Questa mattina, nel Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza, a conclusione dei lavori, i partecipanti all’Incontro Internazionale La Chiesa in uscita. Ricezione e prospettive di Evangelii Gaudium, promosso dal Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, tenutosi in Vaticano dal 28 al 30 novembre 2019.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha rivolto ai presenti nel corso dell’incontro:
Discorso del Santo Padre
Cari fratelli e sorelle,
in questi giorni vi siete trovati numerosi, venendo da tante parti del mondo, per riprendere tra le mani l’Evangelii gaudium. Vi ringrazio per questo e sono grato a Mons. Fisichella per le sue parole e anche perché porta avanti questo lavoro. Sono certo che porterete a casa con entusiasmo i frutti di questi giorni di incontro.
Vorrei dirvi con molta semplicità: la gioia del Vangelo scaturisce dall’incontro con Gesù. È quando incontriamo il Signore che veniamo inondati da quell’amore di cui Lui solo è capace. Allora, «quando permettiamo a Dio di condurci al di là di noi stessi», la vita cambia e «raggiungiamo il nostro essere più vero. Lì sta la sorgente dell’azione evangelizzatrice» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 8). Perché a quel punto l’esigenza di annunciarlo nasce spontanea, diventa irrefrenabile, anche senza parole, con la testimonianza. Così è iniziata l’evangelizzazione, il mattino di Pasqua, con una donna-apostolo, Maria Maddalena che, dopo aver incontrato Gesù risorto, il Vivente, ha evangelizzato gli Apostoli. Si trovava presso il sepolcro di Gesù con tanti sentimenti tristi nel cuore: al dolore per la perdita del Maestro si aggiungevano la paura per il futuro e lo smarrimento per la presunta violazione della tomba. Ma il suo pianto si è cambiato in gioia, la sua solitudine in consolazione dopo aver trovato in Gesù l’amore che non delude mai, che non abbandona nemmeno davanti alla morte, che dà la forza di ritrovare il meglio di sé stessi. È vero per tutti: «la nostra tristezza infinita si cura soltanto con un infinito amore» (ibid., 265).
L’esperienza di tante persone ai nostri giorni non è distante da quella di Maria di Magdala. La nostalgia di Dio, di un amore infinito e vero, è radicata nel cuore di ogni uomo. Serve qualcuno che aiuti a ravvivarla. Servono angeli che, come fu per Maria Maddalena, portino buoni annunci: angeli in carne e ossa che si accostino per asciugare lacrime, per dire nel nome di Gesù: “non avere paura!” (cfr Mt 28,5). Gli evangelizzatori sono come angeli, come angeli custodi, messaggeri di bene che non consegnano risposte pronte, ma condividono l’interrogativo della vita, lo stesso che Gesù rivolse a Maria chiamandola per nome: «Chi cerchi?» (Gv 20,15). Chi cerchi, non che cosa cerchi, perché le cose non bastano per vivere; per vivere occorre il Dio dell’amore. E se con questo suo amore sapessimo guardare nel cuore delle persone che, a causa dell’indifferenza che respiriamo e del consumismo che ci appiattisce, spesso ci passano davanti come se nulla fosse, riusciremmo a vedere anzitutto il bisogno di questo Chi, la ricerca di un amore che dura per sempre, la domanda sul senso della vita, sul dolore, sul tradimento, sulla solitudine. Sono inquietudini di fronte alle quali non bastano ricette e precetti; occorre camminare, occorre camminare insieme, farsi compagni di viaggio.
Chi evangelizza, infatti, non può mai scordarsi di essere sempre in cammino, in ricerca insieme agli altri. Perciò non può lasciare indietro nessuno, non può permettersi di tenere a distanza chi arranca, non può chiudersi nel suo gruppetto di relazioni confortevoli. Chi annuncia non cerca fughe dal mondo, perché il suo Signore ha tanto amato il mondo da dare sé stesso, non per condannare ma per salvare il mondo (cfr Gv 3,16-17). Chi annuncia fa proprio il desiderio di Dio, che spasima per chi è distante. Non conosce nemici, solo compagni di viaggio. Non si erge come maestro, sa che la ricerca di Dio è comune e va condivisa, che la vicinanza di Gesù non è mai negata a nessuno.
Cari fratelli e sorelle, non ci trattenga il timore di sbagliare e la paura di percorrere sentieri nuovi. Nella vita tutti sbagliamo, tutti. È normale. Non ci sono priorità da anteporre all’annuncio della risurrezione, al kerigma della speranza. Le nostre povertà non sono ostacoli, ma strumenti preziosi, perché la grazia di Dio ama manifestarsi nella debolezza (cfr 2 Cor 12,9). Abbiamo bisogno di confermarci in una certezza interiore, nella «convinzione che Dio può agire in ogni circostanza, anche in mezzo ad apparenti fallimenti» (ibid., 279). Abbiamo bisogno di credere davvero che Dio è amore e che dunque non va perduta nessuna opera svolta con amore, nessuna sincera preoccupazione per gli altri, nessun atto d’amore per Dio, nessuna generosa fatica, nessuna dolorosa pazienza (cfr ibid.). Abbiamo bisogno, per diffondere l’annuncio, di essere semplici e agili come nei Vangeli di Pasqua: come Maria, che non vede l’ora di dire ai discepoli: «Ho visto il Signore!» (Gv 20,18); come gli Apostoli, che corrono al sepolcro (cfr Gv 20,4); come Pietro, che si tuffa dalla barca verso Gesù (cfr Gv 21,8). Abbiamo bisogno di una Chiesa libera e semplice, che non pensa ai ritorni di immagine, alle convenienze e alle entrate, ma ad essere in uscita. Qualcuno diceva che la vera Chiesa di Gesù per essere fedele sempre deve essere in disavanzo nel bilancio. È buono questo: il disavanzo.
Pensiamo ai primi cristiani, che avevano tutti contro, erano perseguitati eppure non si lamentavano del mondo. Leggendo il Nuovo Testamento, si vede che non erano preoccupati di difendersi da un impero che li metteva a morte, ma di annunciare Gesù, anche a costo della vita. Allora non lasciamoci rattristare dalle cose che non vanno, dalle fatiche, dalle incomprensioni, dal chiacchiericcio, no: sono piccolezze di fronte “alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù nostro Signore” (cfr Fil 3,8). Non lasciamoci contagiare dal disfattismo secondo cui va tutto male: non è il pensiero di Dio. E i tristi non sono cristiani. Il cristiano soffre tante volte, ma non cade nella tristezza profonda dell’anima. La tristezza non è una virtù cristiana. Il dolore sì. Per non lasciarci rubare l’entusiasmo del Vangelo invochiamone ogni giorno l’Autore, lo Spirito Santo, lo Spirito della gioia che mantiene vivo l’ardore missionario, che fa della vita una storia d’amore con Dio, che ci invita ad attirare il mondo solo con l’amore, e a scoprire che la vita si possiede solo donandola. Si possiede nella povertà di darla, di spogliarsi da sé stessi. E anche con la sorpresa, lo stupore di vedere che prima che noi arriviamo, c’è lo Spirito Santo che è già arrivato e ci aspetta lì.
Vi ringrazio di cuore per il bene che donate. Vi benedico e vi chiedo di pregare per me. Grazie.
[01944-IT.02] [Testo originale: Italiano]
[B0946-XX.02]