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Santa Messa nella Festa della Presentazione del Signore e XXIII Giornata Mondiale della Vita Consacrata, 02.02.2019


Omelia del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Alle ore 17.20 di oggi, Festa della Presentazione del Signore e XXIII Giornata Mondiale della Vita Consacrata, il Santo Padre Francesco ha presieduto, nella Basilica Vaticana, la celebrazione della Santa Messa con i membri degli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica.

Hanno concelebrato con il Santo Padre Cardinali, Vescovi e Sacerdoti appartenenti a Ordini, Congregazioni e Istituti religiosi.

Nel corso del rito, che si è aperto con la benedizione delle candele e la processione ed è proseguito con la celebrazione eucaristica, il Papa ha pronunciato l’omelia che riportiamo di seguito:

Omelia del Santo Padre

La Liturgia oggi mostra Gesù che va incontro al suo popolo. È la festa dell’incontro: la novità del Bambino incontra la tradizione del tempio; la promessa trova compimento; Maria e Giuseppe, giovani, incontrano Simeone e Anna, anziani. Tutto, insomma, si incontra quando arriva Gesù.

Che cosa dice questo a noi? Anzitutto che anche noi siamo chiamati ad accogliere Gesù che ci viene incontro. Incontrarlo: il Dio della vita va incontrato ogni giorno della vita; non ogni tanto, ma ogni giorno. Seguire Gesù non è una decisione presa una volta per tutte, è una scelta quotidiana. E il Signore non si incontra virtualmente, ma direttamente, incontrandolo nella vita, nella concretezza della vita. Altrimenti Gesù diventa solo un bel ricordo del passato. Quando invece lo accogliamo come Signore della vita, centro di tutto, cuore pulsante di ogni cosa, allora Egli vive e rivive in noi. E accade anche a noi quello che accadde nel tempio: attorno a Lui tutto si incontra, la vita diventa armoniosa. Con Gesù si ritrova il coraggio di andare avanti e la forza di restare saldi. L’incontro col Signore è la fonte. È importante allora tornare alle sorgenti: riandare con la memoria agli incontri decisivi avuti con Lui, ravvivare il primo amore, magari scrivere la nostra storia d’amore col Signore. Farà bene alla nostra vita consacrata, perché non diventi tempo che passa, ma sia tempo di incontro.

Se facciamo memoria del nostro incontro fondante col Signore, ci accorgiamo che esso non è sorto come una questione privata tra noi e Dio. No, è sbocciato nel popolo credente, accanto a tanti fratelli e sorelle, in tempi e luoghi precisi. Ce lo dice il Vangelo, mostrando come l’incontro avviene nel popolo di Dio, nella sua storia concreta, nelle sue tradizioni vive: nel tempio, secondo la Legge, nel clima della profezia, con i giovani e gli anziani insieme (cfr Lc 2,25-28.34). Così anche la vita consacrata: sboccia e fiorisce nella Chiesa; se si isola, appassisce. Essa matura quando i giovani e gli anziani camminano insieme, quando i giovani ritrovano le radici e gli anziani accolgono i frutti. Invece ristagna quando si cammina da soli, quando si resta fissati al passato o ci si butta in avanti per cercare di sopravvivere. Oggi, festa dell’incontro, chiediamo la grazia di riscoprire il Signore vivo, nel popolo credente, e di far incontrare il carisma ricevuto con la grazia dell’oggi.

Il Vangelo ci dice anche che l’incontro di Dio col suo popolo ha una partenza e un traguardo. Si comincia dalla chiamata al tempio e si arriva alla visione nel tempio. La chiamata è duplice. C’è una prima chiamata «secondo la Legge» (v. 22). È quella di Giuseppe e Maria, che vanno al tempio per compiere ciò che la Legge prescrive. Il testo lo sottolinea quasi come un ritornello, ben quattro volte (cfr vv. 22.23.24.27). Non è una costrizione: i genitori di Gesù non vanno per forza o per soddisfare un mero adempimento esterno; vanno per rispondere alla chiamata di Dio. C’è poi una seconda chiamata, secondo lo Spirito. È quella di Simeone e Anna. Anche questa è evidenziata con insistenza: per tre volte, a proposito di Simeone, si parla dello Spirito Santo (cfr vv. 25.26.27) e si conclude con la profetessa Anna che, ispirata, loda Dio (cfr v. 38). Due giovani accorrono al tempio chiamati dalla Legge; due anziani mossi dallo Spirito. Questa duplice chiamata, della Legge e dello Spirito, che cosa dice alla nostra vita spirituale e alla nostra vita consacrata? Che tutti siamo chiamati a una duplice obbedienza: alla legge – nel senso di ciò che dà buon ordine alla vita – e allo Spirito, che fa cose nuove nella vita. Così nasce l’incontro col Signore: lo Spirito rivela il Signore, ma per accoglierlo occorre la costanza fedele di ogni giorno. Anche i carismi più grandi, senza una vita ordinata, non portano frutto. D’altra parte, le migliori regole non bastano senza la novità dello Spirito: legge e Spirito vanno insieme.

Per comprendere meglio questa chiamata che vediamo oggi nei primi giorni di vita di Gesù, al tempio, possiamo andare ai primi giorni del suo ministero pubblico, a Cana, dove trasforma l’acqua in vino. Anche lì c’è una chiamata all’obbedienza, con Maria che dice: «Qualsiasi cosa [Gesù] vi dica, fatela» (Gv 2,5). Qualsiasi cosa. E Gesù chiede una cosa particolare; non fa subito una cosa nuova, non procura dal nulla il vino che manca – avrebbe potuto farlo –, ma chiede una cosa concreta e impegnativa. Chiede di riempire sei grandi anfore di pietra per la purificazione rituale, che richiamano la Legge. Voleva dire travasare circa seicento litri d’acqua dal pozzo: tempo e fatica, che parevano inutili, perché ciò che mancava non era l’acqua, ma il vino! Eppure, proprio da quelle anfore riempite bene, «fino all’orlo» (v. 7), Gesù trae il vino nuovo. Così è per noi: Dio ci chiama a incontrarlo attraverso la fedeltà a cose concrete – Dio si incontra sempre nella concretezza –: la preghiera quotidiana, la Messa, la Confessione, una carità vera, la Parola di Dio ogni giorno, la prossimità, soprattutto ai più bisognosi, spiritualmente o corporalmente. Sono cose concrete, come nella vita consacrata l’obbedienza al Superiore e alle Regole. Se si mette in pratica con amore questa legge – con amore! –, lo Spirito sopraggiunge e porta la sorpresa di Dio, come al tempio e a Cana. L’acqua della quotidianità si trasforma allora nel vino della novità e la vita, che sembra più vincolata, diventa in realtà più libera. In questo momento mi viene alla memoria una suora, umile, che aveva proprio il carisma di essere vicina ai sacerdoti e ai seminaristi. L’altro ieri è stata introdotta qui, nella Diocesi [di Roma], la sua causa di beatificazione. Una suora semplice: non aveva grandi luci, ma aveva la saggezza dell’obbedienza, della fedeltà e di non avere paura delle novità. Chiediamo che il Signore, tramite suor Bernardetta, dia a tutti noi la grazia di andare per questa strada.

L’incontro, che nasce dalla chiamata, culmina nella visione. Simeone dice: «I miei occhi hanno visto la tua salvezza» (Lc 2,30). Vede il Bambino e vede la salvezza. Non vede il Messia che compie prodigi, ma un piccolo bimbo. Non vede qualcosa di straordinario, ma Gesù coi genitori, che portano al tempio due tortore o due colombi, cioè l’offerta più umile (cfr v. 24). Simeone vede la semplicità di Dio e accoglie la sua presenza. Non cerca altro, non chiede e non vuole di più, gli basta vedere il Bambino e prenderlo tra le braccia: “nunc dimittis, ora puoi lasciarmi andare” (cfr v. 29). Gli basta Dio com’è. In Lui trova il senso ultimo della vita. È la visione della vita consacrata, una visione semplice e profetica nella sua semplicità, dove si tiene il Signore davanti agli occhi e tra le mani, e non serve altro. La vita è Lui, la speranza è Lui, il futuro è Lui. La vita consacrata è questa visione profetica nella Chiesa: è sguardo che vede Dio presente nel mondo, anche se tanti non se ne accorgono; è voce che dice: “Dio basta, il resto passa”; è lode che sgorga nonostante tutto, come mostra la profetessa Anna. Era una donna molto anziana, che aveva vissuto tanti anni da vedova, ma non era cupa, nostalgica o ripiegata su di sé; al contrario sopraggiunge, loda Dio e parla solo di Lui (cfr v. 38). A me piace pensare che questa donna “chiacchierava bene”, e contro il male del chiacchiericcio questa sarebbe una buona patrona per convertirci, perché andava da una parte all’altra dicendo solamente: “È quello! È quel bambino! Andate a vederlo!”. Mi piace vederla così, come una donna di quartiere.

Ecco la vita consacrata: lode che dà gioia al popolo di Dio, visione profetica che rivela quello che conta. Quand’è così fiorisce e diventa richiamo per tutti contro la mediocrità: contro i cali di quota nella vita spirituale, contro la tentazione di giocare al ribasso con Dio, contro l’adattamento a una vita comoda e mondana, contro il lamento – le lamentele! –, l’insoddisfazione e il piangersi addosso, contro l’abitudine al “si fa quel che si può” e al “si è sempre fatto così”: queste non sono frasi secondo Dio. La vita consacrata non è sopravvivenza, non è prepararsi all’ “ars bene moriendi”: questa è la tentazione di oggi davanti al calo delle vocazioni. No, non è sopravvivenza, è vita nuova. “Ma… siamo poche…” – è vita nuova. È incontro vivo col Signore nel suo popolo. È chiamata all’obbedienza fedele di ogni giorno e alle sorprese inedite dello Spirito. È visione di quel che conta abbracciare per avere la gioia: Gesù.

[00186-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Aujourd’hui la Liturgie montre Jésus qui va à la rencontre de son peuple. C’est la fête de la rencontre: la nouveauté de l’Enfant rencontre la tradition du temple; la promesse trouve un accomplissement; Marie et Joseph, jeunes, rencontrent Syméon et Anne âgés. Tout, en somme, se rencontre quand arrive Jésus.

Qu’est-ce-que cela nous dit à nous? Surtout que nous aussi sommes appelés à accueillir Jésus qui vient à notre rencontre. Le rencontrer: le Dieu de la vie se rencontre chaque jour de la vie; non de temps en temps, mais chaque jour. Suivre Jésus n’est pas une décision prise une fois pour toutes, c’est un choix quotidien. Et le Seigneur ne se rencontre pas virtuellement, mais directement, en le rencontrant dans la vie, dans la vie concrète. Autrement, Jésus devient seulement un beau souvenir du passé. Lorsqu’au contraire nous l’accueillons comme Seigneur de la vie, centre de tout, cœur battant de toute chose, alors il vit et revit en nous. Et il nous arrive aussi ce qui arrive dans le temple: autour de lui tout le monde se rencontre, la vie devient harmonieuse. Avec Jésus on retrouve le courage d’aller de l’avant et la force de rester solides. La rencontre avec le Seigneur est la source. Il est important alors de revenir aux sources: retourner par la mémoire aux rencontres décisives qu’on a eues avec lui, raviver le premier amour, peut-être écrire notre histoire d‘amour avec le Seigneur. Cela fera du bien à notre vie consacrée, afin qu’elle ne devienne pas temps qui passe, mais qu’elle soit temps de rencontre.

Si nous faisons mémoire de notre rencontre fondatrice avec le Seigneur, nous nous apercevons qu’elle n’est pas arrivée comme une question privée entre nous et Dieu. Non, elle s’est épanouie dans le peuple croyant, à côté de nombreux frères et sœurs, dans des temps et des lieux précis. L’Evangile nous le dit, montrant comment la rencontre se passe dans le peuple de Dieu, dans son histoire concrète, dans ses traditions vivantes: dans le temple, selon la Loi, dans le climat de la prophétie, avec les jeunes et les aînés ensemble (cf. Lc 2, 25-28.34). Ainsi la vie consacrée: elle s’épanouit et fleurit dans l’Eglise; si elle s’isole, elle se fane. Elle mûrit lorsque les jeunes et les aînés marchent ensemble, lorsque les jeunes retrouvent les racines et les aînés accueillent les fruits. Elle stagne au contraire quand on marche seul, quand on reste fixé sur le passé ou qu’on se jette en avant pour chercher à survivre. Aujourd’hui, fête de la rencontre, demandons la grâce de redécouvrit le Seigneur vivant, dans le peuple croyant, et de faire rencontrer le charisme reçu avec la grâce de l’aujourd’hui.

L’Evangile nous dit aussi que la rencontre de Dieu avec son peuple a un début et un objectif. Elle commence par l’appel au temple et elle aboutit à la vision dans le temple. L’appel est double. Il y a un premier appel «ce qui est écrit dans la Loi» (v. 23). C’est celui de Joseph et Marie, qui vont au temple pour accomplir ce que la Loi prescrit. Le texte le souligne presque comme un refrain, bien quatre fois (cf. v. 22.23.24.27). Ce n’est pas une contrainte: les parents de Jésus ne viennent pas par force ou pour satisfaire une simple formalité extérieure; ils viennent pour répondre à l’appel de Dieu. Ensuite il y a un second appel, selon l’Esprit. C’est celui de Syméon et Anne. Cela aussi est mis en évidence avec insistance: par trois fois, au sujet de Syméon, on parle de l’Esprit Saint (cf. v. 25.26.27) et on termine avec la prophétesse Anne qui, inspirée, loue Dieu (cf. v. 38). Deux jeunes accourent au temple appelés par la Loi; deux aînés mus par l’Esprit. Ce double appel, de la Loi et de l’Esprit, que dit-il à notre vie spirituelle et à notre vie consacrée? Que tous nous sommes appelés à une double obéissance: à la loi – dans le sens de ce qui donne bon ordre à la vie – et à l’Esprit, qui fait des choses nouvelles dans la vie. Ainsi naît la rencontre avec le Seigneur: l’Esprit révèle le Seigneur, mais pour l’accueillir il faut la constance fidèle de chaque jour. Même les charismes les plus grands, sans une vie ordonnée, ne portent pas de fruit. D’autre part les meilleures règles ne suffisent pas sans la nouveauté de l’Esprit: loi et Esprit vont ensemble.

Pour mieux comprendre cet appel que nous voyons aujourd’hui dans les premiers jours de vie de Jésus, au temple, nous pouvons aller aux premiers jours de sonministère public, à Cana, où il transforme l’eau en vin. Là aussi, il y a un appel à l’obéissance, avec Marie qui dit: «Tout ce qu’il [Jésus] vous dira, faites-le» (Jn 2, 5). Tout. Et Jésus demande une chose particulière; il ne fait pas tout de suite une chose nouvelle, il ne procure pas de rien le vin qui manque – il aurait pu le faire –, mais il demande une chose concrète et exigeante. Il demande de remplir six grandes amphores de pierre pour la purification rituelle, qui rappellent la Loi. Il voulait dire de transvaser environ six cent litres d’eau du puits: du temps et de la fatigue, qui paraissaient inutiles, puisque ce qui manquait ce n’était pas l’eau mais le vin! Pourtant justement de ces amphores bien remplies «jusqu’au bord» (v. 7), Jésus tire le vin nouveau. Il en est ainsi pour nous: Dieu nous appelle à la rencontre à travers la fidélité à des choses concrètes– On rencontre toujours Dieu dans le concret –: la prière quotidienne, la Messe, la Confession, une vraie charité, la Parole de Dieu chaque jour, la proximité, surtout avec ceux qui sont dans le besoin, spirituellement et matériellement. Ce sont des choses concrètes, comme dans la vie consacrée, l’obéissance au Supérieur et aux Règles. Si on met en pratique avec amour cette loi – avec amour! – l’Esprit survient et apporte la surprise de Dieu, comme au temple et à Cana. L’eau du quotidien se transforme alors en vin de la nouveauté et la vie, qui semble plus contrainte, devient en réalité plus libre. En ce moment je me souviens d’une sœur, humble, qui avait précisément le charisme d’être proche des prêtres et des séminaristes. Avant-hier, a été introduite ici, dans le diocèse [de Rome], sa cause de béatification. Une sœur simple: elle n’avait pas de grandes lumières, mais elle avait la sagesse de l’obéissance, de la fidélité et de ne pas avoir peur des nouveautés. Demandons au Seigneur, à travers sœur Bernadette, de nous donner à nous tous la grâce d’emprunter ce chemin.

La rencontre qui naît de l’appel, culmine dans la vision. Syméon dit:«Mes yeux ont vu le salut» (Lc 2, 30). Il voit l’Enfant et il voit le salut. Il ne voit pas le Messier qui accomplit des prodiges, mais un petit enfant. Il ne voit pas quelque chose d’extraordinaire, mais Jésus avec ses parents, qui portent au temple deux tourterelles et deux colombes, c’est-à-dire l’offrande la plus humble (cf. v. 24). Syméon voit la simplicité de Dieu et accueille sa présence. Il ne cherche pas autre chose, il ne demande pas et ne veut pas davantage, il lui suffit de voir l’Enfant et de le prendre dans ses bras: «nunc dimittis, maintenant tu peux me laisser m’en aller» (cf. v. 29). Dieu lui suffit comme il est. En lui il trouve le sens ultime de sa vie. C’est la vision de la vie consacrée, une vision simple et prophétique dans sa simplicité, où on tient le Seigneur devant les yeux et entre les bras, et rien d’autre ne sert. La vie c’est Lui, l’espérance c’est Lui, l’avenir c’est Lui. La vie consacrée est cette vision prophétique dans l’Eglise: c’est un regard qui voit Dieu présent dans le monde, même si beaucoup ne s’en aperçoivent pas; c’est une voix qui dit: “Dieu suffit, le reste passe”; c’est une louange qui jaillit malgré tout, comme le montre la prophétesse Anne. C’était une femme très âgée, qui avait vécu de nombreuses d’années de veuvage, mais elle n’était pas maussade, nostalgique ou repliée sur elle; au contraire, elle survient, loue Dieu et parle seulement de Lui (cf. v. 38). J’aime penser que cette femme ‘‘bavardait bien’’, et contre le mal du papotage elle serait une bonne marraine pour nous convertir, car elle allait d’un endroit à un autre en ne faisant que dire : ‘‘C’est lui! C’est cet enfant! Allez le voir!’’. J’aime la voir ainsi, comme une femme du quartier.

Voilà la vie consacrée: louange qui donne joie au peuple de Dieu, vision prophétique qui révèle ce qui compte. Quand c’est ainsi, elle fleurit et devient un rappel pour tous contre la médiocrité: contre les baisses de profondeur dans la vie spirituelle, contre la tentation de jouer au rabais avec Dieu, contre l’accommodation à une vie facile et mondaine, contre la lamentation – les plaintes –, l’insatisfaction et le fait de pleurer sur son sort, contre l’habitude du “on fait ce qu’on peut” et du “on a toujours fait ainsi”: ce ne sont pas des phrases en accord avec Dieu. La vie consacrée n’est pas survivance, ce n’est pas de se préparer à l’‘‘ars bene moriendi’’: cela, c’est la tentation d’aujourd’hui face à la baisse des vocations. Non, elle n’est pas une survivance, elle est vie nouvelle. ‘‘Mais… nous sommes peu nombreux…’’ – c’est une vie nouvelle. C’est une rencontre vivante avec le Seigneur dans son peuple. C’est un appel à l’obéissance fidèle de chaque jour et aux surprises inédites de l’Esprit. C’est une vision de ce qu’il importe d’embrasser pour avoir la joie: Jésus.

[00186-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

Today’s Liturgy shows Jesus who goes out to meet his people. It is the feast day of encounter: the newness of the Child encounters the tradition of the temple; the promise finds fulfillment; young Mary and Joseph encounter the elderly Simeon and Anna. Everything, therefore, meets as Jesus arrives.

What does this mean for us? Above all, that we too are called to welcome Jesus who comes to meet us. To encounter him: the God of life is to be encountered every day of our lives; not now and then, but every day. To follow Jesus is not a decision taken once and for all, it is a daily choice. And we do not meet the Lord virtually, but directly, we encounter him in our lives, in the concreteness of life. Otherwise, Jesus becomes only a nice memory of the past. When we welcome him as the Lord of life, however, as the centre and the beating heart of everything, then he is alive and lives anew in us. And what happened in the temple also happens to us: around him everything meets, and life becomes harmonious. With Jesus we find again the courage to carry on and the strength to remain firm. The encounter with the Lord is the source. It is important then to return to the source: to retrace in our mind the decisive moments of encounter with him, to renew our first love, perhaps writing down our love story with the Lord. This would be good for our consecrated life, so that it does not become a time that passes by, but rather a time of encounter.

If we call to mind our original meeting with the Lord, we become aware that it did not arise as something private between us and God. No, it blossomed in the context of a believing people, alongside many brothers and sisters, at precise times and places. The Gospel tells us this, showing how the encounter takes place within the people of God, in its concrete history, in its living traditions: in the temple, according to the law, in the context of prophecy, in young and old together (cf Lk 2:25-28, 34). It is like this too in the consecrated life: it blossoms and flourishes in the Church; if it is isolated, it withers. It matures when the young and elderly walk together, when the young rediscover their roots and the elderly welcome those fruits. When we walk alone, however, when we remain fixated on the past or jump ahead in trying to survive, then the consecrated life stagnates. Today, on the feast day of encounter, we ask for the grace to rediscover the living Lord amid a believing people, and to allow the charism we have received to encounter today’s graces.

The Gospel also tells us that God’s encounter with his people has both a starting point and a destination point. It begins with the call in the temple and arrives at the vision in the temple. It is a call that is twofold. There is a first call “according to the law” (v. 22). It is the call of Joseph and Mary, who go to the temple to fulfil what the law prescribes. The text emphasizes this almost as a refrain, even four times (cf. vv. 22, 23, 24, 27). This is not something forced: Jesus’ parents are not constrained to go or merely to perform an external duty. They go in response to God’s call. Then there is a second call, according to the Spirit. It is the call of Simeon and Anna. This too is stressed with insistence: three times, in the case of Simeon, it refers to the Holy Spirit (cf. vv. 25, 26, 27) and it concludes with Anna the prophetess, who was inspired to give thanks to God (cf. v. 38). Two young people run to the temple, called by the law; two elderly people moved by the Spirit. What does this twofold call, by the law and by the Spirit, mean for our spiritual life and our consecrated life? It means that we are all called to a twofold obedience: to the law – in the sense of what gives order to our lives – and to the Spirit, who does new things in our lives. And so the encounter with the Lord is born: the Spirit reveals the Lord, but to welcome him we need to persevere every day. Even the greatest charisms, if lacking an ordered life, cannot bear fruit. On the other hand, even the best rules are not sufficient without the freshness of the Spirit: the law and the Spirit go together.

To better understand this call, seen today in the temple in the first days of Jesus’ life, we should move to the first days of his public ministry, at Cana, where he transforms water into wine. There too there is a call to obedience, with Mary, who says: “Do whatever he tells you” (Jn 2:5). Do whatever. And Jesus asks for something particular; he does not suddenly do something new, does not produce the missing wine out of nothing – he could have done so – but he asks for something concrete and demanding. He asks them to fill six great stone water jars for the ritual purification, which recalls the law. That means pouring around six hundred litres of water from the well: time and effort, which seemed pointless, because what was missing was not water but wine! And yet, precisely from those jars filled “up to the brim” (v. 7), Jesus draws forth new wine. And so it is for us: God calls us to encounter him through faithfulness to concrete things – God is always encountered in concrete things: daily prayer, Holy Mass, Confession, real charity, the daily word of God, closeness, especially to those most in need spiritually or physically. Concrete things, such as obedience to one’s superior and to the rule in the consecrated life. If we put this law into practice with love – with love! – then the Spirit will come and bring God’s surprise, just as in the temple and at Cana. Thus the water of daily life is transformed into the wine of newness, and our life, which seems to be more bound, in reality becomes more free. This reminds me now of a humble sister who really had the charism of being close to priests and seminarians. The other day the cause for her beatification was introduced here in the Diocese [of Rome]. She was a simple sister, not well known, but she had the virtue of obedience, of faithfulness and of not being afraid of new things. We ask the Lord, through the intercession of Sister Bernardetta, to give all of us the grace to walk on this path.

The encounter which is born of the call culminates in vision. Simeon says: “My eyes have seen your salvation” (Lk 2:30). He sees the Child and he sees salvation. He does not see the Messiah who works miracles, but a small child. He does not see something extraordinary, but Jesus with his parents, who bring a pair of turtledoves or two pigeons to the temple, which is the most humble offering (cf. v. 24). Simeon sees God’s simplicity and welcomes his presence. He is not looking for anything else, is not asking or wanting for something more; it is enough to see the Child and take him in his arms: “nunc dimittis, now let me depart” (cf. v. 29). God, as he, is enough for him. In God he finds the ultimate meaning of his life. This is the vision of consecrated life, a vision that is simple and prophetic in its simplicity, where we keep the Lord before our eyes and between our hands, and not to serve anything else. He is our life, he is our hope, he is our future. Consecrated life consists in this prophetic vision in the Church: it is a gaze that sees God present in the world, even if many do not notice him; it is a voice that says: “God is enough, the rest passes away”; it is praise that gushes forth in spite of everything, as the prophetess Anna shows. She was a woman of great age, who had lived for many years as a widow, but was not gloomy, nostalgic or withdrawn into herself; on the contrary, she arises, she praises God and speaks only of him (cf. v. 38). I would like to think that this woman knew how to “talk in a good way”, and she could be a good patroness to call us to conversion from the evil of gossip, because she went from one place to another saying only: “That’s him! That’s the baby! Go and see him!” I imagine her like this, the woman next door.

This then is the consecrated life: praise which gives joy to God’s people, prophetic vision that reveals what counts. When it is like this, then it flowers and becomes a summons for all of us to counter mediocrity: to counter a devaluation of our spiritual life, to counter the temptation to reduce God’s importance, to counter an accommodation to a comfortable and worldly life, to counter complaints – complaints! – dissatisfaction and self-pity, to counter a mentality of resignation and “we have always done it this way”: this is not God’s way. Consecrated life is not about survival, it is not about preparing ourselves for ars bene moriendi: this is the temptation of our days, in the face of declining vocations. No, it is not about survival, but new life. “But… there are only a few of us…” – it’s about new life. It is a living encounter with the Lord in his people. It is a call to the faithful obedience of daily life and to the unexpected surprises from the Spirit. It is a vision of what we need to embrace in order to experience joy: Jesus.

[00186-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Die heutige Liturgie zeigt uns Jesus, der er seinem Volk entgegengeht. Es ist das Fest der Begegnung: die Neuheit des Kindes trifft auf die Tradition des Tempels; die Verheißung findet Erfüllung; die jungen Maria und Josef treffen auf die alten Simeon und Anna. Alles begegnet sich also, wenn Jesus kommt.

Was sagt uns dies? Vor allem, dass auch wir gerufen sind, Jesus, der uns entgegenkommt, aufzunehmen. Ihm begegnen: dem Gott des Lebens muss man jeden Tag des Lebens begegnen; nicht manchmal, sondern jeden Tag. Jesus zu folgen ist nicht eine ein für alle Mal getroffene Entscheidung, es ist eine tägliche Entscheidung. Und dem Herrn begegnet man nicht virtuell, sondern unmittelbar, indem man ihm im Leben begegnet, im konkreten Leben. Andernfalls wird Jesus nur zu einer schönen Erinnerung der Vergangenheit. Wenn wir ihn jedoch als den Herrn des Lebens, die Mitte von allem, das pulsierende Herz von allem aufnehmen, dann lebt und lebt er fort in uns. Und auch uns geschieht, was im Tempel geschah: um ihn herum begegnet sich alles, wird das Leben harmonisch. Mit Jesus findet man wieder den Mut voranzugehen und die Kraft, fest zu stehen. Die Begegnung mit dem Herrn ist die Quelle. Es ist also wichtig, zu den Quellen zurückzukehren: in der Erinnerung zu den entscheidenden Begegnungen mit ihm zurückzugehen, die erste Liebe neu zu entfachen, vielleicht unsere Liebesgeschichte mit dem Herrn niederzuschreiben. Es wird unserem gottgeweihten Leben guttun, damit es nicht zu einer Zeit, die vorübergeht, wird, sondern eine Zeit der Begegnung sei.

Wenn wir uns an unsere grundlegende Begegnung mit dem Herrn erinnern, merken wir, dass diese nicht als eine private Angelegenheit zwischen uns und Gott entstanden ist. Nein, sie ist im gläubigen Volk aufgegangen, neben vielen Brüdern und Schwestern, zu einer bestimmten Zeit und an einem genauen Orten. Das Evangelium sagt es uns, wenn es uns zeigt, wie die Begegnung im Volk Gottes geschieht, in seiner konkreten Geschichte, in seinen lebendigen Traditionen: im Tempel, entsprechend dem Gesetz, im Klima der Prophetie, mit den jungen und alten Menschen zusammen (vgl. Lk 2,25-28.34). So auch das gottgeweihte Leben: es geht auf und blüht in der Kirche; wenn es sich absondert, verwelkt es. Es reift, wenn die Jungen und Alten gemeinsam gehen, wenn die Jungen ihre Wurzeln wiederfinden und die Alten die Früchte ernten. Es stagniert jedoch, wenn man alleine geht, wenn man auf die Vergangenheit fixiert bleibt oder Hals über Kopf vorwärtsläuft, um zu überleben. Heute, am Fest der Begegnung, bitten wir um die Gnade, den lebendigen Herrn im gläubigen Volk wiederzuentdecken und das empfangene Charisma der Gnade des Heute begegnen zu lassen.

Das Evangelium sagt uns auch, dass die Begegnung Gottes mit seinem Volk einen Ausgangspunkt und ein Ziel hat. Man beginnt mit dem Ruf zum Tempel und man gelangt zur Schau im Tempel. Der Ruf erfolgt zweifach. Es gibt einen ersten Ruf entsprechend dem Gesetz (vgl. V. 22). Es ist der Ruf an Josef und Maria, die zum Tempel gehen, um zu erfüllen, was das Gesetzt vorschreibt. Der Text unterstreicht es gleich einem Refrain viermal (vgl. Vv. 22.23.24.27). Es ist nicht ein Zwang: die Eltern Jesu gehen nicht notgedrungen oder um einer bloß äußeren Pflichterfüllung willen; sie gehen, um dem Ruf Gottes zu antworten. Es gibt dann einen zweiten Ruf entsprechend dem Geist. Es ist der Ruf an Simeon und Anna. Auch dieser wird nachdrücklich hervorgehoben: Dreimal wird in Bezug auf Simeon über den Heiligen Geist gesprochen (vgl. Vv. 25.26.27), und der Text schließt mit der Prophetin Hanna, die vom Geist erfüllt Gott preist (vgl. V. 38). Zwei junge Menschen eilen vom Gesetz gerufen zum Tempel; zwei alte Menschen getrieben vom Geist. Was sagt dieser zweifache Ruf des Gesetzes und des Geistes für unser geistliches Leben und unser gottgeweihtes Leben? Dass wir alle zu einem zweifachen Gehorsam gerufen sind: zum Gesetz – im Sinne dessen, was dem Leben eine gute Ordnung gibt, – und zum Geist, der im Leben neue Dinge bewirkt. So entsteht die Begegnung mit dem Herrn: Der Geist offenbart den Herrn, aber um ihn aufzunehmen, ist die treue Beständigkeit des Alltags nötig. Auch die größten Charismen bringen ohne ein geordnetes Leben keine Frucht. Andererseits reichen die besten Regeln ohne die Neuheit des Geistes nicht aus: Gesetz und Geist gehören zusammen.

Um diesen Ruf zum Tempel besser zu verstehen, den wir heute in den ersten Tagen des Lebens Jesu sehen, können wir die ersten Tage seines öffentlichen Wirkens betrachten, wo er in Kana Wasser in Wein verwandelt. Auch dort gibt es einen Ruf zum Gehorsam, mit Maria, die sagt: »Was er [Jesus] euch sagt, das tut!« (Joh 2,5). Was auch immer er euch sagt. Und Jesus verlangt etwas Besonderes; er macht nicht sofort etwas Neues, er besorgt den fehlenden Wein nicht aus dem Nichts – er hätte es tun können –, sondern er verlangt etwas Konkretes, das Einsatz erfordert. Er verlangt, die sechs großen Steinkrüge für die rituelle Reinigung, welche an das Gesetz erinnern, zu füllen. Dies bedeutete, ungefähr sechshundert Liter Wasser aus dem Brunnen einzufüllen: Zeit und Mühe, die sinnlos erschienen, weil nicht das Wasser fehlte, sondern der Wein! Und doch schöpft Jesus gerade aus diesen »bis zum Rand« (V. 7) gefüllten Krügen den neuen Wein. So ist es für uns: Gott ruft uns, ihm durch die Treue in konkreten Dingen zu begegnen – Gott begegnet man immer im Konkreten: das tägliche Gebet, die Messe, die Beichte, eine echte Nächstenliebe, das Wort Gottes an jedem Tag, die geistige oder leibliche Nähe vor allem zu den am meisten Bedürftigen. Es sind konkrete Dinge, wie im gottgeweihten Leben der Gehorsam zum Oberen und zu den Regeln. Wenn man dieses Gesetz mit Liebe – mit Liebe! – in die Praxis umsetzt, bricht der Heilige Geist herein und bringt wie in Kana die Überraschung Gottes. Das Wasser des Alltags verwandelt sich dann in den Wein der Neuheit des Lebens, das gebundener scheint, in Wirklichkeit aber freier wird. Mir kommt gerade eine bescheidene Schwester in den Sinn, die genau dieses Charisma hatte, für die Priester und Seminaristen da zu sein. Vorgestern wurde hier in der Diözese [Rom] ihr Seligsprechungsprozess eingeleitet. Eine einfache Schwester: Sie hatte keine großen leuchtenden Ideen, aber sie besaß die Weisheit des Gehorsams, der Treue und der Furchtlosigkeit vor Neuheiten. Bitten wir den Herrn, dass er durch Schwester Bernardetta uns allen die Gnade schenke, auf diesem Weg zu gehen.

Die Begegnung, die aus dem Ruf entsteht, findet ihren Höhepunkt in der Schau: Simeon sagt: »Denn meine Augen haben das Heil gesehen« (Lk 2,30). Er sieht das Kind und sieht das Heil. Er sieht nicht den Messias, der Wundertaten vollbringt, sondern ein kleines Kind. Er sieht nicht etwas Außerordentliches, sondern Jesus mit den Eltern, die zum Tempel ein Paar Turteltauben oder zwei junge Tauben bringen, also die bescheidenste Gabe (vgl. V. 24). Simeon sieht die Einfachheit Gottes und nimmt seine Gegenwart auf. Er sucht nichts anderes, er verlangt und will nicht mehr, ihm genügt es, das Kind zu sehen und es in die Arme zu nehmen: „Nunc dimittis“, nun kannst du mich scheiden lassen (vgl. V. 29). Ihm genügt Gott, wie er ist. In ihm findet er den letzten Sinn des Lebens. Es ist die Schau des gottweihten Lebens, eine einfache Schau, prophetisch in ihrer Einfachheit, wo man den Herrn vor Augen und in den Händen hält und man nichts anderes braucht. Er ist das Leben, er ist die Hoffnung, er ist die Zukunft. Das gottgeweihte Leben ist diese prophetische Schau in der Kirche: es ist der Blick, der Gott in der Welt gegenwärtig sieht, auch wenn viele ihn nicht bemerken; es ist die Stimme, die sagt: „Gott genügt, das Übrige vergeht“; es ist der Lobpreis, der trotz allem ertönt, wie die Prophetin Hanna zeigt. Sie war eine sehr alte Frau, die über viele Jahre als Witwe gelebt hatte, aber sie war nicht verfinstert, nostalgisch oder auf sich selbst zurückgezogen; im Gegenteil, sie kommt unvermittelt, lobt Gott und spricht nur über ihn (vgl. V. 38). Gerne stelle ich mir vor, dass diese Frau „gut schwatzte“, und gegen das Übel des Tratsches wäre sie eine gute Patronin, um uns zu bekehren. Sie ging nämlich von da nach dort und sagte feierlich: „Dieser ist es! Dieses Kind ist es! Geht hin, ihn zu sehen!“ Gerne sehe ich sie so, wie eine Frau aus dem Viertel.

Das ist das gottweihte Leben: Lobpreis, der dem Volk Gottes Freude bereitet, prophetische Schau, die das offenbart, was zählt. Wenn es so ist, blüht es und wird für alle zu einem Weckruf gegen die Mittelmäßigkeit: gegen den Rückgang des Anteils am geistlichen Leben, gegen die Versuchung, mit Gott auf Baisse zu spekulieren, gegen die Anpassung an ein bequemes und weltliches Leben, gegen das Klagen – die Klagen! –, die Unzufriedenheit und das Selbstmitleid, gegen die Gewohnheit eines „Man tut, was man kann“ und „Man hat es immer schon so gemacht“: Das sind keine Redensarten gemäß Gott. Das gottgeweihte Leben ist nicht Überleben, es ist keine Vorbereitung zur „ars bene moriendi“: dies ist die Versuchung heute angesichts des Rückgangs der Berufungen. Nein, es ist nicht Überleben, es ist neues Leben. „Aber … wir sind doch wenige …“ – Es ist neues Leben. Es ist lebendige Begegnung mit dem Herrn in seinem Volk. Es ist Ruf zum täglichen treuen Gehorsam und zu den unbekannten Überraschungen des Heiligen Geistes. Es ist Schau dessen, was man wirklich ergreifen muss, um die Freude zu haben: Jesus.

[00186-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

La liturgia de hoy nos muestra a Jesús que va al encuentro de su pueblo. Es la fiesta del encuentro: la novedad del Niño se encuentra con la tradición del templo; la promesa halla su cumplimiento; María y José, jóvenes, encuentran a Simeón y Ana, ancianos. Todo se encuentra, en definitiva, cuando llega Jesús.

¿Qué nos enseña esto? En primer lugar, que también nosotros estamos llamados a recibir a Jesús que viene a nuestro encuentro. Encontrarlo: al Dios de la vida hay que encontrarlo cada día de nuestra existencia; no de vez en cuando, sino todos los días. Seguir a Jesús no es una decisión que se toma de una vez por todas, es una elección cotidiana. Y al Señor no se le encuentra virtualmente, sino directamente, descubriéndolo en la vida, en lo concreto de la vida. De lo contrario, Jesús se convierte en un hermoso recuerdo del pasado. Pero cuando lo acogemos como el Señor de la vida, el centro de todo, el corazón palpitante de todas las cosas, entonces él vive y revive en nosotros. Y nos sucede lo mismo que pasó en el templo: alrededor de él todo se encuentra, la vida se vuelve armoniosa. Con Jesús hallamos el ánimo para seguir adelante y la fuerza para estar firmes. El encuentro con el Señor es la fuente. Por tanto, es importante volver a las fuentes: retornar con la memoria a los encuentros decisivos que hemos tenido con él, reavivar el primer amor, tal vez escribir nuestra historia de amor con el Señor. Le hará bien a nuestra vida consagrada, para que no se convierta en un tiempo que pasa, sino que sea tiempo de encuentro.

Si recordamos nuestro encuentro decisivo con el Señor, nos damos cuenta de que no surgió como un asunto privado entre Dios y nosotros. No, germinó en el pueblo creyente, en medio de tantos hermanos y hermanas, en tiempos y lugares precisos. El Evangelio nos lo dice, mostrando cómo el encuentro tiene lugar en el pueblo de Dios, en su historia concreta, en sus tradiciones vivas: en el templo, según la Ley, en clima de profecía, con los jóvenes y los ancianos juntos (cf. Lc 2,25-28.34). Lo mismo en la vida consagrada: germina y florece en la Iglesia; si se aísla, se marchita. Madura cuando los jóvenes y los ancianos caminan juntos, cuando los jóvenes encuentran las raíces y los ancianos reciben los frutos. En cambio, se estanca cuando se camina solo, cuando se queda fijo en el pasado o se precipita hacia adelante para intentar sobrevivir. Hoy, fiesta del encuentro, pidamos la gracia de redescubrir al Señor vivo en el pueblo creyente, y de hacer que el carisma recibido se encuentre con la gracia de hoy.

El Evangelio también nos dice que el encuentro de Dios con su pueblo tiene un principio y una meta. Se parte de la llamada al templo y se llega a la visión en el templo. La llamada es doble. Hay una primera llamada «según la Ley» (v. 22). Es la de José y María, que van al templo para cumplir lo que la ley prescribe. El texto lo subraya casi como un estribillo, cuatro veces (cf. vv. 22.23.24.27). No es una constricción: los padres de Jesús no van a la fuerza o para realizar un mero cumplimiento externo; van para responder a la llamada de Dios. Luego hay una segunda llamada, según el Espíritu. Es la de Simeón y Ana. También esta está resaltada con insistencia: tres veces, refiriéndose a Simeón, se habla del Espíritu Santo (cf. vv. 25.26.27) y concluye con la profetisa Ana que, inspirada, alaba a Dios (cf. v. 38). Dos jóvenes van presurosos al templo llamados por la Ley; dos ancianos movidos por el Espíritu. Esta doble llamada, de la Ley y del Espíritu, ¿qué nos enseña para nuestra vida espiritual y nuestra vida consagrada? Que todos estamos llamados a una doble obediencia: a la ley —en el sentido de lo que da orden bueno a la vida—, y al Espíritu, que hace todo nuevo en la vida. Así es como nace el encuentro con el Señor: el Espíritu revela al Señor, pero para recibirlo es necesaria la constancia fiel de cada día. Sin una vida ordenada, incluso los carismas más grandes no dan fruto. Por otro lado, las mejores reglas no son suficientes sin la novedad del Espíritu: la ley y el Espíritu van juntos.

Para comprender mejor esta llamada que vemos hoy en el templo, en los primeros días de la vida de Jesús, podemos ir al comienzo de su ministerio público, a Caná, donde convierte el agua en vino. También hay allí una llamada a la obediencia, cuando María dice: «Haced lo que él os diga» (Jn 2,5). Lo que él diga. Y Jesús pide una cosa particular; no hace una cosa nueva de inmediato, no saca de la nada el vino que falta —podía haberlo hecho—, sino que pide algo concreto y exigente. Pide llenar seis grandes ánforas de piedra para la purificación ritual, que recuerdan la Ley. Significaba verter unos seiscientos litros de agua del pozo: tiempo y esfuerzo, que parecían inútiles, porque lo que faltaba no era agua, sino vino. Y, sin embargo, precisamente de esas ánforas bien llenas, «hasta el borde» (v. 7), Jesús saca el vino nuevo. Lo mismo para nosotros, Dios nos llama a que lo encontremos a través de la fidelidad en las cosas concretas —a Dios se le encuentra siempre en lo concreto—: oración diaria, la misa, la confesión, una caridad verdadera, la Palabra de Dios de cada día, la proximidad, sobre todo a los más necesitados, en el cuerpo o en el espíritu. Son cosas concretas, como en la vida consagrada la obediencia al Superior y a las Reglas. Si esta ley se practica con amor —con amor—, el Espíritu viene y trae la sorpresa de Dios, como en el templo y en Caná. El agua de la vida cotidiana se transforma entonces en el vino de la novedad y la vida, que pareciendo más condicionada, en realidad se vuelve más libre. En este momento viene a mi mente una monja, humilde, que tenía el carisma de estar cerca de los sacerdotes y seminaristas. Anteayer, su causa de beatificación fue introducida aquí en la Diócesis [de Roma]. Una monja sencilla: no tenía grandes luces, pero tenía la sabiduría de la obediencia, de la fidelidad y no tenía miedo de las novedades. Pedimos que el Señor, a través de la hermana Bernardetta, nos conceda a todos nosotros la gracia de seguir este camino.

El encuentro, que nace de la llamada, culmina en la visión. Simeón dice: «Mis ojos han visto a tu Salvador» (Lc 2,30). Ve al Niño y ve la salvación. No ve al Mesías haciendo milagros, sino a un niño pequeño. No ve nada de extraordinario, sino a Jesús con sus padres, que llevan al templo dos pichones o dos palomas, es decir, la ofrenda más humilde (cf. v. 24). Simeón ve la sencillez de Dios y acoge su presencia. No busca nada más, pide y no quiere nada más, le basta con ver al Niño y tomarlo en brazos: «Nunc dimittis, ahora puedes dejarme ir» (cf. v. 29). Le basta Dios así como es. En él encuentra el sentido último de la vida. Es la visión de la vida consagrada, una visión sencilla y profética en su humildad, donde al Señor se le tiene ante los ojos y entre las manos, y no se necesita nada más. La vida es él, la esperanza es él, el futuro es él. La vida consagrada es esta visión profética en la Iglesia: es mirada que ve a Dios presente en el mundo, aunque muchos no se den cuenta; es voz que dice: «Dios basta, lo demás pasa»; es alabanza que brota a pesar de todo, como lo muestra la profetisa Ana. Era una mujer muy anciana, que había vivido muchos años como viuda, pero no era una persona sombría, nostálgica o encerrada en sí misma; al contrario, llega, alaba a Dios y habla solo de él (cf. v. 38). Me gusta considerar que esta mujer “murmuraba bien”, y contra el mal de murmurar, esta sería una buena patrona para convertirnos, porque fue de un lado para otro diciendo solamente: “¡Es aquel! ¡Es aquel niño! ¡Id a verlo!”. Me gusta verla así, como una mujer de barrio.

Esto es la vida consagrada: alabanza que da alegría al pueblo de Dios, visión profética que revela lo que importa. Cuando es así, florece y se convierte en un reclamo para todos contra la mediocridad: contra el descenso de altitud en la vida espiritual, contra la tentación de jugar con Dios, contra la adaptación a una vida cómoda y mundana, contra el lamento —las lamentaciones—, la insatisfacción y el llanto, contra la costumbre del «se hace lo que se puede» y el «siempre se ha hecho así»: estas frases no se acomodan a Dios. La vida consagrada no es supervivencia, no es prepararse para el “ars bene moriendi”: esta es la tentación de hoy ante la disminución de las vocaciones. No, no es supervivencia, es vida nueva. “Pero, somos pocos…”; es vida nueva. Es un encuentro vivo con el Señor en su pueblo. Es llamada a la obediencia fiel de cada día y a las sorpresas inéditas del Espíritu. Es visión de lo que importa abrazar para tener la alegría: Jesús.

[00186-ES.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

Hoje a Liturgia mostra Jesus que vai ao encontro do seu povo. É a festa do encontro: a novidade do Menino encontra a tradição do templo; a promessa encontra cumprimento; Maria e José, jovens, encontram Simeão e Ana, idosos. Enfim, tudo se encontra, quando chega Jesus.

Que significa isto para nós? Antes de mais nada, que também nós somos chamados a acolher Jesus, que vem ao nosso encontro. Encontrá-Lo: o Deus da vida deve ser encontrado todos os dias da vida; não ocasionalmente, mas todos os dias. Seguir Jesus não é uma decisão tomada uma vez por todas; é uma opção diária. E o Senhor não Se encontra virtualmente, mas diretamente, encontrando-O na vida, na vida concreta. Caso contrário, Jesus torna-Se apenas uma bela recordação do passado. Mas, quando O acolhemos como Senhor da vida, centro de tudo, coração pulsante de todas as coisas, então Ele vive e revive em nós. E acontece, também a nós, o que sucedeu no templo: ao redor d’Ele tudo se encontra, a vida torna-se harmoniosa. Com Jesus, reencontra-se a coragem de avançar e a força de permanecer firme. O encontro com o Senhor é a fonte. Então é importante voltar às fontes: percorrer com a memória os encontros decisivos que tivemos com Ele, reavivar o primeiro amor, talvez escrever a nossa história de amor com o Senhor. Fará bem à nossa vida consagrada, para que não se torne tempo que passa, mas seja tempo de encontro.

Se recordarmos o nosso encontro fundante com o Senhor, dar-nos-emos conta de que não surgiu como uma questão privada entre nós e Deus. Não! Desabrochou no povo crente, ao lado de tantos irmãos e irmãs, em tempos e lugares concretos. Assim no-lo diz o Evangelho, mostrando como o encontro tem lugar no povo de Deus, na sua história concreta, nas suas tradições vivas: no templo, segundo a Lei, no clima da profecia, com os jovens e os idosos juntos (cf. Lc 2, 25-28.34). O mesmo se passa com a vida consagrada: desabrocha e floresce na Igreja; se se isolar, murcha. Aquela amadurece quando os jovens e os idosos caminham juntos, quando os jovens reencontram as raízes e os idosos acolhem os frutos. Mas estagna quando se caminha sozinho, quando se permanece fixado no passado ou se salta para a frente para tentar sobreviver. Hoje, festa do encontro, peçamos a graça de redescobrir o Senhor vivo, no povo crente, e de fazer encontrar o carisma recebido com a graça do dia de hoje.

O Evangelho diz-nos também que o encontro de Deus com o seu povo tem um ponto de partida e uma meta. Começa-se da chamada ao templo, e chega-se à visão no templo. A chamada é dupla. Há uma primeira chamada «segundo a Lei» (2, 22). É a de José e Maria, que vão ao templo para cumprir o que prescreve a Lei. Quase como um refrão, aparece assinalado quatro vezes no texto (cf. 2, 22.23.24.27). Não se trata de constrangimento: os pais de Jesus não vão forçados, nem para satisfazer um cumprimento meramente externo; vão para responder à chamada de Deus. Há depois uma segunda chamada, segundo o Espírito. É a de Simeão e Ana. Também esta é evidenciada com insistência: relativamente a Simeão, fala-se três vezes do Espírito Santo (cf. 2, 25.26.27) e termina com a profetisa Ana que, inspirada, louva a Deus (cf. 2, 38). Dois jovens acorrem ao templo chamados pela Lei; dois idosos, movidos pelo Espírito. Que diz à nossa vida espiritual e à nossa vida consagrada esta dupla chamada: da Lei e do Espírito? Que todos somos chamados a uma dupla obediência: à lei – no sentido daquilo que confere boa ordem à vida – e ao Espírito, que faz coisas novas na vida. Assim, nasce o encontro com o Senhor: o Espírito revela o Senhor, mas, para O acolher, é necessária a constância fiel de cada dia. Os próprios carismas mais elevados, sem uma vida ordenada, não dão fruto. Por outro lado, as melhores regras não são suficientes sem a novidade do Espírito: lei e Espírito andam juntos.

Para compreender melhor esta chamada, que vemos hoje nos primeiros dias de vida de Jesus no templo, podemos ir aos primeiros dias do seu ministério público em Caná, onde transforma a água em vinho. Lá também há uma chamada à obediência, quando Maria diz: «Qualquer coisa que [Jesus] vos diga, fazei-a» (cf. Jo 2, 5). Qualquer coisa. E Jesus pede uma coisa singular... Não faz imediatamente uma coisa nova, não tira do nada o vinho que falta – poderia fazê-lo –, mas pede uma coisa concreta e exigente: pede para encher seis grandes ânforas de pedra para a purificação ritual (que nos recordam a Lei). Significava acarretar cerca de seiscentos litros de água do poço: tempo e fadiga que pareciam inúteis, porque o que faltava não era água, mas o vinho! Contudo é precisamente daquelas ânforas cheias «até acima» (2, 7) que Jesus tira o vinho novo. O mesmo se passa connosco: Deus chama-nos a encontrá-Lo através da fidelidade a coisas concretas – é sempre no concreto que se encontra Deus –, ou seja, a oração diária, a Missa, a Confissão, uma caridade verdadeira, a Palavra de Deus em cada dia, a proximidade sobretudo aos mais necessitados espiritual e corporalmente. São coisas concretas, como na vida consagrada a obediência ao Superior e às Regras. Se se praticar esta lei com amor – com amor! –, sobrevem o Espírito e traz a surpresa de Deus, como no templo e em Caná. Então a água da quotidianidade transforma-se no vinho da novidade; e a vida, que parece mais presa, na realidade torna-se mais livre. Neste momento, vem-me à mente uma Irmã, humilde, cujo carisma era precisamente fazer-se próximo dos padres e seminaristas. Anteontem, foi introduzida aqui, na diocese [de Roma], a sua causa de beatificação. Uma Irmã simples: não tinha grandes iluminações, mas possuía a sabedoria da obediência, da fidelidade e de não temer a novidade. Peçamos que o Senhor, através da Irmã Bernardete, dê a todos nós a graça de caminhar por esta estrada.

O encontro, que nasce da chamada, culmina na visão. Simeão diz: «Os meus olhos viram a Salvação» (Lc 2, 30). No Menino que vê, contempla a salvação. Não vê o Messias que realiza prodígios, mas um menino pequenito. Não vê nada de extraordinário, mas Jesus com os pais, que trazem ao templo duas rolas ou duas pombas, ou seja, a oferta mais humilde (cf. 2, 24). Simeão vê a simplicidade de Deus, e acolhe a sua presença. Não procura algo de diferente; nada mais pede nem pretende. Basta-lhe ver o Menino e tomá-Lo nos braços: «Nunc dimittis… agora podes deixar-me ir» (cf. 2, 29). Basta-lhe Deus como é. N’Ele, encontra o sentido último da vida. É a visão da vida consagrada, uma visão simples e, na sua simplicidade, profética, onde se tem o Senhor diante dos olhos e Se estreita nas mãos e não precisa de mais nada. A vida é Ele, a esperança é Ele, o futuro é Ele. A vida consagrada é esta visão profética na Igreja: é olhar que vê Deus presente no mundo, embora a muitos passe despercebido; é voz que diz: «Deus basta, o resto passa»; é louvor que brota apesar de tudo, como manifesta a profetisa Ana: era uma mulher já muito idosa, que vivera tantos anos viúva, mas não era sorumbática, nostálgica nem fechada em si mesma; pelo contrário, chega, louva a Deus e só fala d’Ele (cf. 2, 38). Apraz-me pensar que esta mulher «tagarelava bem», e seria uma boa padroeira para nos converter do mal das bisbilhotices; com efeito, Ana ia dum lado para outro limitando-se a dizer: «[O Messias] é aquele! É aquele menino! Ide vê-lo». Apraz-me imaginá-la como a vizinha informada do lugar.

Eis a vida consagrada: louvor que dá alegria ao povo de Deus, visão profética que revela aquilo que conta. Quando assim é, floresce e torna-se para todos um apelo contra a mediocridade: contra as quedas de altitude na vida espiritual, contra a tentação de jogar por baixo com Deus, contra a adaptação a uma vida cómoda e mundana, contra a reclamação, insatisfação e lamento da própria sorte – as queixinhas! -, contra o habituar-se a «fazer aquilo que se pode» e ao «sempre se fez assim». Estas não são frases segundo Deus. A vida consagrada não é sobrevivência, não é preparar-se para «ars bene moriendi»: esta é a tentação de hoje face ao declínio das vocações. Não! Não é sobrevivência, é vida nova. «Mas... somos poucas!» É vida nova. É encontro vivo com o Senhor no seu povo. É chamada à obediência fiel de cada dia e às surpresas inéditas do Espírito. É visão daquilo que importa abraçar para ter a alegria: Jesus.

[00186-PO.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Liturgia ukazuje dziś Jezusa, który wychodzi na spotkanie ze swoim ludem. Jest to święto spotkania: nowość Dzieciątka spotyka tradycję świątyni; obietnica znajduje spełnienie; młodzi Maryja i Józef, spotykają starców Symeona i Annę. Krótko mówiąc, gdy Jezus przychodzi, wszystko się spotyka.

Co to nam mówi? Przede wszystkim również my jesteśmy powołani, by przyjąć Jezusa, który przychodzi nam na spotkanie. Spotkajmy się z Nim: Bóg życia powinien być spotykany każdego dnia życia; nie od czasu do czasu, ale każdego dnia. Podążanie za Jezusem nie jest decyzją podjętą raz na zawsze, ale jest wyborem codziennym. I Pana nie spotykamy wirtualnie, lecz bezpośrednio, spotykając Go w życiu, w konkrecie życia. W przeciwnym razie Jezus staje się tylko pięknym wspomnieniem z przeszłości. Kiedy natomiast przyjmujemy Go jako Pana życia, centrum wszystkiego, pulsujące serce wszystkiego, wówczas żyje On i odżywa w nas. I zdarza się także nam to, co wydarzyło się w świątyni: wokół Niego wszystko się spotyka, życie staje się harmonijne. Z Jezusem znajdujemy odwagę, by iść naprzód i siłę, by niezłomnie trwać. Spotkanie z Panem jest źródłem. Dlatego ważne jest powracanie do źródeł: powracanie pamięcią do decydujących spotkań, jakie mieliśmy z Nim, ożywienie pierwszej miłości, być może opisanie naszej historii miłości do Pana. Będzie to dobrze służyło naszemu życiu konsekrowanemu, aby nie stało się czasem, który mija, ale by było czasem spotkania.

Jeśli przypomnimy sobie tkwiące u podstaw naszego życia spotkanie z Panem, to zdamy sobie sprawę, że nie zrodziło się ono jako prywatna sprawa między nami a Bogiem. Nie, rozkwitło w wierzącym ludzie, obok wielu braci i sióstr, w ściśle określonych czasach i miejscach. Mówi nam o tym Ewangelia, ukazując, że spotkanie ma miejsce w ludzie Bożym, w jego konkretnej historii, w jego żywych tradycjach: w świątyni, zgodnie z Prawem, w klimacie proroctwa, z młodymi i starymi będącymi razem (por. Łk 2, 25-28.34). Podobnie dzieje się także z życiem konsekrowanym: rodzi się i rozkwita w Kościele; jeśli się izoluje - obumiera. Dojrzewa, gdy młodzi i starsi idą razem, gdy młodzi znajdują korzenie, a starsi przyjmują owoce. Natomiast przeżywa stagnację, gdy idziemy samotnie, gdy pozostajemy skoncentrowani na przeszłości lub pędzimy naprzód, aby spróbować przeżyć. Dzisiaj, w święto spotkania, prośmy o łaskę ponownego odkrycia Pana żyjącego w ludzie wierzącym i sprawienie, aby otrzymany charyzmat spotkał się z łaską dnia dzisiejszego.

Ewangelia mówi nam także, iż spotkanie Boga ze swoim ludem ma swój początek i cel. Zaczyna się od powołania w świątyni a dochodzi się do wizji w świątyni. Mamy podwójne powołanie. Pierwsze, „według Prawa” (w. 22), jest powołaniem Józefa i Marii, którzy udają się do świątyni, aby dokonać tego, co nakazuje prawo. Tekst podkreśla to niemal jak refren, czterokrotnie (por. wersety 22.23.24.27). Nie jest to przymus: rodzice Jezusa nie idą, bo muszą, lub żeby wypełnić jedynie zewnętrznie zobowiązanie. Idą, by odpowiedzieć na wezwanie Boga. Jest także drugie powołanie, według Ducha - to Symeona i Anny. Również ono jest podkreślane z naciskiem: trzy razy, odnośnie do Symeona mowa jest o Duchu Świętym (por. ww. 25.26.27) a kończy z prorokinią Anną, która natchniona chwali Boga (por. w. 38). Dwoje młodych podąża do świątyni będąc wezwanymi przez Prawo; dwoje starszych pobudzonych przez Ducha. Co to podwójne powołanie, Prawa i Ducha, mówi naszemu życiu duchowemu i naszemu życiu konsekrowanemu? Że wszyscy jesteśmy powołani do podwójnego posłuszeństwa: wobec prawa - w sensie tego, co nadaje właściwy porządek życiu - i wobec Ducha, który dokonuje w życiu rzeczy nowych. Tak rodzi się spotkanie z Panem: Duch objawia Pana, ale aby Go przyjąć, konieczna jest wierna stałość każdego dnia. Nawet największe charyzmaty, bez uporządkowanego życia, nie przynoszą owocu. Z drugiej strony, najlepsze zasady nie wystarczą bez nowości Ducha: prawo i Duch idą w parze.

Aby lepiej zrozumieć to powołanie, które widzimy dzisiaj w pierwszych dniach życia Jezusa, w świątyni, możemy przejść do początków Jego posługi publicznej w Kanie, gdzie zamienia wodę w wino. Również tam jest wezwanie do posłuszeństwa, gdy Maryja mówi: „Zróbcie wszystko, cokolwiek [Jezus] wam powie” (J 2, 5). Cokolwiek. A Jezus żąda czegoś szczególnego. Nie czyni natychmiast czego nowego, nie wytwarza z nicości brakującego wina – mógłby to zrobić -, ale prosi o coś konkretnego i wymagającego. Prosi o napełnienie sześciu dużych kamiennych stągwi do rytualnego oczyszczenia, które przypominają o Prawie. Oznaczało to przelewanie ze studni około sześciuset litrów wody: czas i trud, które wydawały się bezużyteczne, ponieważ nie brakowało wody, a wina! A jednak, właśnie z tych dobrze napełnionych stągwi, „aż po brzegi” (w. 7), Jezus czyni nowe wino. Podobnie i dla nas: Bóg wzywa nas, abyśmy się z Nim spotkali poprzez wierność konkretnym rzeczom – Boga spotyka się zawsze w konkrecie: w codziennej modlitwie, Mszy św., spowiedzi, prawdziwej miłości, codziennemu spotkaniu ze Słowem Bożym, bliskości, zwłaszcza wobec potrzebujących, duchowo czy materialnie. To są rzeczy konkretne, jak w życiu konsekrowanym, posłuszeństwo przełożonemu i regułom. Jeśli to prawo urzeczywistniamy w życiu z miłością – z miłością! -, to pojawia się Duch i przynosi niespodziankę Boga, tak jak w świątyni i w Kanie. Woda codzienności zamienia się w wino nowości, a życie, które zdaje się bardziej ograniczone, staje się w istocie coraz bardziej wolne. Przychodzi mi w tym momencie na pamięć pewna zakonnica, pokorna, która miała szczególny charyzmat bycia blisko księży i seminarzystów. Przedwczoraj został rozpoczęty tu, w diecezji [rzymskiej], jej proces beatyfikacyjny. Prosta zakonnica: nie miała wielkich oświeceń, ale miała mądrość posłuszeństwa, wierności i braku lęku przed nowością. Prośmy Pana, za pośrednictwem s. Bernadetty, aby dał nam wszystkim łaskę, byśmy szli tą drogą.

Spotkanie, zrodzone z powołania osiąga punkt kulminacyjny w widzeniu. Symeon mówi: „moje oczy ujrzały Twoje zbawienie” (Łk 2, 30). Widzi Dzieciątko i widzi zbawienie. Nie widzi Mesjasza czyniącego cuda, ale małe dziecko. Nie widzi nic nadzwyczajnego, ale Jezusa z rodzicami, którzy przynoszą do świątyni dwie synogarlice albo dwa młode gołębie, to znaczy najskromniejszą ofiarę (por. w. 24). Symeon widzi prostotę Boga i przyjmuje Jego obecność. Nie szuka czegoś innego, nie żąda i nie chce więcej, wystarcza mu, że widzi Dzieciątko i bierze je w ramiona: „Nunc dimittis, teraz pozwól swemu słudze odejść” (por. w. 29). Wystarcza mu Bóg takim, jakim jest. W Nim odnajduje ostateczny sens życia. To jest wizja życia konsekrowanego, wizja prosta i prorocka w jej prostocie, gdzie Pana ma się przed oczyma i w rękach, i nic więcej nie jest potrzebne. On jest życiem, On jest nadzieją, On jest przyszłością. Życie konsekrowane to ta właśnie prorocza wizja w Kościele: to spojrzenie, widzące Boga obecnego w świecie, choć wielu nie zdaje sobie z tego sprawy; jest to głos, który mówi: „Bóg wystarcza, reszta przemija”; to uwielbienie wypływające mimo wszystko, jak to ukazuje prorokini Anna. Była kobietą bardzo starą, która wiele lat przeżyła we wdowieństwie, ale nie była ponura, nostalgiczna, czy skoncentrowana na sobie samej. Wręcz przeciwnie przybywa, chwali Boga i mówi tylko o Nim (por. w. 38). Lubię myśleć, że ta kobieta „plotkowała dobrze” i przeciw złu plotkowania byłaby dobrą patronką naszego nawrócenia, bo chodziła tu i tam, mówiąc tylko: „To ono! To to dziecko! Idźcie je zobaczyć!”. Lubię postrzegać ją w ten sposób, jako kobietę z dzielnicy.

Oto życie konsekrowane: uwielbienie, które daje radość ludowi Bożemu, wizja prorocka, która ukazuje to, co się liczy. Kiedy tak jest, rozkwita i staje się dla wszystkich wezwaniem do walki z przeciętnością: przed spadkami wartości w życiu duchowym, pokusie, by rezygnować z przebywania z Bogiem, przed dostosowaniem się do życia wygodnego i światowego, wobec narzekania – narzekania! -, niezadowolenia i użalania się nad sobą, wobec nawyku „robienia tyle, ile się da” i „zawsze tak było”: to nie są zdania według Boga. Życie konsekrowane nie jest przetrwaniem, nie jest przygotowaniem do „ars bene moriendi”: to jest pokusa dnia dzisiejszego wobec spadku powołań. Nie, nie jest przetrwaniem, jest nowym życiem. „Ale… jest nas niewiele” – jest nowym życiem. Jest to żywe spotkanie z Panem w Jego ludzie. Jest to powołanie do wiernego posłuszeństwa każdego dnia i do niezwykłych niespodzianek Ducha. Jest to wizja tego, co warto wziąć w ramiona, by mieć radość: Jezusa.

[00186-PL.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

تُظهر ليتورجية اليوم يسوع وهو ذاهب للقاء شعبه. إنه عيد الالتقاء: حداثة الطفل تلتقي بتقليد الهيكل. الوعد يتمّ؛ مريم ويوسف، الشابّين، يلتقيان بسمعان وحنة، المسنّين. الكلّ يلتقي، باختصار، عند مجيء يسوع.

ماذا يعني هذا لنا؟ بادئ ذي بدء، نحن أيضًا مدعوّون لاستقبال يسوع الذي يأتي للقائنا. لقاء يسوع: يجب أن نلتقي بإله الحياة كلّ يوم من حياتنا؛ لا "في بعض الأحيان"، إنما كلّ يوم. فاتّباع يسوع ليس قرارًا يُتخذ نهائيًا، إنه خيار يومي. ولا يمكننا أن نلقى الربّ بشكل افتراضي، بل مباشرة، عبر لقائه في حياتنا، في حياتنا الملموسة. وإلّا فيصبح يسوع مجرّد ذكرى جميلة من الماضي. لكن عندما نستقبله كربّ حياتنا، ومحور كلّ شيء، كقلب النابض لكلّ شيء، فإنه يحيى، ويحيى فينا. ويحدث لنا ما حدث في الهيكل: كلّ شيء من حوله يلتقي، وتصبح الحياة متناغمة. مع يسوع، نجد الشجاعة للمضيّ قُدمًا والقوّة للثبات. اللقاء بالربّ هو المنبع. ومن المهمّ العودة إلى المنبع: نعود بالذاكرة إلى اللقاءات الحاسمة معه، من أجل إحياء الحبّ الأوّل، وربّما كتابة قصّة الحبّ التي تجمعنا بالربّ. فسوف تفيد للغاية حياتنا المكرّسة، حتى لا تصبح وقتًا يمرّ، إنما وقت لقاء.

إذا استعدنا ذكرى لقاءنا الأساسيّ مع الربّ، فسوف ندرك أنه لم ينشأ كمسألة خاصّة بيننا وبين الله، كلّا، لقد نبت وسط شعب الله المؤمن، إلى جانب الكثير من الإخوة والأخوات، في وقت ومكان محدّد. يقوله لنا الإنجيل، مبيّنا كيف يتمّ اللقاء في شعب الله، في تاريخه الملموس، في تقاليده الحيّة: في الهيكل، وفقًا للشريعة، في مناخ النبوّة، مع الشبّان والمسنّين معًا (را. لو 2، 25- 28. 34). هكذا هي أيضًا الحياة المكرّسة: تنبت وتزهر في الكنيسة؛ وإذا انعزلت تذبل. وهي تنضج عندما يسير الشبّان والمسنّين معًا، عندما يجد الشبّان الجذور ويقبل المسنّون الثمار. وإلّا فهي تركد عندما نسير بمفردنا، عندما نبقى نحدّق بالماضي أو نتقدّم محاولين الاكتفاء بمتابعة الحياة وحسب. اليوم، عيد اللقاء، لنطلب نعمة إعادة اكتشاف الربّ الحيّ، في المؤمنين، وجعل الموهبة التي نلناها تلتقي مع نعمة اليوم.

يقول لنا الإنجيل أيضًا إن لقاء الله بشعبه له بداية وهدف. يبدأ من الدعوة إلى الهيكل ويصل إلى الرؤية في الهيكل. الدعوة هي ذات شقّين. هناك دعوة أولى "وفقًا للشريعة" (آية ٢٢). هي دعوة يوسف ومريم، اللذان يذهبان إلى الهيكل ليتمّما ما تنصّ عليه الشريعة. والنصّ يؤكّد عليه أربع مرّات وكأنه لازمة (را. آيات 22. 23. 24. 27). إنه ليس قيدًا: فلم يذهب والدَيّ يسوع قسرًا أو كي يستوفيا مجرّد واجب خارجي؛ لقد ذهبا استجابة لدعوة الله. ثم هناك دعوة ثانية، وفقًا للروح. هي دعوة سمعان وحنّة. وقد أشير أيضًا إليها بإصرار: لثلاث مرّات، يُذكر الروح القدس متحدّثًا عن سمعان (را. آيات 25. 26. 27) وينتهي مع النبيّة حنة، التي ألهمها الله (را. آية 38). أسرع الشابّان إلى الهيكل إذ تدعوهما الشريعة؛ والشيخان إذ يدفعهما الروح. هذه الدعوة المزدوجة، من قِبَلِ الشريعة وبدفع الروح، ماذا تقول لحياتنا الروحيّة ولحياتنا المكرّسة؟ بأننا جميعًا مدعوّون إلى طاعة مزدوجة: للشريعة –أي ما ينظّم حياتنا- وللروح، الذي يصنع أشياء جديدة في حياتنا. هكذا يولد اللقاء مع الربّ: الروح يكشف الربّ، ولكن كي نستقبله، فمن الضروريّ الثبات المستمرّ يوميّا. حتى أعظم المواهب، دون حياة منظّمة، لا تؤتي ثمارها. من ناحية أخرى، فإن أفضل القوانين لا تكفي دون حداثة الروح: فالشريعة والروح يتماشيان.

وكي نفهم بشكل أفضل هذه الدعوة التي نراها اليوم في الأيّام الأولى من حياة يسوع، في الهيكل، يمكننا العودة إلى الأيّام الأولى من خدمته العلنيّة، في قانا، حيث حوّل الماء إلى خمرة. نجد هناك أيضًا الدعوة إلى الطاعة، حيث تقول مريم: "مَهما قالَ لَكم فافعَلوه" (يو 2، 5). مهما قال. وطلب يسوع شيئًا معيّنًا؛ لم يصنع على الفور شيئًا جديدًا، لم يعطِ الخمرة الناقصة من العدم –كان باستطاعته أن يصنع هذا-، ولكنّه طلب شيئًا ملموسًا وصعبًا. طلب بأن يملؤوا ستّة أجران حجريّة كبيرة تُستخدم عادةً في طقوس التطهير، والتي تذكّر بالشريعة. وهذا يعني نقل حوالي ست مئة لتر من الماء من البئر: وقت وجهد، يبدوان عديمي الجدوى، لأن ما كان ينقص لم يكن الماء، إنما الخمرة! ومع ذلك، فمن تلك الأجران الممتلئة للغاية بالذات، "إلى أعلاها" (آية 7)، استخرج يسوع الخمرة الجديدة. هكذا هو الأمر بالنسبة لنا: يدعونا الله للقائه من خلال الأمانة لأشياء ملموسة –نلقى الله دومًا في الأمور الملموسة-: الصلاة اليوميّة، القدّاس، الاعتراف، المحبّة الحقيقية، كلمة الله اليوميّة، عبر القرب من الآخرين، ولا سيّما من المحتاجين، روحيًّا أو جسديًّا... إنها أشياء ملموسة، كما هي الطاعة للمسؤول وللقوانين في الحياة المكرّسة. إذا مارست هذا القانون بحبّ -بحبّ-، يأتي الروح ويحمل مفاجأة الله، كما في الهيكل وفي قانا. ثم يحوّل ماء الحياة اليوميّة إلى خمرة الجِدَّة والحياة، والتي تبدو أكثر تقييدًا، وفي الواقع تصبح أكثر حرّية. تأتي إلى ذهني في هذه اللحظات راهبة، متواضعة، كانت لها موهبة القرب من الكهنة والإكليريكيين. وقد افتتحت دعوى تطويبها هنا في أبرشيّة روما قبل يومين. راهبة بسيطة: لم يكن لها أنوار عظيمة، إنما كانت تملك حكمة الطاعة، والأمانة ولم تكن تخاف من الجِدَّة. لنسأل الربّ أن يعطينا جميعًا، بشفاعة الأخت برناديتا، نعمة اتّباع هذه الدرب.

اللقاء، الذي يولد من الدعوة، يبلغ ذروته في الرؤية. يقول سمعان: "قَد رَأَت عَينايَ خلاصَكَ" (لو 2، 30). يرى الطفل ويرى الخلاص. إنه لا يرى المسيح يقوم بمعجزات، ولكن طفلًا صغيرًا. إنه لا يرى شيئًا غير عاديًا، بل يسوع مع والديه، يقدّمان إلى الهيكل زَوْجَيْ يَمَامٍ أَو فَرخَيْ حَمام، أي التقدمة الأكثر تواضعًا (را. آية 24). يرى سمعان بساطة الله ويرحّب بحضوره. إنه لا يبحث عن أيّ شيء آخر، فهو لا يطلب شيئًا آخر ولا يريد شيئًا آخر، تكفيه رؤية الطفل وحمله بين ذراعيه: "الآنَ تُطلِقُ، يا سَيِّد، عَبدَكَ بِسَلام" (را. آية 29). فالله يكفيه كما هو. فيه يجد المعنى النهائي للحياة. إنها رؤية الحياة المكرّسة، رؤية بسيطة ونبويّة عبر بساطتها، حيث نبقي الربّ أمام أعيننا وبين يدينا، ولا نحتاج إلى أيّ شيء آخر. فهو الحياة، والرجاء وهو الرجاء، وهو المستقبل. الحياة المكرّسة هي تلك الرؤية النبويّة في الكنيسة: إنها نظرة ترى الله حاضرًا في العالم، حتى لو كان الكثيرون لا يدركون ذلك. إنه صوت يقول: "إن الله يكفي، والباقي يزول"؛ هو تسبيح يتدفّق على الرغم من كلّ شيء، كما أظهرته النبيّة حنّة. كانت امرأة مسنة جدًا، عاشت سنوات عديدة كأرملة، ولكنها لم تكن مكتئبة، أو في حنين دائم إلى الماضي، أو منغلقة على نفسها. على العكس، تصلّي، تسبح الله وتحدّث فقط به (را. آية 38). يطيب لي أن أفكّر أن هذه المرأة التي كانت "تثرثر كثيرًا"، وضدّ شرّ النميمة قد تكون شفيعة جيّدة كي نتوب، لأنها كانت تذهب من مكان لآخر وتقول فقط: "هو هذا الطفل! هو هذا الطفل! اذهبوا لرؤيته!". يطيب لي أن أتخيّلها هكذا، مثل امرأة من حينا.

هذه هي الحياة المكرّسة: التسبيح الذي يعطي الفرح لشعب الله، رؤيا نبويّة تكشف عمّا هو مهمّ. وعندما تكون هكذا، تزهر وتصبح دعوة للجميع ضدّ التدنّ: ضدّ التراجع في الحياة الروحيّة، ضدّ تجربة استعادة الأرباح مع الله، ضدّ التكيّف مع حياة مريحة ودنيا، ضدّ التذمّر –التذمّر!-، وعدم الرضا، والنحيب على النفس، ضدّ عادة الـ "نصنع ما نقدر عليه" و "لطالما ما صنعنا هذا": هذه الجمل ليست من الله. الحياة المكرّسة ليست مجرّد متابعة الحياة، ليست تحضيرًا لـ "فن الميتة الصالحة": إنها تجربة اليوم إزاء الافتقار للدعوات. كلّا، ليست مجرّد متابعة الحياة، إنها حياة جديدة. "لكننا... قليلي العدد..." – إنها حياة جديدة. إنها لقاء حيّ مع الربّ في شعبه. إنها دعوة إلى الطاعة اليوميّة الأمينة وإلى مفاجآت الروح غير المعروفة. إنها رؤية لما يجب احتضانه من أجل نوال الفرح: يسوع.

[00186-AR.01] [Testo originale: Italiano]

[B0090-XX.02]