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Conferenza Stampa del Santo Padre nel volo di ritorno dal Viaggio Apostolico in Lituania, Lettonia ed Estonia (22-25 settembre 2018), 26.09.2018


Testo in lingua italiana

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

 

Ieri, durante il volo che da Tallinn, Estonia, lo riportava a Roma, al termine del Viaggio Apostolico in Lituania, Lettonia ed Estonia (22-25 settembre 2018) il Santo Padre Francesco ha incontrato i giornalisti a bordo dell’aereo in una conferenza stampa, la cui trascrizione riportiamo di seguito:

Testo in lingua italiana

Greg Burke:

Buona sera, Santo Padre. Grazie, soprattutto. Tre Paesi in quattro giorni, non è molto facile, è un po’ faticoso… Sembravano un po’ quattro Paesi in quattro giorni, perché il primo giorno c’è stata la sorpresa della Cina, quindi abbiamo fatto anche questo: ci siamo avvicinati alla Cina. Cerchiamo di rimanere in tema – questo l’abbiamo detto tante volte –, parlare del viaggio. Certamente incominceremo con i giornalisti locali di ogni Paese, però cerchiamo nella conferenza stampa di parlare del viaggio nei Paesi Baltici. Non so se Lei vuole dire qualcosa prima …

Papa Francesco:

Prima di tutto, ringraziarvi per il lavoro che avete fatto, perché anche per voi, tre Paesi in quattro giorni, non è facile. Soprattutto, spostarsi da una parte all’altra è faticoso. Vi ringrazio tanto per il servizio che voi offrite alla gente su questo viaggio, che è la cosa più importante della vostra comunicazione: cosa è accaduto lì… Ci sono cose molto interessanti in questo viaggio, e mi aspetto le domande in questo senso.

Greg Burke:

Grazie. La prima è Saulena Žiugždaite, Bernardinai.LT, della Lituania:

Saulena Žiugždaite:

Santo Padre, grazie per questo momento e per tutto questo viaggio. Quando ha parlato a Vilnius dell’anima lituana, ha detto che dobbiamo essere ponte tra Est e Ovest. Ma non è facile essere un ponte: sei sempre attraversato dagli altri. Qualcuno dice che la nostra tragedia è che siamo sul ponte. Magari uno dice: “È decisamente meglio diventare parte dell’Occidente con i suoi valori”. Lei che cosa intendeva, cosa significa essere un ponte?

Papa Francesco:

È vero… È evidente che voi fate parte oggi, politicamente, dell’Occidente, dell’Unione Europea, e avete fatto tanto per entrare nell’Unione Europea. Dopo l’indipendenza, subito avete fatto tutti gli adempimenti, che non sono facili, e siete riusciti a entrare nell’Unione Europea, cioè un’appartenenza all’Occidente. Avete anche rapporti con la Nato: voi appartenete alla Nato, e questo dice Occidente. Se voi guardate all’Oriente, c’è la vostra storia: una storia dura. Anche parte della storia tragica è venuta dall’Occidente, dai tedeschi, dai polacchi, ma soprattutto dal nazismo, questa è venuta dall’Occidente. E, per quanto riguarda l’Oriente, dall’Impero russo.

Fare ponti suppone, esige fortezza. Fortezza non solo per l’appartenenza all’Occidente, che vi dà fortezza, ma per la propria identità. Mi rendo conto che la situazione dei tre Paesi Baltici è sempre in pericolo, sempre. La paura dell’invasione… Perché la storia stessa vi ricorda questo. E Lei ha ragione quando dice che non è facile, ma questa è una partita che si gioca ogni giorno, un passo dopo l’altro: con la cultura, con il dialogo… Ma non è facile. Credo che il dovere di tutti noi sia di aiutarvi in questo. Più che aiutarvi, esservi vicini, con il cuore.

Greg Burke:

Grazie, Santo Padre. La prossima domanda viene da Gints Amolins, Latvijas Radio (Lettonia)

Gints Amolins:

Buongiorno, Santità. Nei Paesi Baltici, Lei ha parlato spesso dell’importanza delle radici e dell’identità. Dalla Lettonia, e anche dalla Lituania e dall’Estonia, ci sono tante persone che sono partite per Paesi più prosperi e tanti già stanno mettendo radici altrove. E poi, ci sono anche, come in Europa in generale, problemi demografici, per via della natalità bassa. Quindi, in questa situazione che cosa possono e dovrebbero fare i nostri Paesi, i leader dei nostri Paesi e anche ciascuno personalmente? Come si dovrebbe valutare questo problema?

Papa Francesco:

Nella mia patria, non conoscevo gente dall’Estonia e dalla Lettonia, mentre è molto forte – in termini relativi – l’immigrazione lituana. In Argentina ce ne sono tanti. E loro portano là la cultura, la storia, e sono fieri nel doppio sforzo di inserirsi nel Paese nuovo e anche di conservare la loro identità. Nelle loro feste ci sono gli abiti tradizionali, i canti tradizionali, e sempre, ogni volta che possono, tornano in Patria in visita… Penso che la lotta per mantenere l’identità li rende molto forti, e voi avete questo: avete un’identità forte. Un’identità che si è formata nella sofferenza, nella difesa e nel lavoro, nella cultura.

E cosa si può fare, per difendere l’identità? Il ricorso alle radici, questo è importante. L’identità è una cosa antica, ma che deve essere trasmessa. L’identità si inserisce nell’appartenenza a un popolo, e l’appartenenza a un popolo va trasmessa. Le radici vanno trasmesse alle nuove generazioni, e questo con l’educazione e con il dialogo, soprattutto tra vecchi e giovani. E dovete farlo, perché è un tesoro la vostra identità. Ogni identità è un tesoro, ma concepita come appartenenza a un popolo. Questo è ciò che mi viene, non so se corrisponde alla Sua domanda…

Greg Burke:

Grazie, Santo Padre. E adesso, Evelyn Kaldoja, Postimees (Estonia)

Evelyn Kaldoja:

Grazie. Vorrei fare la domanda in inglese. [traduzione] Nell’omelia di oggi, Lei ha detto che ci sono alcuni che gridano e minacciano l’uso delle armi e l’impiego degli eserciti eccetera eccetera. Considerando dove ci troviamo, su quella stessa piazza c’erano soldati della Nato che sono stati inviati in Estonia a titolo di garanzia. Molti hanno pensato alla situazione sui confini orientali dell’Europa. Lei è preoccupato per le tensioni in quell’area e per i cattolici che vivono a cavallo dei confini dell’Europa?

Papa Francesco:

La minaccia delle armi. Oggi, le spese mondiali per le armi sono scandalose. Mi dicevano che, con quello che si spende per le armi in un mese, si potrebbe dare da mangiare a tutti gli affamati del mondo per un anno. Non so se sia vero, è terribile. L’industria, il commercio delle armi, anche il contrabbando delle armi è una delle corruzioni più grandi. E prima di questo c’è la logica della difesa. Davide è stato capace di vincere con una fionda e cinque pietre, ma oggi non ci sono i Davide. Credo che per difendere un Paese, ci voglia un ragionevole e non aggressivo esercito di difesa. Ragionevole e non aggressivo. Così la difesa è lecita; ed è anche un onore difendere la patria così. Il problema viene quando diventa aggressivo, non ragionevole e si fanno le guerre di frontiera. Delle guerre di frontiera abbiamo tanti esempi, non solo in Europa, verso l’Est, ma anche in altri continenti: si litiga per il potere, per colonizzare un Paese. Questa è, a mio parere, la risposta alla sua domanda. È scandalosa, oggi, l’industria delle armi, davanti a un mondo affamato. Secondo: è lecito, ragionevole avere un esercito per difendere le frontiere, perché questo fa onore; come è lecito avere la chiave della porta di casa. Per difesa.

Greg Burke:

Grazie, Santo Padre. La prossima domanda è del gruppo tedesco: Stefanie Stahlhofen, dell’Agenzia cattolica tedesca CIC (Germania)

Stefanie Stahlhofen:

Santo Padre, nell’incontro ecumenico a Tallinn Lei ha detto che i giovani, di fronte agli scandali sessuali, non vedono una condanna netta da parte della Chiesa cattolica. In Germania, è uscita proprio oggi una nuova inchiesta sugli abusi sessuali e su come la Chiesa ha trattato tanti casi.

Papa Francesco:

Su questo parlerò dopo. Risponderò prima alle domande sul viaggio. Grazie. Questa è la regola. Ma sarà la prima domanda dopo quelle sul viaggio.

Greg Burke:

Rimaniamo sul viaggio…

Arriva un giornalista della Radio-Televisione Lituana.

Edvardas Spokas:

Parlerò in inglese. In tutti e tre i Paesi, Lei si è dichiarato a favore dell’apertura: apertura nei riguardi dei migranti, apertura nei riguardi dell’altro. Ma, per esempio, in Lituania c’è stato un confronto sulla vicenda di una ragazza che L’ha salutata al suo atterraggio, davanti all’aereo: non aveva un aspetto precisamente lituano. Era in parte italiana, con la pelle un po’ scura… La mia domanda è: le persone, nei Paesi baltici, ascoltano da Lei soltanto quello che vogliono sentire, oppure ascoltano quello che Lei sta cercando di dire loro? Ascoltano il Suo messaggio sull’apertura?

Papa Francesco:

Il messaggio sull’apertura ai migranti è abbastanza avanti nel vostro popolo, non ci sono forti fuochi populisti, no. Anche l’Estonia e la Lettonia sono popoli aperti che vogliono integrare i migranti, ma non massicciamente, perché non si può, integrarli con la prudenza del governo. Abbiamo parlato di questo con due dei tre capi di Stato, e l’argomento l’hanno toccato loro, non io. E nei discorsi dei Presidenti, Lei vedrà che la parola “accoglienza”, “apertura” è frequente. Questo indica una volontà di universalità, nella misura in cui si può, per lo spazio, il lavoro, eccetera; nella misura in cui si possano integrare – questo è molto importante – e nella misura in cui non sia una minaccia contro la propria identità. Sono tre cose che io ho capito sulle migrazioni del popolo. E questo a me ha toccato molto: apertura prudente e ben pensata. Non so se Lei pensa un’altra cosa.

Edvardas Spokas

La mia domanda riguardava come il Suo messaggio sia stato recepito.

Papa Francesco:

Io credo di sì. In questo senso che ho detto. Perché oggi, il problema dei migranti in tutto il mondo – e non solo la migrazione esterna, ma anche interna nei continenti – è un problema grave, non è facile studiarlo. In ogni Paese, in ogni posto, in ogni luogo ha diverse connotazioni.

Greg Burke:

Grazie, Santo Padre; con le domande sul viaggio abbiamo finito.

Papa Francesco:

Benissimo. Vorrei dirvi io qualcosa su alcuni punti del viaggio che ho vissuto con una speciale forza.

Il fatto della vostra storia, della storia dei Paesi Baltici: una storia di invasioni, di dittature, di crimini, di deportazioni… Quando ho visitato il Museo, a Vilnius: “museo” è una parola che ci fa pensare al Louvre… No. Quel Museo è un carcere, è un carcere nel quale i detenuti, per ragioni politiche o religiose, venivano portati. E ho visto celle della misura di questo sedile, dove si poteva stare soltanto in piedi, celle di tortura. Ho visto luoghi di tortura dove, con il freddo che c’è in Lituania, portavano i prigionieri nudi e buttavano su di loro acqua, e lì rimanevano per ore e ore, per spezzare la loro resistenza. E poi sono entrato nell’aula, nella sala grande delle esecuzioni. I prigionieri venivano portati lì con la forza e uccisi con un colpo alla nuca; poi fatti uscire su un nastro trasportatore e caricati su un camion che li buttava nella foresta. Più o meno ne ammazzavano quaranta al giorno. Alla fine, sono stati circa quindicimila quelli che sono stati ammazzati lì. Questo fa parte della storia della Lituania, ma anche degli altri Paesi. Quello che ho visto era in Lituania. Poi sono andato nel luogo del Grande Ghetto, dove sono stati uccisi migliaia di ebrei. Poi, nello stesso pomeriggio, sono andato al Monumento alla memoria dei condannati, ammazzati, torturati, deportati. Quel giorno – vi dico la verità – sono rimasto distrutto: mi ha fatto riflettere sulla crudeltà. Ma vi dico che, in base alle informazioni che abbiamo oggi, la crudeltà non è finita. La stessa crudeltà oggi si trova in tanti luoghi di detenzione, oggi si trova in tante carceri; anche la sovrappopolazione di un carcere è un sistema di tortura, un modo di vivere senza dignità. Un carcere, oggi, che non prevede di dare al detenuto una prospettiva di speranza, già è una tortura. Poi abbiamo visto, in televisione, le crudeltà dei terroristi dell’Isis: quel pilota giordano bruciato vivo, quei cristiani copti sgozzati sulla spiaggia della Libia, e tanti altri. Oggi la crudeltà non è finita. Esiste in tutto il mondo. E questo messaggio vorrei darlo a voi, come giornalisti: questo è uno scandalo, un grave scandalo della nostra cultura e della nostra società.

Un’altra cosa che ho visto in questi tre Paesi è l’odio [del passato regime] per la religione, qualunque sia. L’odio. Ho visto un Vescovo gesuita, in Lituania o in Lettonia, non ricordo bene, che è stato deportato in Siberia, dieci anni, poi in un altro campo di concentramento… Adesso è anziano, sorridente… Tanti uomini e donne, per aver difeso la propria fede, che era la loro identità, sono stati torturati e deportati in Siberia, e non sono tornati; o sono stati ammazzati. La fede di questi tre Paesi è grande, è una fede che nasce proprio dal martirio, e questa è una cosa che forse voi avete visto, parlando con la gente, come fate voi giornalisti, per avere notizie del Paese.

Inoltre, questa esperienza di fede così importante ha prodotto un fenomeno singolare, in questi Paesi: una vita ecumenica come non c’è in altri, così generalizzata. C’è un vero ecumenismo: ecumenismo tra luterani, battisti, anglicani e anche ortodossi. Nella cattedrale, ieri, all’incontro ecumenico in Lettonia, a Riga, l’abbiamo visto: una cosa grande; fratelli, vicini, insieme in una sola chiesa…, vicini. L’ecumenismo ha messo radici lì.

Poi, c’è un altro fenomeno in questi Paesi che è importante studiare, e forse voi potrete fare tante cose buone nel vostro mestiere, studiando questo: il fenomeno della trasmissione della cultura, dell’identità e della fede. Di solito, la trasmissione è stata fatta dai nonni. Perché? Perché i papà lavoravano, papà e mamma dovevano lavorare, e dovevano essere inquadrati nel partito – sia nel regime sovietico che in quello nazista – e anche educati all’ateismo. Ma i nonni hanno saputo trasmettere la fede e la cultura. Nel tempo in cui in Lituania era vietato l’uso della lingua lituana, era stata tolta dalle scuole, quando andavano al servizio religioso – sia protestante sia cattolico – prendevano i libri di preghiera per vedere se erano in lingua lituana o in lingua russa o tedesca. E tanti – una generazione, in quell’epoca – hanno imparato la lingua madre dai nonni: erano i nonni che insegnavano a scrivere e a leggere la lingua madre. Questo ci fa pensare, e sarebbe bello qualche articolo, qualche servizio televisivo sulla trasmissione della cultura, della lingua, dell’arte, della fede in momenti di dittatura e di persecuzione. Non si poteva pensare altro, perché tutti i mezzi di comunicazione, che in quel tempo erano pochi – la radio – erano presi dallo Stato. Quando un governo diventa, vuole diventare dittatoriale, la prima cosa che fa è prendere in mano i mezzi di comunicazione.

Queste cose ho voluto sottolinearle.

E adesso, mi riferisco all’incontro di oggi con i giovani. I giovani si scandalizzano: introduco qui la prima domanda che era fuori dal tema del viaggio. I giovani si scandalizzano dell’ipocrisia dei grandi. Si scandalizzano delle guerre, si scandalizzano dell’incoerenza, si scandalizzano della corruzione. E in questo della corruzione entra quello che lei sottolineava, degli abusi sessuali. E’ vero che c’è un’accusa alla Chiesa, e tutti sappiamo, conosciamo le statistiche, io non le dirò qui. Ma anche se fosse stato un solo prete ad abusare di un bambino, di una bambina, questo sarebbe comunque mostruoso, perché quell’uomo è stato scelto da Dio per portare il bambino al cielo. Io capisco che i giovani si scandalizzino di questa corruzione così grande. Sanno che c’è dappertutto, ma nella Chiesa è più scandaloso, perché si deve portare i bambini a Dio, e non distruggerli. I giovani cercano di farsi strada con l’esperienza. L’incontro con i giovani, oggi, era molto chiaro: loro chiedono ascolto, chiedono ascolto. Non vogliono formule fisse. Non vogliono un accompagnamento direttivo. E la seconda parte di questa domanda, che era la prima al di là del viaggio, era che “la Chiesa non fa le cose come deve in questo, nel pulire questa corruzione”. Prendo il Rapporto della Pennsylvania, per esempio, e vediamo che fino ai primi anni 70 c’erano tanti preti che sono caduti in questa corruzione. Poi, in tempi più recenti, sono diminuiti perché la Chiesa si è accorta che doveva lottare in un altro modo. Nei tempi passati, queste cose si coprivano. Si coprivano anche a casa, quando lo zio violentava la nipotina, quando il papà violentava i figli: si coprivano, perché era una vergogna molto grande. Era il modo di pensare dei secoli scorsi, e del secolo scorso. In questo, c’è un principio che a me aiuta tanto per interpretare la storia: un fatto storico va interpretato con l’ermeneutica dell’epoca nella quale è avvenuto questo fatto, non con un’ermeneutica di oggi. Per esempio: l’indigenismo. Ci sono state tante ingiustizie, tante brutalità. Ma non può essere interpretato con l’ermeneutica di oggi, quando abbiamo un’altra consapevolezza. Un ultimo esempio: la pena di morte. Anche il Vaticano come Stato, quando era Stato Pontificio, aveva la pena di morte; l’ultimo è stato decapitato nel 1870 circa, un criminale, un giovane. Ma poi la coscienza morale cresce, la coscienza morale cresce. È vero che ci sono sempre le scappatoie, ci sono sempre condanne a morte nascoste: tu sei vecchio, dai fastidio, non ti do le medicine…, e poi si dice: “è andato”. È una condanna a morte – sociale – di oggi. Ma credo con questo di avere risposto. La Chiesa: prendo l’esempio della Pennsylvania, guardate le proporzioni e vedete che quando la Chiesa ha incominciato a prendere coscienza di questo, ce l’ha messa tutta. E negli ultimi tempi io ho ricevuto tante, tante condanne emesse dalla Congregazione per la Dottrina della Fede e ho detto: “Avanti, avanti”. Mai, mai ho firmato, dopo una condanna, una richiesta di grazia. Su questo non si negozia, non c’è negoziato.

Greg Burke:

Antonio Pelayo, di “Vida Nueva” (Spagna):

Antonio Pelayo:

Santo Padre, tra giorni fa è stato firmato un Accordo tra la Santa Sede e il governo della Repubblica Popolare Cinese. Può darci qualche informazione supplementare su questo, sul suo contenuto? Perché alcuni cattolici cinesi, in particolare il Cardinale Zen, La accusano di avere svenduto la Chiesa al governo comunista di Pechino, dopo tanti anni di sofferenza. Cosa risponde a questa accusa?

Papa Francesco:

Questo è un processo di anni, un dialogo tra la Commissione vaticana e la Commissione cinese, per sistemare la nomina dei vescovi. L’équipe vaticana ha lavorato tanto. Vorrei fare alcuni nomi: mons. Celli, che con pazienza è andato, ha dialogato, è tornato… anni, anni! Poi, mons. Rota Graziosi, un umile curiale di 72 anni che voleva fare il prete in parrocchia ma è rimasto in Curia per aiutare in questo processo. E poi, il Segretario di Stato, il Cardinale Parolin, che è un uomo molto devoto, ma ha una speciale devozione alla lente: tutti i documenti li studia punto, virgola, accenti… E questo dà a me una sicurezza molto grande. E questa équipe, con queste qualità, è andata avanti. Voi sapete che quando si fa un accordo di pace o un negoziato, ambedue le parti perdono qualcosa, questa è la regola. Ambedue le parti. E si va avanti. Questo processo è andato così: due passi avanti, uno indietro, due avanti, uno indietro…; poi sono passati mesi senza parlarsi, e poi… Sono i tempi di Dio, che assomigliano al tempo cinese: lentamente… Questa è saggezza, la saggezza dei cinesi. Le situazioni dei vescovi che erano in difficoltà sono state studiate caso per caso, e alla fine i dossier sono arrivati sulla mia scrivania e sono stato io il responsabile della firma, nel caso dei vescovi. Per quanto riguarda l’Accordo, sono passate le bozze sulla mia scrivania, si parlava, davo le mie idee, gli altri discutevano e andavano avanti. Penso alla resistenza, ai cattolici che hanno sofferto: è vero, loro soffriranno. Sempre in un accordo c’è sofferenza. Ma loro hanno una grande fede e scrivono, fanno arrivare messaggi, affermando che quello che la Santa Sede, che Pietro dice, è quello che dice Gesù: cioè la fede “martiriale” di questa gente oggi va avanti. Sono dei grandi. E l’Accordo l’ho firmato io, le Lettere Plenipotenziarie per firmare quell’Accordo. Io sono il responsabile. Gli altri, che ho nominato, hanno lavorato per più di dieci anni. Non è un’improvvisazione: è un cammino, un vero cammino.

E poi, un aneddoto semplice e un dato storico, due cose prima di finire. Quando c’è stato quel famoso comunicato di un ex Nunzio Apostolico, gli episcopati del mondo mi hanno scritto dicendo che si sentivano vicini, che pregavano per me; anche i fedeli cinesi hanno scritto, e la firma di questo scritto era del vescovo – diciamo così – della Chiesa tradizionale cattolica e del vescovo della Chiesa patriottica: insieme, tutt’e due, e i fedeli di tutt’e due le Chiese. Per me, questo è stato un segno di Dio. E la seconda cosa: noi dimentichiamo che in America Latina – grazie a Dio questo è superato! –dimentichiamo che per 350 anni erano i re del Portogallo e della Spagna a nominare i vescovi. E il Papa dava soltanto la giurisdizione. Dimentichiamo il caso dell’Impero austroungarico: Maria Teresa si è stancata di firmare nomine di vescovi, e dava la giurisdizione al Vaticano. Altre epoche, grazie a Dio, che non si ripetano! Ma il caso attuale non è per la nomina: è un dialogo sugli eventuali candidati. La cosa si fa in dialogo. Ma la nomina è di Roma; la nomina è del Papa, questo è chiaro. E preghiamo per le sofferenze di alcuni che non capiscono o che hanno alle spalle tanti anni di clandestinità.

Vi ringrazio tanto! Ci dicono che la cena è pronta e il volo non è lungo. Grazie tante! Grazie tante per il vostro lavoro. E pregate per me.

Greg Burke:

Grazie a Lei, Santo Padre. Buona cena e buon riposo.

[01486-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Au cours du vol de Tallinn à Rome, dans la soirée du 25 septembre, au terme du voyage dans les Pays baltes, le Pape a rencontré les journalistes à bord de l’avion. Nous publions la transcription des réponses du Pape et une synthèse des questions. Après l’introduction du directeur de la salle de presse du Saint-Siège, Greg Burke, le Pape a voulu avant tout remercier les journalistes : « Pour le travail que vous avez effectué, parce que pour vous aussi, trois pays en quatre jours, cela n’a pas été facile. Et surtout, se déplacer d’un endroit à l’autre est fatigant. Je vous remercie beaucoup pour le service que vous offrez aux gens sur ce voyage, qui est la chose la plus importante de votre communication: ce qui a eu lieu là-bas... Il y a des choses très intéressantes sur ce voyage, et j’attends que les questions portent sur ce sujet ».

[Saulena Žiugždaite, Bernardinai.lt, Lituanie] Merci pour ce moment et pour tout ce voyage. Quand vous avez parlé à Vilnius de l’âme lituanienne, vous avez dit que nous devons être un pont entre l’est et l’ouest. Que vouliez-vous dire?

Saint-Père:

C’est vrai... Il est évident que vous faites partie, aujourd’hui, politiquement, de l’Occident, de l’Union européenne, et vous avez beaucoup fait pour entrer dans l’Union européenne. Après l’indépendance, vous avez immédiatement accompli toutes les formalités, qui ne sont pas faciles et vous avez réussi à entrer dans l’Union européenne, c’est-à-dire une appartenance à l’Occident. Vous avez aussi des relations avec l’otan : vous appartenez à l’otan et cela signifie Occident. Si vous regardez l’Orient, il y a votre histoire: une histoire difficile. Une partie de l’histoire tragique est venue de l’Occident, des Allemands, des Polonais, mais surtout du nazisme, celle-ci est venue de l’Occident. Et en ce qui concerne l’Orient, de l’Empire russe.

Construire des ponts suppose, exige de la force. De la force non seulement pour appartenir à l’Occident, qui vous donne de la force, mais pour sa propre identité. Je me rends compte que la situation des trois pays baltes est toujours en danger, toujours. La peur de l’invasion... Parce que l’histoire même vous rappelle cela. Et vous avez raison quand vous dites que ce n’est pas facile, mais c’est une partie qui se joue tous les jours, un pas après l’autre : avec la culture, avec le dialogue... Mais ce n’est pas facile. Je crois que notre devoir à tous est de vous aider en cela. Plus que vous aider, être proches de vous, avec le cœur.

[Gints Amolins, Latvijas Radio, Lettonie] Dans les Pays baltes, vous avez souvent parlé de l’importance des racines et de l’identité. De nombreuses personnes ont quitté la Lettonie, mais également la Lituanie et l’Estonie, pour aller dans des pays plus prospères et un grand nombre est déjà en train de mettre des racines ailleurs. Puis il y a également, comme en Europe en général, des problèmes démographiques, en raison de la faible natalité. Comment devrait-on affronter ce problème?

Saint-Père:

Dans ma patrie, je ne connaissais personne d’Estonie et de Lettonie, alors que l’immigration lituanienne est très forte — en termes relatifs—. En Argentine, ils sont très nombreux. Et ils y apportent leur culture, leur histoire, et ils sont fiers de leur double effort en vue de s’insérer dans le nouveau pays mais aussi de conserver leur identité. A l’occasion de leurs fêtes, on retrouve leurs vêtements traditionnels, leurs chants traditionnels et toujours, chaque fois qu’ils le peuvent, ils retournent en visite dans leur pays... Je pense que la lutte pour maintenir leur identité les rend très forts, et vous avez cela: vous avez une forte identité. Une identité qui s’est formée dans la souffrance, dans la défense et dans le travail, dans la culture.

Et que peut-on faire pour défendre l’identité? Le recours aux racines, ça c’est important. L’identité est une chose ancienne, mais qui doit être transmise. L’identité s’insère dans l’appartenance à un peuple, et l’appartenance à un peuple doit être transmise. Les racines doivent être transmises aux nouvelles générations et cela à travers l’éducation et le dialogue, surtout entre les personnes âgées et les jeunes. Et vous devez le faire, parce que votre identité est un trésor. Toute identité est un trésor, mais conçue comme une appartenance à un peuple. Voilà ce qui me vient à l’esprit, je ne sais pas si cela répond à votre question...

[Evelyn Kaldoja, Postimees, Estonie] Etes-vous préoccupé par les tensions dans la région orientale de l’Europe et pour les catholiques qui vivent aux frontières de l’Europe?

Saint-Père:

La menace des armes. Aujourd’hui, les dépenses mondiales pour les armes sont scandaleuses. On m’a dit qu’avec ce que l’on dépense en armes en un mois, on pourrait nourrir toutes les personnes qui ont faim dans le monde pendant un an. Je ne sais pas si c’est vrai, c’est terrible. L’industrie, le commerce des armes et également la contrebande des armes sont l’une des plus grandes corruptions. Et avant cela, il y a la logique de la défense. David a été capable de vaincre grâce à une fronde et cinq pierres, mais aujourd’hui, il n’y a pas de David. Je pense que pour défendre un pays, il faut une armée de défense raisonnable et non agressive. Raisonnable et non agressive. Ainsi, la défense est licite ; et c’est également un honneur de défendre sa patrie ainsi. Le problème vient quand elle devient agressive, pas raisonnable, et que l’on fait des guerres de frontières. Nous avons beaucoup d’exemples de guerres de frontière, non seulement en Europe, vers l’est, mais aussi sur d’autres continents: on se bat pour le pouvoir, pour coloniser un pays. Voilà, à mon avis, la réponse à votre question. Aujourd’hui, l’industrie de l’armement est scandaleuse face à un monde affamé. Deuxièmement : il est licite, raisonnable, d’avoir une armée pour défendre les frontières, car cela rend honneur; comme il est licite d’avoir la clé de la porte de la maison. Pour la défense.

[Stefanie Stahlhofen, Agenzia cic, Allemagne] Au cours de la rencontre œcuménique à Tallinn, vous avez dit que les jeunes, face aux scandales sexuels, ne voient pas une condamnation nette de la part de l’Eglise catholique. En Allemagne, précisément aujourd’hui, est parue une nouvelle enquête sur les abus sexuels et sur la façon dont l’Eglise a traité de nombreux cas.

Saint-Père:

Sur ce sujet, je parlerai après. Je répondrai d’abord aux questions sur le voyage. Merci. C’est la règle. Mais ce sera la première question après celle sur le voyage.

[Edvardas Spokas, radio-télévision lituanienne] Dans les trois pays, vous vous êtes déclaré en faveur de l’ouverture: à l’égard des migrants et à l’égard de l’autre. Mais les personnes entendent-elles ce message?

Saint-Père:

Le message sur l’ouverture aux migrants est assez établi dans votre peuple, il n’y a pas de puissantes poussées populistes, non. L’Estonie et la Lettonie sont également des peuples ouverts qui veulent intégrer les migrants, mais pas massivement, parce que ce n’est pas possible, les intégrer avec la prudence du gouvernement. Nous en avons parlé avec deux des trois chefs d’Etat et ce sont eux qui ont abordé la question, pas moi. Et dans les discours des Présidents, vous verrez que les mots « accueil », «ouverture » reviennent souvent. Cela indique une volonté d’universalité, dans la mesure où c’est possible, en raison de l’espace, du travail, etc. ; dans la mesure où l’on peut intégrer — ceci est très important — et dans la mesure où ce n’est pas une menace contre sa propre identité. Ce sont trois choses que j’ai comprises sur les migrations du peuple. Et cela m’a beaucoup touché: une ouverture prudente et bien pensée. Je ne sais pas si vous êtes d’accord.

[Edvardas Spokas] Ma question était de savoir si votre message a été reçu.

Saint-Père:

Je crois que oui. Dans le sens dont je viens de parler. Parce qu’aujourd’hui, le problème des migrants dans le monde entier — et pas seulement la migration externe, mais aussi interne sur les continents — est un problème grave, il n’est pas facile de l’étudier. Dans chaque pays, dans chaque lieu, il a des connotations différentes.

[Greg Burke] Merci, Saint-Père; nous avons terminé avec les questions sur le voyage.

Saint-Père:

Très bien. J’aimerais vous parler de quelques points du voyage que j’ai vécus avec une force particulière.

Le fait de votre histoire, de l’histoire des pays baltes : une histoire d’invasions, de dictatures, de crimes, de déportations… Quand j’ai visité le musée, à Vilnius: «musée » est un mot qui nous fait penser au Louvre… Non. Ce musée est une prison, une prison où des prisonniers, pour des raisons politiques ou religieuses, ont été emmenés. Et j’ai vu des cellules de la taille de ce siège, où l’on ne pouvait se tenir que debout, des cellules de torture. J’ai vu des lieux de torture où, avec le froid qu’il fait en Lituanie, on amenait les prisonniers nus et on leur jetait de l’eau dessus, et ils restaient là pendant des heures et des heures, pour briser leur résistance. Et puis je suis entré dans la salle, la grande salle des exécutions. On y amenait les prisonniers par la force et on les tuait d’un coup à la nuque ; puis on les sortait sur un tapis roulant et on les chargeait sur un camion qui les jetait dans la forêt. On en tuait environ une quarantaine par jour. A la fin, il y a eu environ quinze mille personnes qui ont été tuées là. Cela fait partie de l’histoire de la Lituanie, mais aussi des autres pays. Ce que j’ai vu était en Lituanie. Puis je suis allé au grand Ghetto, où des milliers de juifs ont été tués. Ensuite, le même après-midi, je me suis rendu au monument à la mémoire des condamnés, tués, torturés et déportés. Ce jour-là — je vous le dis franchement — j’ai été atterré : cela m’a fait réfléchir sur la cruauté. Mais je vous dis que d’après les informations dont nous disposons aujourd’hui, la cruauté n’est pas terminée. On trouve la même cruauté aujourd’hui dans de nombreux lieux de détention aujourd’hui, dans de nombreuses prisons; la surpopulation d’une prison est aussi un système de torture, un mode de vie sans dignité. Une prison, aujourd’hui, qui n’envisage pas de donner au détenu une perspective d’espoir, est déjà une torture. Nous avons aussi vu, à la télévision, la cruauté des terroristes de l’e.i. : ce pilote jordanien brûlé vif, ces chrétiens coptes égorgés sur une plage de la Libye, et tant d’autres. Aujourd’hui, la cruauté n’est pas terminée. Elle existe dans le monde entier. Et je voudrais transmettre ce message à vous qui êtes journalistes : c’est un scandale, un grave scandale de notre culture et de notre société.

Une autre chose que j’ai vue dans ces trois pays, c’est la haine [de l’ancien régime] pour la religion, quelle qu’elle soit. La haine. J’ai vu un évêque jésuite, en Lituanie ou en Lettonie, je ne me souviens pas bien, qui a été déporté en Sibérie, dix ans, puis dans un autre camp de concentration… Maintenant il est vieux, souriant… Tant d’hommes et de femmes, pour avoir défendu leur foi, qui était leur identité, ont été torturés et déportés en Sibérie, et ne sont pas revenus ; ou bien ils ont été tués. La foi de ces trois pays est grande, c’est une foi qui naît précisément du martyre, et c’est quelque chose que vous avez peut-être vu, en parlant avec les gens, comme vous faites, vous les journalistes, pour avoir des informations sur le pays.

En outre, cette si importante expérience de foi a produit un phénomène singulier dans ces pays : une vie œcuménique comme il n’y en a pas ailleurs, très généralisée. Il y a un véritable œcuménisme : œcuménisme entre luthériens, baptistes, anglicans et aussi orthodoxes. Hier, dans la cathédrale, lors de la rencontre œcuménique en Lettonie, à Riga, nous l’avons vu: une grande chose; des frères, proches, ensemble dans une seule église…, proches. L’œcuménisme a planté des racines là.

Il y a ensuite un autre phénomène dans ces pays qu’il est important d’étudier, et peut-être pourrez-vous faire beaucoup de bonnes choses dans votre profession, en l’étudiant : le phénomène de la transmission de la culture, de l’identité et de la foi. Habituellement, la transmission passait par les grands-parents. Pourquoi? Parce que les pères travaillaient, le père et la mère devaient travailler, et ils devaient être encadrés dans le parti – sous le régime soviétique comme sous le régime nazi – mais aussi éduqués à l’athéisme. Mais les grands-parents ont su transmettre la foi et la culture. A une époque où l’usage de la langue lituanienne était interdit en Lituanie, elle avait été enlevée des écoles, lorsqu’ils allaient au service religieux — protestants ou catholiques — on contrôlait les livres de prières pour voir s’ils étaient en langue lituanienne, ou en langue russe ou allemande. Et beaucoup — toute une génération, à cette époque — ont appris leur langue maternelle des grands-parents : c’étaient les grands-parents qui leur enseignaient à écrire et à lire leur langue maternelle. Cela nous fait réfléchir, et ce serait bien de voir des articles, quelques reportages télévisés sur la transmission de la culture, de la langue, de l’art, de la foi dans les temps de dictature et de persécution. On ne pouvait pas penser à un autre moyen, parce que tous les médias, peu nombreux à l’époque — la radio — étaient dirigés par l’Etat. Quand un gouvernement devient, veut devenir dictatorial, la première chose qu’il fait, c’est prendre le contrôle des médias.

J’ai voulu souligner ces choses.

Et maintenant, je me réfère à la rencontre d’aujourd’hui avec les jeunes. Les jeunes sont scandalisés : j’introduis ici la première question qui était hors du thème du voyage. Les jeunes sont scandalisés par l’hypocrisie des grands. Ils sont scandalisés par les guerres, ils sont scandalisés par l’incohérence, ils sont scandalisés par la corruption. Et à ce thème de la corruption appartient ce que vous avez souligné, les abus sexuels. Il est vrai qu’il y a une accusation contre l’Eglise, et nous le savons tous, nous connaissons les statistiques, je ne le répéterai pas ici. Mais même s’il y avait eu un seul prêtre à abuser un enfant, une enfant, ce serait déjà monstrueux, car cet homme a été choisi par Dieu pour conduire l’enfant au ciel. Je comprends que les jeunes soient scandalisés par cette si grande corruption. Ils savent qu’il y en a partout, mais dans l’Eglise, c’est plus scandaleux, car nous devons conduire les enfants à Dieu et non les détruire. Les jeunes essaient de se frayer un chemin par l’expérience. La rencontre avec les jeunes, aujourd’hui, était très claire : ils demandent l’écoute, ils demandent l’écoute. Ils ne veulent pas de formules toutes faites. Ils ne veulent pas d’un accompagnement directif. Et la deuxième partie de cette question, qui était la première hors du voyage, était que « l’Eglise ne fait pas les choses comme elle le doit à ce propos, pour nettoyer cette corruption ». Prenons le Rapport de Pennsylvanie, par exemple, et nous voyons que jusqu’au début des années 70, beaucoup de prêtres sont tombés dans cette corruption. Ensuite, à une époque plus récente, ils ont diminué parce que l’Eglise s’est rendue compte qu’elle devait lutter d’une autre manière. Par le passé, on cachait ces choses. On les cachait aussi à la maison, lorsque l’oncle violait sa petite nièce, lorsqu’un père violait ses enfants: on les cachait, parce que c’était une très grande honte. C’était la manière de penser des siècles passés et du siècle dernier. En cela, il y a un principe qui m’aide beaucoup à interpréter l’histoire : un fait historique doit être interprété avec l’herméneutique de l’époque où ce fait s’est produit, pas avec une herméneutique d’aujourd’hui. Par exemple : l’indigénisme. Il y a eu tant d’injustices, tant de brutalités. Mais cela ne peut pas être interprété avec l’herméneutique d’aujourd’hui, où nous avons une autre conscience. Un dernier exemple : la peine de mort. Même le Vatican en tant qu’Etat, lorsqu’il était un Etat pontifical, avait la peine de mort ; le dernier a été décapité vers 1870, un criminel, un jeune homme. Mais ensuite la conscience morale grandit, la conscience morale grandit. C’est vrai qu’il y a toujours des échappatoires, il y a toujours des condamnations à mort cachées : tu es vieux, tu gènes, je ne te donne pas tes médicaments… et puis on dit : « Il est parti ». C’est une condamnation à mort — sociale — d’aujourd’hui. Mais je pense avoir répondu avec cela. L’Eglise : je prends l’exemple de la Pennsylvanie, si vous regardez les proportions vous constaterez que lorsque l’Eglise a commencé à prendre conscience de cela, elle a tout fait pour réagir. Et ces derniers temps, j’ai reçu de très nombreuses condamnations émises par la Congrégation pour la doctrine de la foi et j’ai dit: « En avant, en avant ». Jamais, jamais je n’ai signé une demande de grâce après une condamnation. Là-dessus, on ne négocie pas, il n’y a pas de négociation.

[Antonio Pelayo, «Vida nueva» Antena 3, Espagne] Il y a trois jours a été signé un Accord entre le Saint-Siège et le gouvernement de la République populaire de Chine. Pouvez-vous nous donner quelques informations supplémentaires à ce propos, sur son contenu? Que répondez-vous à l’accusation d’avoir bradé l’Eglise au gouvernement communiste de Pékin?

Saint-Père:

Il s’agit d’un processus qui dure depuis des années, un dialogue entre la Commission vaticane et la Commission chinoise, pour régler la nomination des évêques. L’équipe vaticane a beaucoup travaillé. Je voudrais citer quelques noms: Mgr Celli qui patiemment est allé, a dialogué, qui est revenu… pendant des années, des années! Ensuite, Mgr Rota Graziosi, un humble membre de la curie de 72 ans, qui voulait être prêtre en paroisse mais qui est resté à la curie pour aider ce processus. Et puis le secrétaire d’Etat, le Cardinal Parolin, qui est un homme très dévoué, mais il a une dévotion particulière pour la loupe: il étudie tous les documents, point, virgule, accents… Et cela me donne une très grande sécurité. Et cette équipe, avec ces qualités, a avancé. Vous savez que quand on signe un accord de paix ou une négociation, les deux parties perdent quelque chose, c’est la règle. Les deux parties. Et on avance. Ce processus s’est déroulé ainsi : deux pas en avant, un en arrière, deux en avant, un en arrière… ; ensuite, des mois sont passés sans se parler, et puis… Ce sont les temps de Dieu, qui ressemblent au temps chinois: lentement… C’est la sagesse, la sagesse des Chinois. Les situations des évêques qui étaient en difficulté ont été étudiées au cas par cas et, à la fin, les dossiers sont arrivés sur mon bureau et c’est moi qui ait été le responsable de la signature, dans le cas des évêques. En ce qui concerne l’Accord, les premiers projets sont passés sur mon bureau, on parlait, je donnais mes idées, les autres discutaient et ils avançaient. Je pense à la résistance, aux catholiques qui ont souffert : c’est vrai, ils souffriront. Dans un accord, il y a toujours de la souffrance. Mais ils ont une grande foi et ils écrivent, ils font parvenir des messages affirmant que ce que le Saint-Siège dit, ce que Pierre dit, c’est ce que Jésus dit ; cela veut dire que la foi « du martyre » de ces gens va de l’avant aujourd’hui. Ce sont des grands. Et l’Accord, c’est moi qui l’ai signé, les Lettres plénipotentiaires pour signer cet Accord. Je suis le responsable. Les autres, que j’ai nommés, ont travaillé pendant plus de dix ans. Ce n’est pas une improvisation : c’est un chemin, un vrai chemin.

Et puis une anecdote simple et un fait historique, deux choses avant de terminer. Quand il y a eu ce fameux communiqué d’un ancien nonce apostolique, les épiscopats du monde m’ont écrit en disant qu’ils se sentaient proches, qu’ils priaient pour moi; les fidèles chinois aussi ont écrit et la signature de cet écrit était celle de l’évêque — disons-le comme cela — de l’Eglise traditionnelle catholique et de l’évêque de l’Eglise patriotique: ensemble, tous les deux, avec les fidèles des deux Eglises. Pour moi, cela a été un signe de Dieu. Et la seconde chose: nous oublions qu’en Amérique latine — grâce à Dieu, c’est dépassé! — nous oublions que, pendant 350 ans, ce sont les rois du Portugal et de l’Espagne qui nommaient les évêques. Et le Pape donnait seulement la juridiction. Nous oublions le cas de l’empire austro-hongrois : Marie-Thérèse en avait assez de signer les nominations d’évêques et elle donnait la juridiction au Vatican. D’autres époques, grâce à Dieu, qu’elles ne se répètent pas! Mais le cas actuel ne concerne pas les nominations : il y a un dialogue sur les candidats éventuels. Cela se fait dans un dialogue. Mais la nomination est faite par Rome; la nomination est faite par le Pape, c’est clair. Et nous prions pour les souffrances de certains qui ne comprennent pas ou qui ont derrière eux de nombreuses années de clandestinité.

Greg Burke:

Je vous remercie beaucoup. On nous dit que le dîner est prêt, et le vol n’est pas long. Merci beaucoup. Merci beaucoup pour votre travail. Et priez pour moi!

[01486-FR.01] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

Greg Burke:

            Good evening, Holy Father. Thank you, first of all. Three countries in four days is not very easy, it is rather tiring.... It seemed almost like four countries in four days, because there was the surprise about China the first day, so we also did this: we have drawn closer to China. Let’s try to stay on topic – we have said this many times – to speak about the trip. Certainly we will begin with the local journalists from each country, but let’s try in the press conference to speak about the journey in the Baltic countries. I don’t know if you would like to say something first....

Pope Francis:

            First of all, I thank you for the work you have done, because for you too, three countries in four days is not easy. Above all, moving from place to another is tiring. I thank you very much for the service that you offer to the people on this journey, which is the most important aspect of your communication: what happened there.... There have been very interesting things on this trip, and I look forward to questions in this regard.

Greg Burke:

            Thank you. The first is  is  Saulena ŽIUGŽDAITE of Bernardinai.LT (Lithuania):

Saulena Žiugždaite:

            Holy Father, thank you for this moment and for this entire journey. When you spoke in Vilnius of the Lithuanian spirit, you said that we need to be a bridge between East and West. But it is not easy to be a bridge: you are always crossed by others. Some say that our tragedy is that we are on the bridge. One might say: “It is decidedly better to become part of the East with its values”. What did you mean; what does it mean to be a bridge?

Pope Francis:

            It is true.... It is obvious that today, politically, you are part of the East, of the European Union, and you have done a great deal to enter the European Union. After independence, you immediately complied with all the requirements, which are not easy, and you managed to enter the European Union, which is belonging to the East. You also have relations with NATO: you belong to NATO, and this means the East. If you look to the East there is your history: a difficult history. Even part of your tragic history came from the East, from the Germans, from the Poles, but above all from Nazism: this came from the East. And, regarding the East, from the Russian Empire.

            Building bridges assumes, demands strength. Strength not only through membership in the East, which gives you strength, but through your own identity. I realize that the situation of the three Baltic countries is always in peril, always. Fear of invasion.... Because history itself reminds you of this. And you are right when you say it isn’t easy, but this is a game that is played each day, one step after the other: with culture, with dialogue.... But it is not easy. I think it is the duty of all of us to help you with this. More than to help you, to be close to you, with the heart.

Greg Burke:

            Thank you, Holy Father. The next question comes from Gints AMOLINS, Latvijas Radio (Latvia)

Gints Amolins:

            Good afternoon, your Holiness. In the Baltic countries, you often spoke about the importance of roots and of identity. From Latvia, and also from Lithuania and from Estonia, there are many people who  have left for more prosperous countries and many are already putting roots  down elsewhere. And then, there are also, as in Europe in general, demographic issues, due to low birth rates. So, in this situation what can and should our countries do – the leaders of our countries and also each  person individually? How should this issue be evaluated?

Pope Francis:

            In my homeland, I did not know people from Estonia and Latvia, whereas Lithuanian immigration is very strong, in relative terms. In Argentina there are many of them. And they bring their culture there, their history, and they are proud of redoubling their efforts to insert themselves into the new country and also to preserve their identity. In their celebrations there are traditional clothes, traditional songs, and always, whenever they can, they return to visit their homeland.... I think that the struggle to maintain identity makes them very strong, and you have this: you have a strong identity. An identity that was formed in suffering, in defense and in work, in culture.

            And what can be done to protect identity? Returning to your roots, this is important. Identity is something ancient, but it must be passed on. Identity is integral to the membership in a people, and membership in a people must be passed on. Roots must be passed on to the new generations, and this is done with education and dialogue, especially between the elderly and the young. And you have to do it, because it is a treasure of your identity. Every identity is a treasure, but conceived as membership in a people. This is what comes to mind, I don’t know if it corresponds to your question....

Greg Burke:

            Thank you, Holy Father. And now,  Evelyn KALDOJA, Postimees (Estonia)

Evelyn Kaldoja:

            Thank you. I would like to ask the question in English. In today’s homily, you said that there are some who shout and threaten to use weapons and to employ armies, and so on. Considering where we are, in that very square there were NATO troops sent to Estonia for security. Many thought about the situation on the eastern borders of Europe. Are you concerned about the tensions in that area and for the Catholics who live straddling European borders?

Pope Francis:

            The threat of arms. Today, global arms spending is scandalous. They tell me that, with what is spent on weapons in one month, all the world’s hungry could probably be fed for a year. I do not know if it is true. It is terrible. The industry, the arms trade, even the smuggling of weapons is one of the greatest forms of corruption. And before this there is the logic of defense. David was able to win with a slingshot and five stones, but today there are no Davids. I think that to protect a country it takes a reasonable, and not aggressive, defensive army. Reasonable and not aggressive. This way defense is licit; and it is also an honour to defend one’s homeland this way. The problem starts when it becomes aggressive, unreasonable and wars are waged. We have many examples of border wars, not only in Europe, toward the East, but also on other continents: they fight for power, to colonize a country. This is, in my opinion, the answer to your question.         Today, the weapons industry is scandalous, before a hungry world. Second: it is licit, reasonable to have an army to protect  borders because this is an honour, as it is licit to have the key to the door of the house. For protection.

Greg Burke:

            Thank you, Holy Father. The next question is from the German group: Stefanie STAHLHOFEN, Catholic Information Centre – CIC, Germany

Stefanie Stahlhofen:

            Holy Father, in the ecumenical meeting in Tallinn you say that young people, in the face of the sex scandals, do not see a clear condemnation on the part of the Catholic Church. In Germany just today a new investigation came out regarding sexual abuse and how the Church has dealt with so many cases.

Pope Francis:

            I will speak about this afterwards. First I will  answer questions about the journey. Thank you. This is the rule. But the first question will be addressed after those about the trip.

Greg Burke:

            Let’s stick with the trip…  Now a journalist from Lithuanian Radio-Television.

Edvardas Spokas:

            I will speak in English.

In all three countries you said you were in favour of openness: openness regarding migrants, openness regarding the other. But, for example, in Lithuania there was a confrontation about the case of a girl whom you greeted upon your landing, in front of the plane: she did not have an expressly Lithuanian appearance. She was part Italian, with olive skin.... My question is:  do people in the Baltic countries hear only what they want to hear from you, or do they hear what you are trying to tell them? Do they hear your message about openness?

Pope Francis:

            The message about openness to migrants is rather advanced in your people; there are no blazing populists, no. In Estonia and Latvia too they are open people who want to integrate migrants, but not massively, because you cannot. Integrate them with governmental prudence. We spoke about this with two of the three heads of state, and they broached the subject, not I. And in the Presidents’ addresses, you will see that the word “welcome”, “openness” is frequent. This indicates a wish for universality, to the extent possible, for space, work, and so on; to the extent that you can integrate – this is very important – and to the extent that your own identity is not threatened. They are three things that I understand about the migration of people. And this really touched me: prudent and well thought-out openness. I do not know if you are thinking of something else.

Edvardas Spokas:

            My question is about how your message was received.

Pope Francis:

            I think so. In this sense that I have mentioned. Because today, the issue of migrants throughout the world – and not just external migration, but also within the continents – is a serious problem. It is not easy to study it. In every country, in every location, in every place it has different connotations.

Greg Burke:

            Thank you, Holy Father; we have finished with the questions about the journey.

Pope Francis:

            Very well. I would like to tell you something about several points of the journey that I experienced with a special force.

            The fact of your history, of the history of the Baltic countries: a history of invasions, of dictatorships, of crimes, of deportations....    When I visited the Museum in Vilnius: ‘museum’ is a word that makes me think of the Louvre.... No. That Museum is a prison. It is a prison to which inmates were taken, for political or religious reasons. And I saw cells the size of this seat, where you could only stare at your feet, torture chambers. I saw places for torture where, with the cold there is in Lithuania, they took  the prisoners naked and threw water on them, and they stayed there for  hours and hours, to break down their resistance. And then I entered the room, the great execution room. The prisoners were taken there by force and killed with a blow to the neck; then they were sent out on a conveyor belt and loaded onto a truck  that tossed them into the forest. They killed more or less 40 of them a day. In the end there were about 15,000 of them killed there. This is part of Lithuania’s history, but also of the other countries. Then I went to the site of the Great Ghetto, where thousands of Jews were killed. Then, the same afternoon, I went to the Monument to the memory of those who were condemned, killed, tortured, deported. That day – I’ll tell you the truth – I was destroyed: it made me think about the cruelty. But I tell you that, based on the information we have today, the cruelty is not over. The same cruelty is found today in many detention sites; today it is found in many prisons; even the overpopulation of prison is a system of torture, a manner of living without dignity. Today, a prison that does not plan to give the inmate a prospect of hope, is already torture. Then we have seen, on television, the cruelty of ISIS terrorists: that Jordanian pilot burned alive, those Coptic Christians whose throats were slit on the beach in Libya, and many others. Today the cruelty has not ended. It exists all over the world. And I would like to convey this message to you, as journalists: this is a scandal, a serious scandal of our culture and our society.

Another thing I saw in these three countries is [the past regime’s] hatred for religion, whichever it may be. Hatred. I saw a Jesuit Bishop, in Lithuania or Latvia, I do not remember well, who had been deported to Siberia for 10 years, then to another concentration camp.... Now he is elderly, smiling.... So many men and women, for defending their faith, which was their identity, were tortured and deported to Siberia, and never returned; or they were killed. The faith of these three countries is great; it is a faith born precisely from martyrdom, and this is something you have seen, speaking with the people, as you journalists do, to have news about the country.

            Moreover, this experience of such important faith produced a unique phenomenon in these countries: an ecumenical life like there is in no others, so generalized. There is true ecumenism: ecumenism among Lutherans, Baptists, Anglicans and also Orthodox. In the cathedral yesterday, at the ecumenical meeting in Riga, Latvia, we saw it: a remarkable thing; brothers and sisters, neighbours, together in one church..., neighbours. Ecumenism has put its roots there.

            Then, there is another phenomenon in these countries that is important to study, and perhaps you can do many good things in your profession, by studying this: the phenomenon of the transmission of culture, of identity and of faith. Ordinarily, the transmission has been by grandparents. Why? Because fathers worked, fathers and mothers had to work, and they had to be involved in the party – both in the Soviet and in the Nazi regimes – and also educated in atheism. But the grandparents were able to pass on the faith and the culture. At the time that in Lithuania the use of the Lithuanian language was forbidden, it was removed from the schools, when they went to the religious service – whether Protestant or Catholic – they picked up the prayer books to see if they in Lithuanian or Russian or German. And many – a generation in that era – learned the mother tongue from their grandparents: it was the grandparents who taught how to write and read the mother tongue. This makes us think, and some article would be nice, some television service on the transmission of culture, of language, of art, of faith in times of dictatorship and persecution. One could not think otherwise, because all means of communication, which at that time were few – radio – were held by the state. When a government becomes, seeks to become dictatorial, the first thing it does is take the means of communication in hand.

            I wanted to emphasize these things.

            And now, I refer to today’s meeting with young people. Young people are scandalized: here I will introduce the first question that had strayed from the topic of the trip. Young people are scandalized by the hypocrisy of older adults. They are scandalized by war; they are scandalized by contradiction; they are scandalized by corruption. And included in this corruption is what you highlighted, sexual abuse. It is true that there is an accusation against the Church, and we all know, we know the statistics, I will not state them here. But even had there been only a single priest who abused a boy or a girl, this would still be monstrous, because that man was chosen by God to lead that child to heaven. I understand that young people are scandalized about this, such large-scale corruption. They know that it is everywhere, but in the Church it is more scandalous, because we are supposed to lead the children to God, not destroy them. Young people try to make their way through experience. In the meeting with young people today it was very clear: they ask to be listened to; they ask for listening. They do not want fixed formulas. They do not want directorial support. And the second part of this question, which was the first one beyond the scope of the journey, was that “the Church is not doing what she should in this matter, in cleaning up this corruption”. I’ll take the Pennsylvania report, for example, and we see that until the early 1970s there were many priests who had fallen into this corruption. Then, in more recent times, they decreased because the Church realized that she had to grapple in another way. In times past, these things were covered up. They were also covered up in the home, when an uncle molested a niece, when a father molested his children: it was covered up, because it was a terrible disgrace. It was the way they thought in previous centuries, and in the last century. In this there is a principle that really helps me to interpret history: a historical fact should be interpreted with the hermeneutic of the time in which this fact occurred, not with today’s hermeneutic. For example: indigence. There have been many injustices, many atrocities. But they cannot be interpreted with a present day hermeneutic, when we have a different awareness. A final example: the death penalty. Even the Vatican, as a state, when it was a Pontifical state, had the death penalty; the last one, a criminal, a young man, was beheaded in around 1870. But then moral consciousness grew; the moral conscience grew.

            It is true that there are always loopholes; there are always hidden death sentences: you are old, you are bothersome, I will not give you medicine ..., and then they say “he passed away”. It is a modern  social death sentence. But I think with this I have responded. The Church: I take the example of Pennsylvania, you see the proportions and you see when the Church began to take notice of this, she put everything there. And in recent times I have received many, many convictions issued by the Congregation for the Doctrine of the Faith and I have said: “Continue, continue”. After a conviction I have never, never signed a request for clemency. This is not negotiable; there is no negotiation.

Greg Burke:

            Antonio Pelayo, “Vida nueva” Antena 3 (Spain):

Antonio Pelayo:

            Holy Father, three days ago an Agreement was signed between the Holy See and the government of the People’s Republic of China. Can you give us some additional information about this, about its content? Because some Chinese Catholics, in particular Cardinal Zen, accuse you of selling out the Church to the Communist government of Beijing, after many years of suffering. How do you respond to this accusation?

Pope Francis:

            This has been a years-long process, a dialogue between the Vatican Commission and the Chinese Commission, to find a solution concerning the appointment of bishops. The Vatican team worked very hard. I would lake to mention a few names: Msgr Celli, who patiently went, dialogued, returned … for years, years! Then, Msgr Rota Graziosi, a humble 72-year member of the Curia who wished to be a parish priest but remained in the Curia to help with this process. And then, the Secretary of State, Cardinal Parolin, who is a very devoted man, and has a particular attachment to the magnifying glass: he studies every document down to the period, comma, accent mark.... And this gives me a great deal of certitude. And this team, with these qualities, made progress. You know that when a peace agreement is sought or negotiation is undertaken, both sides lose something, this is the rule. Both sides. And progress is made. This process went like this: two steps forward, one back, two forward, one back...; then months passed without talking, and then.... They are God’s times, which resemble Chinese time: slowly.... This is wisdom, the wisdom of the Chinese. The situations of the bishops who were in difficulty were studied on a case by case basis, and in the end the dossiers arrived on my desk, and I was the one responsible for signing, in the case of the bishops. As for the Agreement, the drafts came across my desk, they were discussed, I shared my ideas, the others debated and they went ahead. I think about the resistance, of the Catholics who have suffered: it is true, they will suffer. There is always suffering with an agreement. But they have great faith and they write, they send messages, affirming that what the Holy See says, what Peter says, is what Jesus says: that is, the “martyrial” faith of these people moves forward today. They are great. And the Agreement that I signed, the Letters Plenipotentiary for the signing of that Agreement. I am responsible. The others, whom I appointed, have worked for over 10 years. It is not an improvisation: it is a journey, a true journey.

            And then, a simple anecdote and a historical fact, two things before ending. When that famous communique’ was released by a former Apostolic Nuncio, the episcopates of the world wrote to me, saying that they felt close, that they were praying for me; Chinese faithful also wrote, and the signature on this text was that of the bishop – so to speak – of the traditional Chinese Catholic Church and of the Patriotic Church: together, both of them, and the faithful of both Churches. For me, this was a sign of God. And the second thing: we forget that in Latin America – thank God this has been overcome! – we forget that for 350 years it was the kings of Portugal and Spain who nominated bishops. And the Pope gave only jurisdiction. We forget the case of the Austro-Hungarian Empire: Maria Teresa got tired of signing bishops’ appointments, and gave the jurisdiction to the Vatican. Other eras, thank God, that are not repeated! But the current case is not for the appointment: it is a dialogue about potential candidates. The matter is carried out through dialogue. But the appointment is by Rome; the appointment is by the Pope. This is clear. And we pray for the suffering of some who do not understand or who have many years of  clandestine existence  behind them.

            I thank you very much! They tell us that dinner is ready and the flight is not long. Thank you very much! Thank you very much for your work. And pray for me.

Greg Burke:

            Thank you, Holy Father. Enjoy your dinner and rest well.

[01486-EN.01] [Origial text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Greg Burke:

Guten Abend, Heiliger Vater. Vor allem danke. Drei Länder in vier Tagen, das ist nicht ganz einfach, das ist ein bisschen anstrengend .... Es schien ein wenig, als seien es vier Länder in vier Tagen gewesen, denn am ersten Tag gab es die Überraschung zu China, also haben wir auch das getan: wir haben uns China genähert. Versuchen wir, beim Thema zu bleiben – das haben wir schon oft gesagt – und über die Reise zu sprechen. Natürlich werden wir mit den Journalisten aus jedem Land der Reise beginnen, aber versuchen wir in der Pressekonferenz über die Reise in die baltischen Länder zu sprechen. Ich weiß nicht, ob Sie vorher etwas sagen wollen ...

Papst Franziskus:

Zunächst einmal vielen Dank für die Arbeit, die Sie geleistet haben, denn auch für Sie ist das nicht einfach, drei Länder in vier Tagen. Vor allem der Wechsel von einem Ort zum nächsten ist anstrengend. Vielen Dank für die Berichte, die Sie den Menschen über diese Reise geben, was das Wichtigste Ihrer Berichterstattung ist: das, was dort passiert ist ... Es gibt bei dieser Reise sehr interessante Dinge, und ich erwarte mir Fragen in diesem Sinn.

Greg Burke:

Danke. Die erste ist Saulena Žiugždaite von Bernardinai.LT (Litauen).

Saulena Žiugždaite:

Heiliger Vater, danke für diesen Moment und für die ganze Reise. Als Sie in Vilnius über die litauische Seele gesprochen haben, sagten Sie, dass wir eine Brücke zwischen Ost und West sein sollen. Aber es ist nicht einfach, eine Brücke zu sein: Man wird immer von anderen überquert. Einige sagen, unsere Tragödie ist, dass wir uns auf der Brücke befinden. Einer könnte auch sagen: „Es ist definitiv besser, Teil des Westens mit seinen Werten zu werden.“ Was meinten Sie damit, was bedeutet es, eine Brücke zu sein?

Papst Franziskus:

Es stimmt .... Es ist offensichtlich, dass Ihr Land heute politisch zum Westen, zur Europäischen Union gehört, und Sie haben viel dafür getan, um der Europäischen Union beizutreten. Nach der Unabhängigkeit haben Sie sofort alles Erforderliche erfüllt, was nicht einfach ist, und es ist Ihnen gelungen, der Europäischen Union beizutreten, was eine Zugehörigkeit zum Westen bedeutet. Sie haben auch Beziehungen zur NATO: Sie gehören der NATO an, und das bedeutet Westen. Wenn Sie nach Osten schauen, sehen Sie da Ihre Geschichte: eine harte Geschichte. Ein Teil der tragischen Geschichte kam auch aus dem Westen, von den Deutschen, von den Polen, aber vor allem vom Nationalsozialismus, dieser Teil kam aus dem Westen. Und was den Osten betrifft, vom Russischen Reich.

Brücken zu bauen verlangt und erfordert Stärke. Stärke nicht nur aus Ihrer Zugehörigkeit zum Westen, was Ihnen Stärke verleiht, sondern auch aus Ihrer Identität. Mir ist bewusst, dass die Situation in den drei baltischen Staaten immer in Gefahr ist, immer. Die Angst vor Invasion .... Weil eben die Geschichte Sie daran erinnert. Und Sie haben Recht, wenn Sie sagen, dass das nicht einfach ist, aber es ist eine Partie, die jeden Tag gespielt wird, Schritt für Schritt: über die Kultur, durch Dialog ... Es ist jedoch nicht einfach. Ich glaube, es ist unser aller Pflicht, Ihnen dabei zu helfen. Ihnen nicht nur zu helfen, sondern Ihnen im Herzen nahe zu sein.

Greg Burke:

Danke, Heiliger Vater. Die nächste Frage kommt von Gints Amolins von Latvijas Radio (Lettland).

Gints Amolins:

Guten Tag, Heiligkeit. In den baltischen Ländern haben Sie oft über die Bedeutung von Wurzeln und Identität gesprochen. Aus Lettland, aber auch aus Litauen und Estland, sind viele Menschen in wohlhabendere Länder gegangen und viele lassen sich dort schon fest nieder. Und dann gibt es, wie in Europa im Allgemeinen, auch demographische Probleme wegen der niedrigen Geburtenrate. Was können und sollten unsere Länder also in dieser Situation tun, die Verantwortlichen unserer Länder und auch jeder persönlich? Wie sollte man dieses Problem einschätzen?

Papst Franziskus:

In meiner Heimat kannte ich keine Menschen aus Estland und Lettland, während die litauische Einwanderung – relativ gesehen – sehr stark ist. Es gibt viele von ihnen in Argentinien. Und sie bringen ihre Kultur und Geschichte dorthin mit; sie sind stolz auf ihr doppeltes Bemühen, sich in das neue Land einzugliedern und auch ihre Identität zu bewahren. Bei ihren Festen sieht man traditionelle Kleidung, hört man traditionelle Lieder, und immer, sooft sie können, kehren sie auf Besuch in ihre Heimat zurück ... Ich denke, der Kampf um die Bewahrung ihrer Identität macht sie sehr stark; und Ihr Volk hat das: es hat eine starke Identität. Eine Identität, die sich im Leiden, in der Verteidigung und Arbeit, in der Kultur herausgebildet hat.

Und was kann man tun, um die Identität zu verteidigen? Die Rückkehr zu den Wurzeln ist wichtig. Die Identität ist etwas Altes, das jedoch weitergegeben werden muss. Identität ist ein Bestandteil der Zugehörigkeit zu einem Volk, und die Zugehörigkeit zu einem Volk muss vermittelt werden. Die Wurzeln müssen an die neuen Generationen weitergegeben werden, und zwar durch Bildung und Dialog, insbesondere zwischen Alt und Jung. Und das müssen Sie tun, denn Ihre Identität ist ein Schatz. Jede Identität ist ein Schatz, aber als Zugehörigkeit zu einem Volk verstanden. Das ist es, was mir in den Sinn kommt; ich weiß nicht, ob das Ihrer Frage entspricht ...

Greg Burke:

Danke, Heiliger Vater. Und jetzt, Evelyn Kaldoja von Postimees (Estland).

Evelyn Kaldoja:

Danke. Ich möchte die Frage auf Englisch stellen. In der heutigen Predigt haben Sie gesagt, dass es einige gibt, die nach dem Einsatz von Waffen und Armeen usw. rufen und damit drohen. Wenn man bedenkt, wo wir stehen, auf eben diesem Platz waren NATO-Soldaten, die zur Garantie nach Estland geschickt wurden. Viele haben an die Situation an den Ostgrenzen Europas gedacht. Sind Sie besorgt über die Spannungen in diesem Gebiet und über die Katholiken, die am Rande Europas leben?

Papst Franziskus:

Die Bedrohung durch Waffen. Heutzutage sind die weltweiten Ausgaben für Waffen skandalös. Man sagte mir, dass man mit dem, was man in einem Monat für Waffen ausgibt, alle Hungernden der Welt ein Jahr lang ernähren könnte. Ich weiß nicht, ob das wahr ist, es ist schrecklich. Die Rüstungsindustrie, der Waffenhandel, auch der Waffenschmuggel gehören zu den größten Formen der Korruption. Und dem geht die Logik der Verteidigung voraus. David konnte mit einer Schleuder und fünf Steinen siegen, aber heute gibt es keine Davids. Ich denke, dass es zur Verteidigung eines Landes eine angemessene und nicht aggressive Verteidigungsarmee braucht. Angemessen und nicht aggressiv. So ist Verteidigung legitim; und es ist auch eine Ehre, die Heimat so zu verteidigen. Das Problem entsteht, wenn etwas aggressiv wird, unverhältnismäßig und wenn Grenzkriege geführt werden. Wir haben viele Beispiele für Grenzkriege, nicht nur in Europa, im Osten, sondern auch auf anderen Kontinenten: Man streitet um Macht, um ein Land zu kolonialisieren. Das ist meiner Meinung nach die Antwort auf Ihre Frage. Die Rüstungsindustrie heute ist skandalös angesichts einer hungernden Welt. Zweitens: Es ist legitim und vernünftig, eine Armee zur Verteidigung der Grenzen zu haben, denn das ist ehrenvoll; so wie es legitim ist, einen Haustürschlüssel zu haben. Zum Schutz.

Greg Burke:

Danke, Heiliger Vater. Die nächste Frage kommt von der deutschen Gruppe: Stefanie Stahlhofen von der Deutschen Katholischen Agentur CIC (Deutschland).

Stefanie Stahlhofen:

Heiliger Vater, beim ökumenischen Treffen in Tallin haben Sie gesagt, dass die jungen Menschen hinsichtlich der Sex-Skandale keine klare Verurteilung durch die katholische Kirche sehen. In Deutschland ist genau heute eine neue Untersuchung über sexuellen Missbrauch erschienen und darüber, wie die Kirche mit vielen dieser Fälle umgegangen ist.

Papst Franziskus:

Darüber werde ich später sprechen. Ich beantworte zuerst die Fragen zur Reise. Danke. So ist es vorgesehen. Aber das wird die erste Frage nach denjenigen zur Reise sein.

Greg Burke:

Bleiben wir bei der Reise ...

Hier kommt ein Journalist vom Litauischen Radio und Fernsehen.

Edvardas Spokas:

Ich werde Englisch sprechen. In allen drei Ländern haben Sie sich für Offenheit ausgesprochen: Offenheit gegenüber Migranten, Offenheit gegenüber dem anderen. Aber in Litauen gab es zum Beispiel eine Auseinandersetzung wegen eines Mädchens, das Sie nach der Landung vor dem Flugzeug begrüßt hat: sie sah nicht ganz litauisch aus. Sie war zum Teil italienisch, mit einer leicht dunklen Hautfarbe … Meine Frage ist: Hören die Menschen in den baltischen Ländern nur das, was sie von Ihnen hören wollen, oder hören sie auf das, was Sie ihnen zu sagen versuchen? Hören sie auf Ihre Botschaft der Offenheit?

Papst Franziskus:

Die Botschaft der Offenheit gegenüber Migranten ist in Ihrem Volk ziemlich weit vorangekommen, es gibt keinen heftigen Populismus, nein. Auch Estland und Lettland sind offene Völker, die Migranten integrieren wollen, aber nicht massiv, weil es aus nicht möglich ist, sondern durch Klugheit der Regierung integrieren. Wir haben mit zwei der drei Staatsoberhäuptern darüber gesprochen, und sie haben das Thema angesprochen, nicht ich. Und in den Reden der Präsidenten werden Sie sehen, dass das Wort „Aufnahme“, „Offenheit“ häufig vorkommt. Dies deutet auf den Wunsch nach Universalität hin, soweit es möglich ist aufgrund des Platzes, der Arbeit usw.; soweit es möglich ist zu integrieren – das ist sehr wichtig – und soweit es keine Bedrohung für die eigene Identität darstellt. Das sind drei Dinge, die ich über die Migrationen von Menschen verstanden habe. Und das ist mir wichtig geworden: kluge und durchdachte Öffnung. Ich weiß nicht, ob Sie an etwas anderes denken.

Edvardas Spokas:

Meine Frage bezog sich darauf, wie Ihre Botschaft aufgenommen wurde.

Papst Franziskus:

Ich denke schon. In dem Sinn, wie ich es gesagt habe. Denn das Problem der Migranten auf der ganzen Welt – und nicht nur die externe, sondern auch die interne Migration auf den Kontinenten – ist heute ein ernstes Problem, es ist nicht einfach, es zu erforschen. In jedem Land, an jedem Ort, an jedem Platz hat es unterschiedliche Konnotationen.

Greg Burke:

Danke, Heiliger Vater, mit den Fragen zur Reise sind wir fertig.

Papst Franziskus:

Sehr gut. Ich möchte Ihnen etwas über einige Punkte der Reise sagen, die ich besonders stark erlebt habe.

Die Tatsache ihrer Geschichte, der Geschichte der baltischen Staaten. Es ist eine Geschichte von Invasionen, Diktaturen, Verbrechen, Deportationen … Als ich in Vilnius das Museum besucht habe – das Wort „Museum“ lässt uns an den Louvre denken … Nein, dieses Museum ist ein Gefängnis, wo die Häftlinge aus politischen oder religiösen Gründen hingebracht wurden. Und ich habe Zellen in der Größe dieses Sitzes hier gesehen, in denen man nur stehen konnte, Folterzellen. Ich habe Orte der Folter gesehen, wo man die Gefangenen in der Kälte, die in Litauen herrscht, nackt hingebracht und mit Wasser übergossen hat; sie blieben dort für Stunden, um ihren Widerstand zu brechen. Und dann bin ich in den Saal, in den großen Raum der Exekutionen gekommen. Die Gefangenen wurden dort mit Gewalt hingeführt und mit einem Genickschuss umgebracht; danach wurden sie mit einen Förderband hinausgebracht und auf einem Lastwagen aufgeladen, um sie in den Wald zu werfen. Pro Tag wurden ungefähr vierzig Gefangene umgebracht. Schließlich waren es circa fünfzehntausend Tote. Dies ist ein Teil der Geschichte Litauens, aber auch der anderen Länder. Das, was ich gesehen habe, war in Litauen. Dann ging ich an den Ort des großen Ghetto, wo Tausende von Juden umgebracht wurden. Am gleichen Nachmittag ging ich dann noch zum Mahnmal des Gedenkens an die Verurteilten, Ermordeten, Gefolterten, Deportierten. An diesem Tage – ich sage Ihnen die Wahrheit – war ich erledigt; er ließ mich über die Grausamkeit nachdenken. Ich sage Ihnen aber, auf der Grundlage der Informationen, die wir heute besitzen, dass die Grausamkeit noch nicht zu Ende ist. Die gleiche Grausamkeit findet sich heute an vielen Orten von Haftanstalten, sie findet sich heute in vielen Gefängnissen. Selbst die Überbelegung eines Gefängnisses ist ein Foltersystem, eine Art und Weise, ohne Würde zu leben. Ein Gefängnis heute, das nicht vorsieht, dem Häftling eine hoffnungsvolle Perspektive zu geben, ist schon eine Folter. Im Fernsehen haben wir die Grausamkeit der Terroristen des IS gesehen: der jordanische Pilot, der bei lebendigem Leib verbrannt wurde; die koptischen Christen, denen an einem Strand in Libyen die Kehlen durchschnitten wurden, und viele andere. Heute ist die Grausamkeit noch nicht zu Ende. Es gibt sie in der ganzen Welt. Und diese Botschaft möchte ich Ihnen als Journalisten mitgeben: Es ist ein Skandal, ein großer Skandal unserer Kultur und unserer Gesellschaft.

Eine weitere Sache, die ich in diesen drei Ländern gesehen habe, ist der Hass [des früheren Regime] gegen die Religion, welche Religion auch immer. Ich habe einen Jesuitenbischof – in Litauen oder in Lettland, ich erinnere mich nicht genau – gesehen, der nach Sibirien deportiert wurde, für zehn Jahre, und dann in ein anderes Lager kam … Jetzt ist er alt und lächelt … Viele Männer und Frauen wurden, weil sie ihren Glauben verteidigten, der ihre Identität bildete, gefoltert, wurden nach Sibirien verschleppt und kamen nicht zurück oder wurden umgebracht. Der Glaube in diesen drei Ländern ist groß; es ist ein Glaube, der eben aus dem Martyrium wächst. Das ist eine Sache, die Sie vielleicht gesehen haben, als Sie mit den Menschen gesprochen haben, wie Sie Journalisten es tun, um etwas über das Land zu erfahren.

Zudem hat diese so wichtige Erfahrung des Glaubens ein einzigartiges Phänomen in diesen Ländern hervorgebracht: ein ökumenisches Leben, wie es das in anderen Ländern nicht gibt, so verbreitet. Es gibt eine echte Ökumene: Ökumene zwischen Lutheranern, Baptisten, Anglikanern und auch Orthodoxen. Gestern in der Kathedrale, beim ökumenischen Treffen in Lettland, in Riga haben wir es gesehen – eine große Sache; Brüder und Schwestern, Nachbarn, gemeinsam in einer einzigen Kirche … Nachbarn. Die Ökumene hat dort Wurzeln geschlagen.

Es gibt noch ein weiteres Phänomen in diesen Ländern, das zu vertiefen wichtig ist, und vielleicht können Sie viel Gutes tun in Ihrem Beruf, wenn Sie das studieren: das Phänomen der Weitergabe der Kultur, der Identität und des Glaubens. Meistens geschah die Weitergabe durch die Großeltern. Warum? Weil die Väter arbeiteten, weil die Väter und Mütter arbeiten mussten, und sie mussten in die Partei eingegliedert sein – sowohl unter dem Sowjet- als auch dem Naziregime – und auch zum Atheismus erzogen werden. Die Großeltern jedoch haben es verstanden, den Glauben und die Kultur weiterzugeben. Als in Litauen der Gebrauch der litauischen Sprache verboten und sie aus den Schulen verbannt war, wurden, wenn sie zum – protestantischen oder katholischen – Gottesdienst gingen, die Gebetbücher kontrolliert, um zu sehen, ob sie in litauischer oder russischer oder deutscher Sprache waren. Und viele – eine Generation in jener Zeit – haben ihre Muttersprache von den Großeltern gelernt: Es waren die Großeltern, die ihnen das Schreiben und Lesen in ihrer Muttersprache beibrachten. Das gibt zu denken, und es wäre schön, manchen Artikel, manchen Fernsehbericht über die Weitergabe der Kultur, der Sprache, der Kunst, des Glaubens zu Zeiten der Diktatur und Verfolgung zu haben. Anderes war nicht denkbar, denn alle Kommunikationsmittel, die damals wenige waren – das Radio –, gehörten dem Staat. Wenn eine Regierung zur Diktatur wird, werden will, dann ist das Erste, was sie tut, die Kommunikationsmittel in ihre Hand zu bringen.

Diese Dinge wollte ich hervorheben.

Nun beziehe ich mich auf das Treffen mit den Jugendlichen heute. Die jungen Menschen nehmen Anstoß – ich greife hier die erste Frage auf, die außerhalb des Themas der Reise lag – die jungen Menschen nehmen Anstoß an der Heuchelei der Großen. Sie nehmen Anstoß an den Kriegen, an der Inkonsequenz, an der Korruption. Und im Zusammenhang mit der Korruption kommen wir zu dem, was Sie angemerkt haben, zu den sexuellen Missbräuchen. Es stimmt, es gibt eine Anklage an die Kirche, und wir alle kennen die Statistiken, die ich hier nicht wiederholen werde. Aber wenn es nur ein einziger Priester gewesen wäre, der einen Jungen, ein Mädchen missbraucht hätte, wäre dies schon schrecklich. Dieser Mann war nämlich von Gott dazu bestimmt, das Kind in den Himmel zu führen. Ich verstehe, dass die Jugendlichen an diesem so großen Verfall Anstoß nehmen. Sie wissen, dass es ihn überall gibt, aber in der Kirche ist es weitaus skandalöser, weil sie die Kinder zu Gott führen soll und sie nicht zerstören darf. Die jungen Menschen versuchen, durch Erfahrung ihren Weg zu finden. Beim Treffen mit den Jugendlichen heute wurde ganz klar: sie fordern, dass man zuhört, sie bitten um Gehör. Sie wollen keine festen Formeln. Sie wollen keine Begleitung in Form von Direktiven. Und der zweite Teil dieser Frage – es war die erste über das Thema der Reise hinaus – bestand darin, dass „die Kirche ihre Sache nicht so macht, wie sie es da tun sollte, in der Aufarbeitung solchen Verfalls“. Ich nehme den Bericht von Pennsylvania zum Beispiel, und wir sehen, dass bis in die Siebzigerjahre viele Priester so tief gefallen sind. In jüngerer Zeit waren es dann weniger, weil die Kirche gemerkt hat, dass sie auf andere Art und Weise dagegen kämpfen musste. In vergangenen Zeiten wurden diese Dinge vertuscht. Auch in den Familien wurden sie vertuscht, wenn ein Onkel die kleine Nichte vergewaltigte, wenn ein Vater die Kinder vergewaltigte: sie wurden vertuscht, weil es eine sehr große Schande war. Dies war die Denkweise der vergangenen Jahrhunderte und der letzten Jahrhunderts. Hier gibt es ein Prinzip, das mir sehr hilft, die Geschichte zu deuten: Ein historisches Ereignis muss mit der Hermeneutik der Zeit, in der dieses Ereignis geschehen ist, gedeutet werden, nicht mit der Hermeneutik von heute. Der Indigenismus, zum Beispiel. Es gab sehr viel Ungerechtigkeit, viel Brutalität. Er kann aber nicht mit der heutigen Hermeneutik gedeutet werden, da wir ein anderes Bewusstsein haben. Ein letztes Beispiel, die Todesstrafe. Auch im Vatikan als Staat, als er Kirchenstaat war, gab es die Todesstrafe. Die letzte Hinrichtung fand um 1870 statt, es handelte sich um einen Verbrecher, einen Jugendlichen. Dann aber wächst das moralische Bewusstsein, das moralische Bewusstsein wächst. Es stimmt, dass es immer Schlupfwege gibt, es immer versteckte Todesurteile gibt: Du bist alt, du bist nur lästig, ich gebe dir keine Medikamente … und dann heißt es: Er ist von uns gegangen. Das ist ein – soziales – Todesurteil heute. Ich meine, damit eine Antwort gegeben zu haben. Die Kirche: Ich nehme das Beispiel Pennsylvania. Schauen Sie auf das Verhältnis der Zahlen und Sie sehen, dass die Kirche, als sie sich dessen bewusst zu werden begann, sich ganz einsetzte. Und in den letzten Jahren habe ich viele, viele Urteile erhalten, welche die Kongregation für die Glaubenslehre erlassen hat; und ich habe gesagt: „Weiter, weiter.“ Nie, nie habe ich nach einer Verurteilung ein Gnadengesuch unterschrieben. Darüber wird nicht verhandelt, da gibt es kein Verhandeln.

Greg Burke:

Antonio Pelayo, von “Vida nueva” Antena 3 (Spanien)

Antonio Pelayo:

Heiliger Vater, vor drei Tagen wurde eine Vereinbarung zwischen dem Heiligen Stuhl und der Regierung der Volksrepublik China unterzeichnet. Können Sie uns dazu weitere Informationen geben, über den Inhalt? Denn einige chinesische Katholiken, besonders Kardinal Zen, beschuldigen Sie, nach vielen Jahren des Leides die Kirche an die kommunistische Regierung in Peking verkauft zu haben. Was sagen Sie zu dieser Anschuldigung?

Papst Franziskus:

Das ist ein jahrelanger Prozess, ein Dialog zwischen der vatikanischen und der chinesischen Kommission, um die Bischofsernennungen zu regeln. Die vatikanische Arbeitsgruppe war sehr fleißig. Ich möchte einige Namen nennen: Erzbischof Celli, der mit viel Geduld hingereist ist, Dialoge geführt hat und zurückgereist ist … und das über Jahre hinweg! Dann Prälat Rota Gaziosi, ein 72-jähriger demütiger Kurienmitarbeiter, der eigentlich Pfarrer sein wollte, aber in der Kurie verblieben ist, um bei diesem Prozess mitzuhelfen. Und dann Kardinalstaatssekretär Parolin, der ein sehr frommer Mann ist, mit einer besonderen Liebe zur Lupe: Jedes Dokument studiert er bis auf die Punkte, Kommas, Akzente … Und das gibt mir große Sicherheit. Diese Arbeitsgruppe, mit diesen Qualitäten, hat Fortschritte gemacht. Ihr wisst, dass bei einem Friedensvertrag oder bei Verhandlungen beide Seiten etwas verlieren, das ist die Regel. Beide Seiten. Und man macht weiter. Dieser Prozess war genauso: zwei Schritte vorwärts, einer zurück, zwei vor, einer zurück …; dann gab es Monate ohne Gespräche, und dann … Das ist das Zeitmaß Gottes, das dem chinesischen Zeitmaß ähnelt: langsam … Das ist die Weisheit, die Weisheit der Chinesen. Die Lage der Bischöfe, die sich in Schwierigkeiten befanden, wurde Fall für Fall untersucht, und am Schluss kamen die Dossiers auf meinen Schreibtisch und ich bin für die Unterschrift verantwortlich, was die Bischöfe betrifft. Bezüglich der Vereinbarung kamen die Entwürfe auf meinen Schreibtisch, man hat darüber geredet, ich habe meine Ideen geäußert, andere haben darüber diskutiert und weitergearbeitet. Ich muss an den Widerstand denken, an die Katholiken, die gelitten haben: es stimmt, sie werden leiden. Bei einem Abkommen gibt es immer Leid. Aber sie besitzen einen großen Glauben und schreiben oder teilen ihr Überzeugung mit, dass das, was der Heilige Stuhl, was Petrus sagt, das ist, was Jesus sagt: das heißt, der „Märtyrerglauben“ dieser Leute besteht heute weiter. Das sind großartige Menschen. Und die Vereinbarung habe ich unterzeichnet, also die Bevollmächtigungsbriefe, damit diese Vereinbarung unterzeichnet werden konnte. Ich bin der Verantwortliche. Die anderen, die ich ernannt habe, haben mehr als zehn Jahre daran gearbeitet. Das ist keine Improvisation: das ist ein Weg, ein wirklicher Weg.

Jetzt erzähle ich noch eine einfache Anekdote und eine historische Begebenheit, zwei Dinge noch zum Schluss. Als es diese berühmte Mitteilung eines ehemaligen Apostolischen Nuntius gab, haben mir Bischöfe aus aller Welt geschrieben, dass sie mir nahe sind und für mich beten. Auch die chinesischen Gläubigen haben geschrieben, und die Unterschriften auf diesem Brief waren von einem Bischof der – sagen wir so – traditionell katholischen Kirche und von einem Bischof der patriotischen Kirche: beide, zusammen, und Gläubige beider Kirchen. Das war für mich ein Zeichen Gottes. Und die zweite Sache: Wir vergessen, dass in Lateinamerika – zum Glück ist das überwunden! – über 350 Jahre hinweg die Könige von Portugal und Spanien die Bischöfe ernannt haben. Der Papst verlieh nur die Jurisdiktionsgewalt. Wir vergessen auch, wie es im Habsburgerreich war: Maria Theresia war es leid, Bischofsernennungen zu unterschreiben, und hat dieses Recht an den Vatikan abgetreten. Das waren Gott sei Dank andere Zeiten, die sich hoffentlich nicht wiederholen! Aber im aktuellen Fall geht es nicht um die Ernennung: es ist ein Dialog über die möglichen Kandidaten. Die Sache geschieht im Dialog. Aber die Ernennung ist Sache Roms; die Ernennung erfolgt durch den Papst, das ist klar. Beten wir für die Leiden derer, die das nicht verstehen oder die viele Jahre im Untergrund gelebt haben.

Ich danke Ihnen vielmals! Man sagt uns, dass das Abendessen fertig ist und der Flug dauert nicht lang. Vielen Dank! Danke für Ihre Arbeit. Und beten Sie für mich.

Greg Burke:

Danke Ihnen, Heiliger Vater. Gesegnetes Abendessen und angenehme Ruhe.

[01486-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

Greg Burke:

Buenas noches, Santo Padre. Sobre todo, gracias. Tres países en cuatro días, no es muy fácil, es un poco cansado... Parecía poco cuatro países en cuatro días, porque el primer día fue la sorpresa de China, por lo tanto, hemos hecho también esto: nos hemos acercado a China. Intentemos permanecer en el tema —esto lo hemos dicho muchas veces—, hablar del viaje. Ciertamente, comenzaremos con los periodistas locales de cada país, pero intentemos en la rueda de prensa hablar del viaje en los países bálticos. No sé si usted quiere decir algo antes.

Papa Francisco:

Ante todo, agradeceros por el trabajo que habéis hecho, porque también para vosotros, tres países en cuatro días, no es fácil. Sobre todo, trasladarse de una parte a otra es cansado. Os agradezco mucho por el servicio que ofrecéis a la gente sobre este viaje, que es lo más importante de vuestra comunicación: lo que sucedió allí. Hay muchas cosas interesantes en este viaje y espero preguntas en este sentido.

Greg Burke:

Gracias. La primera es Saulena Žiugždaite, Bernardinai.LT, de Lituania.

Saulena Žiugždaite:

Santo Padre, gracias por este momento y por todo este viaje. Cuando habló en Vilna del alma lituana, dijo que debíamos ser puentes entre el Este y el Oeste. Pero no es fácil ser un puente: los demás te atraviesan siempre. Alguien dice que nuestra tragedia es que estamos sobre el puente. Tal vez uno dice: “Decididamente, es mejor formar parte de Occidente con sus valores”. ¿Usted qué quería decir, qué significa ser un puente?

Papa Francisco:

Es cierto; es evidente que vosotros formáis parte, hoy, políticamente de Occidente, de la Unión Europea y habéis hecho tanto para entrar en la Unión Europea. Después de la independencia, inmediatamente habéis llevado a cabo todos los requisitos, que no son fáciles y habéis sido capaces de entrar en la Unión Europea, es decir, una pertenencia a Occidente. Tenéis también relaciones con la OTAN: pertenecéis a la OTAN, y esto dice Occidente. Si miráis a Oriente, está vuestra historia: una historia dura. También parte de la historia trágica vino desde Occidente, de los alemanes, de los polacos, pero sobre todo, del nazismo, eso vino desde Occidente. Por lo que respecta a Oriente, del imperio ruso.

Tender puentes supone, exige fortaleza. Fortaleza no solo por la pertenencia a Occidente, que os da fortaleza, sino por la propia identidad. Me doy cuenta de que la situación de los tres países bálticos está siempre en peligro, siempre. El miedo de la invasión… porque la historia misma os recuerda eso. Y usted tiene razón cuando dice que no es fácil, pero este es un partido que se juega cada día, un paso después de otro: con la cultura, con el diálogo... Pero no es fácil. Creo que el deber de todos nosotros es ayudaros en esto. Más que ayudaros, es estar cerca de vosotros, con el corazón.

Greg Burke:

Gracias, Santo Padre. La próxima pregunta viene de Gints Amolins, Latvijas Radio (Letonia).

Gints Amolins:

Buenos días, Santidad. En los países bálticos, usted habló a menudo de la importancia de las raíces y de la identidad. De Letonia, y también de Lituania y de Estonia, hay muchas personas que se han ido a países más prósperos y muchos están ya echando raíces en otra parte. Y después, hay también, como en Europa en general, problemas demográficos a causa de la baja natalidad. Por lo tanto, en esta situación, ¿qué pueden y deben hacer nuestros países, los líderes de nuestros países y también cada uno personalmente? ¿Cómo se debería considerar este problema?

Papa Francisco:

En mi patria no conocía a gente de Estonia ni de Letonia, mientras que es muy fuerte —en términos relativos— la inmigración lituana. En Argentina hay muchos. Y ellos llevan allí la cultura, la historia y están orgullosos del doble esfuerzo de introducirse en el país nuevo y también de conservar su identidad. En sus fiestas están los vestidos tradicionales, los cantos tradicionales y siempre, cada vez que pueden, vuelven a su patria de visita. Pienso que la lucha para mantener la identidad les hace muy fuertes y vosotros tenéis esto: tenéis una identidad fuerte. Una identidad que se ha formado en el sufrimiento, en la defensa y en el trabajo, en la cultura.

¿Y qué se puede hacer para defender la identidad? El recurso a las raíces, esto es importante. La identidad es algo antiguo, pero debe transmitirse. La identidad se inserta en la pertenencia a un pueblo, y la pertenencia a un pueblo hay que transmitirla. Las raíces hay que transmitirlas a las nuevas generaciones, y esto con la educación y con el diálogo, sobre todo entre ancianos y jóvenes. Y debéis hacerlo, porque vuestra identidad es un tesoro. Cada identidad es un tesoro, pero concebida como pertenencia a un pueblo. Esto es lo que se me ocurre, no sé si corresponde a su pregunta.

Greg Burke:

Gracias, Santo Padre. Y ahora, Evelyn Kaldoja, Postimees (Estonia).

Evelyn Kaldoja:

Gracias. Quisiera hacer la pregunta en inglés. En la homilía de hoy, usted ha dicho que hay algunos que gritan y amenazan con el uso de armas y el empleo de los ejércitos, etcétera. Considerando dónde nos encontrábamos, en aquella misma plaza había soldados de la OTAN que fueron enviados a Estonia como título de garantía. Muchos pensaron en la situación de los confines orientales de Europa. ¿Usted está preocupado por las tensiones en esa área y por los católicos que viven a uno y otro lado de las fronteras de Europa?

Papa Francisco:

La amenaza de las armas. Hoy los gastos mundiales en armas son escandalosos. Me decían que con lo que se gasta en armas en un mes se podría dar de comer a todos los hambrientos del mundo durante un año. No sé si será verdad. Es terrible. La industria, el comercio de las armas, también el contrabando de las armas es una de las corrupciones más grandes. Y antes que esto está la lógica de la defensa. David fue capaz de vencer con una honda y cinco piedras, pero hoy no existen los David. Y creo que para defender a un país debe haber un ejército de defensa razonable y no agresivo. Razonable y no agresivo. Así la defensa es lícita y es también un honor defender la patria. El problema viene cuando se convierte en agresivo y no razonable, y se hacen las guerras de frontera. De guerras de frontera tenemos tantos ejemplos, no solo en Europa, hacia el Este; sino también en los demás continentes. Se pelea por el poder, para colonizar un país. Esta es, a mi parecer, la respuesta sobre su pregunta. Es escandalosa hoy la industria de las armas ante un mundo hambriento. Segundo, es lícito y razonable tener un ejército para defender las fronteras, porque esto honra; como es lícito tener la llave de la puerta de la casa. Por defensa.

Greg Burke:

Gracias, Santo Padre. La próxima pregunta es del grupo alemán: Stefanie Stahlhofen, de la agencia católica alemana CIC (Alemania).

Stefanie Stahlhofen:

Santo Padre, en el encuentro ecuménico en Tallin usted dijo que los jóvenes no ven una condena clara por parte de la Iglesia católica frente a los escándalos sexuales. En Alemania ha sido publicada hoy una nueva investigación sobre los abusos sexuales y cómo la Iglesia ha tratado tantos casos.

Papa Francisco:

Sobre esto hablaré después. Responderé primero a las preguntas sobre el viaje. Gracias. Esta es la regla. Pero será la primera pregunta después de las del viaje.

Greg Burke:

Permanezcamos sobre el viaje.

Ahora un periodista de la Radio-Televisión Lituana.

Edvardas Spokas:

Hablaré en inglés. En los tres países, usted se ha declarado a favor de la apertura: apertura a los migrantes, apertura al otro. Pero, por ejemplo, en Lituania ha habido una confrontación sobre el suceso de una chica que le saludó cuando aterrizó, frente al avión: no tenía un aspecto precisamente lituano. Era en parte italiana, con la piel un poco oscura... Mi pregunta es: en los países bálticos, ¿las personas escuchan de usted solamente lo que quieren escuchar o escuchan lo que usted está intentando decirles? ¿Escuchan su mensaje sobre la apertura?

Papa Francisco:

El mensaje sobre la apertura a los migrantes está bastante adelante en vuestro pueblo, no hay fuertes focos populistas. También Estonia y Letonia son pueblos abiertos que quieren integrar a los migrantes, pero no de forma masiva, porque no se puede, integrarlos con la prudencia del gobierno. Hemos hablado de esto con dos de los tres jefes de estado y el argumento lo han tocado ellos, no yo. Y en los discursos de los presidentes, usted verá que las palabras “acogida”, “apertura” son frecuentes. Esto indica una voluntad de universalidad, en la medida en la que se puede, por espacio, trabajo, etcétera; en la medida en la que se pueda integrar —esto es muy importante— y en la medida en la que no sea una amenaza contra la propia identidad. Son tres cosas que yo he entendido sobre las migraciones del pueblo. Y esto me ha conmovido mucho: apertura prudente y bien pensada. No sé si usted piensa otra cosa.

Edvardas Spokas:

Mi pregunta se refería a cómo ha sido recibido su mensaje.

Papa Francisco:

Yo creo que sí. En este sentido que he dicho. Porque hoy, el problema de los migrantes en todo el mundo —y no solo la migración externa, sino también interna en los continentes— es un problema grave y no es fácil estudiarlo. En cada país, en cada sitio, en cada lugar tiene connotaciones diferentes.

Greg Burke:

Gracias, Santo Padre; con las preguntas sobre el viaje hemos terminado.

Papa Francisco:

Muy bien. Quisiera deciros yo algo sobre algunos puntos del viaje que he vivido con una fuerza especial.

El hecho de vuestra historia, de la historia de los países bálticos: una historia de invasiones, de dictaduras, de crímenes, de deportaciones... Cuando visité el Museo, en Vilna: “museo” es una palabra que nos hace pensar en el Louvre. No. Ese Museo es una cárcel, es una cárcel en la cual eran llevados los detenidos, por razones políticas o religiosas. Y he visto celdas del tamaño de este asiento, donde se podía estar solamente de pie, celdas de tortura. He visto lugares de tortura donde, con el frío que hace en Lituania, llevaban a los prisioneros desnudos y echaban sobre ellos agua, y allí permanecían por horas y horas, para romper su resistencia. Y después entré en el aula, en la sala grande de las ejecuciones. Los prisioneros eran llevados allí por la fuerza y asesinados con un disparo en la nuca; después se les subía en una cinta transportadora y cargados en un camión se les tiraba en el bosque. Más o menos mataban cuarenta al día. Al final fueron unos quince mil los que fueron asesinados allí. Esto forma parte de la historia de Lituania, pero también de los otros países. Lo que he visto era en Lituania. Después fui al lugar del Gran Gueto, donde fueron asesinados miles de judíos. Después, en la misma tarde, fui al Monumento a la memoria de los condenados, asesinados, torturados, deportados. Ese día —os digo la verdad— quedé destrozado: me hizo reflexionar sobre la crueldad. Pero os digo que, en base a las informaciones que tenemos hoy, la crueldad no ha terminado. La misma crueldad se encuentra hoy en muchos lugares de detención, en muchas cárceles; también la superpoblación de una cárcel es un sistema de tortura, una forma de vivir sin dignidad. Una cárcel que actualmente no prevé dar al detenido una perspectiva de esperanza, ya es una tortura. Después hemos visto, en televisión, la crueldad de los terroristas del Estado Islámico: ese piloto jordano quemado vivo, esos cristianos coptos degollados en la playa de Libia, y muchos otros. Hoy la crueldad no ha terminado. Existe en todo el mundo. Y este mensaje quisiera transmitirlo a vosotros, como periodistas: esto es un escándalo, un grave escándalo de nuestra cultura y de nuestra sociedad.

Lo que he visto también en estos tres países es el odio [del régimen anterior] por la religión, cualquiera que sea. El odio. Vi un obispo jesuita, en Lituania o en Letonia, no recuerdo bien, que estuvo deportado en Siberia, diez años, después en otro campo de concentración... Ahora es anciano, sonriente... Muchos hombres y mujeres, por haber defendido la propia fe, que era su identidad, fueron torturados y deportados en Siberia, y no volvieron; o fueron asesinados. La fe en estos tres países es grande, es una fe que nace precisamente del martirio, y esta es una cosa que quizá vosotros habéis visto, hablando con la gente, como hacéis vosotros periodistas, para tener noticias del país.

Además, esta experiencia de fe tan importante ha producido un fenómeno particular en estos países: una vida ecuménica como no hay en otros, muy generalizada. Hay un verdadero ecumenismo: ecumenismo entre luteranos, baptistas, anglicanos y también ortodoxos. En la catedral, ayer, en el encuentro ecuménico en Letonia, en Riga, lo hemos visto: algo grande; hermanos, vecinos, juntos en una sola iglesia..., cercanos. El ecumenismo ha echado raíces ahí.

Después hay otro fenómeno en estos países que es importante estudiar, y quizás vosotros podéis hacer tantas cosas buenas en vuestro trabajo, estudiando esto: el fenómeno de la transmisión de la cultura, de la identidad y de la fe. Normalmente, la transmisión se hizo por los abuelos. ¿Por qué? Porque los padres trabajaban, papá y mamá debían trabajar, y tenían que estar aliados en el partido —tanto en el régimen soviético como en el nazi— y también educados en el ateísmo. Pero los abuelos han sabido transmitir la fe y la cultura. En el tiempo en el que en Lituania estaba prohibido el uso de la lengua lituana, se había quitado de las escuelas, cuando iban al servicio religioso —tanto protestante como católico— tomaban los libros de oración para ver si estaban en lengua lituana o en lengua rusa o alemana. Y muchos —una generación, en esa época— aprendieron la lengua materna de los abuelos: eran los abuelos que enseñaban a escribir y a leer la lengua madre. Esto nos hace pensar y sería bonito algún artículo, algún servicio televisivo sobre la transmisión de la cultura, de la lengua, del arte, de la fe en momentos de dictadura y de persecución. No se podía pensar en otra cosa, porque todos los medios de comunicación, que en ese tiempo eran pocos —la radio— estaban controlados por el Estado. Cuando un gobierno se convierte, quiere convertirse en dictatorial, lo primero que hace es apropiarse de los medios de comunicación.

Estas cosas he querido subrayar.

Y ahora, me refiero al encuentro de hoy con los jóvenes. Los jóvenes se escandalizan: introduzco aquí la primera pregunta que está fuera del tema del viaje. Los jóvenes se escandalizan por la hipocresía de los poderosos. Se escandalizan por las guerras, se escandalizan de la incoherencia, se escandalizan de la corrupción. Y en esto de la corrupción entra lo que usted subrayaba de los abusos sexuales. Es verdad que hay una acusación a la Iglesia, y todos sabemos, conocemos las estadísticas, yo no lo diré aquí. Pero, aunque hubiera sido un solo sacerdote el que haya abusado de un niño, de una niña, sería igualmente monstruoso, porque ese hombre fue elegido por Dios para llevar al niño al cielo. Yo entiendo que los jóvenes se escandalicen de esta corrupción tan grande. Saben que está por todos lados, pero en la Iglesia es más escandaloso, porque se debe llevar a los niños a Dios, y no destruirlos. Los jóvenes tratan de hacer camino con la experiencia. El encuentro con los jóvenes, hoy, era muy claro: ellos piden escucha, piden escucha. No quieren fórmulas fijas. No quieren un acompañamiento directivo. Y la segunda parte de esta pregunta, que era la primera fuera del viaje, era que “la Iglesia no hace las cosas como debe en esto, en el limpiar esta corrupción”. Tomo el informe de Pensilvania, por ejemplo, y vemos que hasta los primeros años de los 70 había muchos sacerdotes que cayeron en esta corrupción. Después, en tiempos más recientes, han disminuido porque la Iglesia se ha dado cuenta que debía luchar de otra manera. En los tiempos pasados, estas cosas se cubrían. Se cubrían también en casa, cuando el tío violaba a la sobrina, cuando el padre violaba a los hijos: se cubrían, porque era una vergüenza muy grande. Era la forma de pensar de los siglos pasados, y del siglo pasado. En esto, hay un principio que a mí me ayuda mucho para interpretar la historia: un hecho histórico debe ser interpretado con la hermenéutica de la época en la cual ha sucedido este hecho, no con una hermenéutica de hoy. Por ejemplo: el indigenismo. Ha habido muchas injusticias, muchas brutalidades. Pero no puede ser interpretado con la hermenéutica de hoy, cuando tenemos otra conciencia. Otro ejemplo: la pena de muerte. También el Vaticano como Estado, cuando era Estado Pontificio, tenía la pena de muerte; el último fue decapitado en torno a 1870, un criminal, un joven. Pero después la conciencia moral crece, la conciencia moral crece. Es verdad que siempre hay lagunas, siempre hay condenas a muerte escondidas: tú eres viejo, molestas, no te doy los medicamentos..., y después se dice: “se ha ido”. Es una condena a muerte —social— de hoy. Creo que con esto he respondido. La Iglesia: tomo el ejemplo de Pensilvania, mirad las proporciones y ved que cuando la Iglesia ha empezado a tomar conciencia de esto, ha hecho de todo. Y en los últimos tiempos yo he recibido muchas, muchas condenas emitidas por la Congregación para la Doctrina de la Fe y he dicho: “Adelante, adelante”. Nunca, nunca he firmado, después de una condena, una petición de gracia. Sobre esto no se negocia, no hay negociación.

Greg Burke:

Antonio Pelayo, de “Vida nueva”, Antena 3 (España).

Antonio Pelayo:

Santo Padre, hace tres días se ha firmado un Acuerdo entre la Santa Sede y el gobierno de la República Popular China. ¿Puede darnos alguna información suplementaria sobre esto, sobre el contenido? Porque algunos católicos chinos, en particular el cardenal Zen, le acusan de haber vendido la Iglesia al gobierno comunista de Pekín, después de tantos años de sufrimiento. ¿Qué responde a esta acusación?

Papa Francisco:

Este es un proceso de años, un diálogo entre la Comisión vaticana y la Comisión china, para arreglar el nombramiento de los obispos. El equipo vaticano ha trabajado mucho. Quisiera dar algunos nombres: monseñor Celli, que con paciencia ha ido, ha dialogado, ha vuelto... años, años. Después, monseñor Rota Graziosi, un humilde curial de 72 años que quería ser sacerdote en parroquia, pero se ha quedado en la Curia para ayudar en este proceso. Y después, el Secretario de Estado, el cardenal Parolin, que es un hombre muy devoto, pero tiene una devoción especial a la lupa: todos los documentos los estudia punto, coma, acentos... Y esto me da una seguridad muy grande. Y este equipo, con estas cualidades, ha ido adelante. Vosotros sabéis que cuando se hace un acuerdo de paz o una negociación, las dos partes pierden algo, esta es la regla. Ambas partes. Y se va adelante. Este proceso ha ido así: dos pasos adelante, uno atrás, dos adelante, uno atrás...; después pasaron meses sin hablarse, y después... Son los tiempos de Dios, que se parecen al tiempo chino: lentamente.... Esta es sabiduría, la sabiduría de los chinos. Las situaciones de los obispos que estaban en dificultad han sido estudiadas caso por caso, y al final los documentos han llegado a mi escritorio y he sido yo el responsable de la firma, en el caso de los obispos. En lo que se refiere al Acuerdo, han pasado los borradores por mi escritorio, se hablaba, daba mis ideas, los otros discutían e iban adelante. Pienso en la resistencia, en los católicos que han sufrido: es verdad, ellos sufrirán. En un acuerdo siempre hay sufrimiento. Pero ellos tienen una gran fe y escriben, hacen llegar mensajes, afirmando que lo que la Santa Sede, lo que Pedro dice, es lo que dice Jesús: es decir la fe “martirial” de esta gente hoy va adelante. Son grandes. Y el Acuerdo lo he firmado yo, las Cartas Plenipontenciarias para firmar ese Acuerdo. Yo soy el responsable. Los otros, que he nombrado, han trabajado durante más de diez años. No es una improvisación: es un camino, un verdadero camino.

Y después, una sencilla anécdota y un dato histórico, dos cosas antes de acabar. Cuando hubo ese famoso comunicado de un ex nuncio apostólico, los episcopados del mundo me han escrito diciendo que se sentían cercanos, que rezaban por mí; también los fieles chinos han escrito, y la firma de este escrito era del obispo —digamos así— de la Iglesia tradicional católica y del obispo de la Iglesia patriótica: juntos, los dos, y los fieles de las dos Iglesias. Para mí, esto ha sido un signo de Dios. Y lo segundo: no olvidemos que en América Latina —gracias a Dios esto se ha superado— durante 350 años fueron los reyes de Portugal y España los que nombraban a los obispos. Y el Papa daba solamente la jurisdicción. Olvidamos el caso del Imperio austrohúngaro: María Teresa se cansó de firmar nombramientos de obispos, y dio la jurisdicción al Vaticano. Otras épocas, gracias a Dios, que no se repitan. Pero el caso actual no es por el nombramiento: es un diálogo sobre los eventuales candidatos. Se hace en diálogo. Pero el nombramiento pertenece a Roma; el nombramiento es del Papa, esto está claro. Y rezamos por los sufrimientos de algunos que no entienden o que tienen sobre los hombros muchos años de clandestinidad.

Os agradezco mucho. Nos dicen que la cena está preparada, y el vuelo no es largo. Muchas gracias. Muchas gracias por vuestro trabajo. Y rezad por mí.

Greg Burke:

Gracias a usted, Santo Padre. Buena cena y buen descanso.

[01486-IT.ES.01] [Texto original: Italiano

Traduzione in lingua portoghese

Greg Burke:

Boa noite, Santo Padre. Obrigado, sobretudo. Três países em quatro dias, não é muito fácil, é um pouco cansativo... E de algum modo pareceu quatro países em quatro dias, porque no primeiro dia houve a surpresa da China; assim fizemos também isto: aproximamo-nos da China. Procuremos cingir-nos ao tema – já o dissemos tantas vezes –, falar da Viagem. Certamente começaremos pelos jornalistas locais de cada um dos três países, mas procuremos na Conferência de Imprensa falar da Viagem aos países bálticos. Não sei se o Santo Padre quer dizer alguma coisa antes...

Papa Francisco:

Antes de mais nada, quero agradecer-vos pelo trabalho que fizestes, porque, também para vós, três países em quatro dias não é fácil. Sobretudo deslocar-se duma parte para a outra é cansativo. Agradeço-vos imenso pelo serviço que oferecestes às pessoas sobre esta Viagem, que é o mais importante da vossa comunicação: o que sucedeu nela. Houve coisas muito interessantes nesta Viagem; e espero as perguntas nesse sentido.

Greg Burke:

Obrigado. A primeira é Saulena Žiugždaite, Bernardinai.LT, da Lituânia.

Saulena Žiugždaite:

Santo Padre, obrigado por este momento e por toda esta Viagem. Em Vilna, ao falar da alma lituana, disse que devemos ser ponte entre o Oriente e o Ocidente. Mas não é fácil ser uma ponte: és sempre atravessado pelos outros. Alguém diz que a nossa tragédia é estarmos sobre a ponte. Não falta quem diga: «Decididamente é melhor tornar-se parte do Ocidente com os seus valores». Santidade, que pretendia dizer com aquilo, que significa ser uma ponte?

Papa Francisco:

É verdade! É evidente que hoje fazeis parte, politicamente, do Ocidente, da União Europeia, e fizestes um grande esforço para entrar na União Europeia. Depois da independência, imediatamente cumpristes todas as formalidades – não são fáceis – e conseguistes entrar na União Europeia, o que significa pertença ao Ocidente. Tendes também relações com a Nato: pertenceis à Nato e isto diz Ocidente. Se olhardes para o Oriente, tendes a vossa história: uma história dura. Bem, parte da história trágica veio do Ocidente, dos alemães, dos polacos, mas sobretudo do nazismo. Esta parte veio do Ocidente; e a parte referente ao Oriente, do Império Russo.

Fazer pontes supõe, exige fortaleza. Fortaleza não só para a pertença ao Ocidente, que vos dá fortaleza, mas para a própria identidade. Dou-me conta de que a situação dos três países bálticos está sempre em perigo, sempre. O medo da invasão... Porque a própria história vos lembra isto. E a senhora tem razão quando diz que não é fácil, mas esta é uma partida que se joga todos os dias, um passo depois do outro: com a cultura, com o diálogo... Mas não é fácil. Creio que é dever de todos nós ajudar-vos nisto. Mais do que ajudar-vos, estar-vos próximos com o coração.

Greg Burke:

Obrigado, Santo Padre. A próxima pergunta é de Gints Amolins, Latvijas Rádio (Letónia)

Gints Amolins:

Bom dia, Santidade! Nos países bálticos, falou frequentemente sobre a importância das raízes e da identidade. Da Letónia, mas também da Lituânia e da Estónia, há muitas pessoas que partiram para países mais prósperos, e muitos já estão a criar raízes noutro lugar. Além disso, temos também problemas demográficos – como na Europa em geral – devido à baixa taxa de natalidade. Assim, nesta situação, que podem, e deveriam, fazer os nossos países, os líderes dos nossos países e mesmo cada um pessoalmente? Como se deveria avaliar este problema?

 

Papa Francisco:

Na minha Pátria, não conhecia pessoas da Estónia nem da Letónia, ao passo que é muito forte, relativamente, a imigração lituana. Na Argentina, há muitos lituanos. E levam para lá a cultura, a história e sentem-se orgulhosos neste duplo esforço de se inserir no novo país e ao mesmo tempo conservar a sua identidade. Nas suas festas, há os trajes tradicionais, os cânticos tradicionais e sempre – as vezes que lhes é possível – voltam para visitar a Pátria... Penso que a luta para manter a identidade torna-os muito fortes, e vós possuís isto: tendes uma identidade forte. Uma identidade que se formou na tribulação, na defesa e no trabalho, na cultura.

E, para defender a identidade, que se pode fazer? O recurso às raízes: isto é importante. A identidade é uma realidade antiga, mas que deve ser transmitida. A identidade insere-se na pertença a um povo, e a pertença a um povo deve ser transmitida. As raízes devem ser transmitidas às novas gerações com a educação e o diálogo sobretudo entre idosos e jovens. E deveis fazê-lo, porque a vossa identidade é um tesouro. Toda a identidade é um tesouro, mas concebida como pertença a um povo. Isto é o que me vem à mente, não sei se responde à tua pergunta...

Greg Burke:

Obrigado, Santo Padre! E agora, Evelyn Kaldoja, Postimees (Estónia)

Evelyn Kaldoja:

Obrigado! Gostaria de fazer a pergunta em inglês. [tradução] Na homilia de hoje, o Santo Padre disse que há alguns que gritam e ameaçam com o uso das armas e o envio dos exércitos, etc... etc... Atendendo ao local onde nos encontrávamos – naquela mesma praça havia soldados da Nato, que foram enviados a título de garantia para a Estónia – muitos pensaram na situação que se vive nas fronteiras orientais da Europa. Santidade, está preocupado com as tensões naquela área e com os católicos que vivem nas fronteiras da Europa?

Papa Francisco:

A ameaça das armas. Hoje, as despesas mundiais para armas são escandalosas. Diziam-me que se poderia, com aquilo que se gasta em armas num mês, dar de comer a todas as pessoas famintas do mundo durante um ano. Não sei se é verdade; mas é terrível. A indústria, o comércio das armas, o próprio contrabando de armas é uma das maiores corrupções. E, antes disso, temos a lógica da defesa. David foi capaz de vencer com uma funda e cinco pedras, mas hoje não há «davides». Creio que, para defender um país, seja preciso um razoável e não agressivo exército de defesa. Razoável e não agressivo. Deste modo, é lícita a defesa; e defender assim a Pátria é também uma honra. O problema surge quando se torna agressivo, não razoável… e fazem-se as guerras de fronteira. De guerras de fronteira, temos muitos exemplos, não só na Europa, a Leste, mas também noutros continentes: litiga-se pelo poder, para colonizar um país. A meu ver, a resposta à sua pergunta é esta: hoje, à vista dum mundo faminto, é escandalosa a indústria das armas; segundo, é lícito, razoável ter um exército para defender as fronteiras: isso é honroso; como é lícito ter a chave da porta de casa. Para defesa.

Greg Burke:

Obrigado, Santo Padre. A próxima pergunta é do grupo alemão: Stefanie Stahlhofen, da Agência Católica Alemã CIC (Alemanha)

Stefanie Stahlhofen:

Santo Padre, no encontro ecuménico em Tallinn, disse que os jovens não veem uma condenação clara dos escândalos sexuais por parte da Igreja Católica. Na Alemanha, saiu precisamente hoje um novo inquérito sobre os abusos sexuais e sobre a forma como a Igreja tratou tantos casos.

Papa Francisco:

Sobre isto, falarei depois. Antes, responderei às perguntas sobre a Viagem. Obrigado! Esta é a regra... Mas, depois das relativas à Viagem, a sua será a primeira pergunta.

Greg Burke:

Continuamos sobre a Viagem... Chega um jornalista da Rádio-Televisão lituana.

Edvardas Spokas:

Falarei em inglês. Nos três países, o Santo Padre declarou-se a favor da abertura: abertura para com os migrantes, abertura para com o outro. Mas na Lituânia, por exemplo, gerou controvérsia o caso duma jovem que saudou o Santo Padre no momento da aterragem, junto do avião: a aparência não era muito lituana; era em parte italiana, com uma pele levemente escura... A minha pergunta: as pessoas, nos países bálticos, escutam de Vossa Santidade apenas o que querem ouvir, ou escutam o que Vossa Santidade está a procurar dizer-lhes? Escutam a sua mensagem sobre a abertura?

Papa Francisco:

A mensagem sobre a abertura aos migrantes conta com bastante adesão no vosso povo; não existem grandes focos populistas. Também a Estónia e a Letónia são povos abertos, que querem integrar os migrantes, mas não massivamente, porque isto não é possível; o governo quer integrá-los com prudência. Falamos sobre isto com dois dos três Chefes de Estado; e foram eles que puxaram o assunto, não eu. E, nos discursos dos Presidentes, o senhor verá que as palavras «receção», «abertura» são frequentes. Isto indica vontade de universalidade, na medida em que se pode, atendendo ao espaço, ao emprego, etc; na medida em que seja possível integrá-los – isto é muito importante – e na medida em que não haja uma ameaça contra a própria identidade. São três coisas – que eu compreendi – sobre as migrações das pessoas. E isto, a mim, tocou-me muito: abertura prudente e bem pensada. Não sei se o senhor pensa diferente.

Edvardas Spokas:

A minha pergunta era se e como fora recebida a sua mensagem.

Papa Francisco:

Eu creio que sim. Neste sentido que disse. Porque hoje, o problema dos migrantes em todo o mundo – e não apenas a migração externa, mas também a interna nos continentes – é um problema grave; não é fácil estudá-lo. Em cada país, em cada sítio, em cada lugar, reveste-se de várias conotações.

Greg Burke:

Obrigado, Santo Padre! Terminamos as perguntas sobre a Viagem.

Papa Francisco:

Muito bem. Gostaria eu de vos dizer qualquer coisa sobre alguns pontos da Viagem que vivi com uma intensidade especial.

O facto da vossa história, da história dos países bálticos: uma história de invasões, ditaduras, crimes, deportações... Quando visitei o Museu, em Vilna – a palavra «museu» faz-nos pensar no Louvre, mas aquele não; aquele Museu é uma prisão, é uma prisão para onde eram levados os prisioneiros por razões políticas ou religiosas –, vi celas do tamanho deste assento, onde se conseguia apenas estar de pé, celas de tortura. Vi lugares de tortura, para onde levavam os prisioneiros nus, com o frio que há na Lituânia, e derramavam água sobre eles, deixando-os lá horas seguidas para os dobrar na sua resistência. Depois entrei no salão, na sala grande das execuções. Os prisioneiros eram forçados a entrar lá e assassinados com um golpe disparado na nuca; depois eram tirados de lá numa esteira rolante e transportados num camião que os descarregava na floresta. Matavam mais ou menos quarenta por dia. Enfim, foram cerca de quinze mil as pessoas que lá foram mortas. Isto faz parte da história da Lituânia, mas também dos outros países. Aquilo que vi era na Lituânia. Depois fui ao lugar do Grande Gueto, onde foram mortos milhares de judeus. Em seguida, na mesma tarde, fui ao Monumento em memória dos condenados, assassinados, torturados, deportados. Naquele dia – digo-vos a verdade – senti-me destroçado: fez-me refletir sobre a crueldade. Mas, com base nas informações que temos hoje, digo-vos que a crueldade não acabou. Hoje encontra-se a mesma crueldade em tantos lugares de reclusão, encontra-se hoje em tantas prisões; a própria superpopulação duma prisão é um sistema de tortura, um modo de vida sem dignidade. Hoje uma prisão, que não preveja oferecer ao preso uma perspetiva de esperança, já é uma tortura. Depois vimos, na televisão, as crueldades dos terroristas do Isis: aquele piloto jordano queimado vivo, aqueles cristãos coptas decapitados na praia da Líbia, e muitos outros. Hoje a crueldade não acabou. Existe em todo o mundo. E gostaria de vo-la dar a vós, jornalistas, esta mensagem: isto é um escândalo, um grave escândalo da nossa cultura e da nossa sociedade.

Outra coisa que vi nestes três países foi o ódio [do passado regime] contra a religião, seja ela qual for. O ódio. Vi um Bispo jesuíta, na Lituânia ou na Letónia (não me lembro bem), que esteve deportado dez anos na Sibéria, depois noutro campo de concentração... Agora é idoso, sorridente... Muitos homens e mulheres, por ter defendido a sua fé que era a própria identidade, foram torturados e deportados para a Sibéria, e não voltaram; ou foram mortos. A fé destes três países é grande, é uma fé que nasce precisamente do martírio. Trata-se de algo que talvez tenhais visto ao falar com as pessoas, como fazeis vós, jornalistas, para obter notícias do país.

Além disso, esta experiência tão importante de fé produziu um fenómeno singular nestes países: uma vida ecuménica como não existe noutros, assim tão generalizada. Há um verdadeiro ecumenismo: ecumenismo entre luteranos, batistas, anglicanos e também ortodoxos. Ontem na catedral, durante o encontro ecuménico em Riga, na Letónia, vimos uma coisa grande: irmãos, próximos, juntos numa única igreja... próximos. Lá o ecumenismo criou raízes…

Depois, há outro fenómeno nestes países que é importante estudar; e vós talvez possais fazer muitas coisas boas na vossa profissão, estudando isto: o fenómeno da transmissão da cultura, da identidade e da fé. Habitualmente a transmissão foi feita pelos avós. Porquê? Porque os pais trabalhavam, pai e mãe tinham que trabalhar, e deviam estar integrados no Partido – tanto no regime soviético como no nazista – e eram também educados no ateísmo. Mas os avós foram capazes de transmitir a fé e a cultura. No tempo em que, na Lituânia, era proibido o uso da língua lituana, foi tirada das escolas; quando iam ao serviço religioso – quer protestante quer católico –, levavam os livros de oração para ver se eram em língua lituana ou então em língua russa ou alemã. E muitos – uma geração, naquela época – aprenderam a língua-mãe com os avós: eram os avós que ensinavam a escrever e a ler a língua-mãe. Isto faz-nos pensar, e seria bom algum artigo, algum serviço televisivo sobre a transmissão da cultura, da língua, da arte, da fé em períodos de ditadura e de perseguição. Não se podia pensar diferente, porque todos os meios de comunicação – então eram poucos: o rádio – foram tomados pelo Estado. Quando um governo se torna ou quer tornar-se ditador, a primeira coisa que faz é controlar os meios de comunicação.

Estas coisas, queria assinalá-las.

E agora falo do encontro de hoje com os jovens. Os jovens escandalizam-se – com isto, entro na primeira pergunta que estava fora do tema da Viagem – os jovens escandalizam-se com a hipocrisia dos grandes. Escandalizam-se com as guerras, escandalizam-se com a incoerência, escandalizam-se com a corrupção. E, neste ponto da corrupção, entra aquilo que a senhora destacava sobre os abusos sexuais. É verdade que há uma acusação à Igreja; e todos nós sabemos, conhecemos as estatísticas (eu não as direi aqui...). Mas, ainda que houvesse um único padre que tivesse abusado dum menino, duma menina, isso já seria monstruoso, porque aquele homem foi escolhido por Deus para levar a criança ao céu. Eu compreendo que os jovens se escandalizem desta corrupção tão grande. Sabem que existe por todo o lado, mas na Igreja é mais escandaloso, porque se deve levar as crianças a Deus, e não destruí-las. Os jovens procuram crescer, valendo-se da experiência. Hoje, o encontro com os jovens foi muito claro: eles pedem escuta, pedem escuta. Não querem fórmulas fixas. Não querem um acompanhamento diretivo. E a segunda parte daquela pergunta – a primeira fora do âmbito da Viagem – dizia que, «nisto, a Igreja não faz as coisas como deveria, limpando esta corrupção». Tomando, por exemplo, o Relatório da Pensilvânia, vejo que, até aos primeiros anos da década de ’70, houve tantos padres que caíram nesta corrupção. Depois, em tempos mais recentes, diminuíram porque a Igreja se deu conta de que devia lutar doutra maneira. No passado, estas coisas encobriam-se. Encobria-se também em casa, quando o tio violentava a sobrinha, quando o pai violentava os filhos: encobria-se, porque era uma vergonha muito grande. Tal era o modo de pensar dos séculos passados e do último século. Nisto, há um princípio que me ajuda muito a interpretar a história: um facto histórico deve ser interpretado com a hermenêutica da época em que o mesmo aconteceu, não com a hermenêutica de hoje. Por exemplo, o indigenismo: houve tantas injustiças, tantas brutalidades; mas isso não pode ser interpretado com a hermenêutica de hoje, em que temos outra consciência. Um último exemplo: a pena de morte. O próprio Vaticano como Estado – quando era Estado Pontifício – tinha a pena de morte; o último decapitado foi um criminoso, um jovem, por volta de 1870. Mas, depois, a consciência moral cresce, a consciência moral cresce. É verdade que não faltam as escapatórias, há sempre condenações à morte sub-reptícias: tu estás velho, dás trabalho… Não te dou os remédios. E depois exclama-se: «Foi-se…» É uma condenação à morte – social – de hoje. Mas, dito isto, creio ter respondido. A Igreja: tomo o exemplo da Pensilvânia, olhai as proporções e vede que a Igreja, quando começou a tomar consciência disso, empenhou-se com todas as suas forças. E, nos últimos tempos, recebi tantas, tantas condenações emitidas pela Congregação para a Doutrina da Fé e disse: «Avante, avante!». E, depois duma condenação, nunca, nunca assinei um pedido de graça. Sobre isto, não se negoceia, não há negociação.

Greg Burke:

Antonio Pelayo, de «Vida Nueva» Antena 3 (Espanha).

Antonio Pelayo:

Santo Padre, há três dias foi assinado um Acordo entre a Santa Sé e o Governo da República Popular Chinesa. Pode dar-nos qualquer informação mais sobre isto, sobre o seu conteúdo? É que alguns católicos chineses, em particular o Cardeal Zen, o acusa de ter vendido a Igreja ao governo comunista de Pequim, depois de tantos anos de sofrimento: que responde a esta acusação?

Papa Francisco:

Trata-se dum processo de anos, um diálogo entre a Comissão do Vaticano e a Comissão Chinesa, para regularizar a nomeação dos Bispos. A equipe do Vaticano trabalhou tanto. Gostaria de referir alguns nomes: Mons. Celli, que pacientemente foi, dialogou, voltou... durante anos e anos! Depois Mons. Rota Graziosi, um humilde oficial de Cúria de 72 anos que queria servir como padre numa paróquia, mas ficou na Cúria para ajudar neste processo. E depois, o Secretário de Estado, Cardeal Parolin, que é um homem muito devoto, mas tem uma devoção especial pela lente: todos os documentos, estuda-os mesmo nos pontos, vírgulas, acentos... E isto dá-me uma segurança muito grande. E esta equipe, com tais qualidades, continuou a trabalhar. Como sabeis, quando se faz um acordo de paz ou uma negociação, ambas as partes perdem algo. Esta é a regra: ambas as partes... E continua-se para diante. Este processo avançou assim: dois passos em frente um para trás, dois em frente um para trás. Depois passaram meses sem se falar, e eis senão quando... São os tempos de Deus, que se assemelham ao tempo chinês: lentamente... Isto é sabedoria, a sabedoria dos chineses. As situações dos Bispos que criavam dificuldade, foram estudadas caso a caso e, no fim, os dossiês chegaram à minha escrivaninha. E fui eu o responsável pela assinatura, no caso dos Bispos. Quanto ao Acordo, os rascunhos passaram pela minha escrivaninha, dialogava-se, dava as minhas ideias, os outros discutiram e seguíamos em frente. Penso na resistência, nos católicos que sofreram: é verdade, eles sofrerão. Num acordo, há sempre sofrimento. Mas eles têm uma fé grande! Escrevem, enviam mensagens afirmando que o que a Santa Sé, o que Pedro diz, é aquilo que diz Jesus: ou seja, a fé «martirial» daquelas pessoas continua viva hoje. São grandes. E para a assinatura daquele Acordo, fui eu quem assinou as Cartas Plenipotenciárias de quem o fez. Eu sou o responsável. Os outros, que citei por nome, trabalharam durante mais de dez anos. Não é uma improvisação: é um caminho, um verdadeiro caminho.

E, antes de terminar, mais duas coisas: um caso simples e um dado histórico. Quando aconteceu aquele famoso comunicado dum ex-Núncio Apostólico, os Episcopados do mundo escreveram-me afirmando que me estavam próximos, que rezavam por mim; e os fiéis chineses também escreveram, mas a assinatura que trazia aquele escrito era dupla: a do Bispo – por assim dizer – da Igreja Católica tradicional e a do Bispo da Igreja Patriótica; juntos, os dois, e os fiéis de ambas as Igrejas. Isto, para mim, foi um sinal de Deus. E a segunda coisa: esquecemos que, na América Latina – graças a Deus, isso está superado –, esquecemos que durante 350 anos eram os reis de Portugal e da Espanha que nomeavam os Bispos; e o Papa apenas concedia a jurisdição. Esquecemos o caso do Império Austro-Húngaro: Maria Teresa cansou-se de assinar nomeações de Bispos, e deixava a jurisdição ao Vaticano. Outros tempos, graças a Deus! Esperemos que não se repitam... Mas, o caso atual não diz respeito à nomeação: é um diálogo sobre possíveis candidatos. A escolha faz-se em diálogo; mas a nomeação é de Roma; a nomeação é do Papa. Isto é claro. E rezamos pelos sofrimentos de alguns que não entendem ou que carregam às costas muitos anos de clandestinidade.

Agradeço-vos imenso! Dizem-nos que o jantar está pronto e o voo não é longo. Muito obrigado! Muito obrigado pelo vosso trabalho. E rezai por mim.

Greg Burke:

Obrigado a si, Santo Padre! Bom jantar e bom descanso.

[01486-IT.PL.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Greg Burke:

Dobry wieczór, Ojcze Święty. Przede wszystkim dziękujemy. Trzy kraje w cztery dni, to niełatwe, trochę męczące... Wyglądało to niemal, jak cztery kraje w cztery dni, ponieważ pierwszego dnia była niespodzianka chińska, a więc dokonaliśmy też i tego: zbliżyliśmy się do Chin. Postaramy się pozostać przy temacie – powiedzieliśmy to wiele razy - żeby rozmawiać o podróży. Oczywiście zaczniemy od dziennikarzy lokalnych każdego z krajów, a zatem spróbujmy podczas konferencji prasowej porozmawiać o podróży do krajów bałtyckich. Nie wiem, czy Wasza Świątobliwość zechce powiedzieć coś wcześniej ...

Papież Franciszek:

Przede wszystkim chciałbym wam podziękować za pracę, którą wykonaliście, ponieważ także dla was trzy kraje w ciągu czterech dni, to niełatwe. Nade wszystko przemieszczanie się z jednego miejsca w drugie jest męczące. Bardzo wam dziękuję za posługę, jaką pełnicie dla ludzi odnośnie do tej podróży, co jest najważniejsze w waszej komunikacji: co się wydarzyło... W tej podróży są rzeczy bardzo ciekawe i oczekuję na pytania tego dotyczące.

Greg Burke:

Dziękuję. Pierwsza jest Saulena Žiugždaite, Bernardinai.LT, z Litwy:

Saulena Žiugždaite:

Ojcze Święty, dziękuję za tę chwilę i za całą tę podróż. Kiedy mówiłeś w Wilnie o duszy litewskiej, powiedziałeś, że musimy być pomostem między Wschodem a Zachodem. Ale nie łatwo być pomostem: zawsze przechodzą inni. Niektórzy mówią, że naszą tragedią jest to, że jesteśmy położeni na moście. Może ktoś powie: „Zdecydowanie lepiej być częścią Zachodu z jego wartościami”. Co Wasza Świątobliwość miał na myśli, co to znaczy być pomostem?

Papież Franciszek:

To prawda... To oczywiste, że politycznie jesteście dziś częścią Zachodu, Unii Europejskiej i wiele uczyniliście, by wstąpić do Unii Europejskiej. Po odzyskaniu niepodległości natychmiast wypełniliście wszystkie formalności, które nie są łatwe, i udało wam się wejść do Unii Europejskiej, a to znaczy przynależność do Zachodu. Macie również relacje z NATO: należycie do NATO, a to oznacza do Zachodu. Jeśli spojrzycie na Wschód, jest to wasza historia: trudna historia. Także część tragicznej historii pochodziła z Zachodu, od Niemców, od Polaków, ale przede wszystkim z nazizmu, pochodziła z Zachodu. A jeśli chodzi o Wschód, to z Imperium Rosyjskiego.

Budowanie mostów wymaga męstwa. Męstwo nie tylko z powodu przynależności do Zachodu, co daje siłę, ale także waszej tożsamości. Zdaję sobie sprawę, że sytuacja w trzech krajach bałtyckich zawsze jest zagrożona, zawsze. Strach przed inwazją... Bo przypomina o tym sama historia. I ma pani rację, kiedy mówi, że to nie łatwe, ale jest to gra, która rozgrywa się każdego dnia, krok za krokiem: z kulturą, z dialogiem... Ale nie jest to łatwe. Uważam, że obowiązkiem nas wszystkich jest pomóc wam w tym. Więcej niż pomóc, być sercem blisko was.

Greg Burke:

Dziękuję, Ojcze Święty. Następne pytanie zada Gints Amolins, Latvijas Radio (Łotwa)

Gints Amolins:

Dzień dobry, Wasza Świątobliwość. W krajach bałtyckich często mówiłeś o znaczeniu korzeni i tożsamości. Wiele osób wyruszyło z Łotwy, a także z Litwy i Estonii do krajów bardziej zamożnych, a wielu z nich zapuszcza korzenie już gdzie indziej. A ponadto, podobnie jak w całej Europie, występują problemy demograficzne, ze względu na niski wskaźnik urodzeń. Tak więc, co w tej sytuacji mogą i powinny uczynić nasze kraje, przywódcy naszych krajów, a także każdy z osobna? Jak należałoby oceniać ten problem?

Papież Franciszek:

W mojej ojczyźnie nie znałem Estończyków i Łotyszy, podczas gdy - w kategoriach względnych - bardzo silna jest imigracja litewska. W Argentynie jest ich wielu. I wnoszą tam kulturę i historię, są dumni z podwójnego wysiłku włączenia się w nowy kraj, a także zachowywania swojej tożsamości. Podczas swoich świąt noszą tradycyjne stroje, śpiewają tradycyjne piosenki i zawsze, kiedy tylko mogą, powracają z wizytą do swej ojczyzny... Myślę, że walka o utrzymanie tożsamości czyni ich bardzo silnymi, a wy to macie: macie silną tożsamość. Tożsamość, która ukształtowała się w cierpieniu, w obronie i w pracy, w kulturze.

A co można zrobić, by obronić tożsamość? Odwołanie do korzeni jest ważne. Tożsamość jest czymś starodawnym, ale musi zostać przekazana. Tożsamość wpisuje się w przynależność do narodu, a przynależność do ludu musi zostać przekazana. Korzenie przekazywane są nowym pokoleniom, i dzieje się to poprzez edukację i dialog, zwłaszcza między starszymi a młodymi. Musicie to uczynić, ponieważ wasza tożsamość jest skarbem. Każda tożsamość jest skarbem, ale pojmowana jako przynależność do ludu. Oto, co mi przychodzi na myśl, nie wiem, czy odpowiada to na pana pytanie...

Greg Burke:

Dziękuję, Ojcze Święty. A teraz Evelyn Kaldoja, Postimees (Estonia)

Evelyn Kaldoja:

Dziękuję. Chciałabym zadać to pytanie po angielsku. [tłumaczenie] W dzisiejszej homilii Wasza Świątobliwość powiedział, że niektórzy krzyczą i grożą użyciem broni oraz użyciem armii, i tak dalej. Zważywszy na to, gdzie jesteśmy, na tym samym placu znajdowali się żołnierze NATO, którzy zostali wysłani do Estonii jako zabezpieczenie. Wiele osób myślało o sytuacji na wschodnich granicach Europy. Czy Wasza Świątobliwość jest zaniepokojony napięciami w tym obszarze oraz o katolików żyjących na obrzeżach Europy?

Papież Franciszek:

Zagrożenie bronią. Dziś światowe wydatki na uzbrojenie są skandaliczne. Powiedziano mi, że za sumę wydawaną na broń w ciągu miesiąca można by nakarmić wszystkich głodnych ludzi na świecie przez rok. Nie wiem, czy to prawda, to straszne. Przemysł, handel bronią, a nawet przemyt broni to jedna z największych korupcji. A wcześniej jest logika obrony. Dawid potrafił zwyciężyć procą i pięcioma kamieniami, ale dziś nie ma Dawidów. Uważam, że aby bronić kraju, potrzebujemy rozsądnego i nieagresywnego stosowania obrony. Rozsądnego, a nie agresywnego. Zatem obrona jest dopuszczalna. Zaszczytem jest obrona kraju w taki sposób. Problem pojawia się, gdy obrona staje się agresywną, nierozsądną i gdy prowadzone są wojny graniczne. Mamy wiele przykładów wojen o granice, nie tylko w Europie, na wschodzie, ale także na innych kontynentach: walczy się o władzę, aby skolonizować kraj. To jest, moim zdaniem, odpowiedź na pani pytanie. Dziś przemysł zbrojeniowy jest skandaliczny, w obliczu głodującego świata. Po drugie: posiadanie armii jest dopuszczalne dla obrony granic, ponieważ jest to zaszczyt; podobnie jak dopuszczalne jest posiadanie klucza do drzwi wejściowych. By się bronić.

Greg Burke:

Dziękuję, Ojcze Święty. Następne pytanie pochodzi z niemieckiej grupy językowej: Stefanie Stahlhofen z niemieckiej katolickiej agencji CIC (Niemcy).

Stefanie Stahlhofen:

Ojcze Święty, podczas spotkania ekumenicznego w Tallinie powiedziałeś, że młodzi ludzie, w obliczu skandali seksualnych, nie widzą wyraźnego potępienia ze strony Kościoła katolickiego. W Niemczech niedawno rozpoczęto nowe dochodzenie w sprawie wykorzystywania seksualnego i tego, w jaki sposób Kościół traktował wiele przypadków.

Papież Franciszek:

Na ten temat będę mówił później. Najpierw odpowiem na pytania dotyczące podróży. Dziękuję. To jest regułą. Ale będzie to pierwsze pytanie po tych dotyczących podróży.

Greg Burke:

Zostajemy przy podróży ...

Przybywa dziennikarz z Litewskiego Radia-Telewizji.

Edvardas Spokas:

Będę mówił po angielsku. We wszystkich trzech krajach Wasza Świątobliwość opowiedział się za otwartością: otwartością na imigrantów, otwartością na innych. Ale na przykład na Litwie miała miejsce sytuacja z dziewczyną, która powitała Ciebie podczas lądowania przed samolotem: nie miała wyglądu litewskiego. Była częściowo pochodzenia włoskiego, z lekko ciemną skórą... Moje pytanie brzmi: czy ludzie w krajach bałtyckich słuchają tylko tego, co chcą usłyszeć, czy słuchają tego, co próbujesz im powiedzieć? Czy słuchają Twojego przesłania o otwartości?

Papież Franciszek:

Przesłanie o otwartości na migrantów jest wystarczająco zaawansowane w waszym narodzie, nie ma silnych pożarów populistycznych, nie. Także Estonia i Łotwa to narody otwarte, które chcą integrować migrantów, ale nie masowo, ponieważ nie mogą, rząd musi ich integrować roztropnie. Rozmawialiśmy o tym z dwiema spośród trzech głów państw i to oni poruszyli tę kwestię, a nie ja. A może pan dostrzec, że w przemówieniach prezydentów, często pojawiało się słowo „gościnność”, „otwartość”. Wskazuje to na wolę powszechności, w takim zakresie, w jakim jest to możliwe ze względu na przestrzeń, miejsca pracy, itd.; w takim stopniu, na ile można ich zintegrować - to bardzo ważne - i do tego stopnia, aby ​​nie stanowili zagrożenia dla tożsamości. Są to trzy rzeczy, które zrozumiałem na temat migracji ludu. A to bardzo mnie poruszyło: otwarcie roztropne i dobrze przemyślane. Nie wiem, czy myśli pan o tym inaczej.

Edvardas Spokas:

Moje pytanie dotyczyło tego, jak odebrano przesłanie Waszej Świątobliwości.

Papież Franciszek:

Tak sądzę. W tym sensie to wypowiedziałem. Ponieważ dziś problem migrantów istnieje na całym świecie - i nie tylko migracja zewnętrzna, ale także wewnętrzna na poszczególnych kontynentach - jest poważnym problemem, nie jest łatwo go zbadać. W każdym kraju, w każdym punkcie, na każdym miejscu ma różne konotacje.

Greg Burke:

Dziękuję, Ojcze Święty,; na tym wyczerpaliśmy już pytania o podróż.

Papież Franciszek:

Dobrze. Chciałbym wam opowiedzieć o niektórych punktach podróży, które przeżyłem szczególnie intensywnie.

Fakt waszej historii, historii krajów bałtyckich: historia najazdów dyktatur, zbrodni, zsyłek... Kiedy odwiedziłem muzeum w Wilnie: „muzeum” to słowo, które przypomina nam o Luwrze... Nie. To muzeum jest więzieniem, jest to więzienie, do którego wtrącano więźniów ze względów politycznych lub religijnych. Widziałem cele wielkości tego siedzenia, gdzie można było tylko stać, cele tortur. Widziałem miejsca tortur, gdzie przy zimnie jakie jest na Litwie wtrącali nagich więźniów i lali na nich wodę, i przetrzymywali ich tam godzinami, by złamać ich opór. A potem wszedłem do sali, wielkiej sali egzekucji. Więźniowie byli tam doprowadzani siłą i zabijani strzałem w tył głowy; a następnie wywożeni na taśmociągu i załadowywania na ciężarówkę, z której wrzucano ich do lasu. Zabijano ich mniej więcej czterdziestu dziennie. Ostatecznie zabito tam około piętnastu tysięcy osób. To część historii Litwy, ale także innych krajów. To, co zobaczyłem, było na Litwie. Następnie udałem się na miejsce, gdzie było kiedyś Wielkie Getto, w którym zginęły tysiące Żydów. Następnie tego samego popołudnia udałem się do pomnika upamiętniającego skazanych, zamordowanych, torturowanych, deportowanych. Tego dnia – powiem wam prawdę – byłem załamany: zmusiło mnie to do refleksji nad okrucieństwem. Ale powiem wam, że w oparciu o informacje, które mamy dzisiaj, okrucieństwo jeszcze się nie skończyło. To samo okrucieństwo występuje dziś w wielu miejscach pozbawienia wolności, dziś ma miejsce w wielu więzieniach. Również przeludnienie w więzieniu to system tortur, sposób na życie bez godności. Dzisiejsze więzienie, które nie przewiduje dania więźniowi perspektywy nadziei, już jest torturą. Ponadto widzieliśmy w telewizji okrucieństwo terrorystów tzw. Państwa Islamskiego: jordański pilot spalony żywcem, chrześcijanie, Koptowie ścięci na plaży w Libii, i wiele innych przypadków. Dzisiaj okrucieństwo się nie skończyło. Istnieje na całym świecie. A to przesłanie chciałbym wam przekazać, jako dziennikarzom: to skandal, poważny skandal naszej kultury i naszego społeczeństwa.

Inną rzeczą, którą widziałem w tych trzech krajach, jest nienawiść [dawnego reżimu] do religii, do każdej religii. Nienawiść. Widziałem biskupa jezuitę, nie pamiętam, czy to było na Litwie czy na Łotwie, który został zesłany na Syberię na dziesięć lat, a następnie więziony był w innym łagrze... Teraz jest w podeszłym wieku, uśmiechnięty... Wielu mężczyzn i kobiet z powodu obrony swojej wiary, która była ich tożsamością, byli torturowani i zsyłani na Syberię i nie powrócili; albo zostali zabici. Wiara w tych trzech krajach jest wielka, jest to wiara, która rodzi się z męczeństwa i jest to coś, co może widzieliście, rozmawiając z ludźmi, tak jak to czynicie wy dziennikarze, aby uzyskać wiadomości o danym kraju.

Ponadto to jakże ważne doświadczenie stworzyło w tych krajach szczególne zjawisko: tak powszechne życie ekumeniczne, jakiego nie ma w innych krajach. Istnieje tam prawdziwy ekumenizm: ekumenizm między luteranami, baptystami, anglikanami, a nawet prawosławnymi. Widzieliśmy to wczoraj na Łotwie w katedrze w Rydze, podczas spotkania ekumenicznego: coś wspaniałego; bracia, bliscy sobie razem w jednym kościele..., sąsiedzi. Ekumenizm zapuścił tam korzenie.

Ponadto jest w tych krajach jeszcze inne zjawisko, którego studiowanie jest ważne, a być może potraficie czynić w waszym zawodzie wiele dobrych rzeczy badając to: zjawisko przekazywania kultury, tożsamości i wiary. Zwykle przekazywania dokonywali dziadkowie. Dlaczego? Ponieważ ojcowie pracowali, tata i mama musieli pracować i musieli należeć do partii - zarówno w reżimie sowieckim, jak i nazistowskim - a także wychowanie ateistycznie. Ale dziadkowie potrafili przekazywać wiarę i kulturę. W czasie, kiedy na Litwie zakazywano używania języka litewskiego, został usunięty ze szkoły, kiedy szli na nabożeństwa – czy to protestanckie czy katolickie – brali modlitewniki, aby zobaczyć, czy były one w języku litewskim, rosyjskim lub niemieckim. I wielu - w tym samym czasie jedno pokolenie - nauczyło się języka ojczystego od dziadków. To dziadkowie uczyli pisać i czytać w języku ojczystym. To sprawia, że myślimy, iż dobrze byłoby napisać jakiś artykuł, zrobić jakiś program telewizyjny o przekazywaniu kultury, języka, sztuki, wiary w czasach dyktatury i prześladowań. Nie można było myśleć o niczym innym, ponieważ wszystkie media, które w tamtym czasie były nieliczne - radio - zostały przejęte przez państwo. Kiedy rząd staje się dyktatorem, pierwszą rzeczą, jaką czyni, jest przejęcie mediów.

Chciałem podkreślić te rzeczy.

A teraz nawiązuję do dzisiejszego spotkania z ludźmi młodymi. Młodzi są zgorszeni: włączam tutaj pierwsze pytanie, które nie dotyczyło tematu podróży. Młodzi ludzie są zgorszeni hipokryzją wielkich. Są zgorszeni wojnami, niekonsekwencją, gorszą się demoralizacją. A do zagadnienia demoralizacji należy także, to co pani podkreślała – nadużycia seksualne. To prawda, że istnieje oskarżenie Kościoła i wszyscy wiemy, znamy statystyki, nie będą ich tutaj przytaczał. Ale nawet gdyby był tylko jeden kapłan, który wykorzystywałby chłopca czy dziewczynkę, byłoby to i tak potworne, ponieważ ten człowiek został wybrany przez Boga, aby doprowadzić dziecko do nieba. Rozumiem, że młodzi są zgorszeni tą wielką demoralizacją. Wiedzą, że jest ona wszędzie, ale w Kościele jest to bardziej skandaliczne, ponieważ musimy prowadzić dzieci do Boga, a nie je niszczyć. Młodzi ludzie próbują przebić się poprzez doświadczenie. Dzisiejsze spotkanie z młodzieżą było bardzo jasne: proszą o wysłuchanie. Nie chcą ustalonych formuł. Nie chcą towarzyszenia dyrektywnego. Druga część tego pytania, które jako pierwsze nie dotyczyło tej podróży, brzmiała: „Kościół nie czyni tego, co powinien, aby oczyścić się z tego zepsucia”. Na przykład wezmę raport z Pensylwanii i widzimy, że aż do początku lat 70. było wielu księży, którzy popadli w tę demoralizację. Potem, w czasach mniej odległych liczba przypadków zmniejszyła się, ponieważ Kościół zdał sobie sprawę, że musi walczyć w inny sposób. W przeszłości te rzeczy były ukrywane. Ukrywano także przypadki w domu, gdy wujek gwałcił swoją siostrzenicę, gdy ojciec gwałcił swoje dzieci: ukrywano, bo był to wielki wstyd. Był to sposób myślenia minionych wieków i ostatniego stulecia. Jest w tym zasada, która pomaga mi interpretować historię: fakt historyczny musi być interpretowany za pomocą hermeneutyki danej epoki, w której fakt ten zaistniał, a nie dzisiejszej hermeneutyki. Na przykład: indygenizm. Było wiele niesprawiedliwości, wiele brutalności. Ale nie można tego interpretować za pomocą dzisiejszej hermeneutyki, gdy mamy inną świadomość. Ostatni przykład: kara śmierci. Nawet Watykan jako państwo, gdy istniało państwo papieskie, miał karę śmierci. Ostatni skazaniec został ścięty w około 1870 roku, przestępca, młody człowiek. Ale świadomość moralna się rozwija. To prawda, że zawsze są luki prawne, zawsze są potajemne wyroki śmierci: jesteś stary, stanowisz kłopot, nie dają ci leków... a potem mówią: „odszedł”. Jest to wyrok śmierci – społeczny - dnia dzisiejszego. Ale myślę, że w ten sposób odpowiedziałem. Kościół: biorę przykład z Pensylwanii, spójrzcie na proporcje i zobaczcie, że kiedy Kościół zaczął zdawać sobie z tego sprawę, poświęcił się temu całkowicie. W ostatnim czasie otrzymałem wiele wyroków wydanych przez Kongregację Nauki Wiary i powiedziałem: „pracujcie dalej, naprzód”. Nigdy, w żadnym wypadku nie podpisałem prośby o ułaskawienie po wyroku. Z tym się nie negocjuje, nie ma pertraktacji.

Greg Burke:

Antonio Pelayo z „Vida nueva” Antena 3 (Hiszpania):

Antonio Pelayo:

Ojcze Święty, kilka dni temu została podpisana umowa między Stolicą Apostolską a Rządem Chińskiej Republiki Ludowej. Czy Wasza Świątobliwość może podać nam dodatkowe informacje na ten temat? Niektórzy chińscy katolicy, szczególnie kard. Zen, oskarżają ciebie o sprzedanie Kościoła komunistycznemu rządowi w Pekinie, po wielu latach cierpienia. Co odpowiesz na to oskarżenie?

Papież Franciszek:

Jest to proces który trwa od lat, dialog między Komisją Watykańską a Komisją chińską, aby uporządkować mianowanie biskupów. Zespół watykański ciężko pracował. Chciałbym wymienić kilka nazwisk: abp Claudio Maria Celli, który cierpliwie jechał, rozmawiał, wracał... trwało to latami! Następnie ks. prał. Gianfranco Rota Graziosi, skromny 72-letni kurialista, który chciał być księdzem w parafii, ale pozostał w Kurii, aby pomóc w tym procesie. Dalej, Sekretarz Stanu, kardynał Parolin, który jest człowiekiem bardzo pobożnym, ale ma szczególne nabożeństwo do lupy: bada dokładnie wszystkie dokumenty, przecinki, akcenty... a to mi daje bardzo dużą pewność. I ten zespół kontynuował te prace. Wiecie, że kiedy zawiera się porozumienie pokojowe lub negocjacje, obie strony coś tracą, to jest regułą. Obie strony. I idzie się naprzód. Proces ten przebiegał następująco: dwa kroki do przodu, jeden w tył, dwa do przodu, jeden w tył...; a potem były miesiące bez rozmów wzajemnych, a potem... Są to czasy Boga, które przypominają czas chiński: powoli... To jest mądrość, mądrość Chińczyków. Sytuacje biskupów, którzy byli w trudnym położeniu były studiowane przypadek po przypadku, a w końcu dokumentacja dotarła na moje biurko i to ja byłem odpowiedzialny za podpis, w przypadku biskupów. Jeśli chodzi o Porozumienia, projekty przeszły przez moje biurko, rozmawialiśmy, przedstawiłem swoje pomysły, inni argumentowali i dalej prowadzili sprawę. Myślę o tych, którzy stawiają opór, o katolikach, którzy cierpieli. – To prawda, oni ucierpią… Każde porozumienie jest okupione jakimś cierpieniem. Ale oni mają wielką wiarę. I oni piszą. Docierają od nich przesłania stwierdzające, że to, co Stolica Apostolska, co Piotr mówi, jest tym, co mówi Jezus. Oznacza to, że męczeńska wiara tych ludzi dziś się rozwija. Oni są wielcy. To ja podpisałem umowę, Listy Pełnomocników, aby podpisali to Porozumienie. To ja jestem odpowiedzialny. Inni, o których wspomniałem, pracowali przez ponad dziesięć lat. To nie jest improwizacja: to proces, prawdziwa wędrówka.

A potem prosta anegdota i fakt historyczny, dwie rzeczy zanim zakończę. Kiedy był ten słynny komunikat byłego nuncjusza apostolskiego, episkopaty całego świata napisały do mnie, że są blisko, że się za mnie modlą. Również chińscy wierni do mnie napisali, a dokument ten podpisali biskup - że tak powiem - tradycyjnego Kościoła katolickiego oraz biskup Kościoła patriotycznego: razem, obydwaj oraz wierni obu Kościołów. Był to dla mnie znak Boży. A druga rzecz: zapominamy o tym, że w Ameryce Łacińskiej - dzięki Bogu już to minęło! - zapominamy, że przez 350 lat królowie Portugalii i Hiszpanii nominowali biskupów. A papież udzielał tylko jurysdykcji. Zapominamy o przypadku Cesarstwa Austro-Węgierskiego: Maria Teresa miała dość podpisywania nominacji biskupich i przekazała jurysdykcję Watykanowi. Inne czasy, dzięki Bogu, które się nie powtarzają! Ale obecna sprawa nie dotyczy nominacji: jest to dialog na temat potencjalnych kandydatów. Rzecz odbywa się w dialogu. Ale nominacja pochodzi z Rzymu; to papież mianuje biskupa i to jest jasne. I modlimy się za cierpienia niektórych, którzy nie rozumieją lub którzy mają za sobą wiele lat życia ukrytego.

Dziękuję wam bardzo! Mówią nam, że kolacja jest gotowa, a lot nie trwa długo. Dziękuję bardzo! Dziękuję bardzo za waszą pracę. I módlcie się za mnie.

Greg Burke:

Dziękuję, Ojcze Święty. Dobrej kolacji i dobrego odpoczynku.

[01486-PL.01] [Testo originale: Italiano]

[B0697-XX.02]