Discorso del Santo Padre
Traduzione in lingua inglese
Alle ore 17 di questo pomeriggio, presso la Domus Sanctae Marthae in Vaticano, ha avuto luogo il momento conclusivo del Ritiro Spirituale con la partecipazione delle Autorità Civili ed Ecclesiastiche del Sud Sudan, che ha avuto inizio ieri, organizzato di comune accordo tra la Segreteria di Stato e l’Ufficio dell’Arcivescovo di Canterbury Sua Grazia Justin Welby.
Dopo il discorso, il Santo Padre ha baciato i piedi al Presidente e ai Vice Presidenti designati del Sud Sudan, un segno straordinario per invocare l’impegno dei leader sud sudanesi per la pace.
Successivamente, è stata consegnata ai partecipanti una Bibbia firmata dal Santo Padre Francesco, da Sua Grazia Justin Welby e dal Rev.do John Chalmers, già Moderatore della Chiesa Presbiteriana di Scozia, con il messaggio: “Ricerca ciò che unisce. Supera ciò che divide”. Quindi ai Leader del Sud Sudan, che hanno preso il comune impegno per la pace, è stata impartita la benedizione.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Santo Padre ha pronunciato a conclusione del Ritiro:
Discorso del Santo Padre
Saluto iniziale
1. Rivolgo il mio saluto cordiale a ciascuno di voi qui presenti, al Signor Presidente della Repubblica, alla Signora e ai Signori Vicepresidenti della futura Presidenza della Repubblica, che ai sensi del Revitalised Agreement on the Resolution of Conflict in South Sudan assumeranno alti incarichi di responsabilità nazionali il 12 maggio prossimo. Saluto fraternamente i membri del Consiglio delle Chiese del Sud Sudan, i quali spiritualmente accompagnano il cammino del gregge affidato loro nelle rispettive comunità. Vi ringrazio per la buona volontà e il cuore aperto con cui avete accolto il mio invito a partecipare a questo ritiro in Vaticano. Un saluto del tutto particolare vorrei indirizzare all’Arcivescovo di Canterbury, Sua Grazia Justin Welby, ideatore di questa iniziativa – è un fratello che va sempre avanti nella riconciliazione –, come pure al già Moderatore della Chiesa Presbiteriana di Scozia, Rev. John Chalmers. Insieme a voi rendo lode a Dio, con cuore riconoscente ed esultante, perché ci ha reso possibile vivere insieme questi due giorni di grazia alla sua santa presenza per invocare e ricevere la sua pace.
Desidero indirizzarmi a voi tutti con le parole del Signore risorto: «Pace a voi!» (Gv 20,19). Questo saluto, al tempo stesso incoraggiante e consolante, Gesù lo ha rivolto nel cenacolo ai suoi discepoli, impauriti e desolati, apparendo ad essi dopo la sua risurrezione. È quanto mai importante per noi ricordare che proprio “pace” è stata la prima parola che la voce del Signore ha pronunciato, il primo dono offerto agli Apostoli dopo la sua dolorosa passione e dopo aver vinto la morte. Anch’io rivolgo lo stesso saluto a voi, che siete venuti da un contesto di grande tribolazione per voi e per il vostro popolo, un popolo molto provato per le conseguenze dei conflitti. Che tali parole risuonino nel cenacolo di questa Casa come quelle del Maestro, in modo che tutti e ciascuno possano ricevere nuova forza per portare avanti il desiderato progresso della vostra giovane Nazione e, come il fuoco della Pentecoste per la giovane comunità dei cristiani, si possa accendere una nuova luce di speranza per tutto il popolo sud sudanese. È pertanto con tutto questo nel mio cuore che vi dico: «Pace a voi!».
La pace è il primo dono che il Signore ci ha portato ed è il primo compito che i capi delle Nazioni devono perseguire: essa è la condizione fondamentale per il rispetto dei diritti di ogni uomo nonché per lo sviluppo integrale dell’intero popolo. Gesù Cristo, che Dio Padre ha inviato nel mondo quale Principe della Pace, ci ha dato il modello da seguire. Egli, passando attraverso il sacrificio e l’obbedienza, ha donato la sua pace al mondo. Per questo, già nel momento della sua nascita il coro degli angeli ha intonato il canto celeste: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama» (Lc 2,14). Che gioia se tutti i membri del popolo sud sudanese potessero elevare a una sola voce il canto che riecheggia quello angelico: «O Dio, noi ti preghiamo e ti glorifichiamo per la tua grazia in favore del Sud Sudan, Terra di grande abbondanza; sostienici uniti e in armonia» (Prima strofa dell’Inno nazionale del Sud Sudan). E come desidererei che le voci di tutta la famiglia umana potessero associarsi a questo coro celeste per proclamare gloria a Dio e promuovere la pace tra gli uomini!
Sguardo di Dio
2. Siamo ben consapevoli che la natura di questo nostro incontro è del tutto particolare e in un certo senso unica, perché qui non si tratta di un consueto e comune incontro bilaterale o diplomatico tra il Papa e i Capi di Stato e nemmeno di una iniziativa ecumenica tra i rappresentanti delle diverse comunità cristiane: si tratta, infatti, di un ritiro spirituale. Già la parola “ritiro” indica un allontanamento volontario da un ambiente o un’attività verso un luogo appartato. E l’aggettivo “spirituale” suggerisce che questo nuovo spazio di esperienza è caratterizzato dal raccoglimento interiore, dalla preghiera fiduciosa, dalla riflessione ponderata e dagli incontri riconcilianti, per poter portare buoni frutti per sé stessi e, di conseguenza, per le comunità alle quali apparteniamo.
Lo scopo di questo ritiro è quello di stare insieme davanti a Dio e discernere la sua volontà; è riflettere sulla propria vita e sulla comune missione che ci affida; è rendersi consapevoli dell’enorme corresponsabilità per il presente e per il futuro del popolo sud sudanese; è impegnarsi, rinvigoriti e riconciliati, per la costruzione della vostra Nazione. Cari fratelli e sorelle, non dimentichiamo che a noi, leader politici e religiosi, Dio ha affidato il compito di essere guide del suo popolo: ci ha affidato molto, e proprio per questo richiederà da noi molto di più! Ci domanderà conto del nostro servizio e della nostra amministrazione, del nostro impegno in favore della pace e del bene compiuto per i membri delle nostre comunità, in particolare i più bisognosi ed emarginati, in altre parole ci chiederà conto della nostra vita ma anche della vita degli altri (cfr Lc 12,48).
Il gemito dei poveri che hanno fame e sete di giustizia ci obbliga in coscienza e ci impegna nel nostro servizio. Essi sono piccoli agli occhi del mondo ma sono preziosi agli occhi di Dio. Quando uso questa espressione “gli occhi di Dio”, penso allo sguardo del Signore Gesù. Ogni ritiro spirituale, come pure il quotidiano esame di coscienza, devono farci sentire con tutto il nostro essere, con tutta la nostra storia, con tutte le nostre virtù ed anche i nostri vizi, di essere di fronte allo sguardo del Signore, l’Unico in grado di vedere in noi la verità e di condurci pienamente ad essa. La Parola di Dio ci dona un bell’esempio di come l’incontro con lo sguardo di Gesù può segnare i momenti più importanti della vita di un suo discepolo. Si tratta dei tre sguardi del Signore sull’apostolo Pietro, che qui vorrei ricordare.
Il primo sguardo di Gesù su Pietro è stato quando suo fratello Andrea lo aveva portato da Lui, indicandoglielo come Messia: Gesù fissa il suo sguardo su Simone e gli dice che d’ora in poi si chiamerà Pietro (cfr Gv 1,41-42). Successivamente gli annuncerà che su questa “pietra” edificherà la sua Chiesa, mostrandogli così di contare su di lui per realizzare il piano di salvezza per il suo popolo. Il primo sguardo, dunque, è lo sguardo dell’elezione che ha suscitato l’entusiasmo per una missione speciale.
Il secondo sguardo avviene nella tarda notte del giovedì santo. Pietro ha rinnegato il suo Signore per la terza volta. Gesù, portato via a forza dalle guardie, fissa di nuovo lo sguardo su di lui, suscitando questa volta in lui un doloroso ma salutare pentimento. L’apostolo scappò via e «pianse amaramente» (Mt 26,75) per aver tradito la vocazione, la fiducia e l’amicizia del Maestro. Il secondo sguardo di Gesù, dunque, ha toccato il cuore di Pietro e ha provocato la sua conversione.
Infine, dopo la risurrezione, sulla riva del lago di Tiberiade, Gesù ha fissato ancora il suo sguardo su Pietro, chiedendogli di dichiarare il suo amore per tre volte e affidandogli di nuovo la missione di pastore del suo gregge, indicandogli anche come questa sua missione sarebbe culminata nel sacrificio della vita (cfr Gv 21,15-19).
In un certo senso, possiamo dire che tutti noi siamo stati chiamati alla vita di fede, siamo stati eletti da Dio, ma anche dal popolo, per servirlo fedelmente, e in questo servizio forse abbiamo commesso errori, alcuni più piccoli, altri più grandi. Il Signore Gesù, però, sempre perdona gli sbagli di chi si pente e sempre rinnova la sua fiducia, chiedendo a noi in particolare la totale dedizione alla causa del suo popolo.
Cari fratelli e sorelle, lo sguardo di Gesù si posa anche adesso, qui ed ora, su ciascuno di noi. È molto importante incrociarlo con i nostri occhi interiori, domandandoci: Qual è oggi lo sguardo di Gesù su di me? A che cosa mi chiama? Che cosa il Signore mi vuole perdonare e che cosa nel mio atteggiamento chiede di cambiare? Qual è la mia missione e il compito che Dio mi affida per il bene del suo popolo? Il popolo infatti è suo, non appartiene a noi, anzi, noi stessi siamo membri del popolo, solo che abbiamo una responsabilità e una missione particolare: quella di servirlo. Siamo certi, cari fratelli, che tutti noi siamo sotto lo sguardo di Gesù: Lui ci guarda con amore, ci chiede qualcosa, ci perdona qualcosa e ci dà una missione. Lui ci mostra grande fiducia, scegliendoci per essere suoi collaboratori nella costruzione di un mondo più giusto. Siamo sicuri che il suo sguardo ci conosce a fondo, ci ama e ci trasforma, ci riconcilia e ci unisce. Il suo sguardo benevolo e misericordioso ci incoraggia a rinunciare alla strada che porta al peccato e alla morte e ci sostiene nel proseguire il cammino della pace e del bene. Ecco un esercizio che ci fa bene e che si può fare sempre anche a casa: pensare che lo sguardo di Gesù è su di me, su di noi e che sarà proprio questo sguardo pieno d’amore ad accoglierci nell’ultimo giorno della nostra vita terrena.
E poi, lo sguardo del popolo
3. Lo sguardo di Dio è in particolar modo posto su di voi ed è uno sguardo che vi offre la pace. Però, anche un altro sguardo è posto su di voi: lo sguardo del nostro popolo, ed è uno sguardo che esprime il desiderio ardente di giustizia, di riconciliazione e di pace. In questo momento desidero assicurare la mia vicinanza spirituale a tutti i vostri connazionali, in particolare ai rifugiati e ai malati, rimasti nel Paese con grandi aspettative e con il fiato sospeso, in attesa dell’esito di questo giorno storico. Sono certo che essi, con grande speranza ed intensa preghiera nei loro cuori, hanno accompagnato questo incontro. E come Noè ha atteso che la colomba gli portasse il rametto d’ulivo per mostrare la fine del diluvio e l’inizio di una nuova era di pace tra Dio e gli uomini (cfr Gen 8,11), così il vostro popolo attende il vostro ritorno in Patria, la riconciliazione di tutti i suoi membri e una nuova era di pace e prosperità per tutti.
I miei pensieri vanno innanzitutto alle persone che hanno perso i loro cari e le loro case, alle famiglie che si sono separate e mai più ritrovate, a tutti i bambini e agli anziani, alle donne e agli uomini che soffrono terribilmente a causa dei conflitti e delle violenze che hanno seminato morte, fame, dolore e pianto. Questo grido dei poveri e dei bisognosi lo abbiamo sentito fortemente, esso penetra i cieli fino al cuore di Dio Padre che vuole dar loro giustizia e donare loro la pace. A queste anime sofferenti penso spesso e imploro che il fuoco della guerra si spenga una volta per sempre, che possano tornare nelle loro case e vivere in serenità. Supplico Dio onnipotente che la pace venga nella vostra terra, e mi rivolgo anche agli uomini di buona volontà affinché la pace venga nel vostro popolo.
Cari fratelli e sorelle, la pace è possibile. Non mi stancherò mai di ripetere che la pace è possibile! Ma questo grande dono di Dio è allo stesso tempo anche un forte impegno degli uomini responsabili verso il popolo. Noi cristiani crediamo e sappiamo che la pace è possibile perché Cristo è risorto e ha vinto il male con il bene, ha assicurato ai suoi discepoli la vittoria della pace su quei complici della guerra che sono la superbia, l’avarizia, la brama di potere, l’interesse egoistico, la menzogna e l’ipocrisia (cfr Omelia nella celebrazione per la pace in Sud Sudan e nella Repubblica Democratica del Congo, 23 novembre 2017).
Auspico per tutti noi che sappiamo accogliere l’altissima vocazione di essere artigiani di pace, in uno spirito di fraternità e solidarietà con ogni membro del nostro popolo, uno spirito nobile, retto, fermo e coraggioso nella ricerca della pace, tramite il dialogo, il negoziato e il perdono. Vi esorto pertanto a cercare ciò che vi unisce, a partire dall’appartenenza allo stesso popolo, e superare tutto ciò che vi divide. La gente è stanca ed esausta ormai per le guerre passate: per favore, ricordatevi che con la guerra si perde tutto! La vostra gente oggi brama un futuro migliore, che passa attraverso la riconciliazione e la pace.
Con grande fiducia ho appreso, nel settembre scorso, che i più alti rappresentanti politici del Sud Sudan avevano stipulato un accordo di pace. Perciò, oggi mi congratulo con i firmatari di tale documento, sia con voi qui presenti sia con quelli assenti, senza escludere nessuno; in primo luogo con il Presidente della Repubblica e i capi dei partiti politici, per la scelta della via del dialogo, per la disponibilità al compromesso, per la determinazione di raggiungere la pace, per la prontezza di riconciliarsi e per la volontà di attuare quanto concluso. Auspico di cuore che definitivamente cessino le ostilità, che l’armistizio sia rispettato – per favore, che l’armistizio sia rispettato! –, che le divisioni politiche ed etniche siano superate e che la pace sia duratura, per il bene comune di tutti i cittadini che sognano di cominciare a costruire la Nazione.
È assai prezioso il comune impegno dei fratelli cristiani, dentro le varie iniziative ecumeniche in seno al Consiglio delle Chiese del Sud Sudan, in favore della riconciliazione e della pace, dei poveri e degli emarginati, a beneficio del progresso dell’intero popolo sud sudanese. Ricordo con gioia e con gratitudine il recente incontro con la Conferenza Episcopale del Sudan e del Sud Sudan in Vaticano, in occasione della visita ad limina Apostolorum. Sono stato colpito dal loro ottimismo, fondato sulla fede viva e manifestato nel loro impegno instancabile, nonché dalle loro preoccupazioni in mezzo alle numerose difficoltà politiche e sociali. A tutti i cristiani del Sud Sudan che, aiutando i più bisognosi, fasciano le ferite del corpo di Gesù, auguro l’abbondanza delle grazie celesti e assicuro il mio ricordo permanente nella preghiera. Possano essere operatori di pace nel popolo sud sudanese, con la preghiera e la testimonianza, con la guida spirituale e l’assistenza umana di ogni suo membro, leader inclusi.
In conclusione, rinnovo a tutti voi, Autorità civili ed ecclesiastiche del Sud Sudan, la mia gratitudine e il mio apprezzamento per la partecipazione a questo ritiro; e a tutto il caro popolo sud sudanese formulo fervidi voti di pace e di prosperità. Che l’abbondanza della grazia e della benedizione di Dio Misericordioso raggiunga il cuore di ogni uomo e di ogni donna in Sud Sudan e porti frutti di pace duratura e rigogliosa, nella stessa maniera come le acque del fiume Nilo, che attraversano il vostro Paese, fanno crescere e fiorire la vita. Infine, confermo il mio desiderio e la mia speranza di potermi recare prossimamente, con la grazia di Dio, nella vostra amata Nazione, insieme ai miei cari fratelli qui presenti, l’Arcivescovo di Canterbury e già Moderatore della Chiesa Presbiteriana.
Preghiera finale
4. Infine, vorrei concludere questa meditazione con una preghiera, rispondendo all’invito dell’apostolo San Paolo: «Raccomando dunque, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio» (1 Tm 2,1-2).
Padre santo, Dio di infinita bontà, Tu ci chiami a rinnovarci nel tuo Spirito e manifesti la tua onnipotenza soprattutto nella grazia del perdono. Riconosciamo il tuo amore di Padre quando pieghi la durezza dell’uomo e in un mondo lacerato da lotte e discordie lo rendi disponibile alla riconciliazione. Molte volte gli uomini hanno infranto la tua alleanza e Tu, invece di abbandonarli, hai stretto con loro un vincolo nuovo per mezzo di Gesù, tuo Figlio e nostro redentore: un vincolo così saldo che nulla potrà mai spezzarlo.
Ti preghiamo di agire, con la forza dello Spirito, nell’intimo dei cuori, perché i nemici si aprano al dialogo, gli avversari si stringano la mano e i popoli si incontrino nella concordia. Per tuo dono, o Padre, la ricerca sincera della pace estingua le contese, l’amore vinca l’odio e la vendetta sia disarmata dal perdono, perché affidandoci unicamente alla tua misericordia ritroviamo la via del ritorno a Te, e aprendoci all’azione dello Spirito Santo viviamo in Cristo la vita nuova, nella lode perenne del tuo nome e nel servizio dei fratelli. Amen (cfr Prefazi delle Preghiere Eucaristiche per la Riconciliazione I e II).
Cari fratelli e sorelle, la pace sia con noi e con noi rimanga sempre!
E a voi tre, che avete firmato l’Accordo di pace, chiedo, come fratello: rimanete nella pace. Ve lo chiedo con il cuore. Andiamo avanti. Ci saranno tanti problemi, ma non spaventatevi, andate avanti, risolvete i problemi. Voi avete avviato un processo: che finisca bene. Ci saranno lotte fra voi due, sì. Anche queste avvengano dentro l’ufficio, ma davanti al popolo, con le mani unite. Così, da semplici cittadini diventerete Padri della Nazione. Permettetemi di chiederlo con il cuore, con i miei sentimenti più profondi.
[00625-IT.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua inglese
Initial Greeting
1. I extend a cordial welcome to each of you here present: the President of the Republic and the Vice-Presidents of the future Presidency of the Republic, who in accordance with the terms of the Revitalised Agreement on the Resolution of Conflict in South Sudan will assume their high national responsibilities on 12 May next. I also offer fraternal greetings to the members of the South Sudan Council of Churches, who spiritually accompany the flock entrusted to them in their respective communities; I thank all of you for the good will and open heart with which you accepted my invitation to take part in this retreat in the Vatican. I would likewise offer a special greeting to the Archbishop of Canterbury, His Grace Justin Welby, who conceived this initiative – he is a brother who is always moving forwards on the path of reconciliation – and to the former Moderator of the General Assembly of the Church of Scotland, the Very Reverend John Chalmers. I join all of you in giving heartfelt thanks and praise to God for enabling us to share these two days of grace in his holy presence, in order to implore and receive his peace.
“Peace be with you!” (Jn 20:19). I address you with the same encouraging and comforting words with which the risen Lord greeted his fearful and disconsolate disciples when he appeared to them in the Upper Room following his resurrection. It is extremely important for us to realize that “peace” was the very first word that the Lord spoke. Peace was his first gift to the Apostles after his sorrowful passion and his triumph over death. I offer that same greeting to you, who come from a situation of great suffering, for yourselves and your people, a people sorely tried by the consequences of conflicts. May it echo in the “upper room” of this house, like the words of the Master, and enable each of you to draw new strength to work for the desired progress of your young nation. Like the fire of Pentecost that descended on the young Christian community, may it kindle a new light of hope for all the people of South Sudan. Holding all these intentions in my heart, I renew my greeting: “Peace be with you!”
Peace is the first gift that the Lord brought us, and the first commitment that leaders of nations must pursue. Peace is the fundamental condition for ensuring the rights of each individual and the integral development of an entire people. Jesus Christ, whom God the Father sent into the world as the Prince of Peace, gave us the model to follow. Through his own sacrifice and obedience, he bestowed his peace on the world. That is why, from the moment of his birth, the choir of angels sang the heavenly hymn: “Glory to God in the highest, and on earth peace among those with whom he is pleased” (Lk 2:14). What joy it would bring, were all the South Sudanese people to raise with one voice the song that echoes that of the angels: “O God, we praise and glorify you for your grace on South Sudan, land of great abundance; uphold us in peace and harmony” (first verse of the South Sudan national anthem). How I wish that the voices of the entire human family could join that heavenly choir in singing glory to God and working for peace among all men and women!
The gaze of God
2. We are all aware that this meeting is something altogether special and in some sense unique, since it is neither an ordinary bilateral or diplomatic meeting between the Pope and Heads of State, nor an ecumenical initiative involving representatives of different Christian communities. Instead, it is a spiritual retreat. The word “retreat” itself indicates a desire to step back from our usual environment or activities and to retire to a secluded place. The adjective “spiritual” suggests that this new space and experience should be marked by interior recollection, trusting prayer, deep reflection and encounters of reconciliation, so as to bear good fruits for ourselves and, as a consequence, for the communities to which we belong.
The purpose of this retreat is for us to stand together before God and to discern his will. It is to reflect on our own lives and the common mission the Lord has entrusted to us, to recognize our enormous shared responsibility for the present and future of the people of South Sudan, and to commit ourselves, reinvigorated and reconciled, to the building up of your nation. Dear brothers and sisters, let us not forget that God has entrusted to us, as political and religious leaders, the task of being guides for his people. He has entrusted much to us, and for this reason will require from us much more! He will demand an account of our service and our administration, our efforts on behalf of peace and the well-being of the members of our communities, especially the marginalized and those most in need. In other words, he will ask us to render an account not only of our own lives, but the lives of others as well (cf. Lk 12:48).
The cry of the poor who hunger and thirst for justice binds us in conscience and commits us in our ministry. They are the least in the eyes of the world, yet precious in God’s eyes. In using the expression “God’s eyes”, I think of the gaze of the Lord Jesus. Every spiritual retreat, like our daily examination of conscience, should make us feel that, with our whole being, our entire history, all our virtues and even our vices, we stand before the gaze of the Lord, who is able to see the truth in us and to lead us fully to that truth. The Word of God gives us a striking example of how the encounter with the gaze of Jesus can mark the most important moments in the life of a disciple. I am speaking of the three times that the Lord gazed upon the Apostle Peter, which I would now like to recall.
The first time that Jesus gazed upon Peter was when his brother Andrew brought him to Jesus and pointed him out as the Messiah. Jesus then fixed his gaze on Simon and said to him that henceforth he would be called Peter (cf. Jn 1:41-42). Later, the Lord would tell him that on this “rock” he would build his Church, indicating that he was counting on Peter to carry out his plan of salvation for his people. Jesus’ first gaze, then, was a gaze of “election”, choosing, which awakened enthusiasm for a special mission.
The second time Jesus gazed on Peter was late at night on Holy Thursday. Peter had denied the Lord a third time. Jesus, forcibly led away by the guards, fixed his gaze on him again, which awakened in him this time a painful but salutary repentance. The Apostle went out and “wept bitterly” (Mt 26:75) at having betrayed the Master’s call, his trust and his friendship. Jesus’ second gaze, then, touched Peter’s heart and brought about his conversion.
Finally, after the resurrection, on the shore of the Sea of Tiberias, Jesus once more fixed his gaze on Peter and asked him three times to declare his love. He then entrusted him once again with the mission of shepherding his flock, and indicated that this mission was to culminate in the sacrifice of his life (cf. Jn 21:15-19).
In a real way, all of us can say that we were called to the life of faith and were chosen by God, but also by our people, to serve them faithfully. In this service, we may well have made mistakes, some rather small, others much greater. Yet the Lord Jesus always forgives the errors of those who repent. He always renews his trust, while demanding – of us especially – total dedication to the cause of his people.
Dear brothers and sisters, Jesus’ gaze rests, here and now, on each of us. It is very important to meet this gaze with our inner eye and to ask ourselves: How is Jesus gazing on me today? To what is he calling me? What does the Lord want me to forgive and what in my attitudes does he want me to change? What is my mission and the task that God entrusts to me for the good of his people? That people belongs to him, not to us; indeed, we ourselves are members of the people. It is simply that we have a responsibility and a particular mission: that of serving them.
Dear brothers and sisters, Jesus is also gazing, here and now, upon each one of us. He looks at us with love, he asks something, he forgives something and he gives us a mission. He has put great trust in us by choosing us to be his co-workers in the creation of a more just world. We can be sure that his gaze penetrates the depths of our hearts; it loves, transforms, reconciles and unites us. His kind and merciful gaze encourages us to renounce the paths that lead to sin and death, and it sustains us as we pursue the paths of peace and goodness. Here is an exercise that is beneficial, one that we can always do, even at home: consider that Jesus is gazing on me, on us and that it will be this same gaze, full of love, which will greet us on the last day of our earthly life.
The gaze of the people
3. God’s gaze is especially directed to you; it is a look that offers you peace. Yet there is another gaze directed to you: is the gaze of our people, and it expresses their ardent desire for justice, reconciliation and peace. At this moment, I want to assure all your fellow citizens of my spiritual closeness, especially the refugees and the sick, who have remained in the country with great expectations and with bated breath, awaiting the outcome of this historic day. I am certain that they are accompanying this meeting with great hope and fervent prayer. Noah waited for the dove to bring him an olive branch to show the end of the flood and the beginning of a new era of peace between God and man (cf. Gen 8:11). In the same way, your people is awaiting your return to your country, the reconciliation of all its members, and a new era of peace and prosperity for all.
My thoughts turn first to all those who have lost their loved ones and their homes, to families that were separated and never reunited, to all the children and the elderly, and the women and men who have suffered terribly on account of the conflicts and violence that have spawned so much death, hunger, hurt and tears. We have clearly heard the cry of the poor and the needy; it rises up to heaven, to the very heart of God our Father, who desires to grant them justice and peace. I think often of these suffering souls and I pray that the fires of war will finally die down, so that they can return to their homes and live in serenity. I pray to Almighty God that peace will come to your land, and I ask all men and women of good will to work for peace among your people.
Dear brothers and sisters, peace is possible. I shall never tire of repeating this: peace is possible! Yet this great gift of God is at the same time a supreme duty on the part of those with responsibility for the people. We Christians believe and know that peace is possible, for Christ is risen. He has overcome evil with good. He has assured his disciples of the victory of peace over everything that fans the flames of war: pride, greed, the lust for power, self-interest, lies and hypocrisy (cf. Homily at the Prayer for Peace in South Sudan and in the Democratic Republic of the Congo, 23 November 2017).
It is my prayerful hope that all of us will take up our lofty calling to be peacemakers, striving in a spirit of fraternity and solidarity with every member of our people, a spirit that is noble, upright, strong and courageous, to build peace through dialogue, negotiation and forgiveness. I urge you, then, to seek what unites you, beginning with the fact that you belong to one and the same people, and to overcome all that divides you. People are wearied, exhausted by past conflicts: please remember that with war, all is lost! Your people today are yearning for a better future, which can only come about through reconciliation and peace.
With great hope and trust, I learned last September that the highest political representatives of South Sudan had signed a peace agreement. Today, therefore, I congratulate the signatories of that document, both present and absent, without exception, beginning with the President of the Republic and the heads of political parties, for having chosen the path of dialogue, for your readiness to compromise, your determination to achieve peace, your readiness to be reconciled and your will to implement what has been agreed upon. I express my heartfelt hope that hostilities will finally cease, that the armistice will be respected – please, that the armistice be respected – that political and ethnic divisions will be surmounted, and that there will be a lasting peace for the common good of all those citizens who dream of beginning to build the nation.
The common efforts of our fellow Christians and the various ecumenical initiatives of the South Sudan Council of Churches on behalf of reconciliation and peace, and care for the poor and the marginalized, have made a significant contribution to the progress of the entire South Sudanese people. I recall with joy and gratitude my recent meeting in the Vatican with the Bishops’ Conference of Sudan and South Sudan during their Visit ad limina Apostolorum. I was struck by their optimism grounded in a living faith and shown in tireless outreach, but also by their concern about the many political and social difficulties. Upon all the Christians of South Sudan who, in helping those in greatest need, bind up the wounds of Jesus’ body, I implore God’s abundant graces and assure them of a constant remembrance in my prayers. May they be peacemakers in the midst of the South Sudanese people, by their prayers and by their witness, and with the spiritual guidance and human help of every member of the people, including its leaders.
In conclusion, I renew my gratitude and appreciation to all of you, the civil and ecclesiastical authorities of South Sudan, for taking part in this retreat. To all the dear South Sudanese people I express my fervent good wishes of peace and prosperity. May the Merciful God touch the heart of every man and every woman in South Sudan, fill them with his grace and blessings, and bring forth rich fruits of lasting peace, even as the waters of the Nile, flowing through your country, bring life and abundant growth. Finally, I confirm my desire and hope that soon, by God’s grace, I will be able to visit your beloved nation, together with my dear brothers here present: the Archbishop of Canterbury and the former Moderator of the General Assembly of the Church of Scotland.
A final prayer
4. I would like to conclude this meditation with a prayer, following the invitation of the Saint Paul. The Apostle wrote: “First of all, then, I urge that supplications, prayers, intercessions, and thanksgivings be made for all people, for kings and all who are in high positions, that we may lead a peaceful and quiet life, godly and dignified in every way” (1 Tim 2:1-2).
Holy Father, God of infinite goodness, you call us to be renewed in your Spirit, and you show your power above all in the grace of forgiveness. We recognize your fatherly love when, in a world torn by dissension and discord, you touch human hearts and open them to reconciliation. How often have men and women broken your covenant! Yet, instead of abandoning them, you renewed your bond with them through Jesus, your Son and our Redeemer: a bond so firm that it can never be broken.
We ask you, then, to touch with the power of the Spirit the depths of every human heart, so that enemies will be open to dialogue, adversaries will join hands and peoples will meet in harmony. By your gift, Father, may the whole-hearted search for peace resolve disputes, may love conquer hatred and may revenge be disarmed by forgiveness, so that, relying solely on your mercy, we may find our way back to you. Make us open to the promptings of the Holy Spirit, so that we may live a new life in Christ, in everlasting praise of your name and in the service of our brothers and sisters (cf. Prefaces of Eucharistic Prayers for Reconciliation I and II). Amen.
Dear brothers and sisters, may peace be with us, and may it dwell in our hearts forever!
And to you three, who have signed the peace Agreement, I ask, as a brother: remain in peace. I ask you this wholeheartedly. Let us go forwards. There will be many problems, but do not be fearful, go forwards, solve the problems. You have begun a process: may it finish well. There will be disagreements between you both, yes. These also should remain in the office, but before the people, hands united. In this way, as ordinary citizens you will become Fathers of the Nation. Allow me to ask you this from the heart and with my deepest sentiments.
[00625-EN.02] [Original text: Italian]
[B0306-XX.02]