

Desde los primeros años, la Santa Sede viene observando con interés el proyecto europeo, cuando se celebra este año el 50 aniversario de la presencia de la Santa Sede como Observador ante el Consejo de Europa, así como el establecimiento de relaciones diplomáticas con las entonces denominadas Comunidades Europeas. Se trata de un interés que busca subrayar una idea de construcción inclusiva, que está animada por un espíritu participativo y solidario, capaz de hacer de Europa un ejemplo de acogida y de equidad social en el signo de aquellos valores comunes que la sostienen. El proyecto europeo continúa siendo una garantía fundamental de desarrollo para quien forma parte de él desde hace tiempo y una oportunidad de paz, después de turbulentos conflictos y lesiones, para aquellos países que aspiran a participar.

Que Europa no pierda, por tanto, el sentido de solidaridad que desde hace siglos la ha caracterizado, incluso en los momentos más difíciles de su historia. Que no pierda aquel espíritu que hunde sus raíces, entre otros, en la pietas romana y en la caritas cristiana, que tan bien describen el ánimo de los pueblos europeos. El incendio de la catedral de Notre Dame en París demostró qué frágil y fácil es destruir lo que parece más sólido. Los daños sufridos por un edificio, no sólo querido por los católicos sino significativo para toda Francia y la humanidad entera, despertó el tema de los valores históricos y culturales de Europa y de las raíces sobre las que se funda. En un contexto en el que faltan valores de referencia, es más fácil encontrar elementos de división que de cohesión.

El 30 aniversario de la caída del Muro de Berlín puso ante nuestra mirada uno de los símbolos más desgarradores de la historia reciente del continente, recordándonos la facilidad de levantar barreras. El Muro de Berlín representa una cultura de la división que aleja a las personas unas de otras y abre el camino al extremismo y a la violencia. Lo vemos cada vez más en el lenguaje de odio difusamente usado en internet y en los medios de comunicación social. A las barreras del odio, nosotros preferimos los puentes de la reconciliación y de la solidaridad, a lo que aleja escogemos lo que acerca, conscientes de que «no hay paz estable […] si al mismo tiempo no cesan el odio y la enemistad mediante una reconciliación basada en la mutua caridad»[18], como escribió hace cien años mi predecesor Benedicto XV.

Queridos Embajadores: Durante el itinerario de mi viaje en África, pude ver signos de paz y de reconciliación, donde aparece evidente la alegría de quien, unido a los demás, se siente pueblo y afronta las fatigas cotidianas con espíritu generoso. Experimenté la esperanza concreta a través de numerosos gestos alentadores, a partir de los ulteriores progresos realizados en Mozambique, con la firma del Acuerdo para el cese definitivo de las hostilidades, el día 1 del pasado mes de agosto.

En Madagascar, pude constatar que es posible construir seguridad donde había precariedad, ver esperanza donde se veía sólo fatalidad, vislumbrar vida donde tantos anunciaban muerte y destrucción[19]. Para ese fin son esenciales la familia y el sentido de comunidad que consiente establecer la confianza fundamental que está en la base de toda relación humana. En Mauricio, experimenté cómo «las diferentes religiones, con sus respectivas identidades, trabajan mancomunadamente para contribuir a la paz social y recordar el valor trascendente de la vida contra todo tipo de reduccionismo»[20]. Confío que el entusiasmo que pude comprobar en el curso de este viaje siga concretizándose en gestos de acogida y en proyectos capaces de promover la justicia social, evitando dinámicas de bloqueo.

Sin embargo, ampliando la mirada hacia otras partes del continente, duele constatar cómo continúan episodios de violencia contra personas inocentes, entre los que se cuentan muchos cristianos perseguidos y asesinados por su fidelidad al Evangelio, en particular en Burkina Faso, Malí, Níger y Nigeria. Exhorto a la Comunidad internacional a sostener los esfuerzos que estos países realizan en la lucha contra el terrorismo, que está ensangrentando cada vez más zonas enteras de África, así como otras regiones del mundo. A la luz de estos eventos, es necesario que se realicen estrategias que asuman intervenciones no sólo en el ámbito de la seguridad, sino también en la reducción de la pobreza, en la mejora del sistema sanitario, en el desarrollo y en la asistencia humanitaria, en la promoción del buen gobierno y de los derechos civiles. Son estos los pilares de un auténtico desarrollo social.

Del mismo modo, es necesario animar las iniciativas que promueven la fraternidad entre todas las expresiones culturales, étnicas y religiosas del territorio, especialmente en el Cuerno de África, en Camerún, así como en la República Democrática del Congo, donde persiste la violencia especialmente en las regiones orientales del país. Las fricciones y las emergencias humanitarias, agravadas por las perturbaciones del clima, aumentan el número de desplazados y repercuten sobre personas que ya viven en un estado de pobreza extrema. Muchos países golpeados por estas situaciones carecen de estructuras adecuadas que permitan hacer frente a las necesidades de los desplazados.

A este respecto, quisiera destacar que, lamentablemente, no existe todavía una respuesta internacional coherente para afrontar el fenómeno del desplazamiento interno, debido en gran parte a que el mismo no tiene una definición internacional concordada, puesto que acontece dentro de los límites nacionales. Como consecuencia, los desplazados internos no siempre reciben la protección que merecen y dependen de la capacidad de respuesta y de las políticas del Estado en el que se encuentran.

Recientemente, fue puesto en marcha el trabajo del Panel de Alto Nivel de las Naciones Unidas sobre desplazamiento interno, que espero pueda favorecer la atención y el respaldo global de los desplazados con el desarrollo de orientaciones concretas.

En tal prospectiva, miro también a Sudán, con el deseo de que sus ciudadanos puedan vivir en paz y en prosperidad, y colaborar con el crecimiento democrático y económico del país; a la República Centroafricana, donde, en el pasado mes de febrero, se firmó un Acuerdo global para poner fin a más de cinco años de guerra civil; y a Sudán del Sur, que espero poder visitar durante este año y al que dediqué un día de retiro el pasado mes de abril con la presencia de los líderes del país y la preciosa contribución del Arzobispo de Canterbury, Su Excelencia Justin Welby, y del exModerador de la Iglesia presbiteriana de Escocia, el Reverendo John Chalmers. Confío que, con la ayuda de la Comunidad internacional, quienes tienen responsabilidades políticas continúen el diálogo para llevar a cabo los acuerdos alcanzados.

El último viaje de este año que acaba de concluir fue en Asia oriental. En Tailandia pude constatar la armonía que aportan los numerosos grupos étnicos que constituyen el país, con su diversidad filosófica, cultural y religiosa. Se trata de una llamada importante en el actual contexto de globalización que tiende a aplanar las diferencias y considerarlas primariamente en términos económico-financieros, con el riesgo de cancelar las notas esenciales que caracterizan los diferentes pueblos.

Finalmente, en Japón pude constatar el dolor y el horror que somos capaces de infringirnos como seres humanos[21]. Escuchando los testimonios de algunos Hibakusha, los sobrevivientes de los bombardeos atómicos de Hiroshima y Nagasaki, me pareció evidente que no se puede construir una verdadera paz sobre la amenaza de una posible aniquilación total de la humanidad provocada por las armas nucleares. Los Hibakusha «mantienen hoy viva la llama de la conciencia colectiva, testificando a las generaciones venideras el horror de lo que sucedió en agosto de 1945 y el sufrimiento indescriptible que continúa hasta nuestros días. Su testimonio despierta y preserva de esta manera el recuerdo de las víctimas, para que la conciencia humana se fortalezca cada vez más contra todo deseo de dominación y destrucción»[22], especialmente la ocasionada por artefactos con tan alto potencial destructivo, como las armas nucleares. Estas no sólo favorecen un clima de miedo, desconfianza y hostilidad, sino que destruyen la esperanza. Su uso es inmoral, «un crimen, no sólo contra el hombre y su dignidad sino contra toda posibilidad de futuro en nuestra casa común»[23].

Un mundo «sin armas nucleares es posible y necesario»[24], y es preciso que quienes tienen responsabilidades políticas tomen plena conciencia de esto, porque no es la posesión disuasiva de potentes medios de destrucción de masa lo que hace al mundo más seguro, sino más bien el trabajo paciente de todas las personas de buena voluntad que se dedican concretamente, cada cual en su propio ámbito, a edificar un mundo de paz, solidaridad y respeto recíproco.

El año 2020 ofrece una oportunidad importante en esta dirección, porque desde el 27 de abril al 22 de mayo se desarrollará en Nueva York la X Conferencia de las Partes encargada del Examen del Tratado sobre la No Proliferación de las Armas Nucleares. Deseo vivamente que en esa ocasión la Comunidad internacional consiga encontrar un consenso final y proactivo sobre las modalidades de actuación de este instrumento jurídico internacional, que se percibe aún más importante en un momento como el actual.

Al terminar la revisión de los lugares en los que estuve a lo largo del año apenas concluido, quiero dirigir un pensamiento particular a un país que no he visitado: Australia, azotado fuertemente durante los últimos meses por incendios persistentes, cuyos efectos han alcanzado también otras regiones de Oceanía. Al pueblo australiano, especialmente a las víctimas y a quienes se encuentran en las regiones afectadas por el fuego, deseo asegurar mi cercanía y mi oración.

Excelencias, señoras y señores: Este año, la Comunidad internacional recuerda el 75 aniversario de la fundación de las Naciones Unidas. A continuación de las tragedias experimentadas en las dos guerras mundiales, con la Carta de las Naciones Unidas, firmada el 26 de junio de 1945, cuarenta y seis países dieron vida a una nueva forma de colaboración multilateral. Las cuatro finalidades de la Organización, delineadas en el artículo 1 de la Carta, permanecen todavía válidas hoy y podemos decir que el compromiso de las Naciones Unidas en estos 75 años ha sido en gran parte un éxito, especialmente al evitar otra guerra mundial. Los principios fundacionales de la Organización —el deseo de la paz, la búsqueda de la justicia, el respeto de la dignidad de la persona, la cooperación humanitaria y la asistencia— expresan las justas aspiraciones del espíritu humano y constituyen los ideales que deberían regir las relaciones internacionales.

En este aniversario, queremos reafirmar el propósito de toda la familia humana a trabajar por el bien común, como criterio de orientación de la acción moral y prospectiva que debe comprometer a cada país en la colaboración para garantizar la existencia y la seguridad de la paz en cada Estado, con un espíritu de igual dignidad y de efectiva solidaridad, en el ámbito de un ordenamiento jurídico fundado sobre la justicia y sobre la búsqueda de compromisos justos[25].

Una acción semejante será tanto más eficaz cuanto más se busque superar ese enfoque transversal, utilizado en el lenguaje y en los documentos de los organismos internacionales, que busca vincular los derechos fundamentales a las situaciones contingentes, olvidando que están intrínsecamente basados en la naturaleza misma del ser humano. Allí donde al léxico de las Organizaciones internacionales le falta un claro anclaje objetivo, se corre el riesgo de favorecer el alejamiento, en vez del acercamiento de los miembros de la Comunidad internacional, con la consecuente crisis del sistema multilateral, que es observado tristemente por todos. En este contexto, parece urgente retomar el camino hacia una reforma general del sistema multilateral, a partir del sistema onusiano, que lo hace más efectivo, teniendo en cuenta el contexto geopolítico actual.

Queridos Embajadores: Al llegar a la conclusión de estas reflexiones, aún deseo mencionar dos aniversarios que se celebran este año, aparentemente ajenos a nuestro encuentro de hoy. El primero es el quinto centenario de la muerte de Rafael Sanzio, el gran artista de Urbino, que murió en Roma el 6 de abril de 1520. A Rafael le debemos un inmenso patrimonio de inestimable belleza. Como el genio del artista sabe componer armónicamente los distintos materiales, colores y sonidos para formar parte de una única obra de arte, así la diplomacia está llamada a armonizar las peculiaridades de los distintos pueblos y estados para edificar un mundo de justicia y de paz, que es el cuadro más bello que quisiéramos poder admirar.

Rafael fue un hijo importante de una época, el Renacimiento, que enriqueció a toda la humanidad. Una época con muchas dificultades, pero animada por la confianza y la esperanza. Por medio de este insigne artista, quiero hacer llegar mi más sentida felicitación al pueblo italiano, al que deseo que descubra ese espíritu de apertura al futuro que caracterizó al Renacimiento e hizo posible que esta península sea tan hermosa y rica de arte, historia y cultura.

Uno de los sujetos preferidos de la pintura de Rafael era María. A ella dedicó numerosos lienzos que pueden ser hoy admirados en diferentes museos del mundo. La Iglesia católica celebra este año el 70 aniversario de la proclamación de la Asunción de la Virgen María al cielo. Con la mirada en María, deseo dirigir un recuerdo particular a todas las mujeres, 25 años después de la IV Conferencia mundial de las Naciones Unidas sobre la mujer, que se celebró en Pekín en 1995, deseando que en todo el mundo se reconozca siempre más el precioso papel de las mujeres en la sociedad y cese cualquier forma de injusticia, desigualdad y violencia contra ellas. « Toda violencia infligida a la mujer es una profanación de Dios»[26]. Ejercer violencia contra una mujer o explotarla no es un simple delito, es un crimen que destruye la armonía, la poesía y la belleza que Dios quiso dar al mundo[27].

La Asunción de María nos invita también a mirar más allá, al cumplimiento de nuestro camino terreno, al día en el que la justicia y la paz serán plenamente restablecidas. Nos sentimos así animados, a través de la diplomacia, que es nuestro intento humano, imperfecto, pero siempre precioso, a trabajar con tesón para anticipar los frutos de este deseo de paz, sabiendo que la meta es posible. Con este compromiso, renuevo a todos vosotros, queridos Embajadores y distinguidos huéspedes que se os habéis reunido hoy aquí, y a vuestros países, mis mejores deseos para un nuevo año rico de esperanza y bendiciones.

Gracias.

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[1] Cf. Mensaje para la LIII Jornada Mundial de la Paz, 8 diciembre 2019, 1.
[2] Ibíd.
[3] Cf. Encuentro con las Autoridades, el Cuerpo Diplomático y representantes de la sociedad, Panamá, 24 enero 2019.
[4] Cf. Motu proprio Vos estis lux mundi, 7 mayo 2019.
[5] Mensaje para el Lanzamiento del Pacto Educativo, 12 septiembre 2019.
[6] Cf. ibíd.
[7] Ángelus, Les Combes, 17 julio 2005.
[8] Cf. Carta enc. Laudato si’, 24 mayo 2015, 13.
[9] Mensaje para la LIII Jornada Mundial de la Paz, 8 diciembre 2019, 4.
[10] Asamblea especial para la región amazónica del Sínodo de los Obispos, Amazonia: Nuevos caminos para la Iglesia y para una ecología integral. Documento final, 2.
[11] Documento sobre la fraternidad humana por la paz mundial y la convivencia común, Abu Dabi, 4 febrero 2019.
[12] Ibíd.
[13] Cf. ibíd.
[14] Llamamiento de Su Majestad el Rey Mohamed VI y de Su Santidad el Papa Francisco sobre Jerusalén / Al Qods Ciudad Santa y Lugar de Encuentro, Rabat, 30 marzo 2019.
[15] Cf. ibíd.
[16] Ángelus, 5 enero 2020.
[17] Cf. Discurso al Parlamento Europeo, Estrasburgo, 25 noviembre 2014.
[18] Benedicto XV, Carta enc. Pacem, Dei munus pulcherrimum, 23 mayo 1920.
[19] Cf. Saludo en la Ciudad de la Amistad de Akamasoa, Antananarivo, 8 septiembre 2019.
[20] Discurso ante las Autoridades, los representantes de la sociedad civil y el Cuerpo Diplomático, Port Louis, 9 septiembre 2019.
[21] Cf. Mensaje sobre las armas nucleares, Nagasaki, 24 noviembre 2019.
[22] Mensaje para la LIII Jornada Mundial de la Paz, 8 diciembre 2019, 2.
[23] Discurso en el Encuentro por la paz, Hiroshima, 24 noviembre 2019.
[24] Mensaje sobre las armas nucleares, Nagasaki, 24 noviembre 2019.
[25] Cf. San Juan XXIII, Carta enc. Pacem in terris, 11 abril 1963, 54.
[26] Homilía en la Solemnidad de María Santísima Madre de Dios y en la 53 Jornada Mundial de la Paz, 1 enero 2020.
[27] Cf. La mujer es la armonía del mundo. Meditación en la Capilla de la Domus Sanctæ Marthæ, 9 febrero 2017.

[00035-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

Excelências, Senhoras e Senhores!

Um novo ano se abre diante de nós e, como o vagido dum bebé recém-nascido, convida-nos à alegria e a assumir uma atitude de esperança. Gostaria que esta palavra (esperança) – para os cristãos, é uma virtude fundamental – animasse o olhar com que sondamos o tempo que está diante de nós.

Obviamente, esperar exige realismo. Exige que se tenha consciência das numerosas questões que afligem os nossos dias e dos desafios à nossa frente. Exige que se chamem os problemas pelo nome e se tenha a coragem de enfrentá-los. Exige não esquecer que a comunidade humana traz consigo os sinais e feridas das guerras que têm vindo a suceder-se com crescente capacidade destruidora ao longo do tempo e não cessam de atingir especialmente os mais pobres e os mais frágeis.[1] Infelizmente, o novo ano aparece-nos constelado não tanto de sinais encorajadores, como sobretudo duma intensificação de tensões e violências.

É precisamente à luz destas circunstâncias que não podemos cessar de esperar. E esperar exige coragem. Exige que se tenha consciência de que o mal, o sofrimento e a morte não prevalecerão e que mesmo as questões mais complexas podem e devem ser enfrentadas e resolvidas. A esperança «é a virtude que nos coloca a caminho, dá asas para continuar, mesmo quando os obstáculos parecem intransponíveis».[2]

Com este espírito, vos recebo hoje, queridos Embaixadores, para vos formular os meus votos para o novo ano. Agradeço de modo especial ao Decano do Corpo Diplomático, o senhor George Poulides, Embaixador de Chipre, as expressões cordiais que me dirigiu em vosso nome; e sinto-me grato a todos vós pela presença, tão numerosa e significativa, e pelo empenho com que vos dedicais diariamente à consolidação das relações que ligam a Santa Sé aos vossos países e organizações internacionais a bem duma pacífica convivência entre os povos.

Com efeito, a paz e o desenvolvimento humano integral são o objetivo principal da Santa Sé no campo do seu empenho diplomático. Para tal objetivo tendem os esforços da Secretaria de Estado e dos dicastérios da Cúria Romana, bem como os esforços dos Representantes Pontifícios a quem agradeço a dedicação com que cumprem a dupla missão que lhes foi confiada de representar o Papa, quer junto das Igrejas locais quer junto dos vossos governos.

Nesta perspetiva, situam-se também os Acordos de caráter geral, assinados ou ratificados durante o ano passado com a República do Congo, a amada República Centro-Africana, o Burkina Faso e Angola, bem como o Acordo entre a Santa Sé e a República Italiana para a aplicação da Convenção de Lisboa sobre o reconhecimento dos títulos de estudo relativos ao Ensino Superior na Europa.

As próprias viagens apostólicas, além de ser uma via privilegiada pela qual o Sucessor do Apóstolo Pedro confirma os irmãos na fé, tornam-se ocasião para favorecer o diálogo a nível político e religioso. Em 2019, tive oportunidade de visitar várias realidades significativas. Gostaria de as repassar convosco, aproveitando o ensejo para uma visão mais ampla dalgumas questões problemáticas do nosso tempo.

No início do ano passado, por ocasião da XXXIV Jornada Mundial da Juventude, encontrei no Panamá jovens provenientes dos cinco continentes, cheios de sonhos e esperanças, lá congregados para rezar e reavivar o desejo e o compromisso de criar um mundo mais humano.[3] Poder encontrar os jovens é sempre uma alegria e uma grande oportunidade; são o futuro e a esperança das nossas sociedades: e não só o futuro, mas também o presente.

E todavia, como é tristemente sabido, não poucos adultos, incluindo vários membros do clero, tornaram-se responsáveis de delitos gravíssimos contra a dignidade dos jovens, crianças e adolescentes, violando a sua inocência e intimidade. Trata-se de crimes que ofendem a Deus, causam danos físicos, psicológicos e espirituais às vítimas e lesam a vida de comunidades inteiras.[4] Na sequência do encontro com os Episcopados de todo o mundo, que convoquei no Vaticano em fevereiro passado, a Santa Sé renova o seu empenho para que se descubram os abusos cometidos e se garanta a proteção dos menores, através duma ampla gama de normas que permitam enfrentar tais casos no contexto do direito canónico e através da colaboração com as autoridades civis, a nível local e internacional.

Perante feridas tão graves, torna-se ainda mais urgente que os adultos não abdiquem da tarefa educativa que lhes cabe; antes pelo contrário, assumam tal compromisso com maior zelo para levar os jovens à maturidade espiritual, humana e social.

Por esta razão, pretendo promover um evento mundial, no próximo dia 14 de maio, que terá como tema Reconstruir o pacto educativo global. Trata-se dum encontro que visa «reavivar o compromisso em prol e com as gerações jovens, renovando a paixão por uma educação mais aberta e inclusiva, capaz de escuta paciente, diálogo construtivo e mútua compreensão. Nunca, como agora, houve necessidade de unir esforços numa ampla aliança educativa para formar pessoas maduras, capazes de superar fragmentações e contrastes e reconstruir o tecido das relações em ordem a uma humanidade mais fraterna».[5]

Qualquer mudança epocal, como a que estamos a atravessar, requer um caminho educativo, a constituição de uma aldeia da educação,[6] que gere uma rede de relações humanas e abertas. Uma tal aldeia deve colocar no centro a pessoa, favorecer a criatividade e a responsabilidade por uma projetação a longo prazo e formar pessoas disponíveis para servir a comunidade.

Precisamos, pois, dum conceito de educação que englobe a ampla gama de experiências de vida e processos de aprendizagem e que permita aos jovens, individual e coletivamente, desenvolver a sua personalidade. A educação não se esgota nos tempos de lição das escolas ou das universidades, mas é garantida principalmente respeitando e reforçando o direito primário da família a educar e o direito das Igrejas e das agregações sociais a apoiar e colaborar com as famílias na educação dos filhos.

Educar exige entrar num diálogo leal com os jovens. São eles os primeiros a recordar-nos a urgência daquela solidariedade intergeracional que, infelizmente, tem vindo a faltar nos últimos anos. De facto, em muitas partes do mundo, verifica-se uma tendência a fechar-se em si mesmo, proteger os direitos e privilégios adquiridos; conceber o mundo dentro dum horizonte limitado, que trata com indiferença os idosos e sobretudo já não oferece espaço à vida nascente. Uma representação triste e emblemática disto mesmo é o envelhecimento geral de parte da população mundial, especialmente no Ocidente.

Se, por um lado, não devemos esquecer que os jovens esperam a palavra e o exemplo dos adultos, por outro, devemos ter em mente que aqueles têm muito para oferecer com o seu entusiasmo, o seu empenhamento e sede de verdade, pela qual nos recordam constantemente o facto de que a esperança não é uma utopia, e a paz é um bem sempre possível.

Vimo-lo no modo como muitos jovens se estão empenhando por sensibilizar os líderes políticos para a questão das alterações climáticas. O cuidado da nossa casa comum deve ser uma preocupação de todos, e não objeto de contraposição ideológica entre diferentes visões da realidade e, menos ainda, entre as gerações, pois «no contato com a natureza – como recordava Bento XVI –, a pessoa reencontra a sua justa dimensão, redescobre-se criatura, pequena mas ao mesmo tempo única, “capaz de Deus”, porque interiormente aberta ao Infinito».[7] Por isso, a salvaguarda do lugar que nos foi dado pelo Criador para viver não pode ser negligenciada nem reduzida a uma problemática de elite. Os jovens dizem-nos que não pode ser assim, porque existe um desafio urgente, a todos os níveis, de proteger a nossa casa comum e «de unir toda a família humana na busca de um desenvolvimento sustentável e integral».[8] Recordam-nos a urgência duma conversão ecológica, que «deve ser entendida de maneira integral, como uma transformação das relações que mantemos com as nossas irmãs e irmãos, com os outros seres vivos, com a criação na sua riquíssima variedade, com o Criador que é origem de toda a vida».[9]

Infelizmente, a urgência desta conversão ecológica parece não ser sentida pela política internacional, cuja resposta às problemáticas colocadas por questões globais como a das alterações climáticas é ainda muito fraca e fonte de grande preocupação. A XXV Sessão da Conferência dos Estados Parceiros da Convenção-Quadro das Nações Unidas sobre a Mudança do Clima (COP25), que se realizou em Madrid no passado mês de dezembro, constitui um sério toque de alarme sobre a vontade que tem a Comunidade Internacional de enfrentar, com sabedoria e eficácia, o fenómeno do aquecimento global, que requer uma resposta coletiva, capaz de fazer prevalecer o bem comum sobre os interesses particulares.

Estas considerações movem a nossa atenção para a América Latina, em particular para a Assembleia Especial do Sínodo dos Bispos para a região amazónica, realizada no Vaticano em outubro passado. O Sínodo foi um evento essencialmente eclesial, motivado pela vontade de colocar-se à escuta das esperanças e desafios da Igreja na Amazónia e de abrir novos caminhos para o anúncio do Evangelho ao Povo de Deus, especialmente às populações indígenas. Todavia a Assembleia Sinodal não podia eximir-se de abordar outras temáticas – a começar pela ecologia integral – que dizem respeito à própria vida daquela região tão vasta e importante para todo o mundo, uma vez que «a floresta amazónica é um “coração biológico” para a terra cada vez mais ameaçada».[10]

Além da situação na região amazónica, preocupa a multiplicação de crises políticas num número crescente de países do continente americano, com tensões e insólitas formas de violência que agravam os conflitos sociais e geram graves consequências socioeconómicas e humanitárias. As polarizações cada vez mais fortes não ajudam a resolver os problemas reais e urgentes dos cidadãos, especialmente dos mais pobres e vulneráveis, e menos ainda o consegue a violência, que por nenhuma razão pode ser adotada como instrumento para enfrentar as questões políticas e sociais. Gostaria aqui de lembrar especialmente a Venezuela, para que não esmoreça o empenho na busca de soluções.

Em geral, os conflitos da região americana, embora possuindo raízes diferentes, são irmanados pelas profundas desigualdades, as injustiças e uma endémica corrupção, bem como pelas várias formas de pobreza que ofendem a dignidade das pessoas. Por isso, os líderes políticos esforcem-se por restabelecer, urgentemente, uma cultura do diálogo em prol do bem comum e por fortalecer as instituições democráticas e promover o respeito pelo estado de direito, a fim de prevenir deslizes antidemocráticos, populistas e extremistas.

Na segunda viagem de 2019, fui aos Emirados Árabes Unidos: era a primeira visita dum Sucessor de Pedro à Península Arábica. Em Abu Dhabi, assinei juntamente com o Grande Imã de Al-Azhar, Ahmad al-Tayyeb, o Documento sobre a Fraternidade Humana em prol da paz mundial e da convivência comum. Trata-se de um texto importante, que visa favorecer a mútua compreensão entre cristãos e muçulmanos e a convivência em sociedades que se vão tornando cada vez mais multiétnicas e multiculturais, pois, ao condenar firmemente o uso do «nome de Deus para justificar atos de homicídio, de exílio, de terrorismo e de opressão»,[11] recorda a importância do conceito de cidadania, que se «baseia na igualdade dos direitos e dos deveres, sob cuja sombra todos gozam da justiça».[12] Isto exige que seja respeitada a liberdade religiosa e se trabalhe para renunciar ao uso discriminatório do termo «minorias», que traz consigo as sementes da sensação de isolamento e inferioridade e prepara o terreno para as hostilidades e a discórdia, discriminando os cidadãos com base na sua pertença religiosa.[13] Para isso, é particularmente importante formar as gerações futuras no diálogo inter-religioso, como via mestra para o conhecimento, a compreensão e o apoio mútuo entre membros de diferentes religiões.

Paz e esperança estiveram também no centro da minha visita a Marrocos, onde, com Sua Majestade o Rei Mohammed VI, assinei um apelo conjunto sobre Jerusalém, «reconhecendo a singularidade e sacralidade de Jerusalém / Al Qods Acharif e tendo a peito o seu significado espiritual e a sua vocação peculiar de Cidade da Paz».[14] E falando de Jerusalém – cidade amada pelos fiéis das três religiões monoteístas, chamada a ser lugar-símbolo de encontro e coexistência pacífica onde se cultive o respeito mútuo e o diálogo[15] –, naturalmente o meu pensamento alarga-se a toda a Terra Santa para lembrar à Comunidade Internacional inteira a urgência de confirmar, com coragem, sinceridade e no respeito pelo direito internacional, o seu compromisso e apoio ao processo de paz entre Israel e a Palestina.

E há grande urgência dum empenho mais assíduo e eficaz da Comunidade Internacional também noutros pontos da região mediterrânica e do Médio Oriente. Refiro-me, antes de mais nada, à cortina de silêncio que corre o risco de encobrir a guerra que devastou a Síria durante a última década. É particularmente urgente encontrar soluções adequadas e clarividentes que permitam ao querido povo sírio, exausto da guerra, encontrar a paz e começar a reconstrução do país. A Santa Sé olha, favoravelmente, toda a iniciativa destinada a lançar as bases para a resolução do conflito e expressa mais uma vez a sua gratidão à Jordânia e ao Líbano por terem recebido milhares de refugiados sírios, ocupando-se deles com não poucos sacrifícios. Infelizmente, para além das canseiras provocadas pela receção, há outros fatores de incerteza económica e política – no Líbano e noutros Estados – que estão a causar tensões entre a população, colocando ainda mais em risco a frágil estabilidade do Médio Oriente.

Particularmente preocupantes são os sinais que chegam de toda a região, após a recrudescência da tensão entre o Irão e os Estados Unidos que se arrisca, antes de tudo, a colocar a dura prova o lento processo de reconstrução do Iraque, bem como a criar as bases dum conflito de mais vasta escala que todos quereríamos poder esconjurar. Por isso, renovo o meu apelo a todas as partes interessadas para que evitem um agravamento do conflito e mantenham «acesa a chama do diálogo e do autocontrole»,[16] no pleno respeito da legalidade internacional.

Penso ainda no Iémen, que vive uma das mais graves crises humanitárias da história recente, num clima de indiferença geral da Comunidade Internacional, e na Líbia, que há muitos anos vive uma situação conflituosa, agravada pelas incursões de grupos extremistas e por uma nova escalada de violência nos últimos dias. Este contexto é terreno fértil para o flagelo da exploração e tráfico de seres humanos, alimentado por pessoas sem escrúpulos que exploram a pobreza e o sofrimento daqueles que fogem de situações de conflito ou de pobreza extrema. Muitos deles acabam presa de verdadeiras e próprias máfias que os detêm em condições desumanas e degradantes, sujeitando-os a torturas, violências sexuais, extorsões.

Em geral, é preciso salientar que no mundo existem vários milhares de pessoas, com necessidades humanitárias e legítimos pedidos de asilo e proteção verificáveis, que não são adequadamente identificadas. Muitos arriscam a vida em perigosas viagens por terra e sobretudo por mar. Com mágoa, continua-se a constatar como o Mar Mediterrâneo permanece um grande cemitério.[17] Por isso, é cada vez mais urgente que todos os Estados se responsabilizem por encontrar soluções duradouras.

Por seu lado, a Santa Sé olha com grande esperança para os esforços feitos por numerosos países para compartilhar o peso da reinstalação e proporcionar aos deslocados, especialmente por emergências humanitárias, um lugar seguro onde viver, uma educação e também a possibilidade de trabalhar e voltar para as suas famílias.

Queridos Embaixadores!

Nas viagens do ano passado, tive oportunidade de deslocar-me também a três países da Europa oriental, visitando primeiro a Bulgária e a Macedónia do Norte e, depois, a Roménia. Trata-se de três países diferentes entre si, mas irmanados pelo facto de terem sido, ao longo dos séculos, ponte entre o Oriente e o Ocidente e encruzilhada de diferentes culturas, etnias e civilizações. Ao visitá-los, pude experimentar mais uma vez como são importantes o diálogo e a cultura do encontro para construir sociedades pacíficas, onde cada um possa expressar livremente a própria pertença étnica e religiosa.

Permanecendo no contexto europeu, gostaria de recordar a importância de sustentar o diálogo e o respeito da legalidade internacional para resolver os «conflitos congelados» que persistem no continente, alguns deles há já decénios, e que exigem uma solução, a começar pelas situações relativas aos Balcãs ocidentais e ao Cáucaso meridional, nomeadamente a Geórgia. Além disso gostaria de expressar aqui o encorajamento da Santa Sé às negociações para a reunificação de Chipre, o que aumentaria a cooperação regional, favorecendo a estabilidade de toda a região mediterrânea, bem como manifestar apreço pelas tentativas tendentes a resolver o conflito na parte oriental da Ucrânia e pôr termo aos sofrimentos da população.

O diálogo – e não as armas – é o instrumento essencial para resolver as disputas. A propósito, desejo mencionar aqui a contribuição oferecida, por exemplo na Ucrânia, pela Organização para a Segurança e a Cooperação na Europa (OSCE), especialmente neste ano em que ocorre o 45º aniversário da Ata Final de Helsínquia, que concluiu a Conferência sobre a Segurança e a Cooperação na Europa (CSCE), iniciada em 1973 para favorecer a distensão e a colaboração entre os países da Europa ocidental e os da Europa oriental, quando o continente ainda estava dividido pela cortina de ferro. Foi uma etapa importante dum processo iniciado sobre os escombros da II Guerra Mundial e que viu o consenso e o diálogo como um instrumento essencial para resolver as disputas.

Já em 1949 na Europa ocidental, com a criação do Conselho da Europa e sucessiva adoção da Convenção Europeia dos Direitos do Homem, lançaram-se as bases do processo de integração europeia, que encontraram um pilar fundamental na Declaração de 9 de maio de 1950 do Ministro francês dos Negócios Estrangeiros de então, Robert Schuman. Afirmava ele que «a paz só pode ser salvaguardada através de esforços criativos, proporcionais aos perigos que a ameaçam». Nos Pais fundadores da Europa moderna, havia a consciência de que o continente só poderia recuperar das lacerações da guerra e das novas divisões que sobrevieram através dum processo gradual de partilha de ideais e recursos.

Desde os primeiros anos, a Santa Sé olhou com interesse o projeto europeu, recorrendo este ano o cinquentenário da presença da Santa Sé como Observador no Conselho da Europa, bem como o estabelecimento das relações diplomáticas com as Comunidades Europeias de então. O referido interesse pretende sublinhar uma ideia de construção inclusiva, animada por um espírito participativo e solidário, capaz de fazer da Europa um exemplo de hospitalidade e equidade social sob o signo dos valores comuns que estão na sua base. O projeto europeu continua a ser uma garantia fundamental de desenvolvimento para quem faz parte dele há algum tempo e uma oportunidade de paz, depois de turbulentos conflitos e lacerações, para os países que desejam participar.

Por isso, a Europa não perca o sentido de solidariedade que, há séculos, a carateriza, mesmo nos momentos mais difíceis da sua história. Não perca aquele espírito, cujas raízes brotam, para além do mais, da pietas romana e da caritas cristã, que descrevem bem a alma dos povos europeus. O incêndio da Catedral de Notre Dame em Paris mostrou como é frágil e fácil de destruir até o que parece sólido. Os danos sofridos por um edifício, caro não apenas aos católicos mas significativo para toda a França e a humanidade inteira, trouxeram à ribalta o tema dos valores históricos e culturais da Europa e das raízes nas quais a mesma se fundamenta. Num contexto onde faltam valores de referência, torna-se mais fácil encontrar elementos de divisão que de coesão.

O trigésimo aniversário da queda do Muro de Berlim colocou-nos diante dos olhos um dos símbolos mais dilacerantes da história recente do continente, lembrando-nos como é fácil erguer barreiras. O Muro de Berlim permanece emblemático duma cultura da divisão que afasta as pessoas umas das outras e abre caminho ao extremismo e à violência. Vemo-lo sempre mais na linguagem de ódio amplamente usada na internet e nos meios de comunicação social. Às barreiras do ódio, preferimos as pontes da reconciliação e da solidariedade; àquilo que afasta, preferimos o que aproxima, cientes de que «nenhuma paz – como escreveu há cem anos o meu predecessor Bento XV – se [pode] consolidar (...) se, ao mesmo tempo, não se aplacarem os ódios e os rancores por meio duma reconciliação fundada na mútua caridade».[18]

Queridos Embaixadores!

Sinais de paz e reconciliação, pude ver durante a viagem à África, onde é evidente a alegria de quem juntamente se sente povo e enfrenta as canseiras diárias com espírito de partilha. Experimentei a concretização da esperança através de numerosos gestos encorajadores, a começar pelos renovados progressos realizados em Moçambique, com a assinatura do Acordo para a cessação definitiva das hostilidades no dia 1 de agosto passado.

Em Madagáscar, pude constatar que é possível construir segurança onde havia precariedade, ver esperança onde se sentia apenas fatalidade, vislumbrar vida onde muitos anunciavam morte e destruição.[19] Para isso, são essenciais a família e o sentido da comunidade que permite estabelecer aquela confiança fundamental que está na base de todo o relacionamento humano. Nas Ilhas Maurício, observei como trabalham juntas «as várias religiões com as suas respetivas identidades, contribuindo para a paz social e recordando o valor transcendente da vida contra todo o tipo de reducionismo».[20] Confio que o entusiasmo que pude experimentar durante a viagem continue a concretizar-se em gestos de hospitalidade e em projetos capazes de promover a justiça social, evitando dinâmicas de fechamento.

Estendendo o olhar para outras partes do continente, dói constatar como continuam – particularmente no Burkina Faso, Mali, Níger e Nigéria – episódios de violência contra pessoas inocentes, entre as quais muitos cristãos perseguidos e mortos pela sua fidelidade ao Evangelho. Exorto a Comunidade Internacional a apoiar os esforços que estes países estão a fazer na luta para derrotar o flagelo do terrorismo, que está a cobrir de sangue partes cada vez mais extensas da África, bem como outras regiões do mundo. À luz destes acontecimentos, é necessário que se implementem estratégias que incluam intervenções não só no campo da segurança, mas também na redução da pobreza, na melhoria do sistema de saúde, no desenvolvimento e na assistência humanitária, na promoção da boa governança e dos direitos civis. Tais são os pilares dum real desenvolvimento social.

De igual modo, é preciso encorajar as iniciativas que promovem a fraternidade entre todas as expressões culturais, étnicas e religiosas do território, especialmente no Corno de África, nos Camarões e na República Democrática do Congo, onde persistem violências sobretudo nas regiões orientais do país. Os conflitos e as emergências humanitárias, agravadas pelas convulsões climáticas, aumentam o número dos deslocados e repercutem-se sobre as pessoas que já vivem em grave estado de pobreza. Muitos dos países atingidos por estas situações carecem de estruturas adequadas que permitam atender às necessidades daqueles que foram deslocados.

A propósito, gostaria de salientar aqui que, infelizmente, ainda não existe uma resposta internacional coerente para enfrentar o fenómeno do deslocamento interno, porque, em grande parte, o mesmo não possui uma definição internacional concorde, verificando-se dentro das fronteiras nacionais. O resultado é que os deslocados internos nem sempre recebem a proteção que merecem e dependem da capacidade de resposta e das políticas do Estado onde se encontram.

Recentemente, iniciou-se o trabalho do Painel de Alto Nível das Nações Unidas sobre Deslocamentos Internos, que espero possa favorecer a atenção e o apoio global aos deslocados, desenvolvendo recomendações concretas.

Nesta perspetiva, olho também para o Sudão, almejando que os seus cidadãos possam viver na paz e na prosperidade e colaborar no crescimento democrático e económico do país; para a República Centro-Africana, onde, em fevereiro passado, foi assinado um Acordo global para pôr termo a mais de cinco anos de guerra civil; e para o Sudão do Sul, que espero poder visitar no decurso deste ano e ao qual dediquei um dia de retiro no mês de abril passado com a presença dos líderes do país e a preciosa contribuição do Arcebispo de Cantuária, Sua Graça Justin Welby, e do ex-Moderador da Igreja Presbiteriana da Escócia, o Reverendo John Chalmers. Confio que aqueles que têm responsabilidades políticas continuem o diálogo, com a ajuda da Comunidade Internacional, para implementar os acordos alcançados.

A última viagem do ano findo foi ao leste da Ásia. Na Tailândia, pude constatar a harmonia gerada pelos numerosos grupos étnicos que constituem o país, com a sua diversidade filosófica, cultural e religiosa. Trata-se dum apelo importante no contexto atual da globalização, que tende a amolgar as diferenças e considerá-las primariamente em termos económicos e financeiros, com o risco de apagar as notas essenciais que caraterizam os vários povos.

Finalmente, no Japão, experimentei o sofrimento e o horror que nós, seres humanos, somos capazes de nos infligir.[21] Ouvindo os testemunhos de alguns hibakusha – os sobreviventes aos bombardeamentos atómicos de Hiroxima e Nagasáqui –, pareceu-me evidente que não se pode construir uma verdadeira paz sobre a ameaça duma possível aniquilação total da humanidade provocada pelas armas nucleares. Os hibakusha «mantêm viva a chama da consciência coletiva, testemunhando às sucessivas gerações o horror daquilo que aconteceu em agosto de 1945 e os sofrimentos indescritíveis que se seguiram até aos dias de hoje. Assim, o seu testemunho aviva e preserva a memória das vítimas, para que a consciência humana se torne cada vez mais forte contra toda a vontade de domínio e destruição»,[22] especialmente a provocada por armas de tão grande força destruidora como as nucleares. Estas não só fomentam um clima de medo, desconfiança e hostilidade, mas destroem também a esperança. O seu uso é imoral, «um crime não só contra o homem e a sua dignidade, mas também contra toda a possibilidade de futuro na nossa casa comum».[23]

Um mundo sem armas nucleares «é possível e necessário»,[24] e é tempo que se tornem cientes disto mesmo quantos têm responsabilidades políticas, porque não é a posse dissuasora de poderosos meios de destruição de massa que torna o mundo mais seguro, mas o trabalho paciente de todas as pessoas de boa vontade que se dedicam concretamente, cada uma na sua própria área, a construir um mundo de paz, solidariedade e respeito mútuo.

O ano 2020 oferece uma oportunidade importante neste sentido, porque, de 27 de abril a 22 de maio, realizar-se-á em Nova Iorque a X Conferência de Revisão do Tratado de Não Proliferação de Armas Nucleares. Almejo vivamente que a Comunidade Internacional consiga, em tal ocasião, encontrar um consenso final e proativo sobre as modalidades de implementação deste instrumento jurídico internacional, que se revela ainda mais importante num momento como o atual.

No termo da resenha dos lugares que pisei durante o ano findo, quero dirigir uma saudação particular a um país que não visitei, ou seja, a Austrália, duramente flagelada nos últimos meses por persistentes incêndios, cujos efeitos se fizeram sentir também noutras regiões da Oceânia. Ao povo australiano, especialmente às vítimas e a quantos vivem nas regiões atingidas pelos fogos, desejo certificá-los da minha proximidade e oração.

Excelências, Senhoras e Senhores!

Este ano, a Comunidade Internacional comemora o 75º aniversário de fundação das Nações Unidas. Na sequência das tragédias experimentadas nas duas Guerras Mundiais, quarenta e seis países deram vida – com a Carta das Nações Unidas, assinada em 26 de junho de 1945 – a uma nova forma de colaboração multilateral. As quatro finalidades da Organização, delineadas no artigo 1 da Carta, permanecem válidas ainda hoje e podemos dizer que o serviço das Nações Unidas nestes 75 anos foi, em grande parte, um sucesso, especialmente para evitar outra guerra mundial. Os princípios fundantes da Organização – o desejo de paz, a busca da justiça, o respeito pela dignidade da pessoa, a cooperação humanitária e a assistência – traduzem as justas aspirações do espírito humano e constituem os ideais que deveriam guiar as relações internacionais.

Neste aniversário, queremos reafirmar o propósito de toda a família humana trabalhar pelo bem comum, como critério de orientação da ação moral e perspetiva que deve comprometer cada país a colaborar para garantir a existência e a segurança na paz de cada um dos outros Estados, num espírito de igual dignidade e efetiva solidariedade, no contexto dum ordenamento jurídico baseado na justiça e na busca de compromissos équos.[25]

Tal ação será tanto mais eficaz quanto mais procurarmos superar aquela surtida transversal, presente na linguagem e nos atos dos organismos internacionais, que visa ligar os direitos fundamentais a situações contingentes, esquecendo que os mesmos estão intrinsecamente fundados na própria natureza do ser humano. Quando começa a faltar, no léxico das organizações internacionais, uma ancoragem clara à realidade objetiva, existe o risco de favorecer, não a aproximação, mas o afastamento dos membros da Comunidade Internacional, com a consequente crise do sistema multilateral que está, tristemente, à vista de todos. Neste contexto, resulta urgente retomar o percurso para uma reforma geral do sistema multilateral, a partir do sistema onusiano, que o torne mais eficaz, tendo na devida consideração o contexto geopolítico atual.

Queridos Embaixadores!

Chegados à conclusão destas reflexões, desejo mencionar ainda duas efemérides – aparentemente alheias ao nosso encontro hodierno – que terão lugar este ano. A primeira são os 500 anos da morte de Rafael Sanzio, o grande artista de Urbino, que morreu em Roma no dia 6 de abril de 1520. Devemos a Rafael um enorme património de beleza inestimável. Tal como o génio do artista sabe compor de maneira harmoniosa materiais toscos, cores e sons diferentes, tornando-os parte duma única obra de arte, assim também a diplomacia é chamada a harmonizar as peculiaridades dos vários povos e Estados para construir um mundo de justiça e paz, que é o belo quadro que gostaríamos de poder admirar.

Rafael foi um filho importante duma época – o Renascimento –, que enriqueceu toda a humanidade; uma época, não isenta de dificuldades, mas animada pela confiança e a esperança. Através deste artista insigne, desejo fazer chegar os mais calorosos votos ao povo italiano, a quem almejo descobrir aquele espírito de abertura ao futuro que caraterizou o Renascimento e que tornou esta península tão bela e rica de arte, história e cultura.

Um dos temas preferidos da pintura de Rafael era Maria. A Ela, dedicou numerosas pinturas, que hoje se podem admirar em vários museus do mundo. Para a Igreja Católica, este ano marca o septuagésimo aniversário da proclamação dogmática da Assunção da Virgem Maria ao Céu. Com o olhar posto em Maria, desejo dirigir uma saudação particular a todas as mulheres, 25 anos depois da IV Conferência Mundial das Nações Unidas sobre a Mulher, realizada em Pequim no ano de 1995, com votos de que em todo o mundo se reconheça cada vez mais o precioso papel das mulheres na sociedade e cessem todas as formas de injustiça, desigualdade e violência contra elas. «Toda a violência infligida à mulher é profanação de Deus».[26] A violência exercida contra uma mulher ou a sua exploração não é um simples reato; é um crime que destrói a harmonia, a poesia e a beleza que Deus quis dar ao mundo.[27]

A Assunção de Maria convida-nos a olhar ainda mais além, para a conclusão do nosso caminho terreno, para o dia em que serão totalmente restabelecidas a justiça e a paz. Deste modo sentimo-nos encorajados – através da diplomacia, que é a nossa tentativa humana, imperfeita mas sempre preciosa – a trabalhar zelosamente para antecipar os frutos deste desejo de paz, sabendo que a meta é possível. Com este compromisso, renovo a todos vós, queridos Embaixadores e ilustres convidados aqui reunidos, e aos vossos países, os meus votos cordiais de um novo ano cheio de esperança e repleto de bênçãos.

Obrigado!

_____________________

[1] Cf. Francisco, Mensagem para o LIII Dia Mundial da Paz (8/XII/2019), 1.
[2]
Ibid., 1.
[3]
Cf. Francisco, Encontro com as Autoridades, o Corpo Diplomático e representantes da sociedade civil (Panamá 24/I/2019).
[4]
Cf. Francisco, Carta ap. Motu Proprio Vos estis lux mundi (7/V/2019).
[5]
Francisco, Mensagem para o lançamento do Pacto Educativo (12/IX/2019).
[6]
Cf. ibidem.
[7]
Angelus (Les Combes 17/VII/2005).
[8]
Francisco, Carta enc. Laudato si’ (24/V/2015), 13.
[9]
Francisco, Mensagem para o LIII Dia Mundial da Paz (8/XII/2019), 4.
[10]
Sínodo dos Bispos – Assembleia Especial para a Região Pan-Amazónica, Documento final «Amazónia: Novos Caminhos para a Igreja e para uma Ecologia Integral» (26/X/2019), 2.
[11]
Documento sobre a Fraternidade Humana em prol da paz mundial e da convivência comum (Abu Dhabi 4/II/2019).
[12]
Ibidem.
[13]
Cf. ibidem.
[14]
Apelo de Sua Majestade o Rei Mohammed VI e de Sua Santidade Papa Francisco sobre Jerusalém /Al Qods Cidade Santa e Lugar de Encontro (Rabat 30/III/2019).
[15]
Cf. ibidem.
[16]
Francisco, Angelus (5/I/2020).
[17]
Cf. Francisco, Discurso no Parlamento Europeu (Estrasburgo 25/XI/2014).
[18]
Carta enc. Pacem, Dei munus pulcherrimum (23/V/1920).
[19]
Cf. Saudação na Cidade da Amizade – Akamasoa (Antananarivo 8/IX/2019).
[20]
Francisco, Discurso às Autoridades, aos representantes da sociedade civil e ao Corpo Diplomático (Port Louis 9/IX/2019).
[21]
Cf. Discurso sobre as Armas Nucleares (Nagasáqui 24/XI/2019).
[22]
Francisco, Mensagem para o LIII Dia Mundial da Paz (8/XII/2019), 2.
[23]
Idem, Discurso no Encontro em prol da Paz (Hiroxima 24/XI/2019).
[24]
Idem, Discurso sobre as Armas Nucleares (Nagasáqui 24/XI/2019).
[25]
Cf. João XXIII, Carta enc. Pacem in terris (11/IV/1963), 54 [118].
[26]
Francisco, Homilia na Solenidade de Santa Maria Mãe de Deus e no LIII Dia Mundial da Paz (1/I/2020).
[27]
Cf. Francisco, A mulher é a harmonia do mundo. Alocução da Missa matutina na Capela da Domus Sanctæ Marthæ (9/II/2017).

[00035-PO.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Ekscelencje, Panie i Panowie,

Rozpoczyna się nowy rok i, jak kwilenie nowo narodzonego dziecka, zaprasza nas do radości i do przyjęcia postawy nadziei. Chciałbym, aby to słowo - nadzieja - które dla chrześcijan jest cnotą podstawową, ożywiało spojrzenie, z jakim wchodzimy w oczekujący nas czas.

Oczywiście nadzieja wymaga realizmu. Wymaga świadomości wielu problemów, które trapią naszą epokę i wyzwań pojawiających się na horyzoncie. Wymaga nazwania problemów po imieniu i odwagi, aby się z nimi zmierzyć. Domaga się, aby nie zapominać, że wspólnota ludzka nosi znaki i rany wojen, które następowały jedna po drugiej, z coraz większą zdolnością niszczycielską, a które nieustannie uderzają zwłaszcza w najuboższych i najsłabszych[1]. Niestety, nowy rok nie wydaje się układać w konstelacji znaków podnoszących na duchu, ale raczej narastającego napięcia i przemocy.

To właśnie w świetle tych okoliczności nie możemy tracić nadziei. A nadzieja wymaga odwagi. Wymaga świadomości, że zło, cierpienie i śmierć nie zwycięży, i że nawet z najbardziej skomplikowanymi problemami możemy i musimy się zmierzyć i je rozwiązać. Nadzieja „jest cnotą, która każe nam wyruszyć w drogę, daje nam skrzydła, by iść naprzód, nawet gdy przeszkody wydają się nie do pokonania”[2].

W tym duchu witam was dzisiaj, drodzy ambasadorowie, aby złożyć wam moje najlepsze życzenia na nowy rok. Szczególnie dziękuję dziekanowi korpusu dyplomatycznego, Jego Ekscelencji panu George’owi Poulidesowi, ambasadorowi Cypru, za serdeczne słowa, które skierował do mnie w imieniu was wszystkich i jestem wam wdzięczny za tak liczną i znaczącą obecność oraz za zaangażowanie, jakie codziennie dedykujcie na rzecz umacniania relacji łączących Stolicę Apostolską z waszymi krajami i organizacjami międzynarodowymi, z korzyścią dla pokojowego współistnienia narodów.

Pokój i integralny rozwój człowieka są istotnie głównym celem Stolicy Apostolskiej w sferze jej zaangażowania dyplomatycznego. Ku nim skierowane są wysiłki Sekretariatu Stanu i Dykasterii Kurii Rzymskiej, a także przedstawicieli papieskich, którym dziękuję za poświęcenie, z jakim wypełniają podwójną, powierzoną im misję, by reprezentować papieża, zarówno wobec Kościołów lokalnych, jak i wobec waszych rządów.

W tę perspektywę wpisują się również umowy o charakterze ogólnym, podpisane lub ratyfikowane w ubiegłym roku, z Demokratyczną Republiką Konga, drogą Republiką Środkowo­afrykań­ską, Burkina Faso i Angolą, a także umowa między Stolicą Apostolską a Republiką Włoską dotycząca stosowania konwencji lizbońskiej w sprawie uznawania kwalifikacji związanych z uzyskiwaniem wyższego wykształcenia w regionie europejskim.

Również podróże apostolskie, oprócz tego, że są uprzywilejowa­nym sposobem, w jaki Następca Apostoła Piotra umacnia braci w wierze, są też okazją do promowania dialogu na poziomie politycznym i religijnym. W 2019 roku miałem okazję odwiedzić kilka znaczących rzeczywistości. Chciałbym wraz z wami ponownie przemierzyć poczynione etapy, korzystając z tej okazji do szerszego spojrzenia na niektóre kwestie problematyczne naszych czasów.

Na początku ubiegłego roku, z okazji 34. Światowego Dnia Młodzieży, spotkałem w Panamie ludzi młodych z pięciu kontynentów, pełnych marzeń i nadziei, którzy tam przybyli, by się modlić i ożywić pragnienie i zaangażowanie w tworzenie świata bardziej ludzkiego[3]. Możliwość spotkania się z młodzieżą jest zawsze radością i wspaniałą szansą. Jest ona przyszłością i nadzieją naszych społeczeństw, ale także teraźniejszością.

Niestety dobrze wiemy, że niemało dorosłych, w tym różnych duchownych, było odpowiedzialnych za bardzo poważne przestępstwa przeciwko godności osób młodych, dzieci i małoletnich, naruszające ich niewinność i intymność. Są to przestępstwa, które obrażają Boga, powodują w ofiarach urazy fizyczne, psychiczne i duchowe oraz szkodzą życiu całych wspólnot[4]. Po spotkaniu z episkopatami z całego świata, które zwołałem w Watykanie, w lutym ubiegłego roku, Stolica Apostolska ponawia swoje wysiłki, by zostały naświetlone popełnione nadużycia i zapewniona ochrona małoletnich poprzez szeroki zakres norm umożliwiających rozpatrywanie tych spraw w kontekście prawa kanonicznego i poprzez współpracę z władzami cywilnymi na szczeblu lokalnym i międzynarodowym.

W obliczu tak poważnych krzywd jeszcze bardziej pilne jest to, aby dorośli nie rezygnowali z przynależnego im zadania wychowawczego, a raczej podejmowali to działanie z większą gorliwością, aby doprowadzić młodych do dojrzałości duchowej, ludzkiej i społecznej.

Z tego powodu zamierzam promować światowe wydarzenie 14 maja, którego tematem będzie Odbudowa globalnego paktu wychowawczego. Chodzi o spotkanie mające na celu „ożywienie zaangażowania na rzecz młodych pokoleń i wraz z młodymi pokoleniami, odnawiając pasję skierowaną na edukację bardziej otwartą i integrującą, zdolną do cierpliwego słuchania, konstruktywnego dialogu i wzajemnego zrozumienia. Nigdy wcześniej nie było tak wielkiej potrzeby łączenia wysiłków w ramach szerokiego przymierza edukacyjnego, w celu kształtowania osób dojrzałych, zdolnych do przezwyciężenia rozdrobnienia i przeciwieństw oraz do odbudowania sieci relacji na rzecz ludzkości bardziej braterskiej”[5].

Każda przemiana, podobnie jak ta epokowa, którą przeżywamy, wymaga procesu edukacyjnego, zbudowania wioski edukacyjnej[6], która zrodziłaby sieć ludzkich i otwartych relacji. Taka wioska musi postawić w centrum osobę, sprzyjać kreatywności i odpowiedzialności za długoterminowe planowanie oraz formować osoby gotowe służyć wspólnocie.

Dlatego potrzeba koncepcji edukacji, która obejmowałby szeroki zakres doświadczeń życiowych i procesów uczenia się, oraz która dałaby ludziom młodym możliwość indywidualnie i zbiorowo rozwijać swoje osobowości. Edukacja nie kończy się w salach lekcyjnych szkół lub aulach uniwersytetów, ale jest zapewniona głównie poprzez poszanowanie i umacnianie podstawowego prawa rodziny do wychowania oraz prawa Kościołów i grup społecznych do wspierania rodzin i współpracy z rodzinami w wychowaniu dzieci.

Edukacja wymaga nawiązania szczerego i rzetelnego dialogu z młodymi. To przede wszystkim oni nawołują nas do pilnej troski o tę międzypokoleniową solidarność, której niestety brakowało w minionych latach. Istotnie w wielu częściach świata istnieje skłonność do zamykania się w sobie, do chronienia swoich nabytych praw i przywilejów; do pojmowania świata w ograniczonej perspektywie, która obojętnie traktuje osoby starsze, a przede wszystkim nie oferuje już miejsca dla rodzącego się życia. Ukazuje to wymownie i smutno ogólne starzenie się części populacji światowej, szczególnie na Zachodzie.

Jeśli z jednej strony nie wolno nam zapominać, że ludzie młodzi czekają na słowo i przykład dorosłych, to jednocześnie musimy pamiętać, że mają oni wiele do zaoferowania ze swoim entuzjazmem, zaangażowaniem i pragnieniem prawdy, poprzez które stale przypominają nam o tym, że nadzieja nie jest utopią, a pokój jest dobrem zawsze możliwym.

Widzieliśmy to w sposobie, w jaki wielu młodych stara się uwrażliwić przywódców politycznych na kwestię zmian klimatycznych. Troska o nasz wspólny dom musi być troską wszystkich, a nie przedmiotem konfrontacji ideologicznej między różnymi wizjami rzeczywistości, a tym mniej między pokoleniami, ponieważ, jak przypomniał Benedykt XVI „w kontakcie z przyrodą człowiek widzi siebie we właściwych proporcjach, odkrywa, że jest stworzeniem, małym a zarazem wyjątkowym, «zdolnym odkryć Boga», ponieważ jego duch otwarty jest na Nieskończoność”[7]. Nie można zatem opieki nad miejscem, które zostało nam dane przez Stwórcę do życia, lekceważyć ani sprowadzać do problematyki elitarnej. Ludzie młodzi mówią nam, że tak nie może być, ponieważ na wszystkich poziomach istnieje pilne wyzwanie, by chronić nasz wspólny dom i „zjednoczyć całą rodzinę ludzką w poszukiwaniu zrównoważonego i integralnego rozwoju”[8]. Przypominają nam o pilnej potrzebie nawrócenia ekologicznego, które „należy rozumieć w sposób integralny, jako przekształcenie relacji utrzymywanych z naszymi siostrami i braćmi, z innymi istotami żywymi, ze stworzeniem w jego niezwykle bogatej różnorodności, ze Stwórcą, który jest źródłem wszelkiego życia”[9].

Niestety pilna potrzeba tego nawrócenia ekologicznego nie wydaje się być przyswojona przez politykę międzynarodową, której reakcja na problemy związane z zagadnieniami globalnymi, takimi jak zmiany klimatyczne, jest nadal bardzo słaba i stanowi źródło poważnego zaniepokojenia. XXV Sesja Konferencji Stron Ramowej Konwencji Narodów Zjednoczonych w sprawie zmian klimatu (COP 25), która odbyła się w Madrycie w grudniu ubiegłego roku, stanowi poważny dzwonek alarmowy co do woli wspólnoty międzynarodowej, aby mądrze i skutecznie zająć się zjawiskiem globalnego ocieplenia, wymagającego reakcji zbiorowej, zdolnej sprawić, aby dobro wspólne przeważyło nad interesami partykularnymi.

Rozważania te zwracają ponownie naszą uwagę na Amerykę Łacińską, w szczególności na Zgromadzenie Specjalne Synodu Biskupów dla Regionu Amazonii, które odbyło się w Watykanie w październiku ubiegłego roku. Synod był wydarzeniem zasadniczo kościelnym, pragnącym wysłuchać nadziei i wyzwań Kościoła w Amazonii oraz otworzyć nowe drogi dla głoszenia Ewangelii Ludowi Bożemu, zwłaszcza rdzennej ludności. Jednak zgromadzenie synodalne nie mogło nie dotknąć innych kwestii, poczynając od ekologii integralnej, która dotyczy życia tego regionu, tak ogromnego i ważnego dla całego świata, ponieważ „Puszcza Amazonii jest «biologicznym sercem» ziemi i jest ona coraz bardziej zagrożona”[10].

Oprócz sytuacji w regionie Amazonii, obawy budzi nasilenie się kryzysów politycznych w coraz większej liczbie krajów kontynentu amerykańskiego, z napięciami i nietypowymi formami przemocy, które zaostrzają konflikty społeczne i rodzą poważne następstwa społeczno-gospodarcze i humanitarne. Coraz silniejsza polaryzacja nie pomaga rozwiązać rzeczywistych i pilnych problemów obywateli, zwłaszcza najuboższych i najbardziej bezbronnych, ani tym bardziej przemoc, która w żadnym przypadku nie może być stosowana jako narzędzie rozwiązywania kwestii politycznych i społecznych. Chciałbym tutaj przypomnieć szczególnie Wenezuelę, aby nie słabły starania w poszukiwaniu rozwiązań.

Ogólnie rzecz biorąc, choć konflikty w regionie amerykańskim mają różne korzenie, ich elementem wspólnym są głębokie nierówności i swoista korupcja, a także różne formy ubóstwa, obrażające godność osób. Trzeba zatem, aby przywódcy polityczni pilnie starali o przywrócenie kultury dialogu na rzecz dobra wspólnego oraz o umocnienie instytucji demokratycznych i promowanie poszanowania państwa prawa, aby zapobiec następstwom niedemokratycznym, populistycznym i ekstremistycznym.

Podczas mojej drugiej podróży w 2019 r., udałem się do Zjednoczonych Emiratów Arabskich z pierwszą wizytą Następcy Piotra na Półwyspie Arabskim. W Abu Zabi podpisałem Dokument o ludzkim braterstwie dla pokoju światowego i współistnienia z Wielkim Imamem Al-Azhar Ahmadem Al-Tayyebem. Jest to ważny tekst, którego celem jest promowanie wzajemnego zrozumienia między chrześcijanami a muzułmanami oraz współistnienia w coraz bardziej wieloetnicznych i wielokulturowych społeczeństwach, ponieważ zdecydowanie potępia używanie „imienia Boga dla usprawiedliwiania zabójstw, eksterminacji, terroryzmu oraz ucisku”[11], przypomina o znaczeniu pojęcia obywatelstwa, które „opiera się na równości praw i obowiązków, zgodnie z którymi wszyscy korzystają ze sprawiedliwości”[12]. Wymaga to poszanowania wolności religijnej oraz podjęcia wysiłków, aby porzucić dyskryminujące użycie terminu mniejszości, niosącego ze sobą zalążek poczucia izolacji i niższości, torujący drogę do wrogości i niezgody, dyskryminując obywateli w oparciu o przynależność religijną[13]. W tym celu szczególnie ważne jest formowanie przyszłych pokoleń do dialogu międzyreligijnego, jako głównej drogi do poznania, zrozumienia i wzajemnego wsparcia między osobami należącymi do różnych religii.

Pokój i nadzieja znajdowały się również w centrum mojej wizyty w Maroku, gdzie wraz z Jego Wysokością Królem Mahometem VI podpisałem wspólny apel odnośnie do Jerozolimy, „uznając wyjątkowy i święty charakter Jerozolimy / Al Qods Acharif i głęboko zatroskani o jej znaczenie duchowe oraz szczególne powołanie jako miasta pokoju”[14]. A z Jerozolimy, miasta drogiego dla wiernych trzech religii monoteistycznych, powołanego, by być symbolem spotkania i pokojowego współistnienia, w którym pielęgnowany jest wzajemny szacunek i dialog[15], moje myśli ogarniają całą Ziemię Świętą, aby przypomnieć jak pilnie jest, aby cała wspólnota międzynarodowa odważnie i szczerze oraz przy poszanowaniu prawa międzynarodowego potwierdziła swoje starania o wsparcie  izraelsko-palestyńskiego procesu pokojowego.

Większe i bardziej skuteczne zaangażowanie ze strony wspólnoty międzynarodowej jest pilniejsze niż kiedykolwiek w innych częściach regionu Morza Śródziemnego i Bliskiego Wschodu. Mam na myśli przede wszystkim zasłonę milczenia, jaka grozi ukrywaniem wojny, która w ciągu minionej dekady spustoszyła Syrię. Szczególnie pilne jest znalezienie odpowiednich i dalekowzrocznych rozwiązań, które pozwoliłyby drogiemu narodowi syryjskiemu, wyczerpanemu wojną, odnaleźć pokój i podjąć odbudowę kraju. Stolica Apostolska z zadowoleniem przyjmuje wszelką inicjatywę mającą na celu stworzenie podstaw dla rozwiązania konfliktu i raz jeszcze wyraża wdzięczność dla Jordanii i Libanu za przyjęcie i podjęcie z wielkim poświęceniem tysięcy uchodźców syryjskich. Niestety, oprócz trudu spowodowanego przyjęciem, inne czynniki niepewności gospodarczej i politycznej, w Libanie i w innych państwach, powodują napięcia wśród ludności, zagrażając kruchej stabilności Bliskiego Wschodu.

Szczególnie niepokojące są wygnały, które docierają z całego regionu, w następstwie wzrostu napięcia pomiędzy Iranem i Stanami Zjednoczonymi, a które stanowią ryzyko wystawienia na ciężką próbę powolnego procesu odbudowy Iraku, jak też tworzenia podstaw do konfliktu na szerszą skalę, któremu wszyscy chcielibyśmy zażegnać. Ponawiam zatem mój apel, aby wszystkie zainteresowane strony zaniechały eskalacji napięcia i podtrzymywały „zapaloną pochodnię dialogu i samokontroli”[16], z pełnym poszanowaniem prawodawstwa międzynarodowego.

Moje myśli dotyczą również Jemenu, który przeżywa jeden z najpoważniejszych kryzysów humanitarnych w dziejach najnowszych, w atmosferze ogólnej obojętności wspólnoty międzynarodowej, oraz Libii, która od wielu lat doświadcza konfliktu, pogłębianego przez wtargnięcia grup ekstremistycznych i przez kolejne narastanie przemocy w ciągu ostatnich dni. Taka sytuacja jest podatnym gruntem dla plagi wyzysku i handlu ludźmi, podsycanej przez ludzi pozbawionych skrupułów, wykorzystujących ubóstwo i cierpienie osób uciekających przed sytuacjami konfliktu lub skrajnego ubóstwa. Wiele z nich pada ofiarą prawdziwych mafii, które przetrzymują ich w nieludzkich i poniżających warunkach i narażają na tortury, przemoc seksualną, szantaż.

Zasadniczo należy stwierdzić, że na świecie są tysiące osób, które mają uzasadnione wnioski o azyl i możliwe do zweryfikowania potrzeby humanitarne i wymagania ochrony, które nie zostają należycie określone. Wielu ryzykuje życie podczas niebezpiecznych podróży lądowych, a zwłaszcza morskich. Z bólem wciąż obserwujemy, że Morze Śródziemne pozostaje wielkim cmentarzem[17]. Dlatego jest coraz bardziej pilne, by wszystkie państwa wzięły na siebie odpowiedzialność za znalezienie trwałych rozwiązań.

Stolica Apostolska ze swej strony z wielką nadzieją patrzy na wysiłki wielu krajów zmierzające do podziału ciężaru przesiedleń i zapewnienia uchodźcom, zwłaszcza z humanitarnych sytuacji kryzysowych, bezpiecznego miejsca zamieszkania, edukacji, a także możliwości pracy i połączeni się ze swoimi rodzinami.

Drodzy Ambasadorowie,

Podczas zeszłorocznych podróży miałem również okazję stanąć na ziemi trzech krajów Europy Wschodniej, najpierw docierając do Bułgarii i Macedonii Północnej, a następnie do Rumunii. Są to trzy kraje różniące się między sobą, choć łączy je fakt, że przez stulecia były pomostami między Wschodem a Zachodem oraz skrzyżowaniem różnych kultur, grup etnicznych i cywilizacji. Odwiedzając je, mogłem po raz kolejny doświadczyć, jak ważny jest dialog i kultura spotkania, aby budować pokojowe społeczeństwa, w których każdy może swobodnie wyrażać swoją przynależność etniczną i religijną.

Pozostając w kontekście europejskim, chciałbym przywołać wagę wspierania dialogu i poszanowania prawodawstwa międzynarodowego dla zażegnania „zamrożonych konfliktów”, które wciąż trwają na kontynencie, niektóre już od dziesięcioleci, a które wymagają rozwiązania, począwszy od sytuacji dotyczących zachodnich Bałkanów i południowego Kaukazu, w tym Gruzji. W tym miejscu, chciałbym również wyrazić wsparcie ze strony Stolicy Apostolskiej dla negocjacji zmierzających do zjednoczenia Cypru, które wzmogłyby regionalną współpracę, sprzyjając stabilizacji całego obszaru śródziemnomorskiego, jak też uznanie dla prób rozwiązania konfliktu we wschodniej Ukrainie i położenia kresu cierpieniom ludności.

Dialog - a nie broń - jest istotnym narzędziem rozwiązywania sporów. W związku z tym chciałbym tu wspomnieć o wkładzie wniesionym, na przykład, na Ukrainie przez Organizację Bezpieczeństwa i Współpracy w Europie (OBWE), zwłaszcza w tym roku, kiedy przypada 45.rocznica Aktu Końcowego z Helsinek, który był zwieńczeniem Konferencji Bezpieczeństwa i Współpracy w Europie (KBWE), a która rozpoczęła się w 1973 r., by zachęcić do odprężenia i współpracy między krajami Europy Zachodniej i Europy Wschodniej, kiedy kontynent był jeszcze podzielony żelazną kurtyną. Był to ważny etap procesu rozpoczętego na ruinach drugiej wojny światowej, a który postrzegał w  konsensusie i dialogu istotne narzędzie rozwiązywania sporów.

Już w 1949 r. w Europie Zachodniej, wraz z utworzeniem Rady Europy i następnie przyjęciem Europejskiej konwencji praw człowieka, ustanowiono podstawy procesu integracji europejskiej, którego filarem podstawowym była deklaracja ówczesnego francuskiego ministra spraw zagranicznych Roberta Schumana, z 9 maja 1950 r.. Schuman mówił, że „pokój na świecie nie mógłby być zachowany bez twórczych wysiłków na miarę grożących mu niebezpieczeństw”. Ojcowie założyciele współczesnej Europy mieli świadomość, że kontynent będzie mógł odbudować się po zniszczeniach wojennych i nowych podziałach i że będzie je można przezwyciężyć jedynie w stopniowym procesie dzielenia się ideałami i zasobami.

Od pierwszych lat Stolica Apostolska z zainteresowaniem przyglądała się projektowi europejskiemu. Przypomnijmy, że w tym roku przypada 50.rocznica obecności Stolicy Apostolskiej jako obserwatora w Radzie Europy, a także nawiązania stosunków dyplomatycznych z ówczesną Wspólnotą Europejską. Mówimy o zainteresowaniu, które pragnie podkreślić ideę konstrukcji integrującej, ożywianej duchem uczestnictwa i solidarności, zdolnej do uczynienia z Europy wzoru gościnności i sprawiedliwości społecznej, pod znakiem tych wspólnych wartości, które leżą u jej podstaw. Projekt europejski nadal stanowi podstawową gwarancję rozwoju dla tych, którzy do niego należą od dawana, a także szansę pokoju, po burzliwych konfliktach i rozdarciach, dla tych krajów, które aspirują, by w nim uczestniczyć.

Europa niech zatem nie zatraci poczucia solidarności, które wyróżniało ją od stuleci, nawet w najtrudniejszych chwilach jej dziejów. Niech nie utraci tego ducha, który ma swoje korzenie między innymi w rzymskiej pietas i chrześcijańskiej caritas, dobrze opisujących duszę narodów europejskich. Pożar katedry Notre Dame w Paryżu ukazał, jak bardzo jest kruche i łatwe do zniszczenia nawet to, co wydaje się solidne. Szkody wyrządzone budowli drogiej nie tylko katolikom, ale znaczącej dla całej Francji i dla całej ludzkości, ożywiły temat europejskich wartości historycznych i kulturowych oraz korzeni, na których są oparte. W sytuacji, w której brakuje wartości stanowiących punkt odniesienia, łatwiej jest znaleźć elementy podziału niż spójności.

Trzydziesta rocznica upadku muru berlińskiego ukazała nam jeden z najbardziej rozdzierających symboli najnowszej historii kontynentu, przypominając, jak łatwo budować przeszkody. Mur berliński pozostaje symbolem kultury dzielenia, która oddala ludzi od siebie i toruje drogę ekstremizmowi i przemocy. Widzimy to coraz częściej w języku nienawiści szeroko stosowanym w internecie i w mediach społecznościowych. Od barier nienawiści wolimy mosty pojednania i solidarności, od tego, co oddala, wolimy to, co przybliża, będąc świadomymi, że „żaden pokój nie może się ostać (...) jeżeli równocześnie nie ucisza się nienawiści i niezgody, poprzez pojednanie oparte na wzajemnej miłości”[18], jak napisał sto lat temu mój poprzednik, Benedykt XV.

Drodzy Ambasadorowie,

Znaki pokoju i pojednania mogłem także widzieć podczas podróży do Afryki, gdzie wyraźnie jawi się radość tych, którzy wspólnie czują się ludem i zmagają się z codziennymi trudami w duchu dzielenia się. Doświadczyłem konkretności nadziei poprzez liczne krzepiące gesty, poczynając od dalszych postępów poczynionych w Mozambiku, wraz z podpisaniem umowy o ostatecznym zaprzestaniu działań wojennych 1 sierpnia ubiegłego roku.

Na Madagaskarze mogłem stwierdzić, że możliwe jest zbudowanie bezpieczeństwa tam, gdzie widać jedynie biedę, dostrzec nadzieję tam, gdzie był tylko fatalizm, widzieć życie tam, gdzie głoszono jedynie śmierć i zniszczenie[19]. W tym celu niezbędna jest rodzina i poczucie wspólnoty, co pozwala zbudować fundamentalne zaufanie, które jest podstawą każdej relacji międzyludzkiej. Na Mauritiusie zauważyłem, jak „różne religie, z ich własną tożsamością, współpracują ze sobą, aby przyczynić się do pokoju społecznego i przypomnieć transcendentalną wartość życia przeciwko wszelkiego rodzaju redukcjonizmom”[20]. Ufam, że entuzjazm, o którym mogłem przekonać się z bliska podczas tej podróży, będzie nadal stawał się konkretny w gestach gościnności oraz projektach zdolnych do promowania sprawiedliwości społecznej, unikając dynamik zamknięcia.

Ogarniając spojrzeniem inne części kontynentu z bólem trzeba stwierdzić, że nadal mają miejsce akty przemocy wobec niewinnych osób, szczególnie w Burkina Faso, Mali, Nigrze i Nigerii, w tym wobec wielu chrześcijan prześladowanych i zabijanych za swą wierność Ewangelii. Zachęcam wspólnotę międzynarodową do wsparcia wysiłków, jakie podejmują te kraje w walce, by przezwyciężyć plagę terroryzmu, która coraz bardziej plami krwią całe obszary Afryki, a także inne regiony świata. W świetle tych wydarzeń konieczne jest wdrożenie strategii obejmujących działania nie tylko w dziedzinie bezpieczeństwa, ale także na rzecz ograniczenia ubóstwa, poprawy systemu opieki zdrowotnej, rozwoju i pomocy humanitarnej, krzewienia dobrego zarządzania i praw obywatelskich. Są to fundamenty prawdziwego rozwoju społecznego.

Podobnie należy wspierać inicjatywy promujące braterstwo między wszystkimi formami wyrazu kulturowego, etnicznego i religijnego tego terenu, zwłaszcza w Rogu Afryki, Kamerunie, a także w Demokratycznej Republice Konga, gdzie szczególnie we wschodnich regionach kraju nadal trwa przemoc. Konflikty i kryzysy humanitarne, zaostrzane przez zawirowania klimatyczne, powiększają liczbę przesiedleńców i oddziałują na osoby, które już żyją w poważnym ubóstwie. W wielu krajach dotkniętych tymi sytuacjami brakuje odpowiednich struktur, które pozwoliłby zaspokoić potrzeby wysiedlonych.

W związku z tym chciałbym tutaj podkreślić, że niestety nadal nie ma spójnej międzynarodowej reakcji na zjawisko uchodźctwa wewnętrznego, ponieważ w znacznej mierze nie ma ono uzgodnionej definicji międzynarodowej, zachodząc w obrębie granic państwowych. W rezultacie uchodźcy wewnętrzni nie zawsze otrzymują ochronę, na jaką zasługują, i zależą od zdolności reagowania oraz polityki państwa, w którym się znajdują.

Niedawno rozpoczęły się prace Zespołu Wysokiego Szczebla ONZ ds. Przesiedleń Wewnętrznych, który, mam nadzieję, będzie sprzyjał wrażliwości i globalnemu wsparciu dla wysiedleńców, opracowując konkretne zalecenia.

W tej perspektywie spoglądam również na Sudan życząc, aby jego obywatele mogli żyć w pokoju i dobrobycie oraz współpracować w demokratycznym i gospodarczym rozwoju kraju; na Republikę Środkowoafrykańską, gdzie w lutym ubiegłego roku podpisano globalne porozumienie o zakończeniu trwającej pięć lat wojny domowej; i Sudan Południowy, który mam nadzieję odwiedzić w tym roku, a któremu poświęciłem dzień rekolekcji w kwietniu ubiegłego roku z udziałem przywódców tego kraju i cennym wkładem arcybiskupa Canterbury, Jego Ekscelencji Justina Welby i byłego moderatora szkockiego Kościoła prezbiteriańskiego, wielebnego Johna Chalmersa. Ufam, że z pomocą wspólnoty międzynarodowej osoby odpowiedzialne za działania polityczne będą kontynuować dialog w celu wdrożenia osiągniętych porozumień.

Ostatnia wizyta dopiero co zakończonego roku miała miejsce we Wschodniej Azji. W Tajlandii zobaczyłem harmonię wnoszoną przez liczne grupy etniczne tworzące ten kraj, z ich zróżnicowaniem filozoficznym, kulturowym i religijnym. Jest to ważne przypomnienie w obecnym kontekście globalizacji, która ma skłonność do niwelowania różnic i traktowania ich przede wszystkim pod względem ekonomicznym i finansowym, co grozi zlikwidowaniem charakterystycznych cech odróżniających poszczególne narody.

Wreszcie w Japonii dotknąłem cierpienia i koszmaru, jakie jesteśmy w stanie sobie zadać jako ludzie[21]. Słuchając świadectw niektórych Hibakusha, którzy przeżyli ataki atomowe w Hiroszimie i Nagasaki, zdało mi się jasne, że nie można zbudować prawdziwego pokoju na groźbie możliwej całkowitej zagłady ludzkości spowodowanej przez broń nuklearną. Hibakusha „podtrzymują płomień zbiorowej świadomości, świadcząc następnym pokoleniom o potworności tego, co wydarzyło się w sierpniu 1945 r. oraz o niewypowiedzianych cierpieniach, jakie po tym nastąpiły aż po dzień dzisiejszy. Ich świadectwo rozbudza i zachowuje w ten sposób pamięć o ofiarach, aby ludzkie sumienie stawało się coraz silniejsze w obliczu wszelkiej woli dominacji i zniszczenia”[22], zwłaszcza spowodowanego przez bomby o tak wysokim potencjale niszczącym, jak broń nuklearna. Nie tylko podsyca ona atmosferę strachu, nieufności i wrogości, ale niszczy nadzieję. Jej użycie jest niemoralne, jest „zbrodnią nie tylko przeciwko człowiekowi i jego godności, ale także przeciwko wszelkiej szansie na przyszłość w naszym wspólnym domu”[23].

Świat „świat bez broni nuklearnej jest możliwy i konieczny”[24], i nadszedł czas, aby osoby posiadające odpowiedzialność polityczną zdały sobie z tego w pełni sprawę, ponieważ to nie odstraszające posiadanie potężnych środków masowego rażenia czyni świat bezpieczniejszym, ale cierpliwa praca wszystkich osób dobrej woli, które poświęcają się konkretnie, każda w swojej dziedzinie, budowaniu świata pokoju, solidarności i wzajemnego szacunku.

Rok 2020 stanowi ważną szansę w tym kierunku, ponieważ w dniach 27 kwietnia - 22 maja odbędzie się w Nowym Jorku X Konferencja Przeglądowa Traktatu o nierozprzestrzenianiu broni jądrowej. Mam głęboką nadzieję, że przy tej okazji wspólnocie międzynarodowej uda się znaleźć ostateczny i proaktywny konsensus co do sposobu wdrożenia tego międzynarodowego instrumentu prawnego, który okazuje się jeszcze ważniejszy w obecnym czasie.

Kończąc zestawienie miejsc, do których dotarłem w minionym roku, chciałbym w sposób szczególny zwrócić moją myśl ku krajowi, którego nie odwiedziłem, ku Australii, poważnie dotkniętej w ostatnich miesiącach przez nieustające pożary, których skutki docierają do innych regionów Oceanii. Naród australijski, zwłaszcza ofiary i wszystkich, którzy znajdują się w rejonach doświadczanych przez pożary, chcę zapewnić o mojej bliskości i modlitwie.

Ekscelencje, Szanowni Państwo,

W tym roku wspólnota międzynarodowa upamiętnia 75.rocznicę założenia Organizacji Narodów Zjednoczonych. Po tragediach, doświadczonych w następstwie dwóch wojen światowych, wraz z Kartą Narodów Zjednoczonych podpisaną 26 czerwca 1945 r., czterdzieści sześć krajów zapoczątkowało nową formę wielostronnej współpracy. Cztery cele Organizacji, określone w art. 1 Karty, pozostają aktualne i możemy powiedzieć, że zaangażowanie ONZ w ciągu tych 75 lat było w dużej mierze sukcesem, zwłaszcza w uniknięciu kolejnej wojny światowej. Fundamentalne zasady Organizacji - pragnienie pokoju, dążenie do sprawiedliwości, poszanowanie godności osoby, współpraca i pomoc humanitarna - wyrażają słuszne aspiracje ludzkiego ducha i stanowią ideały, które powinny leżeć u podstaw stosunków międzynarodowych.

W tę rocznicę chcemy potwierdzić, że celem całej rodziny ludzkiej jest działanie na rzecz dobra wspólnego, jako kryterium orientacyjne działania moralnego i perspektywy, która powinna zmobilizować każde państwo do współpracy, aby zapewnić życie i bezpieczeństwo w pokoju każdemu innemu państwu, w duchu równej godności i skutecznej solidarności, w ramach systemu prawnego opartego na sprawiedliwości i poszukiwaniu sprawiedliwych kompromisów[25].

Takie działanie będzie tym skuteczniejsze, im bardziej będziemy próbowali przezwyciężyć to podejście międzysektorowe, stosowane w języku i aktach organów międzynarodowych, które dąży do powiązania praw podstawowych z sytuacjami wyjątkowymi, zapominając, że są one nieodłącznie związane z samą naturą człowieka. Tam, gdzie w słowniku organizacji międzynarodowych brakuje jasnego zakotwiczenia obiektywnego, istnieje niebezpieczeństwo sprzyjania odsunięciu, a nie zbliżeniu członków społeczności międzynarodowej, co w konsekwencji doprowadzi do kryzysu systemu wielostronnego, który niestety jest dla wszystkich widoczny. W tym kontekście wydaje się pilne wznowienie procesu w kierunku kompleksowej reformy systemu wielostronnego, poczynając od systemu ONZ, który uczyniłby ją bardziej skuteczną, mając na uwadze aktualny kontekst geopolityczny.

Drodzy Ambasadorowie,

Kończąc te refleksje, chciałbym wspomnieć o dwóch kolejnych rocznicach, przypadających w tym roku, pozornie niezwiązanych z dzisiejszym spotkaniem. Pierwsza to 500.rocznica śmierci Raffaello Sanzio, wielkiego artysty z Urbino, który zmarł w Rzymie 6 kwietnia 1520 r. Rafaelowi zawdzięczamy ogromne dziedzictwo bezcennego piękna. Podobnie jak geniusz artysty potrafi harmonijnie komponować materiały wyjściowe, różne kolory i dźwięki, czyniąc je częścią jednego arcydzieła, tak dyplomacja jest powołana do zharmonizowania właściwości różnych narodów i państw, aby zbudować świat sprawiedliwości i pokoju, który jest pięknym obrazem, jaki chcielibyśmy podziwiać.

Rafael był ważnym synem epoki renesansu, która ubogaciła całą ludzkość. Epoki nie wolnej od trudności, ale ożywianej ufnością i nadzieją. Za pośrednictwem tego wybitnego artysty pragnę przekazać moje najgorętsze życzenia narodowi włoskiemu, któremu życzę odkrycia tego ducha otwartości na przyszłość, jaki charakteryzował renesans i który uczynił ten półwysep tak pięknym i bogatym w sztukę, historię i kulturę.

Jednym z ulubionych tematów malarstwa Rafaela była Maryja. Poświęcił jej wiele obrazów, które można dziś podziwiać w różnych muzeach na całym świecie. Kościół katolicki obchodzi w tym roku 70. rocznicę ogłoszenia dogmatu o Wniebowzięciu Najświętszej Maryi Panny. Patrząc na Maryję, pragnę skierować szczególną myśl do wszystkich kobiet w 25 lat po IV Światowej Konferencji w sprawie Kobiet, która odbyła się w Pekinie w 1995 roku. Życzę, by na całym świecie coraz bardziej była uznawana cenna rola kobiet w społeczeństwie i by ustały wszelkie formy niesprawiedliwości, nierówne traktowanie i akty przemocy wobec nich. „Każda przemoc zadana kobiecie jest zbezczeszczeniem Boga zrodzonego z niewiasty”[26]. Stosowanie przemocy wobec kobiety lub wykorzystywanie jej nie jest zwykłym przestępstwem, jest zbrodnią, która niszczy harmonię, poezję i piękno, jakie Bóg chciał dać światu[27].

Wniebowzięcie Najświętszej Maryi Panny zachęca nas również do spojrzenia w dalszą drogę, ku wypełnieniu naszej ziemskiej pielgrzymki, do dnia, w którym zostaną w pełni przywrócone sprawiedliwość i pokój. Czujemy się tak zachęceni przez dyplomację, że naszym ludzkim usiłowaniem, niedoskonałym, ale wciąż cennym, jest gorliwa praca nad antycypacją owoców tego pragnienia pokoju, wiedząc, że osiągnięcie celu jest możliwe. Z tym zaangażowaniem składam wam wszystkim, drodzy Ambasadorowie i szanowni goście tu zebrani oraz waszym krajom, moje serdeczne życzenia na Nowy Rok bogaty nadzieją i błogosławieństwami.

Dziękuję!

__________________

[1] Por. Orędzie na 53 Światowy Dzień Pokoju, 8 grudnia 2019, 1.
[2] Tamże.
[3] Por. Spotkanie z przedstawicielami władz, społeczeństwa obywatelskiego i korpusu dyplomatycznego, Panama 24 stycznia 2019.
[4] Por. Motu proprio Vos estis lux mundi, 7 maja 2019.
[5] Przesłanie na inaugurację światowego paktu wychowawczego, 12 września 2019.
[6] Por. tamże.
[7] Anioł Pański, Les Combes, 17 lipca 2005.
[8] Por. enc. Laudato si’, 24 maja 2015, 13.
[9] Orędzie na 53 Światowy Dzień Pokoju, 8 grudnia 2019, 4.
[10] Dokument końcowy Synodu Biskupów dla Amazonii: „Nowe drogi dla Kościoła i ekologii integralnej”, 2.
[11] Dokument o ludzkim braterstwie dla pokoju światowego i współistnienia, Abu Zabi, 4 lutego 2019.
[12] Tamże.
[13] Por. tamże.
[14] Apel Jego Wysokości króla Mahommeda VI i Jego Świątobliwości Papieża Franciszka
odnośnie do Jerozolimy/ Al Qods, Miasta świętego i miejsca spotkania
. Rabat 30 marca 2019.
[15] Por. tamże.
[16] Anioł Pański, 5 stycznia 2020.
[17] Por. Przemówienie w Parlamencie Europejskim, Strasburg, 25 listopada 2014.
[18] BENEDYKT XV, Enc. Dei munus pulcherrimum, 23 maja 1920, 1.
[19] Por. Pozdrowienie w Mieście Przyjaźni - Akamsaoa, Antananarywa, 8 września 2019.
[20] Przemówienie do przedstawicieli władz, społeczeństwa obywatelskiego, korpusu dyplomatycznego, Port Louis, 9 września 2019.
[21] Por. Przemówienie o broni nuklearnej, Nagasaki, 24 listopada 2019 r.
[22] Orędzie na 53 Światowy Dzień Pokoju, 8 grudnia 2019, 2.
[23] Przemówienie podczas Sotkania na rzecz pokoju, Hiroszima, 24 listopada 2019.
[24] Przemówienie o broni nuklearnej, Nagasaki, 24 listopada 2019.
[25] Por. JAN XXIII. Enc. Pacem in terris, 11 kwietnia 1963, 54.
[26] Homilia w uroczystość Świętej Bożej Rodzicielki i na 53 Światowy Dzień Pokoju, 1 stycznia 2020.
[27] Por. Kobieta jest harmonią świata, Rozważanie poranne w kaplicy Domu Świętej Marty, 9 lutego 2017.

[00035-PL.02] [Testo originale: Italiano]

 

Traduzione in lingua araba

أصحاب السعادة، سيّداتي وسادتي،

يبدأ عام جديد أمامنا، مثل صرخة طفل حديث الولادة، ويدعونا إلى الفرح وإلى التحلّي بالرجاء. أودّ أن تحرك هذه الكلمة -الرجاء-، والتي هي فضيلة أساسية بالنسبة للمسيحيين، النظرةَ التي ندخل بها الزمنَ الذي ينتظرنا.

بالطبع يتطلّب الرجاء الواقعية. إنه يتطلّب الوعي للمسائل الكثيرة التي تؤثّر على عصرنا وبالتحدّيات الرابضة في الأفق. ويتطلّب أن نسمّي المشاكل باسمها وأن نتحلّى بالشجاعة لمواجهتها. إنه يتطلّب عدم نسيان أن البشرية تحمل علامات وجروح الحروب التي تعاقبت مع مرور الوقت وازدادت معه قدرتها التدميرية، والتي ما زالت تصيب بشكل خاصّ الفقراء والضعفاء[1]. ولسوء الحظ، إن العام الجديد لا يبدو مزينًا بعلامات مشجّعة، بل بتصاعد التوتّرات والعنف.

وليس باستطاعتنا في ضوء هذه الظروف بالتحديد التوقّف عن الرجاء، والرجاء يتطلّب الشجاعة. يتطلّب الإدراك بأن الشرّ والمعاناة والموت لن ينتصروا وأنه يمكن بل ويجب معالجة أكثر القضايا تعقيدًا وحلّها. الرجاء "هو الفضيلة التي تجعلنا ننطلق، وتعطينا أجنحة للمضيّ قدمًا، حتى عندما تبدو العقبات صعبة التخطّي"[2].

بهذه الشجاعة، أرحّب بكم اليوم، أيّها السفراء الأعزّاء، كي أقدّم لكم أطيب تمنّياتي للعام الجديد. أشكر بشكل خاص عميد السلك الدبلوماسي، سعادة السيّد جورج بوليدس، سفير قبرص، على التمنّيات الودّية التي وجهّها إليّ نيابةً عنكم جميعًا، وأشكركم على حضوركم، الكثيف والمهمّ، وعلى التزامكم اليوميّ بتوثيق العلاقات التي تربط بين الكرسي الرسولي وبلدانكم والمنظّمات الدولية لصالح التعايش السلميّ بين الشعوب.

إن السلام والتنمية البشرية المتكاملة هما في الواقع الهدف الرئيسي للكرسي الرسولي في سياق التزامه الدبلوماسي. وقد وُجِّهَت نحوهما جهودُ أمانة سرّ الكرسي الرسولي ودوائر الكوريا الرومانية، كما وأيضًا جهود السفراء البابويين، الذين أشكرهم على التفاني في المهمّة المزدوجة الموكّلة إليهم في تمثيلهم البابا، سواء مع الكنائس المحلّية أو تجاه حكوماتكم. 

إن الاتّفاقات العامّة الموقّعة أو المصدّق عليها خلال العام الماضي مع جمهورية الكونغو، وجمهورية أفريقيا الوسطى العزيزة، وبوركينا فاسو، وأنغولا، تندرج أيضًا في هذا المنظور، وكذلك الاتّفاق بين الكرسي الرسولي والجمهورية الإيطالية من أجل تطبيق اتّفاقية لشبونة بشأن الاعتراف بالشهادات الدراسية المتعلّقة بالتعليم العالي في المنطقة الأوروبية.

أمّا الزيارات الرسولية، فضلاً عن كونها وسيلة مميّزة يُثبِّت من خلالها خليفة بطرس الرسول إخوتَه في الإيمان، فهي فرصةٌ لتعزيز الحوار على المستوى السياسي والديني. وقد أُتيحت لي الفرصة في عام 2019 لزيارة العديد من الحقائق المهمّة. وأودّ أن أسترجع معكم الخطوات التي حقّقتها، مغتنمًا الفرصة لإلقاء نظرة أوسع على بعض المشاكل الراهنة في عصرنا.

في بداية العام الماضي، وبمناسبة اليوم العالمي الرابع والثلاثين للشبيبة، قابلت شبيبة أتوا من القارّات الخمس إلى بنما، ملؤهم الأحلام والرجاء، وتجمّعوا هناك كي يصلّوا ويجدّدوا الرغبة والالتزام بخلق عالم أكثر إنسانية[3]. إنه لفرح وفرصة عظيمة دومًا أن ألتقي الشبيبة. إنهم مستقبل ورجاء مجتمعاتنا، ولكنهم أيضًا حاضرها.

وكما هو معروف للأسف، كثير من البالغين، بما في ذلك بعض رجال الدين، قد اقترفوا جرائم خطيرة للغاية ضدّ كرامة الشبيبة والأطفال والمراهقين، منتهكين براءتهم وحميّمتهم. وهي جرائم تسيء إلى الله، وتتسبّب في أضرار جسديّة ونفسيّة وروحيّة في الضحايا وتضرّ بأرواح جماعات بأكملها[4]. في أعقاب اللقاء الذي عقدته في الفاتيكان خلال شهر فبراير/شباط الماضي مع أساقفة من جميع أنحاء العالم، يجدّد الكرسي الرسولي التزامه في العمل على إلقاء الضوء على الانتهاكات المرتكبة وضمانة حماية القاصرين، عبر مجموعة واسعة من المعايير التي تسمح بمعالجة هذه الحالات في سياق القانون الكنسي ومن خلال التعاون مع السلطات المدنية، على الصعيدين المحلّي والدولي.

وقد تبيّن، إزاء هذه الجراح الخطيرة، أن الأهمّ هو ألّا يتخلّى البالغين عن مهمّتهم التربوية، بل أن يأخذوا على عاتقهم هذا الالتزام بحماس أكبر كيما يقودوا الشبيبة إلى النضج الروحي والإنساني والاجتماعي.

ولهذا السبب، أعتزم تعزيز حدث عالمي في 14 مايو/أيار القادم، موضوعه: إعادة بناء الميثاق التعليمي العالمي. إنه لقاء يهدف إلى "تجديد الالتزام من أجل الأجيال الصاعدة ومعها، عبر تجديد الشغف بتعليمٍ أكثر انفتاحًا وشمولية، قادرٍ على الاستماع بصبر، وعلى الحوار البنّاء والتفاهم المتبادل. فهناك حاجة الآن، أكثر من أيِّ وقتٍ مضى، إلى توحيد الجهود في تحالف تربوي واسع من أجل تنشئة أشخاص ناضجين، قادرين على التغلّب على الانشقاقات والمعارضات، وإعادة بناء نسيج العلاقات من أجل إنسانيّة أكثر أخوّة"[5].

إن كلّ تغيير، مثل التغيير التاريخي الذي نمرّ به، يتطلّب مسيرة تربوية، وإنشاء قرية للتربية[6] تولّد شبكة من العلاقات الإنسانية والمفتوحة. ويجب أن تضع هذه القرية الإنسان في المحور وتشجّع الإبداع والمسؤولية من أجل التخطيط لمشاريع طويلة الأجل وتنشئة أشخاص مستعدّين لخدمة الجماعة.

لذلك نحتاج إلى مفهوم تربوي يضمّ مجموعة واسعة من تجارب الحياة وطريقة تعلّم تسمح للشبيبة، فرديًا وجماعيًا، بتنمية شخصيّاتهم. فالتربية لا تنتهي في القاعات المدرسيّة أو الجامعات، إنما تُضمَن بشكل أساسيّ عبر احترام وتعزيز الحقّ الأساسي للأسرة في التربية، وحقّ الكنائس والتجمّعات الاجتماعية في دعم الأسر والتعاون معها في تربية الأبناء.

إن التربية تتطلّب الدخول في حوار جديّ ومخلص مع الشبيبة. فهم الذين يدعوننا إلى ضرورة التضامن بين الأجيال، الذي افتقرنا إليه للأسف في السنوات الأخيرة. هناك ميل في الواقع، في أجزاء كثيرة من العالم، إلى الانغلاق على الذات من أجل حماية الحقوق والامتيازات المكتسبة؛ وإلى تصوّر العالم ضمن أفق محدود يعامل المسنّين دون مبالاة، ولا يعطي مجالًا للحياة الناشئة. وما يظهر ذلك بشكل مُحزِن ومؤسف إنما هو متوسّط العمر المرتفع للغاية لجزء من سكّان العالم، وخاصّة في الغرب.

إذا كان علينا ألّا ننسى من ناحية أن الشبيبة ينتظرون كلام البالغين ومثالهم، يجب في الوقت عينه أن نضع في اعتبارنا أنه لديهم الكثير ليقدّموه بحماسهم والتزامهم وتعطّشهم للحقيقة، التي يذكّروننا باستمرار من خلالها بأن الرجاء ليس يوتوبيا وأن السلام خيرٌ يمكن تحقيقه على الدوام.

لقد رأينا ذلك بالطريقة التي يعمل بها العديد من الشبيبة لإثارة وعي القادة السياسيين لمسألة التغيّر المناخي. يجب أن تحظى رعايةُ بيتنا المشترك باهتمام الجميع بدل أن تكون موضوع معارضة إيديولوجية بين رؤى مختلفة للواقع، أو بين الأجيال، لأن "الاتّصال بالطبيعة -كما ذكّر به بندكتس السادس عشر- يعيد للشخص بعده الصحيح، ويكتشف من جديد أنه خليقة، صغيرة، ولكنه فريد في الوقت نفسه، "قادر على [الاتّصال]  بالله" لأنه منفتح داخليًا على ما لا نهاية له"[7]. لا يمكننا بالتالي أن نهمل الحفاظ على المكان الذي أعطاه لنا الخالق لنعيش فيه، ولا أن نحصره في مشكلة نخبوية. يخبرنا الشبيبة أنه لا يمكن أن يكون الأمر هكذا، نظرًا لوجود حاجة عاجلة، على جميع المستويات، لحماية بيتنا المشترك ولتوحيد "الأسرة البشرية بأسرها في البحث عن تنمية مستدامة ومتكاملة"[8]. إنهم يذكّروننا بالحاجة الملحّة إلى توبة بيئية، و "يجب أن تُفهم هذه التوبة بطريقة شاملة، على أنها تحوّلٌ في علاقاتنا مع أخواتنا وإخوتنا، ومع الكائنات الحيّة الأخرى، ومع الخلق بتنوّعه الغنيّ للغاية، ومع الخالق الذي هو مصدر كلّ حياة"[9].

لسوء الحظ، يبدو أن الحاجة الماسّة إلى هذه التوبة البيئية لم تبلغ بعد السياسات الدولية، التي لا تزال تتفاعل بشكل ضعيف للغاية مع المشاكل التي تطرحها قضايا عالمية مثل تغيّر المناخ وهذا أمر مقلق للغاية. وتشكّل الدورة الخامسة والعشرين لمؤتمر الأطراف في اتّفاقية الأمم المتّحدة الإطارية بشأن تغيّر المناخ (COP25)، التي عقدت في مدريد في ديسمبر/كانون الأوّل الماضي، جرسَ إنذار خطير حول استعداد المجتمع الدولي للتعامل بحكمة وفعاليّة مع ظاهرة الاحتباس الحراري، والتي تتطلّب تفاعلًا جماعيًّا، قادرًا على جعل الصالح العام يسود على المصالح الخاصّة.

إن هذه الاعتبارات توجّه انتباهنا مرّة أخرى نحو أمريكا اللاتينية، ولا سيما إلى الجمعيّة الخاصّة لسينودس الأساقفة لمنطقة الأمازون، التي عقدت في الفاتيكان في أكتوبر/تشرين الأوّل الماضي. كان السينودس حدثًا كنسيًا أساسيًّا، مدفوعًا بالرغبة في الاستماع إلى آمال الكنيسة وتحدّياتها في الأمازون وفتح طرق جديدة لبشارة شعب الله بالإنجيل، وخاصةً السكّان الأصليّين. ولكن، لم يكن باستطاعة جمعيّة السينودس أن تتجنّب قضايا أخرى أيضًا، انطلاقًا من الإيكولوجية المتكاملة، التي تتعلّق بحياة تلك المنطقة، الشاسعة والهامّة للغاية بالنسبة للعالم بأسره، لأن "غابة الأمازون هي »قلب الأرض البيولوجي«، المهدّدة بشكل متزايد"[10].

بالإضافة إلى الوضع في منطقة الأمازون، هناك مخاوف بشأن تكاثر الأزمات السياسيّة في عدد متزايد من البلدان في القارة الأمريكية، مع توتّرات وأشكال عنف غير عاديّة، تقود إلى تفاقم الصراعات الاجتماعيّة وتؤدّي إلى عواقب اجتماعيّة واقتصاديّة وإنسانيّة خطيرة. إن الاستقطابات المتزايدة لا تساعد على حلّ المشاكل الحقيقية والعاجلة للمواطنين، ولا سيما الأكثر فقرًا والأكثر ضعفًا؛ ولا العنف كذلك، الذي لا يمكن تبنّيه لأيّ سبب كأداة لمواجهة المسائل السياسيّة والاجتماعيّة. وأودّ هنا، أن أخصّ بالذكر فنزويلا كيما لا يتلاشى الالتزام بإيجاد حلول.

إن الصراعات في المنطقة الأمريكية بشكل عام، وبرغم اختلاف جذورها، توحّدها التفاوتات العميقة الناجمة عن الظلم والفساد المتوطّن، وكذلك أشكال الفقر المختلفة التي تسيء إلى كرامة الأشخاص. لذلك يجب على القادة السياسيّين السعي لاستعادة ثقافة الحوار على وجه السرعة من أجل الصالح العام ومن أجل تقوية المؤسّسات الديمقراطية وتعزيز احترام سيادة القانون، بهدف منع الانجرافات غير الديمقراطية والشعبويّة والمتطرّفة.

لقد ذهبت في زيارتي الثانية عام 2019، إلى الإمارات العربية المتّحدة، وهي أوّل زيارة لخليفة بطرس إلى شبه الجزيرة العربية. ووقّعت في أبو ظبي، وثيقة "الأخوّة الإنسانية من أجل السلام العالميّ والتعايش المشترك" مع الإمام الأكبر للأزهر الدكتور أحمد الطيّب. إنه نصّ مهمّ، يهدف إلى تعزيز التفاهم المتبادل بين المسيحيّين والمسلمين، والتعايش في مجتمعات يزداد فيها باستمرار تعدّد الأعراق والثقافات. فالإدانة الشديدة لاستخدام "اسم الله لتبريرِ أعمالِ القتلِ والتشريدِ والإرهابِ والبَطْشِ"[11]، تُظهر أهمّية مفهوم المواطنة الذي "يقومُ على المُساواةِ في الواجباتِ والحُقوقِ التي يَنعَمُ في ظِلالِها الجميعُ بالعدلِ"[12]. وهذا يتطلّب احترام الحرّية الدينيّة وبذل الجهود للتخلّي عن الاستخدام التمييزي لمصطلح الأقلّيات، الذي يحمل معه بذور الشعور بالعزلة والدونية ويمهّد الطريق للأعمال العدائيّة وللشقاق، ويُؤدِّي إلى مُمارسةِ التمييز ضِدَّ المواطنين على أساس الانتماء الدينيّ[13]. وتحقيقًا لهذه الغاية، من المهمّ بشكل خاصّ تنشئة الأجيال الصاعدة على الحوار بين الأديان، وهو السبيل الأفضل للتعارف والتفاهم والدعم المتبادل بين أشخاص ينتمون إلى ديانات مختلفة.

كان السلام والرجاء محور زيارتي إلى المغرب، حيث وقّعت مع العاهل المغربي، الملك محمدّ السادس، نداءً مشتركًا بشأن القدس، إقرارًا منّا "بوحدة القدس الشريف وحرمتها، وحفاظًا على بعدها الروحيّ ومكانتها المتميّزة كمدينة للسلام"[14]. وانطلاقًا من القدس، وهي مدينة عزيزة على مؤمني الديانات التوحيدية الثلاثة، ومدعوّة لأن تكون رمزًا للقاء والتعايش السلميّ، وحيث ينمو الاحترام والحوار المتبادلين[15]، لا يمكنني إلّا أن أطال بفكري الأراضي المقدّسة بأسرها كي أذكّر بالحاجة الماسّة لأن يؤكّد المجتمع الدولي بأسره، بشجاعة وأمانة واحترام للقانون الدولي، التزامَه بدعم عمليّة السلام الإسرائيلية-الفلسطينية.

هناك كذلك حاجة ماسّة، أكثر من أيّ وقت مضى، إلى التزامٍ أكثر جرأة وفعاليّة من قِبَلِ المجتمع الدولي في أجزاء أخرى من منطقة البحر المتوسّط والشرق الأوسط. أشير هنا أوّلًا وقبل كلّ شيء إلى الصمت الذي قد يحجب الحرب التي دمّرت سوريا خلال هذا العقد. من الضروري للغاية إيجاد حلول ملائمة وبعيدة النظر تسمح للشعب السوري العزيز، المنهك من الحرب، باستعادة السلام والبدء في إعادة بناء البلد. إن الكرسي الرسولي يرحّب بأيّ مبادرة تهدف إلى إرساء الأسس لحلّ النزاع، ويعرب مجدّدًا عن امتنانه للأردن ولبنان لاستقبالهما واهتمامهما بآلاف من اللاجئين السوريين، مع الكثير من التضحيات. وهناك للأسف، إضافة إلى الإرهاق الذي سبّبته هذه الاستضافة، عوامل أخرى من عدم اليقين الاقتصادي والسياسي، في لبنان وفي دول أخرى، تولّد توتّرات بين السكّان، ممّا يهدّد الاستقرار الهشّ في الشرق الأوسط.

أمّا ما يقلق للغاية إنما هي العلامات الآتية من المنطقة بأسرها، في أعقاب تصاعد التوتّر بين إيران والولايات المتّحدة والتي قد تهدّد أوّلًا العملية البطيئة لإعادة إعمار العراق، وقد تنشئ كذلك أسسًا لصراعٍ أوسع نطاقًا نتمنّى جميعًا أن نتجنّبه. لذلك، أجدّد مناشدتي لجميع الأطراف المعنية أن تتدارك إثارة النزاع وأن تُبقي "شعلةَ الحوار وضبط النفس"[16] مشتعلةً، باحترام تامّ للشرعية الدولية.

كما أتوجّه إلى اليمن، التي تعاني من إحدى أخطر الأزمات الإنسانية في التاريخ الحديث، في مناخ من اللامبالاة العامّة من قِبَلِ المجتمع الدولي؛ وإلى ليبيا، التي تعاني منذ سنوات عديدة من حالة نزاع تفاقمت بسبب توغّل جماعات متطرّفة وزيادة حدّة العنف خلال الأيام القليلة الماضية. إن مثل هذا السياق يشكّل أرضًا خصبةً لآفة الاستغلال والاتّجار بالبشر، يغذّيها أشخاص عديمي الضمير يستغلّون فقر ومعاناة الذين يفرّون من الصراعات أو الفقر المدقع. والكثير من بين هؤلاء، يقعون ضحايا مافيا حقيقية تحتجزهم في ظروف غير إنسانية ومهينة وتجعلهم عرضة للتعذيب والعنف الجنسي والابتزاز.

تجدر الإشارة بشكل عام، إلى أن هناك عدّة آلاف من الأشخاص في العالم، لديهم طلبات لجوء محقّة واحتياجات إنسانية، وطلبات حماية، يمكن التحقّق منها، لكنها لا تؤخذ بعين الاعتبار بشكل مناسب. ويخاطر كذلك الكثيرون بحياتهم في رحلات خطرة عن طريق البرّ وخاصّة عن طريق البحر. وما زلنا بأسف كبير، نرى كيف أن البحر المتوسّط قد تحوّل إلى مقبرة كبيرة[17]. لذلك من الضروريّ أن تتحمّل جميع الدول مسؤولية إيجاد حلول دائمة.

أمّا الكرسي الرسولي من جهته، فينظر برجاء كبير إلى الجهود التي تبذلها العديد من الدول لتقاسم عبء إعادة التوطين وتأمين مكان آمن للنازحين، خاصةً في حالات الطوارئ الإنسانية، يجدون فيه عيشًا كريمًا، فضلاً عن التعليم وفرصٍ للعمل، ولمّ شمل عائلاتهم.

 

أيّها السفراء الأعزّاء،

لقد أتيحت لي الفرصة أيضًا، عبر زياراتي العام الماضي، لرؤية ثلاث دول من أوروبا الشرقية، فذهبت أوّلًا إلى بلغاريا ومقدونيا الشمالية، ثم رومانيا. وهي ثلاث دول مختلفة، ولكنها تجتمع على كونها، على مرّ القرون، جسوراً بين الشرق والغرب، ومفترق طرق للثقافات والجماعات العرقية والحضارات المختلفة. من خلال زيارتي لهم، تمكّنت مجدّدًا من معرفة مدى أهمّية الحوار وثقافة اللقاء من أجل بناء مجتمعات مسالمة يستطيع الجميع فيها التعبير بحرّية عن انتمائهم العرقيّ والديني.

في السياق الأوروبي كذلك، أودّ أن أذكّر بأهمّية دعم الحوار واحترام الشرعية الدولية لحلّ "الصراعات المجمّدة" التي ما زالت مستمرّة في القارّة، وبعضها منذ عقود، والتي تتطلّب حلًّا، بدءًا من الأوضاع المتعلّقة بغرب البلقان وجنوب القوقاز، بما في ذلك جورجيا. وأودّ هنا أن أعرب عن تشجيع الكرسي الرسولي للمفاوضات من أجل إعادة توحيد قبرص، الأمر الذي سوف يزيد من التعاون الإقليمي، ويعزّز استقرار منطقة البحر الأبيض المتوسط بأسرها، وعن تقديره لمحاولات حلّ النزاع ووضع حدّ لمعاناة السكان، في الجزء الشرقي من أوكرانيا. فالحوار -وليس الأسلحة- هو الأداة الأساسيّة لحلّ النزاعات. وفي هذا الصدد، أودّ أن أشير هنا إلى المساهمة التي قدّمتها في أوكرانيا، منظّمة الأمن والتعاون في أوروبا (OSCE)، وخاصّة خلال هذا العام الذي صادف الذكرى الخامسة والأربعين لاتّفاقية هلسنكي، والتي ختمت أعمال مؤتمر الأمن والتعاون في أوروبا (OSCE)، الذي بدأ عام 1973 لتشجيع منع نشوب الصراعات والتعاون بين بلدان أوروبا الغربية وبلدان أوروبا الشرقية، عندما كانت القارة لا تزال مقسومة عبر الستار الحديدي. لقد كانت مرحلة مهمّة من عمليةٍ بدأت على أنقاض الحرب العالمية الثانية ورأت في الإجماع والحوار أداة أساسية لحلّ النزاعات.

منذ عام 1949، في أوروبا الغربية، وعبر إنشاء المجلس الأوروبي واعتماد الاتّفاقية الأوروبية لحقوق الإنسان من ثمّ، وضِعَت أسس عملية التكامل الأوروبي، وقد وجدت هذه الأسس ركيزةً أساسيّة لها في إعلان وزير الشؤون الخارجية الفرنسية آنذاك روبرت شومان، يوم 9 مايو/أيار 1950. يؤكّد شومان أنه "لا يمكن حماية السلام إلّا من خلال جهود إبداعيّة، تتناسب مع المخاطر التي تهدّده". كان يدرك الآباء المؤسّسين لأوروبا الحديثة أنه لم يكن باستطاعة القارّة أن تتعافى من هزائم الحرب والانقسامات الجديدة التي نتجت عنها إلّا بفضل عمليّة تدريجية لتبادل المثل العليا والموارد.

وقد نظر الكرسي الرسولي إلى المشروع الأوروبي باهتمام منذ السنوات الأولى، ويصادف هذا العام الذكرى الخمسين لحضور الكرسي الرسولي كمراقب في مجلس أوروبا، كما ولإقامة علاقات دبلوماسية مع المجتمعات الأوروبية آنذاك. وهدف هذا الاهتمام هو التأكيد على فكرة بناءٍ شامل تحرّكه روح المشاركة والدعم، القادرة على جعل أوروبا مثالًا للضيافة والعدالة الاجتماعية، تحت راية القيم المشتركة التي تقوم عليها. لا يزال المشروع الأوروبي يشكّل ضمانًا أساسيًّا للتنمية بالنسبة للمنتمين إليه منذ زمن، وفرصةً للسلام، بعد النزاعات والتمزّقات العنيفة، بالنسبة للبلدان التي تطمح إلى المشاركة فيه.

لذلك لا ينبغي أن تفقد أوروبا حسّ التضامن الذي اتّسمت به طيلة قرون، حتى في أصعب لحظات تاريخها. لا ينبغي أن تفقد هذه الروح التي تتجذّر، من بين أمور أخرى، في الحسّ الديني الروماني وفي المحبّة المسيحيّة التي تعبّر جيّدا عن روح الشعوب الأوروبية. لقد أظهر حريق كاتدرائية نوتردام في باريس مدى هشاشة ما يبدو صلبًا وكم هو سهلٌ تدميره. وقد أيقظت مجّدًدا الأضرارُ التي لحقت بهذا المبنى، الذي هو ليس عزيزًا على الكاثوليك فحسب، بل مهمًّا لكلّ فرنسا وللبشرية جمعاء، القيمَ التاريخية والثقافية الأوروبية والجذور التي تقوم عليها. ففي سياق نفتقد فيه إلى القيم المرجعيّة، يصبح من السهل إيجاد عناصر التقسيم بدلاً عناصر الترابط.

لقد وضَعَت الذكرى السنوية الثلاثين لسقوط جدار برلين أمام أعيننا أحدَ أكثر الرموز تمزيقًا في تاريخ القارّة الحديث، كي تذكّرنا بمدى سهولة إقامة الحواجز. فجدار برلين ما زال رمزًا لثقافة الانقسام التي تبعد الناس عن بعضهم البعض وتمهّد الطريق للتطرّف والعنف. ونرى هذا عبر تزايد لغة الكراهية المستخدمة على شبكة الإنترنت على نطاق واسع، وعلى وسائل التواصل الاجتماعي. نحن نفضّل جسور المصالحة والتضامن، على حواجز الكراهية، ونفضّل ما يقرّبنا على ما يبعدنا، مدركين أنه "ما من سلام يستطيع أن يتوطّد [...] إذا لم تهدأ، في الوقت عينه، الكراهية والأحقاد، عبر مصالحة تقوم على المحبّة المتبادلة"[18]، كما كتب سلفي بندكتس الخامس عشر قبل مائة عام.  

 

أيّها السفراء الأعزّاء،  

لقد رأيت علامات السلام والمصالحة خلال زيارتي إلى أفريقيا، حيث بدا واضحًا فرح الذين يشعرون بأنهم معًا يشكّلون شعبًا ويواجهون التعب اليومي بروح المشاركة. وقد اختبرت الرجاء الملموس من خلال العديد من الأعمال المشجّعة، بدءًا من التقدّم الإضافي الذي تمّ إحرازه في الموزامبيق، عبر توقيع الاتّفاق من أجل وقف الأعمال العدائية بشكل نهائي في الأوّل من أغسطس/آب الماضي.

واستنتجت في مدغشقر، أنه من الممكن بناء الأمن حيث ساد عدم الاستقرار، ورأيت الرجاء حيث خيّم الموت، والحياة حيث أعلن الكثيرون الهلاك والخراب[19]. إن الأسرة والحسّ الجماعي هما ضروريّان، من أجل تحقيق كلّ هذا، ويسمحان ببناء الثقة الأساسية التي تقوم عليها كلّ علاقة بشريّة. ولاحظت في موريشيوس، كيف تتعاون "الديانات المختلفة، كلّ بهويّتها الخاصّة، للإسهام في السلام الاجتماعي وللتذكير بقيمة الحياة السامية ضدّ كلّ أنواع الاختزالية"[20]. وأنا على ثقة من أن الحماس الذي تمكّنت من لمسه خلال الزيارة لا يزال يتجسّد عبر أعمال الضيافة والمشاريع القادرة على تعزيز العدالة الاجتماعية، وتجنّب ديناميكيات الانغلاق.

إذا ألقينا نظرة أوسع على أجزاء أخرى من القارة، من المؤلم أن نرى كيف تستمرّ حلقات العنف ضدّ الأبرياء، لا سيّما في بوركينا فاسو ومالي والنيجر ونيجيريا، بما في ذلك العديد من المسيحيّين الذين يتعرّضون للاضّطهاد والقتل بسبب ولائهم للإنجيل. إنني أحثّ المجتمع الدولي على دعم الجهود التي تبذلها هذه البلدان في كفاحها من أجل قهر آفة الإرهاب، التي تدمي أكثر فأكثر أجزاءً كاملة من أفريقيا، كما ومناطق أخرى من العالم. وعلى ضوء هذه الأحداث، من الضروري تنفيذ استراتيجيّات تشمل تدخّلات، ليس فقط في مجال الأمن، ولكن أيضًا في مجال الحدّ من الفقر، وتحسين النظام الصحّي، والتنمية والمساعدة الإنسانية، وتعزيز الحكم الصالح والحقوق المدنية. هذه هي دعائم التنمية الاجتماعية الحقيقية.

وبالمثل، ينبغي تشجيع المبادرات الرامية إلى تعزيز الأخوّة بين جميع أشكال التعبير الثقافي والعرقي والديني في المنطقة، لا سيّما في القرن الأفريقي، والكاميرون، وكذلك في جمهورية الكونغو الديمقراطية، حيث يستمرّ العنف، لا سيّما في المناطق الشرقيّة للبلاد. كما ينبغي حلّ النزاعات وحالات الطوارئ الإنسانية التي تفاقمت بسبب الاضّطرابات المناخية والتي تزيد من عدد المشرّدين وتنعكس على الأشخاص الذين يعيشون في فقر فادح. فالعديد من البلدان المتضرّرة من هذه الحالات تفتقر إلى الهيكليّات المناسبة التي تسمح بتلبية احتياجات النازحين.

وفي هذا الصدد، أودّ التأكيد هنا على أنه، لسوء الحظ، لا يوجد حتى الآن أيّ تفاعل دوليّ متماسك للتصدّي لظاهرة النزوح الداخلي، لأنه لا يملك في معظمه تعريفًا دوليًّا متّفق عليه، إذ يحدث داخل الحدود الوطنية. والنتيجة هي أن النازحين داخليًّا لا ينالون دائمًا الحماية التي يستحقّونها، ويعتمدون على قدرة تفاعل دولة البلد حيث يعيشون وسياساتها.

لقد بدأ مؤخّرًا عمل فريق الأمم المتّحدة الرفيع المستوى المعنيّ بملف النزوح الداخليّ، وآمل أن يعزّز الاهتمام والدعم العالمي للنازحين، ويضع توصيات ملموسة.

في هذا المنظور، أتطلّع أيضًا إلى السودان، على أمل أن يتمكّن مواطنوه من العيش في سلام ورخاء، ومن التعاون في النموّ الديمقراطيّ والاقتصاديّ للبلاد؛ وإلى جمهورية أفريقيا الوسطى، حيث تمّ توقيع اتّفاق شامل في فبراير/شباط الماضي لإنهاء أكثر من خمس سنوات من الحرب الأهلية؛ وإلى جنوب السودان، الذي آمل أن أتمكّن من زيارته في وقت لاحق من هذا العام والذي كرّست له يومًا من الرياضة الروحية في شهر أبريل/نيسان الماضي بحضور قادة البلاد، وبمساهمة رئيس أساقفة كانتربري القيّمة، صاحب النيافة جاستن ويلبي، والمشرف السابق للكنيسة المشيخية في اسكتلندا، القسّ جون تشالمرز. إنني على ثقة من أنه، بمساعدة المجتمع الدولي، سيواصل أصحاب المسؤوليّات السياسيّة الحوارَ لتنفيذ الاتّفاقات التي تمّ التوصّل إليها.

كانت الزيارة الأخيرة من السنة التي انتهت للتوّ، في شرق آسيا. ورأيت في تايلاند الانسجام الذي أحدثته المجموعات العرقية العديدة التي تشكّل البلاد، مع تنوّعها الفلسفي والثقافي والديني. وهذا يشكّل جرس إنذارٍ مهمّ في السياق الحالي للعولمة الذي يميل إلى تسوية الخلافات والنظر فيها أوّلًا من الناحية الاقتصادية والمالية، مع خطر محو الخصائص الأساسيّة التي تميّز مختلف الشعوب.

أخيرًا، في اليابان، لمست لمس اليد الألم والرعب اللذين يمكننا أن نلحقهما بأنفسنا[21]. عند استماعي إلى شهادات بعض الهيباكوشا، الناجين من التفجيرات الذرّية في هيروشيما وناغازاكي، بدا لي واضحًا أن السلام الحقيقي لا يمكن أن يشيد على التهديد بإبادة تامّة محتملة للبشرية تسبّبها الأسلحة النووية. إن الهيباكوشا "يحافظون اليوم على شعلة الوعي الجماعي، ويشهدون للأجيال الصاعدة عن رعب ما حدث في أغسطس/آب 1945 والمعاناة التي تلته حتى اليوم والتي لا توصف. إن شهاداتهم توقِظ وتَحفظ بهذه الطريقة ذكرى الضحايا، حتى يتقوّى الضمير الإنساني باستمرار إزاء كلّ رغبة في الهيمنة والدمار"[22]، خاصّة تلك التي تسببّها الأجهزة ذات الإمكانات التدميريّة العالية، مثل الأسلحة النووية. فهي لا تخلق فقط جوًا من الخوف وعدم الثقة والعداء، بل تدمّر الرجاء. إن استخدامها غير أخلاقي، لا بل جريمة "ليس فقط ضدّ الإنسان وكرامته، بل ضدّ أيّ إمكانية للمستقبل في بيتنا المشترك"[23].

إن عالمًا "خالٍ من الأسلحة النووية هو أمر ممكن وضروريّ"[24]، وقد حان الوقت للمسؤولين السياسيين كي يدركوا هذا تمام الإدراك، لأن ما يجعل العالم أكثر أمانًا، ليس هو امتلاك وسائل قويّة للتدمير الشامل بل هو عمل صبور لجميع الأشخاص ذوي النوايا الحسنة الذين يكرّسون أنفسهم بشكل ملموس، كلّ في مجاله، لبناء عالم يسوده السلام والتضامن والاحترام المتبادل.

إن عام 2020 يقدّم فرصة مهمّة في هذا الاتّجاه، حيث سيعقد المؤتمر العاشر لمراجعة معاهدة حظر انتشار الأسلحة النووية في نيويورك من 27 أبريل/نيسان إلى 22 مايو/أيار. وآمل بشدّة أن يتمكّن المجتمع الدولي في تلك المناسبة من إيجاد توافق نهائي واستباقي بشأن كيفية تنفيذ هذا الصكّ القانوني الدولي، والذي تبيّن أنه أكثر أهمّية في زمن مثل الزمن الحالي.

بعد أن استعرضت الأماكن التي زرتها خلال السنة المنتهية للتوّ، أودّ أن أخصّ بالذكر بلدًا لم أزره، أستراليا، التي تضرّرت بشدّة في الأشهر الأخيرة من الحرائق المستمرّة، والتي طال أثرها أيضًا مناطق أخرى من أوقيانوسيا. أودّ أن أؤكّد تقاربي وصلواتي للشعب الأسترالي، ولاسيّما للضحايا، وللذين يسكنون المناطق المتضرّرة من النيران.

 

أصحاب السعادة، سيّداتي وسادتي،  

يحتفل المجتمع الدولي هذا العام بالذكرى الـخامسة والسبعين لتأسيس الأمم المتّحدة. في أعقاب المآسي التي خلّفتها الحربان العالميّتان، مع توقيع ميثاق الأمم المتحدة في 26 يونيو/حزيران 1945، أنشأت 46 دولة شكلًا جديدًا من التعاون المتعدّد الأطراف. إن الأهداف الأربعة للمنظّمة، المفصّلة في المادّة 1 من الميثاق، لا تزال سارية حتى اليوم، ويمكننا القول إن التزام الأمم المتّحدة في هذه السنوات الـخمسة والسبعين كان ناجحًا إلى حدّ كبير، وخاصّة في تجنّب اندلاع حربٍ عالميّة أخرى. والمبادئ الأساسيّة للمنظّمة -الرغبة في السلام، والبحث عن العدالة، واحترام كرامة الشخص، والتعاون الإنساني، والمساعدة- تعبّر عن التطلّعات الصالحة للروح الإنسانية وتشكّل المثل العليا التي ينبغي أن تقوم عليها العلاقات الدولية.

في هذه الذكرى السنويّة، نريد أن نعيد التأكيد على اعتزام الأسرة البشرية بأسرها التعاونَ من أجل الصالح العام، كمعيار لتوجيه العمل الأخلاقي، وكمنظور يجب أن يشرك كلّ دولة في العمل من أجل ضمان أمن أيّة دولة أخرى ووجودها، بطرق سلميّة وبروح من المساواة في الكرامة والتضامن الفعليّ، في إطار نظامٍ قانونيّ قائم على العدالة وعلى البحث عن تسويات عادلة[25].

إن هذا التدبير يكون أكثر فاعلية بقدر ما نحاول التغلّب على النهج المنحرف المستخدَم في خطابات الهيئات الدولية وفي أعمالها، والذي يهدف إلى ربط الحقوق الأساسيّة بحالات عابرة، متناسين أنها تستند في جوهرها إلى الطبيعة البشرية بحدّ ذاتها. فحيث يفتقر قاموس المنظّمات الدولية إلى ترسّخ واضح في الواقع، يكون هناك خطر تفضيل ابتعاد أعضاء المجتمع الدولي، بدل تقاربهم، عن أزمة النظام المتعدّد الأطراف المترتّبة، وهذا، للأسف، تحت نظر الجميع. في هذا السياق، يبدو من الملحّ استئناف المسار نحو إصلاح شامل للنظام المتعدّد الأطراف -بدءًا من نظام الأمم المتّحدة-، يجعله أكثر فعالية، مع الأخذ في الاعتبار السياق الجغرافي-السياسي الحالي.

 

أيّها السفراء الأعزّاء،

في ختام هذا التأمّل، أودّ أن أشير إلى حدثين يصادف ذكراهما هذا العام، لا علاقة لهما ظاهريًّا بلقائنا اليوم. الأوّل هو الذكرى المئويّة الخامسة لوفاة رافايلو سانزيو، الفنان الكبير من أوربينو، الذي توفّي في روما في 6 أبريل/نيسان 1520. نحن مدينون إلى رافائيل، بتراث ضخم من الجمال، لا يقدّر بثمن. وكما أن عبقرية الفنان تعرف كيف تجمع بين المواد الخام والألوان والأصوات المختلفة بطريقة متناغمة جاعلًا منها جزءًا من عمل فنّي واحد، فإن الدبلوماسية كذلك هي مدعوّة إلى خلق تناغم بين ما يميّز مختلف الشعوب والدول من أجل بناء عالم يسوده العدل والسلام، الذي هو اللوحة الجميلة التي نودّ أن نشاهدها.

كان رافائيل ابنًا مهمًا لعصره، عصر النهضة، الذي أثرى البشرية جمعاء. حقبة، لم تخلُ من الصعوبات، ولكن ملأتها الثقة والرجاء. من خلال هذا الفنان المتميّز، أودّ أن أتوجّه بأطيب تمنّياتي للشعب الإيطالي، الذي أتمنّى له أن يعيد اكتشاف روح الانفتاح على المستقبل الذي ميّز عصر النهضة والذي جعل شبه الجزيرة هذه جميلة للغاية وغنيّة بالفنّ والتاريخ والثقافة.

كانت شخصية مريم من المواضيع المفضّلة لدى رافائيل في رسمه. وقد كرّس لها العديد من اللوحات التي يمكن مشاهدتها الآن في متاحف مختلفة من العالم. ويصادف هذا العام أيضًا، بالنسبة للكنيسة الكاثوليكية، الذكرى السبعين لإعلان انتقال السيّدة العذراء إلى السماء. وأودّ أن أخصّ بالذكر جميع النساء، ونظري شاخص في مريم، بعد خمسة وعشرين عامًا على مؤتمر الأمم المتّحدة العالمي الرابع المعني بالمرأة، الذي عقد في بكين في عام 1995، على أمل أن يتمّ الاعتراف أكثر فأكثر، في جميع أنحاء العالم، بدور المرأة القيّم في المجتمع، ووقف جميع أشكال الظلم وعدم المساواة والعنف ضدّها: "إن أيّ عنف تتعرّض له النساء هو تدنيس لله"[26]. إن ممارسة العنف ضدّ المرأة أو استغلالها ليس مجرّد جريمة، إنها جريمة تدمّر الانسجام والشِعر والجمال الذي أراد الله أن يعطيه للعالم[27].

إن انتقال السيّدة العذراء إلى السماء يدعونا أيضًا للنظر إلى أبعد من ذلك، إلى إتمام مسيرتنا الأرضية، وإلى اليوم الذي سوف تستعاد فيه العدالة والسلام بالتمام. وهذا يشجّعنا، من خلال الدبلوماسية التي هي وسيلتنا البشرية غير الكاملة ولكن الثمينة، على العمل بحماس من أجل استباق ثمار هذه الرغبة في السلام، مدركين أن بلوغ الهدف ممكن. مع هذا الالتزام، أجدّد لكم جميعًا، أيّها السفراء الأعزّاء، والضيوف الكرام، المجتمعون هنا، ولبلدانكم، تمنّياتي الحارّة بعام جديد مليء بالرجاء والبركات.

شكرًا.

[00035-EN.01] [Original text: Italian]

 

 

[1] را. رسالة البابا بمناسبة اليوم العالمي للسلام الثالث والخمسين، 8 ديسمبر/كانون الأول 2019، 1.

 

 

[2] نفس المرجع.

 

 

[3] را. لقاء البابا مع السلطات، والسلك الدبلوماسي وممثلي المجتمع المدني، بنما، 24 يناير/كانون الثاني 2019.

 

 

[4] را. البراءة البابوية أنتم نور العالم، 7 مايو/أيار 2019.

 

 

[5] رسالة البابا بمناسبة إطلاق الميثاق التربوي، 12 سبتمبر/أيلول 2019.

 

 

[6] را. نفس المرجع.

 

 

[7]  التبشير الملائكي، لي كومبل، 17 يوليو/تموز 2005.

 

 

[8] را. الرسالة العامة كن مسبّحا، 24 مايو/أيار 2015، 13.

 

 

[9] رسالة البابا بمناسبة اليوم العالمي الثالث والخمسين للسلام، 8 ديسمبر/كانون الأول 2019، 4.

 

 

[10] الوثيقة النهائية لسيندس الأساقفة الخاص بمنطقة الأمازون: "مسارات جديدة للكنيسة ولإيكولوجية متكاملة"، 2.

 

 

[11] وثيقـة الأخــوة الإنســانية من أجل السلام العالمي والعيش المشترك، أبو ظبي، 4 فبراير/شباط 2019.  

 

 

[12] نفس المرجع.

 

 

[13] را. نفس المرجع.

 

 

[14] نداء صاحب الجلالة الملك محمد السادس وقداسة البابا فرنسيس حول أورشليم / القدس، مدينة مقدّسة ومكان لقاء، الرباط، 30 مارس/آذار 2019.

 

 

[15] را. نفس المرجع.

 

 

[16] صلاة التبشير الملائكي، 5 يناير/كانون الثاني 2020.

 

 

[17] را. كلمة البابا في البرلمان الأوروبي، ستراسبورغ، 25 نوفمبر/تشرين الثاني 2014.  

 

 

[18] بندكتس الخامس عشر، الرسالة العامة السلام، هدية جميلة من الله، 23 مايو/أيار 1920.

 

 

[19] را. تحية البابا من مدينة الصداقة – أكاماسوا، أنتاناناريفو، 8 سبتمبر/أيلول 2019.  

 

 

[20] كلمة البابا خلال اللقاء مع السلطات وممثّلي المجتمع المدني والسلك الدبلوماسي، بور لويس، 9 سبتمبر/أيلول 2019.

 

 

[21] را. كلمة البابا حول الأسلحة النوويّة، ناغازاكي، 24 نوفمبر/تشرين الثاني 2019.

 

 

[22] رسالة قداسة البابا فرنسيس بمناسبة الاحتفال باليوم العالمي للسلام، 8 ديسمبر/كانون الأول 2019، 2.

 

 

[23] كلمة قداسة البابا فرنسيس في النصب التذكاري للسلام، هيروشيما، 24 نوفمبر/تشرين الثاني 2019.

 

 

[24] كلمة البابا حول الأسلحة النوويّة، ناغازاكي، 24 نوفمبر/تشرين الثاني 2019.

 

 

[25] را. البابا يوحنا الثالث والعشرين، الرسالة العامة السلام في الأرض، 11 أبريل/نيسان 1963، 54.

 

 

[26] عظة قداسة البابا بمناسبة عيد القدّيسة مريم أم الله، واليوم العالمي الثالث والخمسين للسلام، 1 يناير/كانون الثاني 2020.

 

 

[27] را. المرأة هي تناغم العالم. تأمل صباحي للبابا فرنسيس في كنيسة القديسة مارتا، 9 فبراير/شباط 2017.

 

 

[B0016-XX.02]