Omelia del Santo Padre
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Alle ore 18 di oggi, memoria di Santa Teresa di Gesù Bambino, patrona delle Missioni, nella Basilica Vaticana il Santo Padre Francesco ha presieduto la preghiera liturgica dei Vespri in occasione dell’inizio del Mese Missionario Straordinario dal tema: “Battezzati e inviati: la Chiesa di Cristo in missione nel mondo”.
Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa ha pronunciato nel corso della preghiera liturgica:
Omelia del Santo Padre
Nella parabola che abbiamo ascoltato, il Signore si presenta come un uomo che, prima di partire, chiama i servi per consegnare loro i suoi beni (cfr Mt 25,14). Dio ci ha affidato i suoi beni più grandi: la nostra vita, quella degli altri, tanti doni diversi per ciascuno. E questi beni, questi talenti, non rappresentano qualcosa da custodire in cassaforte, rappresenta una chiamata: il Signore ci chiama a far fruttare i talenti con audacia e creatività. Dio ci domanderà se ci saremo messi in gioco, rischiando, magari perdendoci la faccia. Questo Mese missionario straordinario vuole essere una scossa per provocarci a diventare attivi nel bene. Non notai della fede e guardiani della grazia, ma missionari.
Si diventa missionari vivendo da testimoni: testimoniando con la vita di conoscere Gesù. È la vita che parla. Testimone è la parola-chiave, una parola che ha la stessa radice di senso di martire. E i martiri sono i primi testimoni della fede: non a parole, ma con la vita. Sanno che la fede non è propaganda o proselitismo, è rispettoso dono di vita. Vivono diffondendo pace e gioia, amando tutti, anche i nemici per amore di Gesù. Così noi, che abbiamo scoperto di essere figli del Padre celeste, come possiamo tacere la gioia di essere amati, la certezza di essere sempre preziosi agli occhi di Dio? È l’annuncio che tanta gente attende. Ed è responsabilità nostra. Chiediamoci in questo mese: come va la mia testimonianza?
Alla fine della parabola il Signore dice «buono e fedele» chi è stato intraprendente; «malvagio e pigro» invece il servo che è stato sulla difensiva (cfr vv. 21.23.26). Perché Dio è così severo con questo servo che ha avuto paura? Che male ha fatto? Il suo male è non aver fatto del bene, ha peccato di omissione. San Alberto Hurtado diceva: “E’ bene non fare del male. Ma è male non fare del bene”. Questo è il peccato di omissione. E questo può essere il peccato di una vita intera, perché abbiamo ricevuto la vita non per sotterrarla, ma per metterla in gioco; non per trattenerla, ma per donarla. Chi sta con Gesù sa che si ha quello che si dà, si possiede quello che si dona; e il segreto per possedere la vita è donarla. Vivere di omissioni è rinnegare la nostra vocazione: l’omissione è il contrario della missione.
Pecchiamo di omissione, cioè contro la missione, quando, anziché diffondere la gioia, ci chiudiamo in un triste vittimismo, pensando che nessuno ci ami e ci comprenda. Pecchiamo contro la missione quando cediamo alla rassegnazione: “Non ce la faccio, non sono capace”. Ma come? Dio ti ha dato dei talenti e tu ti credi così povero da non poter arricchire nessuno? Pecchiamo contro la missione quando, lamentosi, continuiamo a dire che va tutto male, nel mondo come nella Chiesa. Pecchiamo contro la missione quando siamo schiavi delle paure che immobilizzano e ci lasciamo paralizzare dal “si è sempre fatto così”. E pecchiamo contro la missione quando viviamo la vita come un peso e non come un dono; quando al centro ci siamo noi con le nostre fatiche, non i fratelli e le sorelle che attendono di essere amati.
«Dio ama chi dona con gioia» (2 Cor 9,7). Ama una Chiesa in uscita. Ma stiamo attenti: se non è in uscita non è Chiesa. La Chiesa è per la strada, la Chiesa cammina. Una Chiesa in uscita, missionaria, è una Chiesa che non perde tempo a piangere le cose che non vanno, i fedeli che non ha più, i valori di un tempo che non ci sono più. Una Chiesa che non cerca oasi protette per stare tranquilla; desidera solo essere sale della terra e lievito per il mondo. Questa Chiesa sa che questa è la sua forza, la stessa di Gesù: non la rilevanza sociale o istituzionale, ma l’amore umile e gratuito.
Oggi entriamo nell’ottobre missionario accompagnati da tre “servi” che hanno portato molto frutto. Ci mostra la via Santa Teresa di Gesù Bambino, che fece della preghiera il combustibile dell’azione missionaria nel mondo. Questo è anche il mese del Rosario: quanto preghiamo per la diffusione del Vangelo, per convertirci dall’omissione alla missione? C’è poi San Francesco Saverio, uno dei grandi missionari della Chiesa. Anch’egli ci scuote: usciamo dai nostri gusci, siamo capaci di lasciare le nostre comodità per il Vangelo? E c’è la Venerabile Pauline Jaricot, un’operaia che sostenne le missioni col suo lavoro quotidiano: con le offerte che detraeva dal salario, fu agli inizi delle Pontificie Opere Missionarie. E noi, facciamo di ogni giorno un dono per superare la frattura tra Vangelo e vita? Per favore, non viviamo una fede “da sacrestia”.
Ci accompagnano una religiosa, un sacerdote e una laica. Ci dicono che nessuno è escluso dalla missione della Chiesa. Sì, in questo mese il Signore chiama anche te. Chiama te, padre e madre di famiglia; te, giovane che sogni grandi cose; te, che lavori in una fabbrica, in un negozio, in una banca, in un ristorante; te, che sei senza lavoro; te, che sei in un letto di ospedale… Il Signore ti chiede di farti dono lì dove sei, così come sei, con chi ti sta vicino; di non subire la vita, ma di donarla; di non piangerti addosso, ma di lasciarti scavare dalle lacrime di chi soffre. Coraggio, il Signore si aspetta tanto da te. Si aspetta anche che qualcuno abbia il coraggio di partire, di andare là dove più mancano speranza e dignità, là dove troppa gente vive ancora senza la gioia del Vangelo. “Ma devo andare da solo?”. No, questo non va. Se noi abbiamo in mente di fare la missione con organizzazioni imprenditoriali, con piani di lavoro, non va. Il protagonista della missione è lo Spirito Santo. È il protagonista della missione. Tu vai con lo Spirito Santo. Va’, il Signore non ti lascerà solo; testimoniando, scoprirai che lo Spirito Santo è arrivato prima di te per prepararti la strada. Coraggio, fratelli e sorelle; coraggio, Madre Chiesa: ritrova la tua fecondità nella gioia della missione!
[01546-IT.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
Dans la parabole que nous avons écoutée, le Seigneur se présente comme un homme qui, avant de partir en voyage, appelle ses serviteurs pour leur confier ses biens (cf. Mt 25, 14). Dieu nous a confié ses plus grands biens: notre vie, celle des autres, tant de dons différents à chacun. Et ces biens, ces talents ne sont pas quelque chose à garder dans le coffre-fort, elle représente un appel: le Seigneur nous appelle à faire fructifier nos talents avec audace et créativité. Dieu nous demandera si nous nous sommes engagés, en prenant des risques, même en perdant la face. Ce mois missionnaire extraordinaire se veut comme une secousse pour nous inciter à être actifs dans le bien, non des notaires de la foi ni des gardiens de la grâce, mais des missionnaires.
On devient missionnaire en vivant comme des témoins: en témoignant par la vie qu’on connaît Jésus. C’est la vie qui parle. Témoin, c’est le mot-clef, un mot ayant, par sa racine, le même sens que martyre. Or les martyrs sont les premiers témoins de la foi: non par des paroles, mais par la vie. Ils savent que la foi n’est ni de la propagande ni du prosélytisme, c’est un don respectueux de la vie. Ils vivent en diffusant la paix et la joie, en aimant tout le monde, même leurs ennemis par amour pour Jésus. Ainsi, nous qui avons découvert que nous sommes enfants du Père céleste, comment pouvons-nous taire la joie d’être aimés, la certitude d’être toujours précieux aux yeux de Dieu? C’est l’annonce que beaucoup de personnes attendent. Et c’est notre responsabilité. Demandons-nous en ce mois : comment je vis mon témoignage ?
À la fin de la parabole, le Seigneur déclare ‘‘bon et fidèle’’ celui qui a été entreprenant, mais ‘‘mauvais et paresseux’’ le serviteur qui a été sur la défensive (cf. 21.23.26). Pourquoi Dieu est-il si sévère avec ce serviteur qui a eu peur? Quel mal a-t-il fait? Le mal qu’il a commis, c’est de n’avoir pas fait du bien, il a péché par omission. Saint Alberto Hutardo disait: «il est bon de ne pas faire du mal. Mais c’est mauvais de ne pas faire du bien». C’est le péché d’omission. Et ce peut être le péché de toute une vie, car nous avons reçu la vie non pas pour l’enfouir en terre, mais pour la mettre en valeur; non pas pour la thésauriser, mais pour la donner. Celui qui est avec Jésus sait qu’on a ce qu’on donne, qu’on possède ce qu’on donne; et le secret pour posséder la vie, c’est de la donner. Vivre d’omissions, c’est renier notre vocation: l’omission, c’est le contraire de la mission.
Nous péchons par omission, c’est-à-dire contre la mission, quand au lieu de faire rayonner la joie, nous nous enfermons dans une victimisation triste, en pensant que personne ne nous aime et ne nous comprend. Nous péchons contre la mission quand nous cédons à la résignation: ‘‘Je n’y arrive pas, je ne suis pas capable’’. Mais comment? Dieu t’a donné des talents et tu te crois pauvre au point de ne pouvoir enrichir personne? Nous péchons contre la mission quand, en nous lamentant, nous continuons à dire que tout va mal dans le monde comme l’Église. Nous péchons contre la mission quand nous sommes esclaves des peurs qui immobilisent et nous nous laissons paralyser par le ‘‘on a toujours fait comme ça’’. Puis nous péchons contre la mission quand nous vivons notre vie comme on porte un poids et non comme un don, quand nous nous mettons au centre avec nos peines, à la place de nos frères et sœurs qui attendent d’être aimés.
«Dieu aime celui qui donne joyeusement» (2 Co 9, 7); il aime une Église en sortie. Mais faisons attention: si elle n’est pas en sortie, elle n’est pas Église. L’Église est pour la route, l’Église marche. Une Église en sortie, missionnaire, c’est une Église qui ne perd pas de temps à déplorer les choses qui ne vont pas bien, le manque de fidèles, les valeurs d’autrefois qui n’existent plus. C’est une Église qui ne cherche pas des oasis protégées pour être tranquille; elle ne cherche qu’à être sel de la terre et levain pour le monde. Cette Église sait que c’est sa force, la force même de Jésus: non pas l’importance sociale ou institutionnelle, mais l’amour humble et gratuit.
Nous entamons aujourd’hui le mois missionnaire d’octobre, accompagnés de trois ‘‘serviteurs’’ qui ont porté beaucoup de fruit. Sainte Thérèse de Jésus nous montre le chemin, elle qui a fait de la prière le carburant de l’action missionnaire dans le monde. C’est aussi le mois du Rosaire: comment prions-nous pour la diffusion de l’Évangile, pour nous convertir de l’omission à la mission? Il y a ensuite saint François Xavier, un des grands missionnaires de l’Église. Lui aussi nous secoue: sortons de nos coquilles! Sommes-nous capables de nous départir de notre confort pour l’Évangile? Et il y a la vénérable Pauline Jaricot, une ouvrière qui a soutenu les missions par son travail quotidien: par les offrandes qu’elle prélevait de son salaire, elle a été à l’origine des Œuvres Pontificales Missionnaires. Et nous, faisons-nous de chaque journée un don pour combler la fracture entre l’Évangile et la vie? S’il vous plaît, ne vivons pas une foi ‘‘de sacristie’’.
Une religieuse, un prêtre et une laïque nous accompagnent. Ils nous disent que personne n’est exclu de la mission de l’Église. Oui, en ce mois, le Seigneur t’appelle toi aussi. Il t’appelle, père ou mère de famille; toi, jeune qui rêves de grandes choses; toi, qui travailles dans une usine, dans une boutique, dans une banque, dans un restaurant; toi qui es au chômage, toi qui es dans un lit d’hôpital… Le Seigneur te demande d’être un don là où tu es, comme tu es, pour celui qui est à côté de toi; de ne pas subir la vie, mais de la donner, de ne pas te lamenter, mais de te laisser toucher par les larmes de celui qui souffre. Courage, le Seigneur attend beaucoup de toi! Il attend aussi que quelqu’un ait le courage de partir, d’aller là où manquent le plus l’espérance et la dignité, là où trop de personnes vivent encore sans la joie de l’Évangile. “Mais où dois-je aller tout seul?”. Non, ça ne va pas. Si nous envisageons de faire la mission avec les organisations commerciales, avec des plans de travail, ça ne va pas. Le protagoniste de la mission est l’Esprit Saint. C’est le protagoniste de la mission. Toi, va avec l’Esprit Saint. Va, le Seigneur ne te laissera pas seul! En témoignant, tu découvriras que l’Esprit Saint t’a précédé pour te préparer le chemin. Courage, frères et sœurs! Courage, Mère Église: retrouve ta fécondité dans la joie de la mission!
[01546-FR.02] [Texte original: Italien]
Traduzione in lingua inglese
In the parable we have heard, the Lord appears as a man who, before leaving on a journey, calls his servants and entrusts his property to them (cf. Mt 25:14). God has entrusted us with his greatest treasures: our own lives and the lives of others. He has entrusted any number of different gifts to each of us. These gifts, these talents, are not something to be stored in a safe; they are a true vocation: the Lord calls us to make our talents bear fruit, with boldness and creativity. God will ask us if we stepped forward and took risks, even losing face. This extraordinary Missionary Month should jolt us and motivate us to be active in doing good. Not notaries of faith and guardians of grace, but missionaries.
We become missionaries by living as witnesses: bearing witness by our lives that we have come to know Jesus. It is our lives that speak. Witness is the key word: a word with the same root as the word “martyr”. The martyrs are the primary witnesses of faith: not by their words but by their lives. They know that faith is not propaganda or proselytism: it is a respectful gift of one’s life. They live by spreading peace and joy, by loving everyone, even their enemies, out of love for Jesus. Can we, who have discovered that we are children of the heavenly Father, keep silent about the joy of being loved, the certainty of being ever precious in God’s eyes? That is a message that so many people are waiting to hear. And it is our responsibility. Let us ask ourselves this month: how good a witness am I?
At the end of the parable, the Lord describes the enterprising servant as “good and trustworthy”, and the fearful servant as “wicked and lazy” (cf. vv. 21.23.26). Why is God so harsh with the servant who was afraid? What evil did he do? His evil was not having done good; he sinned by omission. Saint Albert Hurtado once said: “It is good not to do evil, but it is evil not to do good”. This is the sin of omission. This could be the sin of an entire life, for we have been given life not to bury it, but to make something of it; not to keep it for ourselves, but to give it away. Whoever stands with Jesus knows that we keep what we give away; we possess what we give to others. The secret for possessing life is to give it away. To live by omission is to deny our vocation: omission is the opposite of mission.
We sin by omission, that is, against mission, whenever, rather than spreading joy, we think of ourselves as victims, or think that no one loves us or understands us. We sin against mission when we yield to resignation: “I can’t do this: I’m not up to it”. How can that be? God has given you talents, yet you think yourself so poor that you cannot enrich a single person? We sin against mission when we complain and keep saying that everything is going from bad to worse, in the world and in the Church. We sin against mission when we become slaves to the fears that immobilize us, when we let ourselves be paralyzed by thinking that “things will never change”. We sin against mission when we live life as a burden and not as a gift, when we put ourselves and our concerns at the centre, and not our brothers and sisters who are waiting to be loved.
“God loves a cheerful giver” (2 Cor 9:7). He loves the Church on the go. But let us be attentive: if it is not on the go, it is not Church. The Church is meant for the road, meant to be on the move. A Church on the go, a missionary Church is a Church that does not waste time lamenting things that go wrong, the loss of faithful, the values of the time now in the past. A Church that does not seek safe oases to dwell in peace, but longs to be salt of the earth and a leaven in the world. For such a Church knows that this is her strength, that of Jesus himself: not social or institutional relevance, but humble and gratuitous love.
Today we begin the Missionary Month of October in the company of three “servants” who bore much fruit. Saint Therese of the Child Jesus shows us the way: she made prayer the fuel for missionary activity in the world. This is also the Month of the Rosary: how much are we praying for the spread of the Gospel and our conversion from omission to mission? Then there is Saint Francis Xavier, one of the great missionaries of the Church. He too gives us a jolt: can we emerge from our shell and renounce our comforts for the sake of the Gospel? Finally is the Venerable Pauline Jaricot, a labourer who supported the missions by her daily work: with the offerings that she made from her wages, she helped lay the foundations of the Pontifical Missionary Societies. Do we make a daily gift in order to overcome the separation between the Gospel and life? Please, let us not live a “sacristy” faith.
We are accompanied by a religious woman, a priest and a lay woman. They remind us that no one is excluded from the Church’s mission. Yes, in this month the Lord is also calling you, because you, fathers and mothers of families; you, young people who dream great things; you, who work in a factory, a store, a bank or a restaurant; you who are unemployed; you are in a hospital bed… The Lord is asking you to be a gift wherever you are, and just as you are, with everyone around you. He is asking you not simply to go through life, but to give life; not to complain about life, but to share in the tears of all who suffer. Courage! The Lord expects great things from you. He is also expecting some of you to have the courage to set out and to go wherever dignity and hope are most lacking, where all too many people still live without the joy of the Gospel. “But must I go alone?” No, that is wrong. If we think about doing missionary work like business organizations, with a business plan, that is wrong. The Holy Spirit is the protagonist of our mission. Go with the Holy Spirit. The Lord will not leave you alone in bearing witness; you will discover that the Holy Spirit has gone before you and prepared the way for you. Courage, brothers and sisters! Courage, Mother Church! Rediscover your fruitfulness in the joy of mission!
[01546-EN.02] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua tedesca
Im Gleichnis, das wir gehört haben, stellt sich der Herr als ein Mann vor, der vor seiner Abreise die Diener ruft, um ihnen sein Vermögen anzuvertrauen (vgl. Mt 25,14). Gott hat uns seine größten Güter anvertraut: unser Leben, das der anderen, viele verschiedene Gaben für jeden. Und diese Güter, diese Talente sind nicht etwas, das wir im Tresor aufbewahren sollen; es geht um einen Ruf: Der Herr ruft uns, die Talente kühn und kreativ einzusetzen, damit sie Frucht bringen. Gott wird uns fragen, ob wir uns eingebracht haben, ja gewagt haben, sogar das Gesicht zu verlieren. Dieser außerordentliche Missionsmonat will uns einen Ruck geben und provozieren, im Guten tätig zu werden. Wir sollen nicht Notare des Glaubens und Hüter der Gnade sein, sondern Missionare.
Wir werden Missionare, wenn wir als Zeugen leben, wenn wir mit dem Leben bezeugen, Jesus zu kennen. Es ist das Leben, das spricht. Das Schlüsselwort ist Zeuge – ein Wort, das die gleiche Wurzel vom Sinn her wie Märtyrer hat. Und die Märtyrer sind die ersten Glaubenszeugen: nicht mit Worten, sondern mit ihrem Leben. Sie wissen, dass der Glaube nicht eine Art Propaganda oder Proselytismus ist; der Glaube ist ein Geschenk, das dem Leben angemessen ist. In ihrem Leben verbreiten die Märtyrer Frieden und Freude, lieben sie jeden aus Liebe zu Jesus, sogar ihre Feinde. Wie können dann wir, die wir bereits die Entdeckung gemacht haben, Kinder des himmlischen Vaters zu sein, die Freude verschweigen, dass wir geliebt sind, die Gewissheit, dass wir in Gottes Augen immer kostbar sind? Auf diese Botschaft warten so viele Menschen. Hier liegt unsere Verantwortung. Fragen wir uns in diesem Monat: Wie steht es um mein Zeugnis?
Am Ende des Gleichnisses sagt der Herr zu dem, der etwas unternommen hat, »tüchtiger und treuer Diener«; hingegen »schlechter und fauler Diener« zu dem, der sich defensiv verhalten hat (vgl. VV. 21.23.26). Warum ist Gott mit dem Diener, der Angst hatte, so streng? Was hat er Böses getan? Sein Fehler besteht darin, dass er das Gute nicht getan hat, er hat gesündigt durch Unterlassung. Der heilige Alberto Hurtado hat gesagt: „Es ist gut, das Schlechte nicht zu tun. Aber es ist schlecht, das Gute nicht zu tun“. Das ist die Unterlassungssünde. Und das kann die Sünde eines ganzen Lebens sein. Wir haben das Leben nämlich nicht erhalten, um es zu vergraben, sondern um es einzusetzen; nicht um es zurückzuhalten, sondern um es zu verschenken. Wer auf der Seite Jesu steht, weiß: Man hat, was man gibt; man besitzt, was man schenkt; und das Geheimnis, das Leben zu besitzen, liegt darin, es zu schenken. Wenn unser Leben in Unterlassungen besteht, verleugnen wir unsere Berufung: die Unterlassung ist das Gegenteil der Mission.
Wir sündigen durch Unterlassung, das heißt gegen die Mission, wenn wir, anstatt die Freude zu verbreiten, uns in einer tristen Neigung zum Selbstmitleid einschließen in der Meinung, dass uns niemand liebt und versteht. Wir sündigen gegen die Mission, wenn wir der Resignation nachgeben und sagen: „Ich schaffe das nicht, ich bin dazu nicht in der Lage.“ Aber wie? Gott hat dir doch Talente gegeben, und du hältst dich für so arm, dass du niemanden bereichern kannst? Wir sündigen gegen die Mission, wenn wir jammernd fortwährend sagen, dass alles – in der Welt wie in der Kirche – schlecht geht. Wir sündigen gegen die Mission, wenn wir Sklaven von Ängsten sind, die unbeweglich machen, und wenn wir uns von der Einstellung „Das wurde schon immer so gemacht“ lähmen lassen. Und wir sündigen gegen die Mission, wenn wir unser Leben als Last und nicht als Geschenk leben; wenn wir mit unseren Mühen im Mittelpunkt stehen und nicht die Brüder und Schwestern, die darauf warten, geliebt zu werden.
»Gott liebt einen fröhlichen Geber« (2Kor 9,7). Er liebt eine Kirche im Aufbruch. Doch geben wir Acht: wenn sie nicht hinausgeht, ist sie nicht Kirche. Die Kirche gehört auf die Straße, die Kirche schreitet voran. Eine missionarische Kirche im Aufbruch ist eine Kirche, die nicht Zeit damit verliert, über das zu weinen, was nicht funktioniert, über die Gläubigen, die nicht mehr da sind, über frühere Werte, die es nicht mehr gibt. Sie ist eine Kirche, die nicht geschützte Oasen sucht, um es ruhig zu haben; sie möchte nur Salz der Erde und Sauerteig für die Welt sein. Diese Kirche weiß, das ist ihre Kraft, die Kraft Jesu: nicht die gesellschaftliche oder institutionelle Bedeutung, sondern die demütige und unentgeltliche Liebe.
Heute beginnen wir den Missionsmonat Oktober in Begleitung von drei „Dienern“, die viel Frucht gebracht haben. Die heilige Theresia vom Kinde Jesu, die das Gebet zum Brennstoff für die Missionstätigkeit in der Welt gemacht hat, zeigt uns den Weg. Der Oktober ist auch der Rosenkranzmonat: Wie viel beten wir für die Verbreitung des Evangeliums und dafür, dass wir uns von der Unterlassung zur Mission bekehren? Dann ist hier der heilige Franz Xaver, einer der großen Missionare der Geschichte. Auch er rüttelt uns auf: Kommen wir aus unseren vier Wänden heraus und sind wir fähig, unsere Bequemlichkeiten für das Evangelium aufzugeben? Und da gibt es noch die ehrwürdige Dienerin Gottes Pauline Jaricot, eine Arbeiterin, die mit ihrer täglichen Arbeit die Mission unterstützte: Mit den Spenden, die sie vom Lohn abzog, steht sie am Beginn der Päpstlichen Missionswerke. Und wir, geben wir jeden Tag eine Gabe, um die Kluft zwischen dem Evangelium und dem Leben zu überwinden? Bitte, wir dürfen nicht einen auf die Sakristei beschränkten Glauben leben.
Es begleiten uns eine Ordensfrau, ein Priester und eine Laiin. Sie sagen uns, dass niemand von der Mission der Kirche ausgeschlossen ist. Ja, in diesem Monat ruft der Herr auch dich. Er ruft dich, einen Familienvater oder eine Familienmutter; dich, einen jungen Menschen, der Großes träumt; dich, der in einer Fabrik, einem Geschäft, einer Bank, einem Restaurant arbeitet; dich, der arbeitslos ist; und dich, der in einem Krankenhausbett liegt … Der Herr bittet dich, dass du dich dort zur Gabe machst, wo du bist, so wie du bist, mit dem, der dir nahesteht; er bittet dich, nicht einfach so vor dich hinzuleben, sondern das Leben hinzugeben; dich nicht in Selbstmitleid zu ergehen, sondern dich von den Tränen dessen, der leidet, anrühren zu lassen. Nur Mut, der Herr erwartet sich viel von dir. Er erwartet sich auch, dass jemand den Mut hat aufzubrechen, dort hinzugehen, wo Hoffnung und Würde fehlen, dort, wo zu viele Menschen noch ohne die Freude des Evangeliums leben. „Muss ich allein gehen?“ Wenn wir im Sinn haben, Mission mit unternehmerischen Organisationen zu machen, mit Arbeitsplänen, geht das nicht. Der Hauptakteur der Mission ist der Heilige Geist. Er ist der Protagonist der Mission. Geh du mit dem Heiligen Geist. Geh, der Herr lässt dich nicht allein; wenn du Zeugnis gibst, wirst du entdecken, dass der Heilige Geist schon vor dir angekommen ist, um dir den Weg zu bereiten. Nur Mut, Brüder und Schwestern; nur Mut, Mutter Kirche: Entdecke deine Fruchtbarkeit in der Freude der Mission!
[01546-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]
Traduzione in lingua spagnola
En la parábola que hemos escuchado, el Señor se presenta como un hombre que, antes de partir, llama a sus siervos para encargarles sus bienes (cf. Mt 25,14). Dios nos ha confiado sus bienes más grandes: nuestra vida, la de los demás, a cada uno muchos dones distintos. Y estos dones, estos talentos, no representan algo para guardar en una caja fuerte, representa una llamada: el Señor nos llama a hacer fructificar los talentos con audacia y creatividad. Dios nos preguntará si hemos hecho algo, arriesgando, quizá perdiendo el prestigio. Este Mes misionero extraordinario quiere ser una sacudida que nos impulse a ser activos en el bien. No notarios de la fe y guardianes de la gracia, sino misioneros.
Se hace uno misionero viviendo como testigo: testimoniando con nuestra vida que conocemos a Jesús. Es la vida la que habla. Testigo es la palabra clave, una palabra que tiene la misma raíz de significado que mártir. Y los mártires son los primeros testigos de la fe: no con palabras, sino con la vida. Saben que la fe no es propaganda o proselitismo, es un respetuoso don de vida. Viven transmitiendo paz y alegría, amando a todos, incluso a los enemigos, por amor a Jesús. Nosotros, que hemos descubierto que somos hijos del Padre celestial, ¿cómo podemos callar la alegría de ser amados, la certeza de ser siempre valiosos a los ojos de Dios? Es el anuncio que tanta gente espera. Y esa es nuestra responsabilidad. Preguntémonos en este mes: ¿cómo es mi testimonio?
Al final de la parábola el Señor llama «bueno y fiel» al que ha sido emprendedor; en cambio, «malvado y holgazán» al siervo que ha estado a la defensiva (cf. vv. 21.23.26). ¿Por qué Dios es tan severo con el siervo que tuvo miedo? ¿Qué mal ha hecho? Su mal es no haber hecho el bien, ha pecado de omisión. San Alberto Hurtado decía: «Está bien no hacer el mal. Pero es malo no hacer el bien». Este es el pecado de omisión. Y este puede ser el pecado de toda una vida, porque la hemos recibido no para enterrarla, sino para ponerla en juego; no para conservarla, sino para darla. Quien está con Jesús sabe que se tiene lo que se da, se posee lo que se entrega; y el secreto para poseer la vida es entregarla. Vivir de omisiones es renegar de nuestra vocación: la omisión es contraria a la misión.
Pecamos de omisión, es decir, contra la misión, cuando, en vez de transmitir la alegría, nos cerramos en un triste victimismo, pensando que ninguno nos ama y nos comprende. Pecamos contra la misión cuando cedemos a la resignación: “No puedo, no soy capaz”. ¿Pero cómo? ¿Dios te ha dado unos talentos y tú te crees tan pobre que no puedes enriquecer a nadie? Pecamos contra la misión cuando, quejumbrosos, seguimos diciendo que todo va mal, en el mundo y en la Iglesia. Pecamos contra la misión cuando somos esclavos de los miedos que inmovilizan y nos dejamos paralizar del “siempre se ha hecho así”. Y pecamos contra la misión cuando vivimos la vida como un peso y no como un don; cuando en el centro estamos nosotros con nuestros problemas, y no nuestros hermanos y hermanas que esperan ser amados.
«Dios ama al que da con alegría» (2 Co 9,7). Ama una Iglesia en salida. Pero debemos de estar atentos: si no está en salida no es Iglesia. La Iglesia es para el camino, la Iglesia camina. Una Iglesia en salida, misionera, es una Iglesia que no pierde el tiempo en llorar por las cosas que no funcionan, por los fieles que ya no tiene, por los valores de antaño que ya no están. Una Iglesia que no busca oasis protegidos para estar tranquila; sino que sólo desea ser sal de la tierra y fermento para el mundo. Esta Iglesia sabe que esta es su fuerza, la misma de Jesús: no la relevancia social o institucional, sino el amor humilde y gratuito.
Hoy entramos en el octubre misionero acompañados por tres “siervos” que han dado mucho fruto. Nos muestra el camino santa Teresa del Niño Jesús, que hizo de la oración el combustible de la acción misionera en el mundo. Este es también el mes del Rosario: ¿Cuánto rezamos por la propagación del Evangelio, para convertirnos de la omisión a la misión? Luego está san Francisco Javier, uno de entre los grandes misioneros de la Iglesia. También él nos remueve: ¿Salimos de nuestros caparazones, somos capaces de dejar nuestras comodidades por el Evangelio? Y está la venerable Paulina Jaricot, una trabajadora que sostuvo las misiones con su labor cotidiana: con el dinero que aportaba de su salario, estuvo en los inicios de las Obras Misionales Pontificias. Y nosotros, ¿hacemos que cada día sea un don para superar la fractura entre el Evangelio y la vida? Por favor, no vivamos una fe “de sacristía”.
Nos acompañan una religiosa, un sacerdote y una laica. Nos dicen que nadie está excluido de la misión de la Iglesia. Sí, en este mes el Señor te llama también a ti. Te llama a ti, padre y madre de familia; a ti, joven que sueñas cosas grandes; a ti, que trabajas en una fábrica, en un negocio, en un banco, en un restaurante; a ti, que estás sin trabajo; a ti, que estás en la cama de un hospital… El Señor te pide que te entregues allí donde estás, así como estás, con quien está a tu lado; que no vivas pasivamente la vida, sino que la entregues; que no te compadezcas a ti mismo, sino que te dejes interpelar por las lágrimas del que sufre. Ánimo, el Señor espera mucho de ti. Espera también que alguien tenga la valentía de partir, de ir allí donde se necesita más esperanza y dignidad, allí donde tanta gente vive todavía sin la alegría del Evangelio. “¿Pero tengo que ir solo?”. No, esto no funciona. Si tenemos en la mente el hacer la misión con organizaciones empresariales, con planes de trabajo, no funciona. El protagonista de la misión es el Espíritu Santo. Es el protagonista de la misión. Tú vas con el Espíritu Santo. Ve, el Señor no te dejará solo; dando testimonio, descubrirás que el Espíritu Santo llegó antes de ti para prepararte el camino. Ánimo, hermanos y hermanas; ánimo, Madre Iglesia: ¡Vuelve a encontrar tu fecundidad en la alegría de la misión!
[01546-ES.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua portoghese
Na parábola que ouvimos, o Senhor apresenta-Se como um homem que, antes de partir, chama os servos para lhes entregar os seus bens (cf. Mt 25, 14). Deus confiou-nos os seus bens maiores: a nossa vida, a vida dos outros, tantos dons diferentes a cada um. E estes bens, estes talentos não representam algo que se deve guardar no cofre, representam uma chamada: o Senhor chama-nos a fazer render os talentos com ousadia e criatividade. Deus perguntar-nos-á se entramos em jogo, arriscando e acabando talvez mal vistos. Este Mês Missionário extraordinário quer ser uma sacudidela que nos provoca a ser ativos no bem. Não notários da fé e guardiões da graça, mas missionários.
Torna-se missionário, vivendo como testemunha: testemunhando com a vida que se conhece Jesus. É a vida que fala. Testemunha é a palavra-chave; uma palavra que tem a mesma raiz e significado de mártir. E os mártires são as primeiras testemunhas da fé: não por palavras, mas com a vida. Sabem que a fé não é propaganda nem proselitismo, mas um respeitoso dom de vida. Vivem espalhando paz e alegria, amando a todos, incluindo os inimigos, por amor de Jesus. Deste modo nós, que descobrimos ser filhos do Pai celeste, como podemos ocultar a alegria de ser amados, a certeza de ser sempre preciosos aos olhos de Deus? É o anúncio que muitas pessoas aguardam. E é nossa responsabilidade levá-lo. Neste mês, perguntemo-nos: Como é o meu testemunho?
No final da parábola, o Senhor chama «bom e fiel» quem foi empreendedor; e, ao contrário, «mau e preguiçoso» o servo que se colocou na defensiva (cf. 25, 21.23.26). Por que razão Deus é tão severo com este servo que teve medo? Que mal fez ele? O seu mal foi não ter feito bem, pecou por omissão. Santo Alberto Hurtado dizia: «É bem não fazer mal. Mas é mal não fazer bem». Tal é o pecado de omissão. E isto pode ser o pecado duma vida inteira, porque recebemos a vida, não para enterrá-la, mas para a colocar em jogo; não para retê-la, mas para a dar. Quem está com Jesus sabe que tem aquilo que se dá, possui aquilo que se doa; e o segredo para possuir a vida é doá-la. Viver de omissões é renegar a nossa vocação: a omissão é o contrário da missão.
Pecamos por omissão, isto é, contra a missão, quando, em vez de espalhar a alegria, nos fechamos numa triste vitimização, pensando que ninguém nos ama nem compreende. Pecamos contra a missão, quando cedemos à resignação: «Não consigo fazer isto, não sou capaz». Mas como é possível? Deus deu-te talentos, e tu consideras-te assim tão pobre que não podes enriquecer ninguém? Pecamos contra a missão, quando, num lamento sem fim, continuamos a dizer que está tudo mal, no mundo e na Igreja. Pecamos contra a missão, quando caímos escravos dos medos que imobilizam, e nos deixamos paralisar pelo «sempre se fez assim». E pecamos contra a missão, quando vivemos a vida como um peso e não como um dom; quando, no centro, estamos nós com as nossas fadigas, não os irmãos e irmãs que esperam ser amados.
«Deus ama quem dá com alegria» (2 Cor 9, 7). Ama uma Igreja que vive em saída. Mas estejamos atentos: se não vive em saída, não é Igreja. A Igreja está feita para a estrada, a Igreja caminha. Uma Igreja em saída, missionária é uma Igreja que não perde tempo a lamentar-se pelas coisas que não funcionam, pelos fiéis que diminuem, pelos valores de outrora que já não existem. Uma Igreja que não procura oásis protegidos para estar tranquila; deseja apenas ser sal da terra e fermento para o mundo. Esta Igreja sabe que a sua força é a mesma de Jesus: não a relevância social ou institucional, mas o amor humilde e gratuito.
Hoje entramos no Outubro Missionário acompanhados por três «servos» que ostentaram muito fruto. Mostra-nos o caminho Santa Teresa do Menino Jesus, que fez da oração o combustível da ação missionária no mundo. Este é também o mês do Rosário: Quanto rezamos nós pela difusão do Evangelho, para nos convertermos da omissão à missão? Temos depois São Francisco Xavier, um dos grandes missionários da Igreja. Também ele nos sacode: Saímos da nossa concha, somos capazes de deixar as nossas comodidades pelo Evangelho? E há a Venerável Paulina Jaricot, uma operária que apoia as missões com o seu trabalho diário: com as parcelas que deduzia do salário, deu início às Obras Missionárias Pontifícias. E nós, fazemos de cada dia um dom para superar a fratura entre Evangelho e vida? Por favor, não vivamos uma fé «de sacristia».
Acompanham-nos uma religiosa, um sacerdote e uma leiga. Dizem-nos que ninguém está excluído da missão da Igreja. Sim, neste mês, o Senhor chama-te também a ti. Chama a ti, pai e mãe de família; a ti, jovem que sonhas com grandes coisas; a ti, que trabalhas numa fábrica, numa loja, num banco, num restaurante; a ti, que estás sem trabalho; a ti, que estás numa cama de hospital... O Senhor pede que te faças dom no lugar onde estás, assim como estás, com quem está ao teu lado; que não te limites a sofrer a vida, mas a dês; que não te limites a chorar os teus infortúnios, mas deixa-te levar pelas lágrimas de quem sofre. Coragem! O Senhor espera muito de ti. Espera também que alguém tenha a coragem de partir, ir aonde há mais falta de esperança e dignidade, aonde tantas pessoas vivem ainda sem a alegria do Evangelho. «Mas tenho de ir sozinho?» Não! Isso é errado. Se temos em mente fazer a missão com organizações empresariais, com planos de trabalho, é errado. O protagonista da missão é o Espírito Santo. Ele é o protagonista da missão. Tu vais com o Espírito Santo. Vai! O Senhor não te deixará sozinho; dando testemunho, descobrirás que o Espírito Santo chegou antes de ti para te preparar o caminho. Coragem, irmãos e irmãs! Coragem, Mãe Igreja: reencontra a tua fecundidade na alegria da missão!
[01546-PO.01] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua polacca
W usłyszanej przez nas przypowieści Pan pojawia się jako człowiek, który przed wyruszeniem w drogę wzywa sługi, by im przekazać swoje dobra (por. Mt 25, 14). Bóg powierzył nam swój największy majątek: nasze życie, życie innych osób, wiele różnych darów dla każdego. I te dobra, te talenty, nie stanowią czegoś, co należy strzec w skarbcu, są powołaniem: Pan wzywa nas, abyśmy śmiało i twórczo wykorzystali talenty. Bóg będzie nas pytał, czy narażaliśmy się, ryzykując, a może tracąc twarz. Ten nadzwyczajny miesiąc misyjny pragnie być wstrząsem, aby nas pobudzić do czynienia dobra. Nie mamy być notariuszami wiary i dozorcami łaski, ale misjonarzami.
Stajemy się misjonarzami, żyjąc jako świadkowie: świadcząc swoim życiem, że znamy Jezusa. To życie przemawia. Świadek jest słowem kluczowym, słowem, które ma takie same korzenie znaczeniowe jak męczennik. A męczennicy są pierwszymi świadkami wiary: nie słowami, lecz życiem. Wiedzą, że wiara nie jest propagandą ani prozelityzmem, ale jest to pełen szacunku dar życia. Żyją szerząc pokój i radość, miłując wszystkich, nawet swoich nieprzyjaciół, ze względu na umiłowanie Jezusa. Zatem my, którzy odkryliśmy, że jesteśmy dziećmi Ojca niebieskiego, jakże moglibyśmy przemilczeć radość bycia miłowanymi, pewność, że zawsze jesteśmy cenni w oczach Boga? Jest to przepowiadanie, na które oczekuje wielu ludzi. I to jest nasza odpowiedzialność. Zadajmy sobie w tym miesiącu pytanie: jak wygląda moje świadectwo?
Na końcu przypowieści Pan mówi „dobry i wierny”, do tego sługi, który był przedsiębiorczy; „zły i gnuśny” do sługi, który się dystansował (por. wersety 21.23.26). Dlaczego Bóg jest tak surowy wobec tego sługi, który się lękał? Co złego uczynił? Jego zło polegało na nie czynieniu dobra, popełnił grzech zaniedbania. Św. Albert Hutardo mówił: „Dobrze jest nie czynić zła. Ale źle jest nie czynić dobra”. To jest grzech zaniedbania. I może to być grzech całego życia, ponieważ otrzymaliśmy życie nie po to, aby je zakopywać, ale aby je narażać; nie aby je zachować, ale aby je dawać. Ten, kto jest z Jezusem, wie, że ma się to, co się daje, posiada się to, co się daje; a tajemnica, by posiadać życie polega na dawaniu go. Życie zaniedbaniami oznacza zaparcie się naszego powołania: zaniedbanie jest przeciwieństwem misji.
Popełniamy grzech zaniedbania, to znaczy przeciw misji, kiedy zamiast szerzyć radość, zamykamy się w smutnym użalaniu się nad sobą myśląc, że nikt nas nie kocha i nie rozumie. Grzeszymy przeciwko misji, kiedy poddajemy się rezygnacji: „Nie mogę tego uczynić, nie potrafię”. Ale jak to? Bóg dał tobie talenty, a ty uważasz siebie za tak ubogiego, że nie możesz nikogo ubogacić? Grzeszymy przeciwko misji, gdy narzekając stale mówimy, że wszystko jest coraz gorsze, zarówno w świecie, jak i w Kościele. Grzeszymy przeciwko misji, gdy jesteśmy niewolnikami lęków, które nas blokują i dajemy się sparaliżować przez „zawsze tak było”. I grzeszymy przeciwko misji, gdy żyjemy życiem jako ciężarem, a nie darem; kiedy w centrum jesteśmy my z naszymi znużeniami, a nie bracia i siostry, którzy oczekują, aby zostać pokochani.
„Radosnego dawcę miłuje Bóg” (2 Kor 9,7). Bóg miłuje Kościół wychodzący ku światu. Ale uwaga: jeśli nie wychodzi, to nie jest on Kościołem. Kościół jest w drodze, Kościół idzie. Kościół wychodzący, misyjny to Kościół, który nie traci czasu na opłakiwanie tego, co nie idzie jak trzeba, wiernych, których już nie ma, wartości dawnych czasów, których już nie ma. Kościół, który nie szuka oaz objętych ochroną, żeby się nie martwić. Pragnie być jedynie solą ziemi i zaczynem dla świata. Ten Kościół wie, że to jest Jego siłą, tą samą co Jezusa: nie znaczenie społeczne czy instytucjonalne, lecz pokorna i bezinteresowna miłość.
Rozpoczynamy dzisiaj październik - miesiąc misyjny w towarzystwie trzech „sług”, którzy wydali wiele owoców. Drogę wskazuje nam św. Teresa od Dzieciątka Jezus, która uczyniła z modlitwy paliwo działania misyjnego w świecie. To także miesiąc różańcowy: jak bardzo modlimy się w intencji głoszenia Ewangelii, aby się nawrócić z zaniedbania na misję? Jest też św. Franciszek Ksawery, jeden z wielkich misjonarzy Kościoła. Również on nami wstrząsa: wyjdźmy z naszych skorup, czy potrafimy porzucić nasze wygody dla Ewangelii? I jest Służebnica Boża, Paulina Jaricot, pracownica, która wspierała misje swoją codzienną pracą: dzięki ofiarom, które odliczyła od pensji, była u początku Papieskich Dzieł Misyjnych. A czy my czynimy z każdego dnia dar, by przezwyciężyć rozdarcie między Ewangelią a życiem? Proszę was, nie żyjmy wiarą „zamkniętą w zakrystii”.
Towarzyszą nam zakonnica, kapłan i osoba świecka. Mówią nam, że nikt nie jest wykluczony z misji Kościoła. Tak, w tym miesiącu Pan powołuje również ciebie. Wzywa ciebie, ojcze i matko rodziny; ciebie, człowieka młodego, który marzysz o wielkich rzeczach; ciebie, który pracujesz w fabryce, w sklepie, w banku, w restauracji; ciebie, który nie masz pracy; ciebie, który leżysz w szpitalnym łóżku... Pan chce od ciebie, abyś stał się darem, tam gdzie jesteś, takim jaki jesteś, z otaczającymi ciebie ludźmi; byś nie znosił życia, ale je dawał; nie użalał się nad sobą, ale pozwolił się wyżłobić łzami cierpiących. Odwagi, Pan tak wiele od ciebie oczekuje. Oczekuje również, że ktoś będzie miał odwagę wyruszyć, udać się tam, gdzie brakuje nadziei i godności, gdzie zbyt wielu ludzi wciąż żyje bez radości Ewangelii. „Mam iść sam?” Nie, to nie jest dobre. Jeśli zamierzamy prowadzić misję z organizacjami biznesowymi, z planem działania, to nie jest dobrze. Głównym działającym w misji jest Duch Święty. To jest twórca misji. Ty idź z Duchem Świętym. Idź, Pan nie zostawi ciebie samego; świadcząc, odkryjesz, że Duch Święty przyszedł przed tobą, aby przygotować ci drogę. Odwagi, bracia i siostry; odwagi, Matko Kościele: odzyskaj swoją płodność w radości misji!
[01546-PL.01] [Testo originale: Italiano]
[B0759-XX.02]