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Celebrazione eucaristica presieduta da Papa Francesco in occasione dell’anniversario della visita a Lampedusa, 08.07.2019


Omelia del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

 

Alle ore 11 di questa mattina, nella Basilica Vaticana, il Santo Padre Francesco ha presieduto dall’Altare della Cattedra la Celebrazione eucaristica in occasione del VI anniversario della visita a Lampedusa.

Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa ha pronunciato nel corso della Messa:

Omelia del Santo Padre

Oggi la Parola di Dio ci parla di salvezza e di liberazione.

Salvezza. Durante il suo viaggio da Bersabea a Carran, Giacobbe decide di fermarsi a riposare in un luogo solitario. In sogno, vede una scala che in basso poggia sulla terra e in alto raggiunge il cielo (cfr Gen 28,10-22a). La scala, sulla quale salgono e scendono gli angeli di Dio, rappresenta il collegamento tra il divino e l’umano, che si realizza storicamente nell’incarnazione di Cristo (cfr Gv 1,51), offerta amorosa di rivelazione e di salvezza da parte del Padre. La scala è allegoria dell’iniziativa divina che precede ogni movimento umano. Essa è l’antitesi della torre di Babele, costruita dagli uomini che, con le proprie forze, volevano raggiungere il cielo per diventare dèi. In questo caso, invece, è Dio che “scende”, è il Signore che si rivela, è Dio che salva. E l’Emmanuele, il Dio-con-noi, realizza la promessa di mutua appartenenza tra il Signore e l’umanità, nel segno di un amore incarnato e misericordioso che dona la vita in abbondanza.

Di fronte a questa rivelazione, Giacobbe compie un atto di affidamento al Signore, che si traduce in un impegno di riconoscimento e adorazione che segna un momento essenziale nella storia della salvezza. Chiede al Signore di proteggerlo nel difficile viaggio che dovrà proseguire e dice: «Il Signore sarà il mio Dio» (Gen 28,21).

Facendo eco alle parole del patriarca, al Salmo abbiamo ripetuto: “Mio Dio, in te confido”. È Lui il nostro rifugio e la nostra fortezza, scudo e corazza, àncora nei momenti di prova. Il Signore è riparo per i fedeli che lo invocano nella tribolazione. Del resto è proprio in questi frangenti che la nostra preghiera si fa più pura, quando ci accorgiamo che valgono poco le sicurezze che offre il mondo e non ci resta che Dio. Solo Dio spalanca il Cielo a chi vive in terra. Solo Dio salva.

E questo totale ed estremo affidamento è ciò che accomuna il capo della sinagoga e la donna malata nel Vangelo (cfr Mt 9,18-26). Sono episodi di liberazione. Entrambi si avvicinano a Gesù per ottenere da Lui ciò che nessun altro può dare loro: liberazione dalla malattia e dalla morte. Da una parte abbiamo la figlia di una delle autorità della città; dall’altra abbiamo una donna afflitta da una malattia che fa di lei una reietta, una emarginata, una persona impura. Ma Gesù non fa distinzioni: la liberazione è elargita generosamente in entrambi i casi. Il bisogno pone entrambe, la donna e la fanciulla, tra gli “ultimi” da amare e rialzare.

Gesù rivela ai suoi discepoli la necessità di un’opzione preferenziale per gli ultimi, i quali devono essere messi al primo posto nell’esercizio della carità. Sono tante le povertà di oggi; come ha scritto San Giovanni Paolo II, i «“poveri”, nelle molteplici dimensioni della povertà, sono gli oppressi, gli emarginati, gli anziani, gli ammalati, i piccoli, quanti vengono considerati e trattati come “ultimi” nella società» (Esort. ap. Vita consecrata, 82).

In questo sesto anniversario della visita a Lampedusa, il mio pensiero va agli “ultimi” che ogni giorno gridano al Signore, chiedendo di essere liberati dai mali che li affliggono. Sono gli ultimi ingannati e abbandonati a morire nel deserto; sono gli ultimi torturati, abusati e violentati nei campi di detenzione; sono gli ultimi che sfidano le onde di un mare impietoso; sono gli ultimi lasciati in campi di un’accoglienza troppo lunga per essere chiamata temporanea. Essi sono solo alcuni degli ultimi che Gesù ci chiede di amare e rialzare. Purtroppo le periferie esistenziali delle nostre città sono densamente popolate di persone scartate, emarginate, oppresse, discriminate, abusate, sfruttate, abbandonate, povere e sofferenti. Nello spirito delle Beatitudini siamo chiamati a consolare le loro afflizioni e offrire loro misericordia; a saziare la loro fame e sete di giustizia; a far sentire loro la paternità premurosa di Dio; a indicare loro il cammino per il Regno dei Cieli. Sono persone, non si tratta solo di questioni sociali o migratorie! “Non si tratta solo di migranti!”, nel duplice senso che i migranti sono prima di tutto persone umane, e che oggi sono il simbolo di tutti gli scartati della società globalizzata.

Viene spontaneo riprendere l’immagine della scala di Giacobbe. In Gesù Cristo il collegamento tra la terra e il Cielo è assicurato e accessibile a tutti. Ma salire i gradini di questa scala richiede impegno, fatica e grazia. I più deboli e vulnerabili devono essere aiutati. Mi piace allora pensare che potremmo essere noi quegli angeli che salgono e scendono, prendendo sottobraccio i piccoli, gli zoppi, gli ammalati, gli esclusi: gli ultimi, che altrimenti resterebbero indietro e vedrebbero solo le miserie della terra, senza scorgere già da ora qualche bagliore di Cielo.

Si tratta, fratelli e sorelle, di una grande responsabilità, dalla quale nessuno si può esimere se vogliamo portare a compimento la missione di salvezza e liberazione alla quale il Signore stesso ci ha chiamato a collaborare. So che molti di voi, che sono arrivati solo qualche mese fa, stanno già aiutando i fratelli e le sorelle che sono giunti in tempi più recenti. Voglio ringraziarvi per questo bellissimo segno di umanità, gratitudine e solidarietà.

[01197-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

La Parole de Dieu nous parle aujourd’hui de salut et de libération.

Salut. Au cours de son voyage de Bershéba à Harane, Jacob décide de s’arrêter pour se reposer dans un lieu solitaire. Il voit en rêve une échelle qui s’appuie sur la terre et rejoint le ciel (cf. Gn 28, 10-22a). L’échelle, sur laquelle les anges de Dieu montent et descendent, représente le lien entre le divin et l’humain, qui se réalise historiquement dans l’incarnation du Christ (cf. Jn 1, 51), offrande amoureuse de révélation et de salut de la part du Père. L’échelle est une allégorie de l’initiative divine qui précède tout mouvement humain. Elle est l’antithèse de la tour de Babel, construite par les hommes qui, de leurs propres forces, voulaient atteindre le ciel pour devenir des dieux. Ici, au contraire, c’est Dieu qui descend, c’est le Seigneur qui se révèle, c’est Dieu qui sauve. Et l’Emmanuel, le Dieu-avec-nous, accomplit la promesse d’appartenance réciproque entre le Seigneur et l’humanité, dans le signe d’un amour incarné et miséricordieux qui donne la vie en abondance.

Face à cette révélation, Jacob fait un acte de confiance envers le Seigneur, qui se traduit par un engagement de reconnaissance et d’adoration, et qui marque un moment essentiel dans l’histoire du salut. Il demande au Seigneur de le protéger dans le difficile voyage qu’il devra faire et il dit: «Le Seigneur sera mon Dieu » (Gn 28, 21).

Faisant écho aux paroles du patriarche, nous avons répété dans le psaume: «Mon Dieu, en toi je me confie ». C’est lui notre refuge et notre force, notre bouclier et notre armure, même dans les moments d’épreuve. Le Seigneur est un refuge pour les fidèles qui l’invoquent dans la tribulation. C’est d’ailleurs dans ces moments que notre prière devient plus pure, lorsque nous nous apercevons que les sécurités que nous donne le monde ne valent pas grand-chose et qu’il ne nous reste que Dieu. Dieu seul ouvre tout grand le Ciel à ceux qui vivent sur terre. Dieu seul sauve.

Et cette confiance totale et ultime, le chef de la Synagogue et la femme malade de l’Evangile l’ont en commun (cf. 9, 18-26). Ce sont des épisodes de libération. Tous les deux s’approchent de Jésus pour obtenir de lui ce que personne d’autre ne peut leur donner: la libération de la maladie et de la mort. Nous avons d’un côté la fille de l’une des autorités de la ville; de l’autre, une femme frappée par une maladie qui fait d’elle une exclue, une marginale, une personne impure. Mais Jésus ne fait pas de différences: la libération est donnée généreusement dans les deux cas. Le besoin place les deux, la femme et la fillette, parmi les “derniers” à aimer et à relever.

Jésus révéle à ses disciples la nécessité d’une option préférentielle pour les derniers qui doivent être mis à la première place dans l’exercice de la charité. Il y a beaucoup de pauvreté aujourd’hui; comme l’a écrit Saint Jean Paul II,«les “pauvres”, dans les multiples dimensions de la pauvreté, ce sont les opprimés, les marginaux, les personnes âgées, les malades, les petits, tous ceux qui sont considérés et traités comme les “derniers” dans la société» (Exhort. ap. Vita consecrata, n.82).

En ce sixième anniversaire de ma visite à Lampedusa, ma pensée va vers les “derniers” qui, chaque jour, crient vers le Seigneur, demandant d’être libérés des maux qui les affligent. Ce sont les derniers abusées et abandonnés qui meurent dans le désert; ce sont les derniers torturés, maltraités et violentés dans les camps de détention; ce sont les derniers qui défient les flots d’une mer impétueuse; ce sont les derniers abandonnés dans des camps pour un accueil trop long pour être appelé provisoire. Ce sont là seulement quelques-uns de ces derniers que Jésus nous demande d’aimer et de relever. Malheureusement, les périphéries existentielles de nos villes sont peuplées de personnes exclues, marginalisées, opprimées, discriminées, abusées, exploitées, abandonnées, pauvres et souffrantes. Dans l’esprit des Béatitudes nous sommes appelés à les consoler de leurs maux et à leur offrir la miséricorde; à assouvir leur faim et leur soif de justice; à leur faire sentir la prévenante paternité de Dieu; à leur montrer le chemin du Règne des Cieux. Ce sont des personnes. Il ne s’agit pas seulement de questions sociales ou migratoires! “Ce ne sont pas seulement des migrants! ”, au sens où les migrants sont avant tout des personnes humaines, et au sens où ils sont aujourd’hui le symbole de tous les exclus de la société globalisée.

Je reprendrais spontanément l’image de l’échelle de Jacob. En Jésus Christ, le lien entre la terre et le Ciel est sûr et accessible à tous. Mais monter les échelons de cette échelle demande engagement, fatigue et grâce. Les plus faibles et les plus vulnérables doivent être aidés. J’aime alors penser que nous pourrions être ces anges qui montent et descendent, en prenant sous le bras les petits, les boiteux, les malades, les exclus: les derniers qui, autrement, resteraient en arrière et verraient seulement les misères de la terre, sans percevoir dès maintenant quelque lueur du Ciel.

Il s’agit, frères et sœurs, d’une grande responsabilité dont personne ne peut s’exonérer si nous voulons achever la mission de salut à laquelle le Seigneur lui-même nous a appelés à collaborer. Je sais que beaucoup d’entre vous qui sont arrivés il y a seulement quelques mois aident déjà leurs frères et sœurs qui sont arrivés plus récemment. Je veux vous remercier pour ce très beau signe d’humanité, de gratitude et de solidarité.

[01197-FR.01] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

Today the word of God speaks to us of salvation and liberation.

Salvation. During his journey from Beersheba to Haran, Jacob decides to stop and rest in a solitary place. In a dream, he sees a ladder: its base rests on the earth and its top reaches to heaven (cf. Gen 28:10-22). The ladder, on which angels of God are ascending and descending, represents the connection between the divine and the human, fulfilled historically in Christ’s incarnation (cf. Jn 1:51), which was the Father’s loving gift of revelation and salvation. The ladder is an allegory of the divine action that precedes all human activity. It is the antithesis of the Tower of Babel, built by men with their own strength, who wanted to reach heaven to become gods. In this case, however, it is God who comes down; it is the Lord who reveals himself; it is God who saves. And Emmanuel, God-with-us, fulfils the promise of mutual belonging between the Lord and humanity, in the sign of an incarnate and merciful love that gives life in abundance.

Faced with this revelation, Jacob makes an act of trust in the Lord, which becomes a work of recognition and adoration that marks a key moment in the history of salvation. He asks the Lord to protect him on the difficult journey he must make, and says: “The Lord shall be my God” (Gen 28:21).

Echoing the words of the patriarch, we repeated in the psalm: “O my God, I trust in you”. He is our refuge and our strength, our shield and our armour, our anchor in times of trial. The Lord is a refuge for the faithful who call on him in times of tribulation. For it is indeed at such moments that our prayer is made purer, when we realize that the security the world offers has little worth, and only God remains. God alone opens up heaven for those who live on earth. Only God saves.

This total and absolute trust is shared by the head of the synagogue and the sick woman in the Gospel (cf. Mt 9:18-26). These are scenes of liberation. Both draw close to Jesus in order to obtain from him what no one else can give them: liberation from sickness and from death. On the one hand, there is the daughter of one of the city authorities; on the other, a woman afflicted by a sickness that has made her an outcast, marginalized, someone impure. But Jesus makes no distinctions: liberation is generously given to each of them. Their longing places both the woman and the girl among the “least” who are to be loved and raised up.

Jesus reveals to his disciples the need for a preferential option for the least, those who must be given the front row in the exercise of charity. There are many forms of poverty today; as Saint John Paul II wrote: “The ‘poor’, in varied states of affliction, are the oppressed, those on the margin of society, the elderly, the sick, the young, any and all who are considered and treated as ‘the least’” (Apostolic Exhortation Vita Consecrata, 82).

On this sixth anniversary of the visit to Lampedusa, my thoughts go out to those “least ones” who daily cry out to the Lord, asking to be freed from the evils that afflict them. These least ones are abandoned and cheated into dying in the desert; these least ones are tortured, abused and violated in detention camps; these least ones face the waves of an unforgiving sea; these least ones are left in reception camps too long for them to be called temporary. These are only some of the least ones who Jesus asks us to love and raise up. Unfortunately the existential peripheries of our cities are densely populated with persons who have been thrown away, marginalized, oppressed, discriminated against, abused, exploited, abandoned, poor and suffering. In the spirit of the Beatitudes we are called to comfort them in their affliction and offer them mercy; to sate their hunger and thirst for justice; to let them experience God’s caring fatherliness; to show them the way to the Kingdom of Heaven. They are persons; these are not mere social or migrant issues! “This is not just about migrants”, in the twofold sense that migrants are first of all human persons, and that they are the symbol of all those rejected by today’s globalized society.

We spontaneously return to the image of Jacob’s ladder. In Christ Jesus, the connection between earth and heaven is guaranteed and is accessible to all. Yet climbing the steps of this ladder requires commitment, effort and grace. The weakest and most vulnerable must to be helped. I like to think that we could be those angels ascending and descending, taking under our wings the little ones, the lame, the sick, those excluded: the least ones, who would otherwise stay behind and would experience only grinding poverty on earth, without glimpsing in this life anything of heaven’s brightness.

This is, brothers and sisters, a tremendous responsibility, from which no one is exempt if we wish to fulfil the mission of salvation and liberation in which the Lord himself has called us to cooperate. I know that many of you, who arrived just a few months ago, are already assisting brothers and sisters who have come even more recently. I want to thank you for this most beautiful example of humanity, gratitude and solidarity.

[01197-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Heute spricht das Wort Gottes zu uns von Heil und Befreiung.

Heil. Auf seiner Reise von Beerscheba nach Haran beschließt Jakob, an einem einsamen Ort anzuhalten und sich auszuruhen. Im Traum sieht er eine Treppe, die auf der Erde steht und deren Spitze bis zum Himmel reicht (vgl. Gen 28,10-22a). Die Treppe, auf der die Engel Gottes auf- und niedersteigen, stellt jene Verbindung zwischen dem göttlichen und dem menschlichen Bereich dar, die geschichtlich in der Menschwerdung Christi Wirklichkeit wird (vgl. Joh 1,51). Die Menschwerdung Christi ist das liebevolle Geschenk, in dem der himmlische Vater sich und sein Heil offenbart. Die Treppe ist eine Allegorie dieser göttlichen Initiative, die jeder menschlichen Regung vorausgeht. Sie ist das Gegenstück zum Turm von Babel, der von Menschen gebaut wurde, die mit ihren eigenen Kräften den Himmel erreichen wollten, um Götter zu werden. In diesem Fall jedoch ist es Gott, der „herabsteigt“, es ist der Herr, der sich offenbart, es ist Gott, der rettet. Und der Immanuel, der Gott mit uns, erfüllt die Verheißung gegenseitiger Zugehörigkeit zwischen dem Herrn und der Menschheit im Zeichen einer fleischgewordenen und barmherzigen Liebe, die Leben in Fülle schenkt.

Angesichts dieser Offenbarung vollzieht Jakob einen Akt des Vertrauens in den Herrn, der in dem Versprechen, Gott die Ehre zu erweisen und ihn anzubeten, seinen Ausdruck findet und einen wesentlichen Moment in der Heilsgeschichte darstellt. Er bittet den Herrn, ihn auf dem schwierigen Weg zu behüten, den er zu gehen hat, und er sagt: »Dann wird der Herr für mich Gott sein« (Gen 28,21).

In Anlehnung an die Worte des Patriarchen Jakob haben wir im Psalm wiederholt: „Mein Gott, auf dich vertraue ich“. Er ist unsere Zuflucht und unsere Festung, er ist uns Schild und Schutz, ein Anker in den Momenten der Prüfung. Der Herr ist Zuflucht für die Gläubigen, die in der Bedrängnis zu ihm rufen. Denn gerade in diesen Situationen wird unser Gebet reiner, wenn wir erkennen, dass die weltlichen Sicherheiten von geringem Wert sind und dass uns nichts anderes bleibt als Gott. Nur Gott reißt die Himmel auf für die, die auf Erden leben. Nur Gott rettet.

Und dieses totale und extreme Vertrauen ist es, was den Synagogenvorsteher und die kranke Frau im Evangelium verbindet (vgl. Mt 9,18-26). Es sind Ereignisse der Befreiung. Beide kommen zu Jesus, um von ihm das zu erhalten, was niemand sonst ihnen geben kann: die Befreiung von Krankheit und Tod. Auf der einen Seite haben wir die Tochter einer einflussreichen Persönlichkeit der Stadt; auf der anderen Seite haben wir eine Frau, die von einer Krankheit befallen ist, die sie zu einer geächteten, ausgestoßenen und unreinen Person macht. Aber Jesus macht keine Unterschiede: In beiden Fällen wird großzügig Befreiung gewährt. Ihre Not macht sowohl die Frau als auch das Mädchen zu „Letzten“, die zu lieben und aufzurichten sind.

Jesus offenbart seinen Jüngern die Notwendigkeit einer Option für die Letzten, die bei der Ausübung der Nächstenliebe an erster Stelle stehen müssen. Es gibt heute viele Arten von Armut. In diesem Zusammenhang schrieb der heilige Johannes Paul II. einmal Folgendes: »„Arme“ in den vielfältigen Dimensionen der Armut sind die Unterdrückten, die Ausgegrenzten, die Alten, die Kranken, die Kleinen und alle, die als „Letzte“ in der Gesellschaft angesehen und behandelt werden« (Apostolisches Schreiben Vita consecrata, 82).

An diesem sechsten Jahrestag meines Besuchs in Lampedusa bin ich mit meinen Gedanken bei diesen „Letzten“, die jeden Tag zum Herrn schreien und darum bitten, von den Übeln befreit zu werden, die sie quälen. Die Letzten, das sind die, die getäuscht und verlassen werden, um in der Wüste zu sterben; die Letzten sind die, die in Gefangenenlagern gefoltert, missbraucht und verletzt werden; die Letzten sind die, die den Wellen eines erbarmungslosen Meeres trotzen; die Letzten sind die, die zu lange in Auffanglagern gelassen werden, als dass man ihren Aufenthalt dort als temporär bezeichnen könnte. Dies sind nur einige von diesen Letzten, die zu lieben und aufzurichten Jesus uns aufgetragen hat. Leider sind die bestehenden Peripherien unserer Städte dicht besiedelt mit verworfenen, ausgegrenzten, unterdrückten, diskriminierten, missbrauchten, ausgebeuteten, verlassenen, armen und leidenden Menschen. Im Geiste der Seligpreisungen sind wir berufen, ihre Leiden zu lindern und ihnen mit Barmherzigkeit zu begegnen; ihren Hunger und Durst nach Gerechtigkeit zu stillen; sie die fürsorgliche Väterlichkeit Gottes spüren zu lassen; ihnen den Weg zum Himmelreich zu zeigen. Sie sind Menschen, es geht hier nicht nur um Fragen des Sozialen oder der Migration! „Es geht nicht nur um Migranten“, in dem doppelten Sinne nämlich, dass Migranten in erster Linie Menschen sind und dass sie heute ein Symbol für alle sind, die von der globalisierten Gesellschaft als Abfall behandelt werden.

Damit kommen wir wieder auf das Bild der Jakobsleiter zurück. In Jesus Christus ist die Verbindung zwischen Erde und Himmel gesichert und für alle zugänglich. Aber das Emporsteigen der Stufen auf dieser Treppe erfordert Engagement, Anstrengung und Gnade. Den Schwächsten und Verletzlichsten muss geholfen werden. Mir gefällt der Gedanke, dass wir jene Engel sein könnten, die auf- und niedersteigen und die Kleinen, die Lahmen, die Kranken, die Ausgeschlossenen in ihre Obhut nehmen: die Letzten, die sonst zurückbleiben würden und nur das Elend dieser Welt zu sehen bekämen, ohne jetzt schon etwas vom himmlischen Licht mitzubekommen.

Dies ist, Brüder und Schwestern, eine große Verantwortung, der sich niemand entziehen kann, wenn wir den Auftrag der Erlösung und Befreiung erfüllen wollen, an dem mitzuwirken der Herr selbst uns berufen hat. Ich weiß, dass viele von euch, die erst vor wenigen Monaten angekommen sind, bereits den Brüdern und Schwestern helfen, die in noch jüngerer Zeit hier eintrafen. Ich möchte euch für dieses schöne Zeichen der Menschlichkeit, Erkenntlichkeit und Solidarität meinen Dank aussprechen.

[01197-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

Hoy la Palabra de Dios nos habla de salvación y liberación.

Salvación. Durante su viaje desde Berseba a Jarán, Jacob decide detenerse y descansar en un lugar solitario. Tuvo un sueño en el que vio una escalera apoyada en la tierra y cuya cima tocaba el cielo (cf. Gn 28,10-22). La escalera, por la que los ángeles de Dios subían y bajaban, representa la unión entre lo divino y lo humano, que se cumplió históricamente en la encarnación de Cristo (cf. Jn 1,51), una ofrenda amorosa de revelación y salvación por parte del Padre. La escalera es una alegoría de la iniciativa divina que precede a todo movimiento humano. Es la antítesis de la torre de Babel, construida por hombres que con sus propias fuerzas querían alcanzar el cielo para convertirse en dioses. En este caso, por el contrario, es Dios quien “baja”, es el Señor quien se revela a sí mismo, es Dios quien salva. Y el Emmanuel, el Dios-con-nosotros, cumple la promesa de que el Señor y la humanidad se pertenezcan mutuamente, en el signo de un amor encarnado y misericordioso que da la vida en abundancia.

Frente a esta revelación, Jacob realiza un acto de entrega al Señor, que se traduce en un compromiso de reconocimiento y adoración que marca un momento esencial en la historia de la salvación. Le pide al Señor que lo proteja en el difícil viaje que tendrá que proseguir y dice: «El Señor será mi Dios» (Gn 28,21).

Como un eco de las palabras del patriarca, hemos repetido en el Salmo: «Dios mío, confío en ti». Él es nuestro refugio y fortaleza, nuestro escudo y armadura, ancla en los momentos de prueba. El Señor es refugio para los fieles que lo invocan en la tribulación. Por lo demás, precisamente en estas situaciones es donde nuestra oración se vuelve más pura, cuando nos damos cuenta de que las seguridades que ofrece el mundo valen poco y no nos queda más que Dios. Sólo Dios abre el Cielo al que vive en la tierra. Sólo Dios salva.

Y este confiar de modo total y extremo es lo que une al jefe de la sinagoga y a la mujer enferma en el Evangelio (cf. Mt 9,18-26). Son episodios de liberación. Ambos se acercan a Jesús para obtener de él lo que ningún otro les puede dar: la liberación de la enfermedad y la muerte. Por una parte, tenemos a la hija de una de las autoridades de la ciudad; por otra, tenemos a una mujer que padece una enfermedad que la convierte en una excluida, una marginada, una persona impura. Pero Jesús no hace distinciones: la liberación se concede generosamente en ambos casos. La necesidad coloca a las dos, a la mujer y a la niña, entre esos “últimos” que hay que amar y levantar.

Jesús revela a sus discípulos la necesidad de una opción preferencial por los últimos, que han de ser puestos en el primer lugar en el ejercicio de la caridad. Son muchas las pobrezas de hoy; como escribió san Juan Pablo II, los «“pobres”, en las múltiples dimensiones de la pobreza, son los oprimidos, los marginados, los ancianos, los enfermos, los pequeños y cuantos son considerados y tratados como los “últimos” en la sociedad» (Exhort. ap. Vita consecrata, 82).

En este sexto aniversario de mi visita a Lampedusa, pienso en los “últimos” que todos los días claman al Señor, pidiendo ser liberados de los males que los afligen. Son los últimos engañados y abandonados para morir en el desierto; son los últimos torturados, maltratados y violados en los campos de detención; son los últimos que desafían las olas de un mar despiadado; son los últimos dejados en campos de una acogida que es demasiado larga para ser llamada temporal. Son sólo algunos de los últimos que Jesús nos pide que amemos y ayudemos a levantarse. Desafortunadamente, las periferias existenciales de nuestras ciudades están densamente pobladas por personas descartadas, marginadas, oprimidas, discriminadas, abusadas, explotadas, abandonadas, pobres y sufrientes. En el espíritu de las Bienaventuranzas, estamos llamados a consolarlas en sus aflicciones y a ofrecerles misericordia; a saciar su hambre y sed de justicia; a que sientan la paternidad premurosa de Dios; a mostrarles el camino al Reino de los Cielos. ¡Son personas, no se trata sólo de cuestiones sociales o migratorias! “No se trata sólo de migrantes”, en el doble sentido de que los migrantes son antes que nada seres humanos, y que hoy son el símbolo de todos los descartados de la sociedad globalizada.

Aparece como algo natural el retomar la imagen de la escalera de Jacob. En Jesucristo, la conexión entre la tierra y el cielo es segura y accesible para todos. Pero subir los escalones de esta escalera requiere compromiso, esfuerzo y gracia. Hay que ayudar a los más débiles y vulnerables. Me gusta pensar, entonces, que podríamos ser nosotros aquellos ángeles que suben y bajan, tomando bajo el brazo a los pequeños, los cojos, los enfermos, los excluidos: los últimos, que de otra manera se quedarían atrás y verían sólo las miserias de la tierra, sin descubrir ya desde este momento algún resplandor del cielo.

Esta es, hermanos y hermanas, una gran responsabilidad, de la que nadie puede estar exento si queremos llevar a cabo la misión de salvación y liberación a la que el mismo Señor nos ha llamado a colaborar. Sé que muchos de vosotros, que habéis llegado hace tan sólo unos meses, ya estáis ayudando a los hermanos y hermanas que han venido recientemente. Quiero agradeceros este hermoso signo de humanidad, gratitud y solidaridad.

[01197-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

Hoje, a Palavra de Deus fala-nos de salvação e libertação.

Salvação. Durante a sua viagem de Bersabé para Harã, Jacob decide parar e descansar num lugar solitário. Em sonho, vê uma escada cujo pé assenta na terra e o topo toca o céu (cf. Gn 28, 10-22a). A escada, pela qual sobem e descem os anjos de Deus, representa a ligação entre o divino e o humano, que se realiza historicamente na encarnação de Cristo (cf. Jo 1, 51), amorosa oferta de revelação e salvação por parte do Pai. A escada é alegoria da iniciativa divina que antecede todo e qualquer movimento humano. É a antítese da torre de Babel, construída pelos homens que queriam, com as suas forças, chegar ao céu para se tornarem deuses. Neste caso, ao contrário, é Deus que «desce», é o Senhor que Se revela, é Deus que salva. E o Emanuel, o Deus-connosco, realiza a promessa de pertença mútua entre o Senhor e a humanidade, no sinal dum amor encarnado e misericordioso que dá a vida em abundância.

À vista desta revelação, Jacob realiza um ato de entrega ao Senhor, que se traduz num compromisso de reconhecimento e adoração que marca um momento essencial na história da salvação. Pede ao Senhor que o proteja ao longo do caminho difícil que está a fazer e diz: «O Senhor será o meu Deus» (Gn 28, 21).

Dando eco às palavras do Patriarca, repetimos no Salmo: «Meu Deus, em Vós confio». Ele é o nosso refúgio e nossa fortaleza, escudo e couraça, âncora nos momentos de prova. O Senhor é abrigo para os fiéis que O invocam na tribulação. Aliás, é precisamente nestes momentos que a nossa oração se torna mais pura, isto é, quando nos damos conta de que as certezas oferecidas pelo mundo pouco valem, e nada mais nos resta senão Deus: só Deus abre de par em par o Céu a quem vive na terra; só Deus salva.

E esta entrega total e extrema é precisamente o elemento comum entre o chefe da sinagoga e a mulher hemorroíssa, no Evangelho (cf. Mt 9, 18-26). São episódios de libertação. Ambos se aproximam de Jesus para obter d’Ele o que mais ninguém lhes pode dar: libertação da doença e da morte. Dum lado, temos a filha duma das autoridades da cidade; do outro, uma mulher atribulada por uma doença que faz dela uma excluída, uma marginalizada, uma pessoa impura. Mas Jesus não faz distinções: a libertação é concedida generosamente em ambos os casos. A necessidade coloca a ambas – a mulher e a menina – entre os «últimos» que devemos amar e levantar.

Jesus revela aos seus discípulos a necessidade duma opção preferencial pelos últimos, que hão de ocupar o primeiro lugar no exercício da caridade. São tantas as pobrezas de hoje! Como escreveu São João Paulo II, «“pobres”, nas várias aceções da pobreza, são os oprimidos, os marginalizados, os idosos, os doentes, as crianças, todos aqueles que são considerados e tratados como “últimos” na sociedade» (Exort. ap. Vita consecrata, 82).

Neste sexto aniversário da visita a Lampedusa, penso nos «últimos» que diariamente clamam ao Senhor, pedindo para ser libertados dos males que os afligem. São os últimos enganados e abandonados a morrer no deserto; são os últimos torturados, abusados e violentados nos campos de detenção; são os últimos que desafiam as ondas dum mar impiedoso; são os últimos deixados em acampamentos de acolhimento (demasiado longo, para ser chamado de temporário). Estes são apenas alguns dos últimos que Jesus nos pede para amar e levantar. Infelizmente, as periferias existenciais das nossas cidades estão densamente povoadas de pessoas que foram descartadas, marginalizadas, oprimidas, discriminadas, abusadas, exploradas, abandonadas, de pessoas pobres e sofredoras. No espírito das Bem-aventuranças, somos chamados a acudir misericordiosamente às suas aflições; saciar a sua fome e sede de justiça; fazer-lhes sentir a solícita paternidade de Deus; mostrar-lhes o caminho para o Reino dos Céus. São pessoas; não se trata apenas de questões sociais ou migratórias! «Não se trata apenas de migrantes!», no duplo sentido de que os migrantes são, antes de mais nada, pessoas humanas e que, hoje, são o símbolo de todos os descartados da sociedade globalizada.

Retorna espontaneamente à mente a imagem da escada de Jacob. Em Jesus Cristo, está assegurada e é acessível a todos a ligação entre a terra e o Céu. Mas subir os degraus desta escada requer empenho, esforço e graça. Os mais frágeis e vulneráveis devem ser ajudados. Apraz-me pensar que poderíamos ser, nós, aqueles anjos que sobem e descem, pegando ao colo os pequenos, os coxos, os doentes, os excluídos: os últimos, que caso contrário ficariam para trás e veriam apenas as misérias da terra, sem vislumbrar já desde agora algum clarão do Céu.

Trata-se, irmãos e irmãs, duma grande responsabilidade, da qual ninguém se pode eximir, se quiser levar a cabo a missão de salvação e libertação na qual fomos chamados a colaborar pelo próprio Senhor. Sei que muitos de vós, chegados apenas há alguns meses, já estais a ajudar irmãos e irmãs que chegaram depois. Quero agradecer-vos por este estupendo sinal de humanidade, gratidão e solidariedade.

[01197-PO.02] [Texto original: Italiano]

[B0581-XX.02]