Discorso del Santo Padre
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Questa mattina, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza i Cardinali e i Superiori della Curia Romana per la presentazione degli auguri natalizi.
Nel corso dell’incontro, il Papa ha rivolto alla Curia Romana il discorso che riportiamo di seguito:
Discorso del Santo Padre
«E il Verbo si fece carne e pose la sua dimora in mezzo a noi» (Gv 1,14).
Cari fratelli e sorelle,
a tutti voi il mio cordiale benvenuto. Ringrazio il Cardinale Angelo Sodano per le parole che mi ha rivolto, e soprattutto desidero esprimergli la mia gratitudine, anche a nome dei Membri del Collegio Cardinalizio, per il prezioso e puntuale servizio che Egli ha svolto quale Decano, per lunghi anni, con disponibilità, dedizione, efficienza e grande capacità organizzativa e di coordinamento. Con quel modo di agire della “rassa nostrana”, come direbbe Nino Costa [scrittore piemontese]. Grazie di cuore, Eminenza! Adesso tocca ai Cardinali Vescovi eleggere un nuovo Decano; spero che scelgano qualcuno che si occupi a tempo pieno di questa carica tanto importante. Grazie.
A voi qui presenti, ai vostri collaboratori, a tutte le persone che prestano servizio nella Curia, come pure ai Rappresentanti Pontifici e a quanti li affiancano, auguro un santo e lieto Natale. Ed agli auguri aggiungo la riconoscenza per la dedizione quotidiana che offrite al servizio della Chiesa. Grazie tante!
Anche quest’anno il Signore ci offre l’occasione di incontrarci per questo gesto di comunione, che rafforza la nostra fraternità ed è radicato nella contemplazione dell’amore di Dio rivelatosi nel Natale. Infatti, «la nascita di Cristo – ha scritto un mistico del nostro tempo – è la testimonianza più forte ed eloquente di quanto Dio abbia amato l’uomo. Lo ha amato di un amore personale. È per questo che ha preso un corpo umano al quale si è unito e lo ha fatto proprio per sempre. La nascita di Cristo è essa stessa una “alleanza d’amore” stipulata per sempre tra Dio e l’uomo»[1]. E San Clemente d’Alessandria scrive: «Per questo lui [Cristo] è disceso, per questo rivestì l’umanità, per questo patì volontariamente ciò che è degli uomini, affinché, dopo essersi misurato con la debolezza di noi che egli amò, potesse in cambio misurare noi con la sua potenza»[2].
Considerando tanta benevolenza e tanto amore, lo scambio degli auguri natalizi è altresì un’occasione per accogliere nuovamente il suo comandamento: «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,34-35). Qui, di fatto, Gesù non ci chiede di amare Lui come risposta al suo amore per noi; ci domanda, piuttosto, di amarci l’un l’altro con il suo stesso amore. Ci domanda, in altre parole, di essere simili a Lui, perché Egli si è fatto simile a noi. Il Natale, dunque – esorta il santo Cardinale Newman –, «ci trovi sempre più simili a Colui che, in questo tempo è divenuto bambino per amor nostro; che ogni nuovo Natale ci trovi più semplici, più umili, più santi, più caritatevoli, più rassegnati, più lieti, più pieni di Dio»[3]. E aggiunge: «Questo è il tempo dell’innocenza, della purezza, della dolcezza, della gioia, della pace»[4].
Il nome di Newman ci ricorda anche una sua ben nota affermazione, quasi un aforisma, rintracciabile nella sua opera Lo sviluppo della dottrina cristiana, che storicamente e spiritualmente si colloca al crocevia del suo ingresso nella Chiesa Cattolica. Dice così: «Qui sulla terra vivere è cambiare, e la perfezione è il risultato di molte trasformazioni»[5]. Non si tratta ovviamente di cercare il cambiamento per il cambiamento, oppure di seguire le mode, ma di avere la convinzione che lo sviluppo e la crescita sono la caratteristica della vita terrena e umana, mentre, nella prospettiva del credente, al centro di tutto c’è la stabilità di Dio[6].
Per Newman il cambiamento era conversione, cioè un interiore trasformazione[7]. La vita cristiana, in realtà, è un cammino, un pellegrinaggio. La storia biblica è tutta un cammino, segnato da avvii e ripartenze; come per Abramo; come per quanti, duemila anni or sono in Galilea, si misero in cammino per seguire Gesù: «E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono» (Lc 5,11). Da allora, la storia del popolo di Dio – la storia della Chiesa – è segnata sempre da partenze, spostamenti, cambiamenti. Il cammino, ovviamente, non è puramente geografico, ma anzitutto simbolico: è un invito a scoprire il moto del cuore che, paradossalmente, ha bisogno di partire per poter rimanere, di cambiare per potere essere fedele[8].
Tutto questo ha una particolare valenza nel nostro tempo, perché quella che stiamo vivendo non è semplicemente un’epoca di cambiamenti, ma è un cambiamento di epoca. Siamo, dunque, in uno di quei momenti nei quali i cambiamenti non sono più lineari, bensì epocali; costituiscono delle scelte che trasformano velocemente il modo di vivere, di relazionarsi, di comunicare ed elaborare il pensiero, di rapportarsi tra le generazioni umane e di comprendere e di vivere la fede e la scienza. Capita spesso di vivere il cambiamento limitandosi a indossare un nuovo vestito, e poi rimanere in realtà come si era prima. Rammento l’espressione enigmatica, che si legge in un famoso romanzo italiano: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi” (ne Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa).
L’atteggiamento sano è piuttosto quello di lasciarsi interrogare dalle sfide del tempo presente e di coglierle con le virtù del discernimento, della parresia e della hypomoné. Il cambiamento, in questo caso, assumerebbe tutt’altro aspetto: da elemento di contorno, da contesto o da pretesto, da paesaggio esterno… diventerebbe sempre più umano, e anche più cristiano. Sarebbe sempre un cambiamento esterno, ma compiuto a partire dal centro stesso dell’uomo, cioè una conversione antropologica[9].
Noi dobbiamo avviare processi e non occupare spazi: «Dio si manifesta in una rivelazione storica, nel tempo. Il tempo inizia i processi, lo spazio li cristallizza. Dio si trova nel tempo, nei processi in corso. Non bisogna privilegiare gli spazi di potere rispetto ai tempi, anche lunghi, dei processi. Noi dobbiamo avviare processi, più che occupare spazi. Dio si manifesta nel tempo ed è presente nei processi della storia. Questo fa privilegiare le azioni che generano dinamiche nuove. E richiede pazienza, attesa»[10]. Da ciò siamo sollecitati a leggere i segni dei tempi con gli occhi della fede, affinché la direzione di questo cambiamento «risvegli nuove e vecchie domande con le quali è giusto e necessario confrontarsi»[11].
Affrontando oggi il tema del cambiamento che si fonda principalmente sulla fedeltà al depositum fidei e alla Tradizione, desidero ritornare sull’attuazione della riforma della Curia romana, ribadendo che tale riforma non ha mai avuto la presunzione di fare come se prima niente fosse esistito; al contrario, si è puntato a valorizzare quanto di buono è stato fatto nella complessa storia della Curia. È doveroso valorizzarne la storia per costruire un futuro che abbia basi solide, che abbia radici e perciò possa essere fecondo. Appellarsi alla memoria non vuol dire ancorarsi all’autoconservazione, ma richiamare la vita e la vitalità di un percorso in continuo sviluppo. La memoria non è statica, è dinamica. Implica per sua natura movimento. E la tradizione non è statica, è dinamica, come diceva quel grande uomo [G. Mahler]: la tradizione è la garanzia del futuro e non la custodia delle ceneri.
Cari fratelli e sorelle,
nei nostri precedenti incontri natalizi, vi ho parlato dei criteri che hanno ispirato questo lavoro di riforma. Ho anche motivato alcune attuazioni che sono già state realizzate, sia definitivamente sia ad experimentum[12]. Nel 2017 ho evidenziato alcune novità dell’organizzazione curiale, come, ad esempio, la Terza Sezione della Segreteria di Stato, che sta andando molto bene; o le relazioni tra Curia romana e Chiese particolari, ricordando anche l’antica prassi delle Visite ad limina Apostolorum; o la struttura di alcuni Dicasteri, in particolare quello per le Chiese Orientali e altri per il dialogo ecumenico e per quello interreligioso, in particolare con l’Ebraismo.
Nell’incontro odierno vorrei soffermarmi su alcuni altri Dicasteri partendo dal cuore della riforma, ossia dal primo e più importante compito della Chiesa: l’evangelizzazione. San Paolo VI affermò: «Evangelizzare è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare»[13]. Evangelii nuntiandi, che anche oggi continua ad essere il documento pastorale più importante del dopo Concilio, e attuale. In realtà, l’obiettivo dell’attuale riforma è che «le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato all’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione. La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 27). E allora, proprio ispirandosi a questo magistero dei Successori di Pietro dal Concilio Vaticano II fino ad oggi, si è pensato di proporre per l’instruenda nuova Costituzione Apostolica sulla riforma della Curia romana il titolo di Praedicate evangelium. Cioè l’atteggiamento missionario.
Ecco perché il mio pensiero va oggi ad alcuni fra i Dicasteri della Curia romana che con tutto questo hanno un esplicito riferimento già nelle loro denominazioni: la Congregazione per la Dottrina della Fede, la Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli; ma penso anche al Dicastero della Comunicazione e al Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale.
Quando queste prime due Congregazioni citate furono istituite, si era in un’epoca nella quale era più semplice distinguere tra due versanti abbastanza definiti: un mondo cristiano da una parte e un mondo ancora da evangelizzare dall’altra. Adesso questa situazione non esiste più. Le popolazioni che non hanno ancora ricevuto l’annuncio del Vangelo non vivono affatto soltanto nei Continenti non occidentali, ma dimorano dappertutto, specialmente nelle enormi concentrazioni urbane che richiedono esse stesse una specifica pastorale. Nelle grandi città abbiamo bisogno di altre “mappe”, di altri paradigmi, che ci aiutino a riposizionare i nostri modi di pensare e i nostri atteggiamenti: Fratelli e sorelle, non siamo nella cristianità, non più! Oggi non siamo più gli unici che producono cultura, né i primi, né i più ascoltati[14]. Abbiamo pertanto bisogno di un cambiamento di mentalità pastorale, che non vuol dire passare a una pastorale relativistica. Non siamo più in un regime di cristianità perché la fede – specialmente in Europa, ma pure in gran parte dell’Occidente – non costituisce più un presupposto ovvio del vivere comune, anzi spesso viene perfino negata, derisa, emarginata e ridicolizzata. Ciò fu sottolineato da Benedetto XVI quando, indicendo l’Anno della Fede (2012), scrisse: «Mentre nel passato era possibile riconoscere un tessuto culturale unitario, largamente accolto nel suo richiamo ai contenuti della fede e ai valori da essa ispirati, oggi non sembra più essere così in grandi settori della società, a motivo di una profonda crisi di fede che ha toccato molte persone»[15]. E per questo fu istituito nel 2010 il Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, per «promuovere una rinnovata evangelizzazione nei Paesi dove è già risuonato il primo annuncio della fede e sono presenti Chiese di antica fondazione, ma che stanno vivendo una progressiva secolarizzazione della società e una sorta di “eclissi del senso di Dio”, che costituiscono una sfida a trovare mezzi adeguati per riproporre la perenne verità del Vangelo di Cristo»[16]. A volte ne ho parlato con alcuni di voi... Penso a cinque Paesi che hanno riempito il mondo di missionari – vi ho detto quali sono – e oggi non hanno risorse vocazionali per andare avanti. E questo è il mondo attuale.
La percezione che il cambiamento di epoca ponga seri interrogativi riguardo all’identità della nostra fede non è giunta, a dire il vero, all’improvviso[17]. In tale quadro s’inserirà pure l’espressione “nuova evangelizzazione” adottata da San Giovanni Paolo II, il quale nell’Enciclica Redemptoris missio scrisse: «Oggi la Chiesa deve affrontare altre sfide, proiettandosi verso nuove frontiere sia nella prima missione ad gentes sia nella nuova evangelizzazione di popoli che hanno già ricevuto l’annuncio di Cristo» (n. 30). C’è bisogno di una nuova evangelizzazione, o rievangelizzazione (cfr n. 33).
Tutto questo comporta necessariamente dei cambiamenti e delle mutate attenzioni anche nei suindicati Dicasteri, come pure nell’intera Curia[18].
Alcune considerazioni vorrei riservarle pure al Dicastero per la Comunicazione, di recente istituzione. Siamo nella prospettiva del cambiamento di epoca, in quanto «larghe fasce dell’umanità vi sono immerse in maniera ordinaria e continua. Non si tratta più soltanto di “usare” strumenti di comunicazione, ma di vivere in una cultura ampiamente digitalizzata che ha impatti profondissimi sulla nozione di tempo e di spazio, sulla percezione di sé, degli altri e del mondo, sul modo di comunicare, di apprendere, di informarsi, di entrare in relazione con gli altri. Un approccio alla realtà che tende a privilegiare l’immagine rispetto all’ascolto e alla lettura influenza il modo di imparare e lo sviluppo del senso critico» (Esort. ap postsin. Christus vivit, 86).
Al Dicastero per la Comunicazione è stato dunque affidato il compito di accorpare in una nuova istituzione i nove enti che, precedentemente, si occupavano, in varie modalità e con diversi compiti, di comunicazione: il Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali, la Sala Stampa della Santa Sede, la Tipografia Vaticana, la Libreria Editrice Vaticana, l’Osservatore Romano, la Radio Vaticana, il Centro Televisivo Vaticano, il Servizio Internet Vaticano, il Servizio Fotografico. Questo accorpamento, tuttavia, in linea con quanto detto, non si proponeva un semplice raggruppamento “coordinativo”, ma di armonizzare le diverse componenti in ordine a produrre una migliore offerta di servizi e anche a tenere una linea editoriale coerente.
La nuova cultura, marcata da fattori di convergenza e multimedialità, ha bisogno di una risposta adeguata da parte della Sede Apostolica nell’ambito della comunicazione. Oggi, rispetto ai servizi diversificati, prevale la forma multimediale, e questo segna anche il modo di concepirli, di pensarli e di attuarli. Tutto ciò implica, insieme al cambiamento culturale, una conversione istituzionale e personale per passare da un lavoro a compartimenti stagni – che nei casi migliori aveva qualche coordinamento – a un lavoro intrinsecamente connesso, in sinergia.
Cari fratelli e sorelle,
molte delle cose sin qui dette, valgono anche, in linea di principio, per il Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale. Anch’esso è stato istituito recentemente al fine di rispondere ai cambiamenti intervenuti a livello globale, attuando la confluenza di quattro precedenti Pontifici Consigli: Giustizia e Pace, Cor Unum, Pastorale dei Migranti e Operatori Sanitari. La coerenza dei compiti affidati a questo Dicastero è sinteticamente richiamata dall’esordio del Motu Proprio Humanam progressionem che lo ha istituito: «In tutto il suo essere e il suo agire, la Chiesa è chiamata a promuovere lo sviluppo integrale dell’uomo alla luce del Vangelo. Tale sviluppo si attua mediante la cura per i beni incommensurabili della giustizia, della pace e della salvaguardia del creato». Si attua nel servire i più deboli ed emarginati, in particolare i migranti forzati, che rappresentano in questo momento un grido nel deserto della nostra umanità. La Chiesa è dunque chiamata a ricordare a tutti che non si tratta solo di questioni sociali o migratorie ma di persone umane, di fratelli e sorelle che oggi sono il simbolo di tutti gli scartati della società globalizzata. È chiamata a testimoniare che per Dio nessuno è “straniero” o “escluso”. È chiamata a svegliare le coscienze assopite nell’indifferenza dinanzi alla realtà del Mar Mediterraneo divenuto per molti, troppi, un cimitero.
Vorrei richiamare l’importanza del carattere di integralità dello sviluppo. San Paolo VI affermò che «lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere autentico sviluppo, deve essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo» (Enc. Populorum progressio, 15). In altre parole, radicata nella sua tradizione di fede e richiamandosi, negli ultimi decenni, al magistero del Concilio Vaticano II, la Chiesa ha sempre affermato la grandezza della vocazione di tutti gli esseri umani, che Dio ha creato a sua immagine e somiglianza perché formassero una sola famiglia; e al tempo stesso ha cercato di abbracciare l’umano in tutte le sue dimensioni.
È proprio questa esigenza di integralità a riproporre oggi a noi l’umanità che ci accomuna in quanto figli di un unico Padre. «In tutto il suo essere e il suo agire, la Chiesa è chiamata a promuovere lo sviluppo integrale dell’uomo alla luce del Vangelo» (M.P. Humanam progressionem). Il Vangelo riporta sempre la Chiesa alla logica dell’incarnazione, a Cristo che ha assunto la nostra storia, la storia di ognuno di noi. Questo ci ricorda il Natale. L’umanità, allora, è la cifra distintiva con cui leggere la riforma. L’umanità chiama, interpella e pro-voca, cioè chiama a uscire fuori e a non temere il cambiamento.
Non dimentichiamo che il Bambino adagiato nel presepe ha il volto dei nostri fratelli e sorelle più bisognosi, dei poveri che «sono i privilegiati di questo mistero e, spesso, coloro che maggiormente riescono a riconoscere la presenza di Dio in mezzo a noi» (Lett. ap. Admirabile signum, 1 dicembre 2019, 6).
Cari fratelli e sorelle,
si tratta dunque di grandi sfide e di necessari equilibri, molte volte non facili da realizzare, per il semplice fatto che, nella tensione tra un passato glorioso e un futuro creativo e in movimento, si trova il presente in cui ci sono persone che necessariamente hanno bisogno di tempo per maturare; ci sono circostanze storiche da gestire nella quotidianità, perché durante la riforma il mondo e gli eventi non si fermano; ci sono questioni giuridiche e istituzionali che vanno risolte gradualmente, senza formule magiche o scorciatoie.
C’è, infine, la dimensione del tempo e c’è l’errore umano, coi quali non è possibile né giusto non fare i conti perché fanno parte della storia di ciascuno. Non tenerne conto significa fare le cose astraendo dalla storia degli uomini. Legata a questo difficile processo storico, c’è sempre la tentazione di ripiegarsi sul passato (anche usando formulazioni nuove), perché più rassicurante, conosciuto e, sicuramente, meno conflittuale. Anche questo, però, fa parte del processo e del rischio di avviare cambiamenti significativi[19].
Qui occorre mettere in guardia dalla tentazione di assumere l’atteggiamento della rigidità. La rigidità che nasce dalla paura del cambiamento e finisce per disseminare di paletti e di ostacoli il terreno del bene comune, facendolo diventare un campo minato di incomunicabilità e di odio. Ricordiamo sempre che dietro ogni rigidità giace qualche squilibrio. La rigidità e lo squilibro si alimentano a vicenda in un circolo vizioso. E oggi questa tentazione della rigidità è diventata tanto attuale.
Cari fratelli e sorelle,
la Curia romana non è un corpo staccato dalla realtà – anche se il rischio è sempre presente –, ma va concepita e vissuta nell’oggi del cammino percorso dagli uomini e dalle donne, nella logica del cambiamento d’epoca. La Curia romana non è un palazzo o un armadio pieno di vestiti da indossare per giustificare un cambiamento. La Curia romana è un corpo vivo, e lo è tanto più quanto più vive l’integralità del Vangelo.
Il Cardinale Martini, nell’ultima intervista a pochi giorni della sua morte, disse parole che devono farci interrogare: «La Chiesa è rimasta indietro di duecento anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio? Comunque la fede è il fondamento della Chiesa. La fede, la fiducia, il coraggio. [...] Solo l’amore vince la stanchezza»[20].
Il Natale è la festa dell’amore di Dio per noi. L’amore divino che ispira, dirige e corregge il cambiamento e sconfigge la paura umana di lasciare il “sicuro” per rilanciarci nel “mistero”.
Buon Natale a tutti!
Nella preparazione al Natale, abbiamo ascoltato le prediche sulla Santa Madre di Dio. Rivolgiamoci a lei prima della benedizione.
[Ave Maria e benedizione]
Adesso vorrei darvi un ricordo, un pensiero: due libri. Il primo è il “documento”, diciamolo così, che ho voluto fare per il mese missionario straordinario [ottobre 2019], e l’ho fatto in forma di intervista, Senza di Lui non possiamo far nulla. Mi ha ispirato una frase, non so di chi, che diceva che quando il missionario arriva in un posto già c’è lo Spirito Santo lì che lo aspetta. Questa è l’ispirazione di questo documento. E il secondo è un ritiro dato ai sacerdoti poco tempo fa da Don Luigi Maria Epicoco, un ritiro ai sacerdoti, Qualcuno a cui guardare. Li do di cuore perché servano a tutta la comunità. Grazie!
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[1] Matta El Meskin, L’umanità di Dio, Qiqajon-Bose, Magnano 2015, 170-171.
[2] Quis dives salvetur 37, 1-6.
[3] Sermone “L’incarnazione, Mistero di grazia”: Parochial and Plain Sermons V, 7.
[4] Ibid. V, 97-98.
[5] Milano 2002, p. 75.
[6] In una sua preghiera Newman affermava: «Non c’è nulla di stabile, al di fuori di te, o mio Dio. Tu sei il centro e la vita di tutti quelli che cambiano, che confidano in te come loro Padre, che guardano a te e che sono contenti di mettersi nelle tue mani. Io so, mio Dio, che devo cambiare se voglio vedere il tuo volto» (Meditazioni e preghiere, a cura di G. Velocci, Milano 2002, 112).
[7] Newman così lo descrive: «Al momento della conversione non ebbi coscienza d’un qualsiasi cambiamento, intellettuale o morale, che avvenisse nel mio spirito… mi sembrava di ritornare in porto dopo una navigazione tempestosa; ed a questo riguardo la mia felicità è continuata ininterrottamente fino ad oggi» (Apologia pro vita sua, a cura di A. Bosi, Torino 1988, 360; cfr J. Honoré, Gli aforismi di Newman, LEV, Città del Vaticano 2010, 167).
[8] J. M. Bergoglio, Messaggio quaresimale ai sacerdoti e consacrati, 21 febbraio 2007, in Nei tuoi occhi è la mia parola, Milano, 2016, p. 501.
[9] Cfr Cost. ap. Veritatis gaudium (27 dicembre 2017), 3: «Si tratta, in definitiva, di cambiare il modello di sviluppo globale e di ridefinire il progresso: il problema è che non disponiamo ancora della cultura necessaria per affrontare questa crisi e c’è bisogno di costruire leadership che indichino strade».
[10] Intervista rilasciata a P. Antonio Spadaro: La Civiltà Cattolica,19 settembre 2013, p. 468.
[11] Lettera al popolo di Dio che è in cammino in Germania, 29 giugno 2019.
[12] Cfr Discorso alla Curia, 22 dicembre 2016.
[13] Esort. ap. Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975), 14. San Giovanni Paolo II scrisse che l’evangelizzazione missionaria «costituisce il primo servizio che la chiesa può rendere a ciascun uomo e all’intera umanità nel mondo odierno, il quale conosce stupende conquiste, ma sembra avere smarrito il senso delle realtà ultime e della stessa esistenza» (Enc. Redemptoris missio, 7 dicembre 1990, 2).
[14] Cfr Discorso ai partecipanti al Congresso Internazionale della Pastorale delle Grandi Città, Sala del Concistoro, 27 novembre 2014.
[15] Lett. ap. M.P. Porta fidei, 2.
[16] Benedetto XVI, Omelia, 28 giugno 2010; cfr Lett. ap. M.P. Ubicumque et semper, 17 ottobre 2010.
[17] Il cambiamento di epoca fu pure avvertito in Francia dal Card. Suhard (si pensi alla sua lettera pastorale Essor ou déclin de l’Église, 1947) e pure dall’allora Arcivescovo di Milano Card. Montini. Anch’egli si chiedeva se l’Italia fosse ancora un Paese cattolico (cfr Prolusione alla VIII Settimana nazionale di aggiornamento pastorale, 22 settembre 1958, in Discorsi e Scritti milanesi 1954-1963, vol. II, Brescia-Roma 1997, 2328).
[18] San Paolo VI, circa cinquant’anni fa, presentando ai fedeli il nuovo Messale Romano, richiamò l’equazione fra la legge della preghiera (lex orandi) e la legge della fede (lex credendi) e descrisse il Messale come “dimostrazione di fedeltà e vitalità”. Concludendo la sua riflessione affermò: «Non diciamo dunque “nuova Messa”, ma piuttosto “nuova epoca” della vita della Chiesa» (Udienza generale del 19 novembre 1969). È quanto, analogamente, si potrebbe dire anche nel nostro caso: non una nuova Curia romana, ma piuttosto una nuova epoca.
[19] Evangelii gaudium enuncia la regola di «privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società e coinvolgono altre persone e gruppi che le porteranno avanti, finché fruttifichino in importanti avvenimenti storici. Senza ansietà, però con convinzioni chiare e tenaci» (n. 223).
[20] Intervista a Georg Sporschill, S.J. e Federica Radice Fossati Confalonieri: “Corriere della Sera”, 1 settembre 2012.
[02087-IT.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
« Et le Verbe s’est fait chair, il a habité parmi nous » (Jn 1,14)
Chers frères et sœurs,
J’adresse une cordiale bienvenue à vous tous. Je remercie le Cardinal Angelo Sodano pour les paroles qu’il m’a adressées, et je voudrais surtout lui exprimer ma gratitude, ainsi qu’au nom des membres du Collège des Cardinaux, pour le précieux et ponctuel service de Doyen qu’il a accompli durant de longues années avec disponibilité, dévouement, efficacité et une grande capacité organisationnelle et de coordination. Avec cette manière d’agir de “notre peuple”, comme le dirait Nino Costa [écrivain piémontais]. Merci de tout cœur, Eminence! Maintenant il revient aux Cardinaux Evêques d’élire un nouveau Doyen; j’espère qu’ils choisiront quelqu’un qui s’occupe à temps plein de cette charge très importante. Merci.
A vous tous ici présents, à vos collaborateurs, à toutes les personnes qui remplissent une fonction dans la Curie, de même qu’aux Représentants Pontificaux et à tous ceux qui collaborent avec eux, je souhaite de saintes et heureuses fêtes de Noël. J’ajoute aussi aux vœux, ma reconnaissance pour votre disponibilité quotidienne au service de l’Eglise. Merci beaucoup.
Cette année encore, le Seigneur nous offre l’occasion de nous rencontrer pour ce geste de communion qui renforce notre fraternité et qui s’enracine dans la contemplation de l’amour de Dieu qui se révèle à Noël. En effet, « la naissance du Christ – a écrit un mystique de notre époque – est le témoignage le plus fort et le plus éloquent de combien Dieu a aimé l’homme. Il l’a aimé d’un amour personnel. C’est pour cela qu’il a pris un corps humain, auquel il s’est uni et l’a fait sien pour toujours. La naissance du Christ est elle-même une “alliance d’amour” établie pour toujours entre Dieu et l’homme»[1]. Et saint Clément d’Alexandrie écrit : « C’est pour cela qu’il [le Christ] est descendu, pour cela qu’il a revêtu l’humanité, pour cela qu’il a souffert volontairement la condition des hommes, afin qu’après s’être confronté à notre faiblesse qu’il a aimée, il puisse, en échange, nous confronter à sa puissance »[2].
En considérant tant d’amour et tant de bienveillance, l’échange des vœux de Noël est aussi une occasion d’accueillir de nouveau son commandement : « Comme je vous ai aimés, vous aussi, aimez-vous les uns les autres. A ceci, tous reconnaîtront que vous êtes mes disciples: si vous avez de l’amour les uns pour les autres » (Jn 13, 34-35). En fait, ici, Jésus ne nous demande pas de l’aimer comme réponse à son amour pour nous ; il nous demande plutôt de nous aimer l’un l’autre avec son propre amour. Autrement dit, il nous demande d’être semblables à lui, parce qu’il s’est fait semblable à nous. Que la fête de Noël, donc, - exhorte le saint Cardinal Newman- « nous trouve toujours plus semblables à Celui qui, en ce temps, est devenu enfant par amour pour nous ; que chaque nouveau Noël nous trouve plus simples, plus humbles, plus saints, plus charitables, plus résignés, plus heureux, plus remplis de Dieu »[3]. Et il ajoute: « Ce temps est celui de l’innocence, de la pureté, de la douceur, de la joie, de la paix»[4].
Le nom de Newman nous évoque aussi un de ses propos biens connus, presqu’un aphorisme, que l’on retrouve dans son ouvrage “Le développement de la doctrine chrétienne”, lequel s’insère historiquement et spirituellement au carrefour de son entrée dans l’Eglise Catholique. Il dit ceci : « Ici, sur terre, vivre c’est changer, et la perfection est le résultat de nombreuses transformations »[5]. Il ne s’agit évidemment pas de chercher le changement pour le changement, ou de suivre les modes, mais d’avoir la conviction que le développement et la croissance sont la caractéristique de la vie terrestre et humaine, alors que, dans la perspective du croyant, au centre de tout se trouve la stabilité de Dieu[6].
Pour Newman, le changement est une conversion, c’est-à-dire une transformation intérieure[7]. La vie chrétienne, en réalité, est un cheminement, un pèlerinage. L’histoire biblique est tout un cheminement marqué par des commencements et de nouveaux départs ; comme pour Abraham ; comme pour tous ceux qui, il y a deux mille ans en Galilée, se mirent en chemin pour suivre Jésus : « Alors ils ramenèrent les barques au rivage et, laissant tout, ils le suivirent » (Lc 5, 11). Depuis, l’histoire du peuple de Dieu – l’histoire de l’Eglise – est toujours marquée de départs, de déplacements, de changements. Le chemin, évidemment, n’est pas purement géographique, mais il est avant tout symbolique : c’est une invitation à découvrir le mouvement du cœur qui, paradoxalement, a besoin de sortir pour pouvoir rester, de changer pour pouvoir être fidèle[8].
Tout ceci a une importance particulière en notre époque, parce que ce temps que nous vivons n’est pas seulement une époque de changements, mais un véritable changement d’époque. Nous sommes donc dans l’un de ces moments où les changements ne sont plus linéaires, mais d’époque ; ils constituent des choix qui transforment rapidement notre mode de vivre, de tisser des relations, de communiquer et de penser, de se comporter entre générations humaines et de comprendre et vivre la foi et la science. Il arrive souvent de vivre le changement en se limitant à revêtir un vêtement nouveau et à rester, en fait, comme on était avant. Je me rappelle de l’expression énigmatique qu’on lit dans un célèbre roman italien : «Si nous voulons que tout reste tel quel, il faut que tout change» (Il Gattopardo de Giuseppe Tomasi di Lampedusa).
Le comportement sain est plutôt celui de se laisser interroger par les défis du temps présent et de les saisir grâce aux vertus de discernement, de parrhésie et d’hypomoné. Le changement, dans ce cas, assumerait un tout autre aspect : d’élément de contour, de contexte ou de prétexte, de paysage extérieur..., il deviendrait toujours plus humain et aussi plus chrétien. Il serait toujours un changement extérieur, mais accompli à partir du centre même de l’homme, c’est-à-dire une conversion anthropologique[9].
Nous devons engager des processus et non occuper des espaces : « Dieu se manifeste dans une révélation historique, dans le temps. Le temps initie les processus, l’espace les cristallise. Dieu se trouve dans le temps, dans les processus en cours. Il n’y a pas besoin de privilégier les espaces de pouvoir par rapport au temps, même long, des processus. Nous devons engager des processus, plutôt qu’occuper des espaces. Dieu se manifeste dans le temps, et il est présent dans les processus de l’histoire. Cela conduit à privilégier les actions qui génèrent des dynamiques nouvelles. Cela requiert patience et attente »[10]. Pour cela, nous sommes invités à lire les signes des temps avec les yeux de la foi, afin que la direction de ce changement « réveille des questions anciennes et nouvelles avec lesquelles il est juste et nécessaire de se confronter »[11].
En affrontant aujourd’hui le thème du changement, qui s’appuie principalement sur la fidélité au depositum fidei et sur la Tradition, je désire revenir sur la mise en œuvre de la réforme de la Curie romaine, en rappelant que cette réforme n’a jamais eu la prétention de faire comme si rien n’avait existé auparavant ; au contraire, l’accent a été mis sur la valorisation de tout ce qui a été bon au cours de la complexe histoire de la Curie. Il est juste d’en valoriser l’histoire afin de construire un avenir qui ait des bases solides, qui ait des racines et donc puisse être fécond. Faire appel à la mémoire ne veut pas dire s’ancrer dans l’auto-conservation, mais plutôt rappeler la vie et la vitalité d’un parcours en continuel développement. La mémoire n’est pas statique, mais elle est dynamique. Elle requiert, par nature, le mouvement. Et la tradition n’est pas statique, elle est dynamique, comme le disait ce grand homme [G. Mahler]: la tradition est la garantie du futur et non pas la gardienne des cendres.
Chers frères et sœurs,
Durant nos précédentes rencontres de Noël, je vous ai parlé des critères qui ont déjà inspiré ce travail de réforme. J’ai aussi encouragé certaines mise en œuvre qui ont été réalisées, soit définitivement, soit ad experimentum[12]. En 2017, j’ai souligné certaines nouveautés dans l’organisation de la Curie, comme, par exemple, la Troisième Section de la Secrétairerie d’Etat, qui se porte très bien ; ou bien les relations entre la Curie romaine et les Eglises particulières, tout en rappelant aussi l’antique pratique des Visites ad limina Apostolorum ; ou encore la structure de certains Dicastères, en particulier celui des Eglises Orientales et d’autres, pour le dialogue œcuménique et pour le dialogue interreligieux, particulièrement avec le judaïsme.
Dans la rencontre d’aujourd’hui, je voudrais me pencher sur certains autres Dicastères, en partant du cœur de la réforme, c’est-à-dire du premier et plus important devoir de l’Eglise : l’évangélisation. Saint Paul VI a affirmé qu’ «Evangéliser est, en effet, la grâce et la vocation propre de l’Eglise, son identité la plus profonde. Elle existe pour évangéliser »[13]. Evangelii nuntiandi, qui continue même aujourd’hui d’être le document pastoral le plus important de l’après Concile, et actuel. En réalité, l’objectif de la réforme actuelle est que « les habitudes, les styles, les horaires, le langage et toute structure ecclésiale devienne un canal adéquat pour l’évangélisation du monde actuel, plus que pour l’auto-préservation. La réforme des structures, qui exige la conversion pastorale, ne peut se comprendre qu’en ce sens : faire en sorte qu’elles deviennent toutes plus missionnaires » (Exhort. ap. Evangelii gaudium, n. 27). Et alors, nous inspirant de ce Magistère des Successeurs de Pierre depuis le Concile Vatican II jusqu’aujourd’hui, on a pensé proposer pour l’instruenda nouvelle Constitution apostolique sur la réforme de la Curie romaine, le titre de Praedicate evangelium. C’est-à-dire l’attitude missionnaire.
Voilà pourquoi ma pensée va aujourd’hui à certains Dicastères de la Curie romaine, qui ont déjà une référence explicite à tout cela dans leurs dénominations : la Congrégation pour la Doctrine de la Foi, la Congrégation pour l’Evangélisation des peuples. Mais je pense aussi au Dicastère de la Communication et au Dicastère pour le Service du Développement Humain Intégral.
Quand ces deux premières Congrégations citées ont été instituées, on était à une époque où il était plus simple de distinguer deux versants assez bien définis: un monde chrétien d’une part, et un monde encore à évangéliser d’autre part. Maintenant, cette situation n’existe plus. Les populations qui n’ont pas encore reçu l’annonce de l’Evangile ne vivent plus du tout seulement sur les Continents non occidentaux, mais se trouvent partout, surtout dans les énormes concentrations urbaines qui demandent, en elles-mêmes, une pastorale spécifique. Dans les grandes villes, nous avons besoin d’autres “cartes”, d’autres paradigmes, qui nous aident à repositionner nos manières de penser et nos attitudes: frères et sœurs, nous ne sommes plus en chrétienté, nous ne le sommes plus! Nous ne sommes plus les seuls aujourd’hui à produire la culture, ni les premiers, ni les plus écoutés[14]. Par conséquent, nous avons besoin d’un changement de mentalité pastorale, ce qui ne veut pas dire passer à une pastorale relativiste. Nous ne sommes plus dans un régime de chrétienté parce que la foi – spécialement en Europe, mais aussi dans une grande partie de l’Occident – ne constitue plus un présupposé évident du vivre-ensemble; pire elle est souvent même niée, raillée, marginalisée et ridiculisée. Cela a été souligné par Benoît XVI lorsque, ouvrant l’Année de la Foi (2012), il écrivait: «Alors que dans le passé il était possible de reconnaître un tissu culturel unitaire, largement admis dans son renvoi aux contenus de la foi et aux valeurs inspirées par elle, aujourd’hui il ne semble plus en être ainsi dans de grands secteurs de la société, en raison d’une profonde crise de la foi qui a touché de nombreuses personnes»[15]. Et pour cette raison le Conseil Pontifical pour la Promotion de la Nouvelle Evangélisation a été institué en 2010, afin de «promouvoir une évangélisation renouvelée dans les pays où a déjà retenti la première annonce de la foi et où sont présentes des Eglises d’antiques fondations, mais qui vivent une sécularisation progressive de la société et une sorte d’ “éclipse du sens de Dieu”, qui constituent un défi à trouver des moyens adaptés pour reproposer la vérité éternelle de l’Evangile du Christ»[16]. Parfois, j’en ai parlé avec certains d’entre vous… Je pense à cinq Pays qui ont rempli le monde de missionnaires – je vous ai dit lesquels – et aujourd’hui ils n’ont pas de ressources vocationnelles pour aller de l’avant. Et c’est le monde actuel.
La perception que le changement d’époque soulève une série d’interrogations concernant l’identité de notre foi n’est pas arrivée, il est vrai, soudainement[17]. Dans ce cadre s’est insérée aussi l’expression “nouvelle évangélisation” adoptée par saint Jean-Paul II, qui, dans l’Encyclique Redemptoris missio, écrivait: «L’Eglise doit affronter aujourd’hui d’autres défis, en avançant vers de nouvelles frontières tant pour la première mission ad gentes que pour la nouvelle évangélisation de peuples qui ont déjà reçu l’annonce du Christ» (n. 30). Une nouvelle évangélisation, ou ré-évangélisation (cf. n. 33) est nécessaire.
Tout cela implique nécessairement des changements et de nouvelles attentions, même dans les Dicastères susmentionnés, comme aussi dans toute la Curie[18].
Je voudrais aussi faire quelques considérations sur le Dicastère pour la Communication, d’institution récente. Nous sommes dans la perspective d’un changement d’époque, étant donné que «de vastes portions de l’humanité y sont plongées de manière ordinaire et continuelle. Il ne s’agit plus seulement d’”utiliser” des instruments de communication, mais de vivre dans une culture largement numérisée qui influence profondément les notions de temps et d’espace, la perception de soi, des autres et du monde, la façon de communiquer, d’apprendre, de s’informer et d’entrer en relation avec les autres. Une approche de la réalité qui tend à privilégier l’image par rapport à l’écoute et à la lecture a une incidence sur la façon d’apprendre et sur le développement du sens critique» (Exhort. ap. postsyn. Christus vivit, n. 86).
Au Dicastère pour la Communication a donc été confié la charge de regrouper dans une nouvelle institution les neuf entités qui s’occupaient précédemment, de différentes façons et selon différentes tâches, de la communication: le Conseil Pontifical des Communications Sociales, la Salle de Presse du Saint-Siège, la Typographie vaticane, la Librairie Éditrice Vaticane, L'Osservatore Romano, Radio Vatican, le Centre de Télévision du Vatican, le Service internet du Vatican, le Service Photographique. Toutefois, ce regroupement, conformément à ce qui a été dit, ne voulait pas être un simple regroupement “de coordination”, mais harmoniser les différentes composantes visant à produire une meilleure offre des services et à maintenir une ligne éditoriale cohérente.
La nouvelle culture, marquée par des facteurs de convergence et multimédia, a besoin d’une réponse adéquate de la part du Siège Apostolique en matière de communication. Aujourd’hui, par rapport aux services diversifiés, la forme multimédia prévaut, et cela marque aussi la manière de les concevoir, de les penser et de les mettre en œuvre. Tout cela implique, avec le changement culturel, une conversion institutionnelle et personnelle pour passer d’un travail à compartiments étanches – qui, dans les meilleurs cas, était quelque peu coordonnés – à un travail intrinsèquement connecté, en synergie.
Chers frères et sœurs,
beaucoup de choses dites jusqu’à présent valent aussi, dans le principe, pour le Dicastère pour le Service du Développement Humain Intégral. Il a été, lui aussi, institué récemment afin de répondre aux changements intervenus au niveau global, en mettant en œuvre la confluence de quatre précédents Conseils Pontificaux: Justice et Paix, Cor Unum, Pastorale des Migrants et Pastorale des Services de la santé. La cohérence des tâches confiées à ce Dicastère est synthétiquement rappelée au début du Motu Proprio Humanam progressionem qui l’a institué: «Dans tout son être et par tout son agir, l’Église est appelée à promouvoir le développement intégral de l’homme à la lumière de l’Évangile. Ce développement se réalise à travers le soin que l’on porte aux biens incommensurables de la justice, de la paix et de la sauvegarde de la création». Il est mis en œuvre dans le service des plus faibles et des marginalisés, en particulier les migrants forcés qui représentent en ce moment un cri dans le désert de notre humanité. L’Eglise est donc appelée à rappeler à tous qu’il ne s’agit pas seulement de questions sociales ou migratoires, mais de personnes humaines, de frères et sœurs qui sont aujourd’hui le symbole de tous les exclus de la société globalisée. Elle est appelée à témoigner que, pour Dieu, personne n’est “étranger” ou “exclu”. Elle est appelée à réveiller les consciences assoupies dans l’indifférence devant les réalités de la Mer Méditerranée devenue, pour beaucoup - pour trop - de personnes, un cimetière.
Je voudrais rappeler l’importance du caractère d’intégralité du développement. Saint Paul VI a affirmé que «le développement ne se réduit pas à la simple croissance économique. Pour être authentique, il doit être intégral, c'est-à-dire promouvoir tout homme et tout l'homme» (Enc. Populorum progressio, n. 14). En d’autres termes, enracinée dans sa tradition de foi et en se référant, au cours des dernières décennies, au magistère du Concile Vatican II, l’Eglise a toujours affirmé la grandeur de la vocation de tous les êtres humains, que Dieu a créés à son image et à sa ressemblance, pour qu’ils forment une seule famille; et, dans le même temps, il a cherché à embrasser l’humain dans toutes ses dimensions.
C’est précisément cette exigence d’intégralité à nous proposer de nouveau aujourd’hui l’humanité qui nous rassemble en tant qu’enfants d’un seul Père. «Dans tout son être et par tout son agir, l’Église est appelée à promouvoir le développement intégral de l’homme à la lumière de l’Évangile» (M.P. Humanam progressionem). L’Evangile ramène toujours l’Eglise à la logique de l’incarnation, au Christ qui a assumé notre histoire, l’histoire de chacun de nous. Noël nous le rappelle. Alors, l’humanité est le chiffre distinctif avec lequel lire la réforme. L’humanité appelle, interpelle et provoque, c’est-à-dire appelle à sortir et à ne pas craindre le changement.
N’oublions pas que l’Enfant couché dans la crèche a le visage de nos frères et sœurs les plus nécessiteux, des pauvres qui «sont les privilégiés de ce mystère et, souvent, les plus aptes à reconnaître la présence de Dieu parmi nous» (Lett. ap. Admirabile signum, 1er décembre 2019, n. 6).
Chers frères et sœurs,
il s’agit donc de grands défis et d’équilibres nécessaires, souvent pas faciles à réaliser, pour le simple fait que, dans la tension entre un passé glorieux et un futur créatif et en mouvement, il y a le présent où se trouvent des personnes qui, nécessairement, ont besoin de temps pour acquérir la maturité; il y a des circonstances historiques à gérer dans la quotidienneté, parce que, durant la réforme, le monde et les évènements ne s’arrêtent pas; il y a des questions juridiques et institutionnelles qui seront résolues graduellement, sans formules magiques ou raccourcis.
Enfin, il y a la dimension du temps et il y a l’erreur humaine, avec lesquelles il n’est pas possible ni juste de ne pas faire face parce qu’elles font partie de l’histoire de chacun. Ne pas en tenir compte signifie faire les choses en faisant abstraction de l’histoire des hommes. Liée à ce difficile processus historique, il y a toujours la tentation de se replier sur le passé (même en usant de formulations nouvelles), car plus rassurant, connu et, sûrement, moins conflictuel. Cela aussi fait cependant partie du processus et du risque d’engager des changements significatifs[19].
Il faut mettre ici en garde contre la tentation de prendre une attitude de rigidité. La rigidité qui naît de la peur du changement et qui finit par disséminer des piquets et des obstacles sur le terrain du bien commun, en le transformant en champ miné d’incommunicabilité et de haine. Rappelons-nous toujours que derrière toute rigidité se trouve un certain déséquilibre. La rigidité et le déséquilibre s’alimentent mutuellement dans un cercle vicieux. Et aujourd’hui, cette tentation de la rigidité est devenue trop actuelle.
Chers frères et sœurs,
la Curie romaine n’est pas un corps détaché de la réalité – même si le risque est toujours présent –, mais doit être conçue et vécue dans l’aujourd’hui du chemin parcouru par les hommes et les femmes, dans la logique du changement d’époque. La Curie romaine n’est pas un immeuble ou une armoire pleine de vêtements à porter pour justifier un changement. La Curie romaine est un corps vivant, et elle l’est d’autant plus qu’elle vit l’intégralité de l’Evangile.
Le Cardinal Martini, dans sa dernière interview, à quelques jours de sa mort, a dit des paroles qui doivent nous interroger: «L’Eglise est restée en arrière de deux cents ans. Comment se fait-il qu’elle ne se secoue pas? Avons-nous peur? Peur au lieu du courage? De toute façon, la foi est le fondement de l’Eglise. La foi, la confiance, le courage. […] Seul l’amour vainc la lassitude»[20].
Noël est la fête de l’amour de Dieu pour nous. L’amour divin qui inspire, dirige et corrige le changement et défait la peur humaine de laisser le “sûr” pour nous relancer dans le “mystère”.
Joyeux Noël à tous!
Dans la préparation à Noël, nous avons écouté les prédications sur la Sainte Mère de Dieu. Adressons-nous à elle avant la bénédiction.
[Je vous salue Marie et bénédiction]
Maintenant je voudrais vous donner un souvenir, un petit cadeau: deux livres. Le premier est le “document”, disons-le ainsi, que j’ai voulu faire pour le mois missionnaire extraordinaire [octobre 2019], et je l’ai fait en forme d’interview, Sans Lui nous ne pouvons rien faire. Une phrase m’a inspiré, je ne sais pas de qui, qui disait que lorsque le missionnaire arrive dans un endroit, il y a l’Esprit Saint qui l’y attend. C’est l’inspiration de ce document. Et le second est une retraite donnée aux prêtres récemment par le Père Luigi Maria Epicoco, une retraite aux prêtres, Quelqu’un à admirer. Je les donne de tout cœur pour qu’ils servent à toute la communauté. Merci!
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[1] Matta El Meskin, L’umanità di Dio, Qiqajon-Bose, Magnano 2015, p. 170-171.
[2] Qui dives salvetur 37, 1-6.
[3] Sermon “L’incarnazione, Mistero di grazia”: Parochial and Plain Sermons V, 7.
[4] Ibid., V, 97-98.
[5] Meditazioni e preghiere, a cura di G. Velocci, Milano 2002, p. 75.
[6] Dans une prière, Newman affirmait : « Il n’y a rien de stable, en dehors de toi, o mon Dieu. Tu es le centre et la vie de tous ceux qui changent, qui se confient en toi comme leur Père, qui ont les yeux tournés vers toi et sont fiers de se remettre en tes mains. Je sais, mon Dieu, que si je veux voir ta face, je dois changer » (ibid., p. 112).
[7] Newman le décrit ainsi : « Au moment de la conversion, je n’ai pas eu conscience d’un quelconque changement, intellectuel ou moral, qui soit advenu dans mon esprit… il me semblait retourner au port après une navigation orageuse ; et dès lors, mon bonheur a continué sans interruption jusqu’aujourd’hui » (Apologia pro vita sua, a cura di A. Bosi, Torino 1988, p. 360; cf. J. Honoré, Gli aforismi di Newman, LEV, Città del Vaticano 2010, p. 167).
[8] J.M. Bergoglio, Messaggio quaresimale ai sacerdoti e consacrati, 21 febbraio 2007, in Nei tuoi occhi è la mia parola, Milano, 2016, p. 501.
[9] Cf. Const. ap. Veritatis gaudium (27 décembre 2017), n. 3 : « Il s’agit, en définitive, de convertir le modèle de développement global et de redéfinir le progrès : le problème est que nous n’avons pas encore la culture nécessaire pour faire face à cette crise, et il faut des leaderships qui tracent des chemins ».
[10] Interview accordée au P. Antonio Spadaro : La Civiltà Cattolica, 19 septembre 2013, p. 468.
[11] Lettre au peuple de Dieu qui est en chemin en Allemagne, 29 juin 2019.
[12] Cf. Discours à la Curie, 22 décembre 2016.
[13] Exhort. ap. Evangeli nuntiandi (8 décembre 1975), n. 14. Saint Jean Paul II a écrit que l’évangélisation missionnaire « constitue le premier service que l'Eglise peut rendre à tout homme et à l'humanité entière dans le monde actuel, lequel connaît des conquêtes admirables mais semble avoir perdu le sens des réalités ultimes et de son existence même » (Enc. Redemptoris missio, 7 décembre 1990, n. 2).
[14] Cf. Discours aux participants au Congrès International de la Pastorale des Grandes Villes, Salle du Consistoire, 27 novembre 2014.
[15] Lett. ap. M.P. Porta fidei, n. 2.
[16] Benoît XVI, Homélie, 28 juin 2010; cf. Lett. ap. M.P. Ubicumque et semper, 17 octobre 2010.
[17] Le changement d’époque a été aussi perçu en France par le Card. Suhard (on pense à sa lettre pastorale Essor ou déclin de l’Église, 1947), et aussi à celui qui était alors Archevêque de Milan, J.B. Montini. Il se demandait même si l’Italie était encore un pays catholique (cf. Prolusione alla VIII Settimana nazionale di aggiornamento pastorale, 22 septembre 1958, dans Discorsi e Scritti milanesi, 1954-1963, vol. II, Brescia-Roma 1997, 2328).
[18] Saint Paul VI, il y a de cela environ cinquante ans, en présentant aux fidèles le nouveau Missel Romain, a rappelé l’équation entre la loi de la prière (lex orandi) et la loi de la foi (lex credendi) et a décrit le Missel come une “démonstration de fidélité et vitalité”. En concluant sa réflexion, il a affirmé: «Nous ne disons donc pas “nouvelle Messe”, mais plutôt “nouvelle époque” de la vie de l’Eglise» (Audience générale du 19 novembre 1969). C’est ce que, analogiquement, on pourrait aussi dire de notre cas: non pas une nouvelle Curie romaine, mais plutôt une nouvelle époque.
[19] Evangelii gaudium énonce la règle de «privilégier les actions qui génèrent les dynamismes nouveaux dans la société et impliquent d’autres personnes et groupes qui les développeront, jusqu’à ce qu’ils fructifient en évènement historiques importants. Sans inquiétude, mais avec des convictions claires et de la ténacité» (n. 223).
[20] Interview à Georg Sporschill, S.J. et à Federica Radice Fossati Confalonieri : “Corriere della Sera”, 1er septembre 2012.
[02087-FR.02] [Texte original: Italien]
Traduzione in lingua inglese
“And the Word became flesh and dwelt among us” (Jn 1:14)
Dear brothers and sisters,
I offer all of you a cordial welcome. I express my gratitude to Cardinal Angelo Sodano for his kind words and in a particular way I thank him, also in the name of the members of the College of Cardinals, for the valued service he has long provided as Dean, in a spirit of helpfulness, dedication and efficiency, and with great skill in organization and coordination. In the manner of “la rassa nostrana”, as the Piedmontese writer Nino Costa would say. Now the Cardinal Bishops have to elect a new dean. I am hoping they will elect someone who can carry this important responsibility full time. Thank you.
To each of you here, to your co-workers and all those who serve in the Curia, but also to the Papal Representatives and their staff, I extend my best wishes for a holy and joyful Christmas. And I add my appreciation for the dedication that you bring daily to your service of the Church. Thank you very much.
Once again this year, the Lord gives us the opportunity to gather for this moment of fellowship which strengthens our fraternity and is grounded in our contemplation of God’s love revealed at Christmas. A contemporary mystic has written that “the birth of Christ is the greatest and most eloquent witness of how much God loved man. He loved him with a personal love. That is why he took a human body, united it to himself and made it his own forever. The birth of Christ is itself a ‘covenant of love’, sealed for all time between God and man”.[1] As Saint Clement of Alexandria writes, “Christ came down and assumed our humanity, willingly sharing in our human sufferings, for this reason: so that, having experienced the frailty of those whom he loves, he could then make us experience his great power”.[2]
In the light of this boundless benevolence and love, our exchange of Christmas greetings is yet another chance to respond to Christ’s new commandment: “Even as I have loved you, you must also love one another. By this all men will know that you are my disciples, if you have love for one another” (Jn 13:34-35). Jesus does not ask us to love him in response to his love for us; rather, he asks us to love one another as he does. In other words, he asks us to become like him, since he became like us. As Saint John Henry Newman prayed: “May each Christmas, as it comes, find us more and more like Him, who at this time became a little child for our sake, more simple-minded, more humble, more holy, more affectionate, more resigned, more happy, more full of God”.[3] And he went on to say: “[Christmas] is a time for innocence, and purity, and gentleness, and mildness, and contentment, and peace”[4].
This mention of Newman brings to mind his well-known words in his Essay on the Development of Christian Doctrine, a book that coincided chronologically and spiritually with his entry into the Catholic Church: “Here below to live is to change, and to be perfect is to have changed often”.[5] Naturally, he is not speaking about changing for change’s sake, or following every new fashion, but rather about the conviction that development and growth are a normal part of human life, even as believers we know that God remains the unchanging centre of all things.[6]
For Newman change was conversion, in other words, interior transformation.[7] Christian life is a journey, a pilgrimage. The history of the Bible is a journey, marked by constantly new beginnings. So it was with Abraham. So it was too with those Galileans who two thousand years ago set out to follow Jesus: “When they had brought their boats to land, they left everything and followed him” (Lk 5:11). From that time forward, the history of God’s people – the history of the Church – has always been marked by new beginnings, displacements and changes. This journey, of course, is not just geographical, but above all symbolic: it is a summons to discover the movement of the heart, which, paradoxically, has to set out in order to remain, to change in order to be faithful.[8]
All of this has particular importance for our time, because what we are experiencing is not simply an epoch of changes, but an epochal change. We find ourselves living at a time when change is no longer linear, but epochal. It entails decisions that rapidly transform our ways of living, of relating to one another, of communicating and thinking, of how different generations relate to one another and how we understand and experience faith and science. Often we approach change as if were a matter of simply putting on new clothes, but remaining exactly as we were before. I think of the enigmatic expression found in a famous Italian novel: “If we want everything to stay the same, then everything has to change” (The Leopard by Giuseppe Tomasi di Lampedusa).
The more healthy approach is to let oneself be challenged by the questions of the day and to approach them with the virtues of discernment, parrhesía and hypomoné. Seen in this light, change takes on a very different aspect: from something marginal, incidental or merely external, it would become something more human and more Christian. Change would still take place, but beginning with man as its centre: an anthropological conversion.[9]
We need to initiate processes and not just occupy spaces: “God manifests himself in historical revelation, in history. Time initiates processes and space crystalizes them. God is in history, in the processes. We must not focus on occupying the spaces where power is exercised, but rather on starting long-run historical processes. We must initiate processes rather than occupy spaces. God manifests himself in time and is present in the processes of history. This gives priority to actions that give birth to new historical dynamics. And it requires patience, waiting”.[10] In this sense, we are urged to read the signs of the times with the eyes of faith, so that the direction of this change should “raise new and old questions which it is right that we should face”.[11]
In discussing a change that is grounded mainly in fidelity to the depositum fidei and the Tradition, today I would like to speak once more of the implementation of the reform of the Roman Curia and to reaffirm that this reform has never presumed to act as if nothing had preceded it. On the contrary, an effort was made to enhance the good elements deriving from the complex history of the Curia. There is a need to respect history in order to build a future that has solid roots and can thus prove fruitful. Appealing to memory is not the same as being anchored in self-preservation, but instead to evoke the life and vitality of an ongoing process. Memory is not static, but dynamic. By its very nature, it implies movement. Nor is tradition static; it too is dynamic, as that great man [Gustav Mahler] used to say: tradition is the guarantee of the future and not a container of ashes.
Dear brothers and sisters,
In our previous Christmas meetings, I spoke of the criteria that inspired this work of reform. I also explained some changes already implemented, whether definitively or ad experimentum.[12] In 2017, I highlighted some new elements in the organization of the Curia. I gave as examples: the Third Section of the Secretariat of State, which is working very well; the relationship between the Roman Curia and particular Churches, with reference also to the ancient practice of the Visits ad limina Apostolorum; and the structure of some Dicasteries, especially that for the Oriental Churches and those for ecumenical and interreligious dialogue, particularly with Judaism.
In today’s meeting, I would like to reflect on some other Dicasteries, beginning with the heart of the reform, that is, with the first and most important task of the Church, which is evangelization. As Saint Paul VI stated: “Evangelizing is in fact the grace and vocation proper to the Church, her deepest identity. She exists in order to evangelize”.[13] Today too, Evangelii Nuntiandi continues to be the most important pastoral document of the post-conciliar period. Indeed, the aim of the current reform is that “the Church’s customs, ways of doing things, times and schedules, language and structures can be suitably channeled for the evangelization of today’s world rather than for her self-preservation. The renewal of structures demanded by pastoral conversion can only be understood in this light: as part of an effort to make them more mission-oriented” (Evangelii Gaudium, 27). Consequently, inspired by the magisterium of the Successors of Peter from the time of the Second Vatican Council until the present, it was decided to give the title Praedicate Evangelium to the new Apostolic Constitution being prepared on the reform of the Roman Curia. A missionary outlook.
For this reason, I would like to discuss today some of the Dicasteries of the Roman Curia whose names explicitly refer to this: the Congregation for the Doctrine of the Faith and the Congregation for the Evangelization of Peoples. I think, too, of the Dicastery for Communication and the Dicastery for Promoting Integral Human Development.
The first two Congregations mentioned were established in an age when it was easier to distinguish between two rather well-defined realities: a Christian world and a world yet to be evangelized. That situation no longer exists today. People who have not yet received the Gospel message do not live only in non-Western continents; they live everywhere, particularly in vast urban concentrations that call for a specific pastoral outreach. In big cities, we need other “maps”, other paradigms, which can help us reposition our ways of thinking and our attitudes. Brothers and sisters, Christendom no longer exists! Today we are no longer the only ones who create culture, nor are we in the forefront or those most listened to.[14] We need a change in our pastoral mindset, which does not mean moving towards a relativistic pastoral care. We are no longer living in a Christian world, because faith – especially in Europe, but also in a large part of the West – is no longer an evident presupposition of social life; indeed, faith is often rejected, derided, marginalized and ridiculed.
This point was clearly made by Benedict XVI when he proclaimed the 2012 Year of Faith: “Whereas in the past it was possible to recognize a unitary cultural matrix, broadly accepted in its appeal to the content of the faith and the values inspired by it, today this no longer seems to be the case in large swathes of society, because of a profound crisis of faith that has affected many people”.[15] This also led to the establishment in 2010 of the Pontifical Council for the Promotion of the New Evangelization for the sake of fostering “a renewed evangelization in the countries where the first proclamation of the faith has already resonated and where Churches with an ancient foundation exist but are experiencing the progressive secularization of society and a sort of ‘eclipse of the sense of God’, which pose a challenge to finding appropriate means to propose anew the perennial truth of Christ’s Gospel”.[16] At times I have spoken about this with some of you… I think of five countries that filled the world with missionaries – I told you which ones they are – and today lack the vocational resources to go forward. That is today’s world.
The realization that epochal change raises serious questions about the identity of our faith did not burst suddenly on the scene.[17] It gave rise to the term “new evangelization”, then taken up by Saint John Paul II, who wrote in his Encyclical Letter Redemptoris Missio: “Today the Church must face other challenges and push forward to new frontiers, both in the initial mission ad gentes and in the new evangelization of those peoples who have already heard Christ proclaimed” (No. 30). What is needed is a new evangelization or a re-evangelization (cf. No. 33).
All of this necessarily entails changes and shifts in focus, both within the above-mentioned Dicasteries and within the Curia as a whole.[18]
I would also add a word about the recently established Dicastery for Communication. Here too we are speaking of epochal change, inasmuch as “broad swathes of humanity are immersed in [the digital world] in an ordinary and continuous manner. It is no longer merely a question of ‘using’ instruments of communication, but of living in a highly digitalized culture that has had a profound impact on ideas of time and space, on our self-understanding, our understanding of others and the world, and our ability to communicate, learn, be informed and enter into relationship with others. An approach to reality that privileges images over listening and reading has influenced the way people learn and the development of their critical sense” (Christus Vivit, 86).
The Dicastery for Communication has been entrusted with the responsibility of unifying in a new institution the nine bodies that, in various ways and with different tasks, had previously dealt with communications. These were the Pontifical Council for Social Communications, the Holy See Press Office, the Vatican Press, the Vatican Publishing House, L’Osservatore Romano, Vatican Radio, the Vatican Television Centre, the Vatican Internet Service and the Photographic Service. This consolidation, as I have said, was meant not simply for better coordination, but also for a reconfiguration of the different components in view of offering a better product and keeping to a consistent editorial line.
The new media culture, in its variety and complexity, calls for an appropriate presence of the Holy See in the communications sector. Today, we are living in a multimedia world and this affects our way of conceiving, designing and providing media services. All this entails not only a change of culture but also an institutional and personal conversion, in order to pass from operating in self-contained units – which in the best cases had a certain degree of coordination – to working in synergy, in an intrinsically interconnected way.
Dear brothers and sisters,
Much of what I have been saying is also applicable to the Dicastery for Promoting Integral Human Development. It too was recently established in response to the changes that have taken place on the global level, and amalgamates four previous Pontifical Councils: those of Justice and Peace, Cor Unum, and the pastoral care of Migrants and of Healthcare Workers. The overall unity of the tasks entrusted to this Dicastery is summed up in the first words of the Motu Proprio Humanam Progressionem that instituted it: “In all her being and actions, the Church is called to promote the integral development of the human person in the light of the Gospel. This development takes place by attending to the inestimable goods of justice, peace and the care of creation”. It takes place by serving those who are most vulnerable and marginalized, particularly those forced to emigrate, who at the present time represent a voice crying in the wilderness of our humanity. The Church is thus called to remind everyone that it is not simply a matter of social or migration questions but of human persons, of our brothers and sisters who today are a symbol of all those discarded by the globalized society. She is called to testify that for God no one is a “stranger” or an “outcast”. She is called to awaken consciences slumbering in indifference to the reality of the Mediterranean Sea, which has become for many, all too many, a cemetery.
I would like to recall how important it is that development be integral. Saint Paul VI observed that “to be authentic, development must be integral; it must foster the development of every man and of the whole man” (Populorum Progressio, 14). In a word, grounded in her tradition of faith and appealing in recent decades to the teaching of the Second Vatican Council, the Church consistently affirms the grandeur of the vocation of all human beings, whom God has created in his image and likeness in order to form a single family. At the same time, she strives to embrace humanity in all its dimensions.
It is precisely this integral aspect that nowadays makes us recognize that our common humanity unites us as children of one Father. “In all her being and actions, the Church is called to promote the integral development of the human person in the light of the Gospel (Humanam Progressionem). The Gospel always brings the Church back to the mysterious logic of the incarnation, to Christ who took upon himself our history, the history of each of us. That is the message of Christmas. Humanity, then, is the key for interpreting the reform. Humanity calls and challenges us; in a word, it summons us to go forth and not fear change.
Let us not forget that the Child lying in the manger has the face of our brothers and sisters most in need, of the poor who “are a privileged part of this mystery; often they are the first to recognize God’s presence in our midst” (Admirabile Signum, 6).
Dear brothers and sisters,
We are speaking, then, about great challenges and necessary balances that are often hard to achieve, for the simple fact that, poised between a glorious past and a changing, creative future, we are living in the present. Here there are persons who necessarily need time to grow; there are historical situations to be dealt with on a daily basis, since in the process of the reform the world and history do not stop; there are juridical and institutional questions that need to be resolved gradually, without magic formulas or shortcuts.
There is, finally, the dimension of time and there is human error, which must rightly be taken into consideration. These are part of the history of each one of us. Not to take account of them is to go about doing things in abstraction from human history. Linked to this difficult historical process there is always the temptation to fall back on the past (also by employing new formulations), because it is more reassuring, familiar, and, to be sure, less conflictual. This too is part of the process and risk of setting in motion significant changes.[19]
Here, there is a need to be wary of the temptation to rigidity. A rigidity born of the fear of change, which ends up erecting fences and obstacles on the terrain of the common good, turning it into a minefield of incomprehension and hatred. Let us always remember that behind every form of rigidity lies some kind of imbalance. Rigidity and imbalance feed one another in a vicious circle. And today this temptation to rigidity has become very real.
Dear brothers and sisters,
The Roman Curia is not a body detached from reality, even though this risk is always present. Rather, it should be thought of and experienced in the context of the journey of today’s men and women, and against the backdrop of this epochal change. The Roman Curia is not a palace or a wardrobe full of clothes to be changed. The Roman Curia is a living body, and all the more so to the extent that it lives the Gospel in its integrity.
Cardinal Martini, in his last interview, a few days before his death, said something that should make us think: “The Church is two hundred years behind the times. Why is she not shaken up? Are we afraid? Fear, instead of courage? Yet faith is the Church’s foundation. Faith, confidence, courage… Only love conquers weariness”.[20]
Christmas is the feast of God’s love for us. The divine love that inspires, guides and corrects change, and overcomes the human fear of leaving behind “security” in order once more to embrace the “mystery”.
A happy Christmas to all!
In preparation for Christmas, we have listened to sermons on the Holy Mother of God. Let us turn to her before the blessing.
[Hail Mary and blessing].
Now I would like to give you a little gift of two books. The first is the “document” that I wanted to issue for the Extraordinary Missionary Month [October 2019], and did do in the form of an interview; Senza di Lui non possiamo fare nulla – Without Him We Can Do Nothing. I was inspired by a saying, I don’t know by whom, that when missionaries arrive in a place, the Holy Spirit is already there waiting for them. That was the inspiration for this document. The second gift is a retreat given to priests recently by Father Luigi Maria Epicoco, Qualcuno a cui guardare – Someone To Whom We Can Look. I give you these from the heart so that they can be of use to the whole community. Thank you!
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[1] MATTA EL MESKEEN, L’Umanità di Dio, Qiqajon-Bose, Magnano 2015, 170-171.
[2] Quis dives salvetur 37, 1-6.
[3] Sermon 7, “The Mystery of Godliness”, Parochial and Plain Sermons, V.
[4] Ibid.
[5] Chapter 1, Section 1, Part 7.
[6] In one of his prayers, Newman writes: “There is nothing stable but Thou, O my God! And Thou art the centre and life of all who change, who trust Thee as their Father, who look to Thee, and who are content to put themselves into Thy hands. I know, O my God, I must change, if I am to see Thy face!” (Meditations and Devotions, XI, “God Alone Unchangeable”).
[7] Newman describes it like this: “I was not conscious to myself, on my conversion, of any change, intellectual or moral, wrought in my mind... it was like coming into port after a rough sea; and my happiness on that score remains to this day without interruption” (Apologia Pro Vita Sua, 1865, Chapter 5, 238. Cf. J. HONORÉ, Gli aforismi di Newman, LEV, 2010, 167).
[8] Cf. J. M. BERGOGLIO, “Lenten Message to Priests and Religious”, 21 February 2007, in In Your Eyes I See my Words: Homilies and Speeches from Buenos Aires, Volume 2: 2005-2008, Fordham University Press, 2020.
[9] Cf. Apostolic Constitution Veritatis Gaudium (27 December 2017), 3: “In a word, this calls for changing the models of global development and redefining our notion of progress. Yet the problem is that we still lack the culture necessary to confront this crisis. We lack leadership capable of striking out on new paths”.
[10] Interview given to Father Antonio Spadaro, Civiltà Cattolica, 19 September 2013, p.468.
[11] Schreiben an das Pilgernde Volk Gottes in Deutschland, 29 June 2019.
[12] Cf. Address to the Curia, 22 December 2016.
[13] Apostolic Exhortation Evangelii Nuntiandi (8 December 1975), 14. Saint John Paul II wrote that missionary evangelization “is the primary service which the Church can render to every individual and to all humanity in the modern world, a world which has experienced marvellous achievements but which seems to have lost its sense of ultimate realities and of existence itself” (Encyclical Letter Redemptoris Missio, 7 December 1990, 2).
[14] Cf. Address to Participants at the International Pastoral Congress on the World’s Big Cities, Consistory Hall, 27 November 2014.
[15] Motu Proprio Porta Fidei, 2.
[16] Benedict XVI, Homily, 28 June 2010; cf. Motu Proprio Ubicumque et Semper, 17 October 2010.
[17] An epochal change was noted in France by Cardinal Suhard (we can think of his pastoral letter Essor ou déclin de l’Église, 1947) and by the then-Archbishop of Milan, Giovanni Battista Montini. The latter also questioned whether Italy was still a Catholic country (cf. Opening Address at the VIII National Week of Pastoral Updating, 22 September 1958, in Discorsi e Scritti milanesi 1954-1963, vol. II, Brescia-Roma 1997, 2328).
[18] Saint Paul VI, some fifty years ago, when presenting the new Roman Missal to the faithful, recalled the correspondence between the law of prayer (lex orandi) and the law of faith (lex credendi), and described the Missal as “a demonstration of fidelity and vitality”. He concluded by saying: “So let us not speak of a ‘new Mass’, but rather of ‘a new age in the life of the Church’” (General Audience, 19 November 1969). Analogously, we might also say in this case: not a new Roman Curia, but rather a new age.
[19] Evangelii Gaudium states the rule: “to give priority to actions which generate new processes in society and engage other persons and groups who can develop them to the point where they bear fruit in significant historical events. Without anxiety, but with clear convictions and tenacity” (No. 223).
[20] Interview with Georg Sporschill, S.J. and Federica Radice Fossati Confalonieri: Corriere della Sera, 1 September 2012.
[02087-EN.02] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua tedesca
»Und das Wort ist Fleisch geworden und hat unter uns gewohnt« (Joh1,14).
Liebe Brüder und Schwestern,
euch allen ein herzliches Willkommen. Ich danke Kardinal Angelo Sodano für die Worte, die er an mich gerichtet hat. Vor allem möchte ich ihm, auch im Namen der Mitglieder des Kardinalskollegiums, meine Dankbarkeit zum Ausdruck bringen für den wertvollen und sorgfältigen Dienst, den er als Dekan über lange Jahre bereitwillig, hingebungsvoll, wirksam und mit großem Organisations- und Koordinationstalent ausgeübt hat. Mit dieser Handlungsweise „unserer Leute“, wie [der piemontesische Schriftsteller] Nino Costa sagen würde. Danke von Herzen, Eminenz! Nun ist es Aufgabe der Kardinalbischöfe, einen neuen Dekan zu wählen. Ich hoffe, sie wählen jemanden, der sich diesem wichtigen Amt voll und ganz widmen kann. Danke.
Euch hier Anwesenden, euren Mitarbeitern und allen, die in der Kurie Dienst tun, wie auch den Päpstlichen Repräsentanten und allen, die ihnen zur Seite stehen, wünsche ich ein gesegnetes und frohes Weihnachtsfest. Und neben den Glückwünschen spreche ich meine Anerkennung für die tägliche Hingabe aus, mit der ihr den Dienst an der Kirche leistet. Vielen Dank!
Auch dieses Jahr gibt uns der Herr die Gelegenheit, für diese Geste der Gemeinschaft zusammenzukommen, die unsere brüderliche Verbundenheit stärkt und in der Betrachtung der Liebe Gottes wurzelt, die sich an Weihnachten geoffenbart hat. Tatsächlich, so hat ein Mystiker unserer Zeit geschrieben, »ist die Geburt Christi das stärkste und aussagekräftigste Zeugnis dafür, wie sehr Gott den Menschen geliebt hat. Er hat ihn mit einer persönlichen Liebe geliebt. Deshalb hat er einen menschlichen Leib angenommen, hat sich mit ihm vereint und für immer angeeignet. Die Geburt Christi ist selbst ein „Liebesbund“, der für immer zwischen Gott und dem Menschen geschlossen wurde«[1]. Und der heilige Clemens von Alexandrien schreibt: »Deshalb ist er [Christus] auch selbst herabgekommen, deshalb hat er menschliche Gestalt angenommen, deshalb hat er aus freiem Willen Menschenschicksal ertragen, damit er, nachdem er aus Liebe zu uns sich dem Maß unserer Schwachheit hat angleichen lassen, umgekehrt uns dem Maß seiner eigenen Macht angleiche«[2].
In Anbetracht von so viel Wohlwollen und Liebe ist der Austausch der Weihnachtsglückwünsche ebenso eine Gelegenheit, um sein Gebot neu aufzunehmen: »Ein neues Gebot gebe ich euch: Liebt einander! Wie ich euch geliebt habe, so sollt auch ihr einander lieben. Daran werden alle erkennen, dass ihr meine Jünger seid: wenn ihr einander liebt« (Joh 13,34-35). Hier bittet uns Jesus nämlich nicht, ihn in Antwort auf seine Liebe zu uns zu lieben; er verlangt von uns vielmehr, einander mit eben seiner Liebe zu lieben. Mit anderen Worten, er ersucht uns, ihm ähnlich zu sein, weil er selbst sich uns ähnlich gemacht hat. Weihnachten, so ruft uns der heilige Kardinal Newman auf, möge also »uns ihm, der zu dieser Zeit um unseretwillen ein kleines Kind wurde, mehr und mehr ähnlich finden, schlichter also und demütiger, heiliger, liebevoller, ergebener, glücklicher, gotterfüllter«[3]. Und er fügt hinzu: »[Weihnachten] ist eine Zeit der Unschuld, der Reinheit, der Sanftmut, der Milde, der Genügsamkeit und des Friedens.«[4]
Der Name Newman erinnert uns auch an eine wohlbekannte Aussage von ihm, fast einen Sinnspruch, aus seinem Werk Über die Entwicklung der christlichen Lehre, das zeitlich und geistlich an der Wegkreuzung seines Eintritts in die katholische Kirche steht. Er sagt dies: »Hier auf der Erde bedeutet leben sich verändern, und die Vollkommenheit ist das Ergebnis vieler Veränderungen.«[5] Es geht freilich nicht darum, die Veränderung um der Veränderung willen zu suchen, oder dem Zeitgeschmack zu folgen, sondern überzeugt davon zu sein, dass Entwicklung und Wachstum das Wesensmerkmal des irdischen und menschlichen Lebens sind, während in der Perspektive des Glaubenden im Mittelpunkt von allem die Beständigkeit Gottes steht[6].
Für Newman war die Veränderung eine Bekehrung, also eine innere Verwandlung[7]. Das christliche Leben ist in Wirklichkeit ein Weg, eine Pilgerschaft. Die biblische Geschichte ist insgesamt ein Weg, der von Anfängen und erneuten Aufbrüchen gezeichnet ist; so wie für Abram; wie für diejenigen, die sich vor zweitausend Jahren in Galiläa auf den Weg machten, um Jesus zu folgen: »Und sie zogen die Boote an Land, verließen alles und folgten ihm nach« (Lk 5,11). Von da an ist die Geschichte des Volkes Gottes – die Geschichte der Kirche – immer von Aufbrüchen, Umzügen, Veränderungen gekennzeichnet. Der Weg ist natürlich nicht rein geografisch, sondern vor allem symbolisch: Er ist eine Einladung, die Bewegung des Herzens zu entdecken, die es paradoxerweise nötig hat, aufzubrechen, um zu bleiben, sich zu ändern, um treu zu sein[8].
All dies hat eine besondere Bedeutung in unserer Zeit, denn die Epoche, in der wir leben, ist nicht nur eine Epoche der Veränderungen, sondern die eines Epochenwandels. Wir stehen also an einem der Momente, in denen die Veränderungen nicht mehr linear sind, sondern vielmehr epochal; sie stellen Weichenstellungen dar, die die Art des Lebens, der Beziehungen, der Formung und Kommunikation des Denkens, des Verhältnisses zwischen den menschlichen Generationen und dem Verständnis und der Ausübung von Glauben und Wissenschaft schnell verwandeln. Es geschieht oft, dass man die Veränderung lebt, indem man sich darauf beschränkt, ein neues Kleid zu tragen, aber in Wirklichkeit so bleibt, wie man vorher war. Ich erinnere mich an den rätselhaften Ausdruck, der in einem berühmten italienischen Roman zu lesen ist: »Wenn wir wollen, dass alles so bleibt, wie es ist, muss sich alles verändern« (Der Leopard von Giuseppe Tomasi di Lampedusa).
Die gesunde Haltung besteht vielmehr darin, sich von den Herausforderungen der heutigen Zeit anfragen zu lassen und sie mit den Tugenden der Unterscheidung, der parrhesia und der hypomoné aufzugreifen. Die Veränderung würde in diesem Fall ganz anders aussehen: Statt Beiwerk, Kontext oder Vorwand, statt äußerliche Landschaft … würde sie immer menschlicher und auch christlicher. Es wäre immer noch eine äußerliche Veränderung, die aber vom Mittelpunkt des Menschen selbst aus vollzogen wird, also eine anthropologische Umkehr[9].
Wir müssen Prozesse anstoßen und nicht Räume besetzen: »Gott zeigt sich in einer geschichtsgebundenen Offenbarung, in der Zeit. Die Zeit stößt Prozesse an, der Raum kristallisiert sie. Gott findet sich in der Zeit, in den laufenden Prozessen. Wir brauchen Räume der Machtausübung nicht zu bevorzugen gegenüber Zeiten der Prozesse, selbst wenn sie lange dauern. Wir müssen eher Prozesse in Gang bringen als Räume besetzen. Gott offenbart sich in der Zeit und ist gegenwärtig in den Prozessen der Geschichte. Das erlaubt, Handlungen zu priorisieren, die neue Dynamiken hervorrufen. Es verlangt auch Geduld und Warten«[10]. Von daher werden wir angeregt, die Zeichen der Zeit mit den Augen des Glaubens zu lesen, damit die Richtung dieser Veränderung »neue und alte Fragen aufwirft, angesichts derer eine Auseinandersetzung berechtigt und notwendig ist«[11].
Wenn ich heute auf das Thema der Veränderung eingehe, die vor allem auf die Treue zum depositum fidei und zur Tradition gründet, möchte ich auf die Umsetzung der Reform der römischen Kurie zurückkehren und dabei bekräftigen, dass sich diese Reform niemals angemaßt hat, so zu tun, also ob vorher nichts existiert hätte; im Gegenteil, man hat darauf abgezielt, all das Gute zu würdigen, das in der komplexen Geschichte der Kurie getan worden ist. Wir müssen ihre Geschichte würdigen, um eine Zukunft aufzubauen, die feste Grundlagen hat, die Wurzeln besitzt und deshalb Frucht tragen kann. Sich auf die Erinnerung berufen heißt nicht, sich an der Selbstbewahrung festzuklammern, sondern auf das Leben und die Lebendigkeit eines Weges in ständiger Entwicklung hinzuweisen. Die Erinnerung ist nicht statisch, sie ist dynamisch. Sie bringt von Natur aus Bewegung mit sich. Und die Tradition ist nicht statisch, sie ist dynamisch, wie ein großer Mann [Gustav Mahler] sagte: Die Tradition ist die Gewähr für die Zukunft und nicht die Hüterin der Asche.
Liebe Brüder und Schwestern,
bei unseren letzten vorweihnachtlichen Begegnungen habe ich zu euch über die Kriterien gesprochen, die diese Reformbemühungen inspiriert haben. Ich habe auch einige Maßnahmen angeregt, die bereits entweder endgültig oder auch ad experimentum[12] umgesetzt wurden. Im Jahr 2017 habe ich einige Neuigkeiten bezüglich der Organisation der Kurie hervorgehoben, wie z.B. die Dritte Sektion des Staatssekretariats, die sehr gut funktioniert, oder die Beziehungen zwischen der Römischen Kurie und den Teilkirchen, auch im Blick auf die übliche Praxis der Ad-limina-Besuche oder auf die Struktur einiger Dikasterien, vor allem der Dikasterien für die Orientalischen Kirchen, für den ökumenischen und interreligiösen Dialog, insbesondere mit dem Judentum.
Bei der heutigen Begegnung möchte ich auf einige andere Dikasterien näher eingehen und dabei vom Kern der Reform ausgehen, das heißt von der ersten und wichtigsten Aufgabe der Kirche: die Evangelisierung. Der heilige Paul VI. sagte: »Evangelisieren ist in der Tat die Gnade und eigentliche Berufung der Kirche, ihre tiefste Identität. Sie ist da, um zu evangelisieren.«[13] So Evangelii nuntiandi, das auch heute weiterhin das bedeutendste Pastoraldokument nach dem Konzil und aktuell ist. Tatsächlich besteht das Ziel der gegenwärtigen Reform darin, dass »die Gewohnheiten, die Stile, die Zeitpläne, der Sprachgebrauch und jede kirchliche Struktur ein Kanal werden, der mehr der Evangelisierung der heutigen Welt als der Selbstbewahrung dient. Die Reform der Strukturen, die für eine pastorale Neuausrichtung erforderlich ist, kann nur in diesem Sinne verstanden werden: dafür zu sorgen, dass sie alle missionarischer werden« (Apostolisches Schreiben Evangelii gaudium, 27). Und so kam es, in Anlehnung eben an das Lehramt der Nachfolger Petri vom Zweiten Vatikanischen Konzil bis heute, zu dem vorgeschlagenen Titel Praedicate Evangelium für die zu erstellende neue Apostolische Konstitution über die Reform der Römischen Kurie. Die missionarische Haltung also.
Deshalb also richte ich meine Gedanken heute auf einige der Dikasterien der Römischen Kurie, die schon von ihrer Bezeichnung her einen ausdrücklichen Bezug dazu haben: die Kongregation für die Glaubenslehre und die Kongregation für die Evangelisierung der Völker; ich denke aber auch an das Dikasterium für die Kommunikation und das Dikasterium für den Dienst zugunsten der ganzheitlichen Entwicklung des Menschen.
Die beiden erstgenannten Kongregationen wurden zu einer Zeit gegründet, in der es einfacher war, zwischen zwei ziemlich klar abgegrenzten Bereichen zu unterscheiden: einer christlichen Welt auf der einen Seite und einer noch zu evangelisierenden Welt auf der anderen. Diese Situation gehört jedoch der Vergangenheit an. Menschen, denen das Evangelium noch nicht verkündigt worden ist, leben keineswegs nur in den nicht-westlichen Kontinenten, sondern überall, vor allem in den riesigen städtischen Ballungszentren, die ihrerseits eine besondere Seelsorge erfordern. In den Großstädten brauchen wir andere „Landkarten“, andere Paradigmen, die uns helfen, unsere Denkweisen und Grundeinstellungen neu auszurichten: Brüder und Schwestern, wir haben keine christliche Leitkultur, es gibt keine mehr! Wir sind heute nicht mehr die Einzigen, die Kultur prägen, und wir sind weder die ersten noch die, denen am meisten Gehör geschenkt wird.[14] Wir brauchen daher einen Wandel im pastoralen Denken, was freilich nicht heißt, zu einer relativistischen Pastoral überzugehen. Das Christentum ist keine dominante Größe mehr, denn der Glaube – vor allem in Europa, aber auch im Großteil des Westens – stellt keine selbstverständliche Voraussetzung des allgemeinen Lebens mehr dar, sondern wird oft sogar geleugnet, belächelt, an den Rand gedrängt und lächerlich gemacht. Dies hat Benedikt XVI. hervorgehoben, als er zur Ausrufung des Jahres des Glaubens (2012) schrieb: »Während es in der Vergangenheit möglich war, ein einheitliches kulturelles Gewebe zu erkennen, das in seinem Verweis auf die Glaubensinhalte und die von ihnen inspirierten Werte weithin angenommen wurde, scheint es heute in großen Teilen der Gesellschaft aufgrund einer tiefen Glaubenskrise, die viele Menschen befallen hat, nicht mehr so zu sein.«[15]. Deshalb wurde im Jahr 2010 der Päpstliche Rat zur Förderung der Neuevangelisierung gegründet, um »in jenen Ländern eine neue Evangelisierung voranzutreiben, wo zwar schon eine erste Verkündigung des Glaubens erfolgte und es Kirchen alter Gründung gibt, die aber eine fortschreitende Säkularisierung der Gesellschaft und eine Art „Finsternis des Sinnes für Gott“ erleben. Diese Herausforderung drängt uns, geeignete Mittel zu finden, um die immerwährende Wahrheit des Evangeliums Christi erneut anbieten zu können.«[16] Manchmal habe ich darüber mit einigen von euch gesprochen … Ich denke an fünf Länder, die die Welt mit Missionaren übersät haben – ich habe euch gesagt, welche es sind – und die heute keine Berufungen haben, um voranzugehen. Und das ist die gegenwärtige Welt.
Die Wahrnehmung, dass der Epochenwandel ernsthafte Fragen hinsichtlich der Identität unseres Glaubens aufwirft, ist, offen gestanden, nicht plötzlich eingetreten.[17] In diesen Rahmen fügt sich auch der vom heiligen Johannes Paul II. übernommene Begriff „Neuevangelisierung“ ein. In seiner Enzyklika Redemptoris missio schrieb er: »Heute sieht die Kirche sich mit anderen Herausforderungen konfrontiert; sie muss zu neuen Ufern aufbrechen, sei es in ihrer Erstmission ad gentes, sei es in der Neuevangelisierung von Völkern, die die Botschaft von Christus schon erhalten haben« (Nr. 30). Es braucht eine neue Evangelisierung oder eine Wieder-Evangelisierung (vgl. Nr. 33).
All dies führt zwangsläufig zu Veränderungen und neuen Schwerpunkten in den oben genannten Dikasterien sowie in der gesamten Kurie.[18]
Ich möchte nun auch einige Überlegungen bezüglich des kürzlich errichteten Dikasteriums für die Kommunikation anstellen. Wir erleben einen Epochenwandel, denn »für breite Schichten der Menschheit ist es normal, ständig in die digitale Welt abzutauchen. Hier geht es nicht mehr nur darum, Kommunikationsmittel zu „nutzen“, sondern man lebt in einer durch und durch digitalisierten Kultur, die sich stark auf die Vorstellung von Zeit und Raum auswirkt sowie auf die Wahrnehmung von sich selbst, von anderen und der Welt, auf die Art zu kommunizieren, zu lernen, sich zu informieren und Beziehungen zu anderen zu knüpfen. Eine Einstellung gegenüber der Realität, bei der tendenziell Bilder wichtiger sind als das Zuhören und Lesen und die beeinflusst, wie wir lernen und kritisches Denken entwickeln« (Nachsynodales Apostolisches Schreiben Christus vivit, 86).
Das Dikasterium für die Kommunikation wurde daher mit der Aufgabe betraut, die neun Einrichtungen, die sich bisher auf verschiedene Weise und mit unterschiedlichen Aufgaben mit der Kommunikation befassten, in einer neuen Institution zusammenzuführen. Es sind dies der Päpstliche Rat für die sozialen Kommunikationsmittel, das Presseamt des Heiligen Stuhls, die Vatikanische Druckerei, die Vatikanische Verlagsbuchhandlung, der L’Osservatore Romano, Radio Vatikan, das Vatikanische Fernsehzentrum, der Vatikanische Internetdienst und der Fotodienst. Im Sinne des Gesagten ging es bei dieser Zusammenlegung jedoch nicht um eine einfache „koordinierende“ Umgestaltung, sondern darum, die verschiedenen Komponenten aufeinander abzustimmen, um ein besseres Dienstleistungsangebot zu erzielen und auch eine einheitliche Linie in der Medienarbeit zu halten.
Die neue Kultur, die von Konvergenz und multimedialen Faktoren geprägt ist, erfordert von Seiten des Apostolischen Stuhls eine angemessene Antwort im Bereich der Kommunikation. Im Vergleich zu spezialisierten Diensten überwiegt heute die multimediale Form, und das prägt auch die Art und Weise, wie diese dann konzipiert, gedacht und umgesetzt werden. All dies impliziert, zusammen mit dem kulturellen Wandel, eine institutionelle und personelle Neuausrichtung von einer Arbeit in getrennten Abteilungen – die bestenfalls ein wenig koordiniert war – zu einer Arbeit, die wesentlich und synergetisch miteinander verbunden ist.
Liebe Brüder und Schwestern,
vieles des bisher Gesagten gilt grundsätzlich auch für das Dikasterium für den Dienst zugunsten der ganzheitlichen Entwicklung des Menschen. Auch dieses wurde kürzlich errichtet, um auf die Veränderungen auf globaler Ebene zu reagieren. Dabei wurden vier frühere Päpstliche Räte zusammengelegt: die Räte für Gerechtigkeit und Frieden, Cor Unum, für die Seelsorge für die Migranten sowie für die Pastoral im Krankendienst. Der Zusammenhang der diesem Dikasterium übertragenen Aufgaben wird zu Beginn des Motu proprio Humanam progressionem, mit dem es errichtet wurde, kurz erwähnt: »Mit ihrem ganzen Sein und in all ihrem Handeln ist die Kirche gerufen, die ganzheitliche Entwicklung des Menschen im Licht des Evangeliums zu fördern. Diese Entwicklung wird durch die Pflege der unermesslichen Güter der Gerechtigkeit, des Friedens und der Bewahrung der Schöpfung verwirklicht.« Sie wird im Dienst an den Schwächsten und den Ausgegrenzten verwirklicht, besonders an den unfreiwilligen Migranten, die gegenwärtig einen Schrei in der Wüste unserer Menschheit darstellen. Die Kirche ist daher gerufen, alle daran zu erinnern, dass es nicht bloß um soziale Fragen oder Migrationsthematiken geht, sondern um Personen, um Brüder und Schwestern, die heute für alle Menschen stehen, die von der globalisierten Gesellschaft ausgesondert werden. Sie ist gerufen, Zeugnis dafür zu geben, dass es für Gott niemanden gibt, der „fremd“ oder „ausgeschlossen“ ist. Sie ist gerufen, die eingeschlafenen Gewissen derer zu wecken, die der Wirklichkeit des Mittelmeers, das für viele, zu viele zu einem Friedhof geworden ist, gleichgültig gegenüberstehen.
Ich möchte an die Bedeutung der ganzheitlichen Natur der Entwicklung erinnern. Der heilige Paul VI. sagte: »Entwicklung ist nicht einfach gleichbedeutend mit wirtschaftlichem Wachstum. Wahre Entwicklung muss umfassend sein, sie muss jeden Menschen und den ganzen Menschen im Auge haben« (Enzyklika Populorum progressio, 14). In anderen Worten: Aus ihrer Glaubenstradition heraus und in den letzten Jahrzehnten auch aufgrund der Lehre des Zweiten Vatikanischen Konzils hat die Kirche stets die Größe der Berufung aller Menschen betont, die Gott nach seinem Bild und Gleichnis erschaffen hat, damit sie eine einzige Familie bilden; gleichzeitig hat sie versucht, das Menschliche in all seinen Dimensionen zu erfassen.
Eben dieses Erfordernis der Ganzheitlichkeit stellt uns heute die Menschheit neu vor Augen, die uns als Kinder des einen Vaters verbindet. »Mit ihrem ganzen Sein und in all ihrem Handeln ist die Kirche gerufen, die ganzheitliche Entwicklung des Menschen im Licht des Evangeliums zu fördern« (Motu proprio Humanam progressionem). Das Evangelium führt die Kirche immer zur Logik der Menschwerdung, zu Christus, der unsere Geschichte, die Geschichte eines jeden von uns angenommen hat. Daran erinnert uns Weihnachten. Die Menschheit also ist der besondere Schlüssel, mit dem die Reform zu lesen ist. Die Menschheit ruft auf, fragt an und ruft hervor, das heißt sie ruft dazu auf, hinauszugehen und die Veränderung nicht zu fürchten.
Vergessen wir nicht, dass das Kind in der Krippe das Gesicht unserer Brüder und Schwestern hat, die am meisten bedürftig sind. »Gerade die Armen stehen diesem Geheimnis besonders nahe und sind oft diejenigen, die am besten in der Lage sind, die Gegenwart Gottes in unserer Mitte zu erkennen« (Apostolisches Schreiben Admirabile signum, 6).
Liebe Brüder und Schwestern,
es geht also um große Herausforderungen und um notwendige Ausgewogenheit. Diese ist oft nicht leicht zu verwirklichen, aus dem einfachen Grund, dass in der Spannung zwischen einer glorreichen Vergangenheit und einer gestalterischen Zukunft, die in Bewegung ist, die Gegenwart liegt, in der es Menschen gibt, die notwendigerweise Zeit zum Reifen brauchen; es gibt historische Umstände, die im Alltag zu bewältigen sind, da während der Reform die Welt und die Ereignisse nicht stillstehen; es gibt rechtliche und institutionelle Fragen, die Schritt für Schritt gelöst werden müssen, ohne magische Formeln oder Abkürzungen.
Schließlich gibt es die Dimension der Zeit und den menschlichen Irrtum. Nicht damit zu rechnen ist weder möglich noch gerecht, weil sie zur Geschichte jedes Einzelnen gehören. Sie nicht zu berücksichtigen bedeutet, die Dinge unter Ausblendung der Geschichte der Menschen zu tun. In Verbindung mit diesem schwierigen geschichtlichen Prozess besteht immer die Versuchung, sich auf die Vergangenheit zurückzuziehen (selbst unter Verwendung neuer Formulierungen), weil diese beruhigender, vertrauter und sicherlich weniger konfliktgeladen ist. Auch dies gehört jedoch zum Prozess und zum Risiko, bedeutende Veränderungen einzuleiten.[19]
Hier muss man vor der Versuchung warnen, eine Haltung der Starrheit anzunehmen. Die Starrheit kommt von der Angst vor Veränderung und übersät am Ende den Boden des Gemeinwohls mit Pflöcken und Hindernissen und macht ihn so zu einem Minenfeld der Kontaktunfähigkeit und des Hasses. Denken wir immer daran, dass hinter jeder Starrheit irgendeine Unausgeglichenheit liegt. Die Starrheit und die Unausgeglichenheit nähren sich gegenseitig in einem Teufelskreis. Und heute ist diese Versuchung zur Starrheit sehr aktuell.
Liebe Brüder und Schwestern,
die Römische Kurie ist nicht ein von der Wirklichkeit losgelöster Körper – auch wenn diese Gefahr immer besteht. Vielmehr muss sie im Heute des von den Männern und Frauen zurückgelegten Weges, in der Logik des Epochenwandels verstanden und erfahren werden. Die Römische Kurie ist nicht ein Gebäude oder ein Schrank voller Kleider, die angezogen werden, um eine Veränderung zu rechtfertigen. Die Römische Kurie ist ein lebendiger Körper, und sie ist es umso mehr, je mehr sie das Evangelium in seiner Vollständigkeit lebt.
In seinem letzten Interview wenige Tage vor seinem Tod sprach Kardinal Martini Worte, die uns nachdenken lassen: »Die Kirche ist zweihundert Jahre lang stehen geblieben. Warum bewegt sie sich nicht? Haben wir Angst? Angst statt Mut? Wo doch der Glaube das Fundament der Kirche ist. Der Glaube, das Vertrauen, der Mut. […] Nur die Liebe überwindet die Müdigkeit.«[20]
Weihnachten ist das Fest der Liebe Gottes zu uns – der göttlichen Liebe, welche die Veränderung inspiriert, leitet und korrigiert und die menschliche Angst, das „Sichere“ aufzugeben, besiegt, um uns neu auf das „Mysterium“ einzulassen.
Gesegnete Weihnachten euch allen!
In Vorbereitung auf Weihnachten haben wir die Predigten über die heilige Mutter Gottes gehört. An sie wollen wir uns vor dem Segen wenden.
[Ave Maria und Segen]
Nun möchte ich euch ein Andenken geben, eine Aufmerksamkeit: zwei Bücher. Das erste ist das – nennen wir es so – „Dokument“, das ich zum außerordentlichen Missionsmonat [Oktober 2019] machen wollte; ich habe es in Form eines Interviews gemacht: Senza di Lui non possiamo fare nulla [Ohne ihn können wir nichts vollbringen]. Dabei hat mich ein Wort, ich weiß nicht mehr von wem, inspiriert: Wenn der Missionar an einen Ort kommt, ist der Heilige Geist schon dort, der auf ihn wartet. Das war die Anregung zu diesem Dokument. Das zweite Buch sind die Exerzitienvorträge, die vor kurzem Don Luigi Maria Epicoco für Priester gehalten hat, Exerzitien für Priester: Qualcuno a cui guardare [Auf wen wir schauen sollen]. Ich gebe sie von Herzen, denn sie sind für die ganze Gemeinschaft nützlich. Danke!
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[1] Matta el Meskin, L’umanità di Dio, Qiqajon-Bose, Magnano 2015, 170-171.
[2] Quis dives salvetur 37, 1-6.
[3] Sermon „The Mystery of Godliness“: Parochial and Plain Sermons V, 7.
[4] Ebd.
[5] Essay on the Development of Christian Doctrine, I, 1, 7.
[6] In einem seiner Gebete sagte Newman: »Nichts hat Bestand, außer dir, o mein Gott! Du bist der Mittelpunkt und das Leben all derer, die sich ändern, die dir als Vater vertrauen, zu dir aufschauen und zufrieden sind, sich in deiner Hand zu wissen« (Meditations and Devotions, XI, „God Alone Unchangeable“).
[7] Newman beschreibt sie folgendermaßen: »Dass mein Übertritt irgendeine intellektuelle oder moralische Änderung in meinem Geist bewirkt hätte, kann ich nicht sagen ... aber es schien mir, als hätte ich nach stürmischer Fahrt den sicheren Hafen erreicht: und das Glück, das ich darüber empfand, hat bis heute ununterbrochen angehalten« (Apologia pro vita sua, 1865, Kap. 5, 238; vgl. J. Honoré, Gli aforismi di Newman, Città del Vaticano, 2010, 167).
[8] Vgl. J. M. Bergoglio, Mesaje de Cuaresma a los sacerdotes y consagrados, 21. Februar 2007.
[9] Vgl. Apostolische Konstitution Veritatis gaudium (27. Dezember 2019), 3: »Es geht schließlich darum, das Modell globaler Entwicklung in eine [andere] Richtung [zu] lenken und den Fortschritt neu zu definieren: Das Problem ist, dass wir noch nicht über die Kultur verfügen, die es braucht, um dieser Krise entgegenzutreten. Es ist notwendig, leaderships zu bilden, die Wege aufzeigen.«
[10] A. Spadaro SJ, Das Interview mit Papst Franziskus (19. September 2013), Freiburg i. Br. 2013, 59.
[11] Schreiben an das pilgernde Volk Gottes in Deutschland, 29 Juni 2019.
[12] Vgl. Ansprache an die Kurie, 22. Dezember 2016.
[13] Apostolisches Schreiben Evangelii nuntiandi, 14. Der heilige Johannes Paul II. schrieb, dass die missionarische Verkündigung »vorrangig den Dienst ausmacht, den die Kirche jedem Menschen und der ganzen Menschheit von heute erweisen kann. Die Menschheit hat zwar erstaunliche Errungenschaften aufzuweisen, aber sie scheint den Sinn für letzte Wirklichkeiten und für das Dasein selbst verloren zu haben« (Enzyklika Redemptoris missio, 2).
[14] Vgl. Ansprache an die Teilnehmer des Internationalen Kongresses für die Großstadtpastoral, 27. November 2014.
[15] Apostolisches Schreiben in Form eines Motu proprio Porta fidei, 2.
[16] Benedikt XVI., Homilie, 28. Juni 2010; vgl. Apostolisches Schreiben in Form eines Motu proprio Ubicumque et semper, 17. Oktober 2010.
[17] Der Epochenwandel wurde in Frankreich bereits von Kardinal Suhard (man denke an seinen Hirtenbrief Essor ou déclin de l’Église, 1947) und auch vom damaligen Erzbischof Montini von Mailand erkannt. Auch er fragte sich, ob Italien noch ein katholisches Land sei (vgl. Prolusione alla VIII Settimana nazionale di aggiornamento pastorale, 22. September 1958, in: Discorsi e Scritti milanesi 1954-1963, Vol. II, Brescia-Roma 1997, 2328).
[18] Der heilige Paul VI. erinnerte vor fast fünfzig Jahren anlässlich der Vorstellung des neuen Messbuches an den Zusammenhang zwischen dem Gesetz des Betens (lex orandi) und dem Gesetz des Glaubens (lex credendi) und beschrieb dabei das Messbuch als einen „Beweis der Treue und Lebendigkeit“. Zum Abschluss seiner Überlegungen stellte er fest: »Sprechen wir also nicht von einer „neuen Messe“, sondern eher von einer „neuen Epoche“ im Leben der Kirche« (Generalaudienz vom 19. November 1969). Und so könnte man analog dazu auch in unserem Fall sagen: nicht eine neue Römische Kurie, sondern eher eine neue Epoche.
[19] Evangelii gaudium stellt die Regel auf, »Handlungen zu fördern, die eine neue Dynamik in der Gesellschaft erzeugen und Menschen sowie Gruppen einbeziehen, welche diese vorantreiben, auf dass sie bei wichtigen historischen Ereignissen Frucht bringt. Dies geschehe ohne Ängstlichkeit, sondern mit klaren Überzeugungen und mit Entschlossenheit« (Nr. 223).
[20] Interview mit Georg Sporschill SJ und Federica Radice Fossati Confalonieri in: „Corriere della Sera“, 1. September 2012.
[02087-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]
Traduzione in lingua spagnola
«Y el Verbo se hizo carne y habitó entre nosotros» (Jn 1,14).
Queridos hermanos y hermanas:
Os doy la cordial bienvenida a todos vosotros. Agradezco al Cardenal Angelo Sodano las palabras que me ha dirigido, y sobre todo deseo expresarle mi gratitud, también en nombre de los miembros del Colegio Cardenalicio, por el valioso y oportuno servicio que ha realizado como Decano, durante tantos años, con disponibilidad, dedicación, eficiencia y gran capacidad organizativa y de coordinación. Con esa forma de actuar “rassa nostrana”, como diría Nino Costa [escritor piamontés]. Muchas gracias, Eminencia. Ahora les corresponde a los Cardenales Obispos elegir un nuevo Decano. Espero que elijan a alguien que se ocupe a tiempo pleno de ese cargo tan importante. Gracias.
A vosotros aquí presentes, a vuestros colaboradores, a todas las personas que prestan servicio en la Curia, como también a los Representantes Pontificios y a cuantos colaboran con ellos, os deseo una santa y alegre Navidad. Y a estos saludos añado mi agradecimiento por la dedicación cotidiana que ofrecéis al servicio de la Iglesia. Muchas gracias.
También este año el Señor nos ofrece la ocasión de encontrarnos para este gesto de comunión, que refuerza nuestra fraternidad y está enraizado en la contemplación del amor de Dios que se revela en la Navidad. En efecto, «el nacimiento de Cristo —ha escrito un místico de nuestro tiempo— es el testimonio más fuerte y elocuente de cuánto Dios ha amado al hombre. Lo ha amado con un amor personal. Es por eso que ha tomado un cuerpo humano al que se ha unido y lo ha hecho así para siempre. El nacimiento de Cristo es en sí mismo una “alianza de amor” estipulada para siempre entre Dios y el hombre»[1]. Y san Clemente de Alejandría afirma: «Por esta razón, el Hijo en persona vino a la tierra, se revistió de humanidad y sufrió voluntariamente la condición humana. Quiso someterse a las condiciones de debilidad de aquellos a quienes amaba, porque quería ponernos a nosotros a la altura de su propia grandeza»[2].
Considerando tanta bondad y tanto amor, el intercambio de saludos navideños es además una ocasión para acoger nuevamente su mandamiento: «Como yo os he amado, amaos también unos a otros. En esto conocerán todos que sois discípulos míos: si os amáis unos a otros» (Jn 13,34-35). Aquí, de hecho, Jesús no nos pide que lo amemos a Él como respuesta a su amor por nosotros; más bien nos pide que nos amemos unos a otros con su mismo amor. Nos pide, en otras palabras, que seamos semejantes a Él, porque Él se ha hecho semejante a nosotros. Que la Navidad, por tanto —como exhortaba el santo Cardenal Newman—, «nos encuentre cada vez más parecidos a quien, en este tiempo, se ha hecho niño por amor a nosotros; que cada nueva Navidad nos encuentre más sencillos, más humildes, más santos, más caritativos, más resignados, más alegres, más llenos de Dios»[3]. Y añade: «Este es el tiempo de la inocencia, de la pureza, de la ternura, de la alegría, de la paz»[4].
El nombre de Newman también nos recuerda una afirmación suya muy conocida, casi un aforismo, que se encuentra en su obra El desarrollo de la doctrina cristiana, que histórica y espiritualmente se coloca en la encrucijada de su ingreso en la Iglesia Católica. Dice así: «Aquí sobre la tierra vivir es cambiar, y la perfección es el resultado de muchas transformaciones»[5]. No se trata obviamente de buscar el cambio por el cambio, o de seguir las modas, sino de tener la convicción de que el desarrollo y el crecimiento son la característica de la vida terrena y humana, mientras, desde la perspectiva del creyente, en el centro de todo está la estabilidad de Dios[6].
Para Newman el cambio era conversión, es decir, una transformación interior[7]. La vida cristiana, en realidad, es un camino, una peregrinación. La historia bíblica es todo un camino, marcado por inicios y nuevos comienzos; como para Abrahán; como para cuantos, dos mil años atrás, en Galilea, se pusieron en camino para seguir a Jesús: «Sacaron las barcas a tierra y, dejándolo todo, lo siguieron» (Lc 5,11). Desde entonces, la historia del pueblo de Dios —la historia de la Iglesia— está marcada siempre por partidas, desplazamientos, cambios. El camino, obviamente, no es puramente geográfico, sino sobre todo simbólico: es una invitación a descubrir el movimiento del corazón que, paradójicamente, necesita partir para poder permanecer, cambiar para poder ser fiel[8].
Todo esto tiene una particular importancia en nuestro tiempo, porque no estamos viviendo simplemente una época de cambios, sino un cambio de época. Por tanto, estamos en uno de esos momentos en que los cambios no son más lineales, sino de profunda transformación; constituyen elecciones que transforman velozmente el modo de vivir, de interactuar, de comunicar y elaborar el pensamiento, de relacionarse entre las generaciones humanas, y de comprender y vivir la fe y la ciencia. A menudo sucede que se vive el cambio limitándose a usar un nuevo vestuario, y después en realidad se queda como era antes. Recuerdo la expresión enigmática, que se lee en una famosa novela italiana: “Si queremos que todo siga como está, es preciso que todo cambie” (en Il Gattopardo de Giuseppe Tomasi di Lampedusa).
La actitud sana es, más bien, la de dejarse interrogar por los desafíos del tiempo presente y comprenderlos con las virtudes del discernimiento, de la parresia y de la hypomoné. El cambio, en este caso, asumiría otro aspecto: de elemento de contorno, de contexto o de pretexto, de paisaje externo… se volvería cada vez más humano, y también más cristiano. Sería siempre un cambio externo, pero realizado a partir del centro mismo del hombre, es decir, una conversión antropológica[9].
Nosotros debemos iniciar procesos y no ocupar espacios: «Dios se manifiesta en una revelación histórica, en el tiempo. El tiempo da inicio a los procesos, el espacio los cristaliza. Dios se encuentra en el tiempo, en los procesos en curso. No es necesario privilegiar los espacios de poder respecto a los tiempos, incluso largos, de los procesos. Nosotros debemos iniciar procesos, más que ocupar espacios. Dios se manifiesta en el tiempo y está presente en los procesos de la historia. Esto hace privilegiar las acciones que generan dinámicas nuevas. Y reclama paciencia, espera»[10]. Por esto, urge que leamos los signos de los tiempos con los ojos de la fe, para que la dirección de este cambio «despierte nuevas y viejas preguntas con las cuales es justo y necesario confrontarse»[11].
Afrontando hoy el tema del cambio que se funda principalmente en la fidelidad al depositum fidei y a la Tradición, deseo volver sobre la actuación de la reforma de la Curia romana, reiterando que dicha reforma no ha tenido nunca la presunción de hacer como si antes no hubiese existido; al contrario, se ha apuntado a valorizar todo lo bueno que se ha hecho en la compleja historia de la Curia. Es preciso valorizar la historia para construir un futuro que tenga bases sólidas, que tenga raíces y por ello pueda ser fecundo. Apelar a la memoria no quiere decir anclarse en la autoconservación, sino señalar la vida y la vitalidad de un recorrido en continuo desarrollo. La memoria no es estática, es dinámica. Por su naturaleza, implica movimiento. Y la tradición no es estática, es dinámica, como dijo ese gran hombre [G. Mahler]: la tradición es la garantía del futuro y no la custodia de las cenizas.
Queridos hermanos y hermanas: En nuestros anteriores encuentros natalicios, os hablé de los criterios que han inspirado este trabajo de reforma. Alenté también algunas actuaciones que ya se han realizado, sea definitivamente, sea ad experimentum[12]. En el año 2017, evidencié algunas novedades de la organización curial, como, por ejemplo, la Tercera Sección de la Secretaría de Estado, que lo está haciendo muy bien; o las relaciones entre la Curia romana y las Iglesias particulares, recordando también la antigua praxis de las Visitas ad limina Apostolorum; o la estructura de algunos Dicasterios, particularmente el de las Iglesias Orientales y otros para el diálogo ecuménico o para el interreligioso, en modo particular con el Judaísmo.
En el encuentro de hoy, quisiera detenerme en algunos de los otros Dicasterios partiendo desde el núcleo de la reforma, es decir de la primera y más importante tarea de la Iglesia: la evangelización. San Pablo VI afirmó: «Evangelizar constituye, en efecto, la dicha y vocación propia de la Iglesia, su identidad más profunda. Ella existe para evangelizar»[13]. Evangelii nuntiandi, que sigue siendo el documento pastoral más importante después del Concilio y que es actual. En realidad, el objetivo actual de la reforma es que «las costumbres, los estilos, los horarios, el lenguaje y toda estructura eclesial se convierta en un cauce adecuado para la evangelización del mundo actual más que para la autopreservación. La reforma de estructuras que exige la conversión pastoral sólo puede entenderse en este sentido: procurar que todas ellas se vuelvan más misioneras» (Exhort. ap. Evangelii gaudium, 27). Y entonces, inspirándose precisamente en este magisterio de los Sucesores de Pedro desde el Concilio Vaticano II hasta hoy, se consideró proponer para la nueva Constitución Apostólica que se está preparando sobre la reforma de la Curia romana el título de Praedicate evangelium. Es decir, una actitud misionera.
Por eso, mi pensamiento se dirige hoy a algunos de los Dicasterios de la Curia romana que explícitamente se refieren a esta cuestión en su denominación: la Congregación para la Doctrina de la Fe, la Congregación para la Evangelización de los pueblos; pienso también en el Dicasterio para la Comunicación y el Dicasterio para el Servicio del Desarrollo Humano Integral.
Cuando estas dos primeras Congregaciones citadas fueron instituidas, estábamos en una época donde era más sencillo distinguir entre dos vertientes bastante bien definidas: un mundo cristiano por un lado y un mundo todavía por evangelizar por el otro. Ahora esta situación ya no existe. No se puede decir que las poblaciones que no han recibido el anuncio del Evangelio viven sólo en los continentes no occidentales, sino que se encuentran en todas partes, especialmente en las enormes conglomeraciones urbanas, que requieren una pastoral específica. En las grandes ciudades necesitamos otros “mapas”, otros paradigmas que nos ayuden a reposicionar nuestros modos de pensar y nuestras actitudes. Hermanos y hermanas: No estamos más en la cristiandad. Hoy no somos los únicos que producen cultura, ni los primeros, ni los más escuchados[14]. Por tanto, necesitamos un cambio de mentalidad pastoral, que no quiere decir pasar a una pastoral relativista. No estamos ya en un régimen de cristianismo porque la fe —especialmente en Europa, pero incluso en gran parte de Occidente— ya no constituye un presupuesto obvio de la vida común; de hecho, frecuentemente es incluso negada, burlada, marginada y ridiculizada. Esto fue evidenciado por Benedicto XVI cuando, al convocar el Año de la Fe (2012), escribió: «Mientras que en el pasado era posible reconocer un tejido cultural unitario, ampliamente aceptado en su referencia al contenido de la fe y a los valores inspirados por ella, hoy no parece que sea ya así en vastos sectores de la sociedad, a causa de una profunda crisis de fe que afecta a muchas personas»[15]. Y por eso fue instituido en el año 2010 el Pontificio Consejo para la Promoción de la Nueva Evangelización, para «promover una renovada evangelización en los países donde ya resonó el primer anuncio de la fe y están presentes Iglesias de antigua fundación, pero que están viviendo una progresiva secularización de la sociedad y una especie de “eclipse del sentido de Dios”, que constituyen un desafío a encontrar medios adecuados para volver a proponer la perenne verdad del Evangelio de Cristo»[16]. A veces he hablado de esto con algunos de vosotros. Pienso en cinco países que han llenado el mundo de misioneros —os dije los que son—, y hoy no tienen recursos vocacionales para seguir adelante. Este es el mundo actual.
La percepción de que el cambio de época pone serios interrogantes a la identidad de nuestra fe no ha llegado, por cierto, improvisamente[17]. En tal cuadro se insertará también la expresión “nueva evangelización” adoptada por san Juan Pablo II, quien en la Encíclica Redemptoris missio escribió: «Hoy la Iglesia debe afrontar otros desafíos, proyectándose hacia nuevas fronteras, tanto en la primera misión ad gentes, como en la nueva evangelización de pueblos que han recibido ya el anuncio de Cristo» (n. 30). Es necesaria una nueva evangelización, o reevangelización (cf. n. 33).
Todo esto comporta necesariamente cambios y puntos de atención distintos tanto en los mencionados Dicasterios, como en la Curia en general[18].
Quisiera reservar también algunas consideraciones al Dicasterio para la Comunicación, creado recientemente. Estamos en la perspectiva del cambio de época, en cuanto «amplias franjas de la humanidad están inmersas en él de manera ordinaria y continua. Ya no se trata solamente de “usar” instrumentos de comunicación, sino de vivir en una cultura ampliamente digitalizada, que afecta de modo muy profundo la noción de tiempo y de espacio, la percepción de uno mismo, de los demás y del mundo, el modo de comunicar, de aprender, de informarse, de entrar en relación con los demás. Una manera de acercarse a la realidad que suele privilegiar la imagen respecto a la escucha y a la lectura incide en el modo de aprender y en el desarrollo del sentido crítico» (Exhort. ap. postsin. Christus vivit, 86).
Por lo tanto, al Dicasterio para la Comunicación se le ha confiado el encargo de reunir en una nueva institución a los nueve organismos que, anteriormente, se ocuparon, de diversas maneras y con diferentes tareas, de la comunicación: el Pontificio Consejo para las Comunicaciones Sociales, la Sala de Prensa de la Santa Sede, la Tipografía Vaticana, la Librería Editrice Vaticana, L’Osservatore Romano, la Radio Vaticana, el Centro Televisivo Vaticano, el Servicio de Internet Vaticano y el Servicio Fotográfico. Sin embargo, esta unificación, en línea con lo que se ha dicho, no proyectaba una simple agrupación “coordinativa”, sino una armonización de los diferentes componentes para proponer una mejor oferta de servicios y también para tener una línea editorial coherente.
La nueva cultura, marcada por factores de convergencia y multimedialidad, necesita una respuesta adecuada por parte de la Sede Apostólica en el área de la comunicación. Hoy, con respecto a los servicios diversificados, prevalece la forma multimedia, y esto también indica la manera de concebirlos, pensarlos e implementarlos. Todo esto implica, junto con el cambio cultural, una conversión institucional y personal para pasar de un trabajo de departamentos cerrados ―que en el mejor de los casos ofrecía una cierta coordinación― a un trabajo intrínsecamente conectado, en sinergia.
Queridos hermanos y hermanas: Mucho de lo dicho hasta ahora también es válido, en principio, para el Dicasterio para el Servicio del Desarrollo Humano Integral. También este se instituyó recientemente para responder a los cambios surgidos a nivel global, reuniendo cuatro Pontificios Consejos anteriores: Justicia y paz, Cor Unum, Pastoral para Migrantes y Operadores de la Salud. La coherencia de las tareas encomendadas a este Dicasterio se recuerda brevemente en el exordio del Motu Proprio Humanam progressionem que lo estableció: «En todo su ser y obrar, la Iglesia está llamada a promover el desarrollo integral del hombre a la luz del Evangelio. Este desarrollo se lleva a cabo mediante el cuidado de los inconmensurables bienes de la justicia, la paz y la protección de la creación». Se lleva a cabo en el servicio a los más débiles y marginados, especialmente a los migrantes forzados, que en este momento representan un grito en el desierto de nuestra humanidad. Por lo tanto, la Iglesia está llamada a recordar a todos que no se trata sólo de cuestiones sociales o migratorias, sino de personas humanas, hermanos y hermanas que hoy son el símbolo de todos los descartados de la sociedad globalizada. Está llamada a testimoniar que para Dios nadie es “extranjero” o “excluido”. Está llamada a despertar las conciencias adormecidas en la indiferencia ante la realidad del mar Mediterráneo, que se ha convertido para muchos, demasiados, en un cementerio.
Me gustaría recordar la importancia del carácter de integralidad del desarrollo. San Pablo VI afirmó que «el desarrollo no se reduce al simple crecimiento económico. Para ser auténtico, debe ser integral, es decir, promover a todos los hombres y a todo el hombre» (Carta enc. Populorum progressio, 14). En otras palabras, arraigada en su tradición de fe y remitiéndose en las últimas décadas a las enseñanzas del Concilio Vaticano II, la Iglesia siempre ha afirmado la grandeza de la vocación de todos los seres humanos, que Dios creó a su imagen y semejanza para que formaran una única familia; y al mismo tiempo ha procurado abrazar lo humano en todas sus dimensiones.
Es precisamente esta exigencia de integralidad la que vuelve a proponernos hoy la humanidad que nos reúne como hijos de un único Padre. «En todo su ser y obrar, la Iglesia está llamada a promover el desarrollo integral del hombre a la luz del Evangelio» (M.P. Humanam progressionem). El Evangelio lleva siempre a la Iglesia a la lógica de la encarnación, a Cristo que ha asumido nuestra historia, la historia de cada uno de nosotros. Esto es lo que nos recuerda la Navidad. Entonces, la humanidad es la clave distintiva para leer la reforma. La humanidad llama, interroga y provoca, es decir, llama a salir y no temer al cambio.
No olvidemos que el Niño recostado en el pesebre tiene el rostro de nuestros hermanos y hermanas más necesitados, de los pobres que «son los privilegiados de este misterio y, a menudo, aquellos que son más capaces de reconocer la presencia de Dios en medio de nosotros» (Carta ap. Admirabile signum, 1 diciembre 2019, 6).
Queridos hermanos y hermanas: Se trata, por lo tanto, de grandes desafíos y equilibrios necesarios, a menudo difíciles de lograr, por el simple hecho de que, en la tensión entre un pasado glorioso y un futuro creativo y en movimiento, se encuentra el presente en el que hay personas que irremediablemente necesitan tiempo para madurar; hay circunstancias históricas que se deben manejar en la cotidianidad, puesto que durante la reforma el mundo y los eventos no se detienen; hay cuestiones jurídicas e institucionales que se deben resolver gradualmente, sin fórmulas mágicas ni atajos.
Por último, está la dimensión del tiempo y el error humano, con los que no es posible, ni correcto, no lidiar porque forman parte de la historia de cada uno. No tenerlos en cuenta significa hacer las cosas prescindiendo de la historia de los hombres. Vinculada a este difícil proceso histórico, siempre está la tentación de replegarse en el pasado —incluso utilizando nuevas formulaciones—, porque es más tranquilizador, conocido y, seguramente, menos conflictivo. Sin embargo, también esto forma parte del proceso y el riesgo de iniciar cambios significativos[19].
Aquí es necesario alertar contra la tentación de asumir la actitud de la rigidez. La rigidez que proviene del miedo al cambio y termina diseminando con límites y obstáculos el terreno del bien común, convirtiéndolo en un campo minado de incomunicabilidad y odio. Recordemos siempre que detrás de toda rigidez hay un desequilibrio. La rigidez y el desequilibrio se alimentan entre sí, en un círculo vicioso. Y, en este momento, esta tentación de rigidez es muy actual.
Queridos hermanos y hermanas: La Curia romana no es un cuerpo desconectado de la realidad —aun cuando el riesgo siempre esté presente—, sino que debe ser entendida y vivida en el hoy del camino recorrido por todos los hombres y las mujeres, en la lógica del cambio de época. La Curia romana no es un edificio o un armario lleno de trajes que ponerse para justificar un cambio. La Curia romana es un cuerpo vivo, y lo es tanto más cuanto más vive la integralidad del Evangelio.
El Cardenal Martini, en la última entrevista concedida pocos días antes de su muerte, pronunció palabras que nos deben hacer pensar: «La Iglesia se ha quedado doscientos años atrás. ¿Por qué no se sacude? ¿Tenemos miedo? ¿Miedo en lugar de valentía? Sin embargo, el cimiento de la Iglesia es la fe. La fe, la confianza, la valentía. [...] Sólo el amor vence el cansancio»[20].
La Navidad es la fiesta del amor de Dios por nosotros. El amor divino que inspira, dirige y corrige la transformación, y derrota el miedo humano de dejar “lo seguro” para lanzarse hacia el “misterio”.
¡Feliz Navidad para todos!
Como preparación para la Navidad, hemos escuchado las predicaciones sobre la Santa Madre de Dios. Dirijamos a ella antes de la bendición.
[Ave María y bendición]
Ahora me gustaría daros un regalo, un recuerdo: dos libros. El primero es el “documento”, digámoslo así, que deseaba realizar para el mes misionero extraordinario [octubre 2019], y lo hice como entrevista: Sin Él no podemos hacer nada. Me inspiró una frase, no sé de quién, que decía que cuando el misionero llega a un lugar ya está esperándolo el Espíritu Santo. Esta es la inspiración de este documento. Y el segundo es un retiro para sacerdotes realizado hace poco tiempo por D. Luigi Maria Epicoco; un retiro para sacerdotes: Alguien a quien mirar. Los doy de corazón para que sirvan a toda la comunidad. Gracias.
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[1] Matta El Meskin, L’umanità di Dio, Qiqajon-Bose, Magnano 2015, 170-171.
[2] Quis dives salvetur 37, 1-6.
[3] Sermón “La encarnación, misterio de gracia”, en Parochial and Plain Sermons V, 7.
[4] Ibíd. V, 97-98.
[5] Meditazioni e preghiere, G. Velocci, Milán 2002, 75.
[6] En una oración suya, Newman afirmaba: «No hay nada estable fuera de ti, Dios mío. Tú eres el centro y la vida de todos los que, siendo mudables, confían en ti como en un Padre, y vuelven a ti los ojos, contentos de ponerse en tus manos. Sé, Dios mío, que debe operarse en mí un cambio, si quiero llegar a contemplar tu rostro» (ibíd., 112).
[7] Newman lo describe así: «En el momento de la conversión, yo mismo no me daba cuenta del cambio intelectual y moral que había tenido lugar en mi mente… tenía la impresión de entrar en el puerto después de una travesía agitada; por eso mi felicidad, desde entonces y hasta hoy, ha permanecido inalterable» (Apologia pro vita sua, A. Bosi, ed. Turín 1988, 360; cf. J. Honoré, Gli aforismi di Newman, LEV, Ciudad del Vaticano 2010, 167).
[8] Cf. J. M. Bergoglio, Mensaje de cuaresma a los sacerdotes y consagrados, 21 febrero 2007.
[9] Cf. Const. ap. Veritatis gaudium (27 diciembre 2017), 3: «Se trata, en definitiva, de cambiar el modelo de desarrollo global y redefinir el progreso: El problema es que no disponemos todavía de la cultura necesaria para enfrentar esta crisis y hace falta construir liderazgos que marquen caminos».
[10] Entrevista concedida al P. Antonio Spadaro: La Civiltà Cattolica,19 septiembre 2013, p. 468.
[11] Carta al Pueblo de Dios que peregrina en Alemania, 29 junio 2019.
[12] Cf. Discurso a la Curia, 22 diciembre 2016.
[13] Exhort. ap. Evangelii nuntiandi (8 diciembre 1975), 14. San Juan Pablo II escribió que «la evangelización misionera es que ésta constituye el primer servicio que la Iglesia puede prestar a cada hombre y a la humanidad entera en el mundo actual, el cual está conociendo grandes conquistas, pero parece haber perdido el sentido de las realidades últimas y de la misma existencia» (Carta enc. Redemptoris missio, 7 diciembre 1990, 2).
[14] Cf. Discurso a los participantes en el Congreso Internacional de la Pastoral de las Grandes Ciudades, Sala del Consistorio, 27 noviembre 2014.
[15] Carta ap. M.P. Porta fidei, 2.
[16] Benedicto XVI, Homilía, 28 junio 2010; cf. Carta ap. M.P. Ubicumque et semper, 17 octubre 2010.
[17] El cambio de época fue también advertido en Francia por el Card. Suhard (piénsese en su carta pastoral Essor ou déclin de l’Église, 1947) y por el entonces Arzobispo de Milán, G.B. Montini. También él se preguntaba si Italia fuese todavía una nación católica (cf. Prolusione alla VIII Settimana nazionale di aggiornamento pastorale, 22 septiembre 1958, en Discorsi e Scritti milanesi 1954-1963, vol. II, Brescia-Roma 1997, 2328).
[18] San Pablo VI, hace aproximadamente cincuenta años, presentando a los fieles el nuevo Misal Romano, evocó la ecuación entre la ley de la oración (lex orandi) y la ley de la fe (lex credendi), y describió el Misal como “demostración de fidelidad y vitalidad”. Concluyendo su reflexión afirmó: «No decimos por tanto “nueva Misa”, sino más bien “nueva época” de la vida de la Iglesia» (Audiencia general, 19 noviembre 1969). Es cuanto, análogamente, se podría decir también en nuestro caso: no una nueva Curia romana, sino más bien una nueva época.
[19] Evangelii gaudium enuncia la regla de «privilegiar las acciones que generan dinamismos nuevos en la sociedad e involucran a otras personas y grupos que las desarrollarán, hasta que fructifiquen en importantes acontecimientos históricos. Nada de ansiedad, pero sí convicciones claras y tenacidad» (n. 223).
[20] Entrevista a Georg Sporschill, S.J., y a Federica Radice Fossati Confalonieri: “Corriere della Sera”, 1 septiembre 2012.
[02087-ES.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua portoghese
«E o Verbo fez-Se homem e veio habitar connosco» (Jo 1, 14).
Queridos irmãos e irmãs!
Para todos vós, as minhas cordiais boas-vindas. Agradeço ao Cardeal Ângelo Sodano as palavras que me dirigiu e sobretudo quero, em nome pessoal e também dos membros do Colégio Cardinalício, manifestar-lhe viva gratidão pelo serviço precioso e diligente que desempenhou durante muitos anos como Decano com disponibilidade, dedicação, eficiência e grande capacidade organizativa e coordenadora; com aquele modo de agir da nossa gente, da rassa nostrana, como diria [o escritor piemontês] Nino Costa. De coração obrigado, Eminência! Agora cabe aos Cardeais Bispos eleger um novo Decano; espero que escolham alguém que se ocupe a tempo inteiro deste cargo tão importante. Obrigado.
A vós que aqui estais, aos vossos colaboradores, a todas as pessoas que prestam serviço na Cúria, bem como aos Representantes Pontifícios e a quantos os apoiam, desejo um santo e feliz Natal. E aos votos natalícios junto o reconhecimento pela dedicação diária colocada ao serviço da Igreja. Muito obrigado!
O Senhor oferece-nos a oportunidade de nos encontrarmos, também este ano, para este momento de comunhão que reforça a nossa fraternidade e está enraizado na contemplação do amor de Deus que Se nos revela no Natal. De facto, «o nascimento de Cristo – escreveu um místico do nosso tempo – é o testemunho mais forte e eloquente de quanto Deus amou o homem. Amou-o com um amor pessoal. É por isso que tomou um corpo humano, ao qual Se uniu e assumiu para sempre. O nascimento de Cristo é, em si mesmo, uma “aliança de amor” estipulada para sempre entre Deus e o homem».[1] E São Clemente de Alexandria escreve: «Para isto Ele [Cristo] desceu; para isto Se revestiu de humanidade; para isto sofreu voluntariamente o que padecem os homens, para que, depois de Se ter confrontado com a nossa fraqueza que amou, pudesse em troca confrontar-nos com a sua força».[2]
À vista de tanta benevolência e tanto amor, a troca das «Boas-Festas» natalícias é igualmente ocasião para acolhermos de modo novo o seu mandamento: «Que vos ameis uns aos outros assim como Eu vos amei. Por isto é que todos conhecerão que sois meus discípulos: se vos amardes uns aos outros» (Jo 13, 34-35). Aqui, Jesus não nos pede para O amarmos a Ele em resposta ao seu amor por nós; mas, sim, para nos amarmos uns aos outros com o seu próprio amor. Por outras palavras, pede-nos para sermos semelhantes a Ele, porque Ele Se fez semelhante a nós. Oxalá o Natal «nos encontre – exorta o Santo cardeal Newman – cada vez mais semelhantes Àquele que, neste tempo, Se tornou menino por nosso amor; que em cada novo Natal nos encontre mais simples, mais humildes, mais santos, mais caridosos, mais resignados, mais alegres, mais repletos de Deus».[3] E acrescenta: «Este é o tempo da inocência, da pureza, da mansidão, da alegria, da paz».[4]
Pensando em Newman, vem-nos à mente outra afirmação dele bem conhecida – quase um aforismo –, presente na sua obra O desenvolvimento da doutrina cristã, que histórica e espiritualmente se situa na encruzilhada da sua entrada na Igreja Católica. Ei-la: «Aqui, na terra, viver é mudar; e a perfeição é o resultado de muitas transformações».[5] Obviamente, não se trata de procurar a mudança por si mesma nem de seguir as modas, mas de ter a convicção de que o desenvolvimento e o crescimento são a caraterística da vida terrena e humana, enquanto no centro de tudo, segundo a perspetiva do crente, está a estabilidade de Deus.[6]
Para Newman, a mudança era conversão, isto é, uma transformação interior.[7] Na realidade, a vida cristã é um caminho, uma peregrinação. A história bíblica é, toda ela, um caminho, marcado por começos e recomeços; como sucedeu com Abraão; como sucedeu com quantos na Galileia, dois mil anos atrás, se puseram a caminho para seguir Jesus: «E, depois de terem reconduzido os barcos para terra, deixaram tudo e seguiram Jesus» (Lc 5, 11). Desde então, a história do povo de Deus – a história da Igreja – está sempre marcada por partidas, deslocações, mudanças. Obviamente trata-se, não tanto de um caminho puramente geográfico, como sobretudo simbólico: é um convite a descobrir o movimento do coração que, paradoxalmente, tem necessidade de partir para poder permanecer, de mudar para poder ser fiel.[8]
Tudo isto se reveste duma valência particular no nosso tempo, porque estamos a viver, não simplesmente uma época de mudanças, mas uma mudança de época. Encontramo-nos, portanto, num daqueles momentos em que as mudanças já não são lineares, mas epocais; constituem opções que transformam rapidamente o modo de viver, de se relacionar, de comunicar e elaborar o pensamento, de comunicar entre as gerações humanas e de compreender e viver a fé e a ciência. Muitas vezes acontece viver a mudança limitando-se a envergar um vestido novo e, depois, permanecer como se era antes. Lembro-me da expressão enigmática que se lê num famoso romance italiano: «Se queremos que tudo fique como está, é preciso que tudo mude» (Il Gattopardo, de Giuseppe Tomasi de Lampedusa).
A atitude sadia é, antes, deixar-se questionar pelos desafios do tempo presente, individuando-os com as virtudes do discernimento, da parresia e da hypomoné. Então a mudança assumiria um aspeto completamente diferente: de elemento complementar, de contexto ou de pretexto, de paisagem exterior, tornar-se-ia cada vez mais humana e também mais cristã. Continuaria a ser uma mudança externa, mas realizada a partir do próprio centro do homem, isto é, uma conversão antropológica.[9]
Devemos iniciar processos e não ocupar espaços: «Deus manifesta-Se numa revelação histórica, no tempo. O tempo começa os processos, o espaço cristaliza-os. Deus encontra-Se no tempo, nos processos em curso. Não se deve privilegiar os espaços de poder relativamente aos tempos, mesmo longos, dos processos. Devemos preocupar-nos mais com iniciar processos do que com ocupar espaços. Deus manifesta-Se no tempo e está presente nos processos da história. Isto leva a privilegiar as ações que geram novas dinâmicas. E requer paciência, saber esperar».[10] A partir disto, somos solicitados a ler os sinais dos tempos com os olhos da fé, para que a orientação desta mudança «desperte novas e velhas questões com que é justo e necessário confrontar-se».[11]
Hoje, abordando o tema da mudança que se baseia principalmente na fidelidade ao depositum fidei e à Tradição, desejo voltar à implementação da reforma da Cúria Romana, reiterando que esta reforma nunca teve a presunção de proceder como se nada tivesse existido antes; pelo contrário, procurou-se valorizar quanto de bom se fez na complexa história da Cúria. É forçoso valorizar a sua história para construir um futuro que tenha bases sólidas, que tenha raízes e assim possa ser fecundo. Fazer apelo à memória não significa ancorar-se na autoconservação, mas recordar a vida e a vitalidade dum percurso em desenvolvimento contínuo. A memória não é estática, mas dinâmica. Por sua natureza, implica movimento. E a tradição não é estática, mas dinâmica, como dizia aquele grande homem [G. Mahler, retomando uma metáfora de Jean Jaurès]: a tradição é a garantia do futuro e não a custódia das cinzas.
Queridos irmãos e irmãs!
Nos anteriores encontros de Natal, falei-vos dos critérios que inspiraram este trabalho de reforma. Dei também a razão de ser de algumas implementações já realizadas, quer definitivamente quer ad experimentum.[12] Em 2017, destaquei algumas novidades da organização da Cúria, como, por exemplo, a Terceira Secção da Secretaria de Estado, que está a comportar-se muito bem; ou as relações entre a Cúria Romana e as Igrejas particulares, lembrando também a prática antiga das Visitas ad limina Apostolorum; ou a estrutura de alguns Dicastérios, nomeadamente o das Igrejas Orientais e os Dicastérios para o diálogo ecuménico e inter-religioso e, de modo especial, com o Judaísmo.
No encontro de hoje, quero deter-me sobre outros Dicastérios vistos a partir do coração da reforma, ou seja, da primeira e mais importante tarefa da Igreja: a evangelização. São Paulo VI afirmou: «Evangelizar constitui, de facto, a graça e a vocação própria da Igreja, a sua mais profunda identidade. Ela existe para evangelizar».[13] Di-lo na Evangelii nuntiandi, que continua a ser, ainda hoje, o documento pastoral mais importante do pós-Concílio, e atual. Na realidade, o objetivo da reforma atual é que «os costumes, os estilos, os horários, a linguagem e toda a estrutura eclesial se tornem um canal proporcionado mais à evangelização do mundo atual que à autoconservação. A reforma das estruturas, que a conversão pastoral exige, só se pode entender neste sentido: fazer com que todas elas se tornem mais missionárias» (Francisco, Exort. ap. Evangelii gaudium, 27). E assim, inspirando-se precisamente neste magistério dos Sucessores de Pedro desde o Concílio Vaticano II até hoje, pensou-se em realçar a postura missionária, dando o título de Praedicate evangelium à nova Constituição Apostólica, em fase de elaboração, sobre a reforma da Cúria Romana.
Nesta linha, pensei deter-me hoje nalguns Dicastérios da Cúria Romana cuja própria denominação já sugere uma explícita referência a tudo isso, ou seja, a Congregação para a Doutrina da Fé, a Congregação para a Evangelização dos Povos; mas penso também no Dicastério para a Comunicação e no Dicastério para o Serviço do Desenvolvimento Humano Integral.
Na época em que foram instituídas as primeiras duas Congregações citadas, era mais simples distinguir entre duas vertentes bastante claras: duma parte, um mundo cristão e, da outra, um mundo carecido ainda de ser evangelizado. Agora, esta situação já não existe. Efetivamente as populações que ainda não receberam o anúncio do Evangelho não vivem apenas nos Continentes não ocidentais, mas habitam em toda parte, especialmente nas enormes concentrações urbanas, requerendo também elas uma pastoral específica. Nas grandes cidades, precisamos de outros «mapas», outros paradigmas, que nos ajudem a situar novamente os nossos modos de pensar e as nossas atitudes: já não estamos, irmãos e irmãs, na cristandade! Hoje, já não somos os únicos que produzem cultura, nem os primeiros nem os mais ouvidos.[14] Por isso precisamos duma mudança de mentalidade pastoral, o que não significa passar para uma pastoral relativista. Já não estamos num regime de cristandade, porque a fé – especialmente na Europa, mas também em grande parte do Ocidente – já não constitui um pressuposto óbvio da vida habitual; na verdade, muitas vezes é negada, depreciada, marginalizada e ridicularizada. Destacou-o Bento XVI quando, ao proclamar o Ano da Fé (2012), escreveu: «Enquanto, no passado, era possível reconhecer um tecido cultural unitário, amplamente compartilhado no seu apelo aos conteúdos da fé e aos valores por ela inspirados, hoje parece que já não é assim em grandes setores da sociedade devido a uma profunda crise de fé que atingiu muitas pessoas».[15] E, em 2010, instituíra o Pontifício Conselho para a Promoção da Nova Evangelização, a fim de «promover uma renovada evangelização nos países onde já ressoou o primeiro anúncio da fé e estão presentes Igrejas de antiga fundação, mas que estão a passar por uma progressiva secularização da sociedade e a viver uma espécie de “eclipse do sentido de Deus”, que constituem um desafio a encontrar meios adequados para voltar a propor a verdade perene do Evangelho de Cristo».[16] Uma vez ou outra, falei disto com alguns de vós. Penso em cinco países que encheram o mundo de missionários – disse-vos quais são – e hoje não têm os recursos vocacionais necessários para prosseguir. Este é o mundo atual.
A bem da verdade, não foi de forma improvisa que se chegou a esta perceção de que a mudança de época coloca sérios interrogativos quanto à identidade da nossa fé.[17] Neste contexto, há que inserir também a expressão «nova evangelização» adotada por São João Paulo II na Encíclica Redemptoris missio: «A Igreja deve, hoje, enfrentar outros desafios, lançando-se para novas fronteiras, quer na primeira missão ad gentes, quer na nova evangelização dos povos que já receberam o anúncio de Cristo» (n. 30). Há necessidade duma nova evangelização, ou reevangelização (cf. n. 33).
Tudo isso supõe, necessariamente, mudanças e novas focalizações de atenção também nos Dicastérios acima mencionados, bem como em toda a Cúria.[18]
Gostaria de tecer algumas considerações também sobre o recém-criado Dicastério para a Comunicação. A perspetiva que se nos depara é a da mudança de época, pois «largas faixas da humanidade vivem mergulhadas [no ambiente digital] de maneira ordinária e contínua. Já não se trata apenas de “usar” instrumentos de comunicação, mas de viver numa cultura amplamente digitalizada que tem impactos muito profundos na noção de tempo e espaço, na perceção de si mesmo, dos outros e do mundo, na maneira de comunicar, aprender, obter informações, entrar em relação com os outros. Uma abordagem da realidade, que tende a privilegiar a imagem relativamente à escuta e à leitura, influencia o modo de aprender e o desenvolvimento do sentido crítico» (Francisco, Exort. ap. pós-sinodal Christus vivit, 86).
Assim, foi confiada ao Dicastério para a Comunicação a tarefa de incorporar numa nova instituição os nove entes que, segundo várias modalidades e com diferentes tarefas, se ocupavam anteriormente de comunicação: o Conselho Pontifício para as Comunicações Sociais, a Sala de Imprensa da Santa Sé, a Tipografia Vaticana, a Livraria Editora Vaticana, o jornal L’Osservatore Romano, a Rádio Vaticana, o Centro Televisivo Vaticano, o Serviço da Internet Vaticana, o Serviço Fotográfico. Entretanto, na linha do que ficou dito, esta unificação não se propunha simplesmente ser um agrupamento de «coordenação», mas harmonizar os diferentes componentes para produzir uma melhor oferta de serviços e ter também uma linha editorial coerente.
A nova cultura, marcada por fatores de convergência e presença multimédia, precisa duma resposta adequada da Sé Apostólica no campo da comunicação. Hoje, em vez de serviços diversificados, prevalece a forma multimédia, e isto marca também o modo de os conceber, configurar e implementar. Tudo isto implica, juntamente com a mudança cultural, uma conversão institucional e pessoal para passar dum trabalho em compartimentos estanques – no melhor dos casos, tinham alguma coordenação – a um trabalho intrinsecamente conexo, em sinergia.
Queridos irmãos e irmãs!
Muitas das coisas ditas até agora valem também, em linha de princípio, para o Dicastério para o Serviço do Desenvolvimento Humano Integral. Também este foi criado recentemente para dar resposta às mudanças verificadas a nível global, implementando a confluência de quatro Conselhos Pontifícios anteriores: Justiça e Paz, Cor Unum, Pastoral dos Migrantes e Agentes Sanitários. A coerência das tarefas confiadas a este Dicastério aparece sinteticamente lembrada pelo exórdio do Motu proprio Humanam progressionem, que o instituiu: «Em todo o seu ser e obrar, a Igreja está chamada a promover o desenvolvimento integral do homem à luz do Evangelho. Este desenvolvimento tem lugar mediante o cuidado dos bens incomensuráveis da justiça, da paz e da proteção da criação». Concretiza-se no serviço aos mais frágeis e marginalizados, em particular aos migrantes forçados, que representam neste momento um grito no deserto da nossa humanidade. Por isso, a Igreja está chamada a lembrar a todos que não se trata apenas de questões sociais ou migratórias, mas de pessoas humanas, de irmãos e irmãs que hoje são o símbolo de todos os descartados da sociedade globalizada. Está chamada a testemunhar que, para Deus, ninguém é «estrangeiro» nem «excluído». Está chamada a despertar consciências adormecidas na indiferença perante a realidade do Mar Mediterrâneo que se tornou para muitos, demasiados, um cemitério.
Gostaria de chamar a atenção para a importância do caráter integral do desenvolvimento. São Paulo VI afirmou que «o desenvolvimento não se reduz a um simples crescimento económico. Para ser autêntico, deve ser integral, quer dizer, promover todos os homens e o homem todo» (Enc. Populorum progressio, 14). Por outras palavras, a Igreja, enraizada na sua tradição de fé e apelando-se nas últimas décadas ao magistério do Concílio Vaticano II, sempre afirmou a grandeza da vocação de todos os seres humanos, que Deus criou à sua imagem e semelhança a fim de formarem uma única família; e, ao mesmo tempo, procurou abraçar o humano em todas as suas dimensões.
É precisamente esta exigência de integralidade que hoje nos repropõe a humanidade que nos une como filhos de um único Pai. «Em todo o seu ser e obrar, a Igreja está chamada a promover o desenvolvimento integral do homem à luz do Evangelho» (Motu proprio Humanam progressionem (17/VIII/2016), exórdio). O Evangelho não cessa de trazer a Igreja à lógica da encarnação, a Cristo que assumiu a nossa história, a história de cada um de nós. Isto lembra-nos o Natal. Em suma, a humanidade é a chave com que ler a reforma. A humanidade chama, interpela e provoca, isto é, chama a sair para fora e não temer a mudança.
Não esqueçamos que o Menino deitado no presépio tem o rosto dos nossos irmãos e irmãs mais necessitados, dos pobres que «são os privilegiados deste mistério e, muitas vezes, aqueles que melhor conseguem reconhecer a presença de Deus no meio de nós» (Francisco, Carta ap. Admirabile signum, 01/XII/2019, 6).
Queridos irmãos e irmãs!
Trata-se de grandes desafios e de equilíbrios necessários, muitas vezes não fáceis de alcançar pelo simples facto de que, na tensão entre um passado glorioso e um futuro criativo e em movimento, se encontra o presente no qual há pessoas que necessariamente precisam de tempo para amadurecer; há circunstâncias históricas a gerir na vida quotidiana, porque, durante a reforma, o mundo e os acontecimentos não param; há questões jurídicas e institucionais que se hão de resolver gradualmente, sem recurso a fórmulas mágicas nem a atalhos.
Há, finalmente, a dimensão do tempo e existe o erro humano, que não é possível nem correto ignorar, porque fazem parte da história de cada um. Ignorá-los significa fazer as coisas, abstraindo da história dos homens. E ligada a este difícil processo histórico, há sempre a tentação de se retirar para o passado (mesmo usando novas formulações), porque mais tranquilizador, conhecido e seguramente menos conflituoso. Mas também isto faz parte do processo e do risco de iniciar mudanças significativas.[19]
Aqui é necessário advertir contra a tentação de assumir a atitude da rigidez. Esta nasce do medo da mudança e acaba por disseminar estacas e obstáculos pelo terreno do bem comum, tornando-o um campo minado de incomunicabilidade e ódio. Lembremo-nos sempre de que, por trás de qualquer rigidez, jaz um desequilíbrio. A rigidez e o desequilíbrio nutrem-se, mutuamente, num círculo vicioso. E, hoje, esta tentação da rigidez é tão atual!
Queridos irmãos e irmãs!
A Cúria Romana não é um corpo separado da realidade – embora o risco esteja sempre presente –, mas deve ser concebida e vivida no hoje do caminho percorrido pelos homens e as mulheres, na lógica da mudança de época. A Cúria Romana não é um palácio ou um armário cheio de roupas que se hão de vestir para justificar uma mudança. A Cúria Romana é um corpo vivo, e sê-lo-á tanto mais quanto mais viver a integralidade do Evangelho.
O cardeal Martini, na última entrevista dada poucos dias antes da sua morte, disse palavras que nos devem interpelar: «A Igreja ficou atrasada duzentos anos. Como é possível que não se alvorace? Temos medo? Medo, em vez de coragem? No entanto, a fé é o fundamento da Igreja. A fé, a confiança, a coragem. (...) Só o amor vence o cansaço».[20]
O Natal é a festa do amor de Deus por nós. O amor divino que inspira, dirige e corrige a mudança e vence o medo humano de deixar o «seguro» para se lançar no «mistério».
Feliz Natal para todos!
Na preparação para o Natal, as pregações escutadas foram sobre a Santa Mãe de Deus. Dirijamo-nos a Ela antes da bênção.
[Ave Maria e Bênção]
Agora gostaria de vos dar uma lembrança, uma prenda: dois livros. O primeiro é o «documento» – chamemo-lo assim – que eu quis fazer para o mês missionário extraordinário [outubro de 2019], aparecendo sob a forma de entrevista e com o título Sem Ele nada podemos fazer. Inspirou-me uma frase – não sei de quem – que dizia: quando o missionário chega a um lugar, já está lá o Espírito Santo à espera dele. Nisto se inspira o documento. E o segundo é um retiro dado aos sacerdotes, há pouco tempo, pelo Padre Luís Maria Epicoco: um retiro para os sacerdotes, Alguém por modelo. De coração, vo-los ofereço para servirem a toda a comunidade. Obrigado!
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[1] Matta El Meskin, L’umanità di Dio (Qiqajon-Bose, Magnano 2015), 170-171.
[2] Quis dives salvetur 37, 1-6.
[3] Sermão «A Encarnação, Mistério de Graça», in Parochial and Plain Sermons, V, 7.
[4] Ibidem: o. c., V, 97-98.
[5] Meditazioni e preghiere, ed. G. Velocci, Milão 2002, p. 75.
[6] Numa das suas orações, Newman afirmava: «Não há nada de estável fora de Vós, ó meu Deus. Vós sois o centro e a vida de todos aqueles que mudam, que confiam em Vós como seu Pai, que levantam os olhos para Vós e que são felizes por se colocarem nas vossas mãos. Eu sei, meu Deus, que devo mudar, se quiser ver o vosso rosto» (Ibid., p. 112).
[7] Assim a descreve Newman: «No momento da conversão, não tive consciência de qualquer mudança, intelectual ou moral, que pudesse ter ocorrido no meu espírito (…), parecia-me reentrar no porto, depois duma navegação tempestuosa; e a este respeito a minha felicidade continuou ininterruptamente até hoje» (Apologia pro vita sua, ed. A. Bosi, Turim 1988, 360; cf. J. Honoré, Gli aforismi di Newman, Livraria Editora Vaticana, Cidade do Vaticano 2010, 167).
[8] J. M. Bergoglio, Mensagem quaresmal aos sacerdotes e consagrados, 21/II/2007, in Nei tuoi occhi è la mia parola (Milão 2016), p. 501.
[9] Veja-se Francisco, Const. ap. Veritatis gaudium (27/XII/2017), 3: «Em última análise, trata-se de mudar o modelo de desenvolvimento global e de redefinir o progresso: o problema é que não dispomos ainda da cultura necessária para enfrentar esta crise e há necessidade de construir lideranças que tracem caminhos».
[10] Entrevista concedida ao P. António Spadaro: La Civiltà Cattolica (19/IX/2013), p. 468.
[11] Francisco, Carta ao Povo de Deus que está em caminho na Alemanha, 29/VI/2019.
[12] Cf. Discurso à Cúria, 22/XII/2016.
[13] Exort. ap. Evangelii nuntiandi (8/XII/1975), 14. São João Paulo II, por sua vez, escreveu que a evangelização missionária «constitui o primeiro serviço que a Igreja pode prestar ao homem e à humanidade inteira, no mundo de hoje, que, apesar de conhecer realizações maravilhosas, parece ter perdido o sentido último das coisas e da sua própria existência» (Carta enc. Redemptoris missio (7/XII/1990), 2).
[14] Cf. Francisco, Discurso aos participantes no Congresso Internacional da Pastoral das Grandes Cidades, 27/XI/2014.
[15] Carta ap. sob forma de Motu proprio Porta fidei (11/X/2011), 2.
[16] Bento XVI, Homilia (28/VI/2010); cf. Carta ap. sob forma de Motu proprio Ubicumque et semper (17/X/2010).
[17] A mudança de época foi sentida na França pelo cardeal Suhard (veja-se a sua carta pastoral Essor ou déclin de l'Église, 1947) e de igual modo pelo Cardeal Montini, quando era Arcebispo de Milão: questionava-se, ele também, se a Itália fosse ainda um país católico (cf. Intervenção na VIII Semana Nacional de Atualização Pastoral, 22/IX/1958, in Discorsi e Scritti milanesi 1954-1963, vol. II, Brescia-Roma 1997, 2328).
[18] Há cerca de cinquenta anos, São Paulo VI, ao apresentar o novo Missal Romano aos fiéis, lembrou a equação entre a lei da oração (lex orandi) e a lei da fé (lex credendi) e descreveu o Missal como «demonstração de fidelidade e vitalidade». Ao concluir a sua reflexão, afirmou: «Por isso não falamos de “nova Missa», mas de “nova época” da vida da Igreja» (Audiência Geral, 19/XI/1969). E, de forma análoga, se poderia dizer no nosso caso: não uma nova Cúria Romana, mas uma nova era.
[19] A Exortação apostólica Evangelii gaudium enuncia a regra de «privilegiar as ações que geram novos dinamismos na sociedade e comprometem outras pessoas e grupos que os desenvolverão até frutificarem em acontecimentos históricos importantes. Sem ansiedade, mas com convicções claras e tenazes» (n. 223).
[20] Entrevista dada a Jorge Sporschill SJ e Frederica Radice Fossati Confalonieri, in Corriere della Sera (01/IX/2012).
[02087-PO.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua polacca
„A Słowo stało się ciałem i zamieszkało wśród nas” (J 1,14).
Drodzy bracia i siostry,
Serdecznie witam was wszystkich. Dziękuję kardynałowi Angelo Sodano za skierowane do mnie słowa, a przede wszystkim pragnę wyrazić mu swoją wdzięczność, również w imieniu członków Kolegium Kardynalskiego, za cenną i systematyczną posługę, jaką pełnił od wielu lat jako dziekan, z dyspozycyjnością, poświęceniem, skutecznością oraz doskonałymi umiejętnościami organizacyjnymi i koordynacyjnymi. Z tym sposobem działania „między ziomkami” („rassa nostrana”), jak by powiedział Nino Costa (pisarz piemoncki). Serdecznie dziękuję, Eminencjo! Teraz Kardynałom biskupom przypadnie wybrać nowego dziekana; mam nadzieję, że wybiorą kogoś, kto bez reszty zaangażuje się w pełnienie tego tak ważnego urzędu. Dziękuję.
Wam tu obecnym, waszym współpracownikom, wszystkim osobom pełniącym swą posługę w Kurii, a także przedstawicielom papieskim i tym, którzy ich wspierają, życzę świętych i radosnych Świąt Bożego Narodzenia. Do życzeń dołączam wdzięczność za codzienne poświęcenie, jakie ofiarujecie w służbie Kościołowi. Bardzo dziękuję!
Również w tym roku Pan daje nam okazję spotkania się w tym geście komunii, który umacnia nasze braterstwo i jest zakorzeniony w kontemplacji miłości Boga objawiającej się w Bożym Narodzeniu. Istotnie „narodziny Chrystusa – napisał współczesny nam mistyk – są najsilniejszym i najbardziej wymownym świadectwem tego, jak bardzo Bóg umiłował człowieka. Pokochał go miłością osobową. Właśnie dlatego przyjął ludzkie ciało, z którym się zjednoczył i uczynił je swoim na zawsze. Narodziny Chrystusa są same w sobie «przymierzem miłości» zawartym na zawsze między Bogiem a człowiekiem”[1]. A św. Klemens z Aleksandrii pisze: „Dlatego też [Chrystus] sam zstąpił na ziemię, dlatego stał się człowiekiem: dlatego z własnej woli wycierpiał los człowieczy, aby przyjąwszy nas – ludzi, których umiłował, udzielić nam w zamian miary swojej mocy”[2].
Zważywszy na tak wielką życzliwość i tak wiele miłości, składanie życzeń Bożonarodzeniowych jest również okazją do ponownego przyjęcia Bożego przykazania: „Abyście się wzajemnie miłowali tak, jak Ja was umiłowałem; żebyście i wy tak się miłowali wzajemnie. Po tym wszyscy poznają, żeście uczniami moimi, jeśli będziecie się wzajemnie miłowali” (J 13, 34-35). Tutaj bowiem Jezus nie żąda od nas, abyśmy Go kochali odpowiadając na Jego miłość wobec nas; prosi nas raczej, abyśmy się miłowali Jego własną miłością. Innymi słowy, prosi nas, abyśmy byli do Niego podobni, ponieważ On stał się podobny do nas. Zatem niech Boże Narodzenie – jak nas zachęca święty kardynał Newman – „zbliżając się, znajduje nas coraz bardziej podobnymi do Niego, który w tym czasie stał się dla nas małym dzieckiem, bardziej skromnymi, bardziej pokornymi, bardziej świętymi, bardziej miłosiernymi, bardziej pogodzonymi, bardziej szczęśliwymi, bardziej pełnymi Boga”[3]. I dodaje: „To czas niewinności, czystości, łagodności, radości, zadowolenia i pokoju”[4].
Nazwisko Newmana przypomina nam również jego dobrze znane stwierdzenie, niemal aforyzm, jakie można znaleźć w jego dziele „O rozwoju doktryny chrześcijańskiej”, które historycznie i duchowo znajduje się tuż przed jego wstąpieniem do Kościoła katolickiego. Mówi następująco: „żyć tu, na Ziemi, to znaczy zmieniać się, a być doskonałym to znaczy zmieniać się często”[5]. Oczywiście nie chodzi o poszukiwanie zmiany jedynie dla zmiany, czy o podążanie za modą, ale o przekonanie, że rozwój i wzrost są cechą życia ziemskiego i ludzkiego, podczas gdy w perspektywie człowieka wierzącego w centrum wszystkiego jest stałość Boga[6].
Dla Newmana zmiana oznaczała nawrócenie, to znaczy przemianę wewnętrzną[7]. Życie chrześcijańskie jest właściwie podróżą, pielgrzymką. Cała historia biblijna jest drogą, naznaczoną początkami i ponownym wybraniem się w drogę, zarówno w przypadku Abrahama jak i tych, którzy dwa tysiące lat temu w Galilei wyruszyli za Jezusem: „I przyciągnąwszy łodzie do brzegu, zostawili wszystko i poszli za Nim” (Łk 5, 11). Odtąd historia Ludu Bożego – historia Kościoła – zawsze była naznaczona wyjściem, przemieszczeniami, zmianami. Droga oczywiście nie jest czysto geograficzna, ale przede wszystkim symboliczna: jest zachętą do odkrycia ruchu serca, które paradoksalnie musi odejść, aby mogło trwać, zmienić się, aby mogło być wierne[8].
Wszystko to ma szczególną wartość w naszych czasach, ponieważ doświadczamy nie tylko epoki zmian, ale zmiany epoki. Jesteśmy zatem w jednym z tych momentów, w których zmiany nie są już linearne, lecz epokowe. Stanowią wybory, które szybko zmieniają sposób życia, odnoszenia się do siebie, komunikowania się i formułowania myśli, relacji między pokoleniami ludzkimi oraz rozumienia i przeżywania wiary i nauki. Często się zdarza, że przeżywamy przemiany ograniczając się do włożenia nowego ubrania, pozostając potem w istocie takimi, jakimi byliśmy wcześniej. Pragnę przypomnieć zagadkowe wyrażenie, które czytamy w słynnej włoskiej powieści: „Jeśli chcemy, by wszystko pozostało tak, jak jest, wszystko się musi zmienić” („Lampart” Giuseppe Tomasi di Lampedusa).
Zdrowa postawa polega raczej na tym, aby zastanowić się nad wyzwaniami współczesności i uchwycić je za pomocą rozeznania, parezji i hypomoné. Przemiana w tym przypadku przybrałaby zupełnie inny aspekt: z elementu drugoplanowego, z kontekstu czy pretekstu, z krajobrazu zewnętrznego... stawałaby się coraz bardziej ludzka, a także bardziej chrześcijańska. Pozostając zmianą zewnętrzną, dokonywałaby się jednak wychodząc z samego centrum człowieka, czyli z nawrócenia antropologicznego[9].
Musimy rozpoczynać procesy, a nie zajmować przestrzenie: „Bóg odsłania się w objawieniu historycznym, w czasie. Czas rozpoczyna procesy, przestrzeń się krystalizuje. Bóg znajduje się w czasie, w trakcie trwających procesów. Nie należy obdarzać uprzywilejowaną mocą miejsc kosztem czasów, także długich, trwających procesów. Bardziej niż zajmować miejsca, musimy zapoczątkowywać procesy. Bóg objawia się w czasie i jest obecny w historycznych procesach. To sprawia, że uprzywilejowane są działania wywołujące nowe dynamiki. To domaga się cierpliwości, oczekiwania”[10]. Jesteśmy zatem wezwani do odczytywania znaków czasu oczyma wiary, aby kierunek tej zmiany „budził nowe i stare pytania, z którymi słusznie trzeba się zmierzyć”[11].
Podejmując dzisiaj temat zmiany, która opiera się głównie na wierności depozytowi wiary i Tradycji, pragnę powrócić do dokonywanej reformy Kurii Rzymskiej, podkreślając, że reforma ta nigdy nie wychodziła z założenia, by zachowywać się tak, jak gdyby nigdy wcześniej nic nie istniało. Wręcz przeciwnie, bardzo starano się, aby docenić jak wiele dobra dokonano w złożonych dziejach Kurii. Trzeba docenić jej historię, by zbudować przyszłość, która ma solidne podstawy, posiada korzenie, i dlatego może być owocna. Odwoływanie się do pamięci nie oznacza zakotwiczenia się w instynkcie samozachowawczym, ale przypominanie sobie życia i witalności drogi w ciągłym rozwoju. Pamięć nie jest statyczna, ale dynamiczna. Ze swej natury oznacza ruch. A tradycja nie jest statyczna, jest dynamiczna, jak mówił ten wielki człowiek [G. Mahler]: tradycja jest gwarancją przyszłości, a nie strażnikiem popiołów.
Drodzy bracia i siostry,
Podczas naszych poprzednich spotkań przedświątecznych mówiłem wam o kryteriach, które zainspirowały tę reformę. Uzasadniłem także pewne wdrożenia, które zostały już wprowadzone, zarówno definitywnie, jak i „na okres próbny”[12]. W 2017 r. podkreśliłem pewne nowości organizacji kurialnej, takie jak na przykład Sekcja Trzecia Sekretariatu Stanu, która funkcjonuje bardzo dobrze; czy relacje między Kurią Rzymską a Kościołami partykularnymi, przywołując również starożytną praktykę wizyt ad limina Apostolorum; lub strukturę niektórych dykasterii, w szczególności dla Kościołów wschodnich i innych ds. dialogu ekumenicznego i międzyreligijnego, a zwłaszcza dialogu z judaizmem.
Podczas dzisiejszego spotkania chciałbym skoncentrować się na kilku innych dykasteriach, poczynając od sedna reformy, to znaczy od pierwszego i najważniejszego zadania Kościoła: ewangelizacji. Święty Paweł VI stwierdził: „Obowiązek ewangelizacji należy uważać za łaskę i właściwe powołanie Kościoła; wyraża on najprawdziwszą jego właściwość. Kościół jest dla ewangelizacji”[13]. Evangelii nuntiandi, która również dziś pozostaje najważniejszym i aktualnym dokumentem pastoralnym po Soborze. Istotnie celem obecnej reformy jest to, by „zwyczaje, style, rozkład zajęć, język i wszystkie struktury kościelne stały się odpowiednim kanałem bardziej do ewangelizowania dzisiejszego świata niż do zachowania stanu rzeczy. Reformę struktur, wymagającą odnowy duszpasterskiej, można zrozumieć jedynie w tym sensie: należy sprawić, by stały się one wszystkie bardziej misyjne” (Adhort. apost. Evangelii gaudium, 27). A zatem inspirując się właśnie tym nauczaniem Następców św. Piotra od Soboru Watykańskiego II po dzień dzisiejszy, pomyślałem, aby zaproponować dla nowej Konstytucji Apostolskiej na temat reformy Kurii Rzymskiej tytuł Praedicate evangelium. To znaczy postawę misyjną.
Dlatego moje myśli kieruję dziś ku pewnym dykasteriom Kurii Rzymskiej, które z tym wszystkim mają już wyraźne odniesienie w swoich nazwach: Kongregacji Nauki Wiary, Kongregacji ds. Ewangelizacji Narodów; ale myślę też o Dykasterii ds. Komunikacji i Dykasterii ds. Integralnego Rozwoju Człowieka.
Kiedy powstawały te dwie pierwsze wspomniane dykasterie, łatwiej było rozróżnić między dwiema dość wyraźnie określonymi stronami: światem chrześcijańskim, z jednej, a światem, który wciąż potrzebuje ewangelizacji, z drugiej. Obecnie ta sytuacja już nie istnieje. Ludność, do której jeszcze nie dotarło przepowiadanie Ewangelii, żyje nie tylko poza kontynentem zachodnim, ale wszędzie, szczególnie w ogromnych skupiskach miejskich, które same wymagają szczególnej opieki duszpasterskiej. W dużych miastach potrzebujemy innych „map”, innych paradygmatów, które pomogą nam zmienić nasze myślenie i nasze postawy: bracia i siostry, nie jesteśmy już na terenie chrześcijańskim! Dziś nie jesteśmy już jedynymi, którzy wytwarzają kulturę, ani pierwszymi, ani najbardziej słuchanymi[14]. Potrzebujemy zatem przemiany mentalności duszpasterskiej, co nie oznacza przejścia na duszpasterstwo relatywistyczne. Nie jesteśmy już w systemie chrześcijańskim, ponieważ wiara – szczególnie w Europie, ale także w dużej części Zachodu – nie stanowi już oczywistej przesłanki życia wspólnego, a wręcz jest w istocie często negowana, wyszydzana, marginalizowana i wyśmiewana. Podkreślił to Benedykt XVI, gdy ogłaszając Rok Wiary (2012) napisał: „Podczas gdy w przeszłości możliwe było uznanie, że istnieje jednorodna tkanka kulturowa, powszechnie akceptowana w swym odniesieniu do treści wiary i inspirowanych nią wartości, to obecnie wydaje się, że w znacznej części społeczeństwa już tak nie jest, z powodu głębokiego kryzysu wiary, który dotknął wielu ludzi”[15]. W tym celu w 2010 r. została ustanowiona Papieska Rada ds. Krzewienia Nowej Ewangelizacji, aby „promować odnowioną ewangelizację w krajach, które już usłyszały pierwsze głoszenie wiary i gdzie od wieków istnieją Kościoły, lecz które teraz doświadczają postępującej sekularyzacji społeczeństwa i swoistego zaniku wrażliwości na Boga. Jest to wyzwanie, by znaleźć odpowiednie środki przekazu niezmiennej prawdy Chrystusowej Ewangelii”[16]. Czasem rozmawiałem o tym z niektórymi z was… Myślę o pięciu krajach, które napełniły świat misjonarzami – powiedziałem wam, które to – a dziś nie mają zasobów powołań, żeby kontynuować. Taki jest aktualny świat.
Postrzeganie, że zmiana epoki stawia poważne pytania dotyczące tożsamości naszej wiary, nie pojawiło się, prawdę mówiąc, nagle[17]. W ten kontekst wpisuje się także wyrażenie „nowa ewangelizacja” przyjęte przez św. Jana Pawła II, który napisał w encyklice Redemptoris missio: „Dziś Kościół musi stawić czoło innym wyzwaniom, kierując się ku nowym horyzontom zarówno w pierwszej misji wśród narodów, jak i w nowej ewangelizacji ludów, którym Chrystus był już przepowiadany” (n. 30). Zachodzi potrzeba „nowej ewangelizacji” albo „re-ewangelizacji” (por. n. 33).
Wszystko to musi się wiązać z przemianami i zmianami wrażliwości również we wspomnianych dykasteriach, a także w całej Kurii[18].
Chciałbym również poświęcić kilka uwag niedawno ustanowionej Dykasterii ds. Komunikacji. Znajdujemy się w perspektywie zmiany epoki, ponieważ „Znaczna część ludzkości jest w niej stale i codziennie zanurzona. Nie chodzi już tylko o «używanie» narzędzi komunikacji, ale o życie w kulturze głęboko skomputeryzowanej, która ma bardzo mocny wpływ na pojęcie czasu i przestrzeni, na postrzeganie siebie, innych i świata, na sposób komunikowania, uczenia się, zdobywania informacji, nawiązywania relacji z innymi. Podejście do rzeczywistości, które ma skłonność do faworyzowania obrazu, a nie słuchania i czytania, wpływa na sposób uczenia się i rozwój zmysłu krytycznego” (Posynod. adhort. apost. Christus vivit, 86).
Dykasterii ds. Komunikacji powierzono zatem zadanie połączenia w nową instytucję dziewięciu organów zajmujących się różnymi formami i różnymi zadaniami przekazu: Papieskiej Rady ds. Społecznego Przekazu, Biura Prasowego Stolicy Apostolskiej, Drukarni Watykańskiej, Watykańskiej Księgarni Wydawniczej, L’Osservatore Romano, Radia Watykańskiego, Watykańskiego Ośrodka Telewizyjnego, Watykańskiego Serwisu Internetowego, Serwisu Fotograficznego. To połączenie jednak, zgodnie z tym, co powiedziano, nie miało być jedynie połączeniem „koordynacyjnym”, ale miało zharmonizować różne komponenty w celu uzyskania lepszej oferty serwisów, jak również utrzymywać wspólną linię edytorską.
Nowa kultura, naznaczona czynnikami zbieżności i multimedialności potrzebuje odpowiedniej reakcji Stolicy Apostolskiej w dziedzinie przekazu. Dziś, w odniesieniu do zróżnicowanych serwisów dominuje forma multimedialna, a oznacza to także sposób ich pojmowania, myślenia i realizowania. Wszystko to pociąga za sobą, wraz ze zmianami kulturowymi, przemianę instytucjonalną i personalną, by przejść od pracy w odizolowanych sekcjach – które w najlepszym przypadku miały pewną koordynację – na pracę wewnętrznie połączoną, w synergii.
Drodzy bracia i siostry,
Wiele wspomnianych do tej pory rzeczy dotyczy również, w zasadzie, Dykasterii ds. Integralnego Rozwoju Człowieka. Także ona została utworzona niedawno, aby zareagować na zmiany, które zaszły na całym świecie, dokonując połączenia czterech wcześniejszych Rad Papieskich: Sprawiedliwości i Pokoju, Cor Unum, Duszpasterstwa Migrantów i Pracowników Służby Zdrowia. Spójność zadań powierzonych tej Dykasterii pokrótce przypomina początek ustanawiającego ją Motu Proprio Humanam progressionem: „Kościół, w całym swoim istnieniu i działaniu, jest powołany do promowania integralnego rozwoju człowieka w świetle Ewangelii. Rozwój taki dokonuje się przez troskę o niezmierzone dobra, jakimi są sprawiedliwość, pokój i ochrona stworzenia”. Realizuje się to w posłudze najsłabszym i najbardziej zmarginalizowanym, w szczególności osobom zmuszonym do migracji, które w tej chwili stanowią okrzyk na pustyni naszego człowieczeństwa. Kościół jest zatem wezwany do przypomnienia wszystkim, że nie chodzi tylko o kwestie społeczne lub migracyjne, ale o osoby ludzkie, braci i siostry, którzy są dziś symbolem wszystkich osób odrzuconych w zglobalizowanym społeczeństwie. Jest powołany, aby dać świadectwo, że dla Boga nikt nie jest „obcy” ani „wykluczony”. Jest powołany do obudzenia sumień uśpionych w obojętności w obliczu rzeczywistości Morza Śródziemnego, które stało się dla wielu, nazbyt wielu cmentarzem.
Chciałbym przypomnieć o znaczeniu integralnego charakteru rozwoju. Święty Paweł VI stwierdził, że „rozwój nie ogranicza się jedynie do postępu gospodarczego. Aby był prawdziwy, powinien on być zupełny, to znaczy winien przyczyniać się do rozwoju każdego człowieka i całego człowieka” (Enc. Populorum progressio, 14). Innymi słowy, Kościół zakorzeniony w tradycji wiary i odnosząc się w ostatnich dziesięcioleciach do magisterium II Soboru Watykańskiego, zawsze potwierdzał wspaniałość powołania wszystkich ludzi, których Bóg stworzył na swój obraz i podobieństwo, aby tworzyli jedną rodzinę; a jednocześnie próbował ogarnąć to, co ludzkie we wszystkich jego wymiarach.
Właśnie ta potrzeba integralności każe nam dzisiaj na nowo zaproponować człowieczeństwo, które nas jednoczy jako dzieci jednego Ojca. „Kościół, w całym swoim istnieniu i działaniu, jest powołany do promowania integralnego rozwoju człowieka w świetle Ewangelii” (Motu Proprio Humanam progressionem). Ewangelia odnosi zawsze Kościół do logiki wcielenia, do Chrystusa, który przyjął naszą historię, historię każdego z nas. O tym nam przypomina Boże Narodzenie. Człowieczeństwo jest zatem cechą charakterystyczną, z jaką należy odczytywać reformę. Człowieczeństwo wzywa, stawia wyzwanie i prowokuje, to znaczy wzywa do wyjścia na zewnątrz i nie lękania się zmian.
Nie zapominajmy, że Dzieciątko leżące w żłobie ma twarz naszych najbardziej potrzebujących braci i sióstr, ubogich, którzy „są wręcz uprzywilejowani w tej tajemnicy i często najbardziej potrafią rozpoznać obecność Boga wśród nas” (List apost. Admirabile signum, 1 grudnia 2019 r., 6).
Drodzy bracia i siostry,
Jest to zatem kwestia wielkich wyzwań i koniecznej równowagi, często niełatwej do osiągnięcia, z tego prostego faktu, że w napięciu między chwalebną przeszłością a twórczą i ruchomą przyszłością istnieje teraźniejszość, w której są osoby, które koniecznie potrzebują czasu, by dojrzeć. Są okoliczności historyczne, z którymi trzeba sobie radzić w życiu codziennym, ponieważ w czasie reformy świat i wydarzenia nie stoją w miejscu. Istnieją kwestie prawne i instytucjonalne, które należy rozwiązywać stopniowo, bez formuł magicznych i pójścia na skróty.
Istnieje wreszcie wymiar czasu i ludzkiego błędu, z którym nie można, nie wolno się pogodzić, ponieważ należą do historii każdego człowieka. Nieuwzględnianie tego oznacza czynienie rzeczy w oderwaniu od ludzkich dziejów. Z tym trudnym procesem historycznym związana jest zawsze pokusa skupienia się na przeszłości (nawet używając nowych sformułowań), ponieważ jest ona bardziej krzepiąca, znana i na pewno mniej konfrontacyjna. Także i to należy jednak do procesu i ryzyka zainicjowania znaczących zmian[19].
Tutaj należy przestrzec przed pokusą przyjęcia postawy nieugiętości. Surowości rodzącej się z lęku przed zmianą i ostatecznie doprowadzającej do zasiewania sygnalizatorami i zaporami terenu dobra wspólnego, czyniąc z niego pole minowe braku przekazu i nienawiści. Zawsze pamiętajmy, że za każdą nieugiętością kryje się pewna chwiejność. Surowość i brak równowagi karmią się nawzajem w błędnym kole. I dzisiaj ta pokusa surowości stała się bardzo aktualna.
Drodzy bracia i siostry,
Kuria Rzymska nie jest organizmem oderwanym od rzeczywistości – chociaż ryzyko zawsze istnieje – ale musi być pojmowana i przeżywana dzisiaj w drodze przemierzanej przez mężczyzn i kobiety, zgodnie z logiką zmiany epoki. Kuria Rzymska nie jest pałacem ani szafą pełną ubrań, które należy zakładać, aby uzasadnić zmianę. Kuria Rzymska jest żywym ciałem i jest nim tym bardziej, im bardziej żyje pełnią Ewangelii.
Kardynał Martini w ostatnim wywiadzie, na kilka dni przed swą śmiercią, wypowiedział słowa, które powinny nas skłonić do postawienia sobie pytania: „Kościół pozostał dwieście lat z tyłu. Dlaczego się nie otrząśnie? Boimy się? Strach, zamiast odwagi? W każdym razie fundamentem Kościoła jest wiara. Wiara, zaufanie, odwaga. [...] Tylko miłość zwycięża zmęczenie”[20].
Boże Narodzenie jest świętem Bożej miłości wobec nas. Bożej miłości, która inspiruje, kieruje i koryguje zmiany i pokonuje ludzki strach przed pozostawieniem „bezpiecznego”, aby ponownie wejść w „tajemnicę”.
Wszystkim życzę dobrego Bożego Narodzenia!
Przygotowując się do Bożego Narodzenia, wysłuchaliśmy konferencji o Najświętszej Matce Bożej. Zwróćmy się do Niej przed błogosławieństwem.
[Zdrowaś Maryjo i błogosławieństwo]
Teraz chciałbym dać wam pamiątkę, podarek: dwie książki. Pierwsza jest, powiedzmy, „dokumentem”, który zechciałem przygotować na nadzwyczajny miesiąc misyjny [październik 2019], i zrobiłem to w formie wywiadu, Senza di Lui non possiamo far nulla [Bez Niego nie możemy nic zrobić]. Zainspirowało mnie jedno zdanie, nie wiem kogo, kto mówił, że kiedy misjonarz przybywa do jakiegoś miejsca, już tam jest Duch Święty, który czeka na niego. Taka jest inspiracja tego dokumentu. A druga to rekolekcje, jakie niedawno wygłosił dla kapłanów ks. Luigi Maria Epicoco, rekolekcje dla kapłanów Qualcuno a cui guardare [Ktoś, w kogo trzeba się wpatrywać]. Z serca je daję, aby służyły całej wspólnocie. Dziękuję!
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[1] MATTA EL MESKIN, L’umanità di Dio, Qiqajon-Bose, Magnano 2015, 170-171.
[2] Który człowiek bogaty może być zbawiony?” 37, 1-6., tłum. Ks. Jan Czuj, Warszawa 1953.
[3] Parochial and Plain Sermons, V, 7
[4] Tamże.
[5] O rozwoju doktryny chrześcijańskiej, Warszawa, Fronda, bez r. wyd. s. 57.
[6] W jednej ze swych modlitw Newman stwierdzał: „Nie ma nic stałego, oprócz Ciebie Boże mój! I Ty jesteś ośrodkiem i życiem wszystkich, którzy się zmieniają, którzy ufają Tobie jako swemu Ojcu, którzy wznoszą oczy ku Tobie, którzy radują się, gdy mogą złożyć swój los w Twoich rękach. Wiem, Boże mój, że muszę się przemienić, jeśli mam ujrzeć twe oblicze”, w: Rozmyślania i modlitwy, tłum. Z. Kubiak, Warszawa, 1967, s. 72.
[7] Newman opisuje to w następujący sposób: „Nie odczułem przy nawróceniu jakiejkolwiek zmiany intelektualnej czy moralnej, która by wywierała ucisk na mój umysł. Nie uświadamiałem sobie, bym miał mocniejszą wiarę w fundamentalne prawdy Objawienia czy większego panowania nad sobą; nie miałem więcej zapału, ale było to, jak przybycie do portu po wzburzonym morzu; i moje szczęście z tego powodu trwa nieprzerwanie do dzisiejszego dnia”, w: Jan Henryk Newman, Apologia pro vita sua. Z oryginału angielskiego przełożył i wstępem opatrzył dr Stanisław Gąsiorowski (profesor Uniwersytetu Jagiellońskiego), Kraków 1948, s. 255.
[8] J. M. BERGOGLIO, Messaggio quaresimale ai sacerdoti e consacrati, 21 febbraio 2007, in Nei tuoi occhi è la mia parola, Milano, 2016, p. 501.
[9] Por. Konst, ap. Veritatis gaudium (27 grudnia 2017), 3: „W ostateczności idzie o zmianę modelów globalnego rozwoju i redefinicję postępu. Problem polega na tym, że nie mamy jeszcze kultury niezbędnej, by stawić czoło temu kryzysowi, i konieczne jest stworzenie przywództwa, które wskazałoby drogi”.
[10] Wywiad udzielony ks. Antonio Spadaro SJ, dla “La Civiltà Cattolica", 19 sierpnia 2013, za deon.pl
[11] Lettera al popolo di Dio che è in cammino in Germania, 29 giugno 2019.
[12] Por. Przemówienie do Kurii Rzymskiej, 22 grudnia 2016.
[13] Adhort. ap. Evangelii nuntiandi, (8 grudnia 1975), 14. Święty Jan Paweł II napisał, że ewangelizacja misyjna „stanowi pierwszą posługę, jaką Kościół może spełnić względem każdego człowieka i całej ludzkości w dzisiejszym świecie, któremu nieobce są wspaniałe osiągnięcia, ale który, jak się wydaje, zatracił sens spraw ostatecznych i samego istnienia” (Enc. Redemptoris missio, 7 grudnia 1990, 2).
[14] Por. Discorso ai partecipanti al Congresso Internazionale della Pastorale delle Grandi Città, Sala del Concistoro, 27 novembre 2014.
[15] List apost. Porta fidei, 2.
[16] BENEDYKT XVI, Homilia 28 czerwca 2010; por. Motu proprio Ubicumque et semper, 17 października 2010.
[17] Zmianę epoki dostrzegał także we Francji kard. Suhard (pomyślmy o jego liście duszpasterskim Essor ou déclin de l'Église, 1947), a także ówczesny arcybiskup Mediolanu, kard. Montini. Również on zastanawiał się, czy Włochy były jeszcze krajem katolickim, (por. Prolusione alla VIII Settimana nazionale di aggiornamento pastorale, 22 settembre 1958, in Discorsi e Scritti milanesi 1954-1963, vol. II, Brescia-Roma 1997, 2328).
[18] Święty Paweł VI przedstawiając wiernym około pięćdziesiąt lat temu nowy Mszał Rzymski przywołał zrównanie między normą modlitwy (lex orandi) a normą wiary (lex credendi) i opisał nowy Mszał jako „wykazanie wierności i żywotności”. Kończąc swoją refleksję stwierdził; „Nie mówmy zatem «nowa Msza» ale raczej «nowa epoka» życia Kościoła” (Audiencja ogólna 19 listopada 1969). To samo można analogicznie także powiedzieć w naszym przypadku: nie nowa Kuria rzymska, ale raczej nowa epoka.
[19] Evangelii gaudium określa regułę: „Przyznanie priorytetu czasowi oznacza zajęcie się bardziej rozpoczęciem procesów niż posiadaniem przestrzeni. Czas porządkuje przestrzenie, oświeca je i przemienia w ogniwa łańcucha stale powiększającego się, chroni przed cofaniem się. Chodzi o zaangażowanie społeczne nowych ludzi i grup społecznych, które rozwiną te działania, by przyniosły owoc w postaci ważnych wydarzeń historycznych. Bez niepokoju, lecz z jasnymi i mocnymi przekonaniami” (n. 223).
[20] Intervista a Georg Sporschill, S.J. e Federica Radice Fossati Confalonieri: “Corriere della Sera”, 1 settembre 2012; tłum. polskie: https://studioopinii.pl/archiwa/11670
[02087-PL.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua araba
كلمة قداسة البابا فرنسيس
إلى الكوريا الرومانية
بمناسبة عيد الميلاد
السبت 21 ديسمبر / كانون الأول 2019
"الكَلِمَةُ صارَ بَشَراً فسَكَنَ بَينَنا فرأَينا مَجدَه مَجداً مِن لَدُنِ الآبِ لابنٍ وَحيد مِلؤُه النِّعمَةُ والحَقّ" (يو 1، 14).
أيها الإخوة والأخوات الأعزاء،
أرحّب بكم جميعًا ترحيبًا حارًّا. أشكر الكاردينال أنجيلو سودانو على الكلمات التي وجّهها إليّ، وأودّ خاصّة أن أعرب عن امتناني، نيابةً عن أعضاء مجلس الكرادلة، على الخدمة القيّمة والدقيقة التي قام بها بصفته عميدًا، لسنوات عديدة، بكل استعداد وتفاني وكفاءة ومهارات تنظيمية وتنسيقية عظيمة. لكم خالص الشكر، صاحب النيافة! والآن على الكرادلة أن ينتخبوا عميدًا جديدًا؛ وآمل أن يختاروا شخصًا يتفرّغ بالكامل لهذا العمل المهمّ للغاية. شكرًا.
أتمنّى لكم جميعا أنتم الحاضرين هنا، ولمعاونيكم، ولجميع الأشخاص الذين يخدمون في الكوريا الرومانية، وللسفراء البابويين أيضًا والذين يعاونوهم، عيدَ ميلاد مجيد وسعيد. وأضيف على تمنياتي، الشكر على التفاني اليوميّ الذي تقدّمونه في خدمة الكنيسة. شكرًا جزيلًا!
يتيح لنا الربّ الفرصة، هذا العام أيضًا، أن نعيش هذا اللقاء بروح الشركة الكنسية. فهذا اللقاء يقوّي الأخوّة التي تجمعنا ويتجذّر في التأمّل بمحبّة الله التي تجلّت في الميلاد. في الواقع، "إن ميلاد المسيح -كتب أحد الصوفيّين في عصرنا- هو أقوى وأبلغ شهادة عن مدى حبّ الله للإنسان. فقد أحبّه حبًّا شخصيًّا. ولهذا السبب اتّخذ جسدًا بشريًا واتّحد به وتبنّاه إلى الأبد. إن ولادة المسيح هي نفسها "عهد الحب" الموثق إلى الأبد بين الله والإنسان"[1]. كتب أيضًا القدّيس إكليمندس الإسكندري: "لهذا السبب نزل [المسيح]، ولهذا السبب تجسّد، ولهذا السبب عانى طوعًا آلام البشرية، كيما، بعد أن قاس نفسه بضعفنا الذي كان يحبّه، يستطيع في المقابل، أن يقيسنا بقوّته"[2].
إن تبادل تحيّات عيد الميلاد، أمام هذا الكم الهائل من الرفق ومن الحبّ، هو أيضًا مناسبة لقبول وصيّته مجددًا: "أَحِبُّوا بَعضُكم بَعضًا. كما أَحبَبتُكم أَحِبُّوا أَنتُم أَيضًا بَعَضُكم بَعْضًا. إذا أَحَبَّ بَعضُكُم بَعضًا عَرَف النَّاسُ جَميعاً أَنَّكُم تَلاميذي" (يو 13، 34- 35). هنا، في الواقع، لا يطلب منّا يسوع أن نحبّه كردّ على حبّه لنا؛ بل يطلب منّا أن نحبّ بعضنا البعض بنفس الحبّ الذي أحبّنا هو به. يطلب منّا، بتعبير آخر، أن نتمثّل به، لأنه صار مثلنا. علينا أن نزداد بالتالي في عيد الميلاد، -يحثنا القدّيس الكاردينال نيومان-، "تشبّهًا بالذي، في هذا الوقت، صار طفلًا حبًّا بنا؛ وأن نزداد في كلّ عيد ميلاد جديد بساطةً، وتواضعًا، وقداسةً، ومحبةً، واستسلامًا لله، وفرحًا، وامتلاء بالله"[3]. ويضيف: "هذا هو وقت البراءة، والنقاء، واللطف، والفرح والسلام"[4].
يذكّرنا اسم نيومان أيضًا بتأكيده المعروف، وهو تقريبًا قول مأثور، نجده في كتابه تطور العقيدة المسيحية، الذي يقع تاريخيًّا وروحيًّا عند مفترق دخوله الكنيسة الكاثوليكية. يقول: "إن نعيش هنا على الأرض يعني أن نتغيّر، والكمال هو نتيجة العديد من التغيّرات"[5]. من الواضح أن الأمر لا يتعلق بالبحث عن التغيير من أجل التغيير، أو من أجل اتّباع الموضة، بل أن نكون مقتنعين أن التنمية والنموّ هما سمة من سمات الحياة الأرضية والإنسانية، فيما أن محور كلّ شيء، في منظور المؤمن، هو استقرار الله[6].
إن التغيير بالنسبة إلى نيومان، هو توبة، أي تحوّل داخليّ[7]. فالحياة المسيحيّة في الواقع، هي مسيرة، هي حجّ. القصّة الكتابية هي مسيرة، تتميّز ببدايات وباستئناف؛ مثل إبراهيم. مثل أولئك الذين، منذ ألفي سنة في الجليل، اتّبعوا يسوع: "رَجَعوا بِالسَّفينَتَينِ إِلى البَرّ، وتَركوا كُلَّ شَيءٍ وتَبِعوه" (لو 5، 11). منذ ذلك الحين، يتّسم تاريخ شعب الله -تاريخ الكنيسة- دائمًا بالانطلاق والتنقّل والتغييرات. بالتأكيد المسيرة ليست جغرافية بحتة، ولكنها أوّلًا رمزية: إنها دعوة لاكتشاف حركة القلب الذي، من قبيل المفارقة، يحتاج إلى أن ينطلق كي يستطيع البقاء، وإلى التغيير كي يكون أمينًا[8].
كل هذا يتمتّع بقيمة خاصّة في عصرنا، لأن ما نشهده ليس مجرّد عصر تغييرات، إنما هو تغييرٌ في العصر. نحن، إذًا، نعيش إحدى تلك اللحظات التي لم تعد فيها التغييرات بسيطة، بل تاريخية؛ إنها تشكّل خيارات تُحوِّل بسرعة طريقة العيش، والعلاقات، والتواصل، ومعالجة الفكر، تفاعل مختلف الأجيال البشرية، وفهم الإيمان والعلم وعيشهما. لكننا غالبًا ما نعيش التغيير عبر ارتداء حلّة جديدة، ثم نبقى في الواقع كما كنّا من قبل. أتذكّر التعبير الطريف الذي نقرأه في رواية إيطالية شهيرة: "إذا كنا نريد أن يبقى كلّ شيء كما هو، فيجب أن يتغيّر كلّ شيء" (في النمر بقلم جوزيبي توماسي دي لامبيدوزا).
الموقف السليم هو أن نتساءل عن تحدّيات الوقت الحالي وأن نواجهها بفضائل التمييز والوضوح والمثابرة. فيتّخذ التغيير، في هذه الحالة، شكلًا مختلفًا تمامًا: يتحوّل من عنصر ثانوي، أو يتعلق بالسياق أو ذريعة، أو خارجي ... إلى واقع يزداد إنسانيّة، وحتى مسيحيّة. سوف يكون دائمًا تغييرًا خارجيًّا، ولكنه يتحقّق انطلاقًا من محور الإنسان نفسه، أي تحوّل أنثروبولوجي[9].
علينا أن نُطلِق مسارات، لا أن نشغل المساحات: فالله "يتجلّى عبر ظهوره في التاريخ، في الزمن. الزمن يُطلق المسارات، والمساحات تبلورها. والله نجده في الزمن، وفي المسارات الجارية. لا يجب أن نميّز مساحات القوّة عن أزمنة المسارات، حتى وإن طالت. علينا أن نطلق مسارات بدلًا من أن نشغل المساحات. فالله يتجلّى في الزمن وهو موجود في مسارات التاريخ. وهذا يعطي الأولوية للإجراءات التي تولّد ديناميكيات جديدة. ويتطلّب الصبر والانتظار"[10]. وهذا يحثّنا على قراءة علامات الزمن بعيون الإيمان، كيما "يوقظ الاتّجاهُ الذي يتّخذه هذا التغيير الأسئلةَ الجديدةَ والقديمة التي من المناسب والضروري مواجهتها"[11].
في معرض حديثي اليوم عن موضوع التغيير الذي يستند أساسًا إلى الأمانة لوديعة الإيمان والتقليد، أودّ العودة إلى إصلاح الكوريا الرومانية الجاري، مجدّدًا بالتأكيد على أن هذا الإصلاح لم يزعم أن قبله لم يكن شيئا؛ بل إنه، على العكس، يهدف إلى تعزيز كلّ ما تحقّق من صالحٍ في تاريخ الكوريا المعقّد. من الواجب تعزيز التاريخ من أجل بناء مستقبل يقوم على أسس متينة، وله جذور، ومن ثمّ باستطاعته أن يكون مثمرًا. فاستحضار الذاكرة لا يعني التحجر في الحفاظ على الذات، إنما يعني الدخول في عملية استدعاء للحياة ولحيوية مسار في تطوّر مستمرّ. الذاكرة ليست جامدة، بل ديناميكية. وتعني، بحكم طبيعتها، الحركة. والتقليد ليس جامدًا، بل ديناميكيًّا، كما كان يقول الرجل العظيم [ج. ماهلير]: التقليد هو ضمانة المستقبل، لا حارس رماد.
أيها الإخوة والأخوات،
لقد حدّثتكم في لقاءاتنا السابقة بمناسبة عيد الميلاد، عن المعايير التي ألهمت هذا العمل الإصلاحي. وقد حفزت أيضًا بعض التطبيقات التي تمّ تنفيذها، سواء بشكل نهائي أو تجريبي[12]. وقد سلّطت الضوء عام 2017، على بعض التجديدات التي تم إدخالها في التنظيم داخل الكوريا، مثل القسم الثالث من أمانة سرّ الكرسي الرسولي، والذي يسير على ما يرام، على سبيل المثال؛ أو العلاقات بين الكوريا الرومانية وبعض الكنائس الخاصّة، مذكّرًا أيضًا بتقليد زيارة الأعتاب الرسولية والتي هي ممارسة قديمة؛ أو هيكلية بعض الدوائر الفاتيكانية، ولا سيما مجمع الكنائس الشرقية والمجالس الخاصة بالحوار المسكوني وحوار الأديان، ولا سيّما مع الدين اليهودي.
أودّ في لقاء اليوم، أن أتناول بعض الدوائر الأخرى، انطلاقًا من محور الإصلاح، أي من الرسالة الأولى والأهم للكنيسة: حمل البشارة إلى العالم. فقد أكّد القدّيس بولس السادس: "إن حمل البشارة إلى العالم هو النعمة والدعوة الخاصة للكنيسة، هو هويتها الأعمق. فهي موجودة كي تبشّر بالإنجيل"[13]. إن إعلان الإنجيل، الذي ما زال يُعتبر اليوم الوثيقة الرعوية الأهمّ مما صدر بعد المجمع، هو حاليّ. في الواقع، إن هدف الإصلاح الحالي هو أن "تصبح العادات والأنماط والجداول واللغة وكلّ بنية كنسيّة قناة صالحة لتبشير عالم اليوم بالإنجيل، أكثر منه السعي إلى الحفاظ على الذات. لا يمكن فهم إصلاح الهيكليات، الذي يتطلّب الارتداد الرعوي، إلّا بهذا المعنى: العمل على أن تصبح جميعها أكثر إرساليّة" (الإرشاد الرسولي فرح الإنجيل، 27). وبالتالي، استوحينا من تعليم خلفاء بطرس، منذ المجمع الفاتيكاني الثاني وحتى اليوم، فقرّرنا اقتراح عنوان "أعلنوا البشارة" للدستور الرسولي الجديد الذي سوف يُنشر حول إصلاح الكوريا الرومانية. أي الموقف الإرسالي.
ولهذا السبب يذهب فكري اليوم إلى بعض دوائر الكوريا الرومانية التي تشير بوضوح إلى كلّ هذا عبر اسمها: مجمع العقيدة والإيمان، مجمع تبشير الشعوب؛ ولكني أفكّر أيضًا في دائرة الاتصالات والدائرة المعنية بخدمة التنمية البشرية المتكاملة.
عندما تمّ تأسيس المجمعين الأوّلين المذكورين أعلاه، تم ذلك في عصر كان من الأسهل فيه التمييز بين وجهين واضحين إلى حدّ ما: العالم المسيحي من جهة والعالم الذي يجهل بشارة الإنجيل من جهة أخرى. أمّا الآن فهذا الوضع لم يعد موجودًا. السكان الذين لم تصلهم بعد بشارة الإنجيل لا يعيشون إطلاقًا خارج القارات الغربية فحسب، بل يسكنون في كلّ مكان، ولا سيّما في التجمّعات الحضرية التي تتطلّب رعوية خاصّة. إننا نحتاج في المدن الكبرى إلى "خرائط" أخرى، ونماذج أخرى، تساعدنا على إعادة تحديد طرق تفكيرنا ومواقفنا: أيها الإخوة والأخوات، لم نعد في عالمٍ مسيحيّ، لم نعد بعد! لم نعد اليوم الوحيدين الذين "ينتجون" الثقافة، ولسنا الأوّلين، ولسنا مَن يحظى بإصغاء العالم أكثر [14]. لذلك نحن بحاجة إلى تغيير العقلية الرعوية، وهذا لا يعني الانتقال إلى رعوية نسبية. لم نعد في نظام عالم مسيحيّ لأن الإيمان -خاصة في أوروبا، ولكن أيضًا في معظم دول الغرب- لم يعد افتراضًا واضحًا للحياة المشتركة، لا بل غالبًا ما يتم نكرانه ويكون موضوع سخرية وتهميش واحتقار. هذا ما أكّده بندكتس السادس عشر عندما أعلن "عام الإيمان" (2012) وكتب: "في حين كان من الممكن في الماضي رؤية نسيج ثقافي وحدوي، مقبول على نطاق واسع في إشارته إلى محتويات الإيمان والقيم المستوحاة منه، لا يبدو الأمر اليوم كذلك في قطاعات كبيرة من المجتمع، بسبب أزمة الإيمان العميقة التي طالت الكثير من الناس"[15]. ولهذا تمّ تأسيس المجلس الحبري لتعزيز التبشير الجديد في عام 2010، من أجل "تعزيز تبشير متجدّد في البلدان التي شهدت سابقًا إعلًانا أوّلًا للإيمان وفيها كنائس قديمة التأسيس، ولكنها تشهد علمنةً تدريجيةً للمجتمع ونوعًا من "كسوف لحسّ الله"، والتي تشكل تحدّيا لإيجاد الوسائل المناسبة لإعادة اقتراح حقيقة إنجيل المسيح الدائمة"[16]. لقد فاتحتُ بعضًا منكم بهذا الموضوع... أفكّر في خمسة بلدان غمروا العالم بالمرسلين –وقد قلت لكم من هي هذه البلدان- وليس لديهم اليوم الدعوات الكافية للمضيّ قدمًا. هذا هو العالم الحاليّ.
لم نصّل فجأة، في الواقع، إلى الإدراك بأن تغيير الحقبة يطرح أسئلة جدّية حول هويّة إيماننا[17]. ويدخل في هذا الإطار، التعبير "التبشير الجديد" الذي تبنّاه القدّيس يوحنا بولس الثاني، الذي كتب في الرسالة العامة رسالة الفادي: "على الكنيسة أن تواجه اليوم تحدّيات أخرى، في مسيرتها نحو حدود جديدة إن بالنسبة إلى الإرساليات الأولى إلى الأمم أو بالنسبة إلى إعلان البشارة وسط شعوب قد قبلت بشرى المسيح" (عدد 30). هناك حاجة إلى إعلان جديد للبشارة، أو إلى إعادة إعلان البشارة (را. عدد 33).
إن كلّ هذا يتضمّن بالضرورة تغييرات واهتمام متجدّد في الدوائر المذكورة أعلاه أيضًا، وكذلك في الكوريا بأكملها[18].
أودّ أيضًا أن أخصّص دائرة الاتّصالات، التي أسّست مؤخّرًا، ببعض الاعتبارات. نحن في منظور تغيير عصريّ، لأن البيئة الرقميّة "تغمر قطاعات واسعة من الإنسانية بطريقة عاديّة ومستمرّة. وهي ليست مجرّد "استخدام" لوسائل الاتّصال، بل عيش في ثقافة أصبحت بمعظمها رقميّة، وهي تؤثّر بشكل عميق على مفهوم الزمان والمكان، وعلى فهمنا الذاتيّ، وفهمنا للآخرين وللعالم، وطريقتنا بالتواصل والتعلم والاستعلام والدخول في علاقة مع الآخرين. إنها مقاربة للواقع تعطي الأولويّة للصور قبل الاصغاء والقراءة، وأثّرت في طريقة تعلّم الناس وتنمية حسّهم النقدي" (الإرشاد الرسولي ما بعد السينودس المسيح يحيا، 86).
لذلك، عُهد إلى دائرة الاتّصالات بمهمّة جمع -في مؤسّسة جديدة- المؤسّسات التسع التي سبق لها أن عملت بمجال الاتّصالات بطرق مختلفة وبمهامّ مختلفة، وهي: المجلس البابوي للاتصالات الاجتماعية، وغرفة الصحافة التابعة للكرسي الرسولي، والفاتيكان بريسّ، ودار النشر الفاتيكاني، والأوسّرفاتوري رومانو، وراديو الفاتيكان، ومركز تلفزيون الفاتيكان، وخدمة الإنترنت في الفاتيكان، وخدمة التصوير الفوتوغرافي. ولكن هذا الدمج، تماشيًا مع ما ورد أعلاه، ليس مجرّد توحيد "للتنسيق"، إنما تناسق بين مختلف المكوّنات، يهدف إلى تحسين الخدمات وإلى الحفاظ على خطّ متناسق في المنشورات.
إن الثقافة الجديدة، التي تتميّز بعوامل التقارب وباستخدام وسائل الاعلام، تحتاج إلى تفاعل مناسب من قبل الكرسي الرسولي في مجال الاتّصالات. فاليوم، بالنسبة للخدمات المتنوّعة، يسود استخدام وسائل الاعلام، وهذا يؤثّر كذلك على طريقة تصوّرها والتفكير فيها وتنفيذها. كلّ هذا يعني، إلى جانب التغيير الثقافي، ارتداد مؤسّسيّ وشخصيً، للانتقال من طريقة عملٍ استقلالية –تضمّنت في أفضل الحالات بعض التنسيق- إلى عمل متّصل ومتآزر جوهريًّا.
أيها الإخوة والأخوات،
إن العديد من الأشياء التي ذكرتها حتى الآن تتطبق أيضًا، من حيث المبدأ، على دائرة خدمة التنمية البشرية المتكاملة. لقد تأسّس مؤخّرًا من أجل التفاعل مع التغيرات العالمية، ودمج أربعة مجالس حبرية سابقة: المجلس الحبري للعدالة والسلام، المجلس الحبري للتنمية البشرية والمسيحية، المجلس البابوي للرعاية الرعوية للمهاجرين والمتجولين، والمجلس الحبري للمساعدة الرعوية للعاملين في مجال الرعاية الصحية. أمّا تناسق المهام الموكلة إلى هذه الدائرة فقد ذكّرت بها بإيجاز في مقدمّة البراءةُ البابوية التنمية البشرية التي أنشأته: "إن الكنيسة، بكلّ كيانها وأعمالها، هي مدعوة إلى تعزيز تنمية الإنسان المتكاملة على ضوء الإنجيل. تنمية تتحقق من خلال الاهتمام بالعدالة والسلام والحفاظ على الخليقة". وهذا يتحقّق عبر خدمة الضعفاء والمهمّشين، ولا سيما المهاجرين القسريين، الذين هم، في وقتنا هذا، يمثلون صرخة في صحراء إنسانيتنا. لذلك، فإن الكنيسة مدعوّة لأن تذكّر الجميع بأنها ليست مجرّد مسألة قضايا اجتماعية أو مسألة هجرة، بل هي مسألة أشخاص وإخوة وأخوات هم اليوم رمز لجميع المهمّشين في المجتمع المُعَولَم. إنها مدعوّة للشهادة أنه ما من أحد "أجنبيّ" أو "مستبعد" بالنسبة لله. إنها مدعوّة لإيقاظ الضمائر النائمة في اللامبالاة أمام واقع البحر الأبيض المتوسط الذي أصبح مقبرة للكثيرين.
أودّ أن أشير إلى أهمّية الطابع المتكامل للتنمية. أكّد القدّيس بولس السادس أن الترقّي "لا ينحصر في مجرّد النموّ الاقتصادي؛ فلكي يكون صحيحًا يجب أن يكون كاملاً، أي أن يشمل كلّ إنسان، والإنسان كلّه" (الرسالة العامة تقدّم الشعوب، 14). بعبارة أخرى، لقد أكّدت الكنيسة، المرسّخة في تقاليدها الإيمانية، في العقود الأخيرة، مستندة إلى تعاليم المجمع الفاتيكاني الثاني، عظمة دعوة جميع البشر، الذين خلقهم الله على صورته ومثاله كي يكونوا عائلة واحدة؛ وحاولت في الوقت نفسه أن تعانق الإنسان بكلّ أبعاده.
إن هذه الحاجة إلى التكامل هي التي تقترح علينا مجدّدًا اليوم الإنسانيةَ التي توحّدنا كأبناء لآب أوحد. "إن الكنيسة، بكلّ كيانها وأعمالها، هي مدعوّة إلى تعزيز التنمية البشرية المتكاملة على ضوء الإنجيل" (البراءة البابوية التنمية البشرية). فالإنجيل يعيد دائمًا الكنيسة إلى منطق التجسّد، إلى المسيح الذي دخل تاريخنا، وتاريخ كلّ واحد منّا. هذا ما يذكّرنا به عيد الميلاد. البشرية إذًا هي ما يميّز الإصلاح. البشرية تدعو، تستحثّ وتحثّ، أي أنها تدعو إلى الخروج وعدم الخوف من التغيير.
لا يجب أن ننسى أن الطفل الذي يرقد في المذود له وجه إخوتنا وأخواتنا الأشد حاجة، والفقراء الذين هم "المتميّزون في هذا السرّ، وهم غالبًا الأكثر قدرة على إدراك حضور الله بيننا" (الرسالة الرسولية علامة رائعة، 1 ديسمبر/كانون الأوّل 2019، 6).
أيّها الإخوة والأخوات،
إنها بالتالي مسألة تحدّيات كبيرة وتوازن ضروري، غالبًا ما يصعب تحقيقها، لحقيقة بسيطة، وهي أن التوتّر الحاضر بين الماضي المجيد والمستقبل الإبداعي والمتغيّر، يتضمّن الحاضر، وفي هذا الحاضر أشخاص يحتاجون بالضرورة الى وقت كي ينضجوا. هناك ظروف تاريخيّة يجب التعاطي معها يوميًّا، لأنه وفيما الإصلاح يتحقّق، لا يتوقّف العالم ولا تتوقّف الأحداث؛ هناك قضايا قانونية ومؤسّسية تحتاج إلى حلّ تدريجي، بدون صيغ سحرية أو اختصارات.
هناك أخيرًا، البُعد الزمني وهناك الأخطاء البشرية، حيث لا يمكن أو لا يصحّ تجاهلهم لأنهم جزء من تاريخ الجميع. وعدم أخذها في الاعتبار يعني القيام بالأشياء بتجاهلٍ لتاريخ الأشخاص. وهناك خطر يرتبط دائمًا بهذه العملية التاريخية الصعبة، وهو الميل إلى الانطواء على الماضي (حتى عبر استخدام صيغ جديدة)، لأنه أكثر تطمينًا، ومعروفًا، وبالتأكيد أقلّ تعارضًا. ولكن هذا أيضًا هو جزء من عملية وخطر بدء تغييرات كبيرة[19].
من الضروريّ هنا التحذير من تجربة اتّخاذ موقف الصلابة: الصلابة التي تنتج عن الخوف من التغيير وتتوصّل إلى إعاقة الصالح العام بالحواجز والعقبات، وتجعله حقلًا لا تواصل فيه ومملوء كراهية. لنتذكّر دائمًا أن خلف كلّ تصلب يوجد بعض الخلل. فالتصلب والخلل يغذّيان بعضهما البعض في حلقة مفرغة. وقد صار اليوم هذا الميل إلى التصلب حاليًّا للغاية.
أيّها الإخوة والأخوات،
الكوريا الرومانية ليست كيانًا منفصلا عن الواقع -حتى لو كان الخطر موجودًا على الدوام- ولكن يجب أن نفهمها ونعيشها في آنيّة المسيرة التي سلكها الرجال والنساء، وفي منطق تغيير العصر. الكوريا الرومانية ليست قصرًا أو خزانة مليئة بالملابس نرتديها لتبرير التغيير. الكوريا الرومانية هي جسد حيّ، وتزداد حيوية على قدر ما تعيش أمانة الإنجيل.
قال الكاردينال مارتيني، في آخر مقابلة أجريت معه قبل أيام قليلة من وفاته، كلمات يجب أن تجعلنا نتساءل: "الكنيسة تخلفت بمائتي عام. لماذا لا تهتزّ؟ هل نحن خائفون؟ الخوف بدلًا من الشجاعة؟ لكن الإيمان هو أساس الكنيسة. الإيمان والثقة والشجاعة. [...] وحده الحبّ يتغلّب على التعب"[20].
عيد الميلاد هو عيد حبّ الله لنا: الحبّ الإلهي الذي يلهم ويرشد ويصحّح التغيير ويهزم الخوف البشري مِن تَركِ ما هو "آمن" من أجل الانطلاق مجدّدًا في "السرّ".
عيد ميلاد مجيد للجميع!
لقد استمعنا إلى خطب حول أمّ الله الكلّية القداسة استعدادًا لعيد الميلاد. لنتوجّه إليها قبل منح البركة.
[السلام عليك يا مريم والبركة]
والآن أودّ أن أقدّم لكم ذكرى وفكرة: كتابان. الأول هو "الوثيقة"، فلنسمّها كذلك، التي أردت إصدارها بمناسبة الشهر الإرسالي الاستثنائي [أكتوبر/تشرين الأوّل 2019]، وقد اتّخذت شكل مقابلة، بدونه لا نستطيع أن نفعل أي شيء. استلهمت من عبارة، لا أعرف من الذي قال ذلك، إنه عندما يصل الإرسالي إلى مكان ما، يكون الروح القدس هناك بانتظاره. هذا هو مصدر إلهام هذه الوثيقة. والثاني هو رياضة روحيّة أُعطِيَت للكهنة منذ فترة قصيرة وقد قام بها الأب لويجي ماريا إبيكوكو، وهي رياضة للكهنة، شخص ننظر إليه. أعطيكم هذين الكتابين من كلّ قلبي كي تستفيد منها كلّ الجماعة. شكرًا!
[02087-AR.01] [Testo originale: Italiano]
[B1022-XX.02]
[1] متى المسكين، إنسانية الله، كيكايون-بوزي، مانيانو 2015، 170-171.
[2] الغني والخلاص 37، 1- 6.
[3] عظة التجسد، سر نعمة. عظات رعوية، 7.
[4] نفس المرجع V، 97- 98.
[5] تأملات وصلوات، بقلم جز فيلوتشي، ميلانو 2002، ص. 75.
[6] قال نيومان في إحدى صلواته: "لا شيء مستقر خارج عنك يا إلهي. أنت محور وحياة كلّ الذين يتغيّرون، والذين يثقون بك كأب لهم، والذين يتطلّعون إليك ويفرحون بتسليم ذواتهم بين يديك. أعلم يا إلهي أنه يجب عليَّ أن أتغيّر إذا أردت رؤية وجهك" (نفس المرجع، 112).
[7] يصفها نيومان على هذا النحو: "عند التوبة، لم أشعر بأيّ وعي على أيّ تغيير، فكريّ أو معنويّ، حدث في روحي ... بدا لي أنني كنت أعود إلى الميناء بعد ملاحة عاصفة؛ وفي هذا الصدد، استمرّت سعادتي بلا انقطاع حتى اليوم" (الدفاع عن حياته، بقلم أ. بوزي، تورينو 1988، 360؛ را. ج. أونوري، أمثال نيومان، درا النشر الفاتيكانية، حاضرة الفاتيكان 2010، 167).
[8] خ. م. برغوليو، رسالة الصوم إلى الكهنة والمكرسين، 21 فبراير/شباط 2007، في كلمتي في عينيك، ميلانو، 2016، ص. 501.
[9] را. الدستور الرسولي فرح الحقيقة (27 ديمبر/كانون الأول 2017)، 3: "في النهاية، إنها مسألة تغيير نموذج التنمية الشاملة وإعادة تحديد التقدم: المشكلة هي أننا لا نملك بعد الثقافة اللازمة لمواجهة هذه الأزمة، وهناك حاجة إلى بناء زعامات ترينا الطرق".
[10] مقابلة مع الأب أنطونيو سبادارو: الحضارة الكاثوليكية، 19 سبتمبر/أيلول 2013، ص. 468.
[11] رسالة إلى شعب الله الذي يسير في ألمانيا، 29 يونيو/حزيران 2019.
[12] را. كلمة البابا إلى الكوريا الرومانية، 22 ديسمبر/كانون الأول 2016.
[13] الإرشاد الرسولي إعلان الإنجيل (8 ديسمبر/كانون الأول 1975)، 14. كتب القدّيس يوحنا بولس الثاني أن إعلان رسالة التبشير "تشكل الخدمة الأولى التي يمكن الكنيسة أن تؤدّيها لكلّ إنسان وللبشرية جمعاء في عالم اليوم، هذا العالم الذي يعرف اكتشافات عجيبة، ولكنه يبدو أنه قد فقد معنى الحقائق النهائية لوجوده" (الرسالة العامة رسالة الفادي، 7 ديسمبر/كانون الأول 1990، 2).
[14] را. كلمة البابا إلى المشاركين في المؤتمر الدولي لرعوية المدن الكبيرة، قاعة المجلس، 27 نوفمبر/تشرين الثاني 2014.
[15] الرسالة الرسولية تحت شكل براءة بابوية بوابة الإيمان، 2.
[16] بندكتس السادس عشر، عظة، 28 يونيو/حزيران 2010؛ را. الرسالة الرسولية تحت شكل براءة بابوية في كل مكان وزمان، 17 أكتوبر/تشرين الأول 2010.
[17] شعر الكاردينال سوهارد بتغيير العصر في فرنسا (أفكر في رسالته الرعوية نمو أو تراجع الكنيسة، 1947) كما وأيضًا رئيس أساقفة ميلانو في ذلك الوقت، ج. ب. مونتيني. وتساءل هو أيضًا عما إذا كانت إيطاليا لا تزال بلدًا كاثوليكيًا (را. كلمة الكاردينال خلال الأسبوع الوطني الثامن لتحديث الرعوية، 22 سبتمبر/أيلول 1958، في كلمات وخطب في ميلانو 1954- 1963، المجلد الثاني، بريشيا - روما 1997، 2328).
[18] ذكّر القديس بولس السادس، منذ حوالي خمسين عامًا، عندما قدم كتاب القداس الروماني الجديد إلى المؤمنين، بالمعادلة بين شريعة الصلاة (lex orandi) وشريعة الإيمان (lex credendi) ووصفها بأنها "دليل على الإخلاص والحيوية". وفي ختام تفكيره أكّد: "لا نقول بالتالي قداس جديد، بل حقبة جديدة من حياة الكنيسة" (المقابلة العامة في 19 نوفمبر/تشرين الثاني 1969). وهذا ما يمكن أن نقوله بطريقة مماثلة في حالتنا: لا كوريا رومانية جديدة، بل حقبة جديدة.
[19] ينص فرح الإنجيل على قاعدة: "تفضيل أعمال تولد ديناميات جديدة في المجتمع، وتلزم أشخاصا وجماعات كي تطورها وتنميها، إلى أن تؤتي ثمارا بشكل أحداث تاريخية هامة، بدون قلق، لكن مع قناعات واضحة وإصرار" (عدد 223).
[20] مقابلة مع جورج سبورشيل، كاهن يسوعي، زفيديريكا راديشي فوسالي كونفالونياري: "Corriere della Sera"، 1سبتمبر/أيلول 2012.