Omelia del Santo Padre
Traduzione in lingua francese
Alle ore 9.50 di questa mattina, I Domenica di Avvento, il Santo Padre Francesco ha presieduto all’Altare della Cattedra della Basilica Vaticana la Celebrazione eucaristica per la Comunità cattolica congolese di Roma, in occasione del 25.mo anniversario della fondazione della Cappellania cattolica congolese di Roma.
Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa ha pronunciato dopo la proclamazione del Vangelo:
Omelia del Santo Padre
Papa Francesco: Boboto [pace]
Assemblea: Bondeko [fraternità]
Papa Francesco: Bondeko [fraternità]
Assemblea: Esengo [gioia]
Nelle Letture di oggi compare spesso un verbo, venire, presente tre volte nella prima Lettura, mentre il Vangelo si conclude dicendo che «viene il Figlio dell’uomo» (Mt 24,44). Gesù viene: l’Avvento ci ricorda questa certezza già dal nome, perché la parola Avvento significa venuta. Il Signore viene: ecco la radice della nostra speranza, la sicurezza che tra le tribolazioni del mondo giunge a noi la consolazione di Dio, una consolazione che non è fatta di parole, ma di presenza, della sua presenza che viene in mezzo a noi.
Il Signore viene; oggi, primo giorno dell’Anno liturgico, questo annuncio segna il nostro punto di partenza: sappiamo che, al di là di ogni evento favorevole o contrario, il Signore non ci lascia soli. È venuto duemila anni fa e verrà ancora alla fine dei tempi, ma viene anche oggi nella mia vita, nella tua vita. Sì, questa nostra vita, con tutti i suoi problemi, le sue angosce e le sue incertezze, è visitata dal Signore. Ecco la sorgente della nostra gioia: il Signore non si è stancato e non si stancherà mai di noi, desidera venire, visitarci.
Oggi il verbo venire non si coniuga solo per Dio, ma anche per noi. Infatti nella prima Lettura Isaia profetizza: «Verranno molti popoli e diranno: “Venite, saliamo sul monte del Signore”» (2,3). Mentre il male sulla terra deriva dal fatto che ciascuno segue il proprio cammino senza gli altri, il profeta offre una visione meravigliosa: tutti vengono insieme al monte del Signore. Sul monte c’era il tempio, la casa di Dio. Isaia ci trasmette dunque un invito da parte di Dio a casa sua. Siamo gli invitati di Dio, e chi è invitato è atteso, desiderato. “Venite – dice Dio – perché a casa mia c’è posto per tutti. Venite, perché nel mio cuore non c’è un solo popolo, ma ogni popolo”.
Cari fratelli e sorelle, siete venuti da lontano. Avete lasciato le vostre case, avete lasciato affetti e cose care. Giunti qui, avete trovato accoglienza insieme a difficoltà e imprevisti. Ma per Dio siete sempre invitati graditi. Per Lui non siamo mai estranei, ma figli attesi. E la Chiesa è la casa di Dio: qui, dunque, sentitevi sempre a casa. Qui veniamo per camminare insieme verso il Signore e realizzare le parole con cui si conclude la profezia di Isaia: «Venite, camminiamo nella luce del Signore» (v. 5).
Ma alla luce del Signore si possono preferire le tenebre del mondo. Al Signore che viene e al suo invito ad andare a Lui si può rispondere “no, non ci vado”. Spesso non si tratta di un “no” diretto, sfrontato, ma subdolo. È il no da cui ci mette in guardia Gesù nel Vangelo, esortandoci a non fare come ai «giorni di Noè» (Mt 24,37). Che cosa accadde ai giorni di Noè? Accadde che, mentre qualcosa di nuovo e sconvolgente stava per arrivare, nessuno ci badava, perché tutti pensavano solo a mangiare e a bere (cfr v. 38). In altre parole, tutti riducevano la vita ai loro bisogni, si accontentavano di una vita piatta, orizzontale, senza slancio. Non c’era attesa di qualcuno, soltanto la pretesa di avere qualcosa per sé, da consumare. Attesa del Signore che viene, e non pretesa di avere qualcosa da consumare noi. Questo è il consumismo.
Il consumismo è un virus che intacca la fede alla radice, perché ti fa credere che la vita dipenda solo da quello che hai, e così ti dimentichi di Dio che ti viene incontro e di chi ti sta accanto. Il Signore viene, ma segui piuttosto gli appetiti che ti vengono; il fratello bussa alla tua porta, ma ti dà fastidio perché disturba i tuoi piani – e questo è l’atteggiamento egoistico del consumismo. Nel Vangelo, quando Gesù segnala i pericoli per la fede, non si preoccupa dei nemici potenti, delle ostilità e delle persecuzioni. Tutto questo c’è stato, c’è e ci sarà, ma non indebolisce la fede. Il vero pericolo, invece, è ciò che anestetizza il cuore: è dipendere dai consumi, è lasciarsi appesantire e dissipare il cuore dai bisogni (cfr Lc 21,34).
Allora si vive di cose e non si sa più per cosa; si hanno tanti beni ma non si fa più il bene; le case si riempiono di cose ma si svuotano di figli. Questo è il dramma di oggi: case pieni di cose ma vuote di figli, l’inverno demografico che stiamo soffrendo. Si butta via il tempo nei passatempi, ma non si ha tempo per Dio e per gli altri. E quando si vive per le cose, le cose non bastano mai, l’avidità cresce e gli altri diventano intralci nella corsa e così si finisce per sentirsi minacciati e, sempre insoddisfatti e arrabbiati, si alza il livello dell’odio. “Io voglio di più, voglio di più, voglio di più...”. Lo vediamo oggi là dove il consumismo impera: quanta violenza, anche solo verbale, quanta rabbia e voglia di cercare un nemico a tutti i costi! Così, mentre il mondo è pieno di armi che provocano morti, non ci accorgiamo che continuiamo ad armare il cuore di rabbia.
Da tutto questo Gesù vuole ridestarci. Lo fa con un verbo: «Vegliate» (Mt 24,42). “State attenti, vegliate”. Vegliare era il lavoro della sentinella, che vigilava restando sveglia mentre tutti dormivano. Vegliare è non cedere al sonno che avvolge tutti. Per poter vegliare occorre avere una speranza certa: che la notte non durerà sempre, che presto arriverà l’alba. È così anche per noi: Dio viene e la sua luce rischiarerà pure le tenebre più fitte. Ma a noi oggi tocca vigilare, vegliare: vincere la tentazione che il senso della vita è accumulare – questa è una tentazione, il senso della vita non è accumulare –, a noi tocca smascherare l’inganno che si è felici se si hanno tante cose, resistere alle luci abbaglianti dei consumi, che brilleranno ovunque in questo mese, e credere che la preghiera e la carità non sono tempo perso, ma i tesori più grandi.
Quando apriamo il cuore al Signore e ai fratelli, viene il bene prezioso che le cose non potranno mai darci e che Isaia annuncia nella prima Lettura, la pace: «Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra» (Is 2,4). Sono parole che ci fanno pensare anche alla vostra patria. Oggi preghiamo per la pace, gravemente minacciata nell’Est del Paese, specialmente nei territori di Beni e di Minembwe, dove divampano i conflitti, alimentati anche da fuori, nel silenzio complice di tanti. Conflitti alimentati da coloro che si arricchiscono vendendo le armi.
Oggi ricordate una figura bellissima, la Beata Marie-Clémentine Anuarite Nengapeta, violentemente uccisa non prima di aver detto al suo carnefice, come Gesù: «Ti perdono, perché non sai quello che fai!». Chiediamo per sua intercessione che, in nome di Dio-Amore e con l’aiuto delle popolazioni vicine, si rinunci alle armi, per un futuro che non sia più gli uni contro gli altri, ma gli uni con gli altri, e ci si converta da un’economia che si serve della guerra a un’economia che serva la pace.
Papa Francesco: Chi ha orecchi per intendere
Assemblea: Intenda
Papa Francesco: Chi ha cuore per acconsentire
Assemblea: Acconsenta
[01951-IT.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
Le Pape François: Boboto [paix]
L’Assemblée: Bondeko [fraternité]
Le Pape François: Bondeko [fraternité]
L’Assemblée: Esengo [joie]
Dans les Lectures d’aujourd’hui figure un verbe, venir, qu’on retrouve trois fois dans la première Lecture, tandis que l’Évangile, pour conclure, affirme que «le Fils de l’homme viendra» (Mt 24, 44). Jésus vient: l’Avent nous rappelle cette certitude déjà par son sens même, car le mot Avent signifie venue. Le Seigneur vient: voici la racine de notre espérance, la certitude qu’au milieu des tribulations du monde arrive la consolation de Dieu, une consolation qui n’est pas faite de paroles, mais de présence, de la présence de celui qui vient parmi nous.
Le Seigneur vient; aujourd’hui, premier jour de l’Année liturgique, cette annonce représente notre point de départ: nous savons qu’au-delà de tout événement favorable ou contrariant, le Seigneur ne nous laisse pas seuls. Il est venu il y a deux mille ans et il viendra encore à la fin des temps, mais il vient aujourd’hui également dans ma vie, dans ta vie. Oui, notre vie, avec tous ses problèmes, ses angoisses et ses incertitudes, reçoit la visite du Seigneur. Voilà la source de notre joie: le Seigneur ne s’est pas lassé et ne se lassera jamais de nous, il désire venir, il désire nous rendre visite.
Aujourd’hui, le verbe venir a non seulement comme sujet Dieu, mais nous aussi. En effet, dans la première Lecture Isaïe prédit: «Viendront des peuples nombreux. Ils diront : « Venez ! montons à la montagne du Seigneur» (2, 3). Tandis que le mal sur la terre vient du fait que chacun suit son propre chemin sans les autres, le prophète offre une vision merveilleuse: tous les peuples viennent ensemble à la montagne du Seigneur. Sur la montagne, il y avait le temple de Dieu, la maison de Dieu. Isaïe nous transmet donc une invitation de la part de Dieu à aller chez lui. Nous sommes les invités de Dieu, et celui qui est invité est attendu, désiré. ‘‘Venez, dit Dieu, car dans ma maison il y a de la place pour tout le monde. Venez, car je ne porte pas dans mon cœur seulement un peuple, mais chaque peuple’’.
Chers frères et sœurs, vous êtes venus de loin. Vous avez quitté vos maisons, vous avez quitté des proches et des choses qui vous sont chères. Arrivés ici, vous avez trouvé à la fois accueil, difficultés et imprévus. Mais pour Dieu, vous êtes toujours des invités bienvenus. Pour lui, nous ne sommes pas des étrangers, mais des enfants attendus. Et l’Église est la maison de Dieu: sentez-vous donc toujours chez vous ici. Nous venons ici pour marcher ensemble vers le Seigneur et réaliser les paroles par lesquelles se conclut la prophétie d’Isaïe: «Venez […] ! Marchons à la lumière du Seigneur» (v. 5).
Mais on peut préférer les ténèbres à la lumière du Seigneur. Au Seigneur qui vient et qui nous invite à aller chez lui, on peut répondre ‘‘non, je n’y vais pas’’. Souvent, il ne s’agit pas d’un ‘‘non’’ direct, insolent, mais sournois. C’est le ‘‘non’’ contre lequel Jésus met en garde dans l’Évangile, en nous exhortant à ne pas faire comme «aux jours de Noé» (Mt 24, 37). Que s’est-il passé aux jours de Noé? Il est arrivé que, alors que quelque chose de nouveau et de bouleversant était sur le point de se produire, personne n’y faisait attention, car tout le monde ne pensait qu’à manger et à boire (cf. v. 38). En d’autres termes, chacun réduisait la vie à ses besoins, se contentait d’une vie plate, horizontale, sans élan. Il n’y avait pas l’attente de quelqu’un, mais uniquement la prétention d’avoir quelque chose pour soi, à consommer. L’attente du Seigneur qui vient, et non la prétention d’avoir, nous, quelque chose à consommer. C’est cela le consumérisme.
Le consumérisme est un virus qui attaque la foi à la racine, car il te fait croire que la vie dépend uniquement de ce que tu fais, et ainsi tu oublies Dieu qui vient à ta rencontre et celui qui est à côté de toi. Le Seigneur vient, mais tu suis plutôt tes appétits; ton frère frappe à ta porte, mais il te dérange, parce qu’il perturbe tes plans – et cela, c’est l’attitude égoïste du consumérisme. Dans l’Évangile, quand Jésus signale les dangers pour la foi, il ne se soucie pas des ennemis puissants, des hostilités et des persécutions. Tout cela a existé, existe et existera, mais n’affaiblit pas la foi. Le vrai danger, c’est plutôt ce qui anesthésie le cœur: c’est de dépendre de la consommation, c’est de laisser les besoins appesantir et dissiper le cœur (cf. Lc 21, 34).
On vit alors des choses et on ne sait plus pour quoi; on a beaucoup de biens mais on ne fait plus le bien; les maisons se remplissent de choses mais se vident d’enfants. Voilà le drame d’aujourd’hui: des maisons remplies de choses mais sans enfants, c’est l’hiver démographique que nous sommes en train de traverser. On gaspille le temps dans des passetemps, mais on n’a plus du temps pour Dieu et pour les autres. Et quand on vit pour les choses, elles ne suffisent jamais, l’avidité grandit et les autres deviennent des entraves dans la course et ainsi, on finit par se sentir menacé et, toujours insatisfait et énervé; la haine gagne du terrain. ‘‘Je veux plus, je veux plus, je veux plus…’’. Nous le voyons aujourd’hui là où le consumérisme règne en maître: que de violence et de volonté de chercher un ennemi à tout prix! Ainsi, tandis que le monde est rempli d’armes qui causent des morts, nous ne nous rendons pas compte que nous continuons à armer notre cœur de rage.
Jésus veut nous réveiller de tout cela. Il le fait en se servant d’un verbe: «Veillez» (Mt 24, 42). ‘‘Soyez attentifs, veillez’’. Veiller, c’était le travail de la sentinelle, qui veillait en restant en éveil tandis que tout le monde dormait. Veiller, c’est résister au sommeil qui nous gagne tous. Pour pouvoir veiller, il faut avoir une espérance certaine: que la nuit ne durera pas toujours, que bientôt l’aube pointera. Il en est de même pour nous: Dieu vient et sa lumière éclairera même les ténèbres les plus épaisses. Mais nous, il nous faut aujourd’hui veiller, veiller : vaincre la tentation qui fait croire que le sens de la vie réside dans l’accumulation – c’est une tentation; le sens de la vie ne se trouve pas dans l’accumulation - ; il nous faut démasquer l’illusion qu’on est heureux si on a beaucoup de chose; résister aux lumières aveuglantes de la consommation qui brillent partout en ce mois et croire que la prière et la charité ne sont pas du temps perdu, mais les plus grands trésors.
Quand nous ouvrons le cœur au Seigneur et à nos frères, arrive le bien précieux que les choses ne pourront jamais nous donner et qu’Isaïe annonce dans la première Lecture, la paix: «De leurs épées, ils forgeront des socs, et de leurs lances, des faucilles. Jamais nation contre nation ne lèvera l’épée ; ils n’apprendront plus la guerre» (Is 2, 4). Ce sont des paroles qui nous font penser aussi à votre patrie. Aujourd’hui, nous prions pour la paix, gravement menacée dans l’est du pays, surtout dans les territoires de Béni et de Minembwe, où font rage des conflits, nourris également de l’extérieur, alors que beaucoup se taisent; des conflits alimentés par ceux qui s’enrichissent en vendant les armes.
Aujourd’hui, vous faites mémoire d’une très belle figure, la Bienheureuse Marie-Clémentine Anuarite Nengapeta, violemment tuée, non sans avoir dit à son bourreau, comme Jésus: «Je te pardonne, parce que tu ne sais pas ce que tu fais». Par son intercession, demandons qu’au nom du Dieu-Amour, et avec l’aide des populations voisines, on renonce aux armes, en vue d’un avenir où les uns ne soient plus contre les autres, mais où les uns soient avec les autres, et où l’on se détourne d’une économie qui se sert de la guerre pour une économie qui sert la paix!
Le Pape François: Celui qui a des oreilles pour entendre
L’Assemblée: qu’il entende!
Le Pape François: Celui qui a un cœur pour acquiescer
L’Assemblée: qu’il acquiesce!
[01951-FR.02] [Texte original: Italien]
[B0952-XX.02]