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Cappella Papale presieduta da Papa Francesco con il rito della canonizzazione di 5 Beati, 13.10.2019


Omelia del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Alle ore 10.15 di oggi, XXVIII Domenica del Tempo Ordinario, sul Sagrato della Basilica Vaticana, il Santo Padre Francesco ha celebrato la Santa Messa e presieduto il rito della canonizzazione dei Beati: John Henry Newman (1801-1890), Cardinale di Santa Romana Chiesa, Fondatore dell’Oratorio di San Filippo Neri in Inghilterra; Giuseppina Vannini (1859-1911), Vergine, Fondatrice delle Figlie di San Camillo; Mariam Thresia Chiramel Mankidiyan (1876-1926), Vergine, Fondatrice della Congregazione delle Suore della Sacra Famiglia; Dulce Lopes Pontes (1914-1992), Vergine; Margherita Bays (1815-1879), Vergine.

Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa ha pronunciato dopo la proclamazione del Vangelo:

Omelia del Santo Padre

«La tua fede ti ha salvato» (Lc 17,19). È il punto di arrivo del Vangelo odierno, che ci mostra il cammino della fede. In questo percorso di fede vediamo tre tappe, segnalate dai lebbrosi guariti, i quali invocano, camminano e ringraziano.

Anzitutto, invocare. I lebbrosi si trovavano in una condizione terribile, non solo per la malattia che, diffusa ancora oggi, va combattuta con tutti gli sforzi, ma per l’esclusione sociale. Al tempo di Gesù erano ritenuti immondi e in quanto tali dovevano stare isolati, in disparte (cfr Lv 13,46). Vediamo infatti che, quando vanno da Gesù, “si fermano a distanza” (cfr Lc 17,12). Però, anche se la loro condizione li mette da parte, invocano Gesù, dice il Vangelo, «ad alta voce» (v. 13). Non si lasciano paralizzare dalle esclusioni degli uomini e gridano a Dio, che non esclude nessuno. Ecco come si accorciano le distanze, come ci si rialza dalla solitudine: non chiudendosi in sé stessi e nei propri rimpianti, non pensando ai giudizi degli altri, ma invocando il Signore, perché il Signore ascolta il grido di chi è solo.

Come quei lebbrosi, anche noi abbiamo bisogno di guarigione, tutti. Abbiamo bisogno di essere risanati dalla sfiducia in noi stessi, nella vita, nel futuro; da molte paure; dai vizi di cui siamo schiavi; da tante chiusure, dipendenze e attaccamenti: al gioco, ai soldi, alla televisione, al cellulare, al giudizio degli altri. Il Signore libera e guarisce il cuore, se lo invochiamo, se gli diciamo: “Signore, io credo che puoi risanarmi; guariscimi dalle mie chiusure, liberami dal male e dalla paura, Gesù”. I lebbrosi sono i primi, in questo Vangelo, a invocare il nome di Gesù. Poi lo faranno anche un cieco e un malfattore sulla croce: gente bisognosa invoca il nome di Gesù, che significa Dio salva. Chiamano Dio per nome, in modo diretto, spontaneo. Chiamare per nome è segno di confidenza, e al Signore piace. La fede cresce così, con l’invocazione fiduciosa, portando a Gesù quel che siamo, a cuore aperto, senza nascondere le nostre miserie. Invochiamo con fiducia ogni giorno il nome di Gesù: Dio salva. Ripetiamolo: è pregare, dire “Gesù” è pregare. La preghiera è la porta della fede, la preghiera è la medicina del cuore.

La seconda parola è camminare. È la seconda tappa. Nel breve Vangelo di oggi compaiono una decina di verbi di movimento. Ma a colpire è soprattutto il fatto che i lebbrosi non vengono guariti quando stanno fermi davanti a Gesù, ma dopo, mentre camminano: «Mentre essi andavano furono purificati», dice il Vangelo (v. 14). Vengono guariti andando a Gerusalemme, cioè mentre affrontano un cammino in salita. È nel cammino della vita che si viene purificati, un cammino che è spesso in salita, perché conduce verso l’alto. La fede richiede un cammino, un’uscita, fa miracoli se usciamo dalle nostre certezze accomodanti, se lasciamo i nostri porti rassicuranti, i nostri nidi confortevoli. La fede aumenta col dono e cresce col rischio. La fede procede quando andiamo avanti equipaggiati di fiducia in Dio. La fede si fa strada attraverso passi umili e concreti, come umili e concreti furono il cammino dei lebbrosi e il bagno nel fiume Giordano di Naaman (cfr 2 Re 5,14-17). È così anche per noi: avanziamo nella fede con l’amore umile e concreto, con la pazienza quotidiana, invocando Gesù e andando avanti.

C’è un altro aspetto interessante nel cammino dei lebbrosi: si muovono insieme. «Andavano» e «furono purificati», dice il Vangelo (v. 14), sempre al plurale: la fede è anche camminare insieme, mai da soli. Però, una volta guariti, nove vanno per conto loro e solo uno torna a ringraziare. Gesù allora esprime tutta la sua amarezza: «E gli altri dove sono?» (v. 17). Sembra quasi che chieda conto degli altri nove all’unico che è tornato. È vero, è compito nostro – di noi che siamo qui a “fare Eucaristia”, cioè a ringraziare –, è compito nostro prenderci cura di chi ha smesso di camminare, di chi ha perso la strada: siamo custodi dei fratelli lontani, tutti noi! Siamo intercessori per loro, siamo responsabili per loro, chiamati cioè a rispondere di loro, a prenderli a cuore. Vuoi crescere nella fede? Tu, che sei oggi qui, vuoi crescere nella fede? Prenditi cura di un fratello lontano, di una sorella lontana.

Invocare, camminare e ringraziare: è l’ultima tappa. Solo a quello che ringrazia Gesù dice: «La tua fede ti ha salvato» (v. 19). Non è solo sano, è anche salvo. Questo ci dice che il punto di arrivo non è la salute, non è lo stare bene, ma l’incontro con Gesù. La salvezza non è bere un bicchiere d’acqua per stare in forma, è andare alla sorgente, che è Gesù. Solo Lui libera dal male, e guarisce il cuore, solo l’incontro con Lui salva, rende la vita piena e bella. Quando s’incontra Gesù nasce spontaneo il “grazie”, perché si scopre la cosa più importante della vita: non ricevere una grazia o risolvere un guaio, ma abbracciare il Signore della vita. E questa è la cosa più importante della vita: abbracciare il Signore della vita.

È bello vedere che quell’uomo guarito, che era un samaritano, esprime la gioia con tutto sé stesso: loda Dio a gran voce, si prostra, ringrazia (cfr vv. 15-16). Il culmine del cammino di fede è vivere rendendo grazie. Possiamo domandarci: noi che abbiamo fede, viviamo le giornate come un peso da subire o come una lode da offrire? Rimaniamo centrati su noi stessi in attesa di chiedere la prossima grazia o troviamo la nostra gioia nel rendere grazie? Quando ringraziamo, il Padre si commuove e riversa su di noi lo Spirito Santo. Ringraziare non è questione di cortesia, di galateo, è questione di fede. Un cuore che ringrazia rimane giovane. Dire: “Grazie, Signore” al risveglio, durante la giornata, prima di coricarsi è l’antidoto all’invecchiamento del cuore, perché il cuore invecchia e si abitua male. Così anche in famiglia, tra sposi: ricordarsi di dire grazie. Grazie è la parola più semplice e benefica.

Invocare, camminare, ringraziare. Oggi ringraziamo il Signore per i nuovi Santi, che hanno camminato nella fede e che ora invochiamo come intercessori. Tre di loro sono suore e ci mostrano che la vita religiosa è un cammino d’amore nelle periferie esistenziali del mondo. Santa Marguerite Bays, invece, era una sarta e ci rivela quant’è potente la preghiera semplice, la sopportazione paziente, la donazione silenziosa: attraverso queste cose il Signore ha fatto rivivere in lei, nella sua umiltà, lo splendore della Pasqua. È la santità del quotidiano, di cui parla il santo Cardinale Newman, che disse: «Il cristiano possiede una pace profonda, silenziosa, nascosta, che il mondo non vede. […] Il cristiano è gioioso, tranquillo, buono, amabile, cortese, ingenuo, modesto; non accampa pretese, […] il suo comportamento è talmente lontano dall’ostentazione e dalla ricercatezza che a prima vista si può facilmente prenderlo per una persona ordinaria» (Parochial and Plain Sermons, V,5). Chiediamo di essere così, “luci gentili” tra le oscurità del mondo. Gesù, «resta con noi e noi cominceremo a brillare come Tu brilli, a brillare in modo da essere una luce per gli altri» (Meditations on Christian Doctrine, VII,3). Amen.

[01629-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

«Ta foi t’a sauvé» (Lc 17, 19). C’est le point d’arrivée de l’Evangile de ce jour qui nous montre le chemin de la foi. Dans ce parcours de foi nous voyons trois étapes, indiquées par les lépreux qui ont été guéris et qui invoquent, marchent et remercient.

D’abord, invoquer. Les lépreux se trouvent dans une condition terrible, non seulement en raison de la maladie qui, répandue encore aujourd’hui, doit être combattue à tout prix, mais aussi en raison de l’exclusion sociale. Au temps de Jésus, ils étaient considérés comme impurs et, comme tels, ils devaient être maintenus à l’écart, isolés (cf. Lv 17, 12). En effet, nous voyons que, lorsqu’ils vont vers Jésus, “ils s’arrêtent à distance” (cf. Lv 17, 12). Mais, bien que leur condition les mette à part, ils invoquent Jésus “à haute voix” (v. 13), dit l’Evangile. Ils ne se laissent pas paralyser par les exclusions des hommes et ils crient vers Dieu qui n’exclut personne. Voilà comment les distances se réduisent, comment on sort de la solitude: non pas en se renfermant en soi-même et dans ses regrets, non pas en pensant aux jugements des autres, mais en invoquant le Seigneur, car le Seigneur écoute le cri de celui qui est seul.

Comme ces lépreux, nous aussi, nous avons tous besoin de guérison. Nous avons besoin d’être guéris du manque de confiance en nous-mêmes, en la vie, en l’avenir; guéris de tant de peurs; des vices dont nous sommes les esclaves; de tant de fermetures, dépendances et attachements aux jeux, à l’argent, à la télévision, au téléphone portable, au jugement des autres. Le Seigneur libère et guérit le cœur, si nous l’invoquons, si nous lui disons: “Seigneur, je crois que tu peux me guérir; guéris-moi de mes fermetures, libère-moi du mal et de la peur, Jésus”. Les lépreux sont les premiers, dans cet Evangile, à invoquer le nom de Jésus. Ensuite, un aveugle et un malfaiteur sur la croix le feront aussi. Les personnes qui sont dans le besoin invoquent le nom de Jésus qui signifie Dieu sauve. Elles appellent Dieu par son nom, directement, spontanément. Appeler quelqu’un par son nom est un signe de confiance, et cela plaît au Seigneur. La foi grandit ainsi, par l’invocation confiante, apportant à Jésus ce que nous sommes, à cœur ouvert, sans cacher nos misères. Invoquons avec confiance, chaque jour, le nom de Jésus: Dieu sauve. Répétons-le: c’est prier, dire “Jésus” c’est prier. La prière est la porte de la foi, la prière est la médecine du cœur.

La seconde parole est marcher. C’est la seconde étape. Dans le court Evangile de ce jour, figure une dizaine de verbes de mouvement. Mais ce qui frappe c’est surtout le fait que les lépreux ne sont pas guéris lorsqu’ils se tiennent devant Jésus, mais après, lorsqu’ils marchent: «En cours de route, ils furent purifiés », dit l’Evangile (v. 14). Ils sont guéris en allant à Jérusalem, c’est-à-dire alors qu’ils affrontent un chemin qui monte. C’est sur le chemin de la vie que l’on est purifié, un chemin qui est souvent en montée, parce qu’il conduit en haut. La foi exige un cheminement, une sortie, elle fait des miracles si nous sortons de nos certitudes commodes, si nous quittons nos ports rassurants, nos nids confortables. La foi grandit avec le don et croît avec le risque. La foi progresse quand nous allons de l’avant, forts de la confiance en Dieu. La foi devient une route avec des pas humbles et concrets, comme humbles et concrets ont été la marche des lépreux et le bain de Naaman dans le Jourdain (cf. 2R 5, 14-17). Il en est de même pour nous: nous avançons dans la foi par l’amour humble et concret, par la patience quotidienne, en invoquant Jésus et en allant de l’avant.

Il y a un autre aspect intéressant dans le cheminement des lépreux: ils se déplacent ensemble. «Ils furent purifiés» dit l’Evangile (v. 14), toujours au pluriel: croire c’est aussi marcher ensemble, jamais seul. Mais, une fois guéris, neuf s’en vont pour leur propre compte et un seul retourne remercier. Jésus exprime alors toute son amertume: «Les autres, où sont-ils?» (v. 17). Il semble demander compte des neuf autres au seul qui est retourné. Certes, c’est notre devoir – à nous qui sommes ici à “faire Eucharistie”, c’est-à-dire à remercier - c’est notre devoir de prendre soin de celui qui a cessé de marcher, de celui qui perdu la route: nous sommes les gardiens des frères qui sont loin, nous tous!. Nous sommes des intercesseurs en leur faveur, nous sommes responsables à leur égard, c’est-à-dire appelés à répondre d’eux, à nous soucier d’eux. Tu veux grandir dans la foi? Toi qui es ici aujourd’hui, veux-tu grandir dans la foi? Prends soin d’un frère qui est loin, d’une sœur qui est loin.

Invoquer, marcher et remercier: c’est la dernière étape. Jésus dit: «Ta foi t’a sauvé» (v. 19) uniquement à celui qui le remercie. Il n’est pas seulement guéri, il est aussi sauvé. Cela nous dit que le point d’arrivée, ce n’est pas la santé, ce n’est pas le fait d’être bien, mais c’est la rencontre avec Jésus. Le salut, ce n’est pas boire un verre d’eau pour être en forme, c’est aller à la source, qui est Jésus. Lui seul libère du mal et guérit le cœur, seule la rencontre avec lui sauve, rend la vie pleine et belle. Quand on rencontre Jésus, le “merci” nait spontanément, car on découvre la chose la plus importante de la vie: non pas recevoir une grâce ou résoudre un problème, mais embrasser le Seigneur de la vie. Et ceci est la chose plus importante de la vie: embrasser le Seigneur de la vie.

Il est beau de voir que cet homme guéri, qui était un samaritain, exprime sa joie de tout son être: il loue Dieu à grande voix, il se prosterne, il remercie (cf. vv. 15-16). Le sommet du chemin de foi, c’est de vivre en rendant grâce. Nous pouvons nous demander: nous qui avons la foi, vivons-nous les journées comme un poids à subir ou comme une louange à offrir? Restons-nous centrés sur nous-mêmes en attendant de demander la prochaine grâce ou bien trouvons-nous notre joie dans l’action de grâce? Quand nous remercions, le Père est ému et répand sur nous l’Esprit Saint.

Remercier, ce n’est pas une question de politesse, de bienséance, c’est une question de foi. Un cœur qui remercie reste jeune. Dire: “Merci Seigneur” au réveil, pendant la journée, avant de se coucher, c’est l’antidote au vieillissement du cœur parce que le cœur vieillit et s’habitue au mal. De même en famille, entre les époux: se rappeler de dire merci. Merci est le mot le plus simple et le plus bénéfique.

Invoquer, marcher, remercier. Aujourd’hui, remercions le Seigneur pour les nouveaux Saints qui ont marché dans la foi et que nous invoquons maintenant comme intercesseurs. Trois d’entre eux sont Sœurs et elles nous montrent que la vie religieuse est un chemin d’amour dans les périphéries existentielles du monde. Sainte Marguerite Bays, en revanche, était une couturière et elle montre combien la prière simple est puissante, de même que la patiente endurance, le don de soi silencieux: à travers ces choses, le Seigneur a fait revivre en elle, dans son humilité, la splendeur de Pâques. C’est la sainteté dans le quotidien dont parle le saint Cardinal Newman qui a dit: «Le chrétien possède une paix profonde, silencieuse, cachée, que le monde ne voit pas. […] Le chrétien est joyeux, tranquille, bon, aimable, poli, innocent, modeste; il n’a pas de prétentions, […] son comportement est tellement éloigné de l’ostentation et de la sophistication qu’à première vue on peut facilement le prendre pour une personne ordinaire» (Parochial and Plain Sermons, V,5). Demandons d’être ainsi, de “douces lumières” dans les obscurités du monde. Jésus, «reste avec nous et nous commencerons à briller comme tu brilles, à briller de manière à être une lumière pour les autres» (Meditations on Christian Doctrine, VII,3).

Amen!

[01629-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

“Your faith has saved you” (Lk 17:19). This is the climax of today’s Gospel, which reflects the journey of faith. There are three steps in this journey of faith. We see them in the actions of the lepers whom Jesus heals. They cry out, they walk and they give thanks.

First, they cry out. The lepers were in a dreadful situation, not only because of a disease that, widespread even today, needs to be battled with unremitting effort, but also because of their exclusion from society. At the time of Jesus, lepers were considered unclean and, as such, had to be isolated and kept apart (cf. Lev 13:46). We see that when they approach Jesus, they “kept their distance” (Lk 17:12). Even though their condition kept them apart, the Gospel tells us that they “called out” (v. 13) and pleaded with Jesus. They did not let themselves be paralyzed because they were shunned by society; they cried out to God, who excludes no one. We see how distances are shortened, how loneliness is overcome: by not closing in on ourselves and our own problems, by not thinking about how others judge us, but rather by crying out to the Lord, for the Lord hears the cry of those who find themselves alone.

Like those lepers, we too need healing, each one of us. We need to be healed of our lack of confidence in ourselves, in life, in the future; we need to be healed of our fears and the vices that enslave us, of our introversion, our addictions and our attachment to games, money, television, mobile phones, to what other people think. The Lord sets our hearts free and heals them if only we ask him, only if we say to him: “Lord, I believe you can heal me. Dear Jesus, heal me from being caught up in myself. Free me from evil and fear”. The lepers are the first people, in this Gospel, who called on the name of Jesus. Later, a blind man and a crucified thief would do so: all of them needy people calling on the name of Jesus, which means: “God saves”. They call God by name, directly and spontaneously. To call someone by name is a sign of confidence, and it pleases the Lord. That is how faith grows, through confident, trusting prayer. Prayer in which we bring to Jesus who we really are, with open hearts, without attempting to mask our sufferings. Each day, let us invoke with confidence the name of Jesus: “God saves”. Let us repeat it: that is prayer, to say “Jesus“ is to pray. And prayer is essential! Indeed, prayer is the door of faith; prayer is medicine for the heart.

The second word is to walk. It is the second stage. In today’s brief Gospel, there are several verbs of motion. It is quite striking that the lepers are not healed as they stand before Jesus; it is only afterwards, as they were walking. The Gospel tells us that: “As they went, they were made clean” (v. 14). They were healed by going up to Jerusalem, that is, while walking uphill. On the journey of life, purification takes place along the way, a way that is often uphill since it leads to the heights. Faith calls for journey, a “going out” from ourselves, and it can work wonders if we abandon our comforting certainties, if we leave our safe harbours and our cosy nests. Faith increases by giving, and grows by taking risks. Faith advances when we make our way equipped with trust in God. Faith advances with humble and practical steps, like the steps of the lepers or those of Naaman who went down to bathe in the river Jordan (cf. 2 Kings 5:14-17). The same is true for us. We advance in faith by showing humble and practical love, exercising patience each day, and praying constantly to Jesus as we keep pressing forward on our way.

There is a further interesting aspect to the journey of the lepers: they move together. The Gospel tells us that, “as they went, they were made clean” (v. 14). The verbs are in the plural. Faith means also walking together, never alone. Once healed, however, nine of them go off on their own way, and only one turns back to offer thanks. Jesus then expresses his astonishment: “The others, where are they?” (v. 17). It is as if he asks the only one who returned to account for the other nine. It is the task of us, who celebrate the Eucharist as an act of thanksgiving, to take care of those who have stopped walking, those who have lost their way. We are called to be guardians of our distant brothers and sisters, all of us! We are to intercede for them; we are responsible for them, to account for them, to keep them close to heart. Do you want to grow in faith? You, who are here today, do you want to grow in faith? Then take care of a distant brother, a faraway sister.

To cry out. To walk. And to give thanks. This is the final step. Only to the one who thanked him did Jesus say: “Your faith has saved you” (v. 19). It made you both safe, and sound. We see from this that the ultimate goal is not health or wellness, but the encounter with Jesus. Salvation is not drinking a glass of water to keep fit; it is going to the source, which is Jesus. He alone frees us from evil and heals our hearts. Only an encounter with him can save, can make life full and beautiful. Whenever we meet Jesus, the word “thanks” comes immediately to our lips, because we have discovered the most important thing in life, which is not to receive a grace or resolve a problem, but to embrace the Lord of life. And this is the most important thing in life: to embrace the Lord of life.

It is impressive to see how the man who was healed, a Samaritan, expresses his joy with his entire being: he praises God in a loud voice, he prostrates himself, and he gives thanks (cf. vv. 15-16). The culmination of the journey of faith is to live a life of continual thanksgiving. Let us ask ourselves: do we, as people of faith, live each day as a burden, or as an act of praise? Are we closed in on ourselves, waiting to ask another blessing, or do we find our joy in giving thanks? When we express our gratitude, the Father’s heart is moved and he pours out the Holy Spirit upon us. To give thanks is not a question of good manners or etiquette; it is a question of faith. A grateful heart is one that remains young. To say “Thank you, Lord” when we wake up, throughout the day and before going to bed: that is the best way to keep our hearts young, because hearts can grow old and be spoilt. This also holds true for families, and between spouses. Remember to say thank you. Those words are the simplest and most effective of all.

To cry out. To walk. To give thanks. Today we give thanks to the Lord for our new Saints. They walked by faith and now we invoke their intercession. Three of them were religious women; they show us that the consecrated life is a journey of love at the existential peripheries of the world. Saint Marguerite Bays, on the other hand, was a seamstress; she speaks to us of the power of simple prayer, enduring patience and silent self-giving. That is how the Lord made the splendour of Easter radiate in her life, in her humbleness. Such is the holiness of daily life, which Saint John Henry Newman described in these words: “The Christian has a deep, silent, hidden peace, which the world sees not... The Christian is cheerful, easy, kind, gentle, courteous, candid, unassuming; has no pretence... with so little that is unusual or striking in his bearing, that he may easily be taken at first sight for an ordinary man” (Parochial and Plain Sermons, V, 5).

Let us ask to be like that, “kindly lights” amid the encircling gloom. Jesus, “stay with me, and then I shall begin to shine as Thou shinest: so to shine as to be a light to others” (Meditations on Christian Doctrine, VII, 3). Amen.

[01629-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

»Dein Glaube hat dich gerettet« (Lk 17,19). Das ist der Zielpunkt des heutigen Evangeliums, das uns den Weg des Glaubens zeigt. Auf diesem Pfad des Glaubens erkennen wir drei Etappen, die durch die geheilten Aussätzigen gekennzeichnet werden: sie rufen, gehen und danken.

Zuallererst rufen. Die Aussätzigen befinden sich in einer schrecklichen Lage, nicht nur aufgrund der Krankheit, die auch heute noch verbreitet ist und mit allen Kräften bekämpft werden muss, sondern auch aufgrund des sozialen Ausschlusses. Zur Zeit Jesu galten sie als unrein und als solche mussten sie isoliert, abgesondert bleiben (vgl. Lev 13,46). Wir sehen nämlich, dass sie, als sie zu Jesus gehen, »in der Ferne stehen bleiben« (vgl. Lk 17,12). Auch wenn ihr Zustand sie ins Abseits stellt, rufen sie doch zu Jesus mit lauter Stimme (vgl. V. 13), so sagt das Evangelium. Sie lassen sich nicht von der menschlichen Ausgrenzung lähmen und schreien zu Gott, der niemanden ausschließt. So verkürzt man die Abstände, so steht man von der Einsamkeit wieder auf: nicht indem man sich in sich selbst und das eigene Selbstmitleid verschließt, nicht indem man an die Urteile der anderen denkt, sondern indem man zum Herrn ruft, weil der Herr den Ruf dessen erhört, der allein ist.

Wie diese Aussätzigen bedürfen auch wir der Heilung, wir alle. Es ist notwendig, dass wir vom Misstrauen gegenüber uns selbst, gegenüber dem Leben, der Zukunft geheilt werden; von vielen Ängsten; von den Lastern, die uns versklaven; von vielen Abschottungen, von Abhängigkeit und Anhänglichkeit: an das Spielen, das Geld, das Fernsehen, das Handy, das Urteil der anderen. Der Herr befreit und heilt das Herz, wenn wir zu ihm rufen, wenn wir ihm sagen: „Herr, ich glaube, dass du mich gesund machen kannst; heile mich von meinen Abschottungen, Jesus, befreie mich vom Bösen und von der Angst.“ Die Aussätzigen sind die Ersten in diesem Evangelium, die den Namen Jesu anrufen. Dann werden es auch ein Blinder und ein Übeltäter am Kreuz tun: Menschen in Not rufen den Namen Jesu an, der Gott rettet bedeutet. Sie rufen Gott mit seinem Namen an, unmittelbar und spontan. Jemanden mit Namen zu rufen ist Zeichen des Vertrauens, und dem Herrn gefällt das. So wächst der Glaube durch das zuversichtliche Rufen, wenn wir Jesus das, was wir sind, mit offenem Herzen bringen, ohne unser Elend zu verbergen. Rufen wir jeden Tag vertrauensvoll den Namen Jesu an: Gott rettet. Sprechen wir ihn immer wieder aus: das ist Beten; „Jesus“ sagen ist beten. Das Gebet ist die Tür des Glaubens, das Gebet ist die Medizin des Herzens.

Das zweite Wort ist gehen. Das ist die zweite Etappe. Im kurzen Evangelium von heute kommen ungefähr zehn Verben der Bewegung vor. Was aber vor allem beeindruckt, ist die Tatsache, dass die Aussätzigen nicht geheilt werden, als sie still vor Jesus stehen, sondern nachher beim Gehen. »Und es geschah, während sie hingingen, wurden sie rein«, sagt das Evangelium (V. 14). Sie werden auf ihrem Weg nach Jerusalem geheilt, also auf einem bergaufgehenden Weg. Auf dem Weg des Lebens wird man rein, auf einem Weg, der oft bergauf geht, weil er in die Höhe führt. Der Glaube verlangt einen Weg, einen Aufbruch, wirkt Wunder, wenn wir aus unseren bequemen Gewissheiten hinausgehen, wenn wir unsere beruhigenden Häfen, unsere gemütlichen Nester verlassen. Der Glaube nimmt mit der Hingabe zu und wächst mit dem Risiko. Der Glaube schreitet voran, wenn wir mit Gottvertrauen ausgerüstet weitergehen. Der Glaube bahnt sich durch demütige und konkrete Schritte seinen Weg, wie auch das Gehen der Aussätzigen und Naamans Bad im Jordan (vgl. 2Kön 5,14-17) demütig und konkret waren. Und das gilt auch für uns: Schreiten wir im Glauben mit der demütigen und konkreten Liebe, mit der Geduld im Alltag voran; rufen wir dabei Jesus an und gehen weiter.

Es gibt einen weiteren interessanten Aspekt auf dem Weg der Aussätzigen: Sie gehen gemeinsam. »Während sie hingingen, wurden sie rein«, sagt das Evangelium (V. 14), immer im Plural: Der Glaube heißt auch gemeinsam gehen, niemals allein. Aber nachdem sie geheilt wurden, gehen neun ihre eigenen Wege und nur einer kehrt zurück, um zu danken. Da bringt Jesus seine ganze Verbitterung darüber zum Ausdruck: »Wo sind die neun?« (V. 17). Es scheint fast, als würde er von dem einen, der zurückgekehrt ist, Rechenschaft für die anderen neun verlangen. Es stimmt, es ist unsere Aufgabe – die wir hier sind, um „Eucharistie zu feiern“, also zu danken –, uns um den zu kümmern, der aufgehört hat zu gehen, der vom Weg abgekommen ist: Wir sind Hüter der Brüder und Schwestern, die fernstehen, wir alle. Wir sind für sie Fürsprecher, wir sind für sie verantwortlich, das heißt gerufen, uns für sie zu verantworten, sie uns zu Herzen zu nehmen. Willst du im Glauben wachsen? Willst du, der du heute hier bist, im Glauben wachsen? Dann nimm dich eines fernstehenden Bruders, einer fernstehenden Schwester an.

Rufen, gehen und danken: Das ist die letzte Etappe. Nur zu dem, der dankt, sagt Jesus: »Dein Glaube hat dich gerettet« (V. 19). Er ist nicht nur gesund, er ist gerettet. Dies sagt uns, dass der Zielpunkt nicht die Gesundheit, nicht das Wohlbefinden ist, sondern die Begegnung mit Jesus. Das Heil bedeutet nicht, ein Glas Wasser zu trinken, um in Form zu bleiben, es bedeutet, zur Quelle zu gehen, die Jesus ist. Nur er befreit vom Bösen und heilt das Herz, nur die Begegnung mit ihm rettet und gibt dem Leben Fülle und Schönheit. Wenn man Jesus begegnet, kommt das „Danke“ spontan, weil man das Wichtigste im Leben entdeckt: nicht eine Gnade empfangen oder eine Schwierigkeit lösen, sondern den Herrn des Lebens liebend zu umfassen. Und das ist das Wichtigste im Leben: den Herrn des Lebens liebend umfassen.

Es ist schön zu sehen, dass jener geheilte Mann, ein Samariter, die Freude mit seinem ganzen Selbst zum Ausdruck bringt: Er lobt Gott mit lauter Stimme, er wirft sich vor Jesus nieder, er dankt (vgl. VV. 15-16). Der Höhepunkt des Glaubensweges ist, in Danksagung zu leben. Wir können uns fragen: Wir, die wir glauben, leben wir die Tage als eine zu tragende Last oder als einen darzubringenden Lobpreis? Bleiben wir auf uns selbst fixiert und warten darauf, um die nächste Gnade zu bitten, oder finden wir unsere Freude in der Danksagung? Wenn wir danken, wird der Vater innerlich angerührt und gießt den Heiligen Geist über uns aus.

Danken ist nicht eine Frage der Höflichkeit, der Etikette, es ist eine Frage des Glaubens. Ein Herz, das dankt, bleibt jung. Beim Erwachen, während des Tages, vor dem Schlafengehen zu sagen: „Danke, Herr!“ ist das Gegenmittel gegen das Altern des Herzens. Denn das Herz wird alt und träge. Das gilt auch in der Familie, unter Eheleuten: sich daran erinnern, danke zu sagen. Danke ist das einfachste und wohltuendste Wort.

Rufen, gehen, danken. Heute danken wir dem Herrn für die neuen Heiligen, die den Weg des Glaubens gegangen sind und die wir nun als Fürsprecher anrufen. Drei von ihnen sind Ordensschwestern und zeigen uns, dass das Ordensleben ein Weg der Liebe an den existentiellen Rändern der Welt ist. Die heilige Marguerite Bays hingegen war eine Schneiderin und legt uns offen, wie mächtig das schlichte Gebet, das geduldige Ertragen, die stille Hingabe sind: Hierdurch hat der Herr in ihrem Leben, in ihrer Demut den Glanz von Ostern neu aufstrahlen lassen. Es ist die Heiligkeit des Alltags, von der der heilige Kardinal Newman spricht: »Der Christ besitzt einen tiefen, stillen, verborgenen Frieden, den die Welt nicht sieht […] Der Christ ist heiter, zugänglich, freundlich, sanft, zuvorkommend, lauter, anspruchslos; er kennt keine Verstellung, […] er ist […] dabei aber so wenig ungewöhnlich oder auffallend in seinem Benehmen, dass er auf den ersten Blick leicht als ein gewöhnlicher Mensch angesehen werden mag« (Parochial and Plain Sermons, V,5). Bitten wir darum, so zu sein, „liebes Licht“ inmitten der Finsternisse der Welt. Jesus, »bleibe bei mir! Dann werde ich selber auch leuchten, wie du geleuchtet hast, werde andern ein Licht sein« (Meditations on Christian Doctrine, VII,3). Amen.

[01629-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

«Tu fe te ha salvado» (Lc 17,19). Es el punto de llegada del evangelio de hoy, que nos muestra el camino de la fe. En este itinerario de fe vemos tres etapas, señaladas por los leprosos curados, que invocan, caminan y agradecen.

En primer lugar, invocar. Los leprosos se encontraban en una condición terrible, no sólo por sufrir la enfermedad que, incluso en la actualidad, se combate con mucho esfuerzo, sino por la exclusión social. En tiempos de Jesús eran considerados inmundos y en cuanto tales debían estar aislados, al margen (cf. Lv 13,46). De hecho, vemos que, cuando acuden a Jesús, “se detienen a lo lejos” (cf. Lc 17,12). Pero, aun cuando su situación los deja a un lado, dice el evangelio que invocan a Jesús «a gritos» (v. 13). No se dejan paralizar por las exclusiones de los hombres y gritan a Dios, que no excluye a nadie. Es así como se acortan las distancias, como se vence la soledad: no encerrándose en sí mismos y en las propias aflicciones, no pensando en los juicios de los otros, sino invocando al Señor, porque el Señor escucha el grito del que está solo.

Como esos leprosos, también nosotros necesitamos ser curados, todos. Necesitamos ser sanados de la falta de confianza en nosotros mismos, en la vida, en el futuro; de tantos miedos; de los vicios que nos esclavizan; de tantas cerrazones, dependencias y apegos: al juego, al dinero, a la televisión, al teléfono, al juicio de los demás. El Señor libera y cura el corazón, si lo invocamos, si le decimos: “Señor, yo creo que puedes sanarme; cúrame de mis cerrazones, libérame del mal y del miedo, Jesús”. Los leprosos son los primeros, en este evangelio, en invocar el nombre de Jesús. Después lo harán también un ciego y un malhechor en la cruz: gente necesitada invoca el nombre de Jesús, que significa Dios salva. Llaman a Dios por su nombre, de modo directo, espontáneo. Llamar por el nombre es signo de confianza, y al Señor le gusta. La fe crece así, con la invocación confiada, presentando a Jesús lo que somos, con el corazón abierto, sin esconder nuestras miserias. Invoquemos con confianza cada día el nombre de Jesús: Dios salva. Repitámoslo; es rezar, decir “Jesús” es rezar. La oración es la puerta de la fe, la oración es la medicina del corazón.

La segunda palabra es caminar. Es la segunda etapa. En el breve evangelio de hoy aparece una decena de verbos de movimiento. Pero, sobre todo, impacta el hecho de que los leprosos no se curan cuando están delante de Jesús, sino después, al caminar: «Mientras iban de camino, quedaron limpios», dice el Evangelio (v. 14). Se curan al ir a Jerusalén, es decir, cuando afrontan un camino en subida. Somos purificados en el camino de la vida, un camino que a menudo es en subida, porque conduce hacia lo alto. La fe requiere un camino, una salida, hace milagros si salimos de nuestras certezas acomodadas, si dejamos nuestros puertos seguros, nuestros nidos confortables. La fe aumenta con el don y crece con el riesgo. La fe avanza cuando vamos equipados de la confianza en Dios. La fe se abre camino a través de pasos humildes y concretos, como humildes y concretos fueron el camino de los leprosos y el baño en el río Jordán de Naamán(cf. 2 Re 5,14-17). También es así para nosotros: avanzamos en la fe con el amor humilde y concreto, con la paciencia cotidiana, invocando a Jesús y siguiendo hacia adelante.

Hay otro aspecto interesante en el camino de los leprosos: avanzan juntos. «Iban» y «quedaron limpios», dice el evangelio (v. 14), siempre en plural: la fe es también caminar juntos, nunca solos. Pero, una vez curados, nueve se van y sólo uno vuelve a agradecer. Entonces Jesús expresa toda su amargura: «Los otros nueve, ¿dónde están?» (v. 17). Casi parece que pide cuenta de los otros nueve al único que regresó. Es verdad, es nuestra tarea —de nosotros que estamos aquí para “celebrar la Eucaristía”, es decir, para agradecer—, es nuestra tarea hacernos cargo del que ha dejado de caminar, de quien ha perdido el rumbo: somos protectores de nuestros hermanos alejados, ¡todos nosotros! Somos intercesores para ellos, somos responsables de ellos, estamos llamados a responder y preocuparnos por ellos. ¿Quieres crecer en la fe? Tú, que estás hoy aquí, ¿quieres crecer en la fe? Hazte cargo de un hermano alejado, de una hermana alejada.

Invocar, caminar y agradecer: es la última etapa. Sólo al que agradece Jesús le dice: «Tu fe te ha salvado» (v. 19). No sólo está sano, sino también salvado. Esto nos dice que la meta no es la salud, no es el estar bien, sino el encuentro con Jesús. La salvación no es beber un vaso de agua para estar en forma, es ir a la fuente, que es Jesús. Sólo Él libra del mal y sana el corazón, sólo el encuentro con Él salva, hace la vida plena y hermosa. Cuando encontramos a Jesús, el “gracias” nace espontáneo, porque se descubre lo más importante de la vida, que no es recibir una gracia o resolver un problema, sino abrazar al Señor de la vida. Y esto es lo más importante de la vida: abrazar al Señor de la vida.

Es hermoso ver que ese hombre sanado, que era un samaritano, expresa la alegría con todo su ser: alaba a Dios a grandes gritos, se postra, agradece (cf. vv. 15-16). El culmen del camino de fe es vivir dando gracias. Podemos preguntarnos: nosotros, que tenemos fe, ¿vivimos la jornada como un peso a soportar o como una alabanza para ofrecer? ¿Permanecemos centrados en nosotros mismos a la espera de pedir la próxima gracia o encontramos nuestra alegría en la acción de gracias? Cuando agradecemos, el Padre se conmueve y derrama sobre nosotros el Espíritu Santo. Agradecer no es cuestión de cortesía, de buenos modales, es cuestión de fe. Un corazón que agradece se mantiene joven. Decir: “Gracias, Señor” al despertarnos, durante el día, antes de irnos a descansar es el antídoto al envejecimiento del corazón, porque el corazón envejece y se acostumbra mal. Así también en la familia, entre los esposos: acordarse de decir gracias. Gracias es la palabra más sencilla y beneficiosa.

Invocar, caminar, agradecer. Hoy damos gracias al Señor por los nuevos santos, que han caminado en la fe y ahora invocamos como intercesores. Tres son religiosas y nos muestran que la vida consagrada es un camino de amor en las periferias existenciales del mundo. Santa Margarita Bays, en cambio, era una costurera y nos revela qué potente es la oración sencilla, la tolerancia paciente, la entrega silenciosa. A través de estas cosas, el Señor ha hecho revivir en ella, en su humildad, el esplendor de la Pascua. Es la santidad de lo cotidiano, a la que se refiere el santo Cardenal Newman cuando dice: «El cristiano tiene una paz profunda, silenciosa y escondida que el mundo no ve. […] El cristiano es alegre, sencillo, amable, dulce, cortés, sincero, sin pretensiones, […] con tan pocas cosas inusuales o llamativas en su porte que a primera vista fácilmente se diría que es un hombre corriente» (Parochial and Plain Sermons, V,5). Pidamos ser así, “luces amables” en medio de la oscuridad del mundo. Jesús, «quédate con nosotros y así comenzaremos a brillar como brillas Tú; a brillar para servir de luz a los demás» (Meditations on Christian Doctrine, VII,3). Amén.

[01629-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

«A tua fé te salvou» (Lc 17, 19). É o ponto de chegada do Evangelho de hoje, que nos mostra o caminho da fé. Neste percurso de fé, vemos três etapas, vincadas pelos leprosos curados, que invocam, caminham e agradecem.

Primeiro, invocar. Os leprosos encontravam-se numa condição terrível não só pela doença em si, ainda hoje difusa e devendo ser combatida com todos os esforços possíveis, mas pela exclusão social. No tempo de Jesus, eram considerados impuros e, como tais, deviam estar isolados, separados (cf. Lv 13, 46). De facto, quando vão ter com Jesus, vemos que «se mantêm à distância» (Lc 17, 12). Embora a sua condição os coloque de lado, todavia diz o Evangelho que invocam Jesus «gritando» (17, 13) em voz alta. Não se deixam paralisar pelas exclusões dos homens e gritam a Deus, que não exclui ninguém. Assim se reduzem as distâncias, e a pessoa sai da solidão: não se fechando em auto lamentações, nem olhando aos juízos dos outros, mas invocando o Senhor, porque o Senhor ouve o grito de quem está abandonado.

Também nós – todos nós – necessitamos de cura, como aqueles leprosos. Precisamos de ser curados da pouca confiança em nós mesmos, na vida, no futuro; curados de muitos medos; dos vícios de que somos escravos; de tantos fechamentos, dependências e apegos: ao jogo, ao dinheiro, à televisão, ao telemóvel, à opinião dos outros. O Senhor liberta e cura o coração, se O invocarmos, se lhe dissermos: «Senhor, eu creio que me podeis curar; curai-me dos meus fechamentos, livrai-me do mal e do medo, Jesus». No Evangelho de Lucas, os primeiros a invocar o nome de Jesus são os leprosos. Depois fá-lo-ão também um cego e um dos ladrões na cruz: pessoas carentes invocam o nome de Jesus, que significa Deus salva. De modo direto e espontâneo chamam Deus pelo seu nome. Chamar pelo nome é sinal de confidência, e o Senhor gosta disso. A fé cresce assim, com a invocação confiante, levando a Jesus aquilo que somos, com franqueza, sem esconder as nossas misérias. Invoquemos diariamente, com confiança, o nome de Jesus: Deus salva. Repitamo-lo: é oração. Dizer «Jesus» é rezar. A oração é a porta da fé, a oração é o remédio do coração.

A segunda palavra é caminhar. É a segunda etapa. Neste breve Evangelho de hoje, aparece uma dezena de verbos de movimento. Mas o mais impressionante é sobretudo o facto de os leprosos serem curados, não quando estão diante de Jesus, mas depois enquanto caminham, como diz o Evangelho: «Enquanto iam a caminho, ficaram purificados» (17, 14). São curados enquanto vão para Jerusalém, isto é, palmilhando uma estrada a subir. É no caminho da vida que a pessoa é purificada, um caminho frequentemente a subir, porque leva para o alto. A fé requer um caminho, uma saída; faz milagres, se sairmos das nossas cómodas certezas, se deixarmos os nossos portos serenos, os nossos ninhos confortáveis. A fé aumenta com o dom, e cresce com o risco. A fé atua, quando avançamos equipados com a confiança em Deus. A fé abre caminho através de passos humildes e concretos, como humildes e concretos foram o caminho dos leprosos e o banho de Naaman no rio Jordão (cf. 2 Re 5, 14-17). O mesmo se passa connosco: avançamos na fé com o amor humilde e concreto, com a paciência diária, invocando Jesus e prosseguindo para diante.

Outro aspeto interessante no caminho dos leprosos é que se movem juntos. Refere o Evangelho, sempre no plural, que «iam a caminho» e «ficaram purificados» (Lc 17, 14): a fé é também caminhar juntos, jamais sozinhos. Mas, uma vez curados, nove continuam pela sua estrada e apenas um regressa para agradecer. E Jesus desabafa a sua mágoa assim: «Onde estão os outros?» (17, 17). Quase parece perguntar pelos outros nove, ao único que voltou. É verdade! Constitui tarefa nossa – de nós que estamos aqui a «fazer Eucaristia», isto é, a agradecer –, constitui nossa tarefa ocuparmo-nos de quem deixou de caminhar, de quem se extraviou: todos nós somos guardiões dos irmãos distantes. Somos intercessores por eles, somos responsáveis por eles, isto é, chamados a responder por eles, a tê-los a peito. Queres crescer na fé? Tu que estás aqui hoje, queres crescer na fé? Ocupa-te dum irmão distante, duma irmã distante.

Invocar, caminhar e… agradecer: esta é a última etapa. Só àquele que agradece é que Jesus diz: «A tua fé te salvou» (17, 19). Não se encontra apenas curado; também está salvo. Isto diz-nos que o ponto de chegada não é a saúde, não é o estar bem, mas o encontro com Jesus. A salvação não é beber um copo de água para estar em forma; mas é ir à fonte, que é Jesus. Só Ele livra do mal e cura o coração; só o encontro com Ele é que salva, torna plena e bela a vida. Quando se encontra Jesus, brota espontaneamente o «obrigado», porque se descobre a coisa mais importante da vida: não o receber uma graça nem o resolver um problema, mas abraçar o Senhor da vida. E isto é a coisa mais importante da vida: abraçar o Senhor da vida.

É encantador ver como aquele homem curado, que era um samaritano, manifesta a alegria com todo o seu ser: louva a Deus em voz alta, prostra-se, agradece (cf. 17, 15-16). O ponto culminante do caminho de fé é viver dando graças. Podemos perguntar-nos: Nós, que temos fé, vivemos os dias como um peso a suportar ou como um louvor a oferecer? Ficamos centrados em nós mesmos à espera de pedir a próxima graça, ou encontramos a nossa alegria em dar graças? Quando agradecemos, o Pai deixa-Se comover e derrama sobre nós o Espírito Santo. Agradecer não é questão de cortesia, de etiqueta, mas questão de fé. Um coração que agradece, permanece jovem. Dizer «obrigado, Senhor», ao acordar, durante o dia, antes de deitar, é antídoto ao envelhecimento do coração, porque o coração envelhece e cria maus hábitos. E o mesmo se diga em família, entre os esposos: lembrem-se de dizer obrigado. Obrigado é a palavra mais simples e benfazeja.

Invocar, caminhar, agradecer. Hoje, agradecemos ao Senhor pelos novos Santos, que caminharam na fé e agora invocamos como intercessores. Três deles são freiras e mostram-nos que a vida religiosa é um caminho de amor nas periferias existenciais do mundo. Ao passo que Santa Margarida Bays era uma costureira e revela-nos quão poderosa é a oração simples, a suportação com paciência, a doação silenciosa: através destas coisas, o Senhor fez reviver nela, na sua humildade, o esplendor da Páscoa. Da santidade do dia a dia, fala o Santo Cardeal Newman quando diz: «O cristão possui uma paz profunda, silenciosa, oculta, que o mundo não vê. (...) O cristão é alegre, calmo, bom, amável, educado, simples, modesto; não tem pretensões, (...) o seu comportamento está tão longe da ostentação e do requinte que facilmente se pode, à primeira vista, tomá-lo por uma pessoa comum» (Parochial and Plain Sermons, V, 5). Peçamos para ser, assim, «luzes gentis» no meio das trevas do mundo. Jesus, «ficai connosco e começaremos a brilhar como brilhais Vós, a brilhar de tal modo que sejamos uma luz para os outros» (Meditations on Christian Doctrine, VII, 3). Amen.

[01629-PO.02] [Texto original: Italiano]

[B0792-XX.02]