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Udienza agli studenti del Collegio “Barbarigo” di Padova (23 marzo 2019), 24.03.2019


Pubblichiamo di seguito la trascrizione del dialogo del Santo Padre Francesco con gli studenti del Collegio “Barbarigo” di Padova, ricevuti in Udienza nella mattinata di ieri:

Domande dei giovani e risposte a braccio del Santo Padre

Prima domanda: Sofia, III Media:

Caro Papa Francesco, sono Sofia e frequento la terza media, In questi mesi ho dovuto compiere una scelta importante, cioè decidere a quale scuola superiore iscrivermi. È stata una scelta complessa, forse la prima della mia vita. Ammetto di aver avuto un po’ paura, anche se sono stata accompagnata dai miei genitori e dai miei insegnanti, che mi hanno spronata a cercare che cosa fosse davvero importante per me, quale fosse il mio sogno di bene. A volte per noi ragazzi non è semplice trovare degli adulti che siano dei punti di riferimento, eppure ne abbiamo tanto bisogno! Ci potrebbe aiutare a capire come si fa e di chi ci possiamo davvero fidare? Grazie.

Papa Francesco:

Grazie della domanda. Vorrei dirvi che io conoscevo le domande. Quando voi parlate io prendo nota di qualcosa. Ma avevo anche preparato una bozza di come rispondere, ma non sempre seguirò queste bozze.

Il punto di riferimento più importante per le scelte, tu lo troverai in te stessa. È il riferimento alla propria coscienza; e poi come si esprime la tua personalità, la tua coscienza, soprattutto nell’entusiasmo giovanile. È molto importante! Mai voi potrete fare una buona scelta senza questo spirito di entusiasmo, di guardare con gioia al futuro! Perché se tu prendessi questa decisione dicendo: “Mah, sì, devo scegliere... Non so cosa fare… È così noioso…”, è meglio che vai a dormire e poi ci pensi. L’entusiasmo: avere la speranza, anche il rischio, saper rischiare nella vita. “E se sbaglio?”. Ma è un rischio! E questa è la bellezza della vita. Rischio proporzionato, direi, non è vero? Ma è un rischio. Chi non sa rischiare bene nella vita difficilmente arriverà. Un passo dopo l’altro, ma sempre guardando l’orizzonte in te stessa.

La giovinezza per voi non è passività. Tante volte ho parlato – mi ripeto sempre, perché i giovani sono sempre gli stessi – dei “giovani da divano”, quelli che sono passivi, seduti, che stanno a guardare come va la storia. Ma è la storia che deve guardare come vai tu! È brutto trovare un giovane “in pensione”. È brutto. E ce ne sono! E questa è la fine della giovinezza, è invecchiare. A 22, 23, 24 anni, sei in pensione. La giovinezza, ho detto, non è passività, ma è uno sforzo tenace per raggiungere mete importanti. Il giovane deve guardare la meta, avanti, una meta importante, anche se costa. Nella giovinezza si impara che nella vita niente è gratis. Tu devi guadagnare le mete, arrivare alle mete. Gratuito è soltanto l’amore di Dio, la grazia di Dio. Quello è gratuito, perché Lui ci amerà sempre. Sempre. Ma per andare avanti ci vuole lo sforzo, lo sforzo di ogni giorno. E non dobbiamo chiudere gli occhi davanti alle difficoltà, ma rifiutare i compromessi che ti portano alla mediocrità. Questa parola mettetela bene nel cuore: mediocrità. Ho detto prima: un giovane passivo è un giovane che finirà in un fallimento. Un giovane mediocre finirà coll’essere tiepido, né caldo né freddo: tiepido, senza gusto, niente, senza aver lottato.

Dunque, primo: la sicurezza la troverai in te stessa, non nella passività, ma nel desiderio di andare avanti, nella gioia di andare avanti, con lo sforzo di andare avanti.

Poi, c’è una cosa nella gioventù: i giovani sono quelli capaci di slanci più grandi, non è così? E noi ci aspettiamo questo. Per non isolarvi e aiutarvi, è importante il dialogo con i vostri cappellani, i vostri sacerdoti, i vostri genitori, i vostri fratelli, i vostri amici. Dialogare. Non dialogare solo con me stesso, no, no. Questo, certo, si deve fare un po’ per riflettere, ma bisogna dialogare con gli altri, perché la vita è un continuo dialogo. E questo si fa nella società, perché tu nella vita non sei da sola: sei in una comunità, una comunità di gente che va avanti, nella comunità di una città, di una famiglia, anche di una nazione. Il senso comunitario dell’andare avanti, di percorrere un cammino; il senso comunitario dei rischi. E questo è tanto importante. C’è un proverbio credo africano, non sono sicuro, che dice: “Se andare veloce, cammina da solo. Se vuoi andare lontano, cammina con gli altri”. È molto importante nelle scelte, nei momenti difficili, in cui bisogna prendere delle decisioni, avere degli amici, una comunità, per parlare con loro e non andare da solo.

E infine, quello che tu hai chiesto nella domanda: “Ci potrebbe aiutare a capire come si fa e di chi ci possiamo davvero fidare?”. Sono i genitori, perché i genitori, quando c’è dialogo nella famiglia, vi daranno anche un’esperienza di vita. Ma mi permetto una cosa in più: più dei genitori, i nonni. Voi dovete parlare con i nonni. È importante! Perché? Perché i nonni sono le radici. Se tu non vai alle tue radici, sarai un giovane sradicato. E quando non ci sono le radici, non c’è la crescita, non ci sono i fiori, non c’è il frutto. Crescere, ma radicati. E saranno i nonni coloro che ti aiuteranno, gli anziani. Domandate a loro. “Ma, padre, gli anziani sono noiosi!...”. Forse all’inizio, ma incomincia a parlare con loro e loro non saranno noiosi, perché toccheranno in te cose che ti daranno speranza, piacere e anche sicurezza. Non è per tornare al passato, no! È per essere sicuro di avere radici, di non essere sradicato, di non essere troppo “gassosi”, liquidi… I giovani gassosi, liquidi, non hanno radici, ma neppure hanno futuro. Dunque, parlare con gli amici, parlare con i formatori – professori, cappellani del collegio –, parlare con i genitori e soprattutto – questo lo sottolineo – parlare con i vecchi che hanno la saggezza della vita. Non so se ti serve questo... Sì? Grazie.

Seconda domanda: Aldo, II Superiore:

Santo Padre, il “Barbarigo” è una scuola dove non solo si studia ma spesso anche ci si confronta sulle grandi domande della vita: non mancano occasioni nelle quali i docenti ci invitano ad interrogarci sulla verità, sulla giustizia, sulla bellezza; proposte che ci permettono di sperimentare la gioia di metterci al servizio degli altri, come il Pranzo con le persone bisognose della nostra Città che offriamo la terza domenica di Avvento, insieme a Caritas e alla Comunità di Sant’Egidio. Viviamo momenti nei quali insieme all’animatore spirituale o ai docenti di religione prendiamo in mano il Vangelo e ci lasciamo provocare dall’insegnamento di Gesù. Eppure, soprattutto alla nostra età è difficile passare all’ascolto a considerare che Gesù è una persona con la quale posso entrare in relazione, ancor più accogliere il fatto che non è stato solo un grande uomo, un grande maestro ma Dio che si è fatto presente nella storia di ciascuno di noi. Quando Lei, Santo Padre, ha avuto la nostra età ha incontrato le stesse difficoltà anche sul piano della fede? Come le ha superate? Chi l’ha aiutata nella ricerca delle risposte?

Papa Francesco:

Grazie Aldo, è importante questo che tu dici che il Collegio “Barbarigo” è una scuola dove non solo si studia ma spesso ci si confronta sulle grandi domande della vita. Perché noi abbiamo ereditato dall’epoca dell’illuminismo un concetto di educazione che più o meno era riempire la testa di idee e niente di più, e questo non è educazione. L’educazione è confrontarsi con i problemi della vita; e certo anche avere delle idee in testa, studiare le cose teoriche, ma confrontarsi sempre – è una parola importante – con i veri problemi della vita. E confrontarsi non solo con i problemi, anche con le bellezze della vita, confrontarsi con l’arte, confrontarsi con le cose buone che accadono nella vita, questa è una cosa molto importante. È una grande opportunità una scuola dove si affrontano le domande sul senso della vita, cercando di confrontarsi con la cultura della vita. Perché in questo momento, nell’umanità, dove ci sono tante guerre, noi stiamo vivendo una cultura della morte o una cultura del silenzio, che è un ignorare le cose che succedono. E questa è morte non è vita. Oppure una cultura dell’indifferenza: “A me non importa cosa succede lì, io sono indifferente, guardo le mie cose, le mie opportunità, le mie tasche e nient’altro”. Contro questa cultura della morte, del silenzio complice e la cultura dello scarto, voi dovete assumere sempre i problemi della vita reale. Anche quel servizio che fate in Quaresima, è avvicinarsi a un problema reale, non teorico, perché questa gente ha fame, e tu non hai fame e questo ti deve far pensare: cosa devo fare io che non ho fame e ho questa opportunità di crescere? Cosa potrei fare nel futuro o anche adesso per la gente che ha fame, per la gente che soffre, la gente che è in guerra? Pensiamo alle statistiche che ci dicono quanti bambini all’anno nelle zone di guerra muoiono di fame, e quelli lontano nelle zone di guerra. Questo sarebbe un buon compito da fare a casa, vi sfido a farlo. Cercate nelle statistiche, quanti bambini muoiono all’anno nelle zone di guerra per la fame, e per la sete, perché non hanno neppure l’acqua. Questo ti fa pensare, e ti fa studiare con un altro atteggiamento, con un’apertura del cuore diversa dall’interesse puramente intellettuale. L’intelletto è valido e necessario, ma è uno dei linguaggi che voi dovete avere. In educazione ci sono tre linguaggi, questo l’ho detto tante volte e forse lo avete sentito. Il linguaggio della testa, cioè il linguaggio delle idee e dell’intelletto, del pensiero; poi il linguaggio del cuore: imparare a sentire bene, perché anche se tu vai dalla gente che ha bisogno ma non hai cuore e il tuo cuore non sa sentire bene, dirai: “Sì, è gente povera, è tanto per cento così, tanto per cento così…”, ma il tuo cuore è fermo, e invece ci vuole il linguaggio del cuore; e terzo, il linguaggio delle mani: fare. Pensare, sentire e fare. Questo è il confronto con la vita, e questo ci fa crescere, al punto che tu pensi quello che senti e quello che fai; tu senti quello che pensi e quello che fai; tu fai quello che pensi e quello che senti. Un’armonia dei tre linguaggi. Educare è far crescere queste dimensioni della vita in armonia. E allora tante volte, quando tu affronterai la realtà con questi tre linguaggi, tornerai a casa non con una risposta ma con un interrogativo. Un giovane deve avere la capacità di interrogarsi, di farsi le domande che vengono quando lui guarda la realtà, non solo quando studia un teorema matematico. Per esempio: come si può risolvere questo? Va bene, ma anche con la realtà: se tu non torni a casa con una nuova domanda, una nuova domanda a te stesso, ti manca qualcosa. Capacità di interrogarsi, e questo è tanto importante. E tu, voi siete fortunati perché queste esperienze che fate sono anche le esperienze del Vangelo. E questo vi aiuterà a crescere.

Tu mi domandavi come io ho vissuto alla vostra età. Quando ho finito la prima parte della scuola, cioè alla fine dei 12 anni (in Argentina sono 7 anni insieme, si chiama la scuola primaria), ero contento di incominciare a studiare alla scuola tecnica per diventare chimico… In quelle vacanze, papà mi ha detto: “Guarda, c’è una cosa che dovrai imparare: imparare a lavorare”. E io incominciando il tredicesimo anno, ho cominciato a lavorare nelle vacanze, e questo mi ha fatto tanto bene. E cosa facevo? Pulivo in una fabbrica di un amico del mio papà, pulivo le officine; le vacanze erano tre mesi; due mesi e mezzo di lavoro e mezzo mese di vacanza. Il lavoro concreto a me ha fatto bene, mi ha aperto gli occhi. Poi ho fatto primo, secondo e terzo anno della scuola tecnica, doppio turno: mattina pratico, pomeriggio teorico, o al rovescio, era esigente. Ma dal quarto, quinto e sesto anno fino a 19 anni, la parte pratica non si faceva nella scuola, ognuno doveva andare a lavorare in un laboratorio, in una fabbrica, nell’ufficio chimico di una fabbrica, e così via. Io sono stato inviato a lavorare in un laboratorio, dovevo entrare alle 7 del mattino fino all’una, e lì affrettarmi per arrivare alle due al collegio per fare la scuola teorica, fino alle sei, le sette, dipendeva dai giorni… Questo mi ha aiutato, lo sforzo di alzarmi presto per prendere il bus e andare a lavorare alle 7, questo aiuta, a me ha aiutato, così l’ho vissuto. Poi avevo gli amici in parrocchia, andavamo all’ospedale, a visitare gli ammalati o altre cose del genere… Questo è quello che mi viene da dirti su come ho vissuto lo studio con il lavoro… E poi il fine settimana, con gli amici, le amiche, la festa, andare a ballare…, in quel tempo non esisteva la “movida”, questa è venuta dopo! In quel tempo non c’era, ma sì, andavamo al bar o si facevano le feste… Non so se ho risposto, la mia esperienza è stata così. Capito? Il lavoro è importante.

Terza domanda: Giovanni, V Superiore:

Arrivato all’ultimo anno di Liceo, sento che devo compiere delle scelte importanti per il mio futuro: la mia scuola mi ha aiutato a capire che è attraverso l’impegno di ogni giorno che costruisco ciò che sono e ciò che sarò, in questi anni sono stato educato ad aprire la mente e il cuore, a non aver paura di spendermi per gli altri. Tuttavia, di fronte alla scelta, a volte mi sento solo e smarrito perché nel contesso attuale non si hanno certezze e il nostro domani sembra aleatorio. Santo Padre, che cosa sente di poter consigliare ad un giovane che vorrebbe con responsabilità e passione prepararsi ad affrontare il domani? Come faccio a capire che cosa Dio sogna per me?

Papa Francesco:

Grazie Giovanni. La prima cosa che ti consiglio per fare quello che Dio vuole da te è pregare. Ma pregare non come i pappagalli: “bla bla bla bla...”. Pregare con il cuore, pregare davanti al Signore, dialogare con il Signore. E dire: “Signore, fammi conoscere questo: cosa devo fare”. La preghiera che viene dal cuore, la vera preghiera è importante in questo momento, prima di fare le scelte. E a voi giovani Dio affida un compito decisivo nell’affrontare le sfide di questo nostro tempo. Voi state preparando il futuro. Ci sono certamente sfide materiali, ma prima ancora riguardano la visione dell’uomo. Cosa vuoi fare nel futuro? “Io vorrei diventare ingegnere aeronautico” – “Ah, e perché ti piace?” – “Perché mi piace l’aeronautica, mi piace questo…” – “Ah, che bello, bello!” – “E poi non sono tanti gli ingegneri aeronautici, e così avrò la possibilità di avere un posto sicuro e guadagnare tanti soldi…”. Questo ragionamento è ammalato dall’inizio, non va. Mi piacerebbe essere ingegnere aeronautico, ma non per riempire le tasche di soldi! Per servire meglio gli altri. Non dimenticatevi che il vostro lavoro futuro dovrà essere un servizio alla società, un servizio che dipende non solo dalle cose che fate, ma anche dall’esempio. Voi vi sposerete: l’esempio in famiglia. Voi avrete un lavoro: l’esempio nel lavoro. L’esempio nella società. Non è soltanto fare un lavoro per emergere, no, è mettercela tutta in quella cosa. Quel modo di dire italiano che a me piace tanto: “Ce la metto tutta”. In Argentina lo diciamo in un altro modo: “Avere la carne sulla griglia”: giocarsela tutta. Mettere la carne, tutta la carne, sulla griglia. È un modo per dire che io non posso separarmi e in due o tre fare scelte da laboratorio.

Dunque, primo: pregare. Secondo: non fare scelte da laboratorio. Le scelte vanno fatte con il linguaggio della testa, del cuore, delle mani, di cui ho parlato. E questa è una cosa molto importante.

Poi tu hai detto: “A volte mi sento solo”. Non fatevi illusioni: davanti a una decisione c’è sempre un momento, uno spazio di solitudine. Non si possono prendere decisioni della vita a nome di un altro: ognuno deve prenderle da solo. La solitudine al momento della decisione più grande. Quando ti sposerai: nel momento di scegliere la tua futura sposa, di sposarti, c’è qualche momento di solitudine. Renderti conto che io devo andare avanti così: me la sento, solo tu ed io. Non avere paura di questi momenti di solitudine. Qualcuno si spaventa, cerca consigli, fa fare tanti test per vedere… Sì, ma ti manca il momento di solitudine. “Ma questo è brutto, mi fa sentire male…”. Sentiti male, ma così avrai la certezza che hai scelto bene.

Poi: “Cosa sente di poter consigliare a un giovane che vorrebbe con responsabilità e passione prepararsi ad affrontare il domani?”. All’ultima ti ho risposto: “Come faccio a capire che cosa Dio sogna per me?”. Pregando. Io consiglierei a un giovane così: non perdere la passione. I giovani devono essere inquieti, non “da divano”, ma in cammino, sempre cercando qualcosa di più, con la memoria delle radici ma guardando l’orizzonte, e appassionati. È brutto incontrare giovani appassiti. I giovani appassiti sono quelli che mettono la loro gioia nelle cose superficiali della vita e non vanno in profondità, alle grandi domande. Appassionati: la vita si gioca con passione. Tu sicuramente fai sport… Quando guardi una squadra di calcio, cosa fanno i giocatori? Giocano con passione, perché vogliono vincere. La passione anche nella vita di un giovane è importante. Una vita senza passione è come la pasta in bianco senza sale. Vi piace? No! Allora andare avanti appassionati.

Vi ringrazio di queste domande, perché quando le sento dai giovani, anch’io mi appassiono un po’ e ho voglia di “trasmettere fuoco”. Anche voi fate bene a me con questo fuoco che portate nel cuore. Andate avanti, sempre uniti, mai soli. Sempre uniti. I vecchi romani, che hanno abitato questa terra, dicevano: “Vae soli!”, guai all’uomo o alla donna che va solo o sola. Sempre con la famiglia, con gli amici, con la scuola, con la comunità: sempre in compagnia. Con passione, rischiando, e pregando. La preghiera nel rischio aiuta tanto. Non andare in pensione prima del tempo, sempre andare avanti.

Grazie, ragazzi e ragazze, di questa visita, e avanti! Coraggio!

[applausi]

Adesso, vi invito tutti insieme a pregare la Madonna, perché ci accompagni tutti in questo cammino della vita: “Ave, o Maria…”.

[00477-IT.01] [Testo originale: Italiano]

[B0240-XX.01]