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Intervento dell’Osservatore Permanente della Santa Sede presso la FAO, IFAD, PAM al Seminario di Studio “I popoli indigeni custodi della natura: l’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile”, 29.03.2019


Pubblichiamo di seguito l’intervento che l’Osservatore Permanente della Santa Sede presso la FAO, IFAD, PAM, Mons. Fernando Chica Arellano, ha pronunciato ieri al Seminario di Studio “I popoli indigeni custodi della natura: l’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile”, che ha avuto luogo ieri a Roma presso la sede della FAO:

Intervento di Mons. Fernando Chica Arellano

Eminenza,
Eccellenze,
Signore e Signori,
Cari amici,

Sono onorato di poter concludere questo interessante incontro con alcune brevi riflessioni.

Il titolo del nostro evento ci ricorda come i popoli indigeni siano i custodi della natura. Con le parole di Papa Francesco, essi sono “memoria viva della missione che Dio ha affidato a tutti noi: avere cura della casa comune”[1].

Ma cosa significa esattamente avere cura? Si tratta di qualcosa legato ad un’idea di compassione, a qualcosa che implica un compromettersi[2]. In particolare, potremmo allora dire che l’avere cura della casa comune significa essere in grado di patire con la terra, di spendersi per essa, di saper ascoltare quel suo “grido” di cui scrive così lucidamente il Santo Padre nell’Enciclica Laudato si’ (n. 49). E chi meglio delle Comunità autoctone è capace di ascoltare questo “grido” della terra, proprio a motivo della relazione ancestrale che esse hanno con quest’ultima?

A questo riguardo, diceva il Vescovo di Roma, poco più di un mese fa, incontrando proprio in questa Sede alcuni rappresentanti del IV Forum dei Popoli Indigeni convocato dall’IFAD: “I popoli indigeni sono un grido vivente a favore della speranza. Ci ricordano che noi esseri umani abbiamo una responsabilità condivisa nella cura della “casa comune” […]. La terra soffre e i popoli originari sanno del dialogo con la terra, sanno che cos’è ascoltare la terra, vedere la terra, toccare la terra. Conoscono l’arte del vivere bene in armonia con la terra”[3].

Tuttavia, bisogna riconoscere che lo straordinario patrimonio culturale e spirituale di molti popoli indigeni rischia di essere spazzato via da una sorta di colonizzazione economica ed ideologica spesso ammantata da prospettive di sviluppo. Le distinte e diverse qualità delle comunità multiculturali sono minacciate dall’uniformazione e standardizzazione della cultura e del commercio che sono logica conseguenza del processo di globalizzazione. I problemi che derivano dal multiculturalismo e dalla diversità culturale, in particolar modo in quelle società che presentano sia comunità indigene sia comunità di immigranti, richiedono l’attuazione di politiche culturali capaci di bilanciare la preservazione e la protezione delle espressioni culturali, sia tradizionali che di qualsiasi altro genere, con la possibilità di un libero scambio delle esperienze culturali.

Si è soliti ricollegare il termine tradizione a qualcosa di vecchio e immutabile da poter soltanto imitare e riprodurre, ma non è così. L’eredità culturale è un processo permanente di produzione che può creare valori solo quando è continuamente aggiornato e contestualizzato alla realtà del tempo. Deve essere qualcosa che cammina di pari passo con la realtà per poter diventare un valore reale, come gli artisti portano nuove prospettive e esperienze ai loro lavori così la tradizione può essere un’importante risorsa di creatività e innovazione.

Un altro elemento da sottolineare è la conservazione che consente il mantenimento della diversità biologica nel sistema agricolo, diventando così un valore aggiunto per la comunità[4]. Sappiamo che, ad esempio, i diritti di proprietà intellettuale potrebbero essere utilizzati per produrre quei ricavi che sarebbero atti a sostenere quelle attività che altrimenti sarebbero abbandonate. Basti pensare a quali conseguenze potrebbero avere sulla biodiversità la scelta degli agricoltori di coltivare varietà vegetali di maggior successo, che garantirebbero anche più ricavi e li porterebbero ad abbandonare l’uso delle varietà classiche che coltivavano, generando una sicura perdita della biodiversità. D’altro canto possiamo sottolineare come la possibilità di proteggere queste varietà vegetali attraverso l’uso del sistema predisposto dal Sistema dei Diritti di proprietà intellettuale (IPRs) avrebbe un sicuro impatto positivo sia sulla loro conservazione che sullo sviluppo.

Tuttavia i rapporti delle Nazioni Unite e lo studio degli investimenti nel settore della ricerca e dello sviluppo fanno emergere la drammaticità del perseguimento degli interessi commerciali da parte di alcune grandi società transnazionali in quelle aree del pianeta dove vivono le Comunità autoctone: si tratta di un atteggiamento spesso spregiudicato, che oltre a degradare l’ambiente costringe i popoli indigeni, e in particolare i giovani, a migrare, sradicandosi così dalle loro terre e pertanto dalle loro origini. Serve invertire questo fenomeno! Come accennava Papa Francesco ai giovani indigeni, serve “tornare alle culture delle origini. Farsi carico delle radici, perché dalle radici viene la forza che vi farà crescere, fiorire e fruttificare”[5]. Senza le radici, non può esserci vita. E infatti ciò che spesso avviene è che molti indigeni, sradicati dalle loro origini, si ritrovano in situazioni di povertà e vulnerabilità, diventando così scarti della società, diventando cioè quelle persone che non possiamo e non dobbiamo lasciare indietro, se vogliamo raggiungere gli obiettivi dell’Agenda 2030.

Nella strutturazione delle attività economiche che coinvolgono i popoli autoctoni, diventa essenziale pertanto far prevalere il diritto al consenso previo e informato, come previsto dall’art. 32 della Dichiarazione sui Diritti dei Popoli Indigeni[6]. Come indicato nel recente Rapporto del Relatore Speciale sui Diritti dei popoli indigeni, è essenziale precisare che la necessità di consultare le Comunità autoctone non deve essere considerata in maniera disgiunta dagli altri diritti di natura “sostanziale” di cui esse godono, ma al contrario essa emerge proprio dai diritti all’autodeterminazione, alla terra e alle risorse naturali, garantendone la tutela[7].

In alcuni casi la protezione del sapere tradizionale ha per obiettivo quello di prevenire la “bio-pirateria”[8] e di assicurare la divisione dei vantaggi come previsto dagli articoli 8(j), 15 e 16 della Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD), piuttosto che stabilire un sistema di appropriazione positivo. All’Organizzazione Mondiale del Commercio, diversi Paesi in via di sviluppo hanno proposto, all’interno dell’Accordo sugli aspetti commerciali dei diritti di proprietà intellettuale (TRIPs), che regola la materia della proprietà intellettuale, l’inclusione di una previsione che stabilisca l’impossibilità di garantire la tutela di quei brevetti che siano incompatibili con la previsione contenuta nell’articolo 15 della Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD)[9]. Questa misura, che sembra percorrere una strada innovativa per armonizzare l’Accordo TRIPs con la Convenzione, si basa sulla previsione dell’articolo 15 che richiede una valutazione preventiva per accedere alle risorse e una divisione dei profitti con i fornitori delle materie prime.

La piena partecipazione dei popoli indigeni garantisce perciò il rispetto della loro identità, della loro cultura, delle loro radici e di riflesso, aiuta tutti noi a prenderci cura della nostra Casa Comune. I popoli indigeni non possono perciò essere considerati come una minoranza ma autentici interlocutori e il loro riconoscimento “ci ricorda che non siamo i padroni assoluti del creato […]. La loro visione del cosmo, la loro saggezza hanno molto da insegnare a noi che non apparteniamo alla loro cultura”[10].

La Chiesa Cattolica da parte sua rivolge un’attenzione speciale a questi popoli, spesso dimenticati e senza la prospettiva di un avvenire sereno, e per individuare nuove strade di evangelizzazione, il Santo Padre ha convocato un’Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per la regione Panamazzonica che si svolgerà nell’ottobre di quest’anno[11].

Ovviamente, il Sinodo interesserà particolarmente le Comunità autoctone di questa regione, che costituiscono solo una parte rispetto a tutte quelle che sono sparse nel mondo. Si tratta, tuttavia, di una splendida occasione per rilanciare una maggiore presenza ecclesiale, che risponda a tutto ciò che è specifico di questa regione a partire dai valori del Vangelo. Sarà, inoltre, una proficua opportunità per individuare nuovi cammini per far crescere il volto amazzonico della Chiesa e anche per rispondere alle situazioni di ingiustizia della regione. Nell’ascolto reciproco si potranno individuare e rafforzare nuove modalitàper tutelare i diritti e l’eccezionale patrimonio delle Comunità autoctone. Infatti, “proteggere i popoli indigeni e i loro territori è un’esigenza etica fondamentale e un impegno fondamentale per i diritti umani. Per la Chiesa ciò si trasforma in un imperativo morale coerente con la visione di ecologia integrale di Laudato si’”[12]. Al riguardo, non posso dimenticare le parole del Cardinale Claudio Hummes che, in un intervista al quotidiano Avvenire, faceva riferimento alla necessità di andare verso una Chiesa dal volto indigeno, cioè “una chiesa che esprima pienamente la fede nella sua cultura, nella sua propria identità”[13].

Ecco allora perché vorrei concludere questo significativo evento con una esortazione rivolta a tutti coloro che hanno a cuore la nostra Casa comune: avviamo un vero dialogo con le popolazioni autoctone, un colloquio costruttivo, con una apertura vicendevole, dove gli uni imparino dagli altri, con franchezza e senza pregiudizi. Seguiamo l’esempio delle Comunità autoctone nel custodire la terra. Custodiamo tutti una cultura della sostenibilità e non del solo e avido sfruttamento. La terra richiama gesti di tenerezza e non esclusivo affarismo. Custodiamo i popoli indigeni per preservare e salvaguardare la terra! Custodiamo tutti coloro che ogni giorno si impegnano nel custodire la natura!

Grazie al moderatore, a tutti i relatori e a coloro che hanno reso possibile questo evento, in particolare ai funzionari della FAO, che con il loro competente lavoro hanno dato un prezioso contributo per l’ottima riuscita di questo incontro. Grazie infine a tutti voi che con la vostra folta partecipazione avete voluto unirvi a noi oggi!

_________________________

[1] Papa Francesco, Discorso ai popoli dell’Amazzonia. Puerto Maldonado, 19 gennaio 2018).
[2]
Cfr. Papa Francesco, Udienza Generale. 27 aprile 2016.
[3]
Papa Francesco, Saluto ad un gruppo di rappresentanti delle popolazioni indigene. Roma, 14 febbraio 2019.
[4]
Swanson, Pearce e Cervigni, “The appropriation of the benefits of plant genetic resources for agriculture: an economic analysis of the alternative mechanisms for biodiversity conservation”. Report to the Commission on Plant Genetic Resources, Roma, FAO, 1994, p. 26.
[5]
Papa Francesco, Videomessaggio ai partecipanti all’incontro mondiale della gioventù indigena. Soloy, Panama, 18 gennaio 2019.
[6]
Cfr. Papa Francesco, Discorso al III Forum dei Popoli Indigeni. Città del Vaticano, 15 febbraio 2017.
[7]
Rapporto del Relatore Speciale sui Diritti dei Popoli Indigeni, 17 luglio 2018 (A/73/176).
[8]
“Bio-piracy through IPRs has arisen as a result of the devaluation and invisibility of indigenous knowledge systems and the lack of existing protection of these systems. The protection of indigenous knowledge systems as systems of innovation and the prevention of piracy of biodiversity requires a widening of legal regimes beyond the existing IPR regimes such as patents” Shiva, Jafri, Bedi e Holla-Bhar, The Enclosure and Recovery of the Commons, Research Foundation for Science, Technology and Ecology, New Delhi, 1997, p. 30.
[9]
Documento WT/GC/W/225.
[10]
Papa Francesco, Discorso ai popoli dell’Amazzonia. Puerto Maldonado, 19 gennaio 2018.
[11]
Cfr. Papa Francesco, Angelus. 15 ottobre 2017.
[12]
Documento preparatorio del Sinodo dei Vescovi per l’Assemblea Speciale per la Regione Panamazzonica, n. 5.
[13]
Intervista del 21 marzo 2019. Disponibile su https://www.avvenire.it/chiesa/pagine/da-terra-e-poveri-un-solo-grido

[00530-IT.01] [Testo originale: Italiano]