Omelia del Santo Padre
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Alle ore 17.30 di oggi, nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, il Santo Padre Francesco ha presieduto la celebrazione dei Vespri della I settimana del tempo ordinario, all’inizio della 52ma Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani sul tema: “Cercate di essere veramente giusti” (cfr. Dt 16, 18-20).
Hanno preso parte alla celebrazione i Rappresentanti delle altre Chiese e Comunità ecclesiali non cattoliche presenti a Roma.
Al termine dei Vespri, prima della benedizione apostolica, l’Em.mo Card. Kurt Koch, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, ha rivolto al Santo Padre un indirizzo di saluto.
Pubblichiamo di seguito il testo dell’omelia che Papa Francesco ha pronunciato nel corso della celebrazione:
Omelia del Santo Padre
Oggi ha inizio la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, nella quale siamo tutti invitati a invocare da Dio questo grande dono. L’unità dei cristiani è frutto della grazia di Dio e noi dobbiamo disporci ad accoglierla con cuore generoso e disponibile. Questa sera sono particolarmente lieto di pregare insieme ai rappresentanti delle altre Chiese presenti a Roma, ai quali rivolgo un cordiale e fraterno saluto. Saluto anche la Delegazione ecumenica della Finlandia, gli studenti dell’Ecumenical Institute of Bossey, in visita a Roma per approfondire la loro conoscenza della Chiesa Cattolica, e i giovani ortodossi e ortodossi orientali che qui studiano con il sostegno del Comitato di Collaborazione Culturale con le Chiese Ortodosse, operante presso il Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani.
Il libro del Deuteronomio immagina il popolo d’Israele accampato nelle pianure di Moab, sul punto di entrare nella Terra che Dio gli ha promesso. Qui Mosè, come padre premuroso e capo designato dal Signore, ripete la Legge al popolo, lo istruisce e gli ricorda che dovrà vivere con fedeltà e giustizia una volta che si sarà stabilito nella terra promessa.
Il brano che abbiamo appena ascoltato fornisce indicazioni su come celebrare le tre feste principali dell’anno: Pesach (Pasqua), Shavuot (Pentecoste), Sukkot (Tabernacoli). Ciascuna di queste feste richiama Israele alla gratitudine per i beni ricevuti da Dio. La celebrazione di una festa richiede la partecipazione di tutti. Nessuno può essere escluso: «Gioirai davanti al Signore, tuo Dio, tu, tuo figlio e tua figlia, il tuo schiavo e la tua schiava, il levita che abiterà le tue città, il forestiero, l’orfano e la vedova che saranno in mezzo a te» (Dt 16,11).
Per ogni festa, occorre compiere un pellegrinaggio «nel luogo che il Signore avrà scelto per stabilirvi il suo nome» (v. 2). Là, il fedele israelita deve porsi davanti a Dio. Nonostante ogni israelita sia stato schiavo in Egitto, senza alcun possesso personale, «nessuno si presenterà davanti al Signore a mani vuote» (v. 16) e il dono di ciascuno sarà in misura della benedizione che il Signore gli avrà dato. Tutti riceveranno dunque la loro parte di ricchezza del paese e beneficeranno della bontà di Dio.
Non deve sorprenderci il fatto che il testo biblico passi dalla celebrazione delle tre feste principali alla nomina dei giudici. Le feste stesse esortano il popolo alla giustizia, ricordando l’uguaglianza fondamentale tra tutti i membri, tutti ugualmente dipendenti dalla misericordia divina, e invitando ciascuno a condividere con gli altri i beni ricevuti. Rendere onore e gloria al Signore nelle feste dell’anno va di pari passo con il rendere onore e giustizia al proprio vicino, soprattutto se debole e bisognoso.
I cristiani dell’Indonesia, riflettendo sulla scelta del tema per la presente Settimana di Preghiera, hanno deciso di ispirarsi a queste parole del Deuteronomio: «La giustizia e solo la giustizia seguirai» (16,20). In essi è viva la preoccupazione che la crescita economica del loro Paese, animata dalla logica della concorrenza, lasci molti nella povertà concedendo solo a pochi di arricchirsi grandemente. È a repentaglio l’armonia di una società in cui persone di diverse etnie, lingue e religioni vivono insieme, condividendo un senso di responsabilità reciproca.
Ma ciò non vale solo per l’Indonesia: questa situazione si riscontra nel resto del mondo. Quando la società non ha più come fondamento il principio della solidarietà e del bene comune, assistiamo allo scandalo di persone che vivono nell’estrema miseria accanto a grattacieli, alberghi imponenti e lussuosi centri commerciali, simboli di strepitosa ricchezza. Ci siamo scordati della saggezza della legge mosaica, secondo la quale, se la ricchezza non è condivisa, la società si divide.
San Paolo, scrivendo ai Romani, applica la stessa logica alla comunità cristiana: coloro che sono forti devono occuparsi dei deboli. Non è cristiano «compiacere noi stessi» (15,1). Seguendo l’esempio di Cristo, dobbiamo infatti sforzarci di edificare coloro che sono deboli. La solidarietà e la responsabilità comune devono essere le leggi che reggono la famiglia cristiana.
Come popolo santo di Dio, anche noi siamo sempre sul punto di entrare nel Regno che il Signore ci ha promesso. Ma, essendo divisi, abbiamo bisogno di ricordare l’appello alla giustizia rivoltoci da Dio. Anche tra i cristiani c’è il rischio che prevalga la logica conosciuta dagli israeliti nei tempi antichi e da tanti popoli sviluppati al giorno d’oggi, ovvero che, nel tentativo di accumulare ricchezze, ci dimentichiamo dei deboli e dei bisognosi. È facile scordare l’uguaglianza fondamentale che esiste tra noi: che all’origine eravamo tutti schiavi del peccato e che il Signore ci ha salvati nel Battesimo, chiamandoci suoi figli. È facile pensare che la grazia spirituale donataci sia nostra proprietà, qualcosa che ci spetta e che ci appartiene. È possibile, inoltre, che i doni ricevuti da Dio ci rendano ciechi ai doni dispensati ad altri cristiani. È un grave peccato sminuire o disprezzare i doni che il Signore ha concesso ad altri fratelli, credendo che costoro siano in qualche modo meno privilegiati di Dio. Se nutriamo simili pensieri, permettiamo che la stessa grazia ricevuta diventi fonte di orgoglio, di ingiustizia e di divisione. E come potremo allora entrare nel Regno promesso?
Il culto che si addice a quel Regno, il culto che la giustizia richiede, è una festa che comprende tutti, una festa in cui i doni ricevuti sono resi accessibili e condivisi. Per compiere i primi passi verso quella terra promessa che è la nostra unità, dobbiamo anzitutto riconoscere con umiltà che le benedizioni ricevute non sono nostre di diritto ma sono nostre per dono, e che ci sono state date perché le condividiamo con gli altri. In secondo luogo, dobbiamo riconoscere il valore della grazia concessa ad altre comunità cristiane. Di conseguenza, sarà nostro desiderio partecipare ai doni altrui. Un popolo cristiano rinnovato e arricchito da questo scambio di doni sarà un popolo capace di camminare con passo saldo e fiducioso sulla via che conduce all’unità.
[00094-IT.01] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
Aujourd’hui a commencé la Semaine de prière pour l’unité des chrétiens, au cours de laquelle nous sommes tous invités à invoquer de Dieu ce grand don. L’unité des chrétiens est un fruit de la grâce de Dieu et nous devons nous disposer à l’accueillir avec un cœur généreux et disponible. Ce soir, je suis particulièrement heureux de prier avec les représentants des autres Eglises présentes à Rome, auxquelles j’adresse un cordial et fraternel salut. Je salue aussi la délégation œcuménique de la Finlande, les étudiants de l’Ecumenical Institute of Bossey, en visite à Rome pour approfondir leur connaissance de l’Eglise catholique, et les jeunes orthodoxes et orthodoxes orientaux qui étudient ici avec le soutien du Comité de Collaboration culturelle avec les Églises orthodoxes, travaillant auprès du Conseil pour la Promotion de l’Unité des Chrétiens.
Le livre du Deutéronome imagine le peuple d’Israël installé dans les plaines de Moab, sur le point d’entrer dans la Terre que Dieu lui a promise. Ici, Moïse, comme un père prévenant et un chef désigné par le Seigneur, répète la Loi au peuple, l’instruit et lui rappelle qu’il devra vivre avec fidélité et justice une fois qu’il se sera établi dans la terre promise.
Le passage que nous venons d’écouter fournit des indications sur la manière de célébrer les trois principales fêtes de l’année: Pesach (Pâque), Shavuot (Pentecôte), Sukkot (Tabernacles). Chacune de ces fêtes appelle Israël à la gratitude pour les biens reçus de Dieu. La célébration d’une fête demande la participation de tous. Personne ne peut être exclu: «Tu te réjouiras en présence du Seigneur ton Dieu, au lieu choisi par le Seigneur ton Dieu pour y faire demeurer son nom, et avec toi se réjouiront ton fils et ta fille, ton serviteur et ta servante, le lévite qui réside dans ta ville, l’immigré, l’orphelin et la veuve qui sont au milieu de toi» (Dt 16, 11).
Pour chaque fête, il faut accomplir un pèlerinage «dans le lieu choisi par le Seigneur ton Dieu pour y faire demeurer son nom» (v. 2). Là, le fidèle israélite doit se placer devant Dieu. Bien que chaque israélite ait été esclave en Égypte, sans aucune possession personnelle, «personne ne paraîtra les mains vides devant la face du Seigneur» (v.16) et le don de chacun sera à la mesure de la bénédiction que le Seigneur lui aura donnée. Tous recevront donc leur part de la richesse du pays et bénéficieront de la bonté de Dieu.
Le fait que le texte biblique passe de la célébration des trois fêtes principales à la nomination des juges ne doit pas nous surprendre. Les fêtes-mêmes exhortent le peuple à la justice, rappelant l’égalité fondamentale entre tous les membres, tous également dépendants de la miséricorde divine, et invitant chacun à partager avec les autres les biens reçus. Rendre honneur et gloire au Seigneur dans les fêtes de l’année va de pair avec le fait de rendre honneur et justice à son prochain, surtout s’il est faible et dans le besoin.
Les chrétiens d’Indonésie, réfléchissant sur le choix du thème pour la Semaine de Prière actuelle, ont décidé de s’inspirer de ces paroles du Deutéronome: «C’est la justice, rien que la justice, que tu rechercheras» (16, 20). En elles, est vivante la préoccupation que la croissance économique de leur pays, animée par la logique de la concurrence, en laisse beaucoup dans la pauvreté permettant seulement à un petit nombre de s’enrichir grandement. C’est mettre en danger l’harmonie d’une société dans laquelle des personnes de différentes ethnies, langues et religions vivent ensemble, partageant le sens d’une responsabilité réciproque.
Mais cela ne vaut pas seulement pour l’Indonésie: cette situation se rencontre dans le reste du monde. Quand la société n’a plus comme fondement le principe de la solidarité et du bien commun, nous assistons au scandale de personnes qui vivent dans l’extrême misère à côté de gratte-ciels, d’hôtels imposants et de luxueux centres commerciaux, symboles d’une richesse éclatante. Nous avons oublié la sagesse de la loi mosaïque, selon laquelle si la richesse n’est pas partagée, la société se divise.
Saint Paul, écrivant aux Romains, applique la même logique à la communauté chrétienne: ceux qui sont forts doivent s’occuper des faibles. Il n’est pas chrétien de «faire ce qui nous plaît» (15, 1). En suivant l’exemple du Christ, nous devons en effet nous efforcer d’édifier ceux qui sont faibles. La solidarité et la responsabilité commune doivent être les lois qui régissent la famille chrétienne.
Comme peuple saint de Dieu, nous aussi sommes toujours sur le point d’entrer dans le Royaume que le Seigneur nous a promis. Mais, en étant divisés, nous avons besoin de rappeler l’appel à la justice que Dieu nous a adressé. Même parmi les chrétiens, il y a le risque que prédomine la logique connue des Israélites dans les temps anciens et du peuple indonésien au jour d’aujourd’hui, c’est-à-dire que, dans la tentative d’accumuler des richesses, nous oublions les faibles et les personnes dans le besoin. Il est facile d’oublier l’égalité fondamentale qui existe entre nous: qu’à l’origine nous étions tous esclaves du péché et que le Seigneur nous a sauvés dans le Baptême, nous appelant ses fils. Il est facile de penser que la grâce spirituelle qui nous a été donnée est notre propriété, quelque chose qui nous revient et qui nous appartient. Il est possible, en outre, que les dons reçus de Dieu nous rendent aveugles sur les dons faits aux autres chrétiens. C’est un grave péché de diminuer ou de mépriser les dons que le Seigneur à concédés aux autres frères, en croyant qu’ils sont en quelque sorte moins privilégiés de Dieu. Si nous nourrissons des pensées semblables, nous permettons que la grâce elle-même reçue devienne source d’orgueil, d’injustice et de division. Et comment pourrons-nous alors entrer dans le Royaume promis?
Le culte qui sied à ce Royaume, le culte que la justice demande, est une fête qui concerne tout le monde, une fête dans laquelle les dons reçus sont rendus accessibles et partagés. Pour accomplir les premiers pas vers cette terre promise qui est notre unité, nous devons surtout reconnaître avec humilité que les bénédictions reçues ne sont pas nôtres de droit, mais qu’elles sont nôtres par don, et qu’elles nous ont été données afin que nous les partagions avec les autres. En second lieu, nous devons reconnaître la valeur de la grâce concédée aux autres communautés chrétiennes. Par conséquent, ce sera notre désir de participer aux dons des autres. Un peuple chrétien renouvelé et enrichi par cet échange de dons sera un peuple capable de marcher d’un pas assuré et confiant sur la voie qui conduit à l’unité.
[00094-FR.01] [Texte original: Italien]
Traduzione in lingua inglese
Today marks the beginning of the Week of Prayer for Christian Unity, in which all of us are asked to implore from God this great gift. Christian unity is a fruit of God’s grace, and we must dispose ourselves to accept it with generous and open hearts. This evening I am particularly pleased to pray together with representatives of other Churches present in Rome, and I offer them a fraternal and heartfelt greeting. I also greet the ecumenical delegation from Finland, the students of the Ecumenical Institute at Bossey, who are visiting Rome to deepen their knowledge of the Catholic Church. My greeting also goes to the young Orthodox and Oriental Orthodox students sponsored by the Committee for Cultural Collaboration with Orthodox Churches of the Council for Promoting Christian Unity.
The Book of Deuteronomy sees the people of Israel encamped in the plains of Moab, about to enter the land that God promised them. Here Moses, as a kind father and the leader appointed by the Lord, repeats the Law to the people, and instructs and reminds them that they must live with fidelity and justice once they have been established in the Promised Land.
The passage we have just heard shows how to celebrate the three main feasts of the year: Pesach (Passover), Shavuot (Weeks), Sukkot (Tabernacles). Each of these feasts requires Israel to give thanks for the good things received from God. The celebration of a feast calls for everyone’s participation. No one is to be excluded: “And you shall rejoice before the Lord your God, you and your son and your daughter, your manservant and your maidservant, the Levite who is within your towns, the sojourner, the fatherless, and the widow who are among you, at the place which the Lord your God will choose, to make his name dwell there” (Deut 16:11).
Each of these feasts requires a pilgrimage to the “place that the Lord will choose, to make his name dwell there” (v. 2). There the faithful Israelite must come before God. Though the Israelites had been slaves in Egypt, lacking personal possessions, they are not to “appear before the Lord empty-handed” (v. 16); the gift of each is to correspond to the blessing received from the Lord. In this way, all will receive their share of the country’s wealth and will benefit from God’s goodness.
It should not surprise us that the biblical text passes from the celebration of the three principal feasts to the appointment of judges. The feasts themselves exhort the people to justice, stating that all are fundamentally equal and all equally dependent on God’s mercy. They also invite all to share with others the gifts they have received. Rendering honour and glory to the Lord in these yearly feasts goes hand in hand with rendering honour and justice to one’s neighbour, especially the weak and those in need.
The Christians of Indonesia, reflecting on the theme chosen for this Week of Prayer, decided to draw inspiration from these words of Deuteronomy: “Justice, and only justice, you shall pursue” (16:20). They are deeply concerned that the economic growth of their country, driven by the mentality of competition, is leaving many in poverty and allowing a small few to become immensely wealthy. This jeopardizes the harmony of a society in which people of different ethnic groups, languages and religions live together and share a sense of responsibility for one another.
But that is not simply the case in Indonesia; it is a situation we see worldwide. When society is no longer based on the principle of solidarity and the common good, we witness the scandal of people living in utter destitution amid skyscrapers, grand hotels and luxurious shopping centres, symbols of incredible wealth. We have forgotten the wisdom of the Mosaic law: if wealth is not shared, society is divided.
Saint Paul, writing to the Romans, applies the same thinking to the Christian community: those who are strong must bear with the weak. It is not Christian “to please ourselves” (15:1). Following Christ’s example, we are to make every effort to build up those who are weak. Solidarity and shared responsibility must be the laws that govern the Christian family.
As God’s holy people, we too constantly find ourselves on the threshold of entering the Lord’s promised kingdom. Yet, since we are also divided, we need to recall God’s summons to justice. Christians too risk adopting the mentality known to the ancient Israelites and contemporary Indonesians, namely that in the pursuit of wealth, we forget about the weak and those in need. It is easy to forget the fundamental equality existing among us: that once we were all slaves to sin, that the Lord saved us in baptism and called us his children. It is easy to think that the spiritual grace granted us is our property, something to which we are due, our property. The gifts we have received from God can also blind us to the gifts given to other Christians. It is a grave sin to belittle or despise the gifts that the Lord has given our brothers and sisters, and to think that God somehow holds them in less esteem. When we entertain such thoughts, we allow the very grace we have received to become a source of pride, injustice and division. And how can we then enter the promised kingdom?
The worship befitting that kingdom, the worship demanded by justice, is a celebration that includes everyone, a feast in which gifts received are available to and shared by all. To take the first steps towards the promised land that is our unity, we must first of all recognize with humility that the blessings we have received are not ours by right, but have come to us as a gift; they were given to be shared with others. Then, we must acknowledge the value of the grace granted to other Christian communities. As a result, we will want to partake of the gifts of others. A Christian people renewed and enriched by this exchange of gifts will be a people capable of journeying firmly and confidently on the path that leads to unity.
[00094-EN.01] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua tedesca
Heute beginnt die Gebetswoche für die Einheit der Christen, die uns alle einlädt, Gott um dieses große Geschenk der Einheit zu bitten. Die Einheit der Christen ist die Frucht der göttlichen Gnade, und wir müssen uns bereitmachen, sie mit einem weiten und willigen Herzen aufzunehmen. Heute Abend freue ich mich besonders, gemeinsam mit den Vertretern anderer in Rom ansässiger Kirchen zu beten. Ihnen gilt mein herzlicher und brüderlicher Gruß. Weiter begrüße ich die ökumenische Delegation aus Finnland, die Studenten des Ecumenical Insitute of Bossey, die Rom zum tieferen Kennenlernen der Katholischen Kirche besuchen, und die jungen Orthodoxen und Orientalisch-Orthodoxen, die hier studieren dank der Unterstützung des Komitees für Kulturelle Zusammenarbeit mit den Orthodoxen Kirchen, das am Rat zur Förderung der Einheit der Christen angesiedelt ist.
Das Buch Deuteronomium zeichnet ein Bild des Volkes Israel, das in der Ebene von Moab sein Lager aufgeschlagen hat, kurz bevor es in das Land einzieht, das Gott ihm verheißen hat. Hier wiederholt Moses als besorgter Vater und vom Herrn bestimmter Führer dem Volk das Gesetz, er lehrt es und erinnert es daran, dass es in Treue und Gerechtigkeit leben soll, wenn es sich im gelobten Land niedergelassen hat.
Die gerade gehörte Lesung gibt Anweisungen, wie die drei Hauptfeste des Jahres gefeiert werden sollen: Pessach (Frühlingsfest [Ostern]), Schawuot (Wochenfest [Pfingsten]) und Sukkot (Laubhüttenfest). Jedes dieser Feste ruft Israel dazu auf, für die von Gott empfangenen Gaben dankbar zu sein. An der Feier eines Festes sollen alle teilnehmen. Niemand darf ausgeschlossen werden: »Du sollst vor dem Herrn, deinem Gott, fröhlich sein, du, dein Sohn und deine Tochter, dein Sklave und deine Sklavin, auch die Leviten, die in deinen Stadtbereichen Wohnrecht haben, und die Fremden, Waisen und Witwen, die in deiner Mitte leben« (Dtn 16,11).
Bei jedem Fest muss eine Wallfahrt durchgeführt werden zu »der Stätte, die der Herr erwählen wird, indem er dort seinen Namen wohnen lässt« (V. 2). Dort soll der gläubige Israelit vor Gott hintreten. Obwohl jeder Israelit ein Sklave in Ägypten war, ohne jedweden Eigenbesitz, »soll [man] nicht mit leeren Händen hingehen, um vor dem Angesicht des Herrn zu erscheinen« (V. 16), und die Gabe, die jeder darbringt, soll dem Segen, den er vom Herrn empfangen hat, entsprechen. Dann werden alle ihren Anteil haben am Reichtum des Landes und die Güte des Herrn erfahren.
Wir sollten nicht überrascht sein, wenn der biblische Text nach der Feier der drei Hauptfeste von der Berufung der Richter spricht. Die Feste selbst ermahnen das Volk zur Gerechtigkeit: Sie erinnern an die grundlegende Gleichheit all seiner Glieder, die alle in gleicher Weise von der göttlichen Barmherzigkeit abhängig sind, und laden jeden dazu ein, die empfangenen Gaben mit den anderen zu teilen. Den Herrn an den Festen im Laufe des Jahres zu ehren und zu verherrlichen geht mit der Haltung einher, seinem Nächsten Ehre und Gerechtigkeit zukommen zu lassen, besonders, wenn dieser schwach und notleidend ist.
Bei der Wahl des Mottos für diese Gebetswoche haben die Christen in Indonesien beschlossen, sich von diesen Worten aus dem Buch Deuteronomium inspirieren zu lassen: »Gerechtigkeit, Gerechtigkeit – ihr sollst du nachjagen« (16, 20). Sie sind besorgt, dass das Wirtschaftswachstum ihres Landes, das von Konkurrenzdenken beherrscht wird, viele in Armut zurücklassen könnte und nur wenigen erlaubt, sich sehr zu bereichern. Die Harmonie einer Gesellschaft, in der Menschen verschiedener Ethnien, Sprachen und Religionen im Geist gegenseitiger Verantwortung zusammenleben, wird aufs Spiel gesetzt.
Doch das gilt nicht nur für Indonesien – solchen Situationen begegnet man auf der ganzen Welt. Wenn die Gesellschaft nicht mehr das Prinzip der Solidarität und des Gemeinwohls zur Grundlage hat, erleben wir den Skandal, dass Menschen in extremer Armut unmittelbar neben Hochhäusern, stattlichen Hotels und luxuriösen Einkaufszentren, den Symbolen unglaublichen Reichtums, leben. Wir haben die Weisheit des mosaischen Gesetzes vergessen, dass nämlich eine Gesellschaft sich spaltet, wenn der Reichtum nicht geteilt wird.
In seinem Brief an die Römer wendet der heilige Paulus die gleiche Logik auf die christliche Gemeinde an: Wer stark ist, soll sich der Schwachen annehmen. Es ist nicht christlich, dass wir »für uns selbst leben« (Röm 15, 1). Wir müssen dem Beispiel Christi folgen und uns bemühen, denen aufzuhelfen, die schwach sind. Solidarität und gemeinsame Verantwortung sind die Gesetze, die der Familie der Christen zugrunde liegen müssen.
Als heiliges Volk Gottes stehen auch wir immer davor, in das vom Herrn verheißene Reich einzutreten. Weil wir aber getrennt sind, müssen wir uns an den Aufruf zur Gerechtigkeit erinnern, den Gott an uns richtet. Auch unter Christen besteht die Gefahr, dass die Logik vorherrscht, welche die Israeliten in vergangener Zeit und die Indonesier heutzutage erfahren haben, nämlich dass wir über dem Versuch, Reichtümer anzuhäufen, die Schwachen und Notleidenden vergessen. Leicht kann man unsere grundlegende Gleichheit vergessen: Ursprünglich waren wir alle Knechte der Sünde; der Herr hat uns durch die Taufe gerettet und seine Kinder genannt. Leicht kann man glauben, die uns geschenkte geistliche Gnade sei unser Eigentum, etwas, was uns zusteht und uns gehört. Außerdem ist es möglich, dass uns die von Gott geschenkten Gaben blind machen für die Gaben, die er anderen Christen zugeteilt hat. Es ist eine schwere Sünde, die Gaben, die der Herrn anderen Brüdern und Schwestern geschenkt hat, abzuwerten oder zu verachten und zu meinen, diese seien in irgendeiner Weise weniger von Gott bevorzugt. Wenn wir solche Gedanken hegen, lassen wir zu, dass die empfangene Gnade zu einer Quelle von Stolz, Ungerechtigkeit und Spaltung wird. Wie könnten wir so in das verheißene Reich eintreten?
Der Gottesdienst, der diesem Reich entspricht, der Gottesdienst, den die Gerechtigkeit fodert, ist ein Fest, das alle miteinschließt, ein Fest, bei dem die empfangenen Gaben bereitgestellt und geteilt werden. Um die ersten Schritte auf dem Weg zu diesem gelobten Land – zu unserer Einheit – zu gehen, müssen wir vor allem in Demut anerkennen, dass uns die empfangenen Segensgaben nicht von Rechts wegen zustehen, sondern uns als Geschenk zugeteilt wurden. Sie wurden uns gegeben, damit wir sie mit den anderen teilen. Zweitens müssen wir den Wert der Gnade anerkennen, welche anderen christlichen Gemeinschaften gewährt wurde. Dann werden wir den Wunsch verspüren, an den Gaben der anderen teilzuhaben. Ein christliches Volk, das von einem solchem Tausch der Gaben erneuert und bereichert lässt, wird ein Volk sein, das mit festem und zuversichtlichem Schritt auf dem Weg zur Einheit weitergehen kann.
[00094-DE.00] [Originalsprache: Italienisch]
Traduzione in lingua spagnola
Hoy comienza la Semana de Oración por la Unidad de los Cristianos, en la que todos estamos invitados a pedir a Dios este gran don. La unidad de los cristianos es fruto de la gracia de Dios y hemos de disponernos a recibirla con un corazón generoso y servicial. Esta tarde me alegra especialmente poder orar con los representantes de otras Iglesias presentes en Roma, a quienes dirijo un saludo cordial y fraterno. También saludo a la delegación ecuménica de Finlandia, a los estudiantes del Instituto Ecuménico de Bossey, en su visita a Roma para conocer más en profundidad a la Iglesia católica, así como a los jóvenes ortodoxos y ortodoxos orientales que estudian aquí con el apoyo del Comité para la Colaboración Cultural con las Iglesias Ortodoxas, perteneciente al Consejo para la Promoción de la Unidad de los Cristianos.
El libro del Deuteronomio representa al pueblo de Israel acampado en las llanuras de Moab, a punto de entrar en la tierra que Dios le prometió. Aquí, Moisés, como un padre solícito y jefe designado por el Señor, repite la Ley al pueblo, lo instruye y le recuerda que deberá vivir con fidelidad y justicia una vez que se haya establecido en la tierra prometida.
El pasaje que acabamos de escuchar proporciona información sobre cómo celebrar las tres fiestas principales del año: Pesach (Pascua), Shavuot (Pentecostés), Sukkot (Tabernáculos). Cada una de estas fiestas llama a Israel a dar gracias por los bienes recibidos de Dios. La celebración de una fiesta requiere la participación de todos. Nadie puede quedar excluido: «Te regocijarás en presencia del Señor, tu Dios, con tu hijo e hija, tu esclavo y esclava, el levita que haya en tus ciudades, el emigrante, el huérfano y la viuda que haya entre los tuyos» (Dt 16,11).
En cada fiesta es necesario hacer una peregrinación «en el lugar que elija el Señor, tu Dios, para hacer morar allí su nombre» (v. 2). Allí, el fiel israelita debe ponerse ante Dios. Aunque todo israelita haya sido un esclavo en Egipto, sin ninguna posesión personal, «no se presentarán al Señor con las manos vacías» (v. 16) y el don de cada uno será en la medida de la bendición que el Señor le dará. Por lo tanto, todos recibirán su parte de la riqueza del país y se beneficiarán de la bondad de Dios.
No es una sorpresa que el texto bíblico pase de la celebración de las tres fiestas principales al nombramiento de los jueces. Las mismas fiestas exhortan al pueblo a la justicia, recordando la igualdad fundamental entre todos sus miembros, todos igualmente dependientes de la misericordia divina, e invitando a cada uno a compartir con los demás los bienes recibidos. Honrar y glorificar al Señor en las fiestas del año va de la mano con el honrar y hacer justicia al prójimo, especialmente si es débil y está necesitado.
Los cristianos de Indonesia, reflexionando sobre la elección del tema para esta Semana de Oración, decidieron inspirarse en estas palabras del Deuteronomio: «Persigue solo la justicia» (16,20). A ellos les preocupa mucho que el crecimiento económico de su país, movido por la lógica de la competición, deje a muchos en la pobreza, permitiendo que solo unos pocos se enriquezcan enormemente. Está en riesgo la armonía de una sociedad, en la que conviven personas de diferentes grupos étnicos, idiomas y religiones, compartiendo un sentido de responsabilidad recíproca.
Pero esto no vale solo para Indonesia: esta situación se repite en el resto del mundo. Cuando la sociedad ya no tiene como fundamento el principio de la solidaridad y el bien común, se produce el escándalo de ver a personas que viven en la pobreza extrema junto a rascacielos, hoteles imponentes y lujosos centros comerciales, símbolos de inmensa riqueza. Hemos olvidado la sabiduría de la ley mosaica, según la cual, si la riqueza no se comparte, la sociedad se divide.
San Pablo, escribiendo a los romanos, aplica la misma lógica a la comunidad cristiana: los que son fuertes deben ocuparse de los débiles. No es cristiano «buscar la satisfacción propia» (15,1). Siguiendo el ejemplo de Cristo, debemos esforzarnos por edificar a los que son débiles. La solidaridad y la responsabilidad común deben ser las leyes que gobiernan a la familia cristiana.
Como pueblo santo de Dios, también nosotros estamos siempre próximos a entrar en el Reino que el Señor nos ha prometido. Pero, al estar divididos, tenemos que recordar la llamada a la justicia que Dios nos dirige. Incluso entre los cristianos existe el riesgo de que prevalezca la lógica conocida por los israelitas en la antigüedad y por el pueblo indonesio en la actualidad, es decir, que buscando acumular riquezas, nos olvidemos de los débiles y necesitados. Es fácil olvidarse de la igualdad fundamental que existe entre nosotros: que en el principio todos éramos esclavos del pecado y el Señor nos salvó en el bautismo, llamándonos hijos suyos. Es fácil pensar que la gracia espiritual que se nos ha dado es una propiedad nuestra, algo que nos corresponde y nos pertenece. También es posible que los dones recibidos de Dios nos vuelvan ciegos para ver los dones dados a otros cristianos. Es un grave pecado empequeñecer o despreciar los dones que el Señor ha dado a otros hermanos, creyendo que no son de alguna manera privilegiados de Dios. Si compartimos pensamientos similares, dejamos que la misma gracia recibida se convierta en una fuente de orgullo, injusticia y división. ¿Y cómo podremos entrar así en el Reino prometido?
El culto que corresponde a ese Reino, el culto que reclama la justicia, es una fiesta que incluye a todos, una fiesta en la que los dones recibidos se ponen a disposición y se comparten. Para dar los primeros pasos hacia esa tierra prometida que es la de nuestra unidad, ante todo debemos reconocer con humildad que las bendiciones recibidas no son nuestras por derecho, sino por un don, y que nos han sido dadas para que las compartamos con los demás. En segundo lugar, tenemos que reconocer el valor de la gracia concedida a otras comunidades cristianas. Como consecuencia, nuestro deseo será el de participar en los dones de los demás. Un pueblo cristiano renovado y enriquecido por este intercambio de dones será un pueblo capaz de caminar con paso firme y confiado por el camino que conduce a la unidad.
[00094-ES.01] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua portoghese
Começou hoje a Semana de Oração pela Unidade dos Cristãos, na qual somos todos convidados a implorar de Deus este grande dom. A unidade dos cristãos é fruto da graça de Deus, pelo que nos devemos predispor a recebê-la com coração pronto e generoso. Nesta tarde, sinto-me particularmente feliz por rezar juntamente com os representantes das outras Igrejas presentes em Roma, aos quais dirijo uma cordial e fraterna saudação. Saúdo também a delegação ecuménica da Finlândia, os alunos do Instituto Ecuménico de Bossey que visitam Roma para aprofundar o seu conhecimento da Igreja Católica e os jovens ortodoxos e ortodoxos orientais que aqui estudam com o apoio do Comité de Cooperação Cultural com as Igrejas Ortodoxas, ativo junto do Pontifício Conselho para a Promoção da Unidade dos Cristãos.
O livro do Deuteronómio oferece-nos a imagem do povo de Israel acampado nas planícies de Moab, prestes a entrar na Terra que Deus lhe prometeu. Lá Moisés, como pai solícito e chefe designado pelo Senhor, repete a Lei ao povo, instrói-o e lembra-lhe que deverá viver com fidelidade e justiça, quando se estabelecer na terra prometida.
A passagem que acabamos de ouvir indica como celebrar as três festas principais do ano: Pesach (Páscoa), Shavuot (Pentecostes), Sukkot (Tabernáculos). Cada uma destas festas convida Israel à gratidão pelos bens recebidos de Deus A celebração duma festa requer a participação de todos; ninguém pode ficar excluído: «Alegrar-te-ás na presença do Senhor, teu Deus, com os teus filhos, as tuas filhas, os teus servos e as tuas servas, o levita que viver dentro das portas da tua cidade, o estrangeiro, o órfão e a viúva, que estiverem junto de ti» (Dt 16, 11).
Por ocasião de cada festa, é preciso realizar uma peregrinação «ao santuário que o Senhor tiver escolhido para ali estabelecer o seu nome» (16, 2). O fiel israelita deve ir lá colocar-se diante de Deus; e, embora todo o israelita tivesse sido escravo no Egito, sem qualquer propriedade pessoal, «ninguém aparecerá com as mãos vazias diante do Senhor» (16, 16) e o dom de cada um será segundo a medida da bênção que o Senhor lhe tiver concedido. Assim, todos receberão a sua parte de riqueza do país e beneficiarão da bondade de Deus.
Não nos deve surpreender o facto do texto bíblico passar da celebração das três festas principais para a nomeação dos juízes. As próprias festas exortam o povo à justiça, lembrando a igualdade fundamental entre todos os membros, todos igualmente dependentes da misericórdia divina, e convidando cada um a partilhar com os outros os bens recebidos. O dar honra e glória ao Senhor nas festas do ano caminha de mãos dadas com o prestar honra e justiça ao seu vizinho, sobretudo se é vulnerável e necessitado.
Ao debruçar-se sobre a escolha do tema para esta Semana de Oração, os cristãos da Indonésia decidiram inspirar-se nestas palavras do Deuteronómio: «Deves procurar a justiça e só a justiça» (16, 20). Neles, está viva a preocupação pelo facto de o crescimento económico do seu país, animado pela lógica da concorrência, deixar muitos na pobreza, permitindo que se enriqueçam enormemente apenas alguns. Isto põe em perigo a harmonia duma sociedade onde vivem lado a lado pessoas de diferentes etnias, línguas e religiões que compartilham um sentido de mútua responsabilidade.
Mas isto não se aplica só à Indonésia; deparamo-nos com a mesma situação no resto do mundo. Quando a sociedade deixa de ter como fundamento o princípio da solidariedade e do bem comum, assistimos ao escândalo de pessoas que vivem em extrema pobreza ao lado de arranha-céus, hotéis imponentes e centros comerciais luxuosos, símbolos de incrível riqueza. Esquecemo-nos da sabedoria da lei mosaica, segundo a qual, se a riqueza não for partilhada, a sociedade divide-se.
São Paulo, quando escreve aos Romanos, aplica a mesma lógica à comunidade cristã: aqueles que são fortes devem ocupar-se dos fracos. Não é cristão «procurar aquilo que nos agrada» (Rom 15, 1). De facto, seguindo o exemplo de Cristo, devemos esforçar-nos por edificar os que são fracos. A solidariedade e a responsabilidade comum devem ser as leis que regem a família cristã.
Também nós, como povo santo de Deus, sempre nos encontramos prestes a entrar no Reino que o Senhor nos prometeu. Mas, estando divididos, precisamos de recordar o apelo à justiça que Deus nos dirigiu. Também entre nós, cristãos, há o risco de prevalecer a lógica conhecida pelos israelitas dos tempos antigos e pelo povo indonésio nos dias de hoje, ou seja, tentando acumular riqueza, esquecermo-nos dos vulneráveis e dos necessitados. É fácil esquecer a igualdade fundamental que existe entre nós: originariamente todos nós éramos escravos do pecado, mas o Senhor salvou-nos no Batismo, chamando-nos seus filhos. É fácil pensar na graça espiritual que nos foi dada como sendo nossa propriedade, algo que nos é devido e pertence. Além disso, é possível que os dons recebidos de Deus nos tornem cegos aos dons dispensados a outros cristãos. É um grave pecado desdenhar ou desprezar os dons que o Senhor concedeu a outros irmãos, pensando que estes sejam de algum modo menos privilegiados aos olhos de Deus. Se alimentarmos tais pensamentos, consentimos que a própria graça recebida se torne fonte de orgulho, injustiça e divisão. E então como poderemos entrar no Reino prometido?
O culto condizente a este Reino, o culto que a justiça exige, é uma festa que engloba a todos, uma festa na qual se disponibilizam e partilham os dons recebidos. Para realizar os primeiros passos rumo à terra prometida que é a nossa unidade, devemos, em primeiro lugar, reconhecer humildemente que as bênçãos recebidas não são nossas por direito, mas por dádiva, tendo-nos sido concedidas para as partilharmos com os outros. Em segundo lugar, devemos reconhecer o valor da graça concedida às outras comunidades cristãs. Consequentemente será nosso desejo participar nos dons dos outros. Um povo cristão, renovado e enriquecido por esta troca de dons, será um povo capaz de caminhar, com passo firme e confiante, pelo caminho que leva à unidade.
[00094-PO.01] [Texto original: Italiano]
[B0044-XX.02]