Visita alla Cattedrale di Santa Maria Regina a Iaşi
Incontro mariano con la Gioventù e con le Famiglie nel piazzale del Palazzo della Cultura a Iaşi
Visita alla Cattedrale di Santa Maria Regina a Iaşi
Nel pomeriggio, prima di lasciare la Casa Arcidiocesana Jakab Antal Ház, il Santo Padre ha salutato un gruppo di persone con disabilità e alcuni membri del Comitato Organizzatore. Quindi si è trasferito in elicottero all’Aeroporto di Târgu Mureș, da dove è partito alla volta di Iaşi.
Al Suo arrivo all’Aeroporto Internazionale di Iaşi, il Papa è stato accolto da S.E. Mons. Petru Gherghel, Vescovo di Iaşi, dal Sindaco della Città, Sig. Mihai Chirica; dal Presidente della Regione, Sig. Maricel Popa, dal Prefetto, Sig. Marian Şerbescu. Quindi si è recato in auto alla Cattedrale di Santa Maria Regina.
Giunto all’ingresso della Cattedrale, il Santo Padre è stato accolto dal Vescovo Ausiliare che gli ha consegnato il crocifisso. Quindi il Parroco della Cattedrale, insieme a una famiglia, gli ha porto l’acqua benedetta per l’aspersione. Il Papa ha attraversato la navata centrale salutando i fedeli presenti ed è giunto all’altare dove un giovane diacono e un sacerdote anziano gli hanno donato una candela che Egli ha deposto davanti alle reliquie del Beato Martire Anton Durcovici. Il Santo Padre si è soffermato poi in preghiera silenziosa. Quindi, dopo la preghiera, il Papa ha rivolto ai presenti un saluto, ha impartito la benedizione ed è uscito dalla navata centrale della Cattedrale di Santa Maria Regina.
Prima di salire sulla papamobile diretto al piazzale del Palazzo della Cultura per l’Incontro mariano con la Gioventù e le Famiglie, Papa Francesco ha benedetto in silenzio una statua di marmo di Cristo Redentore e una pietra che segnala il Cammino di Santiago di Compostela in Romania.
Pubblichiamo di seguito il saluto che il Papa ha rivolto, nel corso della visita, ai fedeli presenti nella Cattedrale di Santa Maria Regina:
Saluto del Santo Padre
Vorrei dare a tutti voi la benedizione, con la mia gratitudine per essere qui.
Grazie di essere venuti! Grazie perché state con i vostri malati; e grazie a voi che portate avanti la malattia offrendola al Signore.
Adesso preghiamo insieme la Madonna, prima della benedizione.
[Recita Ave Maria]
[Benedizione]
Per favore, pregate per me. Non dimenticatevi!
[00965-IT.01]
Incontro mariano con la Gioventù e con le Famiglie nel piazzale del Palazzo della Cultura a Iaşi
Discorso del Santo Padre
Traduzione in lingua francese
Traduzione in lingua inglese
Traduzione in lingua tedesca
Traduzione in lingua spagnola
Traduzione in lingua portoghese
Traduzione in lingua polacca
Traduzione in lingua araba
Alle ore 17.30 (16.30 ora di Roma) il Santo Padre Francesco ha presieduto l’incontro mariano con i giovani e le famiglie nel piazzale antistante il Palazzo della Cultura di Iaşi.
Dopo alcuni giri in papamobile tra i circa 100 mila fedeli e pellegrini raccolti nell’area del piazzale, il Papa è stato accolto da quattro bambini in abiti tradizionali che gli hanno recato un omaggio floreale. Quindi è salito sul palco accompagnato dai bambini e si è diretto verso l’icona della Vergine di Cacica, portandole in dono i fiori.
Dopo il saluto del Vescovo di Iaşi, S.E. Mons. Petru Gherghel, seguito dallo scambio dei doni, l’esecuzione del canto della Risurrezione e le testimonianze di un giovane e di una famiglia, l’esecuzione di un altro canto e la lettura biblica, Papa Francesco ha pronunciato il Suo discorso.
Al termine dell’incontro, dopo l’atto di affidamento dei giovani e delle famiglie alla Vergine Maria e la benedizione finale, il Santo Padre si è congedato dal Vescovo di Iaşi, dal Sindaco, dal Prefetto della Città e dal Presidente della Regione. Dopo il giro in papamobile tra i fedeli, si è trasferito in auto all’Aeroporto Internazionale di Iaşi da dove, alle ore 19.25 (18.25 ora di Roma) è partito – a bordo di un B737 della TAROM – per far ritorno a Bucarest.
Al Suo arrivo, alle ore 20.05 (19.05 ora di Roma), il Papa è rientrato in auto alla Nunziatura Apostolica di Bucarest.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Santo Padre ha pronunciato nel corso dell’incontro mariano con i giovani e le famiglie:
Discorso del Santo Padre
Cari fratelli e sorelle, bună seara!
Qui con voi si sente il calore di essere in famiglia, circondati da piccoli e grandi. È facile, vedendovi e sentendovi, sentirsi a casa. Il Papa tra di voi si sente a casa. Grazie per il vostro caloroso benvenuto e per le testimonianze che ci avete regalato. Mons. Petru, come buon e fiero padre di famiglia, vi ha abbracciato tutti con le sue parole presentandovi, e lo hai confermato tu, Eduard, quando ci dicevi che questo incontro non vuole essere solo di giovani, né di adulti, né di altri, ma avete voluto “che stasera ci fossero insieme a noi i nostri genitori e i nostri nonni”.
Oggi in queste terre è il giorno del bambino. Un applauso ai bambini! Vorrei che la prima cosa che facciamo sia pregare per loro: chiediamo alla Vergine che li protegga con il suo manto. Gesù li ha posti in mezzo ai suoi apostoli; anche noi vogliamo metterli in mezzo e riaffermare il nostro impegno di volerli amare con lo stesso amore con cui il Signore li ama, impegnandoci a donare loro il diritto al futuro. È una bella eredità questa: dare ai bambini il diritto al futuro.
Sono lieto di sapere che in questa piazza si trova il volto della famiglia di Dio che abbraccia bambini, giovani, coniugi, consacrati, anziani rumeni di diverse regioni e tradizioni, come pure della Moldavia, e anche quelli che sono venuti dall’altra sponda del fiume Prut, i fedeli di lingua csango, polacca e russa. Lo Spirito Santo ci convoca tutti e ci aiuta a scoprire la bellezza di stare insieme, di poterci incontrare per camminare insieme. Ognuno con la propria lingua e tradizione, ma felice di incontrarsi tra fratelli. Con quella gioia che condividevano Elisabetta e Ioan – bravi questi due! -, con i loro undici figli, tutti diversi, arrivati da luoghi diversi, ma «oggi sono tutti riuniti, così come qualche tempo fa ogni domenica mattina prendevano tutti insieme la strada verso la chiesa». La felicità dei genitori di vedere i figli riuniti. Sicuramente oggi in cielo si fa festa vedendo tanti figli che si sono decisi a stare insieme.
È l’esperienza di una nuova Pentecoste, come abbiamo ascoltato nella Lettura. Dove lo Spirito abbraccia le nostre differenze e ci dona la forza per aprire percorsi di speranza tirando fuori il meglio da ciascuno; lo stesso cammino che iniziarono gli Apostoli duemila anni fa e in cui oggi tocca a noi prendere il testimone e deciderci a seminare. Non possiamo aspettare che siano altri a farlo, tocca a noi. Noi siamo responsabili! Tocca a noi!
È difficile camminare insieme, vero? È un dono che dobbiamo chiedere, un’opera artigianale che siamo chiamati a costruire e un bel dono da trasmettere. Ma da dove cominciamo per camminare insieme?
Vorrei “rubare” nuovamente le parole a questi nonni Elisabetta e Ioan. È bello vedere quando l’amore mette radici con dedizione e impegno, con lavoro e preghiera. L’amore ha messo radici in voi e ha dato molto frutto. Come dice Gioele, quando giovani e anziani si incontrano, i nonni non hanno paura di sognare (cfr Gl 3,1). E questo è stato il vostro sogno: «Sogniamo che possano costruirsi un futuro senza dimenticare da dove sono partiti. Sogniamo che tutto il nostro popolo non dimentichi le sue radici». Voi guardate al futuro e aprite il domani per i vostri figli, per i vostri nipoti, per il vostro popolo offrendo il meglio che avete imparato durante il vostro cammino: che non dimentichino da dove sono partiti. Dovunque andranno, qualunque cosa faranno, non dimentichino le radici. È lo stesso sogno, la stessa raccomandazione che San Paolo fece a Timoteo: mantenere viva la fede di sua madre e di sua nonna (cfr 2 Tm 10,5-7). Nella misura in cui cresci – in tutti i sensi: forte, grande e anche facendoti un nome – non dimenticare quanto di più bello e prezioso hai imparato in famiglia. È la sapienza che si riceve con gli anni: quando cresci, non ti dimenticare di tua madre e di tua nonna e di quella fede semplice ma robusta che le caratterizzava e che dava loro forza e costanza per andare avanti e non farsi cadere le braccia. È un invito a ringraziare e riabilitare la generosità, il coraggio, il disinteresse di una fede “fatta in casa”, che passa inosservata ma che costruisce a poco a poco il Regno di Dio.
Certo, la fede che “non è quotata in borsa”, non si vende e, come ci ricordava Eduard, può sembrare che «non serva a niente». Ma la fede è un dono che mantiene viva una certezza profonda e bella: la nostra appartenenza di figli, e figli amati da Dio. Dio ama con amore di Padre: ogni vita, ognuno di noi gli appartiene. È un’appartenenza di figli, ma anche di nipoti, sposi, nonni, amici, vicini; un’appartenenza di fratelli. Il maligno divide, disperde, separa e crea discordia, semina diffidenza. Vuole che viviamo “distaccati” dagli altri e da noi stessi. Lo Spirito, al contrario, ci ricorda che non siamo esseri anonimi, astratti, esseri senza volto, senza storia, senza identità. Non siamo esseri vuoti né superficiali. Esiste una rete spirituale molto forte che ci unisce, ci “connette” e ci sostiene e che è più forte di ogni altro tipo di connessione. E questa rete sono le radici: sapere che apparteniamo gli uni agli altri, che la vita di ciascuno è ancorata alla vita degli altri. «I giovani fioriscono quando sono amati veramente», diceva Eduard. Tutti fioriamo quando ci sentiamo amati. Perché l’amore mette radici e ci invita a metterle nella vita degli altri. Come quelle belle parole del vostro poeta nazionale che augurava alla sua dolce Romania: «i tuoi figli vivano unicamente in fraternità, come le stelle della notte» (M. Eminescu, “Cosa ti auguro, dolce Romania”). Eminescu era un grande, era cresciuto, si sentiva maturo, ma non solo: si sentiva fraterno, e per questo vuole che la Romania, che tutti i romeni, siano fraterni “come le stelle della notte”. Noi apparteniamo gli uni agli altri e la felicità personale passa dal rendere felici gli altri. Tutto il resto sono favole.
Per camminare insieme lì dove sei, non ti dimenticare di quanto hai imparato in famiglia. Non dimenticare le tue radici.
Questo mi ha fatto ricordare la profezia di un santo eremita di queste terre. Un giorno il monaco Galaction Ilie del Monastero Sihăstria, camminando con le pecore sulla montagna, incontrò un eremita santo che conosceva e chiese: “Dimmi, padre, quando sarà la fine del mondo?”. E il venerabile eremita, sospirando dal suo cuore, disse: “Padre Galaction, sai quando sarà la fine del mondo? Quando non ci saranno sentieri dal vicino al vicino! Cioè, quando non ci sarà più amore cristiano e comprensione tra fratelli, parenti, cristiani e tra popoli! Quando le persone non ameranno più, sarà davvero la fine del mondo. Perché senza amore e senza Dio nessun uomo può vivere sulla terra!”.
La vita inizia a spegnersi e a marcire, il nostro cuore smette di battere e inaridisce, gli anziani non sogneranno e i giovani non profetizzeranno quando non ci saranno sentieri dal vicino al vicino… Perché senza amore e senza Dio nessun uomo può vivere sulla terra.
Eduard ci diceva che lui come tanti altri del suo Paese prova a vivere la fede in mezzo a numerose provocazioni. Sono davvero tante le provocazioni che ci possono scoraggiare e farci chiudere in noi stessi. Non possiamo negarlo, non possiamo fare come se niente fosse. Le difficoltà esistono e sono evidenti. Ma questo non può farci perdere di vista che la fede ci dona la più grande delle provocazioni: quella che, lungi dal rinchiuderti o dall’isolarti, fa germogliare il meglio di ciascuno. Il Signore è il primo a provocarci e a dirci che il peggio viene quando “non ci saranno sentieri dal vicino al vicino”, quando vediamo più trincee che strade. Il Signore è Colui che ci dona un canto più forte di tutte le sirene che vogliono paralizzare il nostro cammino. E lo fa nello stesso modo: intonando un canto più bello e più attraente.
Il Signore dona a tutti noi una vocazione che è una provocazione per farci scoprire i talenti e le capacità che possediamo e perché le mettiamo al servizio degli altri. Ci chiede di usare la nostra libertà come libertà di scelta, di dire “sì” a un progetto d’amore, a un volto, a uno sguardo. Questa è una libertà molto più grande che poter consumare e comprare cose. Una vocazione che ci mette in movimento, ci fa abbattere trincee, e aprire strade che ci ricordino quell’appartenenza di figli e fratelli.
In questa capitale storica e culturale del Paese si partiva insieme – nel Medioevo – come pellegrini per la Via Transilvana, verso Santiago di Compostela. Oggi qui vivono tanti studenti da varie parti del mondo. Ricordo un incontro virtuale che abbiamo avuto in marzo, con Scholas Occurrentes, nel quale mi dicevano anche che questa città, durante quest’anno, è la capitale nazionale della gioventù. È vero? È vero che questa città, quest’anno, è la capitale nazionale della gioventù? [I giovani rispondono: “Sì!”]. Viva i giovani! Due elementi molto buoni: una città che storicamente sa aprire e iniziare processi – come il cammino di Santiago –; una città che sa ospitare giovani provenienti da varie parti del mondo come attualmente. Due caratteristiche che ricordano le potenzialità e la grande missione che potete sviluppare: aprire strade per camminare insieme e portare avanti quel sogno dei nonni che è profezia: senza amore e senza Dio nessun uomo può vivere sulla terra. Da qui oggi possono partire ancora nuove vie del futuro verso l’Europa e verso tanti altri luoghi del mondo. Giovani, voi siete pellegrini del secolo XXI, capaci di nuova immaginazione dei legami che ci uniscono.
Ma non si tratta di creare grandi programmi o progetti, ma di lasciar crescere la fede, di lasciare che le radici ci portino la linfa. Come vi dicevo all’inizio: la fede non si trasmette solo con le parole, ma con gesti, sguardi, carezze come quelle delle nostre madri, delle nostre nonne; con il sapore delle cose che abbiamo imparato in casa, in maniera semplice e genuina. Lì dove c’è molto rumore, che sappiamo ascoltare; dove c’è confusione, che ispiriamo armonia; dove tutto si riveste di ambiguità, che possiamo portare chiarezza; dove c’è esclusione, che portiamo condivisione; in mezzo al sensazionalismo, ai messaggi e alla notizie rapide, che abbiamo cura dell’integrità degli altri; in mezzo all’aggressività, che diamo la precedenza alla pace; in mezzo alla falsità, che portiamo la verità; che in tutto, in tutto privilegiamo l’aprire strade per sentire questa appartenenza di figli e di fratelli (cfr Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 2018). Queste ultime parole che ho detto hanno la “musica” di Francesco d’Assisi. Voi sapete cosa consigliava San Francesco d’Assisi ai suoi frati per trasmettere la fede? Diceva così: “Andate, predicate il Vangelo e, se fosse necessario, anche con le parole”. [Applauso] Questo applauso è per San Francesco di Assisi!
Sto finendo, mi manca un paragrafo, ma non voglio tralasciare di dire un’esperienza che ho avuto mentre entravo in piazza. C’era un’anziana, abbastanza anziana, nonna. Nelle braccia aveva il nipote di più o meno due mesi, non di più. Quando sono passato me lo ha fatto vedere. Sorrideva, e sorrideva con un sorriso di complicità, come dicendomi: “Guardi, adesso io posso sognare!”. Sul momento mi sono emozionato e non ho avuto il coraggio di andare e portarla qui davanti. Per questo lo racconto. I nonni sognano quando i nipoti vanno avanti, e i nipoti hanno coraggio quando prendono le radici dai nonni.
La Romania è il “giardino della Madre di Dio”, e in questo incontro ho potuto rendermene conto, perché lei è Madre che coltiva i sogni dei figli, che ne custodisce le speranze, che porta la gioia nella casa. È Madre tenera e concreta, che si prende cura di noi. Voi siete la comunità viva e fiorente piena di speranza che possiamo regalare alla Madre. A lei, alla Madre, consacriamo l’avvenire dei giovani, l’avvenire delle famiglie e della Chiesa. Mulțumesc! [Grazie!].
[00957-IT.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
Chers frères et soeurs, bună seara!
Ici, avec vous, on sent la chaleur d’être en famille, entouré des petits et des grands. C’est facile, en vous voyant et en vous entendant, de se sentir chez soi. Le Pape parmi vous se sent chez lui. Merci pour votre accueil chaleureux et pour les témoignages que vous nous avez donnés. Mgr Petru, comme un bon et fier père de famille, vous a tous pris dans ses bras avec ses paroles en vous présentant et tu l’as confirmé Eduard quand tu nous as dit que cette rencontre ne veut être ni seulement celle des jeunes, ni celle des adultes, ni celle des autres, mais que vous “avez désiré que nos parents et nos grands-parents soient avec nous ce soir”.
Aujourd’hui sur ces terres, c’est la journée des enfants. Nous les Des applaudissements pour les enfants ! Je voudrais que la première chose que nous fassions soit de prier pour eux : demandons à la Vierge de les garder sous son manteau. Jésus les a placés au milieu de ses apôtres, nous voulons nous aussi les placer au milieu et réaffirmer notre engagement à les aimer du même amour avec lequel le Seigneur les aime, en nous engageant à leur garantir le droit à un avenir. Voici un bel héritage: garantir aux enfants le droit à un avenir!
Je suis heureux de savoir que sur cette place, il y a le visage de la famille de Dieu qui embrasse des enfants, des jeunes, des couples mariés, des personnes consacrées, des anciens, roumains de diverses régions et traditions, ainsi que de la Moldavie, et même ceux qui sont venus de l’autre bord de la rivière Prut, les fidèles de langue csango, polonaise et russe. L’Esprit Saint nous convoque tous et nous aide à découvrir la beauté d’être ensemble, de pouvoir nous rencontrer pour marcher ensemble. Chacun dans sa propre langue et sa propre tradition, mais heureux de se retrouver entre frères. Avec cette joie que nous partageaient Elisabetta et Ioan, - tous deux sont à féliciter - avec leurs onze enfants, tous différents, arrivés de divers lieux, mais “ aujourd’hui ils sont tous réunis, tout comme il y a quelque temps, chaque dimanche matin, ils prenaient tous ensemble la route vers l’église”. La joie des parents de voir leurs enfants réunis. Je suis sûr qu’aujourd’hui, on fait la fête dans le ciel, en voyant tant d’enfants qui ont décidé d’être ensemble.
C’est l’expérience d’une nouvelle Pentecôte, comme nous l’avons entendu dans la lecture. Où l’Esprit embrasse nos différences et nous donne la force d’ouvrir des chemins d’espérance en tirant le meilleur de chacun; le même chemin que les apôtres ont commencé, il y a deux mille ans, et dont il nous appartient de prendre le relais aujourd’hui et de nous décider à semer. Nous ne pouvons pas attendre que d’autres le fassent, cela nous appartient. Nous sommes responsables! Cela nous revient!
C’est difficile de marcher ensemble, n’est-ce pas ? C’est un don que nous devons demander, une œuvre artisanale que nous sommes appelés à construire et un beau don à transmettre. Mais par où commençons-nous à marcher ensemble ?
Je voudrais à nouveau “voler” les paroles de ces grands-parents, Elisabetta et Ioan. C’est beau de voir quand l’amour prend racine grâce au dévouement et à l’engagement, par le travail et la prière. L’amour a pris racine en vous et a donné beaucoup de fruit. Comme l’a dit Joël, quand jeunes et anciens se rencontrent, les grands-parents n’ont pas peur de rêver (cf. Jl 3,1). Et cela a été votre rêve : “Nous rêvons qu’ils puissent se construire un avenir sans oublier d’où ils sont partis. Nous rêvons que tout notre peuple n’oublie pas ses racines”. Vous regardez vers l’avenir et vous ouvrez l’avenir pour vos enfants, pour vos petits-enfants, pour votre peuple, en offrant le meilleur de ce que vous avez appris sur votre chemin : qu’ils n’oublient pas d’où ils sont partis. Où qu’ils aillent, quoiqu’ils fassent, qu’ils n’oublient pas les racines. C’est le même rêve, la même recommandation que Saint Paul a faite à Timothée : maintenir vivante la foi de sa mère et de sa grand-mère (Cf. 2 Tm 1, 5-7). Dans la mesure où tu grandis – dans tous les sens : fort, grand, et aussi en te faisant un nom – n’oublie pas la chose la plus belle et la plus précieuse que tu as apprise en famille. C’est la sagesse que l’on reçoit avec les années : quand tu grandis, n’oublie pas ta mère et ta grand-mère et cette foi simple mais solide qui les caractérisait et qui leur donnait force et constance pour aller de l’avant et ne pas baisser les bras. C’est une invitation à rendre grâce et à réhabiliter la générosité, le courage, le désintéressement d’une foi “faite maison”, qui passe inaperçue mais qui construit peu à peu le Royaume de Dieu.
Certes, la foi qui “n’est pas cotée en bourse”, n’a rien à vendre, et comme nous le rappelait Eduard, elle peut sembler “ne servir à rien”. Mais la foi est un don qui maintient vivante une assurance profonde et belle : notre appartenance d’enfants, et d’enfants aimés de Dieu. Dieu aime avec un amour de Père. Chaque vie, chacun de nous lui appartient. Et c’est une appartenance d’enfants, mais aussi de petits-enfants, d’époux, de grands-parents, d’amis, de voisins; une appartenance de frères. Le malin divise, disperse, sépare et crée la discorde, il sème la méfiance. Il veut que nous vivions “détachés” des autres et de nous-mêmes. L’Esprit, au contraire, nous rappelle que nous ne sommes pas des êtres anonymes, abstraits, des êtres sans visage, sans histoire, sans identité. Nous ne sommes pas des êtres vides ni superficiels. Il existe un réseau spirituel très puissant qui nous unit, nous “connecte” et nous soutient et qui est plus puissant que tout autre type de connexion. Et ce réseau, ce sont les racines: savoir que nous nous appartenons les uns aux autres, que la vie de chacun est amarrée à la vie des autres. “Les jeunes s’épanouissent quand ils sont vraiment aimés”, disait Eduard. Tous, nous nous épanouissons quand nous nous sentons aimés. Parce que l’amour prend racine et nous invite à les porter dans la vie des autres. Comme ces belles paroles de votre poète national qui souhaitait à sa douce Roumanie que “tes enfants vivent seulement dans la fraternité, comme les étoiles de la nuit” (M. EMINESCU, “Ce que je te souhaite, douce Roumanie”). Eminescu était un adulte, il avait grandi, s’était senti mûr, mais en plus, il avait le sens de la fraternité, et pour cela il veut que la Roumanie, que tous les roumains soient frères ‘‘comme les étoiles de la nuit’’. Nous appartenons les uns aux autres et le bonheur personnel passe par le fait de rendre les autres heureux. Tout le reste, ce sont des fables.
Pour marcher ensemble là où tu es, n’oublie pas ce que tu as appris en famille. N’oublie pas tes racines!
Cela m’a rappelé la prophétie d’un saint ermite de ces terres. Un jour, le moine Galaction Ilie du Monastère Sihăstria, marchant avec les moutons sur la montagne, rencontra un saint ermite qu’il connaissait et lui demanda: “Dis-moi, père, quand sera la fin du monde ?” Et le vénérable ermite, soupirant du fond du cœur, dit : “Père Galaction, sais-tu quand sera la fin du monde ? Quand il n’y aura plus de sentiers de voisin à voisin ! C’est-à-dire, quand il n’y aura plus d’amour chrétien et de compréhension entre frères, parents, chrétiens et entre peuples ! Quand les personnes n’aimeront plus, ce sera vraiment la fin du monde. Parce que sans amour et sans Dieu, aucun homme ne peut vivre sur la terre !
La vie commencera à s’éteindre et à flétrir, notre cœur cessera de battre et se dessèchera, les anciens ne rêveront plus et les jeunes ne prophétiseront plus, quand il n’y aura plus de sentiers de voisin à voisin… Parce que sans amour et sans Dieu, aucun homme ne peut vivre sur la terre.
Eduard nous a dit que lui, comme tant d’autres dans son pays, essaie de vivre la foi au milieu de nombreuses provocations. Il y a vraiment beaucoup de provocations qui peuvent nous décourager et nous fermer en nous-mêmes. Nous ne pouvons pas le nier, nous ne pouvons pas faire comme si de rien n’était. Les difficultés existent et elles sont évidentes. Mais cela ne peut pas nous faire perdre de vue que la foi nous donne la plus grande des provocations : celle qui, loin de t’enfermer ou de t’isoler, fait germer le meilleur de chacun. Le Seigneur est le premier à nous provoquer et à nous dire que le pire vient “quand il n’y aura plus de sentiers de voisin à voisin”, quand nous voyons plus de tranchées que de chemins. Le Seigneur est celui qui nous offre un chant plus fort que celui de toutes les sirènes qui veulent paralyser notre marche. Et il le fait de la même manière : en entonnant un chant plus beau et plus attirant.
Le Seigneur nous donne à tous une vocation qui est une provocation pour nous faire découvrir les talents et les capacités que nous possédons et pour que nous les mettions au service des autres. Il nous demande d’user de notre liberté comme liberté de choix, de dire “oui” à un projet d’amour, à un visage, à un regard. C’est une liberté bien plus grande que de pouvoir consommer et acheter des choses. Une vocation qui nous met en mouvement, qui nous fait supprimer des tranchées et ouvrir des chemins qui nous rappellent notre appartenance d’enfants et de frères.
Dans cette capitale historique et culturelle du Pays, on partait ensemble – au Moyen-Âge – comme pèlerins par la Via Transilvana, pour Saint Jacques de Compostelle. Aujourd’hui, vivent ici de nombreux étudiants de diverses parties du monde. Je me souviens d’une rencontre virtuelle que nous avons eue, en mars, avec Scholas Occurentes, dans laquelle on me disait aussi que cette ville, durant cette année, est la capitale nationale de la jeunesse. Est-ce vrai? Est-ce vrai que cette ville, cette année, est la capitale nationale de la jeunesse? [Les jeunes répondent: ‘‘Oui!’’]. Vivent les jeunes! Deux très bons éléments : une ville qui historiquement sait ouvrir et initier des processus – comme le chemin de Compostelle - ; une ville qui sait accueillir des jeunes provenant de diverses parties du monde comme actuellement. Deux caractéristiques qui rappellent les potentialités et la grande mission que vous pouvez développer : ouvrir des chemins pour marcher ensemble et réaliser ce rêve des grands-parents qui est une prophétie : sans amour et sans Dieu, aucun homme ne peut vivre sur la terre. D’ici, aujourd’hui, peuvent partir de nouvelles voies d’avenir vers l’Europe et vers tant d’autres lieux du monde. Jeunes, vous êtes des pèlerins du XXIe siècle, capables d’imaginer de manière nouvelle les liens qui nous unissent.
Mais il ne s’agit pas de créer de grands programmes ni de grands projets, mais de laisser grandir la foi, de permettre aux racines de nous apporter la sève. Comme je vous le disais au début: la foi ne se transmet pas seulement avec les paroles, mais par des gestes, des regards, des caresses comme celles de nos mères, de nos grands-mères; avec la saveur des choses que nous avons apprises à la maison, de manière simple et authentique. Là où il y a beaucoup de bruit, que nous sachions écouter; là où il y a de la confusion, que nous inspirions de l’harmonie; là où tout se revêt d’ambiguïté, que nous puissions mettre de la clarté; là où il y a de l’exclusion, que nous apportions du partage; au milieu du sensationnalisme, des messages et des nouvelles rapides, que nous prenions soin de l’intégrité des autres; au milieu de l’agressivité, que nous donnions la priorité à la paix; au milieu du mensonge, que nous apportions la vérité; qu’en tout, en tout nous privilégions l’ouverture de chemins pour sentir cette appartenance d’enfants et de frères (cf. Message pour la 52ème Journée mondiale des Communications Sociales 2018). Ces dernières paroles que j’ai prononcées portent la marque de la ‘‘musique’’ de François d’Assise. Vous savez ce que conseillait saint François d’Assise à ses frères pour transmettre la foi? Il disait ceci: ‘‘Allez, prêchez l’Évangile et, si nécessaire, également par les paroles’’. [Applaudissements]. Ces applaudissements sont pour saint François d’Assise!
Je suis sur le point de finir, il reste un paragraphe, mais je ne peux m’empêcher de faire part d’une expérience que j’ai vécue lors de mon entrée sur la place. Il y avait une femme âgée, d’un certain âge, une grand-mère. Elle portait dans ses bras son petit-fils d’environ deux mois, pas plus. Quand je suis passé, elle me l’a fait voir. Elle souriait, et elle arborait un sourire de complicité, comme pour me dire : ‘‘Regarde, à présent, je peux rêver’’. Sur le champ, j’ai été pris d’émotion et je n’ai pas eu le courage d’aller la chercher pour la conduire ici devant. C’est pourquoi j’en parle. Les grands-parents nourrissent des rêves quand leurs petits-fils progressent et les petits-fils ont du courage lorsqu’ils prennent racines des grands-parents.
La Roumanie est le “jardin de la Mère de Dieu” et dans cette rencontre, j’ai pu m’en rendre compte, parce qu’elle est une Mère qui cultive les rêves de ses enfants, qui en garde les espérances, qui apporte la joie dans la maison. C’est une Mère tendre et concrète qui prend soin de nous. Vous êtes la communauté vivante et florissante, pleine d’espérance que nous pouvons offrir à notre Mère. A elle, à la Mère, nous consacrons l’avenir des jeunes, l’avenir des familles et de l’Église. Mulțumesc! [Merci!]
[00957-FR.02] [Texte original: Italien]
Traduzione in lingua inglese
Dear Brothers and Sisters, bună seara!
Here with you, I feel the warmth of being at home and part of a family, surrounded by young and old alike. In your presence and looking out at you, it is easy to feel at home. The Pope feels at home here with you. Thank you for your warm welcome and for your testimonies. Bishop Petru, good strong father that he is, included all of you in his introduction. And you, Eduard, confirmed this when you told us that this meeting was not simply for young people, or adults, but that you “wanted our parents and grandparents to be with us tonight”.
Today in Romania is Children’s Day. A round of applause for the children! The first thing I would like us to do is to pray for them, asking the Blessed Virgin to shelter them under her mantle. Jesus placed children in the midst of his Apostles; we too want to put them at the centre. We want to reaffirm our commitment to love them with the same love with which the Lord loves them, and to make every effort to ensure their right to a future. This is a beautiful legacy: to give children their right to a future.
I am happy to know that here in this Square we see the face of God’s family, which is made up of children, young people, married couples, consecrated men and women, elderly Romanians from different regions and traditions, and others from Moldova. There are also those who came from the other side of the river Prut and who speak Csángó, Polish and Russian. The Holy Spirit has called us here and he helps us discover the beauty of being together, of being able to meet to journey together. Each of you has his or her own language and traditions, but you are happy to be here with others, with the happiness shared by Elisabeta and Ioan – aren’t these two great! – and their eleven children. All of you are different, you come from different places, yet “today everyone is gathered, together, just as on every Sunday morning in the old days, when everyone went to Church together”. The happiness of parents seeing their children gathered around them. Surely, today there is joy in heaven at the sight of all these children who have wanted to be together.
This is the experience of a new Pentecost (as we heard in the reading), where the Spirit embraces our differences and gives us the strength to open up paths of hope by bringing out the best in each person. It is the same path taken by the Apostles two thousand years ago. Today we are called to take their place and encouraged to be sowers of good seed. We cannot wait for others to do this; it is up to us. We are responsible! It is up to us!
Journeying together is not easy, is it? It is a gift that we have to ask for. A work of art for us to create, a beautiful gift for us to hand on. But where do we start, in order to journey together?
I would like to take up a point made by our elderly couple, Elisabeta and Ioan. It is good to see when love sinks deep roots through sacrifice and commitment, through work and prayer. Love took root in the two of you and it has borne rich fruit. As the prophet Joel says, when young and old meet, the elderly are not afraid to dream (cf. 2:28 [3:1]). This was your dream: “We dream that they may build a future without forgetting where they came from. We dream that none of our people will forget their roots”. You look to the future and you open the door to it for your children, your grandchildren and your people by offering them the best lesson that you learned from your own journey: never forget where you come from. Wherever you go and whatever you do, don’t forget your roots. It is the same dream, the same advice that Saint Paul gave to Timothy: to keep alive the faith of his mother and grandmother (cf. 2 Tim 1:5-7). As you continue to grow in every way – stronger, older and even in importance – do not forget the most beautiful and worthwhile lesson you learned at home. It is the wisdom that comes from age. When you grow up, do not forget your mother and your grandmother, and the simple but robust faith that gave them the strength and tenacity to keep going and not to give up. It is a reason for you to give thanks and to ask for the generosity, courage and selflessness of a “home-grown” faith that is unobtrusive, yet slowly but surely builds up the Kingdom of God.
Certainly, a faith that does not show up on the stock exchange, or “sell”, may not appear, as Eduard reminded us, to “be of much use”. Faith, however, is a gift that keeps alive a profound and beautiful certainty: that we are God’s beloved children. God loves with a Father’s love. Every life, and every one of us, belongs to him. We belong as children, but also as grandchildren, spouses, grandparents, friends, neighbours; we belong as brothers and sisters. The Evil one divides, scatters, separates; he sows discord and distrust. He wants us to live “detached” from others and from ourselves. The Spirit, on the contrary, reminds us that we are not anonymous, abstract, faceless beings, without history or identity. We are not meant to be empty or superficial. There is a very strong spiritual network that unites us; one that “connects” and sustains us, and is stronger than any other type of connection. And this network is our roots: the realization that we belong to one another, that each of our lives is anchored in the lives of others. “Young people flourish when they are truly loved”, Eduard said. We all flourish when we feel loved. Because love draws us out of ourselves and invites us to take root in the lives of others. It is like those beautiful words of your national poet, whose fond wish for your sweet Romania was that “your children might live only in fraternity, like the stars of the night” (M. EMINESCU, What I Wish for You, Sweet Romania). Eminescu was a great man; he grew, felt himself to be mature, but more than that: he felt fraternal, and for this reason wants Romania, all Romanians to be brothers and sisters, “like the stars of the night”. We belong to each other and our happiness is meant to make others happy. Everything else is nonsense.
To journey together, wherever you may be, never forget what you learned at home. Don’t forget your roots.
This reminds me of the prophecy of one of the holy hermits of these lands. One day, the monk Galaction Ilie of Sihăstria Monastery was walking among sheep grazing on a mountainside when he met a saintly hermit whom he knew. He asked him: “Tell me, Father, when will the world end?” And the venerable hermit, with a deep sigh, replied: “Father Galaction, do you want to know when the world will end? When there are no more paths between neighbours! That is, when there is no more Christian love and understanding between brothers and sisters, relatives, Christians and peoples! When persons lose all their love, then it will truly be the end of the world. Because without love and without God, no one can live on the earth!”
Life begins to wilt and droop, our hearts stop beating and wither, the elderly no longer dream and young people no longer prophesy when pathways between neighbours disappear... Because without love and without God, no one can live on the earth.
Eduard told us that, like many others in his town, he tried to practise the faith amid numerous challenges. Many indeed are the challenges that can discourage us and make us close in on ourselves. We cannot deny it or pretend that it isn’t the case. Difficulties exist and they are evident. But that cannot make us forget that faith itself offers us the greatest challenge of all: a challenge that, far from enclosing or isolating us, can bring out the best in us all. The Lord is the first to challenge us. He tells us that the worst comes when there are no more paths between neighbours, when we see more trenches than roads. The Lord is the one who gives us a song more powerful than all the siren songs that would paralyze us on our journey. And he always does it the same way: by singing a more beautiful and more attractive song.
The Lord gives us a vocation, a challenge to discover the talents and abilities we possess and to put them at the service of others. He asks us to use our freedom as a freedom to choose, to say yes to a loving plan, to a face, to a look. This is a much greater freedom than simply being able to consume and buy things. It is a vocation that sets us in motion, makes us fill in trenches and open up new avenues to remind us all that we are children and brothers and sisters to one another.
During the Middle Ages, pilgrims set out together from this historical and cultural capital of your country, following the Via Transilvana on the way to Santiago de Compostela. Today many students from various parts of the world live here. I remember the virtual meeting we had in March (with Scholas Occurentes), where I learned that this year your city would be the national youth capital. Is it true? Is it true that this city, this year, is the national youth capital? [The young people answer: “Yes!”]. Long live young people! You have two great things here: a city historically known for openness and creativity – such as the way of Santiago; and a city that can host young people from various parts of the world as it now does. Two things that remind us of the potential and the great mission that can you can carry out: to open up paths for journeying together and pursuing that prophetic vision of our grandparents: without love and without God, no one can live on the earth. Today, from this place, new paths can open up to the future, towards Europe and many other parts of the world. Young people, you are pilgrims of the twenty-first century, capable of imagining afresh the bonds that unite us.
This is less about generating great programmes or projects, than about allowing faith to grow, allowing the roots to bring us sap. As I mentioned to you at the beginning: faith is not transmitted only by words, but also by gestures, looks and caresses, like those of our mothers and grandmothers; with the flavour of those things we learned at home in a straightforward and simple way. Where there is hue and din, let us try to listen; where there is confusion, let us inspire harmony; where everything is uncertain and ambiguous, let us bring clarity. Where there is exclusion, let us offer solidarity; in the midst of sensationalism and instant communication, let us be concerned about the integrity of others; where there is aggression, let us bring peace; where there is falsehood, let us bring truth. In everything, let us make it our concern to open up paths that enable a sense of belonging, of being children and brothers and sisters (cf. Message for the 2018 World Day of Social Communications). These last words that I said have the “music” of Francis of Assisi: do you know what Saint Francis of Assisi used to advise his brothers to do in order to hand on the faith? This is what he said: “Go, and preach the Gospel, and if necessary, also use words”. [They applaud]. This applause is for Saint Francis of Assisi!
I am finishing, I have just one more paragraph, but I do not want to neglect to tell you about an experience I had just as I was coming into the Square. There was an elderly lady, quite elderly, a grandmother. In her arms was a grandchild, about two months old, not more. As I passed by, she showed him to me. She smiled, and smiled with a knowing smile, as if she was saying to me: “Look, now I can dream!” I was very moved in that moment and I didn’t have the courage to go and bring her up here. That’s why I am telling you. Grandparents dream when their grandchildren go forward, and grandchildren have that courage when they take their roots from their grandparents.
Romania is the “garden of the Mother of God”, and in this meeting I have been able to realize why. Mary is a Mother who encourages her children’s dreams, who cherishes their hopes, who brings joy to their homes. She is a tender and true Mother who cares for us. You are that living, flourishing and hope-filled community that we can offer to our Mother. To her, to the Mother, let us consecrate the future of young people, the future of families and the Church. Mulţumesc! [Thank you!].
[00957-EN.02] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua tedesca
Liebe Brüder und Schwestern, bună seara!
Hier mit euch spürt man die Nestwärme einer Familie, umgeben von Kleinen und Großen. Wenn ich euch sehe und höre, ist es leicht, sich zu Hause zu fühlen. Der Papst fühlt sich unter euch zu Hause. Danke für euren herzlichen Empfang und für die Zeugnisse, die ihr uns geschenkt habt. Bischof Petru hat euch alle als guter und stolzer Familienvater mit seinen Worten umarmt und euch vorgestellt; du, Eduard, hast es bestätigt, als du sagtest, dass dies nicht eine Begegnung ausschließlich mit jungen Menschen und auch nicht nur mit Erwachsenen oder anderen sein will, sondern ihr habt gewollt, „dass heute Abend unsere Eltern und Großeltern mit uns zusammen sind“.
Heute wird in diesem Land der Tag des Kindes begangen. Einen Applaus für die Kinder! Ich möchte, dass wir als Erstes für sie beten: Bitten wir die Jungfrau Maria, dass sie sie unter ihrem Mantel schützt. Jesus hat die Kinder in die Mitte der Apostel gestellt; auch wir wollen sie in unsere Mitte stellen und unseren Einsatz bekräftigen, sie mit der gleichen Liebe lieben zu wollen, mit der der Herr sie liebt, indem wir uns bemühen, ihnen das Recht auf die Zukunft zu geben. Es ist das ein schönes Erbe: den Kindern das Recht auf die Zukunft zu geben.
Ich freue mich, auf diesem Platz das Gesicht der Familie Gottes zu erleben: Kinder, Jugendliche, Eheleute, Gottgeweihte, alte Menschen aus verschiedenen Regionen und Traditionen Rumäniens wie auch aus Moldawien und ebenso die Gläubigen, die von jenseits des Flusses Pruth gekommen sind und Tschango-Ungarisch, Polnisch oder Russisch sprechen. Der Heilige Geist ruft uns alle zusammen und hilft uns zu entdecken, wie schön es ist, zusammen zu sein und einander begegnen zu können, um gemeinsam voranzugehen. Jeder mit seiner Sprache und Tradition, aber froh, sich unter Geschwistern zu treffen. Mit dieser Freude, die Elisabeth und Ioan – tüchtig diese beiden! – mit uns geteilt haben zusammen mit ihren elf Kindern, die alle unterschiedlich sind und von verschiedenen Orten gekommen sind, aber »heute alle vereint sind, so wie wir auch vor einiger Zeit jeden Sonntagmorgen alle gemeinsam den Weg zur Kirche nahmen«. Es ist das Glück der Eltern, die Kinder vereint zu sehen. Sicherlich feiert man im Himmel heute, wenn man so viele Söhne und Töchter sieht, die entschieden haben, zusammen zu bleiben.
Es ist die Erfahrung eines neuen Pfingsten, wie wir in der ersten Lesung gehört haben. Wo der Geist unsere Unterschiede umfängt und uns die Kraft gibt, neue Wege der Hoffnung zu eröffnen, indem er aus jedem das Beste herausholt; der gleiche Weg, den die Apostel vor zweitausend Jahren begonnen haben und auf dem heute wir den Staffelstab übernehmen und uns zum Aussäen entscheiden müssen. Wir können nicht warten, dass es andere tun, wir sind an der Reihe. Wir sind verantwortlich! Wir sind an der Reihe!
Es ist schwierig, gemeinsam voranzugehen, nicht wahr? Es ist eine Gabe, um die wir bitten müssen, ein kunstfertiges Werk, das wir aufbauen sollen, und eine schöne Gabe, die wir weitergeben müssen. Aber wo sollen wir beginnen, um gemeinsam voranzugehen?
Ich möchte nochmals den Großeltern Elisabeth und Ioan die Worte „klauen“. Es ist schön zu sehen, wenn die Liebe in Hingabe und Einsatz, in Arbeit und Gebet Wurzeln schlägt. Die Liebe hat in euch Wurzeln geschlagen und hat viel Frucht getragen. Wie der Prophet Joël sagt, wenn sich Junge und Alte begegnen, haben die Großeltern keine Angst zu träumen (vgl. Joël, 3,1). Und dies war euer Traum: »Wir träumen, dass sie sich eine Zukunft aufbauen können, ohne zu vergessen, von wo sie aufgebrochen sind. Wir träumen, dass unser ganzes Volk seine Wurzeln nicht vergisst.« Ihr schaut auf die Zukunft und öffnet das Morgen für eure Kinder, für eure Enkel, für euer Volk und bietet das Beste, was ihr während eures Weges gelernt habt: Sie sollen nicht vergessen, von wo sie aufgebrochen sind. Wo auch immer sie hingehen werden, was auch immer sie tun werden, sie sollen die Wurzeln nicht vergessen. Es ist der gleiche Traum, die gleiche Empfehlung, die der heilige Paulus Timotheus gab: den Glauben seiner Mutter und seiner Großmutter lebendig zu halten (vgl. 2 Tim 1,5-7). In dem Maße, in dem du wächst – in allen Sinnen: du wirst stark, groß und machst dir dabei auch einen Namen –, vergiss nicht, was du an Schönem und Kostbarem in der Familie gelernt hast. Es ist die Weisheit, die man mit den Jahren erwirbt: Wenn du wächst, vergiss nicht deine Mutter und deine Großmutter und jenen einfachen, aber standhaften Glauben, der sie kennzeichnete und ihnen Kraft und Beständigkeit gab, um weiterzugehen und nicht die Hände sinken zu lassen. Es ist eine Einladung, für die Großzügigkeit, den Mut und die Selbstlosigkeit eines „häuslichen“ Glaubens, der unbemerkt bleibt, aber allmählich das Reich Gottes aufbaut, zu danken und diese wiederzubeleben.
Gewiss, der Glaube ist nicht „an der Börse notiert“, er verkauft sich nicht und, wie uns Eduard in Erinnerung rief, es kann den Anschein haben, dass »er nichts bringt«. Aber der Glaube ist ein Geschenk, das eine tiefe und schöne Gewissheit lebendig hält: unsere Zugehörigkeit als Kinder, als von Gott geliebte Kinder. Gott liebt mit Vaterliebe. Jedes Leben, jeder von uns gehört ihm an. Es ist eine Zugehörigkeit als Kinder, aber auch als Enkel, Eheleute, Großeltern, Freunde, Nachbarn; eine Zugehörigkeit als Geschwister. Der böse Feind spaltet, zerstreut, trennt und schafft Zwietracht, sät Misstrauen. Er will, dass wir „abgetrennt“ von den anderen und uns selbst leben. Der Heilige Geist erinnert uns im Gegensatz dazu, dass wir nicht anonyme, abstrakte Wesen, gesichtslose und geschichtslose Wesen ohne Identität sind. Wir sind weder leere noch oberflächliche Wesen. Es gibt ein sehr starkes geistliches Netz, das uns vereint, die Verbindung herstellt und uns unterstützt und das stärker ist als jede andere Art von Verbindung. Und dieses Netz sind die Wurzeln: zu wissen, dass wir zueinander gehören, dass das Leben eines jeden im Leben der anderen verankert ist. »Die jungen Menschen blühen auf, wenn sie wirklich geliebt sind«, sagte Eduard. Alle blühen wir auf, wenn wir uns geliebt fühlen. Denn die Liebe schlägt Wurzeln und lädt uns ein, im Leben der anderen Wurzeln zu schlagen. So sagen es jene schönen Worte eures Nationaldichters, der seinem geliebten Rumänien wünschte: »Deine Kinder mögen einzig in Brüderlichkeit leben wie die Sterne der Nacht« (M. Eminescu, „Was ich dir wünsche, geliebtes Rumänien“). Eminescu war ein bedeutender Dichter, er wurde groß und fühlte sich reif, aber nicht nur das: er hatte einen brüderlichen Sinn, und deswegen wollte er, dass Rumänien, dass alle Rumänen brüderlich seien „wie die Sterne in der Nacht“. Wir gehören einander an und das persönliche Glück kommt darüber, dass man die anderen glücklich macht. Alles Übrige sind Märchen.
Um dort, wo du bist, gemeinsam voranzugehen, vergiss nicht, was du in der Familie gelernt hast. Vergiss deine Wurzeln nicht.
Dies hat mich an die Weissagung eines heiligen Eremiten dieses Landes erinnert. Als der Mönch Galaction Ilie aus dem Kloster Sihăstria eines Tages mit den Schafen durch das Gebirge zog, begegnete er einem heiligen Eremiten, den er kannte, und fragte ihn: „Sag mir, Vater, wann wird das Ende der Welt sein?“. Und der ehrwürdige Eremit seufzte von Herzen und sagte: „Vater Galaction, weißt du, wann das Ende der Welt sein wird?“ Wenn es vom Nächsten zum Nächsten keine Wege mehr geben wird! Also, wenn es keine christliche Liebe und kein Verständnis unter Geschwistern, Verwandten, Christen und Völkern mehr geben wird! Wenn die Personen nicht mehr lieben werden, wird wirklich das Ende der Welt sein. Denn ohne Liebe und ohne Gott kann kein Mensch auf der Erde leben!“
Das Leben beginnt zu erlöschen und zu verderben, unser Herz hört auf zu schlagen und trocknet aus, die Alten werden nicht träumen und die Jungen werden nicht weissagen, wenn es vom Nächsten zum Nächsten keine Wege mehr geben wird … Denn ohne Liebe und ohne Gott kann kein Mensch auf der Erde leben.
Eduard sagte uns, dass er wie viele andere aus seinem Land versucht, den Glauben inmitten zahlreicher Herausforderungen zu leben. Es gibt wirklich viele Herausforderungen, die uns entmutigen und uns in uns selbst verschließen lassen können. Wir können es nicht leugnen, wir können nicht so tun, als ob nichts wäre. Die Schwierigkeiten gibt es und sie sind offenkundig. Doch das mag nicht dazu führen, dass wir aus den Augen verlieren, dass der Glaube uns die größte der Herausforderungen schenkt: jene nämlich, die dich keineswegs in dich verschließt oder abschottet, sondern das Beste von jedem aufkeimen lässt. Der Herr ist der Erste, der uns herausfordert und uns sagt, dass das Schlimmste eintritt, „wenn es vom Nächsten zum Nächsten keine Wege mehr geben wird“, wenn wir mehr Schützengräben als Straßen sehen. Der Herr schenkt uns einen Gesang, der stärker ist als der aller Sirenen, die unseren Gang lähmen wollen. Und er tut es auf dieselbe Weise, indem er einen noch schöneren und anziehenderen Gesang anstimmt.
Der Herr gibt uns allen eine Berufung, die eine Herausforderung ist, damit wir die Talente und die Fähigkeiten entdecken, die wir besitzen, und damit wir sie in den Dienst der anderen stellen. Er verlangt von uns, unsere Freiheit als Wahlfreiheit zu nutzen, zu einem Plan der Liebe Ja zu sagen, zu einem Antlitz, zu einem Blick. Dies ist eine viel größere Freiheit als Dinge konsumieren und kaufen zu können. Eine Berufung, die uns in Bewegung setzt, die uns die Schützengräben einebnen und die Wege erschließen lässt, die uns an diese Zugehörigkeit als Kinder und Geschwister erinnern.
Von dieser historischen und kulturellen Landeshauptstadt brach man im Mittelalter gemeinsam als Pilger über die Via Transilvanica nach Santiago de Compostela auf. Heute leben hier viele Studenten aus verschiedenen Teilen der Welt. Ich erinnere mich an eine virtuelle Begegnung, die wir im März mit Scholas Occurentes hatten, bei dem man mir auch sagte, dass diese Stadt während dieses Jahres die nationale Hauptstadt der Jugend sei. Stimmt das? Stimmt das, dass diese Stadt dieses Jahr die nationale Hauptstadt der Jugend ist? [Antwort der Jugendlichen: „Ja!“] Ein Hoch auf die Jugendlichen! Zwei sehr gute Elemente: eine Stadt, die Prozesse geschichtlich eröffnen und anstoßen kann – wie den Jakobsweg –; eine Stadt, die, wie gegenwärtig, jungen Menschen aus verschiedenen Teilen der Welt Gastfreundschaft bieten kann. Zwei Eigenschaften, die an die Möglichkeiten und die große Mission erinnern, die ihr entwickeln könnt: Wege erschließen, um gemeinsam voranzugehen und den Traum der Großeltern umzusetzen, der Prophetie ist: ohne Liebe und ohne Gott kann kein Mensch auf der Erde leben. Von hier können heute weiter neue Zukunftswege hin zu Europa und zu den vielen anderen Orten der Welt ausgehen. Ihr, junge Freunde, seid Pilger des 21. Jahrhunderts, die sich die Bindungen, die uns vereinen, neu vorstellen können.
Aber es geht nicht darum, große Programme oder Projekte zu erschaffen, sondern den Glauben wachsen zu lassen, zuzulassen, dass die Wurzeln uns den Lebenssaft bringen. Der Glaube wird – wie ich euch zu Beginn gesagt habe – nicht allein mit Worten weitergegeben, sondern mit Gesten, Blicken, Liebkosungen wie die unserer Mütter, unserer Großmütter; mit dem Geschmack der Dinge, die wir auf einfache und ursprüngliche Weise zu Hause gelernt haben: dass wir zuhören, wo viel Lärm herrscht; dass wir Eintracht stiften, wo es Verwirrung gibt; dass wir Klarheit bringen, wo sich alles in Zweideutigkeit hüllt; dass wir ein Miteinander schaffen, wo es Ausschließung gibt; dass wir inmitten von Sensationslust, Mitteilungen und schnellen Nachrichten um die Unversehrtheit der anderen Sorge tragen; dass wir inmitten der Aggressivität dem Frieden den Vorrang geben; dass wir inmitten von Falschheit Wahrheit bringen; dass wir in allem, in allem lieber Wege eröffnen, damit wir fühlen, dass wir als Kinder des Vaters und als Brüder und Schwestern zueinander gehören (vgl. Botschaft für den Welttag der sozialen Kommunikationsmittel 2018). Diese letzten Worte, die ich gerade gesagt habe, klingen nach der „Musik“ des Franz von Assisi. Wisst ihr, was der heilige Franz von Assisi seinen Brüdern geraten hat, um den Glauben weiterzugeben? Er sagte so: „Geht, verkündet das Evangelium, und wenn es nötig ist, auch mit Worten.“ [Applaus] Dieser Applaus gilt dem heiligen Franz von Assisi!
Ich bin gleich fertig, mir fehlt noch ein Absatz, aber ich möchte es nicht unterlassen zu erzählen, was ich gerade erlebt habe, als ich auf den Platz gekommen bin. Da war eine ältere Frau, ziemlich alt, eine Großmutter. Auf dem Arm hielt sie das Enkelkind, das mehr oder weniger zwei Monate alt war, nicht älter. Als ich vorbeiging, hat sie es mir gezeigt. Sie lächelte dabei, und sie lächelte mit einem verschwörerischen Lächeln, als wollte sie mir sagen: „Schau, jetzt kann ich träumen!“ In dem Moment war ich sehr gerührt und hatte nicht den Mut, hinzugehen und sie hier nach vorne zu holen. Deswegen erzähle ich es. Die Großeltern träumen, wenn die Enkel voranschreiten, und die Enkel haben Mut, wenn sie die Wurzeln von den Großeltern haben.
Rumänien ist der „der Gottesmutter geweihte Garten“ und bei dieser Begegnung konnte ich mir dessen bewusst werden, weil sie Mutter ist, die die Träume ihrer Kinder pflegt, ihre Hoffnungen hütet und die Freude ins Haus bringt. Sie ist zartfühlende und konkrete Mutter, die sich um uns sorgt. Ihr seid die lebendige und blühende von Hoffnung erfüllte Gemeinschaft, die wir der Mutter schenken können. Ihr, unserer Mutter, weihen wir die Zukunft der jungen Menschen, die Zukunft der Familien und der Kirche. Mulțumesc! [Danke!].
[00957-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]
Traduzione in lingua spagnola
Queridos hermanos y hermanas, bună seara!
Aquí con vosotros se siente el calor de hogar, de estar en familia, rodeado de pequeños y grandes. Es fácil, viéndoos y escuchándoos, sentirse en casa. El Papa entre vosotros se siente en casa. Gracias por vuestra calurosa bienvenida y por los testimonios que nos regalaron. Mons. Petru, come buen y orgulloso padre de familia, os ha abrazado a todos con sus palabras, presentándoos y lo confirmaste tú, Eduard, cuando nos decías que este encuentro no quiere ser sólo ni de jóvenes, ni de adultos, ni de otros, sino que vosotros “habéis deseado que esta tarde estuvieran con nosotros nuestros padres y nuestros abuelos”.
Hoy es el día del niño en estas tierras. Quisiera que lo primero que hagamos sea rezar por ellos, pidámosle a la Virgen que los cubra con su manto. Jesús los puso en medio de sus apóstoles, también nosotros queremos ponerlos en el medio y reafirmar nuestro compromiso de querer amarlos con el mismo amor con que el Señor los ama comprometiéndonos a regalarles el derecho al futuro. Esta es una hermosa herencia: Dar a los niños el derecho al futuro.
Me alegra saber que en esta plaza se encuentra el rostro de la familia de Dios que abraza a niños, jóvenes, matrimonios, consagrados, ancianos rumanos de distintas regiones y tradiciones, así como también de Moldavia, también aquellos que han venido de la otra orilla del río Prut, los fieles de las lenguas csángó, polaca y rusa. El Espíritu Santo nos convoca a todos y nos ayuda a descubrir la belleza de estar juntos, de poder encontrarnos para caminar juntos. Cada uno con su lengua y tradición, pero feliz de encontrarse entre hermanos. Con esa felicidad que compartían Elisabetta e Ioan —¡valientes estos dos!—, con sus 11 hijos, todos diferentes, que vinieron de lugares diferentes, pero «hoy están todos reunidos, así como hace un tiempo cada domingo por la mañana caminaban todos juntos hacia la Iglesia». La felicidad de los padres de ver a los hijos reunidos. Seguro que hoy en el cielo hay fiesta por ver a tantos hijos que se animaron a estar juntos.
Es la experiencia de un nuevo Pentecostés —como escuchamos en la lectura—. Donde el Espíritu abraza nuestras diferencias y nos da la fuerza para abrir caminos de esperanza sacando lo mejor de cada uno; el mismo camino que comenzaron los apóstoles hace dos mil años y en el que hoy nos toca a nosotros tomar el relevo y animarnos a sembrar. No podemos esperar que sean otros, nos toca a nosotros. ¡Nosotros somos responsables! ¡Nos toca a nosotros!
Es difícil caminar juntos, ¿verdad? Es un don que tenemos que pedir, una obra artesanal que estamos llamados a construir y un hermoso regalo a transmitir. Pero, ¿por dónde empezamos a caminar juntos?
Quisiera “robar” nuevamente las palabras a estos abuelos Elisabetta e Ioan. Es lindo ver cuando el amor echa raíces con entrega y compromiso, con trabajo y oración. El amor echó raíces en vosotros y dio mucho fruto. Y como dice Joel, cuando jóvenes y ancianos se encuentran, los abuelos no tienen miedo a soñar (cf. Jl 3,1). Y este fue su sueño: «soñamos que puedan construirse un futuro sin olvidar de dónde salieron. Soñamos que todo nuestro pueblo no olvidara sus raíces». Vosotros miráis el futuro y abrís el mañana para vuestros hijos, para vuestros nietos, para vuestro pueblo ofreciéndoles lo mejor que han aprendido durante vuestro camino: que no olvidéis de dónde partisteis. Vayáis a donde vayáis, hagáis lo que hagáis, no olvidéis las raíces. Es el mismo sueño, la misma recomendación que san Pablo hizo a Timoteo: mantener viva la fe de su madre y de su abuela (cf. 2 Tm 1,5-7). En la medida que vayas creciendo —en todos los sentidos: fuerte, grande e incluso logrando tener fama— no te olvides lo más hermoso y valioso que aprendiste en el hogar. Es la sabiduría que dan los años: cuando crezcas, no te olvides de tu madre y de tu abuela, y de esa fe sencilla pero robusta que las caracterizaba y que les daba fuerza y tesón para ir adelante y no desfallecer. Es una invitación a dar gracias y reivindicar la generosidad, valentía, desinterés de una fe “casera” que pasa desapercibida pero que va construyendo poco a poco el Reino de Dios.
Ciertamente, la fe que “no cotiza en bolsa” no vende y, como nos recordaba Eduard, puede parecer que «no sirve para nada». Pero la fe es un regalo que mantiene viva una certeza honda y hermosa: nuestra pertenencia de hijos e hijos amados de Dios. Dios ama con amor de Padre. Cada vida, cada uno de nosotros le pertenecemos. Es una pertenencia de hijos, pero también de nietos, esposos, abuelos, amigos, de vecinos; una pertenencia de hermanos. El maligno divide, desparrama, separa y enfrenta, siembra desconfianza. Quiere que vivamos “descolgados” de los demás y de nosotros mismos. El Espíritu, por el contrario, nos recuerda que no somos seres anónimos, abstractos, seres sin rostro, sin historia, sin identidad. No somos seres vacíos ni superficiales. Existe una red espiritual muy fuerte que nos une, “conecta” y sostiene, y que es más fuerte que cualquier otro tipo de conexión. Y esta red son las raíces: es el saber que nos pertenecemos los unos a los otros, que la vida de cada uno está anclada en la vida de los demás. «Los jóvenes florecen cuando se les ama verdaderamente», decía Eduard. Todos florecemos cuando nos sentimos amados. Porque el amor echa y nos invita a echar raíces en la vida de los demás. Como esas bellas palabras de vuestro poeta nacional que deseaba a su dulce Rumanía que «tus hijos vivan únicamente en fraternidad, como las estrellas de la noche» (M. Eminescu, Cosa ti auguro, dolce Romania). Eminescu era un gran hombre, se sentía maduro, había crecido, pero no sólo: se sentía hermano, y por esto quiso que la Rumanía, que todos los rumanos fueran hermanos “como las estrellas de la noche”. Nos pertenecemos los unos a los otros y la felicidad personal pasa por hacer felices a los demás. Todo lo demás es cuento.
Para caminar juntos allí donde estés, no te olvides de lo que aprendiste en el hogar. No olvides tus raíces.
Esto me hizo acordar la profecía de un santo eremita de estas tierras. Cuando un día el monje Galaction Ilie del Monastero Sihăstria caminando con las ovejas en la montaña, encontró a un santo eremita que conocía y le preguntó: Dime, padre, ¿cuándo será el fin del mundo? Y el venerable eremita, suspirando, desde su corazón le dijo: Padre Galaction, ¿sabes cuándo será el fin del mundo? Cuando no haya sendas del vecino al vecino. Es decir, cuando no habrá más amor cristiano y comprensión entre hermanos, parientes, cristianos y entre los pueblos. Cuando las personas no amen más, será verdaderamente el fin del mundo. Porque sin amor y sin Dios ningún hombre puede vivir en la tierra.
La vida comienza a apagarse y marchitarse, nuestro corazón deja de latir y se seca, los ancianos no soñarán y los jóvenes no profetizarán cuando no haya sendas del vecino al vecino… Porque sin amor y sin Dios ningún hombre puede vivir en la tierra.
Eduard nos decía que él como muchos otros de su país intenta vivir la fe en medio de numerosas provocaciones. Son muchas, pero muchas las provocaciones que nos pueden desanimar y encerrarnos en nosotros mismos. No podemos negarlo ni hacer como que no pasara nada. Dificultades existen y son evidentes. Pero eso no puede hacernos perder de vista que la fe nos regala la mayor de las provocaciones: Esa que, lejos de encerrarte o aislarte, hace brotar lo mejor de cada uno. El Señor es el primero en provocarnos y decirnos que lo peor viene cuando no haya sendas del vecino al vecino, cuando veamos más trincheras que caminos. El Señor es quién nos regala un canto más fuerte del de todas las sirenas que quieren paralizar nuestra marcha. Y lo hace de la misma forma: entonando un canto más hermoso y más encantador.
A todos el Señor nos regala una vocación que es una provocación para hacernos descubrir los talentos y capacidades que poseemos y las pongamos al servicio de los demás. Y nos pide que usemos nuestra libertad como libertad de elección, de decirle sí a un proyecto de amor, a un rostro, a una mirada. Esta es una libertad mucho más grande que poder consumir y comprar cosas. Una vocación que nos pone en movimiento, nos hace derribar trincheras y abrir caminos que nos recuerden esa pertenencia de hijos y hermanos.
En esta “capital histórica y cultural” del país se partía juntos —en la edad media— como Peregrinos por la Vía transilvana, hasta Santiago di Compostela. Hoy, aquí, viven muchos estudiantes de varias partes del mundo. Recuerdo un encuentro virtual que tuvimos en marzo, con Scholas Occurentes, donde me decían también que esta ciudad sería durante este año la capital nacional de la juventud. ¿Es verdad? ¿Es verdad que esta ciudad durante este año es la capital nacional de la juventud? [Los jóvenes responden: “Sí”]. ¡Vivan los jóvenes! Dos factores muy buenos: una ciudad que históricamente sabe abrir e iniciar procesos —como el camino de Santiago—; una ciudad que sabe albergar jóvenes provenientes de varias partes del mundo como ahora. Dos características que recuerdan el potencial y la alta misión que pueden desarrollar: abrir caminos para caminar juntos y llevar adelante ese sueño de los abuelos que es profecía: sin amor y sin Dios ningún hombre puede vivir en la tierra. De aquí pueden partir aún nuevas vías del futuro hacia Europa y hacia tantas otras partes del mundo. Jóvenes, vosotros sois peregrinos del siglo XXI capaces de una nueva imaginación de los lazos que nos unen.
Pero no se trata de generar grandes programas o proyectos sino de dejar crecer la fe, de dejar que las raíces nos transmitan la savia. Como os decía al inicio: la fe no se transmite sólo con palabras sino con gestos, miradas, caricias como la de nuestras madres, abuelas; con el sabor a las cosas que aprendimos en el hogar, de manera simple y auténtica. Allí donde exista mucho ruido, que sepamos escuchar; donde haya confusión, que inspiremos armonía; donde todo se revista de ambigüedad, que podamos aportar claridad; donde haya exclusión, que llevemos compartir; en el sensacionalismo, el mensaje y la noticia rápida, que cuidemos la integridad de los demás; en la agresividad, que prioricemos la paz; en la falsedad, que aportemos la verdad; que en todo, en todo privilegiemos abrir caminos para sentir esa pertenencia de hijos y hermanos (cf. Mensaje para la 52 jornada mundial de las comunicaciones sociales 2018). Estas últimas palabras que he dicho tienen la “música” de san Francisco de Asís. ¿Sabéis lo que aconsejaba a sus frailes para transmitir la fe? Les decía: “Id, predicad el Evangelio y, si fuera necesario, también con palabras”. [Aplauso] Este aplauso es para san Francisco de Asís.
Estoy concluyendo, me falta un párrafo, pero deseo contar una experiencia que he tenido cuando entraba en la plaza. Había una anciana, bastante mayor, abuela. En sus brazos tenía a su nieto, de unos dos meses, no más. Cuando he pasado me lo ha mostrado. Sonreía, y sonreía con una sonrisa cómplice, como diciéndome: “¡Mire, ahora yo puedo soñar!”. En ese momento me he emocionado y no he tenido el ánimo de ir y traerla aquí delante. Por esto, lo cuento. Los abuelos sueñan cuando los nietos progresan, y los nietos tienen empuje cuando asumen las raíces de los abuelos.
Rumanía es el “jardín de la Madre de Dios” y en este encuentro he podido darme cuenta por qué. Ella es la Madre que cultiva los sueños de los hijos, que custodia sus esperanzas, que lleva la alegría a la casa. Es la madre tierna y concreta, que nos cuida. Vosotros sois esa comunidad viva y floreciente llena de esperanza que podemos regalarle a la Madre. A ella, a la Madre, consagramos el futuro de los jóvenes, el futuro de las familias y de la Iglesia. Mulțumesc! [Gracias!]
[00957-ES.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua portoghese
Queridos irmãos e irmãs, bună seara!
Aqui, convosco, sente-se o calor de estar em família, rodeados de pequenos e grandes. Vendo-vos e ouvindo-vos, é fácil sentir-se em casa. O Papa, no vosso meio, sente-se em casa. Obrigado pela vossa calorosa receção e pelos testemunhos que nos oferecestes. Ao apresentar-vos, o bispo D. Petru – como bom e brioso pai da família – abraçou-vos a todos nas suas palavras; e viu-se confirmado por ti, Eduard, quando nos dizias que este encontro não quer ser apenas de jovens, nem apenas de adultos, nem apenas de outros quaisquer, mas «esta tarde [quisemos] que, juntamente connosco, estivessem os nossos pais e os nossos avós».
Por estes lados, hoje é o dia da criança. Um aplauso às crianças! Quero que a primeira coisa a fazer seja rezar por elas: peçamos à Virgem que as proteja com o seu manto. Jesus colocou-as no meio dos seus Apóstolos; também nós queremos colocá-las no centro e reafirmar o nosso compromisso de querer amá-las com o mesmo amor com que as ama o Senhor, empenhando-nos pelo direito delas ao futuro. Esta é uma boa herança: dar às crianças o direito ao futuro.
Alegra-me saber que, nesta praça, se encontra o rosto da família de Deus, que envolve crianças, jovens, esposos, pessoas consagradas, idosos romenos de várias regiões e tradições, bem como da Moldávia, e ainda quantos vieram da outra margem do rio Prut, os fiéis de língua csango, polaca e russa. O Espírito Santo convoca-nos a todos e ajuda-nos a descobrir a beleza de estar juntos, de nos podermos encontrar para caminhar juntos; cada qual com a sua própria língua e tradição, mas feliz por se encontrar entre irmãos. Com aquela alegria que partilhavam connosco Elizabete e Ioan – são admiráveis estes dois! – com os seus onze filhos, todos diferentes, vindos de vários lugares, mas «hoje encontram-se todos reunidos, da mesma forma que, alguns anos atrás, cada domingo de manhã se encaminhavam todos juntos para a Igreja». A felicidade dos pais ao verem os filhos reunidos! De certeza hoje, no céu, fazem festa ao ver tantos filhos que decidiram estar juntos.
É a experiência dum novo Pentecostes, como ouvimos na Leitura, onde o Espírito abraça as nossas diferenças e nos dá a força para abrir sendas de esperança, fazendo valer o melhor de cada um; é o mesmo caminho que encetaram os Apóstolos há dois mil anos, sendo hoje a nossa vez de agarrar o testemunho e nos decidirmos a semear. Não podemos esperar que sejam os outros a fazê-lo; toca-nos a nós! Somos responsáveis; toca a nós!
É difícil caminhar juntos, não é verdade? É uma graça que devemos pedir, uma peça artesanal que somos chamados a construir e um dom maravilhoso a transmitir. Mas, por onde começar para caminhar juntos?
Quero de novo «roubar» as palavras a estes avós, Elisabete e Ioan. É maravilhoso ver quando o amor cria raízes com dedicação e empenho, com trabalho e oração. O amor criou raízes em vós e deu muito fruto. Como diz o profeta Joel, quando se encontram jovens e anciãos, os avós não têm medo de sonhar (cf. Jl 3, 1). E o vosso sonho foi este: «Sonhamos que eles possam construir um futuro sem esquecer donde partiram. Sonhamos que todo o nosso povo não esqueça as suas raízes». Estendeis o olhar para o futuro e abris o amanhã para os vossos filhos, para os vossos netos, para o vosso povo, oferecendo o melhor que aprendestes durante o vosso caminho: que eles não se esqueçam donde partiram. Para onde quer que forem, façam seja o que for, que não esqueçam as raízes. É o mesmo sonho, a mesma recomendação que São Paulo fez a Timóteo: manter viva a fé de sua mãe e de sua avó (cf. 2 Tm 1, 5-7). À medida que vais crescendo – em todos os sentidos: força, tamanho e mesmo fazendo-te um nome –, não esqueças o que de mais belo e precioso aprendeste em família. É a sabedoria que se recebe com o passar dos anos: ao crescer, não te esqueças da tua mãe e da tua avó e daquela fé simples, mas robusta, que as caraterizava e lhes dava força e constância para prosseguir e não cruzar os braços. É um convite a agradecer e reabilitar a generosidade, a coragem, a gratuidade duma fé «caseira», que passa despercebida, mas pouco a pouco constrói o Reino de Deus.
É certo que a fé, «sem cotação na bolsa», não contando no mercado, pode parecer até – como nos lembrava Eduard – que «não serve para nada». Mas, a fé é um dom que mantém viva esta certeza profunda e estupenda: a nossa pertença a Deus como filhos, e filhos muito amados. Deus ama com amor de Pai. Cada vida, cada um de nós pertence-Lhe. É uma pertença de filhos, mas também de netos, esposos, avós, amigos, vizinhos; uma pertença de irmãos. O maligno divide, dispersa, separa e cria discórdia, semeia desconfiança. Quer que vivamos «longe» dos outros e de nós mesmos. Pelo contrário, o Espírito lembra-nos que não somos seres anónimos, abstratos, seres sem rosto, sem história, sem identidade. Não somos seres vazios, nem superficiais. Existe uma rede espiritual muito forte que nos une, «coneta» e apoia, sendo mais forte do que qualquer outro tipo de conexão. E esta rede são as raízes: saber que pertencemos uns aos outros, que a vida de cada um está ancorada à vida dos outros. «Os jovens florescem, quando são verdadeiramente amados»: dizia Eduard. Todos nós florescemos, quando nos sentimos amados. Porque o amor cria raízes e convida-nos a criá-las na vida dos outros. Como mostram aquelas belas palavras do vosso poeta nacional, em que almejava à sua doce Roménia: «Que os teus filhos vivam unicamente em fraternidade, como as estrelas da noite» (M. Eminescu, O que te desejo, doce Roménia). Eminescu era um grande homem, crescera, sentia-se maduro, mas não só: sentia-se fraterno e, por isso, quer que a Roménia, que todos os romenos sejam fraternos «como as estrelas da noite». Nós pertencemos uns aos outros, e a felicidade pessoal provém de fazer os outros felizes. Tudo o mais não passa de fábulas...
Para caminhar juntos no lugar onde estás, não te esqueças de tudo aquilo que aprendeste em família. Não esqueças as tuas raízes.
Isto fez-me recordar a profecia dum eremita santo destas terras. Um dia, o monge Galaction Ilie do Mosteiro Sihăstria, caminhando com as ovelhas pela montanha, encontrou um eremita santo que conhecia e perguntou: «Padre, quando será o fim do mundo?» E o venerável eremita, com um suspiro vindo do coração, disse: «Padre Galaction, sabes quando será o fim do mundo? Quando não houver sendas do vizinho ao vizinho! Isto é, quando já não houver amor cristão e compreensão entre irmãos, parentes, cristãos e entre povos! Quando as pessoas já não amarem, será verdadeiramente o fim do mundo. Porque sem amor e sem Deus nenhum homem pode viver sobre a terra!»
A vida começa a apagar-se e corromper-se, o nosso coração cessa de bater e estiola, os idosos deixarão de sonhar e os jovens de profetizar quando não houver sendas do vizinho ao vizinho... Porque sem amor e sem Deus, nenhum homem pode viver sobre a terra.
Dizia-nos Eduard que ele, como tantos outros do seu país, tenta viver a fé no meio de numerosas provocações. Verdadeiramente são tantas as provocações, que podem desencorajar-nos e levar a fechar-nos em nós mesmos. Não podemos negá-lo, não podemos fazer de conta que não são nada. As dificuldades existem e são evidentes. Mas isto não pode fazer-nos perder de vista que a maior das provocações no-la dá a fé: e, longe de te fechar ou isolar em ti mesmo, faz germinar o melhor de cada um. O Senhor é o primeiro a provocar-nos e a dizer-nos que o pior acontece, quando «não houver sendas do vizinho ao vizinho», quando abrirmos mais trincheiras do que estradas. O Senhor é Aquele que nos dá um canto mais forte do que o de todas as sereias que querem paralisar o nosso caminho; e fá-lo assim: entoando um canto mais belo e mais encantador.
A todos nós, o Senhor dá uma vocação que é uma provocação para nos fazer descobrir os talentos e as capacidades que possuímos a fim de os colocarmos ao serviço dos outros. Pede-nos para usar a nossa liberdade como liberdade de escolha, para dizer «sim» a um projeto de amor, a um rosto, a um olhar. Esta é uma liberdade muito maior do que poder consumir e comprar coisas. Uma vocação que nos põe em movimento, nos faz derrubar trincheiras e abrir caminhos que nos lembrem a referida pertença de filhos e irmãos.
Na Idade Média, desta capital histórica e cultural do país, partia-se juntos como peregrinos pela Via Transilvana, rumo a Santiago de Compostela. Hoje, vivem aqui muitos estudantes de várias partes do mundo. Recordo de me dizerem, num encontro virtual em março com Scholas Occurentes, que, durante este ano, a capital nacional da juventude é esta cidade. É verdade ou não? É verdade que esta cidade, em 2019, é a capital nacional da juventude? [os jovens respondem: «Sim!»] Vivam os jovens! Dois elementos ótimos: uma cidade que, historicamente, sabe abrir e iniciar processos (como o caminho de Santiago) e uma cidade que sabe hospedar jovens de várias partes do mundo, como sucede atualmente. Duas caraterísticas que lembram as potencialidades e a grande missão que podeis desenvolver: abrir estradas para caminhar juntos e levar por diante aquele sonho dos avós que é profecia: sem amor e sem Deus, nenhum homem pode viver sobre a terra. Hoje, daqui, podem ainda partir novas vias do futuro rumo à Europa e a muitos outros lugares do mundo. Jovens, vós sois peregrinos do século XXI, capazes de nova imaginação dos laços que nos unem.
Entretanto não se trata de criar grandes programas ou projetos, mas deixar crescer a fé, deixar que as raízes nos forneçam a seiva. Como vos dizia ao princípio, a fé não se transmite apenas com as palavras, mas com gestos, olhares, carícias como as das nossas mães, das nossas avós; com o sabor das coisas que aprendemos em casa, de maneira simples e genuína. Nos lugares onde houver muito barulho, que saibamos escutar; onde houver confusão, que inspiremos harmonia; onde tudo se reveste de ambiguidade, que possamos levar clareza; onde houver exclusão, que levemos partilha; no meio do sensacionalismo, das mensagens e notícias rápidas, que nos preocupemos com a honra dos outros; no meio da agressividade, que demos prioridade à paz; no meio da falsidade, que levemos a verdade; que em tudo, em tudo, privilegiemos a abertura de caminhos para sentir esta pertença de filhos e irmãos (cf. Francisco, Mensagem para o Dia Mundial das Comunicações de 2018). Estas últimas palavras que eu disse têm a «música» de Francisco de Assis. Sabeis o conselho que ele dava aos seus frades para transmitirem a fé? Dizia assim: «Ide, pregai o Evangelho e, se necessário, até com palavras» [aplauso]. Este aplauso é para São Francisco de Assis!
Estou quase a terminar – falta-me um parágrafo –, mas não me quero esquecer de dizer uma experiência que tive ao entrar na Praça. Havia lá uma mulher idosa, bastante idosa, uma avó. Nos braços, tinha o neto que poderia ter dois meses… não mais. Quando passei, fez-mo ver. Sorria…, e sorria com um sorriso de cumplicidade como se me dissesse: «Olhe! Agora posso sonhar». Naquele momento emocionei-me e não tive a coragem de pegar nela e trazê-la aqui diante de vós. Por isso vo-lo conto. Os avós sonham quando os netos crescem, e os netos têm coragem quando se agarram às raízes dos avós.
A Roménia é o «jardim da Mãe de Deus», como pude dar-me conta neste encontro, porque Ela é Mãe que cultiva os sonhos dos filhos, que guarda as suas esperanças, que irradia a alegria na casa. É Mãe carinhosa e concreta, que cuida de nós. Vós sois a comunidade viva e próspera, cheia de esperança, que podemos dar de prenda à Mãe. A Ela, à Mãe, consagramos o futuro dos jovens, o futuro das famílias e da Igreja. Mulţumesc! [Obrigado!]
[00957-PO.01] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua polacca
Drodzy bracia i siostry, bună seara!
Będąc tu, razem z wami, można poczuć ciepło życia rodzinnego, w otoczeniu małych i dużych. Widząc was i słysząc was łatwo poczuć się jak w domu. Papież czuje się między wami jak w domu. Dziękuję za wasze serdeczne przyjęcie i świadectwa, którymi nas obdarzyliście. Ksiądz biskup Petru [Gherghel] jako dobry i dumny ojciec rodziny, ogarnął was wszystkich swoimi słowami, przedstawiając was, a ty Eduardzie to potwierdziłeś, kiedy nam powiedziałeś, że to spotkanie nie ma być przeznaczone tylko dla ludzi młodych, ani dorosłych, ani też innych, ale chcieliście „żeby dziś wieczorem byli wraz z nami nasi rodzice i dziadkowie”.
Dzisiaj na tych ziemiach obchodzony jest Dzień Dziecka. Brawa dla dzieci! Chciałbym, aby pierwszą rzeczą, jaką uczynimy, była modlitwa za nie: prośmy Dziewicę Maryję, aby je chroniła pod swym płaszczem. Jezus postawił je pośród swoich apostołów. Również my chcemy je umieścić pośrodku i potwierdzić nasze przyrzeczenie, że chcemy je kochać tą samą miłością, z jaką miłuje je Pan, angażując się w danie im prawa do przyszłości. To piękna spuścizna: dać dzieciom przyszłość!
Z radością dowiaduję się, że na tym placu znajdujemy oblicze rodziny Bożej, która obejmuje dzieci, młodzież, małżonków, osoby konsekrowane, rumuńskie osoby starsze z różnych regionów i tradycji (łacińskiej, greckiej, wschodniej, braci prawosławnych), a także z Mołdawii oraz tych, którzy przybyli z drugiej strony rzeki Prut, wiernych posługujących się językiem Czangów, polskim i rosyjskim. Duch Święty zwołuje nas wszystkich i pomaga nam odkryć piękno bycia razem, piękno możliwości spotkania się, aby podążać razem. Każdy ze swoim językiem i tradycją, ale szczęśliwy ze spotkania pośród braci. Z tą radością, którą dzielili się Elisabetta i Ioan – są dzielni oboje! -, z ich jedenaściorgiem dzieci, a każde z nich inne, które przybyły z różnych miejsc, ale „dziś wszyscy się zgromadzili razem, tak jak jakiś czas temu w każdy niedzielny poranek wszyscy szli razem drogą do Kościoła”. Rodzice są szczęśliwi widząc dzieci zgromadzone razem. Z pewnością dzisiaj w niebie jest święto, gdy widać tak wiele dzieci, które postanowiły być razem.
Jest to doświadczenie nowej Pięćdziesiątnicy, jak usłyszeliśmy w czytaniu, gdzie Duch ogarnia nasze różnice i daje nam siłę do otwierania dróg nadziei poprzez wydobywanie z każdego tego, co najlepsze. Jest to ta sama droga, którą rozpoczęli apostołowie dwa tysiące lat temu i na której dziś na nas przypada kolej, by podjąć pałeczkę i postanowić siać. Nie możemy czekać, aż inni to uczynią, to do nas należy. My jesteśmy odpowiedzialni! To nasze zadanie!
Czy to prawda, że trudno iść razem? Jest to dar, o który musimy prosić, dzieło wykonane własnoręcznie, do którego tworzenia jesteśmy wezwani, i piękny dar do przekazania. Ale od czego zacząć, by iść razem?
Chciałbym ponownie „ukraść” słowa tym dziadkom, Elisabecie i Ioanowi. Miło patrzeć, kiedy miłość zakorzenia się poprzez dar z siebie i zaangażowanie, pracę i modlitwę. Miłość zakorzeniła się w was i przyniosła wiele owoców. Jak mówi Joel, kiedy spotykają się młodzi i starzy, dziadkowie nie boją się marzyć (por. Jl 3,1). I to było waszym marzeniem: „Marzymy, aby mogli zbudować sobie przyszłość, nie zapominając, skąd wyszli. Marzymy, aby cały nasz naród nie zapomniał o swoich korzeniach”. Patrzycie w przyszłość i otwieracie jutro dla swoich dzieci, wnuków, dla waszego narodu, dając to, co najlepsze, czego nauczyliście się podczas waszego pielgrzymowania: by nie zapomnieli, skąd się wzięli. Gdziekolwiek pójdą, cokolwiek uczynią, niech nie zapomną o swoich korzeniach. Jest to to samo marzenie, to samo zalecenie, jakie św. Paweł dał Tymoteuszowi: podtrzymywanie żywej wiary swojej matki i babki (por. 2 Tm 1, 5-7). Na ile się rozwijasz - pod każdym względem: silny, wielki, a także, gdy stajesz się znany - nie zapominaj, o tym, jak wiele z tego, co najpiękniejsze i najcenniejsze, nauczyłeś się w rodzinie. Jest to mądrość, którą otrzymujemy wraz z latami: kiedy się rozwijasz, nie zapominaj o swojej matce i swojej babci i o tej prostej, lecz mocnej wierze, która je cechowała i która dawała im siłę i wytrwałość, by iść dalej i nie pozwolić, by opadły nam ręce. Jest to zachęta, aby dziękować i zrehabilitować wielkoduszność, odwagę, bezinteresowność wiary „domowej”, która pozostaje niezauważona, ale krok po kroku buduje królestwo Boże.
Oczywiście wiara „nie jest notowana na giełdzie”, nie sprzedaje się i, jak przypomniał nam Eduard, może się zdawać, że „niczemu nie służy”. Ale wiara jest darem, który podtrzymuje przy życiu pewność głęboką i piękną: naszą przynależność jako dzieci i to dzieci miłowanych przez Boga. Bóg kocha miłością ojcowską. Każde istnienie, każdy z nas do Niego należy. Jest to przynależność dzieci, ale także wnuków, małżonków, dziadków, przyjaciół, sąsiadów; przynależność braci. Zły duch dzieli, rozprasza, oddziela i tworzy niezgodę, sieje nieufność. Chce, abyśmy żyli „oderwani” od innych i od nas samych. Duch Święty przeciwnie, przypomina nam, że nie jesteśmy istotami anonimowymi, istotami abstrakcyjnymi, bez oblicza, bez historii, bez tożsamości. Nie jesteśmy istotami pustymi ani powierzchownymi. Istnieje bardzo silna sieć duchowa, która nas jednoczy, łączy nas między sobą i wspiera nas. Jest ona silniejsza niż jakikolwiek inny rodzaj połączenia. Tą siecią są korzenie: świadomość, że należymy do siebie nawzajem, że życie każdego z nas jest zakotwiczone w życiu innych. „Młodzi ludzie rozkwitają, kiedy są naprawdę kochani” - powiedział Eduard. Wszyscy rozkwitamy, kiedy czujemy się kochani. Miłość bowiem zapuszcza korzenie i zaprasza nas do umieszczenia ich w życiu innych. Podobnie jak te piękne słowa waszego narodowego poety, który życzył swojej słodkiej Rumunii: „niech twoje dzieci żyją jedynie w braterstwie, jak nocne gwiazdy” (M. EMINESCU, „Ce-ţi doresc eu ţie, dulce Românie”). Eminescu był wielki, wzrastał, czuł się dojrzały, ale nie tylko: czuł się braterski, i dlatego chce, aby Rumunia, aby wszyscy Rumuni byli braćmi „jak nocne gwiazdy”. Należymy jedyni do drugich, a osobiste szczęście domaga się także uczynienia innych szczęśliwymi. Cała reszta to bajki.
Aby iść razem, tam gdzie jesteś, nie zapomnij, ile nauczyłeś się w rodzinie. Nie zapominaj swoich korzeni.
Przypomniało mi to proroctwo pewnego świętego pustelnika z tych ziem. Pewnego dnia mnich Galaction Ilie z klasztoru Sihăstria, idąc z owcami na górze, spotkał świętego pustelnika, którego znał i zapytał: „Powiedz mi, ojcze, kiedy będzie koniec świata?”. Czcigodny pustelnik, wzdychając z głębi serca, powiedział: „Ojcze Galaction, czy wiesz, kiedy będzie koniec świata? Kiedy nie będzie ścieżek od sąsiada do sąsiada! To znaczy, kiedy nie będzie już chrześcijańskiej miłości i zrozumienia między braćmi, krewnymi, chrześcijanami i między narodami! Kiedy ludzie nie będą już kochać, to będzie to naprawdę koniec świata. Ponieważ bez miłości i bez Boga żaden człowiek nie może na ziemi żyć!”.
Życie zaczyna gasnąć i gnić, nasze serca przestają bić i stają się nieczułe, starsi nie będą marzyli, a młodzi nie będą prorokować, kiedy nie będzie ścieżek od sąsiada do sąsiada... Bo bez miłości i bez Boga żaden człowiek nie może na ziemi żyć.
Eduard powiedział nam, że podobnie jak wielu innych w jego regionie, stara się żyć wiarą pośród licznych prowokacji. Istnieje doprawdy wiele prowokacji, które mogą nas zniechęcić i zmusić do zamknięcia się w sobie. Nie możemy temu zaprzeczyć, nie możemy czynić tak, jakby nic się nie stało. Trudności istnieją i są oczywiste. Ale nie może to sprawić, abyśmy stracili z oczu fakt, że wiara daje nam największą prowokację: tę, która nie zamykając ciebie ani nie izolując, sprawia, że rodzi się wszystko, co najlepsze w każdym z nas. Pan prowokuje nas jako pierwszy i mówi nam, że najgorsze przychodzi wówczas, gdy „nie będzie ścieżek od sąsiada do sąsiada”, kiedy będziemy widzieli więcej okopów niż dróg. Pan jest tym, który daje nam śpiew silniejszy, niż wszystkie syreny, które chcą sparaliżować nasze pielgrzymowanie. I czyni to w ten sam sposób: wznosząc śpiew piękniejszy i bardziej atrakcyjny.
Pan daje nam wszystkim powołanie, które jest prowokacją, aby pomóc nam odkryć talenty i zdolności, jakie posiadamy i abyśmy je oddali na służbę innym. Prosi nas, abyśmy używali naszej wolności, jako wolności wyboru, by powiedzieć „tak” projektowi miłości, obliczu, spojrzeniu. Jest to znacznie większa wolność, niż możliwość konsumpcji i kupowania rzeczy. Jest to powołanie, które wprawia nas w ruch, powoduje, że obalamy okopy i otwieramy drogi, powołanie, które przypomina nam o przynależeniu do siebie jako dzieci i bracia.
W tej historycznej i kulturalnej stolicy kraju w średniowieczu wychodzono razem - jako pielgrzymi - na Via Transilvana, w kierunku Santiago de Compostela. Dziś mieszka tu wielu studentów z różnych części świata. Pamiętam pewne spotkanie wirtualne, które mieliśmy w marcu ze Scholas Occurentes, podczas którego mówiono mi również, że to miasto jest w tym roku krajową stolicą młodzieży. Czy to prawda? To prawda, że to miasto, w tym roku jest krajową stolicą młodzieży? [Młodzi odpowidają: „Tak!”]. Niech żyją młodzi! Dwa bardzo dobre elementy: miasto, które w dziejach potrafiło otwierać i rozpoczynać procesy – jak Camino di Santiago – ; miasto, które potrafi gościć ludzi młodych pochodzących z różnych części świata, jak to jest obecnie. Dwie cechy, które przypominają o potencjalności i wspaniałej misji, którą możecie rozwinąć: otwieranie dróg, by iść razem i rozwijać to marzenie dziadków, które jest proroctwem: bez miłości i bez Boga żaden człowiek nie może żyć na ziemi. Stąd mogą nadal wyruszać nowe drogi przyszłości ku Europie i do wielu innych miejsc na świecie. Młodzieży, wy jesteście pielgrzymami XXI-wieku, zdolni do nowej wyobraźni więzi, które nas łączą.
Ale nie chodzi o tworzenie wspaniałych programów lub projektów, ale o to, by wiara mogła wzrastać, by pozwolić korzeniom, aby przekazywały nam limfę. Jak powiedziałem na początku: wiary nie przekazuje się tylko słowami, ale także gestami, spojrzeniami, czułością, jak to czyniły nasze matki, nasze babcie; ze smakiem rzeczy, których nauczyliśmy się w domu, w sposób prosty i prawdziwy. Tam, gdzie jest dużo zgiełku, abyśmy umieli słuchać; tam gdzie jest zamieszanie, abyśmy wzbudzali zgodę; tam, gdzie wszystko przyobleka się dwuznacznością, abyśmy mogli wnieść jasność; tam gdzie jest wykluczenie, abyśmy wnosili dzielenie się; pośród gonitwy za sensacją, szybkich przesłań i wiadomości, abyśmy troszczyli się o nieskazitelność innych; pośród agresywności, byśmy dawali pierwszeństwo pokojowi; pośród kłamstwa wnosili prawdę; abyśmy we wszystkim dawali pierwszeństwo otwieraniu dróg, żeby poczuć tę przynależność dzieci i braci (por. Orędzie na Światowy Dzień Środków Społecznego Przekazu, 2018). Te ostatnie słowa, które powiedziałem, mają w sobie „muzykę” Franciszka z Asyżu. Wiecie, co radził św. Franciszek z Asyżu swoim braciom, aby przekazywali wiarę? Mówił tak: „Idźcie, głoście Ewangelię a, jeśli to będzie konieczne, również słowami”. [Brawa] Te brawa, to dla św. Franciszka z Asyżu.
Kończę, został jeszcze jeden paragraf, ale nie chcę pominąć podzielenia się pewnym doświadczeniem, które miałem, gdy wjeżdżałem na plac. Była pewna staruszka, dość wiekowa, babcia. W ramionach trzymała wnuka około dwumiesięcznego, nie więcej. Kiedy przejeżdżałem, pokazała mi go. Uśmiechała się, a uśmiechała się znacząco, jakby mi mówiła: „Popatrz, teraz mogę śnić!” Wówczas wzruszyłem się i nie miałem odwagi, żeby podejść i przyprowadzić ją t do przodu. Dlatego to opowiadam. Dziadkowie śnią, kiedy ich wnukowie wzrastają, a wnukowie mają odwagę, gdy mają korzenie w dziadkach.
Rumunia jest „ogrodem poświęconym Matce Bożej”, a podczas tego spotkania mogłem sobie zdać z tego sprawę, bo Ona jest Matką, która pielęgnuje marzenia swoich dzieci, która strzeże ich nadziei, która wnosi w dom radość. Jest czułą i konkretną Matką, która się nami opiekuje. Jesteście żywą i kwitnącą wspólnotą, pełną nadziei, którą możemy darować Matce. Jej, Matce, powierzam przyszłość młodzieży, przyszłość rodzin i Kościoła. Mulţumesc! [Dziękuję!].
[00957-PL.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua araba
الزيارة الرّسولية إلى رومانيا
كلمة قداسة البابا فرنسيس
خلال اللقاء المريمي مع الشبيبة والأسر
في ساحة قصر الثقافة - ياشي
السبت 1 يونيو / حزيران 2019
أيّها الإخوة والأخوات الأعزاء، مساء الخير!
يمكننا أن نشعر هنا معكم بدفء العائلة، محاطون بالصغار والكبار. من السهل أن نشعر وكأننا في بيتنا إذ نراكم ونصغي إليكم. البابا وسطكم يشعر وكأنه في بيته. شكرًا على استقبالكم الحارّ وعلى الشهادات التي قدّمتموها لنا. لقد عانقكم جميعًا مونسنيور بيترو في كلامه، كربّ عائلة صالح وفخور، عند تقديمه لكم، وقد أكّدته لنا، إدوارد، عندما قلت لنا أن هذا الاجتماع ليس للشبيبة فقط ولا للبالغين ولا لغيرهم، لكنكم أردتم "أن يحضر معنا الليلة آباؤنا وأجدادنا".
اليوم هو يوم الطفل. لنصفّق للأطفال! أودّ أوّلًا أن نصلّي من أجلهم: لنسأل العذراء بأن تحفظهم في ظلّ حمايتها. لقد جعلهم يسوع وسط رسله؛ ونريد نحن أيضًا أن نجعلهم وسطنا ونؤكّد من جديد التزامنا بمحبّتهم بنفس محبّة الربّ لهم، ونلتزم بمنحهم الحقّ بالمستقبل. إنه لإرث جميل هذا: أن نعطي الأطفال الحقّ بالمستقبل.
يسعدني أن أرى أنه يوجد في هذه الساحة وجه عائلة الله التي تضمّ الأطفال والشبيبة والأزواج والمكرّسين والشيوخ الرومانيين من مختلف المناطق والتقاليد، كما ومن مولدوفا، وأيضًا الذين أتوا من الجانب الآخر من نهر بروت، والمؤمنين الناطقين بلغة الكسانجو واللغة البولندية والروسية. إن الروح القدس يدعونا جميعًا ويساعدنا على اكتشاف جمال وجودنا معًا، والقدرة على الالتقاء والسير معًا. كلّ بلغته وتقاليده، ولكن سعداء بأن نلتقي كإخوة. ذاك الفرح الذي شاركانا به إليزابيث ويوان، مع أبنائهما الأحد عشر، جميعهم مختلفين، والذين أتوا من أماكن مختلفة، لكنهم "يجتمعون اليوم كلّهم معًا، كما كانوا منذ بعض الوقت يأخذون الطريق معًا صباح أيام الآحاد باتّجاه الكنيسة". سعادة الوالدين لرؤية أبنائهم مجتمعين. هناك اليوم احتفال في السماء بالتأكيد لرؤية الكثير من الأبناء الذين قرّروا أن يجتمعوا.
إنها تجربة عنصرة جديدة، كما سمعنا في القراءة. حيث يعانق الروح اختلافاتنا، ويمنحنا القوّة كي نفتح مسارات رجاء، إذ يعطي كلّ منّا أفضل ما فيه؛ هو نفس المسار الذي بدأه الرسل منذ ألفي سنة والذي صار اليوم من مسؤوليّتنا أن نستلم عصاه ونقرّر أن نزرع. لا يمكننا انتظار الآخرين للقيام به، الأمر متروك لنا. نحن مسؤولون! الأمر متروك لنا!
من الصعب أن نسير معًا، صحيح؟ إنها عطيّة يجب أن نلتمسها، عمل حرفيّ نحن مدعوّون لبنائه، وموهبة ثمينة يجب نقلها. ولكن من أين نبدأ كي نسير معًا؟
أودّ أن "أسرق" مرّة أخرى كلمات الجدّين إليزابيتا ويوان. جميل أن نرى متى يتجذّر الحبّ بتفانٍ والتزام، بعملٍ وصلاة. لقد ترسّخ الحبّ فيكما وأعطى ثمارًا كثيرة. كما يقول يوئيل، عندما يلتقي الشبّان والشيوخ، لا يخاف الأجداد من أن يحلموا (را. يوئيل 3، 1). وكان هذا هو حلمكما: "نحن نحلم أن يتمكّنوا من بناء مستقبل دون أن ينسوا من أين انطلقوا. نحلم ألّا ينسى كلّ شعبنا جذوره". أنتم تنظرون إلى المستقبل وتفتحون الغد لأبنائكم، لأحفادكم، لشعبكم، عبر تقديم أفضل ما تعلّمتموه خلال مسيرتكم: ألّا ينسوا من أين انطلقوا. أينما ذهبوا، ومهما فعلوا، ألّا ينسوا الجذور. إنه نفس الحلم، ونفس توصية القدّيس بولس لطيموتاوس: الحفاظ على إيمان والدته وجدّته (را. 2 طيم 1، 5- 7). فعلى قدر نموّك -بكلّ معنى الكلمة: قوّي، عظيم، وحتى ذات شهرة- لا تنسَ كم من أمور أجمل وأثمن تعلّمتها في العائلة. إنها الحكمة التي نكتسبها مع مرور السنين: عندما تكبر، لا تنسَ أمّك وجدّتك وذاك الإيمان البسيط والقويّ الذي ميّزهما والذي أعطاهما القوّة والثبات للمضيّ قدمًا، وعدم الاستسلام. إنها دعوة لتقديم الشكر وإعادة سخاء وشجاعة ومجانيّة إيمانٍ "صِنعِ المنزل"، والذي لا يلاحظه أحد، ولكنه يبني شيئًا فشيئًا ملكوت الله.
والإيمان بالطبع، الذي لا "يدرج في البورصة"، لا يبيع، وكما ذكر إدوارد، فقد يبدو أنه "لا يخدم أيّ غرض". لكن الإيمان هبة تحافظ على يقين عميق وجميل: انتمائنا كأبناء، وأبناء محبوبين من الله. والله يحبّ بمحبّة أب. فكلّ حياة، كلّ واحد منّا، ينتمي إليه. إنه انتماء أبناء، ولكن أيضًا أحفاد وأزواج وأجداد وأصدقاء وأقرباء؛ انتماء إخوة. الشرّ يقسم، ويشتّت، ويفصل، ويخلق الشقاق، ويزرع الارتياب. يريدنا أن نعيش "منفصلين" عن الآخرين وعن أنفسنا. أمّا الروح، فعلى العكس، يذكّرنا بأننا لسنا مجهولين، لسنا كائنات مجرّدة، دون وجه، دون تاريخ، دون هويّة. لسنا كائنات فارغة أو سطحيّة. هناك "شبكة" روحيّة قويّة للغاية توحّدنا و"تصلنا ببعضنا" وتدعمنا، وهي أقوى من أيّ نوع آخر من الاتّصال. وهذه الشبكة هي الجذور: أن ندرك أننا ننتمي إلى بعضنا البعض، وأن حياة كلّ منّا هي راسخة في حياة الآخرين. قال إدوارد "إن الشبّان يونعون عندما يكونون محبوبين حقًّا". كلّنا نونع عندما نشعر بأننا محبوبون. لأن الحبّ يتجذّر ويدعونا إلى أن نتجذّر في حياة الآخرين. كتلك الكلمات الجميلة لشاعركم الوطني الذي تمنّى لرومانيا الحلوة: "عسى أن يحيا أبناؤك فقط في الأخوّة، مثل نجوم الليل" (مز إيمينيسكو، "ما أتمنّى لكِ، رومانيا الحلوة"). إيمينيسكو كان عظيمًا، كان يشعر بالنضج، وليس فقط: كان يشعر بالأخوّة، ولذا كان يريد رومانيا، وجميع أهلها، أن يكون إخوة "مثل نجوم الليل". نحن ننتمي إلى بعضنا البعض، والسعادة الشخصيّة تمرّ عبر إسعاد الآخرين. وكلّ ما تبقّى هو حكايات خرافيّة.
للسير معًا حيث تكون، لا تنسَ ما تعلّمته في العائلة. لا تنسَ جذورك.
ذكّرني هذا بنبوّة ناسك قدّيس من هذه الأراضي. في أحد الأيام، التقى الراهب غاليك إيلي من دير سيهستريا، وهو يسير مع الخراف على الجبل، بأحد الناسكين الذي يعرفه وسأله: "قل لي أبتي، متى ستكون نهاية العالم؟" فقال الناسك الموقّر، وهو يتنهّد من قلبه: "أيها الأب غاليك، هل تعرف متى ستكون نهاية العالم؟ عندما تزول الطرق بين القريب والقريب! أي أنه عندما تزول المحبّة المسيحيّة والتفاهم بين الإخوة والأقارب والمسيحيين والشعوب! عندما يتوقّف الناس عن المحبّة، ستكون حقًّا نهاية العالم. لأنه بدون محبة وبدون الله لا يمكن لأيّ إنسان أن يعيش على الأرض!
تبدأ الحياة في التلاشي والتعفن، وتتوقّف قلوبنا عن الضحك والبكاء، ويتوقّف الشيوخ عن الحلم والشبّان عن التنبّوء، عندما تزول الطرق بين القريب والقريب... لأنه بدون محبّة وبدون الله لا يمكن لأيّ إنسان أن يعيش على الأرض.
قال لنا إدوارد أنه، مثل كثيرين آخرين في بلده، يحاول أن يعيش الإيمان وسط العديد من الاستفزازات. هناك بالفعل الكثير من الاستفزازات التي يمكن أن تحبطنا وتجعلنا ننغلق في ذواتنا. لا يمكننا إنكار ذلك، لا يمكننا تجاهل الأمر. الصعوبات موجودة وواضحة. لكن هذا لا يجعلنا نغفل عن أن الإيمان يعطينا أكبر تحدّي: ذاك التحدّي الذي، بعيد عن الانغلاق أو العزلة، يُنمّي أفضلَ ما في كلّ واحد منّا. الربّ هو أوّل من يستفزّنا ويقول لنا أن الأسوأ يأتي عندما "تزول الطرق بين القريب والقريب"، عندما نرى أن الخنادق هي أكثر من الطرق. الربّ هو الذي يمنحنا ترنيمة أقوى من جميع "صفّارات الإنذار" التي تريد أن تشلّ مسيرتنا. ويعطينا إياها بنفس الطريقة: ينشد ترنيمة أكثر جمالًا وجاذبية.
يعطينا الربّ جميعًا رسالة "استفزازية"، كي يجعلنا نكتشف المواهب والقدرات التي نمتلكها، وكي نضعها في خدمة الآخرين. يطلب منّا أن نستخدم حرّيتنا كحرّية اختيار، حرّية قول "نعم" لمشروع حبّ، لوجه، لنظرة. وهذه الحرّية هي أكبر بكثير من القدرة على استهلاك وشراء الأشياء. الرسالة التي تطلقنا، تجعلنا نحطّم الخنادق، ونفتح الطرق التي تذكّرنا بانتمائنا كأبناء وكإخوة.
في عاصمة البلد هذه التاريخيّة والثقافية، كانت تنطلق الجموع سويًّا -في العصور الوسطى- كحجّاج عبر ترانسيلفانيا، باتّجاه سانتياغو في كومبوستيلا. ويعيش هنا اليوم العديد من الطلاب من مختلف أنحاء العالم هنا. أتذكّر اجتماعًا افتراضيًا عقدناه في مارس/آذار مع Scholas Occurrentes (مدارس للتلاقي)، حيث قيل لي أيضًا أن هذه المدينة هي العاصمة الوطنيّة للشبيبة هذا العام. هذا صحيح؟ صحيح أن هذه المدينة هي عاصمة الشبيبة لهذا العام؟ [يجيب الشبيبة: "نعم"]. لتحيا الشبيبة! عنصران جيّدان: مدينة تعرف تاريخيًّا كيف تفتح وتطلق المسارات –مثل مسيرة سانتياغو-؛ ومدينة تعرف كيف تستضيف الشبيبة من مختلف أنحاء العالم كما هي حاليًا. هناك صفتان تذكّران بالإمكانات وبالرسالة العظيمة التي باستطاعتكم تنميتها: فتح سبل للسير معًا والمضيّ قدمًا بهذا الحلم الذي هو نبوءة: بدون محبّة وبدون الله، لا يمكن لأيّ إنسان أن يعيش على الأرض. ومن هنا، يمكن لسبل جديدة للمستقبل أن تنطلق نحو أوروبا والعديد من الأماكن الأخرى في العالم. حجّاج القرن الحادي والعشرون، قادرون على تصوّرٍ جديد للروابط التي تجمعنا.
لكنها ليست مسألة إنشاء برامج أو مشاريع كبيرة، بل ترك الإيمان ينمو، ترك الجذور تحمل لنا النسغ. كما قلت لكم في البداية: لا ننقُل الإيمان بالكلام فقط، بل بالأعمال، والنظرات، والمداعبات مثل مداعبات أمّهاتنا، وجدّاتنا؛ بنكهة الأشياء التي تعلّمناها في المنزل، بطريقة بسيطة وأصيلة. حيث يوجد الكثير من الضوضاء، لنتعلّم الاصغاء لها؛ وحيث يوجد ارتباك لنكن مصدر انسجام؛ وحيث يلفّ الغموض كلّ شيء، لنحمل الوضوح؛ حيث يوجد استبعاد، لنحمل المشاركة؛ ووسط البحث عن الانبهار والرسائل والأخبار السريعة، لنعتنيَ بشهرة الآخرين؛ ووسط العدوان، لنعطيَ الأسبقية للسلام؛ ووسط الكذب، لنحمل الحقيقة؛ في كلّ شيء، في كلّ شيء، لنعطيَ الأفضليّة لفتح السبل كي نشعر بانتماء الأبناء والإخوة هذا (را. رسالة البابا بمناسبة اليوم العالمي لوسائل الاتصالات الاجتماعية 2018). هذه الكلمات الأخيرة التي قلتها تحمل "موسيقى" فرنسيس الأسيزي. هل تعرفون ماذا نصح القدّيس فرنسيس الأسيزي إخوته كي ينقلوا الإيمان؟ كان يقول: "اذهبوا، وعظوا بالإنجيل، وإذا لزم الأمر، عظوا حتى بالكلام". [تصفيق] هذا التصفيق هو للقدّيس فرنسيس الأسيزي!
أصل إلى نهاية الكلام، ما زال لدي مقطع واحد، لكنني لا أريد أن أغفل عن اختبار واجهته أثناء دخولي إلى الساحة. كان هناك امرأة عجوز، مسنّة، جدّة. كانت تحمل حفيدا لها بين ذراعيها له من العمر حوالي الشهرين لا أكثر. عندما مررت أظهرته لي. وكانت تبتسم، وتبتسم ابتسامة تواطؤ، كما لو كانت تقول لي: "انظر، الآن يمكنني أن أحلم!" في تلك اللحظة كنت متأثرًا ولم يكن لدي الشجاعة للذهاب ولإحضارها إلى هنا. لهذا أخبركم عنها. يحلم الأجداد عندما يمضي الأحفاد قدمًا، ويكتسب الأحفاد الشجاعة عندما ينالون الجذور من أجدادهم.
رومانيا هي "حديقة أمّ الله"، وفي هذا اللقاء، تمكّنت من إدراك ذلك، لأنها أمّ تزرع أحلام أبنائها، وتحفظ آمالهم، وتحمل الفرح للمنزل. إنها أمّ حنون وعمليّة، تعتني بنا. وأنتم جماعة حيّة ومزهرة، ومليئة بالرجاء يمكننا أن نقدّمها للأم. ولها، للأم، نكرّس مستقبل الشبيبة، مستقبل الأسر والكنيسة. مويتزوميش! [شكرًا!].
[00957-AR.02] [Original text: Italian]
[B0472-XX.02]