Discorso del Santo Padre
Traduzione in lingua inglese
Alle ore 11.40 di questa mattina, nella Sala del Concistoro del Palazzo Apostolico, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza una Delegazione dell’ “American Jewish Committee”.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha rivolto ai presenti all’Udienza:
Discorso del Santo Padre
Cari amici,
vi do il mio caloroso benvenuto in Vaticano. La vostra organizzazione ha avuto stretti contatti con i successori di Pietro fin dall’inizio del dialogo ufficiale tra la Chiesa cattolica e l’ebraismo. Già al Concilio Vaticano II, quando prese vita un nuovo orientamento nelle nostre relazioni, tra gli osservatori ebrei vi era l’insigne Rabbino Abraham J. Heschel dell’American Jewish Committee. Il vostro impegno a favore del dialogo ebraico-cattolico ha tanti anni quanti la Dichiarazione Nostra aetate, pietra miliare nel nostro cammino di fraterna riscoperta. Sono lieto che nel corso del tempo siamo riusciti a mantenere buoni rapporti e a intensificarli ulteriormente.
Coltivare nel tempo buone relazioni fraterne è un dono e al contempo una chiamata di Dio. A questo proposito, vorrei citarvi un episodio accaduto proprio dalle vostre parti. Un giovane cattolico era stato mandato al fronte e aveva vissuto in prima linea gli orrori della seconda guerra mondiale. Tornato negli Stati Uniti, cominciò a metter su famiglia. Dopo tanto lavoro, finalmente poté comprare una casa più grande. La acquistò da una famiglia ebrea. Sulla porta d’ingresso c’era la Mezuzah e questo padre volle che non fosse spostata durante i lavori di risistemazione della casa: doveva rimanere esattamente lì, all’ingresso. E ai figli lasciò in eredità l’importanza di quel segno. Disse a loro, uno dei quali è sacerdote, che quel piccolo “rettangolo” sulla porta andava guardato ogni volta che si entrava e si usciva di casa, perché custodiva il segreto per rendere solida la famiglia e per fare dell’umanità una famiglia. C’era scritto infatti quanto di generazione in generazione non bisogna dimenticare:amare il Signore con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze (cfr Dt 6,4). Cari amici, siamo chiamati insieme a costruire un’atmosfera di casa, di famiglia, scegliendo con tutte le forze l’amore divino, che ispira rispetto e apprezzamento per la religiosità altrui. Non è buonismo, è il nostro futuro.
Oggi, 8 marzo, vorrei anche dire qualcosa sul contributo insostituibile della donna nel costruire un mondo che sia casa per tutti. La donna è colei che fa bello il mondo, che lo custodisce e mantiene in vita. Vi porta la grazia che fa nuove le cose, l’abbraccio che include, il coraggio di donarsi. La pace è donna. Nasce e rinasce dalla tenerezza delle madri. Perciò il sogno della pace si realizza guardando alla donna. Non è un caso che nel racconto della Genesi la donna sia tratta dalla costola dell’uomo mentre questi dorme (cfr Gen 2,21). La donna, cioè, ha origine vicino al cuore e nel sonno, durante i sogni. Perciò porta nel mondo il sogno dell’amore. Se abbiamo a cuore l’avvenire, se sogniamo un futuro di pace, occorre dare spazio alla donna.
Attualmente, invece, è per me fonte di grande preoccupazione la diffusione in più luoghi di un clima di cattiveria e rabbia, nel quale attecchiscono perversi eccessi di odio. Penso in particolare alla recrudescenza barbara, in vari Paesi, di attacchi antisemiti. Anche oggi vorrei ribadire che è necessario vigilare nei confronti di tale fenomeno: «La storia ci insegna dove possono condurre perfino quelle forme di antisemitismo all’inizio appena sottintese: alla tragedia umana della Shoah, in cui due terzi degli ebrei europei sono stati annientati» (Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo, Perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili, 47). Ribadisco che per un cristiano qualsiasi forma di antisemitismo rappresenta una negazione delle proprie origini, una contraddizione assoluta. Noi dobbiamo fare come quel padre, che aveva visto cose tragiche e non si stancava di trasmettere ai figli i fondamenti dell’amore e del rispetto. E dobbiamo guardare al mondo con gli occhi delle madri, con lo sguardo della pace.
Nella lotta contro l’odio e l’antisemitismo, uno strumento importante è il dialogo interreligioso, volto a promuovere l’impegno per la pace, il rispetto reciproco, la tutela della vita, la libertà religiosa, la salvaguardia del creato. Ebrei e cristiani, inoltre, condividono un ricco patrimonio spirituale, che permette di fare tante buone cose insieme. In un tempo in cui l’Occidente è esposto a un secolarismo spersonalizzante, sta ai credenti cercarsi e collaborare per rendere più visibile l’amore divino per l’umanità. E per attuare gesti concreti di vicinanza, contrastando la crescita dell’indifferenza. Nella Genesi Caino, dopo aver ucciso Abele, dice: «Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4,9). Prima dell’omicidio che toglie la vita, c’è l’indifferenza che cancella la verità: sì, Caino, eri proprio tu il custode di tuo fratello! Tu, come tutti noi, per volere di Dio. In un mondo dove la distanza tra i molti che hanno poco e i pochi che hanno molto aumenta ogni giorno, siamo chiamati a prenderci cura dei fratelli più indifesi: dei poveri, dei deboli, degli ammalati, dei bambini, degli anziani.
Nel servizio all’umanità, così come nel nostro dialogo, attendono di essere coinvolti in maniera più intensa i giovani, desiderosi di sognare e aperti alla scoperta di nuovi ideali. Vorrei perciò sottolineare l’importanza della formazione delle future generazioni nel dialogo ebraico-cristiano. L’impegno comune nel campo dell’educazione dei giovani è inoltre uno strumento efficace per contrastare la violenza e aprire nuove vie di pace con tutti. Cari amici, nel ringraziarvi per la visita, vi auguro ogni bene nel vostro impegno a promuovere il dialogo, favorendo scambi proficui tra religioni e culture, tanto preziosi per il nostro futuro e per la pace. Shalom!
[00406-IT.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua inglese
Dear friends,
I offer you a warm welcome to the Vatican. Your organization has had close contacts with the successors of Peter since the beginning of the official dialogue between the Catholic Church and Judaism. Already at the Second Vatican Council, when a new direction in our relations took place, among the Jewish observers was the distinguished Rabbi Abraham J. Heschel of the American Jewish Committee. Your commitment to Jewish-Catholic dialogue goes back to the Declaration Nostra Aetate, a milestone in our journey of fraternal rediscovery. I am pleased that throughout this time we have been able to maintain good relations and enhance them further.
Cultivating good fraternal relations is a gift and at the same time a call from God. In this context, I would like to share with you an event that occurred in your part of the world. A young Catholic was sent to the front-line and experienced first-hand the horrors of the Second World War. On returning to the United States, he began to start a family. After much work, he was finally able to buy a bigger house. He bought it from a Jewish family. At the entrance was the mezuzah and this father did not want it removed during the renovations of the house: it had to remain exactly there, at the entrance. He passed on to his children the importance of that sign. He told them, one of whom was a priest, that this little “box” beside the door should be looked at each time when entering and leaving the house, because it held the secret for making a family strong and making humanity a family.
Written there was what every generation must never forget: to love the Lord with all your heart and with all your soul and with all your strength (cf Deut 6:4). Dear friends, we are called together to create a homely and familial environment, and to choose divine love with all our strength which will inspire respect and appreciation for the religion of others. This is no mere sentiment, it is our future.
Today, 8 March, I would also like to say a few words about the irreplaceable contribution of women in building a world that can be a home for all. Women make the world beautiful, they protect it and keep it alive. They bring the grace of renewal, the embrace of inclusion, and the courage to give of oneself. Peace, then, is born of women, it arises and is rekindled by the tenderness of mothers. Thus the dream of peace becomes a reality when we look towards women. It is not by chance that in the account of Genesis the woman comes from the side of the man while he is sleeping (cf Gen 2:21). Women, that is, have their origins close to a heart and a dream. They therefore bring the dream of love into the world. If we take to heart the importance of the future, if we dream of a future peace, we need to give space to women.
At present, however, a source of great concern to me is the spread, in many places, of a climate of wickedness and fury, in which an excessive and depraved hatred is taking root. I think especially of the outbreak of anti-Semitic attacks in various countries. Today I also wish to reiterate that it is necessary to be vigilant about such a phenomenon: “History teaches us where even the slightest perceptible forms of anti-Semitism can lead: the human tragedy of the Shoah in which two-thirds of European Jewry were annihilated” (Commission for Religious Relations with Jews, The Gifts and the Calling of God are Irrevocable, 47). I stress that for a Christian any form of antisemitism is a rejection of one’s own origins, a complete contradiction. We have to do as that father did, who witnessed many tragic things, yet did not tire of transmitting to his children the foundations of love and respect. And we must look at the world with the eyes of a mother, with the gaze of peace.
In the fight against hatred and antisemitism, an important tool is interreligious dialogue, aimed at promoting a commitment to peace, mutual respect, the protection of life, religious freedom, and the care of creation. Jews and Christians, moreover, share a rich spiritual heritage, which allows us to do much good together. At a time when the West is exposed to a depersonalizing secularism, it falls to believers to seek out each other and to cooperate in making divine love more visible for humanity; and to carry out concrete gestures of closeness to counter the growth of indifference. In Genesis, Cain, after having killing Abel, says: “Am I my brother’s keeper?” (Gen 4:9). Before the murder that takes life, there was the indifference that cancels out the truth: yes, Cain, you really were your brother’s keeper! You, like all of us, by God’s will. In a world where the distance between the many who have little and the few who have much grows every day, we are called to take care of the most vulnerable of our brothers and sisters: the poor, the weak, the sick, children, and the elderly.
In serving humanity, as in our dialogue, young people are waiting to be involved more fully; they want to dream and are open to discovering new ideals. I want to emphasize, therefore, the importance of the formation of future generations in Jewish-Christian dialogue. The shared commitment in the area of educating the young is also an effective means of countering violence and opening new paths of peace with all.
Dear friends, in thanking you for your visit, I extend my best wishes for your commitment to promoting dialogue, enabling a fruitful exchange between religions and cultures, which is so precious for our future, and for peace. Shalom!
[00406-EN.01] [Original text: Italian]
[B0200-XX.02]