Sala Stampa

www.vatican.va

Sala Stampa Back Top Print Pdf
Sala Stampa


Viaggio Apostolico di Sua Santità Francesco in Mozambico, Madagascar e Maurizio (4-10 settembre 2019) – Santa Messa nel Campo Diocesano di Soamandrakizay e Recita dell’Angelus, 08.09.2019


Santa Messa nel Campo Diocesano di Soamandrakizay

Le parole del Papa alla recita dell’Angelus nel Campo Diocesano di Soamandrakizay

Santa Messa nel Campo Diocesano di Soamandrakizay

Omelia del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Questa mattina, lasciata la Nunziatura Apostolica, il Santo Padre Francesco si è trasferito in auto al Campo Diocesano di Soamandrakizay per la celebrazione della Santa Messa.

Al Suo arrivo, dopo alcuni giri in papamobile tra i fedeli, alle ore 10.00 (9.00 ora di Roma), il Papa ha presieduto la Celebrazione Eucaristica nella XXIII Domenica del Tempo Ordinario. Sull’altare sono state esposte le reliquie del Beato Rafael Luis Rafiringa, beatificato il 7 giugno 2009 ad Antananarivo.

Dopo la proclamazione del Vangelo, il Santo Padre ha pronunciato l’omelia.

Al termine, prima della benedizione finale e della recita dell’Angelus, l’Arcivescovo di Antananarivo, S.E. Mons. Odon Marie Arsène Razanakolona, ha rivolto a Papa Francesco il suo saluto.

Riportiamo di seguito il testo dell’omelia che il Santo Padre ha pronunciato nel corso della Santa Messa:

Omelia del Santo Padre

Il Vangelo ci ha detto che «una folla numerosa andava con Gesù» (Lc 14,25). Come quelle folle che si accalcavano lungo il percorso di Gesù, voi siete venuti in gran numero per accogliere il suo messaggio e per mettervi alla sua sequela. Ma voi sapete bene che camminare al seguito di Gesù non è molto riposante! Voi non avete riposato, e tanti di voi avete anche passato la notte qui. Il Vangelo di Luca, infatti, oggi ricorda le esigenze di questo impegno.

È importante notare che queste prescrizioni sono date nel quadro della salita di Gesù a Gerusalemme, tra la parabola del banchetto in cui l’invito è aperto a tutti (specialmente alle persone rifiutate che vivono nelle strade e nelle piazze, nei crocevia) e le tre parabole chiamate della misericordia, dove si organizza la festa quando ciò che è perduto viene trovato, quando colui che sembrava morto è accolto, festeggiato e restituito alla vita nella possibilità di un nuovo inizio. Ogni rinuncia cristiana ha significato solo alla luce della gioia e della festa dell’incontro con Gesù Cristo.

La prima esigenza ci invita a guardare alle nostre relazioni familiari. La vita nuova che il Signore ci propone sembra scomoda e si trasforma in scandalosa ingiustizia per coloro che credono che l'accesso al Regno dei Cieli possa limitarsi o ridursi solamente ai legami di sangue, all’appartenenza a un determinato gruppo, a un clan o una cultura particolare. Quando la “parentela” diventa la chiave decisiva e determinante di tutto ciò che è giusto e buono, si finisce per giustificare e persino “consacrare” alcuni comportamenti che portano alla cultura del privilegio e dell’esclusione (favoritismi, clientelismi, e quindi corruzione). L’esigenza posta dal Maestro ci porta ad alzare lo sguardo e ci dice: chiunque non è in grado di vedere l’altro come un fratello, di commuoversi per la sua vita e la sua situazione, al di là della sua provenienza familiare, culturale, sociale, «non può essere mio discepolo» (Lc 14,26). Il suo amore e la sua dedizione sono un dono gratuito a motivo di tutti e per tutti.

La seconda esigenza ci mostra come risulti difficile seguire il Signore quando si vuole identificare il Regno dei Cieli con i propri interessi personali o con il fascino di qualche ideologia che finisce per strumentalizzare il nome di Dio o la religione per giustificare atti di violenza, di segregazione e persino di omicidio, esilio, terrorismo ed emarginazione. L’esigenza del Maestro ci incoraggia a non manipolare il Vangelo con tristi riduzionismi, bensì a costruire la storia in fraternità e solidarietà, nel rispetto gratuito della terra e dei suoi doni contro qualsiasi forma di sfruttamento; con l’audacia di vivere il «dialogo come via; la collaborazione comune come condotta; la conoscenza reciproca come metodo e criterio» (Documento sulla fratellanza umana, Abu Dhabi, 4 febbraio 2019); non cedendo alla tentazione di certe dottrine incapaci di vedere crescere insieme grano e zizzania nell’attesa del padrone della messe (cfr Mt 13,24-30).

E infine: come può essere difficile condividere la nuova vita che il Signore ci dona quando siamo continuamente spinti a giustificare noi stessi, credendo che tutto provenga esclusivamente dalle nostre forze e da ciò che possediamo; quando la corsa ad accumulare diventa assillante e opprimente – come abbiamo ascoltato nella prima Lettura – esacerbando l’egoismo e l’uso di mezzi immorali! L’esigenza del Maestro è un invito a recuperare la memoria grata e a riconoscere che, piuttosto che una vittoria personale, la nostra vita e le nostre capacità sono il risultato di un dono (cfr Esort. ap. Gaudete et exsultate, 55), intessuto tra Dio e tante mani silenziose di persone delle quali arriveremo a conoscere i nomi solo nella manifestazione del Regno dei Cieli.

Con queste esigenze, il Signore vuole preparare i suoi discepoli alla festa dell’irruzione del Regno di Dio, liberandoli da quell’ostacolo rovinoso, in definitiva una delle peggiori schiavitù: il vivere per sé stessi. È la tentazione di chiudersi nel proprio piccolo mondo che finisce per lasciare poco spazio agli altri: i poveri non entrano più, la voce di Dio non è più ascoltata, non si gode più la dolce gioia del suo amore, non palpita più l’entusiasmo di fare il bene... Molti, in questo rinchiudersi, possono sentirsi apparentemente sicuri, ma alla fine diventano persone risentite, lamentose, senza vita. Questa non è la scelta di un’esistenza dignitosa e piena, questo non è il desiderio di Dio per noi, non è la vita nello Spirito che scaturisce dal cuore di Cristo risorto (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 2).

Sulla strada verso Gerusalemme, il Signore, con queste esigenze, ci invita ad alzare lo sguardo, ad aggiustare le priorità e soprattutto creare spazi affinché Dio sia il centro e il cardine della nostra vita.

Guardiamoci intorno: quanti uomini e donne, giovani, bambini soffrono e sono totalmente privi di tutto! Questo non fa parte del piano di Dio. Quanto è urgente questo invito di Gesù a morire alle nostre chiusure, ai nostri orgogliosi individualismi per lasciare che lo spirito di fraternità – che promana dal costato aperto di Cristo, da dove nasciamo come famiglia di Dio – trionfi, e ciascuno possa sentirsi amato, perché compreso, accettato e apprezzato nella sua dignità. «Davanti alla dignità umana calpestata spesso si rimane a braccia conserte oppure si aprono le braccia, impotenti di fronte all’oscura forza del male. Ma il cristiano non può stare a braccia conserte, indifferente, o a braccia aperte, fatalista, no. Il credente tende la mano, come fa Gesù con lui» (Omelia in occasione della Giornata mondiale dei poveri, 18 novembre 2018).

La Parola di Dio che abbiamo ascoltato ci invita a riprendere il cammino, a osare questo salto di qualità e adottare questa saggezza del distacco personale come base per la giustizia e per la vita di ognuno di noi: perché insieme possiamo combattere tutte quelle idolatrie che ci portano a focalizzare la nostra attenzione sulle ingannevoli sicurezze del potere, della carriera e del denaro e sulla ricerca di glorie umane.

Le esigenze che Gesù indica cessano di essere pesanti quando iniziamo a gustare la gioia della vita nuova che Egli stesso ci propone: la gioia che nasce dal sapere che Lui è il primo a venirci a cercare agli incroci delle strade, anche quando ci siamo persi come quella pecora o quel figlio prodigo. Possa questo umile realismo – è un realismo, realismo cristiano – spingerci ad affrontare grandi sfide, e dia a voi il desiderio di rendere il vostro bel Paese un luogo in cui il Vangelo possa diventare vita, e la vita sia per la maggior gloria di Dio.

Decidiamoci e facciamo nostri i progetti del Signore.

[01363-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

L’Évangile nous a dit que de «grandes foules faisaient route avec Jésus» (Lc 14, 25). Comme ces foules qui se massaient sur le parcours de Jésus, vous êtes venus nombreux pour accueillir son message et pour vous mettre à sa suite. Mais vous savez bien que le fait de marcher à la suite de Jésus n’est pas de tout repos. Vous ne vous êtes pas reposé, et beaucoup d’entre vous ont aussi passé la nuit ici. L’évangile de Luc rappelle aujourd’hui en effet les exigences de cet engagement.

Il est important de noter que ces prescriptions sont données dans le cadre de la montée de Jésus à Jérusalem, entre la parabole du banquet où l’invitation est ouverte à tous (spécialement aux personnes rejetées qui vivent dans les rues et sur les places, aux carrefours); et les trois paraboles appelées de la miséricorde, où l’on organise la fête quand ce qui est perdu est retrouvé, quand celui qui semblait mort est accueilli, fêté et rendu à la vie dans la possibilité d’un nouveau départ. Toute renonciation chrétienne n’a de sens qu’à la lumière de la joie et de la fête de la rencontre avec Jésus-Christ.

La première exigence nous invite à regarder nos relations familiales. La vie nouvelle que le Seigneur nous propose semble inconfortable et se transforme en injustice scandaleuse pour ceux qui croient que l’accès dans le Royaume des Cieux peut seulement se limiter ou se réduire aux liens du sang, à l’appartenance à un groupe déterminé, à un clan ou à une culture particulière. Quand la “parenté” devient la clé décisive et déterminante de tout ce qui est juste et bon, on finit par justifier et jusqu’à “consacrer” certaines pratiques qui aboutissent à la culture du privilège et de l’exclusion (favoritismes, clientélismes et puis corruption). L’exigence du Maître nous amène à élever notre regard et nous dit: quelqu’un qui n’est pas capable de voir l’autre comme un frère, d’être ému par sa vie et par sa situation, au-delà de son origine familiale, culturelle, sociale «ne peut pas être mon disciple» (Lc 14, 26). Son amour et son dévouement, c’est un don gratuit en faveur de tous et pour tous.

La seconde exigence nous montre combien il est difficile de se mettre à la suite du Seigneur quand on veut identifier le Règne des Cieux avec ses propres intérêts personnels ou avec la fascination d’une idéologie quelconque qui finit par instrumentaliser le nom de Dieu ou la religion pour justifier des actes de violence, de ségrégation et même d’homicide, d’exil, de terrorisme et de marginalisation. L’exigence du Maître nous encourage à ne pas manipuler l’Evangile par de sombres réductionnismes, mais à construire l’histoire dans la fraternité et la solidarité, dans le respect gratuit de la terre et de ses dons contre toute forme d’exploitation; avec l’audace de vivre le «dialogue comme chemin; la collaboration commune comme conduite; la reconnaissance réciproque comme méthode et critère» (Document sur la fraternité humaine, Abu Dhabi, 4 février 2019); en ne cédant pas à la tentation de certaines doctrines incapables de voir grandir ensemble le bon grain et l’ivraie dans l’attente du maître de la moisson (cf. Mt 13, 24-30).

Et, enfin: combien il peut être difficile de partager la vie nouvelle que le Seigneur nous offre quand nous sommes continuellement poussés à nous justifier nous-mêmes, en croyant que tout provient exclusivement de nos forces et de ce que nous possédons; quand la course à l’accumulation devient étouffante et accablante – comme nous avons entendu dans la première lecture – aggravant l’égoïsme et l’utilisation de moyens immoraux. L’exigence du Maître est une invitation à retrouver la mémoire reconnaissante et à prendre conscience que, bien plus qu’une victoire personnelle, notre vie et nos capacités sont le fruit d’un don (cf. Exhort. ap. Gaudete et exsultate, n. 55) tissé entre Dieu et beaucoup de mains silencieuses de personnes dont nous ne parviendrons à connaître les noms que dans la manifestation du Règne des Cieux.

Avec ces exigences, le Seigneur veut préparer ses disciples à la fête de l’irruption du Règne de Dieu, en les libérant de cet obstacle dangereux, en définitive, un des pires esclavages: le vivre pour soi-même. C’est la tentation de se replier dans son petit univers qui finit par laisser peu d’espace pour les autres: les pauvres n’entrent plus, on n’écoute plus la voix de Dieu, on ne jouit plus de la douce joie de son amour, on n’a plus d’enthousiasme à faire le bien… Beaucoup de personnes en se renfermant, peuvent se sentir “apparemment” en sécurité, mais finissent par se transformer en personnes amères, plaintives, sans vie. Ce n’est pas l’option d’une vie digne et pleine, ce n’est pas cela le désir de Dieu pour nous, ce n’est pas la vie dans l’Esprit qui jaillit du cœur du Christ ressuscité (cf. Exhort. ap. Evangelii Gaudium, n. 2).

Sur le chemin vers Jérusalem, le Seigneur, avec ces exigences, nous invite à élever le regard, à ajuster les priorités et surtout à créer des espaces pour que Dieu soit le centre et l’axe de notre vie.

Regardons autour de nous: combien d’hommes et de femmes, de jeunes, d’enfants souffrent et sont totalement privés de tout! Cela ne fait pas partie du plan de Dieu. Comme elle est urgente, cette invitation de Jésus à mourir à nos enfermements, à nos individualismes orgueilleux pour laisser triompher l’esprit de fraternité – qui naît du côté ouvert de Jésus-Christ, d’où nous naissons comme famille de Dieu – et où chacun peut se sentir aimé, parce que compris, accepté et valorisé dans sa dignité. «Devant la dignité humaine piétinée, souvent on reste les bras croisés ou on ouvre les bras, impuissants face à la force obscure du mal. Mais le chrétien ne peut rester les bras croisés, indifférent, ou les bras ouverts, fataliste, non. Le croyant tend la main, comme fait Jésus avec lui» (Homélie à l’occasion de la Journée Mondiale des Pauvres, 18 novembre 2018).

La Parole de Dieu que nous avons écoutée nous invite à reprendre la route et à oser faire ce saut qualitatif et à adopter cette sagesse du détachement personnel comme base pour la justice et pour la vie de chacun de nous: parce qu’ensemble nous pouvons lutter contre toutes ces idolâtries qui focalisent notre attention sur les sécurités trompeuses du pouvoir, de la carrière et de l’argent et sur la recherche des gloires humaines.

Les exigences que Jésus indique cessent d’être lourdes quand nous commençons à goûter la joie de la vie nouvelle que lui-même nous propose: la joie qui naît de savoir qu’Il est le premier à venir nous chercher à la croisée des chemins, même quand nous sommes perdus comme cette brebis ou ce fils prodigue. Puisse cet humble réalisme – c’est un réalisme, un réalisme chrétien – nous pousser à affronter de grands défis, et vous donner l’envie de faire de votre beau pays un lieu où l’Evangile puisse devenir vie, et que la vie soit pour la plus grande gloire de Dieu.

Engageons-nous et faisons nôtres les projets du Seigneur.

[01363-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

The Gospel tells us that “great multitudes accompanied Jesus” (Lk 14:25). Like the multitudes gathered along his path, you too have come in great numbers to receive his message and follow in his footsteps. But you also know that following Jesus is not easy. You haven’t had much rest, and many of you have even spent the night here. Today, Luke’s Gospel reminds us of how demanding that commitment can be.

We should realize that Luke sets out those demands within his account of Jesus’ ascent to Jerusalem. He starts with the parable of the banquet to which everyone is invited, especially the outcasts living on the streets, in the squares and at the crossroads. And he concludes with the three “parables of mercy”, where a party is celebrated when what was lost was found, where someone who seemed dead is welcomed with joy and restored to life with the possibility of making a new start. For us as Christians, our sacrifices only make sense in the light of the joyful celebration of our encounter with Jesus Christ.

Jesus’ first demand has to do with family relationships. The new life the Lord holds out to us seems troubling and scandalously unjust to those who think that entry into the kingdom of heaven can be limited or reduced only to bonds of blood or membership in a particular group, clan or particular culture. When “family” becomes the decisive criterion for what we consider right and good, we end up justifying and even “consecrating” practices that lead to the culture of privilege and exclusion: favouritism, patronage and, as a consequence, corruption. The Master demands that we see beyond this. He says this clearly: anyone incapable of seeing others as brothers or sisters, of showing sensitivity to their lives and situations regardless of their family, cultural or social background “cannot be my disciple” (Lk 14:26). His devoted love is a free gift given to all and meant for all.

Jesus’ second demand shows us how hard it is to follow him if we seek to identify the kingdom of heaven with our personal agenda or our attachment to an ideology that would abuse the name of God or of religion to justify acts of violence, segregation and even murder, exile, terrorism and marginalization. This demand encourages us not to dilute and narrow the Gospel message, but instead to build history in fraternity and solidarity, in complete respect for the earth and its gifts, as opposed to any form of exploitation. It encourages us to practise “dialogue as the path; mutual cooperation as the code of conduct; reciprocal understanding as the method and standard” (Document on Human Fraternity, Abu Dhabi, 4 February 2019). And not to be tempted by teachings that fail to see that the wheat and the chaff must grow together until the return of the Master of the harvest (cf. Mt 13:24-30).

Finally, how difficult it can be to share the new life that the Lord offers us when we are continually driven to self-justification, because we think that everything depends exclusively on our efforts and resources! Or, as we heard in the first reading, when the race to amass possessions becomes stifling and overwhelming, which only increases our selfishness and our willingness to use immoral means. Jesus’ demand is that we rediscover how to be grateful and to realize that, much more than a personal triumph, our life and our talents are the fruit of a gift (cf. Gaudete et Exsultate, 55), a gift created by God through the silent interplay of so many people whose names we will only know in the kingdom of heaven.

With these three demands, the Lord wants to prepare his disciples for the celebration of the coming of the kingdom of God, and to free them from the grave obstacle that, in the end, is one of the worst forms of enslavement: living only for oneself. It is the temptation to fall back into our little universe, and it ends up leaving little room for other people. The poor no longer enter in, we no longer hear the voice of God, we no longer enjoy the quiet joy of his love, we are no longer eager to do good… Many people, by shutting themselves up in this way, can feel “apparently” secure, yet they end up becoming bitter, querulous and lifeless. This is no way to live a full and dignified life; it is not God’s will for us, nor is it the life in the Spirit that has its source in the heart of the risen Christ (cf. Evangelii Gaudium, 2).

With these demands, the Lord, as he walks towards Jerusalem, asks us to lift our gaze, to adjust our priorities and, above all, to make room for God to be the centre and axis of our life.

As we look around us, how many men and women, young people and children are suffering and in utter need! This is not part of God’s plan. How urgently Jesus calls us to die to our self-centredness, our individualism and our pride! In this way, we can allow the spirit of fraternity to triumph – a spirit born from the pierced side of Jesus Christ, in which we are born as God’s family – and in which everyone can feel loved because understood, accepted and appreciated in his or her dignity. “In the face of contempt for human dignity, we often remain with arms folded or stretched out as a sign of our frustration before the grim power of evil. Yet we Christians cannot stand with arms folded in indifference, or with arms outstretched in helplessness. No. As believers, we must stretch out our hands, as Jesus does with us” (Homily for the World Day of the Poor, 18 November 2018).

The Word of God that we have just heard bids us set out once more, daring to take this qualitative leap and to adopt this wisdom of personal detachment as the basis for social justice and for our personal lives. Together we can resist all those forms of idolatry that make us think only of the deceptive securities of power, career, money and of the search for human glory.

The demands that Jesus sets before us cease to be burdensome as soon as we begin to taste the joy of the new life that he himself sets before us. It is the joy born of knowing that he is the first to seek us at the crossroads, even when we are lost like the sheep or the prodigal son. May this humble realism – it is a realism, a Christian realism – inspire us to take on great challenges and give you the desire to make your beautiful country a place where the Gospel becomes life, and where life is for the greater glory of God.

Let us commit ourselves and let us make the Lord’s plans our own.

[01363-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Im Evangelium haben wir gehört, dass »viele Menschen Jesus begleiteten« (vgl. Lk 14,25). Wie jene Massen, die sich entlang des Weges Jesu versammelten, seid ihr in großer Zahl gekommen, um seine Botschaft aufzunehmen und euch auf den Weg seiner Nachfolge zu begeben. Aber ihr wisst gut, dass die Nachfolge Jesu keine Erholung darstellt! Ihr habt euch nicht erholt, viele von euch haben hier die Nacht verbracht. Das Evangelium von Lukas erinnert uns nämlich heute an die Anforderungen für diese Aufgabe.

Es ist wichtig anzumerken, dass diese Vorgaben im Rahmen des Aufstieges Jesu nach Jerusalem gemacht werden: zwischen dem Gleichnis vom Festmahl, bei dem die Einladung an alle ergeht (insbesondere an die abgelehnten Personen, die auf den Straßen und den Plätzen und Wegkreuzungen leben), und den drei so genannten Gleichnissen von der Barmherzigkeit, in denen jeweils ein Fest gefeiert wird, wo das, was verloren war, wiedergefunden wird und derjenige, der tot schien, wieder aufgenommen, gefeiert und mit der Möglichkeit eines Neuanfangs ins Leben zurückgeführt wird. Jeder christliche Verzicht kann nur im Licht der Freude und des Festes der Begegnung mit Jesus Christus verstanden werden.

Die erste Anforderung lädt uns ein, auf unsere familiären Beziehungen zu schauen. Das neue Leben, das der Herr uns ans Herz legt, scheint unbequem und wird für diejenigen zur skandalösen Ungerechtigkeit, die glauben, dass sich der Zugang zum Himmelreich allein auf die Bande des Blutes beschränken oder reduzieren ließe, auf die Zugehörigkeit zu einer bestimmten Gruppe, auf einen Klan oder eine besondere Kultur. Wenn die „Verwandtschaft“ zum entscheidenden und maßgeblichen Schlüssel all dessen wird, was richtig und gut ist, führt dies schließlich dazu, dass einige Verhaltensweisen gerechtfertigt oder sogar „für heilig erklärt“ werden, die zu einer Kultur des Privilegs und des Exklusivismus führen (Günstlingswirtschaft, Klientelismus und somit Korruption). Die vom Meister aufgestellte Forderung bringt uns dazu, den Blick zu erheben, und lehrt uns: Wer auch immer außer Stande ist, den anderen wie einen Bruder zu sehen, sich durch sein Leben und seine Situation anrühren zu lassen, jenseits seiner familiären, kulturellen, sozialen Herkunft, »kann nicht mein Jünger sein« (vgl. Lk 14,26). Seine Liebe und seine Hingabe sind eine unentgeltliche Gabe wegen allen und für alle.

Die zweite Anforderung zeigt uns, wie schwierig es sich erweist, dem Herrn zu folgen, wenn man das Himmelreich mit den eigenen persönlichen Interessen gleichsetzen will oder mit dem Reiz einer Ideologie, die schließlich den Namen Gottes oder die Religion instrumentalisiert, um Akte der Gewalt, der Spaltung und sogar des Mordens, der Verbannung, des Terrorismus und der Ausgrenzung zu rechtfertigen. Die Anforderung des Meisters ermutigt uns, das Evangelium nicht mit traurigen Reduktionsismen zu manipulieren, sondern die Geschichte in Brüderlichkeit und Solidarität, in der unentgeltlichen Achtung der Erde und ihrer Gaben gegen jegliche Form der Ausbeutung zu erbauen; mit dem Wagemut »die Kultur des Dialogs als Weg, die allgemeine Zusammenarbeit als Verhaltensregel und das gegenseitige Verständnis als Methode und Maßstab« zu leben (Dokument über die Brüderlichkeit aller Menschen, Abu Dhabi, 4. Februar 2019); dabei darf man der Versuchung gewisser Doktrinen nicht nachgeben, die unfähig sind, in Erwartung des Gutsherrn den Weizen und das Unkraut gemeinsam wachsen zu sehen (vgl. Mt 13,24-30).

Und schließlich: Wie schwierig kann es sein, das neue Leben zu teilen, das der Herr uns schenkt, wenn wir beständig dazu getrieben werden, uns selbst zu rechtfertigen, weil wir glauben, dass alles ausschließlich von unseren Kräften kommt und von dem, was wir besitzen; wenn der Wettstreit im Ansammeln von Gütern quälend und niederdrückend wird – wie wir in der ersten Lesung gehört haben - und der Egoismus und der Gebrauch unmoralischer Mittel noch verschärft werden! Die Anforderung des Meisters ist eine Einladung, die dankbare Erinnerung zurückzugewinnen und anzuerkennen, dass unser Leben und unsere Fähigkeiten nicht so sehr ein persönlicher Sieg sind, sondern Ergebnis eines Geschenks (vgl. Apostolisches Schreiben Gaudete et exsultate, 55), das zwischen Gott und vielen stillen Händen von Personen gewoben wurde, deren Namen wir erst beim Offenbarwerden des Himmelreiches erfahren werden.

Mit diesen Erfordernissen will der Herr seine Jünger auf das Fest des Anbruchs des Reiches Gottes vorbereiten und sie von jenem zerstörerischen Hindernis befreien, das letztlich eine der schlimmsten Sklavereien ist: für sich selbst zu leben. Es ist die Versuchung, sich in seine eigene kleine Welt zu verschließen, die am Ende wenig Raum für die anderen lässt: Die Armen finden keinen Platz mehr, man hört nicht mehr die Stimme Gottes, man genießt nicht mehr die innige Freude über seine Liebe, es regt sich nicht mehr die Begeisterung, das Gute zu tun. Viele fühlen sich durch dieses Verschließen in sich selbst scheinbar sicher, aber am Ende werden sie zu gereizten, unzufriedenen, leblosen Menschen. Das ist nicht die Wahl eines würdigen und erfüllten Lebens, das ist nicht Gottes Wille für uns, das ist nicht das Leben im Geist, das aus dem Herzen des auferstandenen Christus hervorsprudelt. (vgl. Apostolisches Schreiben Evangelii gaudium, 2).

Auf dem Weg nach Jerusalem lädt uns der Herr mit diesen Anforderungen ein, den Blick zu erheben, unsere Prioritäten richtig zu setzen und vor allem Räume zu schaffen, damit Gott der Mittel- und Angelpunkt unseres Lebens wird.

Schauen wir uns um: Wie viele Männer und Frauen, junge Menschen, Kinder leiden und entbehren alles! Dies gehört nicht zum Plan Gottes. Wie dringend ist diese Einladung Jesu, unserer Verschlossenheit zu sterben, unseren stolzen Individualismen, um zuzulassen, dass der Geist der Brüderlichkeit – der aus der geöffneten Seite Christi hervorströmt, aus der wir als Familie Gottes geboren werden – siegt und jeder sich geliebt fühlen kann, weil er verstanden, angenommen und in seiner Würde geschätzt wird. »Vor der mit Füßen getretenen Menschenwürde steht man oft mit verschränkten Armen da oder lässt sie angesichts der dunklen Macht des Bösen ohnmächtig sinken. Aber ein Christ kann nicht mit gleichgültig verschränkten oder fatalistisch herabhängenden Armen dastehen, nein. Der Gläubige streckt seine Hand aus, wie Jesus es bei ihm tut« (Predigt anlässlich des Welttages der Armen, 18. November 2018).

Das Wort Gottes, das wir gehört haben, lädt uns ein, den Weg wiederaufzunehmen, diesen Qualitätssprung zu wagen und diese Weisheit der persönlichen Loslösung als Grundlage für die Gerechtigkeit und das Leben eines jeden von uns anzunehmen: Denn gemeinsam können wir all diesen Götzendienst bekämpfen, der unsere Aufmerksamkeit auf die trügerischen Sicherheiten der Macht, der Karriere, des Geldes und der Suche nach menschlichen Ehren konzentrieren will.

Die Anforderungen, die Jesus an uns stellt, sind dann nicht mehr schwer, wenn wir beginnen, die Freude des neuen Lebens zu verkosten, das er selbst anbietet: die Freude, die aus dem Wissen darum entspringt, dass er der Erste ist, der uns auf den Straßenkreuzungen aufsucht, auch wenn wir uns wie jenes Schaf oder jener verlorene Sohn verirrt haben. Möge dieser demütige Realismus – Das ist ein Realismus, das ist christlicher Realismus – uns anzutreiben, uns großen Herausforderungen zu stellen und möge er euch den Wunsch eingeben, euer schönes Land zu einem Ort zu machen, an dem das Evangelium zur Lebenswirklichkeit wird und das Leben zur größeren Ehre Gottes gelebt wird.

Entscheiden wir uns und machen wir uns die Pläne des Herrn zu eigen.

[01363-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

El Evangelio nos dice que «mucha gente acompañaba a Jesús» (Lc 14,25). Como esas multitudes que se agrupaban a lo largo del camino de Jesús, muchos de vosotros habéis venido para acoger su mensaje y para seguirlo. Pero bien sabéis que el seguimiento de Jesús no es fácil. Vosotros no habéis descansado, y muchos habéis pasado la noche aquí. El evangelio de Lucas nos recuerda, en efecto, las exigencias de este compromiso.

Es importante evidenciar cómo estas exigencias se dan en el marco de la subida de Jesús a Jerusalén, entre la parábola del banquete donde la invitación está abierta a todos —especialmente para aquellos rechazados que viven en las calles y plazas, en el cruce de caminos—; y las tres parábolas llamadas de la misericordia, donde también se organiza fiesta cuando lo perdido es hallado, cuando quien parecía muerto es acogido, celebrado y devuelto a la vida en la posibilidad de un nuevo comenzar. Toda renuncia cristiana tiene sentido a la luz del gozo y la fiesta del encuentro con Jesucristo.

La primera exigencia nos invita a mirar nuestros vínculos familiares. La vida nueva que el Señor nos propone resulta incómoda y se transforma en sinrazón escandalosa para aquellos que creen que el acceso al Reino de los Cielos sólo puede limitarse o reducirse a los vínculos de sangre, a la pertenencia a determinado grupo, clan o cultura particular. Cuando el “parentesco” se vuelve la clave decisiva y determinante de todo lo que es justo y bueno se termina por justificar y hasta “consagrar” ciertas prácticas que desembocan en la cultura de los privilegios y la exclusión —favoritismos, amiguismos y, por tanto, corrupción—. La exigencia del Maestro nos lleva a levantar la mirada y nos dice: cualquiera que no sea capaz de ver al otro como hermano, de conmoverse con su vida y con su situación, más allá de su proveniencia familiar, cultural, social «no puede ser mi discípulo» (Lc 14,26). Su amor y entrega es una oferta gratuita por todos y para todos.

La segunda exigencia nos muestra lo difícil que resulta el seguimiento del Señor cuando se quiere identificar el Reino de los Cielos con los propios intereses personales o con la fascinación por alguna ideología que termina por instrumentalizar el nombre de Dios o la religión para justificar actos de violencia, segregación e incluso homicidio, exilio, terrorismo y marginación. La exigencia del Maestro nos anima a no manipular el Evangelio con tristes reduccionismos sino a construir la historia en fraternidad y solidaridad, en el respeto gratuito de la tierra y de sus dones sobre cualquier forma de explotación; animándonos a vivir el «diálogo como camino; la colaboración común como conducta; el conocimiento recíproco como método y criterio» (Documento sobre la fraternidad humana, Abu Dhabi, 4 febrero 2019); no cediendo a la tentación de ciertas doctrinas incapaces de ver crecer juntos el trigo y la cizaña en la espera del dueño de la mies (cf. Mt 13,24-30).

Y, por último, ¡qué difícil puede resultar compartir la vida nueva que el Señor nos regala cuando continuamente somos impulsados a justificarnos a nosotros mismos, creyendo que todo proviene exclusivamente de nuestras fuerzas y de aquello que poseemos Cuando la carrera por la acumulación se vuelve agobiante y abrumadora —como escuchamos en la primera lectura— exacerbando el egoísmo y el uso de medios inmorales! La exigencia del Maestro es una invitación a recuperar la memoria agradecida y reconocer que, más bien que una victoria personal, nuestra vida y nuestras capacidades son fruto de un regalo (cf. Exhort. ap. Gaudete et exsultate, 55) tejido entre Dios y tantas manos silenciosas de personas de las cuales sólo llegaremos a conocer sus nombres en la manifestación del Reino de los Cielos.

Con estas exigencias, el Señor quiere preparar a sus discípulos a la fiesta de la irrupción del Reino de Dios liberándolos de ese obstáculo dañino, en definitiva, una de las peores esclavitudes: el vivir para sí. Es la tentación de encerrarse en pequeños mundos que termina dejando poco espacio para los demás: ya no entran los pobres, ya no se escucha la voz de Dios, ya no se goza la dulce alegría de su amor, ya no palpita el entusiasmo por hacer el bien. Muchos, al encerrarse, pueden sentirse “aparentemente” seguros, pero terminan por convertirse en personas resentidas, quejosas, sin vida. Esa no es la opción de una vida digna y plena, ese no es el deseo de Dios para nosotros, esa no es la vida en el Espíritu que brota del corazón de Cristo resucitado (cf. Exhort. ap. Evangelii gaudium, 2).

En el camino hacia Jerusalén, el Señor, con estas exigencias, nos invita a levantar la mirada, a ajustar las prioridades y sobre todo a crear espacios para que Dios sea el centro y eje de nuestra vida.

Miremos nuestro entorno, ¡cuántos hombres y mujeres, jóvenes, niños sufren y están totalmente privados de todo! Esto no pertenece al plan de Dios. Cuán urgente es esta invitación de Jesús a morir a nuestros encierros, a nuestros individualismos orgullosos para dejar que el espíritu de hermandad —que surge del costado abierto de Jesucristo, de donde nacemos como familia de Dios— triunfe, y donde cada uno pueda sentirse amado, porque es comprendido, aceptado y valorado en su dignidad. «Ante la dignidad humana pisoteada, a menudo permanecemos con los brazos cruzados o con los brazos caídos, impotentes ante la fuerza oscura del mal. Pero el cristiano no puede estar con los brazos cruzados, indiferente, ni con los brazos caídos, fatalista: ¡no! El creyente extiende su mano, como lo hace Jesús con él» (Homilía con motivo de la Jornada Mundial de los Pobres, 18 noviembre 2018).

La Palabra de Dios que hemos escuchado nos invita a reanudar el camino y a atrevernos a dar ese salto cualitativo y adoptar esta sabiduría del desprendimiento personal como la base para la justicia y para la vida de cada uno de nosotros: porque juntos podemos darle batalla a todas esas idolatrías que llevan a poner el centro de nuestra atención en las seguridades engañosas del poder, de la carrera y del dinero y en la búsqueda patológica de glorias humanas.

Las exigencias que indica Jesús dejan de ser pesantes cuando comenzamos a gustar la alegría de la vida nueva que él mismo nos propone: la alegría que nace de saber que Él es el primero en salir a buscarnos al cruce de caminos, también cuando estábamos perdidos como aquella oveja o ese hijo pródigo. Que este humilde realismo —es un realismo un realismo cristiano— nos impulse a asumir grandes desafíos, y os dé las ganas de hacer de vuestro bello país un lugar donde el Evangelio se haga vida, y la vida sea para mayor gloria de Dios.

Decidámonos y hagamos nuestros los proyectos del Señor.

[01363-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

Disse-nos o Evangelho que «seguiam com [Jesus] grandes multidões» (Lc 14, 25). À semelhança daquelas multidões que se aglomeravam no percurso de Jesus, também vós viestes em grande número para acolher a sua mensagem e segui-Lo. Mas, como bem sabeis, não é fácil seguir os passos de Jesus. Vocês não repousaram e tantos de vós, passaram aqui a noite. Realmente o evangelho de Lucas lembra-nos, hoje, as exigências deste compromisso.

É importante notar que estas indicações são dadas no quadro da subida de Jesus para Jerusalém, entre a parábola do banquete – onde o convite é aberto a todos, especialmente às pessoas rejeitadas que vivem nas ruas e nas praças, nas encruzilhadas – e as três parábolas ditas da misericórdia, onde se organiza a festa quando a pessoa perdida é reencontrada, quando aquele que parecia morto é recebido, festejado e devolvido à vida pela possibilidade dum novo recomeço. Qualquer renúncia cristã só tem sentido à luz da alegria e da festa do encontro com Jesus Cristo.

A primeira exigência convida-nos a verificar as nossas relações familiares. A vida nova que o Senhor nos propõe parece incómoda e transforma-se numa injustiça escandalosa para quantos creem que é possível limitar ou reduzir o acesso ao Reino dos Céus apenas aos laços de sangue, à pertença a um grupo determinado, a um clã ou a uma cultura particular. Quando o «parentesco» se torna a chave decisiva e determinante de tudo o que é justo e bom, acaba-se por justificar e até mesmo «consagrar» alguns comportamentos que levam à cultura dos privilégios e da exclusão: favoritismos, clientelismos e, consequentemente, corrupção. A exigência do Mestre faz-nos elevar o olhar, dizendo: quem não for capaz de ver o outro como um irmão, deixar-se comover pela sua vida e situação, independentemente da sua origem familiar, cultural e social, «não pode ser meu discípulo» (Lc 14, 26). O seu amor e dedicação são um dom gratuito, invocado por todos e para todos.

A segunda exigência mostra-nos a dificuldade de seguir o Senhor, quando se pretende identificar o Reino dos Céus com os próprios interesses pessoais ou com o fascínio duma ideologia qualquer que acaba por instrumentalizar o nome de Deus ou a religião para justificar atos de violência, a segregação e até o homicídio, o exílio, o terrorismo e a marginalização. A exigência do Mestre encoraja-nos a não manipular o Evangelho com tristes reducionismos, mas construir a história na fraternidade e solidariedade, no respeito gratuito da terra e dos seus dons contra todas as formas de exploração, encorajando-nos a viver o «diálogo como um caminho, a colaboração comum como conduta, o conhecimento mútuo como método e critério» (Documento sobre a fraternidade humana, Abu Dabhi, 4 de fevereiro de 2019); não cedendo à tentação de certas doutrinas incapazes de ver o bom grão e o joio crescerem juntos enquanto se espera o Senhor da messe (cf. Mt 13, 24-30).

E, quanto à última exigência, como pode ser difícil partilhar a vida nova que o Senhor nos oferece, quando nos sentimos continuamente impelidos a buscar a justificação em nós mesmos, crendo que tudo provenha exclusivamente das nossas forças e daquilo que possuímos! Quando a corrida para acumular riqueza se torna molesta e oprimente – como ouvimos na primeira Leitura –, exacerbando o egoísmo e o uso de meios imorais. A exigência do Mestre é um convite a recuperar a memória agradecida e tomar consciência de que a nossa vida e as nossas capacidades, mais do que conquista pessoal, são fruto de um dom (cf. Francisco, Exort. ap. Gaudete e exsultate, 55) tecido por Deus e pelas mãos silenciosas de muitas pessoas, cujos nomes só conheceremos na manifestação do Reino dos Céus.

Com estas exigências, o Senhor quer preparar os seus discípulos para a festa da irrupção do Reino de Deus, libertando-os deste obstáculo perigoso que é, em última instância, uma das piores escravidões: viver para si mesmo. É a tentação de se fechar no seu pequeno mundo, que acaba por deixar pouco espaço aos outros: os pobres já não entram, deixa-se de ouvir a voz de Deus, não mais se rejubila com doce alegria do seu amor, perde-se o entusiasmo de fazer o bem. Quando se fecham, muitas pessoas podem aparentemente sentir-se em segurança, mas acabam por se transformar em pessoas ressentidas, lamurientas, sem vida. Esta não é a opção duma vida digna e plena, não corresponde ao desígnio de Deus a nosso respeito, não é a vida no Espírito que jorra do coração do Cristo ressuscitado (cf. Francisco, Exort. ap. Evangelii gaudium, 2).

No caminho para Jerusalém o Senhor, com estas exigências, convida-nos a elevar o olhar, ajustar as prioridades e sobretudo criar espaços para que Deus seja o centro e o fulcro da nossa vida.

Se olharmos ao nosso redor, quantos homens e mulheres, jovens, crianças sofrem e estão literalmente privados de tudo! Isto não faz parte do plano de Deus. Como é urgente este convite de Jesus a morrer para os nossos confinamentos, os nossos orgulhosos individualismos, a fim de deixar triunfar o espírito de fraternidade – este dimana do lado aberto de Jesus Cristo, donde nascemos como família de Deus – e cada qual possa sentir-se amado, porque compreendido, aceite e valorizado na sua dignidade. «Perante a dignidade humana espezinhada, muitas vezes fica-se de braços cruzados ou então abanam-se os braços, impotentes diante da força obscura do mal. Mas o cristão não pode ficar de braços cruzados, indiferente, nem de braços a abanar, fatalista! Não... O crente estende a mão, como Jesus faz com ele» (Francisco, Homilia por ocasião do Dia Mundial dos Pobres, 18 de novembro de 2018).

A Palavra de Deus, que ouvimos, convida-nos a retomar o caminho, ousando dar este salto qualitativo e adotar esta sabedoria do desapego pessoal como base para a justiça e a vida de cada um de nós; pois, juntos, podemos lutar contra todas estas idolatrias que nos levam a focalizar a nossa atenção nas seguranças ilusórias do poder, da carreira e do dinheiro e na busca de glórias humanas.

As exigências que Jesus indica deixam de ser gravosas quando começamos a saborear a alegria da vida nova que Ele mesmo nos propõe: a alegria que brota de saber que Ele é o primeiro a sair à nossa procura pelas encruzilhadas dos caminhos, quando estamos perdidos como aquela ovelha ou aquele filho pródigo. Possa este humilde realismo – é um realismo, realismo cristão – incitar-nos a assumir os grandes desafios, e vos conceda o desejo de tornar o vosso lindo país num lugar onde o Evangelho se faz vida, e vida para a maior glória de Deus.

Comprometamo-nos e façamos nossos os planos do Senhor.

[01363-PO.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Ewangelia mówiła nam, że „szły z Nim [z Jezusem] wielkie tłumy”(Łk 14,25). Tak jak owe tłumy gromadzące się na drodze Jezusa, wy przybyliście licznie, aby przyjąć Jego orędzie i pójść za Nim. Ale dobrze wiecie, że pójście za Jezusem nie jest odpoczynkiem. Wy nie odpoczywaliście, a wielu z was przeżyło tę noc także tutaj. Ewangelia Łukasza przypomina nam dzisiaj wymagania tego zaangażowania.

Trzeba zauważyć, że te zalecenia wydawane są w kontekście wejścia Jezusa do Jerozolimy, między przypowieścią o uczcie, do udziału w której zaproszeni są wszyscy (zwłaszcza osoby odrzucone, mieszkające na ulicach i placach, na rozstajach dróg); oraz trzech przypowieści mówiących o miłosierdziu, w których wyprawia się ucztę, gdy odnajduje się to, co zostało stracone, gdy ten, który zdawał się martwy zostaje przyjęty, serdecznie powitany i przywrócony do życia, mając szansę na nowy początek. Wszelkie wyrzeczenie chrześcijańskie ma sens jedynie w świetle radości i święta spotkania z Jezusem Chrystusem.

Pierwsze wymaganie zachęca nas do przyjrzenia się naszym relacjom rodzinnym. Nowe życie, które oferuje nam Pan, zdaje się niewygodne i przekształca się w skandaliczną niesprawiedliwość dla tych, którzy sądzą, że dostęp do królestwa niebieskiego może się ograniczać lub sprowadzać jedynie do więzów krwi, przynależności do określonej grupy, do rodu lub określonej kultury. Kiedy „pokrewieństwo” staje się kluczem decydującym i rozstrzygającym o wszystkim, co słuszne i dobre, ostatecznie dochodzimy do usprawiedliwiania, a nawet „uświęcenia” pewnych praktyk prowadzących do kultury przywilejów i wykluczenia (nepotyzm, protekcja, a zatem korupcja). Wymaganie Nauczyciela prowadzi nas do wzniesienia naszego spojrzenia i mówi nam: ktoś, kto nie potrafi postrzegać drugiego jako brata, aby jego życie i sytuacja go poruszyły... niezależnie od jego pochodzenia rodzinnego, kulturowego, społecznego „nie może być moim uczniem” (Łk 14, 26). Jego miłość i poświęcenie to darmowy dar z powodu wszystkich i dla wszystkich.

Drugie wymaganie ukazuje nam trudność podążania za Panem, gdy chcemy utożsamiać królestwo niebieskie ze swoimi interesami osobistymi lub fascynacją jakąś ideologią, która w ostateczności prowadzi do używania imienia Boga lub religii dla uzasadnienia aktów przemocy, dzielenia, a nawet zabójstwa, wygnania, terroryzmu i usuwania na margines. Wymaganie Nauczyciela zachęca nas, abyśmy nie manipulowali Ewangelią za pomocą ponurych redukcjonizmów, ale budowali dzieje w braterstwie i solidarności, w bezinteresownym poszanowaniu ziemi i jej darów przeciw wszelkim formom wyzysku, zachęcając siebie do prowadzenia „dialogu jako drogi; wzajemnej współpracy jako kodeksu postępowania; wzajemnego porozumienia jako metody i standardu”, (Dokument o ludzkim braterstwie, Abu Zabi, 4 lutego 2019); nie ulegając pokusie pewnych doktryn, które nie są w stanie patrzeć na dobre ziarno i kąkol rosnące razem w oczekiwaniu na pana żniwa (por. Mt 13, 24-30).

I wreszcie, jakże trudne może być dzielenie się nowym życiem, które daje nam Pan, gdy jesteśmy nieustannie pobudzani, by usprawiedliwiać się, sądząc, że wszystko pochodzi wyłącznie z naszych sił i tego, co posiadamy!; kiedy pogoń za gromadzeniem staje się dokuczliwa i uciążliwa - jak słyszeliśmy w pierwszym czytaniu - pogłębiając egoizm i stosowanie środków niemoralnych. Wymaganie Nauczyciela jest zachętą, by powrócić do wdzięcznej pamięci i uświadomienia sobie, że nasze życie i nasze zdolności są nie tyle owocem zwycięstwa osobistego, ile daru (por. Adhort. apost. Gaudete i exsultate, 55), zrodzonego między Bogiem a wieloma cichymi rękami osób, których imiona poznamy jedynie wówczas, gdy objawi się królestwo niebieskie.

Z tymi wymaganiami, Pan chce przygotować swoich uczniów na święto nadejścia królestwa Bożego, uwalniając ich od tej niebezpiecznej przeszkody, w ostatecznym rachunku, jednego z najgorszych zniewoleń: życia dla siebie samego. Jest to pokusa zamknięcia się w swoim małym świecie, która doprowadza do pozostawienia niewiele przestrzeni dla innych: ubodzy już nie wkraczają, głos Boga nie jest już słyszany, nie ma już rozkoszowania się słodką radością Jego miłości, nie ma już entuzjazmu dla czynienia dobra... Wiele osób, zamykając się w sobie, może czuć się „pozornie” bezpiecznymi, ale ostatecznie zamieniają się w ludzi drażliwych, narzekających, bez życia. Nie jest to wybór godnego i pełnego życia; nie jest to pragnienie, jakie Bóg żywi względem nas; nie jest to życie w Duchu rodzące się z serca zmartwychwstałego Chrystusa (por. Adhort. apost. Evangelii gaudium, 2).

W drodze do Jerozolimy, Pan poprzez swoje wymagania zachęca nas do spojrzenia w górę, dostosowania priorytetów, a zwłaszcza do stworzenia przestrzeni, aby Bóg był centrum i osią naszego życia.

Spójrzmy na otaczający nas świat - iluż mężczyzn i ile kobiet, ludzi młodych, dzieci cierpi i są całkowicie pozbawieni wszystkiego! To nie należy do Bożego planu. Jakże pilne jest to wezwanie Jezusa, by umrzeć dla naszych zamknięć, dla naszych indywidualizmów i naszej pychy, aby mógł zatriumfować duch braterstwa – emanujący z otwartego boku Jezusa Chrystusa, z którego rodzimy się jako rodzina Boża - i gdzie każdy może czuć się kochany, ponieważ jest rozumiany, akceptowany i doceniany w swojej godności. „W obliczu pogwałcenia ludzkiej godności często pozostajemy z założonymi ramionami lub nam opadają ręce, i jesteśmy bezsilni wobec mrocznej siły zła. Ale chrześcijanin nie może stać obojętnie z założonymi rękami, lub fatalistycznie z opadającymi rękoma. Wierzący wyciąga rękę, tak jak Jezus czyni wobec niego” (Homilia z okazji Światowego Dnia Ubogich, 18 listopada 2018 r.).

Słowo Boże, które usłyszeliśmy, zachęca nas do podjęcia drogi i odważnego dokonania tego skoku jakościowego oraz zastosowania owej mądrości osobistego oderwania jako podstawy dla sprawiedliwości i dla życia każdego z nas: ponieważ razem możemy zwalczyć wszystkie owe bałwochwalstwa, które prowadzą nas do stawiania w centrum naszej uwagi zwodniczego zabezpieczenia władzy, kariery i pieniędzy oraz szukania ludzkiej chwały.

Wymagania wskazywane przez Jezusa przestają być uciążliwe, gdy zaczynamy smakować radości nowego życia, które On nam proponuje: jest to radość, która rodzi się ze świadomości, że On jako pierwszy wychodzi, by nas szukać na rozstajach dróg, nawet kiedy jesteśmy zagubieni jak ta owca czy syn marnotrawny. Niech ten pokorny realizm – jest realizmem, realizmem chrześcijańskim – zachęci nas do podjęcia wielkich wyzwań i obdarzy was pragnieniem uczynienia waszego pięknego kraju miejscem, w którym Ewangelia może stać się życiem i gdzie życie byłoby dla większej chwały Bożej.

Postanówmy i przyswójmy sobie plany Pana.

[01363-PL.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

الزيارة الرّسولية إلى مدغشقر

عظة قداسة البابا فرنسيس خلال القدّاس الإلهي

ميدان إيبارشية سوامندراكيزاي، أنتاناناريفو

الأحد 8 سبتمبر/أيلول 2019

قال لنا الإنجيل: "كانت جُموعٌ كثيرَةٌ تَسيرُ مَعَه" (لو 14، 25). وعلى غرار تلك الجموع التي كانت تتجمع طيلة مسيرة يسوع، أنتم أيضًا قد جئتم بأعداد كبيرة كي تقبلوا رسالته وتتبعوه. لكنكم تعلمون أيضًا أن اتّباع يسوع ليس مريحًا. أنتم لم ترتاحوا، فالكثير منكم قد مضى الليل هنا. واليوم، يذكّرنا إنجيل لوقا بمتطلّبات هذا الالتزام.

من المهمّ أن نلاحظ كيف أن هذه الوصايا قد أُعطِيَت ضمن إطار صعود يسوع إلى أورشليم، بين مثل المأدبة التي يدعى إليها الجميع، (خاصّة المنبوذين الذين يعيشون في الشوارع، وفي الساحات وعلى مفترق الطرق)؛ و"أمثال الرحمة" الثلاثة، حيث يقام احتفال بالعثور على ما قد فُقِدَ، وحيث يُستقبل الشخص الذي بدا وكأنه ميت، ويُحتفل به وتُعطى له الحياة مجدّدًا مع إمكانية البدء من جديد. فلا معنى لأيّة تضحية مسيحيّة، إلّا في ضوء الفرح والاحتفال بلقائنا مع يسوع المسيح.

أوّل المتطلّبات هي أن ننظر إلى علاقاتنا العائليّة. تبدو الحياة الجديدة التي يقدّمها الربّ لنا غير مريحة وتتحوّل إلى ظلم فاضح عند الذين يعتقدون أن دخول ملكوت السماء يقتصر على روابط الدم، أو الانتماء إلى مجموعة معيّنة، أو سبط أو ثقافة معيّنة. عندما تصبح "العائلة" هي المقياس الحاسم والأساسيّ لكلّ ما هو صائب وصالح، ينتهي بنا الأمر إلى تبرير وحتى "تكريس" بعض الممارسات التي تؤدّي إلى ثقافة الامتيازات والاستبعاد (المحسوبيّة والاعتماديّة وبالتالي، الفساد). إن متطلّبات المعلّم تقودنا إلى رفع أعيننا وتقول لنا: الشخص غير القادر على رؤية الآخر كأخ، وأن يتأثّر بحياته ووضعه ... والنظر أبعد من جذوره العائليّة، والثقافيّة والاجتماعيّة "لا يَستَطيعُ أَن يكونَ لي تِلميذًا" (لو 14، 26). حبّه وتفانيه هما هبة مجّانية من الجميع وللجميع.

يوضّح لنا المطلب الثاني صعوبة اتّباع الربّ عندما نريد أن نساوي ملكوت السماوات بمصالحنا الشخصيّة أو بميلنا لأيّ أيديولوجية تقود إلى استخدام اسم الله أو الدين لتبرير أعمال العنف والتمييز وحتى القتل والنفي والإرهاب والتهميش. ويشجّعنا مطلب المعلّم على عدم التلاعب بالإنجيل عبر اختزالات قاتمة، بل على بناء التاريخ بالأخوّة والتضامن، في الاحترام المجّاني للأرض وعطاياها ضدّ جميع أشكال الاستغلال، تشجيعنا على "تَبنِّي ثقافةِ الحوارِ دَرْبًا، والتعاوُنِ المُشتركِ سبيلًا، والتعارُفِ المُتَبادَلِ نَهْجًا وطَرِيقًا" (وثيقة الأخوة الإنسانية، أبو ظبي، 4 فبراير/شباط 2019)؛ من خلال عدم الخضوع لإغراءات تعاليم معيّنة غير قادرة على رؤية القمح ينمو مع الزؤان بانتظار عودة سيّد الحصاد (را. متى 13، 23- 30).

أخيرًا، كم هو صعب المشاركة في الحياة الجديدة التي يقدّمها لنا الربّ عندما نضطرّ باستمرار إلى تبرير أنفسنا، اعتقادًا منّا أن كلّ شيء يأتي حصريًّا من قوّتنا وممّا نملكه! أو عندما يصبح السباق إلى تجميع الممتلكات خانقًا وساحقًا -كما سمعنا في القراءة الأولى- فتتفاقم الأنانيّة ويكثر استخدام الوسائل غير الأخلاقيّة. إن مطلب يسوع هي دعوة لاستعادة الذاكرة الممتنّة ولأن ندرك أن حياتنا وقدراتنا هي أكثر من مجرّد انتصار شخصيّ، هي ثمرة هبة ما (را. الإرشاد الرسولي افرحوا وابتهجوا، 55)؛ هبة منسوجة بين الله والعديد من الأيدي الصامتة، أيدي أشخاص لن نعرف أسمائهم إلّا عند تجلّي ملكوت السماوات.

مع هذه المتطلّبات، يريد الربّ أن يهيّئ تلاميذه لعيد ظهور ملكوت الله، محرّرًا إيّاهم من هذه العقبة الخطيرة التي، في النهاية، هي من أسوأ أنواع العبوديّة: أن نعيش لأنفسنا. أي الميل إلى الانغلاق في عالمنا الصغير الذي يقود إلى ترك مساحة صغيرة للآخرين: لا يدخله الفقراء، ولا نسمع صوت الله، ولا نتمتّع بفرح محبّته اللطيفة، ولا نشعر بحماسة صنع الخير... يمكن للعديد من الناس، في انغلاقهم، أن يشعروا بالأمان "ظاهريًا"، لكنهم يتحوّلون في نهاية المطاف إلى أشخاص يعيشون بمرارة وحزن، لا حياة لهم. هذا ليس خيار حياة كريمة وكاملة، وليس رغبة الله لنا، وليست الحياة في الروح التي تنبع من قلب المسيح القائم من الموت (را. الإرشاد الرسولي فرح الإنجيل، 2).

إن الربّ يدعونا عبر هذه المطالب، وهو في طريقه إلى أورشليم، إلى أن نرفع نظرنا، ونعدّل أولويّاتنا، وقبل كلّ شيء، أن نفسح المجال أمام الله ليكون مركز حياتنا ومحورها.

لنلقِ نظرة على بيئتنا، كم من الرجال والنساء والشبيبة والأطفال يعانون وهم محرومون تمامًا من كلّ شيء! هذا ليس ضمن تدبير الله. كم أن دعوة يسوع هي ملحّة، دعوته للتخلّي عن انغلاقنا، وأنانيّتنا وكبريائنا كيما ينتصر فينا روح الإخاء – الذي ينبع من جنب يسوع المفتوح، وحيث نولد كأسرة لله - وحيث يمكن للجميع أن يشعروا بالحبّ، لأنهم مستوعبون ومقبولون ومقدّرون في كرامتهم. "غالبًا ما يبقى المرء، إزاء الكرامة الإنسانية التي تداس بالأقدام، مكتوف الأيدي أو أن الأيدي تنفتح وهي عاجزة إزاء قوّة الشرّ المظلمة. لكن المسيحيّ لا يستطيع أن يبقى مكتوف الأيدي، غير مبال، أو أيديه مفتوحة وهو قدريّ، كلّا. المؤمن يمدّ يده، كما صنع يسوع معه" (عظة البابا خلال القدّاس الإلهي في اليوم العالمي للفقراء، 18 نوفمبر/تشرين الثاني 2018).

إن كلمة الله التي سمعناها تدعونا إلى متابعة المسيرة وإلى الجرأة على تحقيق هذه القفزة النوعيّة وإلى اعتماد حكمة التخلّي الشخصيّ كأساس للعدالة الاجتماعيّة ولحياتنا الشخصيّة: لأنه باستطاعتنا معًا أن نحارب كلّ تلك الآلهة الكاذبة التي تضع في محور انتباهنا الضمانات الخادعة للسلطة، والحياة المهنيّة، والمال، والبحث عن الأمجاد البشريّة.

إن المتطلّبات التي يشير إليها يسوع تصبح هيِّنة عندما نبدأ في تذوّق فرح الحياة الجديدة التي يقترحها علينا: الفرح الذي يأتي من معرفة أنه هو أوّل من يخرج للبحث عنّا في مفترق الطرق، حتى عندما نضل مثل هذه الخراف أو مثل الابن الضال. عسى أن تحثّنا هذه الواقعيّة المتواضعة –إنها واقعية، واقعية مسيحيّة- على مواجهة التحدّيات العظيمة، وتمنحكم الرغبة في جعل بلدكم الجميل مكانًا يصبح فيه الإنجيل حياة، وتكون فيه الحياة لمجد الله الأعظم.

لنقرّر ولنتبنّى مشاريع الربّ.

[01363-AR.01] [Testo originale: Italiano]

Le parole del Papa alla recita dell’Angelus nel Campo Diocesano di Soamandrakizay

Parole del Papa alla recita dell’Angelus

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Al termine delle Santa Messa Papa Francesco, prima della benedizione finale, ha guidato la recita dell’Angelus con i fedeli presenti nel Campo Diocesano di Soamandrakizay. Dopo la recita dell’Angelus, il Santo Padre ha salutato e ringraziato le autorità presenti ed è rientrato in auto alla Nunziatura Apostolica dove pranza con il seguito Papale.

Pubblichiamo di seguito le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

Parole del Papa alla recita dell’Angelus

Cari fratelli e sorelle, al termine di questa celebrazione, desidero rivolgere un cordiale saluto a tutti voi!

Ringrazio di cuore Mons. Razanakolona per le parole che mi ha rivolto, e con lui gli altri fratelli Vescovi presenti, i sacerdoti, le persone consacrate, i coniugi con le loro famiglie, i catechisti e voi tutti fedeli.

Colgo questa occasione per esprimere la mia viva riconoscenza al Signor Presidente della Repubblica e a tutte le Autorità civili del Paese per la loro premurosa accoglienza, e la estendo a ciascuno di quanti, in diversi modi, hanno contribuito alla buona riuscita di questa mia visita. Il Signore vi ricompensi e benedica tutto il vostro popolo, per intercessione del Beato Rafael Luis Rafiringa, le cui reliquie sono esposte qui presso l’altare, e della Beata Victoire Rasoamanarivo.

Ed ora ci rivolgiamo in preghiera alla Vergine Santa, nel giorno in cui ricordiamo la sua nascita, aurora di salvezza per l’umanità. Maria Immacolata, che voi amate e venerate come vostra Madre e Patrona, accompagni sempre il cammino del Madagascar nella pace e nella speranza.

[01364-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Chers frères et sœurs, à la fin de cette célébration, je désire vous adresser, à vous tous,un cordial salut!

Je remercie de tout cœur Mgr Razanakolona pour les paroles qu’il m’a adressées, et avec lui, je remercie les autres frères Évêques présents, les prêtres, les personnes consacrées, les couples avec leurs familles, les catéchistes et vous tous, les fidèles.

Je saisis cette occasion pour exprimer ma vive reconnaissance à Monsieur le Président de la République et à toutes les Autorités civiles du Pays pour leur accueil attentionné, et je l’étends à chacun de tous ceux qui, de différentes façons, ont contribué au succès de ma visite. Que le Seigneur vous récompense et qu’il bénisse tout votre peuple, par l’intercession du bienheureux Raphaël Louis Rafiringa, dont les reliques sont exposées ici près de l’autel, et de la bienheureuse Victoire Rasoamanarivo.

Et maintenant adressons-nous dans la prière à la Sainte Vierge, en ce jour où nous faisons mémoire de sa naissance, aurore du salut pour l’humanité. Que Marie Immaculée, que vous aimez et vénérez comme votre Mère et Patronne, accompagne toujours le cheminement de Madagascar dans la paix et dans l’espérance.

[01364-FR.01] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

Dear brothers and sisters, at the conclusion of this celebration, I would like to address a cordial greeting to all of you!

From the heart, I thank Archbishop Razanakolona for his kind words, and with him my other brother bishops present, the priests, consecrated persons, married couples and their families, catechists and all the faithful.

I take this occasion to express my deep gratitude to the President of the Republic and the civil authorities of the country for their generous welcome, as well as all those who have contributed in various ways to the successful outcome of my Visit. May the Lord reward you and bless all your people, through the intercession of Blessed Raphaël Louis Rafiringa, whose relics are enshrined near this altar, and Blessed Victoire Rasoamanarivo.

And now, let us turn in prayer to the Blessed Virgin on this day that commemorates her Nativity, the dawn of salvation for humanity. May Mary Immaculate, whom you love and venerate as your Mother and Patroness, ever accompany the journey of Madagascar in peace and hope.

[01364-EN.01] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Liebe Brüder und Schwestern, am Ende dieser Feier möchte ich einen herzlichen Gruß an euch alle richten!

Von Herzen danke ich Erzbischof Razanakolona für seine an mich gerichteten Worte, und ich schließe in diesen Dank alle anwesenden Mitbrüder im Bischofsamt, die Priester, die gottgeweihten Personen, die Eheleute mit ihren Familien, die Katecheten und euch Gläubige alle mit ein.

Bei dieser Gelegenheit möchte ich auch dem Herrn Präsidenten der Republik wie auch allen zivilen Verantwortungsträgern des Landes für den zuvorkommenden Empfang meine Dankbarkeit zum Ausdruck bringen, und diese gilt auch allen, die auf verschiedene Weise zum guten Gelingen dieses Besuchs beigetragen haben. Der Herr vergelte es Ihnen und segne Ihr ganzes Volk. Er begleite es auf die Fürsprache des seligen Rafael Luis Rafiringa, dessen Reliquien hier auf dem Altar ausgestellt sind, sowie der seligen Victoire Rasoamanarivo.

Nun wenden wir uns im Gebet an die selige Jungfrau Maria, an dem Tag, an dem wir das Gedächtnis ihrer Geburt feiern; an sie, die Morgenröte des Heils für die Menschheit. Die unbefleckte Jungfrau Maria, die ihr als eure Mutter und Patronin liebt und verehrt, möge Madagaskar immer auf dem Weg des Friedens und der Hoffnung begleiten.

[01364-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

Queridos hermanos y hermanas: Al concluir esta celebración, deseo dirigir un cordial saludo a todos vosotros.

Agradezco sinceramente a Mons. Razanakolona las palabras que me ha dirigido, y con él a los demás hermanos obispos presentes, a los sacerdotes, a las personas consagradas, a los esposos con sus familias, a los catequistas y a vosotros, todos los fieles.

Aprovecho esta oportunidad para expresar mi profundo agradecimiento al Presidente de la República y a todas las autoridades civiles del país por su amable bienvenida, y lo extiendo a quienes, de diferentes maneras, han contribuido al éxito de mi visita. Que el Señor os recompense y bendiga a todo vuestro pueblo, por intercesión del beato Rafael Luis Rafiringa, cuyas reliquias están expuestas aquí sobre el altar, y de la beata Victoria Rasoamanarivo.

Y ahora nos dirigimos a la Bienaventurada Virgen en oración, el día en que recordamos su nacimiento, aurora de la salvación para la humanidad. Que María Inmaculada, a quien vosotros amáis y veneráis como vuestra Madre y Patrona, acompañe el camino de Madagascar en la paz y en la esperanza.

[01364-ES.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

Queridos irmãos e irmãs, no final desta celebração, desejo dirigir uma saudação cordial a todos vós!

De coração, agradeço a D. Razanakolona pelas palavras que me dirigiu; e, com ele, agradeço aos outros irmãos bispos presentes, aos sacerdotes, às pessoas consagradas, aos esposos com suas famílias, aos catequistas e a todos os fiéis-leigos.

Aproveito a ocasião para expressar a minha viva gratidão ao senhor Presidente da República e a todas as autoridades civis do país pela sua primorosa hospitalidade e estendo o meu reconhecimento a todos e cada um daqueles que contribuíram, de várias formas, para o bom êxito desta minha visita. O Senhor vos recompense, e abençoe a todo o vosso povo, pela intercessão do Beato Rafael Luis Rafiringa, cujas relíquias estão expostas aqui no altar, e da Beata Vitória Rasoamanarivo.

E agora, em oração, dirijamo-nos à Santíssima Virgem, neste dia em que recordamos o seu nascimento, aurora de salvação para a humanidade. Maria Imaculada, a Quem amais e venerais como vossa Mãe e Padroeira, guie sempre na paz e na esperança o caminho de Madagáscar.

[01364-PO.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Drodzy bracia i siostry, na zakończenie tej uroczystości pragnę skierować do was wszystkich serdeczne pozdrowienie!

Z serca dziękuję arcybiskupowi Razanakolonie za skierowane do mnie słowa, a wraz z nim, innym obecnym braciom biskupom, kapłanom, osobom konsekrowanym, małżonkom wraz ich z rodzinami, katechetom i wam wszystkim wiernym.

Przy tej okazji, pragnę wyrazić głęboką wdzięczność Panu Prezydentowi Republiki i wszystkim władzom cywilnym kraju za ich serdeczne przyjęcie i obejmuję nią tych wszystkich, którzy na różne sposoby przyczynili się do powodzenia mojej wizyty. Niech Pan wam wynagrodzi i błogosławi cały wasz naród za wstawiennictwem błogosławionego Rafała Ludwika Rafiringa, którego relikwie znajdują się tutaj na ołtarzu, oraz błogosławionej Wiktorii Rasoamanarivo.

A teraz zwracamy się w modlitwie do Najświętszej Dziewicy, jutrzenki zbawienia dla ludzkości, w dniu, w którym wspominamy Jej narodzenie. Niech Niepokalana Panna Maryja, którą miłujecie i czcicie jako swoją Matkę i Patronkę, zawsze towarzyszy drodze Madagaskaru w pokoju i nadziei.

[01364-PL.01] [Testo originale: Italiano]

[B0673-XX.02]