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Santa Messa celebrata dal Santo Padre Francesco per la Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato, 29.09.2019


Omelia del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Alle ore 10.30 di oggi, XXVI domenica del Tempo Ordinario, il Santo Padre Francesco ha celebrato la Santa Messa sul sagrato della Basilica Vaticana in occasione della Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato. Dopo la lettura dal Vangelo secondo Luca sul tema Nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti (Lc 16,19-31), il Papa ha pronunciato la seguente omelia:

Omelia del Santo Padre

Il Salmo Responsoriale ci ha ricordato che il Signore sostiene i forestieri, assieme alle vedove e agli orfani del popolo. Il salmista fa esplicita menzione di quelle categorie che sono particolarmente vulnerabili, spesso dimenticate ed esposte a soprusi. I forestieri, le vedove e gli orfani sono i senza diritti, gli esclusi, gli emarginati, per i quali il Signore ha una particolare sollecitudine. Per questo Dio chiede agli Israeliti di avere un’attenzione speciale per loro.

Nel libro dell’Esodo, il Signore ammonisce il popolo di non maltrattare in alcun modo le vedove e gli orfani, perché Egli ascolta il loro grido (cfr 22,23). Lo stesso avvertimento viene ripreso due volte nel Deuteronomio (cfr 24,17; 27,19), con l’aggiunta degli stranieri tra le categorie protette. E la ragione di tale monito è spiegata chiaramente nello stesso libro: il Dio di Israele è Colui «che fa giustizia all’orfano e alla vedova, che ama lo straniero e gli dà pane e vestito» (10,18). Questa preoccupazione amorosa verso i meno privilegiati è presentata come un tratto distintivo del Dio di Israele, ed è anche richiesta, come un dovere morale, a tutti coloro che vogliono appartenere al suo popolo.

Ecco perché dobbiamo avere un’attenzione particolare verso i forestieri, come pure per le vedove, gli orfani e tutti gli scartati dei nostri giorni. Nel Messaggio per questa 105a Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato si ripete come un ritornello il tema: “Non si tratta solo di migranti”. Ed è vero: non si tratta solo di forestieri, si tratta di tutti gli abitanti delle periferie esistenziali che, assieme ai migranti e ai rifugiati, sono vittime della cultura dello scarto. Il Signore ci chiede di mettere in pratica la carità nei loro confronti; ci chiede di restaurare la loro umanità, assieme alla nostra, senza escludere nessuno, senza lasciare fuori nessuno.

Ma, contemporaneamente all’esercizio della carità, il Signore ci chiede di riflettere sulle ingiustizie che generano esclusione, in particolare sui privilegi di pochi che, per essere conservati, vanno a scapito di molti. «Il mondo odierno è ogni giorno più elitista e crudele con gli esclusi. È una verità che dà dolore: questo mondo è ogni giorno più elitista, più crudele con gli esclusi. I Paesi in via di sviluppo continuano ad essere depauperati delle loro migliori risorse naturali e umane a beneficio di pochi mercati privilegiati. Le guerre interessano solo alcune regioni del mondo, ma le armi per farle vengono prodotte e vendute in altre regioni, le quali poi non vogliono farsi carico dei rifugiati prodotti da tali conflitti. Chi ne fa le spese sono sempre i piccoli, i poveri, i più vulnerabili, ai quali si impedisce di sedersi a tavola e si lasciano le “briciole” del banchetto» (Messaggio per la 105a Giornata Mondiale del Migrante e Rifugiato).

È in questo senso che vanno comprese le dure parole del profeta Amos proclamate nella prima Lettura (6,1.4-7). Guai, guai agli spensierati e ai gaudenti di Sion, che non si preoccupano della rovina del popolo di Dio, che pure è sotto gli occhi di tutti. Essi non si accorgono dello sfacelo di Israele, perché sono troppo occupati ad assicurarsi il buon vivere, cibi prelibati e bevande raffinate. È impressionante come, a distanza di 28 secoli, questi ammonimenti conservino intatta la loro attualità. Anche oggi infatti la «cultura del benessere […] ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, […] porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza» (Omelia a Lampedusa, 8 luglio 2013).

Alla fine rischiamo di diventare anche noi come quell’uomo ricco di cui ci parla il Vangelo, il quale non si cura del povero Lazzaro «coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola» (Lc 16,20-21). Troppo intento a comprarsi vestiti eleganti e a organizzare lauti banchetti, il ricco della parabola non vede le sofferenze di Lazzaro. E anche noi, troppo presi dal preservare il nostro benessere, rischiamo di non accorgerci del fratello e della sorella in difficoltà.

Ma come cristiani non possiamo essere indifferenti di fronte al dramma delle vecchie e nuove povertà, delle solitudini più buie, del disprezzo e della discriminazione di chi non appartiene al “nostro” gruppo. Non possiamo rimanere insensibili, con il cuore anestetizzato, di fronte alla miseria di tanti innocenti. Non possiamo non piangere. Non possiamo non reagire. Chiediamo al Signore la grazia di piangere, quel pianto che converte il cuore davanti a questi peccati.

Se vogliamo essere uomini e donne di Dio, come chiede San Paolo a Timoteo, dobbiamo «conservare senza macchia e in modo irreprensibile il comandamento» (1Tm 6,14); e il comandamento è amare Dio e amare il prossimo. Non si possono separare! E amare il prossimo come sé stessi vuol dire anche impegnarsi seriamente per costruire un mondo più giusto, dove tutti abbiano accesso ai beni della terra, dove tutti abbiano la possibilità di realizzarsi come persone e come famiglie, dove a tutti siano garantiti i diritti fondamentali e la dignità.

Amare il prossimo significa sentire compassione per la sofferenza dei fratelli e delle sorelle, avvicinarsi, toccare le loro piaghe, condividere le loro storie, per manifestare concretamente la tenerezza di Dio nei loro confronti. Significa farsi prossimi di tutti i viandanti malmenati e abbandonati sulle strade del mondo, per lenire le loro ferite e portarli al più vicino luogo di accoglienza, dove si possa provvedere ai loro bisogni.

Questo santo comandamento Dio l’ha dato al suo popolo, e l’ha sigillato col sangue del suo Figlio Gesù, perché sia fonte di benedizione per tutta l’umanità. Perché insieme possiamo impegnarci nella costruzione della famiglia umana secondo il progetto originario, rivelato in Gesù Cristo: tutti fratelli, figli dell’unico Padre.

Oggi abbiamo bisogno anche di una madre, e affidiamo all’amore materno di Maria, Madonna della Strada, Madonna delle tante strade dolorose, affidiamo a lei i migranti e i rifugiati, assieme agli abitanti delle periferie del mondo e a coloro che si fanno loro compagni di viaggio.

[01536-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Le Psaume responsorial nous a rappelé que le Seigneur soutient les étrangers, avec les veuves et les orphelins du peuple. Le psalmiste mentionne explicitement ces catégories de personnes qui sont particulièrement vulnérables, souvent oubliées et exposées à des abus. Les étrangers, les veuves et les orphelins sont ceux qui n’ont aucun droit, les exclus, les marginaux, pour lesquels le Seigneur éprouve une sollicitude particulière. Voilà pourquoi Dieu demande aux Israélites d’avoir une attention spéciale à leur égard.

Dans le livre de l’Exode, le Seigneur met en garde le peuple pour qu’il ne maltraite en aucune façon les veuves et les orphelins, car il écoute leur cri (cf. 22, 23). Ce même avertissement est repris deux fois dans le Deutéronome (cf. 24, 17 ; 27, 19), en ajoutant les étrangers comme catégorie protégée. Or, la raison de cette mise en garde est clairement expliquée dans le même livre: le Dieu d’Israël est celui qui «rend justice à l’orphelin et à la veuve, qui aime l’immigré, et qui lui donne nourriture et vêtement» (10,18). Cette préoccupation aimante envers les moins privilégiés est présentée comme un trait distinctif du Dieu d’Israël et est également requise, comme un devoir moral, à tous ceux qui veulent appartenir à son peuple.

Voilà pourquoi nous devons accorder une attention particulière à l’égard des étrangers, de même qu’à l’égard des veuves, des orphelins et de tous ceux qui sont rejetés de nos jours. Dans le Message pour cette 105ème Journée Mondiale du Migrant et du Réfugié, un thème revient comme un refrain : “ Il ne s’agit pas seulement de migrants ”. Et c’est vrai : il ne s’agit pas seulement d’étrangers, il s’agit de tous les habitants des périphéries existentielles qui, avec les migrants et les réfugiés, sont victimes de la culture du déchet. Le Seigneur nous demande de mettre en pratique la charité à leur égard; il nous demande de restaurer leur humanité, en même temps que la nôtre, sans exclure personne, sans laisser personne en dehors.

Mais, simultanément à l’exercice de la charité, le Seigneur nous demande de réfléchir aux injustices qui engendrent l’exclusion, en particulier aux privilèges de quelques-uns qui, pour être conservés, se font au détriment de beaucoup de personnes. « Le monde actuel est chaque jour plus élitiste et cruel envers les exclus. C’est une vérité qui fait mal: ce monde devient chaque jour plus élitiste, plus cruel envers les exclus. Les pays en voie de développement continuent d’être appauvris de leurs meilleures ressources naturelles et humaines au profit de quelques marchés privilégiés. Les guerres ne concernent que quelques régions du monde, mais les armes pour les faire sont produites et vendues dans d’autres régions qui, ensuite, ne veulent pas se charger des réfugiés produits par ces conflits. Ceux qui en font les frais, ce sont toujours les petits, les pauvres, les plus vulnérables, qu’on empêche de s’asseoir à table et à qui on laisse les “ miettes ” du banquet » (Message pour la 105ème Journée Mondiale du Migrant et du Réfugié).

C’est en ce sens qu’il faut comprendre les dures paroles du prophète Amos proclamées dans la première Lecture (6, 1.4-7). Malheur, malheur à ceux qui profitent et vivent bien tranquilles dans Sion, qui ne se soucient pas de la ruine du peuple de Dieu qui s’étale pourtant aux yeux de tous. Ils ne s’aperçoivent pas du désastre d’Israël, car ils sont trop occupés à s’assurer une belle existence, des mets délicats et des boissons raffinées. Il est impressionnant de constater qu’à 28 siècles de distance ces avertissements conservent toute leur actualité. De fait, aujourd’hui encore la « culture du bien-être […] nous amène à penser à nous-mêmes, nous rend insensibles aux cris des autres, […] porte à l’indifférence envers les autres, et même à la mondialisation de l’indifférence » (Homélie à Lampedusa, 8 juillet 2013).

À la fin, nous risquons de devenir nous aussi comme cet homme riche dont nous parle l’Évangile, qui n’a cure du pauvre Lazare « tout couvert d’ulcères [et qui] aurait bien voulu se rassasier de ce qui tombait de la table » (Lc 16,20-21). Trop occupé à s’acheter de beaux vêtements et à organiser de somptueux banquets, le riche de la parabole ne voit pas les souffrances de Lazare. Nous aussi, trop occupés à préserver notre bien-être, nous risquons de ne pas nous apercevoir du frère et de la sœur en difficulté.

Mais, comme chrétiens, nous ne pouvons pas être indifférents face au drame des anciennes et des nouvelles pauvretés, des solitudes les plus sombres, du mépris et de la discrimination de ceux qui n’appartiennent pas à “ notre ” groupe. Nous ne pouvons pas demeurer insensibles, le cœur anesthésié, face à la misère de tant d’innocents. Nous ne pouvons pas ne pas pleurer. Nous ne pouvons pas ne pas réagir. Demandons au Seigneur la grâce de pleurer, de pleurs qui convertissent le cœur de ces péchés.

Si nous voulons être des hommes et des femmes de Dieu, comme le demande saint Paul à Timothée, nous devons «garder le commandement du Seigneur, en demeurant sans tache, irréprochable» (1 Tm 6, 14) ; et ce commandement, c’est aimer Dieu et aimer le prochain. On ne peut pas les séparer! Aimer son prochain comme soi-même veut dire aussi s’efforcer sérieusement de construire un monde plus juste, où tous ont accès aux biens de la terre, où tous ont la possibilité de se réaliser comme personnes et comme familles, où les droits fondamentaux et la dignité sont garantis à tous.

Aimer son prochain signifie ressentir de la compassion pour la souffrance des frères et des sœurs, s’approcher d’eux, toucher leurs plaies, partager leurs histoires, pour manifester concrètement la tendresse de Dieu à leur égard. Cela signifie se faire les prochains de tous les voyageurs malmenés et abandonnés sur les routes du monde, pour soulager leurs blessures et les conduire au lieu d’accueil le plus proche, où l’on pourra pourvoir à leurs besoins.

Ce saint commandement, Dieu l’a donné à son peuple et l’a scellé par le sang de son Fils Jésus, pour qu’il soit une source de bénédiction pour toute l’humanité. Pour que nous puissions, tous ensemble, nous engager dans la construction de la famille humaine selon le projet originel, révélé en Jésus-Christ: tous frères, fils de l’unique Père.

Aujourd’hui, nous avons aussi besoin d’une mère, et confions à l’amour maternel de Marie, Notre-Dame de la Route, Notre-Dame des nombreuses routes de souffrance, confions-lui les migrants et les réfugiés, ainsi que tous les habitants des périphéries du monde et ceux qui se font leurs compagnons de voyage.

[01536-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

Today’s Responsorial Psalm reminds us that the Lord upholds the stranger as well as the widow and the orphan among his people. The Psalmist makes explicit mention of those persons who are especially vulnerable, often forgotten and subject to oppression. The Lord has a particular concern for foreigners, widows and orphans, for they are without rights, excluded and marginalized. This is why God tells the Israelites to give them special care.

In the Book of Exodus, the Lord warns his people not to mistreat in any way widows and orphans, for he hears their cry (cf. 22:23). Deuteronomy sounds the same warning twice (cf. 24:17; 27:19), and includes strangers among this group requiring protection. The reason for that warning is explained clearly in the same book: the God of Israel is the one who “executes justice for the fatherless and the widow, and loves the sojourner, giving him food and clothing” (10:18). This loving care for the less privileged is presented as a characteristic trait of the God of Israel and is likewise required, as a moral duty, of all those who would belong to his people.

That is why we must pay special attention to the strangers in our midst as well as to widows, orphans and all the outcasts of our time. In the Message for this 105th World Day of Migrants and Refugees, the theme “It is not Just about Migrants” is repeated as a refrain. And rightly so: it is not only about foreigners; it is about all those in existential peripheries who, together with migrants and refugees, are victims of the throwaway culture. The Lord calls us to practise charity towards them. He calls us to restore their humanity, as well as our own, and to leave no one behind.

Along with the exercise of charity, the Lord also invites us to think about the injustices that cause exclusion – and in particular the privileges of the few, who, in order to preserve their status, act to the detriment of the many. “Today’s world is increasingly becoming more elitist and cruel towards the excluded”: this is a painful truth; our word is daily more and more elitist, more cruel towards the excluded. “Developing countries continue to be drained of their best natural and human resources for the benefit of a few privileged markets. Wars only affect some regions of the world, yet weapons of war are produced and sold in other regions which are then unwilling to take in the refugees generated by these conflicts. Those who pay the price are always the little ones, the poor, the most vulnerable, who are prevented from sitting at the table and are left with the ‘crumbs’ of the banquet” (Message for the 105th World Day of Migrants and Refugees).

It is in this context that the harsh words of the Prophet Amos proclaimed in the first reading (6:1.4-7) should be understood. Woe to those who are at ease and seek pleasure in Zion, who do not worry about the ruin of God’s people, even though it is in plain sight. They do not notice the destruction of Israel because they are too busy ensuring that they can still enjoy the good life, delicious food and fine drinks. It is striking how, twenty-eight centuries later, these warnings remain as timely as ever. For today too, the “culture of comfort… makes us think only of ourselves, makes us insensitive to the cries of other people… which results in indifference to others; indeed, it even leads to the globalization of indifference” (Homily in Lampedusa, 8 July 2013).

In the end, we too risk becoming like that rich man in the Gospel who is unconcerned for the poor man Lazarus, “covered with sores, who would gladly have eaten his fill of the scraps that fell from the rich man’s table” (Lk16:20-21). Too intent on buying elegant clothes and organizing lavish banquets, the rich man in the parable is blind to Lazarus’s suffering. Overly concerned with preserving our own well-being, we too risk being blind to our brothers and sisters in difficulty.

Yet, as Christians, we cannot be indifferent to the tragedy of old and new forms of poverty, to the bleak isolation, contempt and discrimination experienced by those who do not belong to “our” group. We cannot remain insensitive, our hearts deadened, before the misery of so many innocent people. We must not fail to weep. We must not fail to respond. Let us ask the Lord for the grace of tears, the tears that can convert our hearts before such sins.

If we want to be men and women of God, as Saint Paul urges Timothy, we must “keep the commandment unstained and free from reproach until the appearing of our Lord Jesus Christ” (1Tm6:14). The commandment is to love God and love our neighbour; the two cannot be separated! Loving our neighbour as ourselves means being firmly committed to building a more just world, in which everyone has access to the goods of the earth, in which all can develop as individuals and as families, and in which fundamental rights and dignity are guaranteed to all.

Loving our neighbour means feeling compassion for the sufferings of our brothers and sisters, drawing close to them, touching their sores and sharing their stories, and thus manifesting concretely God’s tender love for them. This means being a neighbour to all those who are mistreated and abandoned on the streets of our world, soothing their wounds and bringing them to the nearest shelter, where their needs can be met.

God gave this holy commandment to his people and sealed it with the blood of his Son Jesus, to be a source of blessing for all mankind. So that all together we can work to build the human family according to his original plan, revealed in Jesus Christ: all are brothers and sisters, all are sons and daughters of the same Father.

Today we also need a mother. So we entrust to the maternal love of Mary, Our Lady of the Way, of so many painful journeys, all migrants and refugees, together with those who live on the peripheries of our world and those who have chosen to share their journey.

[01536-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Der Antwortpsalm hat uns daran erinnert, dass der Herr für die Fremden zusammen mit den Witwen und Waisen des Volkes einsteht. Der Psalmist erwähnt ausdrücklich jene Gruppen, die besonders verwundbar, oftmals vergessen und Nachstellungen ausgesetzt sind. Die Fremden, die Witwen und die Waisen sind die Rechtlosen, die Ausgeschlossenen, die Ausgegrenzten, für die der Herr eine besondere Sorge hat. Deshalb verlangt Gott von den Israeliten, ihnen eine spezielle Aufmerksamkeit zuteilwerden zu lassen.

Im Buch Exodus ermahnt der Herr das Volk, die Witwen und Waisen auf keinerlei Weise auszunutzen, weil er ihren Klageschrei hört (vgl. 22,23). Die gleiche Warnung wird zweimal im Buch Deuteronomium wieder aufgegriffen, wo auch die Fremden zur Gruppe der Schutzbedürftigen gezählt werden (vgl. 24,17; 27,19). Und der Grund dieser Mahnung wird im gleichen Buch deutlich gemacht: der Gott Israels ist derjenige, der »Waisen und Witwen ihr Recht verschafft, der die Fremden liebt und ihnen Nahrung und Kleidung gibt« (vgl.10,18). Diese liebevolle Sorge um die Benachteiligten wird als ein Wesenszug des Gottes Israels dargestellt und wird auch von all denen als moralische Pflicht eingefordert, die seinem Volk angehören wollen.

Deswegen müssen wir den Fremden eine besondere Aufmerksamkeit zuwenden, wie auch den Witwen, den Waisen und all den Verworfenen unserer Zeit. In der Botschaft zum diesjährigen 105. Welttag des Migranten und des Flüchtlings wird das Thema refrainartig wiederholt: „Es geht nicht nur um Migranten“. Und es ist wahr: Es geht nicht nur um Fremde, es geht um alle Bewohner der existentiellen Ränder, die zusammen mit den Migranten und Flüchtlingen Opfer der Wegwerfkultur sind. Der Herr verlangt von uns, ihnen gegenüber die Nächstenliebe in die Tat umzusetzen; er verlangt von uns, ihr Menschsein zusammen mit dem unseren wiederherzustellen, ohne jemanden auszuschließen, ohne irgendeinen außen vor zu lassen.

Aber gleichzeitig mit der Ausübung der Nächstenliebe verlangt der Herr von uns, über die Ungerechtigkeiten nachzudenken, die Ausschluss bewirken, insbesondere über die Privilegien weniger, die, um aufrechterhalten zu werden, zum Nachteil vieler gereichen: »Die heutige Welt ist von Tag zu Tag elitärer und grausamer gegenüber den Ausgeschlossenen.« Es ist eine Wahrheit, die schmerzt: Diese heutige Welt ist von Tag zu Tag elitärer, grausamer gegenüber den Ausgeschlossenen. »Die Entwicklungsländer werden zugunsten einiger weniger privilegierter Märkte weiterhin ihrer besten natürlichen und menschlichen Ressourcen beraubt. Kriege betreffen nur bestimmte Regionen der Welt, aber die Waffen zu ihrer Herstellung werden in anderen Regionen produziert und verkauft, die sich dann jedoch um die aus diesen Konflikten hervorgehenden Flüchtlinge nicht kümmern wollen. Immer sind es die Kleinen, die den Preis dafür zahlen, die Armen und die am meisten Schutzbedürftigen, die man hindert, am Tisch zu sitzen und denen man die Reste des Banketts übriglässt«. (Botschaft zum 105. Welttag des Migranten und des Flüchtlings).

In diesem Sinne sind die harten Worte des Propheten Amos zu verstehen, die in der ersten Lesung vorgetragen wurden (6,1.4-7). Wehe, wehe den Sorglosen und den Schlemmern auf dem Zion, die sich um den Niedergang des Volkes Gottes nicht sorgen, obwohl er allen vor Augen steht. Sie bemerken nicht den Zusammenbruch Israels, weil sie zu beschäftigt damit sind, das Wohlleben beizubehalten und sich die auserlesenen Speisen und die edlen Getränke zu sichern. Es ist beeindruckend, wie diese Mahnworte auch im Abstand von achtundzwanzig Jahrhunderten ihre Aktualität unvermindert bewahren. Denn auch heute bringt uns die Wohlstandskultur dazu, an uns selbst zu denken, sie macht uns unempfindlich gegen die Schreie der anderen; sie führt zur Gleichgültigkeit gegenüber den anderen, ja zur Globalisierung der Gleichgültigkeit (vgl. Predigt in Lampedusa, 8. Juli 2013).

Schließlich laufen auch wir Gefahr, wie jener reiche Mann zu werden, von dem das Evangelium uns erzählt, der sich nicht um den armen Lazarus kümmert, »dessen Leib voller Geschwüre war. Er hätte gern seinen Hunger mit dem gestillt, was vom Tisch des Reichen herunterfiel« (Lk 16,20-21). Zu sehr darauf bedacht, sich elegante Kleider zu kaufen und köstliche Festmähler zu organisieren, sieht der Reiche aus dem Gleichnis nicht die Leiden des Lazarus. Und auch wir, die wir zu sehr davon eingenommen sind, unseren Wohlstand zu bewahren, laufen Gefahr, unseren Bruder oder unsere Schwester in Not nicht wahrzunehmen.

Als Christen können wir jedoch angesichts des Dramas der alten und neuen Arten der Armut, der dunkelsten Formen der Einsamkeit, der Verachtung und der Diskriminierung derer, die nicht zu „unserer“ Gruppe gehören, nicht gleichgültig bleiben. Wir können angesichts des Elends so vieler Unschuldiger nicht unberührt, mit betäubtem Herzen, bleiben. Wir können nicht umhin zu weinen. Wir können nicht umhin zu reagieren. Bitten wir den Herrn um die Gnade, weinen zu können, um die Tränen, die diesen Sünden gegenüber das Herz bekehren.

Wenn wir Männer und Frauen Gottes sein wollen, wie es der heilige Paulus von Timotheus verlangt, müssen wir unseren Auftrag rein und ohne Tadel erfüllen (vgl. 1 Tim 6,14); und der Auftrag ist, Gott zu lieben und den Nächsten zu lieben. Das kann man nicht trennen! Und den Nächsten wie sich selbst zu lieben bedeutet auch, sich ernsthaft darum zu bemühen, eine gerechtere Welt aufzubauen, wo alle Zugang zu den Gütern der Erde haben, wo alle die Möglichkeit haben, sich als Personen und als Familien zu verwirklichen, und wo die Grundrechte und die Würde für alle gewährleistet sind.

Den Nächsten zu lieben bedeutet, Mitleid mit dem Leiden der Brüder und Schwestern zu haben, sich ihnen zu nähern, ihre Wunden zu berühren, an ihren Erfahrungen Anteil zu haben und so die Zärtlichkeit Gottes ihnen gegenüber konkret zum Ausdruck zu bringen. Es bedeutet, sich zum Nächsten aller geprügelten und auf den Straßen der Welt zurückgelassenen Wanderer zu machen, um ihren Wunden Linderung zu verschaffen und sie zum nächstgelegenen Ort zu bringen, wo sie Aufnahme finden können, um ihren Bedürfnissen nachzukommen.

Dieses heilige Gebot hat Gott seinem Volk gegeben, und er hat es mit dem Blut seines Sohnes Jesus besiegelt, auf dass es Quell des Segens für die ganze Menschheit sei. Denn gemeinsam können wir uns für den Aufbau der Menschheitsfamilie entsprechend dem ursprünglichen Plan einsetzen, der uns in Jesus Christus offenbart wurde: Wir alle sind Geschwister, Kinder des einzigen Vaters.

Heute brauchen wir auch eine Mutter; und so vertrauen wir der mütterlichen Liebe Marias, der Mutter vom Weg, der Mutter von so vielen schmerzlichen Wegen, die Migranten und Flüchtlinge zusammen mit den Bewohnern an den Rändern der Welt an; wir vertrauen sie ihr an und denen, die sich zu ihren Weggefährten machen.

[01536-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

En el Salmo Responsorial se nos recuerda que el Señor sostiene a los forasteros, así como a las viudas y a los huérfanos del pueblo. El salmista menciona de forma explícita aquellas categorías que son especialmente vulnerables, a menudo olvidadas y expuestas a abusos. Los forasteros, las viudas y los huérfanos son los que carecen de derechos, los excluidos, los marginados, por quienes el Señor muestra una particular solicitud. Por esta razón, Dios les pide a los israelitas que les presten una especial atención.

En el libro del Éxodo, el Señor advierte al pueblo de no maltratar de ningún modo a las viudas y a los huérfanos, porque Él escucha su clamor (cf. 22,23). La misma admonición se repite dos veces en el Deuteronomio (cf. 24,17; 27,19), incluyendo a los extranjeros entre las categorías protegidas. La razón de esta advertencia se explica claramente en el mismo libro: el Dios de Israel es Aquel que «hace justicia al huérfano y a la viuda, y que ama al emigrante, dándole pan y vestido» (10,18). Esta preocupación amorosa por los menos favorecidos se presenta como un rasgo distintivo del Dios de Israel, y también se le requiere, como un deber moral, a todos los que quieran pertenecer a su pueblo.

Por eso debemos prestar especial atención a los forasteros, como también a las viudas, a los huérfanos y a todos los que son descartados en nuestros días. En el Mensaje para esta 105 Jornada Mundial del Migrante y del Refugiado, el lema se repite como un estribillo: “No se trata sólo de migrantes”. Y es verdad: no se trata sólo de forasteros, se trata de todos los habitantes de las periferias existenciales que, junto con los migrantes y los refugiados, son víctimas de la cultura del descarte. El Señor nos pide que pongamos en práctica la caridad hacia ellos; nos pide que restauremos su humanidad, a la vez que la nuestra, sin excluir a nadie, sin dejar a nadie afuera.

Pero, junto con el ejercicio de la caridad, el Señor nos pide que reflexionemos sobre las injusticias que generan exclusión, en particular sobre los privilegios de unos pocos, que perjudican a muchos otros cuando perduran. «El mundo actual es cada día más elitista y cruel con los excluidos. Es una verdad que causa dolor: este mundo es cada día más elitista, más cruel con los excluidos. Los países en vías de desarrollo siguen agotando sus mejores recursos naturales y humanos en beneficio de unos pocos mercados privilegiados. Las guerras afectan sólo a algunas regiones del mundo; sin embargo, la fabricación de armas y su venta se lleva a cabo en otras regiones, que luego no quieren hacerse cargo de los refugiados que dichos conflictos generan. Quienes padecen las consecuencias son siempre los pequeños, los pobres, los más vulnerables, a quienes se les impide sentarse a la mesa y se les deja sólo las “migajas” del banquete» (Mensaje para la 105 Jornada Mundial del Migrante y del Refugiado).

Así se entienden las duras palabras del profeta Amós, proclamadas en la primera lectura (6,1.4-7). ¡Ay, ay de los que viven despreocupadamente y buscando placer en Sion, que no se preocupan por la ruina del pueblo de Dios, que sin embargo está a la vista de todos! No se dan cuenta de la ruina de Israel, porque están demasiado ocupados asegurándose una buena vida, alimentos exquisitos y bebidas refinadas. Sorprende ver cómo, después de 28 siglos, estas advertencias conservan toda su actualidad. De hecho, también hoy día la «cultura del bienestar [...] nos lleva a pensar en nosotros mismos, nos hace insensibles al grito de los otros, [...] lleva a la indiferencia hacia los otros, o mejor, lleva a la globalización de la indiferencia» (Homilía en Lampedusa, 8 julio 2013).

Al final, también nosotros corremos el riesgo de convertirnos en ese hombre rico del que nos habla el Evangelio, que no se preocupa por el pobre Lázaro «cubierto de llagas, y con ganas de saciarse de lo que caía de la mesa del rico» (Lc 16,20-21). Demasiado ocupado en comprarse vestidos elegantes y organizar banquetes espléndidos, el rico de la parábola no advierte el sufrimiento de Lázaro. Y también nosotros, demasiado concentrados en preservar nuestro bienestar, corremos el riesgo de no ver al hermano y a la hermana en dificultad.

Pero como cristianos no podemos permanecer indiferentes ante el drama de las viejas y nuevas pobrezas, de las soledades más oscuras, del desprecio y de la discriminación de quienes no pertenecen a “nuestro” grupo. No podemos permanecer insensibles, con el corazón anestesiado, ante la miseria de tantas personas inocentes. No podemos sino llorar. No podemos dejar de reaccionar. Pidámosle al Señor la gracia de llorar, la gracia de aquel llanto que convierte el corazón ante esos pecados.

Si queremos ser hombres y mujeres de Dios, como le pide san Pablo a Timoteo, debemos guardar «el mandamiento sin mancha ni reproche hasta la manifestación de nuestro Señor Jesucristo» (1 Tm 6,14); y el mandamiento es amar a Dios y amar al prójimo. No podemos separarlos. Y amar al prójimo como a uno mismo significa también comprometerse seriamente en la construcción de un mundo más justo, donde todos puedan acceder a los bienes de la tierra, donde todos tengan la posibilidad de realizarse como personas y como familias, donde los derechos fundamentales y la dignidad estén garantizados para todos.

Amar al prójimo significa sentir compasión por el sufrimiento de los hermanos y las hermanas, acercarse, tocar sus llagas, compartir sus historias, para manifestarles concretamente la ternura que Dios les tiene. Significa hacerse prójimo de todos los viandantes apaleados y abandonados en los caminos del mundo, para aliviar sus heridas y llevarlos al lugar de acogida más cercano, donde se les pueda atender en sus necesidades.

Este santo mandamiento, Dios se lo dio a su pueblo, y lo selló con la sangre de su Hijo Jesús, para que sea fuente de bendición para toda la humanidad. Porque todos juntos podemos comprometernos en la edificación de la familia humana según el plan original, revelado en Jesucristo: todos hermanos, hijos del único Padre.

Hoy tenemos también necesidad de una madre, y encomendamos al amor maternal de María, Nuestra Señora del Camino, Nuestra Señora de los muchos caminos dolorosos, encomendamos a ella los migrantes y refugiados, junto con los habitantes de las periferias del mundo y a quienes se hacen sus compañeros de viaje.

[01536-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

O Salmo Responsorial recordou-nos que o Senhor defende os estrangeiros, juntamente com as viúvas e os órfãos do povo. O salmista faz explícita menção daquelas categorias que são particularmente vulneráveis, frequentemente esquecidas e expostas a abusos. Os estrangeiros, as viúvas e os órfãos são os que não têm direitos, os excluídos, os marginalizados, pelos quais o Senhor tem uma especial solicitude. Por isso, Deus pede aos Israelitas que tenham para com eles uma atenção especial.

No livro do Êxodo, o Senhor adverte o povo que não maltrate de nenhuma forma as viúvas e os órfãos, porque Ele escuta o seu clamor (cf. 22,23). A mesma advertência é retomada duas vezes no Deuteronómio (cf. 24,17; 27,19), com o acrescento dos estrangeiros entre as categorias protegidas. E a razão de tal advertência é claramente explicada no mesmo livro: o Deus de Israel é Aquele que «faz justiça ao órfão e à viúva, ama o estrangeiro e dá-lhe pão e vestuário» (10,18). Esta preocupação amorosa para com os menos privilegiados é apresentada como um traço distintivo do Deus de Israel, e é também exigida, como um dever moral, a todos quantos querem pertencer ao seu povo.

Eis a razão pela qual devemos ter uma atenção especial para com os estrangeiros, como também pelas viúvas, os órfãos e todos os descartados dos nossos dias. Na Mensagem para este 105º Dia Mundial do Migrante e do Refugiado repete-se como um refrão o tema: “Não se trata apenas de migrantes”. E é verdade: não se trata apenas de estrangeiros, trata-se de todos os habitantes das periferias existenciais que, juntamente com os migrantes e os refugiados, são vítimas da cultura do descarte. O Senhor pede-nos que ponhamos em prática a caridade para com eles; pede-nos que restauremos a sua humanidade, juntamente com a nossa, sem excluir ninguém, sem deixar ninguém de fora.

Mas, simultaneamente ao exercício da caridade, o Senhor pede-nos que reflitamos sobre as injustiças que geram exclusão, em particular sobre os privilégios de uns poucos que, para se manterem, resultam em detrimento de muitos. «O mundo atual vai-se tornando, dia após dia, mais elitista e cruel para com os excluídos. [É uma verdade que nos deixa tristes: este mundo vai-se tornando, dia após dia, mais elitista e cruel para com os excluídos]. Os países em vias de desenvolvimento continuam a ser depauperados dos seus melhores recursos naturais e humanos em benefício de poucos mercados privilegiados. As guerras abatem-se apenas sobre algumas regiões do mundo, enquanto as armas para as fazer são produzidas e vendidas noutras regiões, que depois não querem ocupar-se dos refugiados causados por tais conflitos. Quem sofre as consequências são sempre os pequenos, os pobres, os mais vulneráveis, a quem se impede de sentar-se à mesa deixando-lhe as “migalhas” do banquete» (Mensagem para o 105º Dia Mundial do Migrante e do Refugiado).

É neste sentido que se compreendem as duras palavras do profeta Amós proclamadas na primeira Leitura (6,1.4-7). Ai! Ai dos despreocupados e dos que vivem comodamente em Sião, que não se preocupam com a ruína do povo de Deus, visível aos olhos de todos. Eles não se apercebem do colapso de Israel, pois estão demasiado ocupados a garantir uma boa vida, comidas deliciosas e bebidas refinadas. É impressionante como, à distância de 28 séculos, estas advertências conservam intacta a sua atualidade. Também hoje, na verdade, «a cultura do bem-estar […] nos leva a pensar em nós mesmos, torna-nos insensíveis aos gritos dos outros, […] leva à indiferença a respeito dos outros; antes, leva à globalização da indiferença» (Homilia em Lampedusa, 8 de julho de 2013).

No final, corremos o risco de nos tornarmos, também nós, como aquele homem rico de que nos fala o Evangelho, o qual não se importa com o pobre Lázaro «coberto de chagas [e que] bem desejava […] saciar-se com o que caía da mesa» (Lc 16,20-21). Demasiado absorvido a comprar vestidos elegantes e a organizar esplêndidos banquetes, o rico da parábola não vê os sofrimentos de Lázaro. E também nós, demasiado ocupados a preservar o nosso bem-estar, corremos o risco de não nos darmos conta do irmão e da irmã em dificuldade.

Contudo, como cristãos não podemos permanecer indiferentes diante do drama das velhas e novas pobrezas, das solidões mais sombrias, do desprezo e da discriminação de quem não pertence ao “nosso” grupo. Não podemos permanecer insensíveis, com o coração anestesiado, diante da miséria de tantos inocentes. Não podemos não chorar. Não podemos não reagir. Peçamos ao Senhor a graça de chorar, peçamos aquele pranto que, à vista destes pecados, converte o coração.

Se queremos ser homens e mulheres de Deus, como pede São Paulo a Timóteo, devemos «guardar o mandamento […] sem mancha e acima de toda a censura» (1Tm 6,14); e o mandamento é amar a Deus e amar o próximo. Não se podem separar! E amar o próximo como a nós mesmos quer dizer também comprometer-se seriamente pela construção de um mundo mais justo, onde todos tenham acesso aos bens da terra, onde todos tenham a possibilidade de se realizar como pessoas e como famílias, onde a todos sejam garantidos os direitos fundamentais e a dignidade.

Amar o próximo significa sentir compaixão pelo sofrimento dos irmãos e irmãs, aproximar-se, tocar as suas feridas, partilhar as suas histórias, para manifestar concretamente a ternura de Deus para com eles. Significa fazer-se próximo de todos os viajantes maltratados e abandonados pelas estradas do mundo, para aliviar os seus ferimentos e os conduzir ao local de hospedagem mais próximo, onde se possa dar resposta às suas necessidades.

Este santo mandamento foi dado por Deus ao seu povo, e foi selado com o sangue do seu Filho Jesus, para que seja fonte de bênção para toda a humanidade. Para que juntos possamos empenhar-nos na construção da família humana segundo o projeto originário, revelado em Jesus Cristo: todos irmãos, filhos do único Pai.

Hoje temos necessidade também duma mãe e confiamos ao amor materno de Maria, Nossa Senhora da Estrada – Nossa Senhora das inúmeras estradas dolorosas –, os migrantes e os refugiados, juntamente com os habitantes das periferias do mundo e quantos se fazem seus companheiros de viagem.

[01536-PO.02] [Texto original: Italiano]

[B0750-XX.02]