Santa Messa in Piazza della Libertà a Tallinn
Omelia del Santo Padre
Parole di ringraziamento del Santo Padre
Omelia del Santo Padre
Testo in lingua italiana
Traduzione in lingua francese
Traduzione in lingua inglese
Traduzione in lingua tedesca
Traduzione in lingua spagnola
Traduzione in lingua portoghese
Traduzione in lingua polacca
Traduzione di lavoro in lingua estone
Alle ore 15.45 locali (14.45 ora di Roma), il Santo Padre Francesco si è trasferito in Piazza della Libertà a Tallinn. Dopo aver compiuto alcuni giri in papamobile tra i fedeli, il Papa ha presieduto la Celebrazione Eucaristica (Messa votiva dello Spirito Santo in latino ed estone).
Dopo la proclamazione del Vangelo, il Santo Padre ha pronunciato l’omelia.
Prima della benedizione finale, Mons. Philippe Jourdan, Amministratore Apostolico di Estonia, ha rivolto al Papa alcune parole di ringraziamento.
Infine il Santo Padre ha rivolto a tutti i fedeli presenti il Suo Messaggio di ringraziamento e ha impartito la benedizione finale.
Quindi si è trasferito in auto all’Aeroporto Internazionale di Tallinn per il congedo dall’Estonia.
Pubblichiamo di seguito l’omelia del Papa e il Messaggio di ringraziamento che il Santo Padre ha rivolto ai presenti al termine della Messa:
Testo in lingua italiana
Ascoltando, nella prima Lettura, l’arrivo del popolo ebraico – già libero dalla schiavitù d’Egitto – al Monte Sinai (cfr Es 19,1) è impossibile non pensare a voi come popolo; è impossibile non pensare all’intera nazione dell’Estonia e a tutti i Paesi Baltici. Come non ricordarvi in quella “rivoluzione cantata”, o in quella catena di due milioni di persone da qui a Vilnius? Voi conoscete le lotte per la libertà, potete identificarvi con quel popolo. Ci farà bene, quindi, ascoltare quello che Dio dice a Mosè, per capire quello che dice a noi come popolo.
Il popolo che arriva al Sinai è un popolo che ha già visto l’amore del suo Dio manifestato in miracoli e prodigi; è un popolo che decide di stringere un patto d’amore perché Dio lo ha già amato per primo e gli ha manifestato questo amore. Non è obbligato, Dio lo vuole libero. Quando diciamo che siamo cristiani, quando abbracciamo uno stile di vita, lo facciamo senza pressioni, senza che questo sia uno scambio in cui noi facciamo qualcosa se Dio fa qualcosa. Ma, soprattutto, sappiamo che la proposta di Dio non ci toglie nulla, al contrario, porta alla pienezza, potenzia tutte le aspirazioni dell’uomo. Alcuni si considerano liberi quando vivono senza Dio o separati da Lui. Non si accorgono che in questo modo viaggiano attraverso questa vita come orfani, senza una casa dove tornare. «Cessano di essere pellegrini e si trasformano in erranti, che ruotano sempre intorno a sé stessi senza arrivare da nessuna parte» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 170).
Spetta a noi, come al popolo uscito dall’Egitto, ascoltare e cercare. A volte alcuni pensano che la forza di un popolo si misuri oggi da altri parametri. C’è chi parla con un tono più alto, così che parlando sembra più sicuro – senza cedimenti o esitazioni –; c’è chi, alle urla, aggiunge minacce di armi, spiegamento di truppe, strategie... Questo è colui che sembra più “forte”. Questo però non è cercare la volontà di Dio, ma un accumulare per imporsi sulla base dell’avere. Questo atteggiamento nasconde in sé un rifiuto dell’etica e, con essa, di Dio. Perché l’etica ci mette in relazione con un Dio che si aspetta da noi una risposta libera e impegnata verso gli altri e verso il nostro ambiente, una risposta che è al di fuori delle categorie del mercato (cfr ibid., 57). Voi non avete conquistato la vostra libertà per finire schiavi del consumo, dell’individualismo o della sete di potere o di dominio.
Dio conosce i nostri bisogni, quelli che spesso nascondiamo dietro il desiderio di possedere; anche le nostre insicurezze superate grazie al potere. Quella sete, che abita in ogni cuore umano, Gesù, nel Vangelo che abbiamo ascoltato, ci incoraggia a superarla nell’incontro con Lui. È Lui che può saziarci, colmarci con la pienezza della fecondità della sua acqua, della sua purezza, della sua forza travolgente. La fede è anche rendersi conto che Egli è vivo e ci ama; che non ci abbandona e, perciò, è capace di intervenire misteriosamente nella nostra storia; Egli trae il bene dal male con la sua potenza e la sua infinita creatività (cfr ibid., 278).
Nel deserto, il popolo d’Israele cadrà nella tentazione di cercare altri dei, di adorare il vitello d’oro, di confidare nelle proprie forze. Ma Dio lo attrae sempre di nuovo, ed essi ricorderanno ciò che hanno ascoltato e veduto sulla montagna. Come quel popolo, anche noi sappiamo di essere un popolo “eletto, sacerdotale e santo” (cfr Es 19,6; 1 Pt 2,9), è lo Spirito che ci ricorda tutte queste cose (cfr Gv 14,26).
Eletti non significa esclusivi né settari; siamo la piccola porzione che deve far fermentare tutta la massa, che non si nasconde né si separa, che non si considera migliore o più pura. L’aquila mette al riparo i suoi aquilotti, li porta in luoghi scoscesi finché non riescono a cavarsela da soli, ma deve spingerli a uscire da quel posto tranquillo. Scuote la sua nidiata, porta i suoi piccoli nel vuoto perché mettano alla prova le loro ali; e rimane sotto di loro per proteggerli, per impedire che si facciano male. Così è Dio col suo popolo eletto, lo vuole in “uscita”, audace nel suo volo e sempre protetto solo da Lui. Dobbiamo vincere la paura e lasciare gli spazi blindati, perché oggi la maggior parte degli estoni non si riconoscono come credenti.
Uscire come sacerdoti: lo siamo per il Battesimo. Uscire per promuovere la relazione con Dio, per facilitarla, per favorire un incontro d’amore con Colui che sta gridando: «Venite a me» (Mt 11,28). Abbiamo bisogno di crescere in uno sguardo di vicinanza per contemplare, commuoverci e fermarci davanti all’altro, ogni volta che sia necessario. Questa è l’arte dell’accompagnamento, che si attua con il ritmo salutare della prossimità, con uno sguardo rispettoso e pieno di compassione che è capace di guarire, di sciogliere nodi e far crescere nella vita cristiana (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 169).
E infine dare testimonianza di essere un popolo santo. Possiamo cadere nella tentazione di pensare che la santità sia solo per alcuni. In realtà, «tutti siamo chiamati ad essere santi vivendo con amore e offrendo ciascuno la propria testimonianza nelle occupazioni di ogni giorno, lì dove si trova» (Esort. ap. Gaudete et exsultate, 14). Ma, come l’acqua nel deserto non era un bene personale ma comunitario, come la manna non poteva essere accumulata perché si sarebbe rovinata, così la santità vissuta si espande, scorre, feconda tutto ciò che le sta accanto. Oggi scegliamo di essere santi risanando i margini e le periferie della nostra società, là dove il nostro fratello giace e patisce la sua esclusione. Non lasciamo che sia quello che viene dopo di noi a fare il passo per soccorrerlo, e nemmeno che sia una questione da risolvere da parte delle istituzioni; siamo noi stessi quelli che fissiamo il nostro sguardo su quel fratello e gli tendiamo la mano per rialzarlo, perché in lui c’è l’immagine di Dio, è un fratello redento da Gesù Cristo. Questo significa essere cristiani e la santità vissuta giorno per giorno (cfr ibid., 98).
Voi avete manifestato nella vostra storia l’orgoglio di essere estoni, lo cantate dicendo: «Sono estone, resterò estone, estone è una cosa bella, siamo estoni». Com’è bello sentirsi parte di un popolo! Com’è bello essere indipendenti e liberi! Andiamo al monte santo, a quello di Mosè, a quello di Gesù, e chiediamo a Lui – come dice il motto di questa visita – di risvegliare i nostri cuori, di darci il dono dello Spirito per discernere in ogni momento della storia come essere liberi, come abbracciare il bene e sentirsi eletti, come lasciare che Dio faccia crescere, qui Estonia e nel mondo intero, la sua nazione santa, il suo popolo sacerdotale.
[01446-IT.01] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
En écoutant, dans la première lecture, l’arrivée du peuple hébreu – une fois libéré de l’esclavage en Egypte – au mont Sinaï (cf. Ex 19, 1), il est impossible de ne pas penser à vous en tant que peuple; il est impossible de ne pas penser à la nation tout entière de l’Estonie, et à tous les pays baltes. Comment ne pas s’en souvenir, dans cette «révolution chantée», ou dans cette chaine de 2 millions de personnes d’ici à Vilnius? Vous connaissez les luttes pour la liberté, vous pouvez vous identifier à ce peuple. Cela nous fera du bien, par conséquent, d’écouter ce que Dieu dit à Moïse afin de comprendre ce qu’il nous dit en tant que peuple.
Le peuple qui arrive au Sinaï est un peuple qui a déjà vu l’amour de son Dieu manifesté par des miracles et des prodiges. C’est un peuple qui décide de conclure un pacte d’amour, parce que Dieu l’a déjà aimé en premier et lui a manifesté cet amour. Il n’est pas obligé. Dieu le veut libre. Quand nous disons que nous sommes chrétiens, quand nous embrassons un style de vie, nous le faisons sans pressions, sans que cela soit un échange dans lequel nous faisons quelque chose si Dieu fait quelque chose. Mais surtout, nous savons que la proposition de Dieu ne nous enlève rien, au contraire elle conduit à la plénitude, elle renforce toutes les aspirations de l’homme. Certains se considèrent libres lorsqu’ils vivent sans Dieu ou séparés de lui. Ils ne se rendent pas compte que, de cette manière, ils voyagent dans cette vie comme des orphelins, sans maison où revenir. «Ils cessent d’être pèlerins et se transforment en errants, qui tournent toujours autour d’eux-mêmes sans arriver nulle part» (Exhort. ap. Evangelii gaudium, n. 170).
Il nous revient, comme le peuple sorti d’Egypte, d’écouter et de chercher. Certains pensent parfois que la force d’un peuple se mesure aujourd’hui par d’autres paramètres. Il y a celui qui parle plus fort, qui paraît plus sûr de lui lorsqu’il parle – sans défaillances ni hésitations -; il y a celui qui ajoute aux cris la menace des armes, le déploiement de troupes, les stratégies… Celui-là semble le plus «solide». Mais cela, ce n’est pas «chercher» la volonté de Dieu; c’est accumuler pour s’imposer sur la base de l’avoir. Cette attitude cache en soi un refus de l’éthique et, avec elle, un refus de Dieu. Parce que l’éthique nous met en relation avec un Dieu qui attend de nous une réponse libre et engagée avec les autres, et avec notre entourage, une réponse qui se trouve en dehors des catégories du marché (cf. ibid., n. 57). Vous n’avez pas conquis votre liberté pour finir esclaves du consumérisme, de l’individualisme ni de la soif du pouvoir ou de la domination.
Dieu connaît nos besoins, ceux que nous cachons souvent derrière le désir de posséder; même nos insécurités surmontées grâce au pouvoir. Cette soif, qui demeure dans tout cœur humain, Jésus, dans l’Evangile que nous avons entendu, nous encourage à la vaincre par la rencontre avec lui. C’est lui qui peut nous rassasier, nous combler de la plénitude de la fécondité de son eau, de sa pureté, de sa force irrésistible. La foi, c’est aussi se rendre compte qu’il est vivant et qu’il nous aime; qu’il ne nous abandonne pas, et qu’il est donc capable d’intervenir mystérieusement dans notre histoire; il tire le bien du mal par sa puissance et sa créativité infinie (cf. ibid., n. 278).
Dans le désert, le peuple d’Israël succombera à la tentation de chercher d’autres dieux, d’adorer le veau d’or, de se confier à ses propres forces. Mais Dieu l’attire toujours de nouveau, et eux se souviendront de ce qu’ils ont entendu et vu sur la montagne. Comme ce peuple, nous savons, nous aussi, que nous sommes un peuple «élu, sacerdotal et saint» (cf. Ex 19, 6; 1P 2, 9), c’est l’Esprit qui nous rappelle toutes ces choses (cf. Jn 14, 26).
Elus ne signifie pas être les seuls, ou sectaires; nous sommes la petite portion qui doit fermenter toute la masse, qui ne se cache pas, qui ne se sépare pas, qui ne se considère pas meilleure ni plus pure. L’aigle met à l’abri ses aiglons, il les conduit en des lieux escarpés tant qu’ils ne parviennent pas à s’en sortir tout seuls, mais il doit les pousser à sortir de cet endroit tranquille. Il secoue la nichée, conduit ses petits dans le vide pour qu’ils essayent de voler de leurs propres ailes; et il reste en dessous d’eux pour les protéger, pour qu’ils ne se fassent pas mal. Dieu fait de même avec son peuple élu, il le veut «en sortie», audacieux dans son vol et toujours protégé par lui seul. Nous devons vaincre la peur et abandonner les espaces sécurisés, parce que, aujourd’hui, le plus grand nombre des Estoniens ne se reconnaissent pas croyants.
Sortir comme des prêtres; nous le sommes par le baptême. Sortir afin de promouvoir la relation avec Dieu, pour la faciliter, pour favoriser une rencontre d’amour avec celui qui crie: «Venez à moi» (Mt 11, 28). Nous avons besoin de grandir dans un regard de proximité pour contempler, nous émouvoir et nous arrêter devant l’autre, chaque fois que c’est nécessaire. C’est cela, l’“art de l’accompagnement” qui se réalise au rythme salutaire de la“proximité”, avec un regard respectueux et plein de compassion qui est en mesure de guérir, de défaire les nœuds et de faire grandir dans la vie chrétienne (cf. Exhort. ap. Evangelii gaudium, n. 169).
Et donner le témoignage d’être un peuple saint. Nous pouvons succomber à la tentation de penser que la sainteté est seulement pour quelques-uns. Cependant, «nous sommes tous appelés à être des saints en vivant avec amour et en offrant un témoignage personnel dans nos occupations quotidiennes, là où chacun se trouve.» (Exhort. ap. Gaudete et exsultate, n. 14). Cependant, de même que l’eau dans le désert n’était pas un bien personnel mais communautaire, de même que la manne ne pouvait pas être accumulée parce qu’elle se gâtait, la sainteté vécue s’étend, coule, féconde tout ce qui lui est proche. Faisons le choix aujourd’hui d’être des saints, en assainissant les confins et les périphéries de notre société, là où notre frère gît et souffre de son exclusion. Ne permettons pas que ce soit celui qui viendra après moi qui fera le pas pour lui porter secours, et que ce ne soit pas non plus une question à résoudre par les institutions; c’est nous-mêmes qui fixons notre regard sur ce frère et qui lui tendons la main pour le relever parce que l’image de Dieu est en lui, il est un frère racheté par Jésus Christ. C’est cela être chrétien, et la sainteté vécue jour après jour (cf. ibid., n. 98).
Vous avez manifesté dans votre histoire la fierté d’être Estoniens, vous le chantez en disant: «Je suis Estonien, je resterai Estonien, être Estonien est une belle chose, nous sommes Estoniens». Comme c’est beau de sentir qu’on fait partie d’un peuple, comme c’est beau d’être indépendants et libres. Allons à la montagne sainte, celle de Moïse, celle de Jésus, et demandons-lui – comme le dit la devise de cette visite – de réveiller nos cœurs, de nous faire le don de l’Esprit pour discerner à chaque moment de l’histoire comment être libres, comment embrasser le bien et se sentir élus, comment permettre à Dieu de faire grandir, ici en Estonie et dans le monde entier, sa nation sainte, son peuple sacerdotal.
[01446-FR.01] [Texte original: Italien]
Traduzione in lingua inglese
In listening to the first reading, the account of the coming of the Jewish people – now freed from slavery in Egypt – to Mount Sinai (Ex 19:1), it is impossible not to think of you as a people. It is impossible not to think about the entire nation of Estonia and all the Baltic States! How can we not think of your part in the Singing Revolution, or in the human chain of two million people extending from here to Vilnius? You know what it is to struggle for freedom; you can identify with that people. We would do well, then, to listen to what God says to Moses, in order to discern what he is saying to us as a people.
The people who came to Mount Sinai had already seen the love of their God expressed in miracles and powerful signs. They were a people who had entered into a covenant of love, because God loved them first and made his love known to them. They did not have to do so; God wants our love to be free. When we say that we are Christians, when we embrace a way of life, we do so without pressure, without it being a kind of trade-off, in which we remain faithful if God keeps his promise. First, we know that God’s promise does not take anything away from us; rather, it leads to the fulfilment of all our human aspirations. Some people think they are free when they live without God or keep him at arm’s length. They do not realize that, in doing so, they pass through this life as orphans, without a home to return to. “They cease being pilgrims and become drifters, flitting around themselves and never getting anywhere” (Evangelii Gaudium, 170).
Like the people who came forth from Egypt, we have to listen and seek. These days, we may think that the strength of a people is measured by other means. Some people speak in a loud voice, full of self-assurance – with no doubts or hesitation. Others shout and hurl threats about using weapons, deploying troops and implementing strategies... That way they appear to be stronger. But this is not about “seeking” the will of God, but about gaining power so as to prevail over others. Underlying this attitude is a rejection of ethics and, as such, a rejection of God. For ethics leads us to a God who calls for a free and committed response to others and to the world around us, a response outside the categories of the marketplace (cf. ibid., 57). You did not gain your freedom in order to end up as slaves of consumerism, individualism or the thirst for power or domination.
God knows our needs, those we often hide behind our desire for possessions. He also knows the insecurities we try to overcome through power. Jesus, in the Gospel we just heard, encourages us to overcome that thirst within our hearts by coming to him. He is the one who can give us fulfilment by the abundance of his living water, his purity, his irresistible power. Faith means realizing that he is alive and that he loves us; he does not abandon us and, as a result, he is capable of intervening mysteriously in our history. He brings good out of evil by his power and his infinite creativity (ibid., 278).
In the desert, the people of Israel were tempted to seek other gods, to worship the golden calf, to trust in their own strength. But God always called them back to him, and they remembered what they heard and saw on the mountain. Like that people, we know we are a chosen people, a priestly people, a holy people (cf. Ex 19:6; 1 Pet 2:9). It is the Spirit who reminds us of all these things (cf. Jn 14:26).
Being chosen does not mean being exclusive or sectarian. We are the small portion of yeast that must make the dough rise; we do not hide or withdraw, or consider ourselves better or purer. The eagle shelters her fledglings, carries them to the heights until they can fend for themselves. Then she has to force them to leave those comfort zones. She shakes their nest, pushes them into the open air where they have to spread their wings, and she flies beneath them to protect them, to keep them from hurting themselves. This is how God is with his chosen people; he wants them to “go forth” and fly boldly, knowing that they are always protected by him alone. We have to leave our fears behind and go forth from our safe places, because today most Estonians do not identify themselves as believers.
So go out as priests, for that is what we are by baptism. Go out to build relationships with God, to facilitate them, to encourage a loving encounter with the one who cries out: “Come to me!” (Mt 11:28). We need to be seen as close to others, capable of contemplation, compassion and willingness to spend time with others, as often as necessary. This is the “art of accompaniment”. It is carried out with the healing rhythm of “closeness”, with a respectful and compassionate gaze capable of healing, liberating and encouraging growth in the Christian life (Evangelii Gaudium, 169).
Bear witness as a holy people. We may be tempted to think that holiness is only for a few. However, “we are all called to be holy by living our lives with love and by bearing witness in everything we do, wherever we find ourselves” (Gaudete et Exsultate, 14). But, just as the water in the desert was not a personal but a common good, just as the manna could not be stored because it spoiled, so a lived holiness expands, overflows and makes fruitful all that it touches. Today we choose to be saints by shoring up the outskirts and fringes of our society, wherever our brothers and sisters lie prostrate and experience rejection. We can’t think somebody else will be the one to stop and help, nor that these are problems to be resolved by institutions. It is up to us to fix our gaze on those brother and sister and to offer a helping hand, because they bear the image of God, they are our brothers and sisters, redeemed by Jesus Christ. This is what it is to be a Christian; this is holiness lived on a day-to-day basis (cf. ibid., 98).
In your history you have shown your pride in being Estonians. You sing it saying: “I am Estonian, I will always be Estonian, it is good to be Estonian, we are Estonians”. How good it is to feel part of a people; how good it is to be independent and free. May we go to the holy mountain, to the mountain of Moses, to the mountain of Jesus. May we ask him - as the motto of this Visit says - to awaken our hearts and to grant us the gift of the Spirit. In this way, at every moment of history, may we discern how to be free, how to embrace goodness and feel chosen, and how to let God increase, here in Estonia and in the whole world, his holy nation, his priestly people.
[01446-EN.01] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua tedesca
Wenn wir in der ersten Lesung von der Ankunft des Volkes Israel – es ist bereits frei von der Knechtschaft in Ägypten – am Berg Sinai hören (vgl. Ex 19,1), kann man nicht umhin, an euch als Volk zu denken; man kann nicht umhin, an die ganze estnische Nation und an alle baltischen Länder zu denken. Wie solltet ihr euch nicht an die „Singende Revolution“ erinnern oder an die Menschenkette von zwei Millionen Personen von hier bis nach Vilnius [„Baltischer Weg“]? Ihr kennt die Kämpfe für die Freiheit und könnt euch mit diesem Volk identifizieren. Es wird uns also gut tun zu hören, was Gott dem Mose sagt, um zu verstehen, was er uns als Volk sagt.
Das Volk, das am Sinai ankommt, ist ein Volk, das schon die Liebe seines Gottes gesehen hat, die sich in Wundern und machtvollen Taten gezeigt hat; es ist ein Volk, das entscheidet, einen Bund der Liebe zu schließen, da Gott es zuerst geliebt und ihm diese Liebe zum Ausdruck gebracht hat. Es ist nicht gezwungen, Gott möchte, dass es frei ist. Wenn wir sagen, dass wir Christen sind, wenn wir einen Lebensstil ergreifen, dann machen wir es ohne Zwänge, es ist kein Tausch, bei dem wir etwas tun, wenn Gott etwas tut. Vor allem aber wissen wir, dass Gottes Angebot uns nichts nimmt; im Gegenteil, er führt uns zur Fülle und bestärkt alle Bestrebungen des Menschen. Einige halten sich für frei, wenn sie ohne Gott oder von ihm getrennt leben. Sie merken nicht, dass sie so als Waise durch dieses Leben gehen, ohne ein Zuhause, zu dem sie zurückkehren können. »Sie hören auf, Pilger zu sein, und werden zu Umherirrenden, die immer um sich selbst kreisen, ohne je an ein Ziel zu gelangen« (Apostolisches Schreiben Evangelii gaudium, 170).
Wie beim Volk Israel nach dem Auszug aus Ägypten ist es unsere Aufgabe, zu hören und zu suchen. Mitunter denken einige, dass die Stärke eines Volkes heute an anderen Parametern zu messen ist. Der eine spricht mit lauterer Stimme, sodass er, wenn er spricht, sicherer scheint – ohne Nachgeben und Zögern; der andere fügt seinen Schreien Drohungen mit Waffengewalt, Truppenaufgeboten, Strategien hinzu … Dieser scheint dann „unerschütterlicher“. Doch das heißt nicht, Gottes Willen zu „suchen“, sondern „anzuhäufen“, um sich auf der Grundlage des Habens durchzusetzen. Diese Haltung birgt in sich eine Ablehnung der Ethik und damit Gottes selbst. Die Ethik stellt uns nämlich in Beziehung mit einem Gott, der von uns eine freie und verbindliche Antwort erwartet im Hinblick auf die anderen und auf unsere Umwelt, eine Antwort, die außerhalb der Kategorien des Marktes steht (vgl. ebd., 57). Ihr habt nicht eure Freiheit erlangt, um dann als Sklaven des Konsums, des Individualismus, des Machthungers oder der Herrschsucht zu enden.
Gott weiß, was wir brauchen; er kennt unsere Bedürfnisse, die wir oft hinter dem Wunsch nach Besitz verbergen, und auch unsere Unsicherheiten, die wir durch Gewalt besiegt haben. Im Evangelium, das wir gehört haben, lädt uns Jesus ein, den Durst, der in jedem Menschenherzen wohnt, durch die Begegnung mit ihm zu überwinden. Denn er kann uns sättigen, uns mit der Fülle der besonderen Fruchtbarkeit seines Wassers, seiner Reinheit, seiner überwältigenden Kraft erfüllen. Glaube heißt auch, sich bewusst werden, dass er lebt und uns liebt; dass er uns nicht verlässt und daher fähig ist, auf geheimnisvolle Weise in unsere Geschichte einzugreifen; dass er in seiner Macht und seiner unendlichen Kreativität Gutes aus dem Bösen hervorgehen lässt (vgl. ebd., 278).
In der Wüste wird das Volk Israel dann in Versuchung geraten, andere Götter zu suchen, das Goldene Kalb anzubeten, auf die eigenen Kräfte zu vertrauen. Doch Gott zieht es immer wieder neu an, und sie werden sich an das erinnern, was sie am Berg gehört und gesehen haben. Wie jenes Volk sind auch wir berufen, ein „auserwähltes, priesterliches und heiliges“ Volk zu sein (vgl. Ex 19,6; 1Petr 2,9); der Heilige Geist erinnert uns an all das (vgl. Joh 14,26).
Auserwählt bedeutet weder exklusiv noch sektiererisch; wir sind ein kleiner Teil, der die Menge durchsäuert, der sich nicht versteckt noch absondert, der sich nicht für besser oder reiner hält. Der Adler gibt seinen Jungen Schutz, er bringt sie an steil gelegene Orte, solange sie sich nicht alleine helfen können, er muss sie aber antreiben, diesen ruhigen Platz zu verlassen. Er schüttelt sein Nest, er bringt seine Jungen in die Luft, damit sie ihre Flügel ausprobieren; und er bleibt unter ihnen, um sie zu schützen, um zu verhindern, dass sie sich weh tun. So macht es Gott mit seinem auserwählten Volk, er will, dass es „hinausgeht“, bei seinem Flug kühn ist und stets nur unter seinem Schutz. Wir müssen die Angst besiegen und die gepanzerten Räume verlassen, denn heute sieht sich der Großteil der Esten nicht als Glaubende.
Hinausgehen als Priester; durch die Taufe sind wir Priester. Hinausgehen, um die Beziehung zu Gott zu fördern, um sie zu erleichtern, um eine Begegnung in Liebe mit dem zu begünstigen, der ruft: »Kommt alle zu mir!« (Mt 11,28). Wir müssen in einem Blick der Nähe wachsen, um den anderen anzuschauen, von ihm gerührt zu werden und bei ihm Halt zu machen, so oft es nötig ist. Das ist die „Kunst der Begleitung”, die sich im heilsamen Rhythmus der Zuwendung verwirklicht und mit einem achtungsvollen Blick voll des Mitleids, der fähig ist zu heilen, Knoten zu lösen und den Mitmenschen im christlichen Leben wachsen zu lassen (vgl. Apostolisches Schreiben Evangelii gaudium, 169).
Und Zeugnis davon geben, dass wir ein heiliges Volk sind. Wir können versucht sein zu meinen, die Heiligkeit sei nur für einige. »Wir sind alle berufen, heilig zu sein, indem wir in der Liebe leben und im täglichen Tun unser persönliches Zeugnis ablegen, jeder an dem Platz, an dem er sich befindet« (Apostolisches Schreiben Gaudete et exsultate, 14). Wie aber das Wasser in der Wüste nicht ein privates, sondern ein gemeinschaftliches Gut war, und wie das Manna nicht angehäuft werden konnte, weil es sonst verdarb, so breitet sich die gelebte Heiligkeit aus, fließt sie und befruchtet alles um sich herum. Heute entscheiden wir uns, heilig zu sein, wenn wir die Ränder und Peripherien unserer Gesellschaft heilen, dort, wo unser Bruder oder unsere Schwester liegt und unter der Ausschließung leidet. Lassen wir nicht zu, dass es erst die Person nach mir sei, die den Schritt macht, um ihm oder ihr zu helfen, und auch nicht, dass es eine Frage sei, die vonseiten der Institutionen gelöst werden muss; sondern richten wir selbst unseren Blick auf den Bruder oder die Schwester und reichen die Hand, um ihn oder sie aufzurichten. Denn in ihm oder ihr findet sich das Abbild Gottes, ein von Jesus Christus erlöster Bruder oder Schwester. Das bedeutet Christ sein und Tag für Tag gelebte Heiligkeit (vgl. ebd., 98).
In eurer Geschichte habt ihr dem Stolz, Esten zu sein, Ausdruck verliehen. Ihr besingt es mit den Worten: »Este bin ich, Este bleib ich, schön ist es, Este zu sein, wir sind Esten!« Wie schön ist es, sich als Teil eines Volkes fühlen, wie schön ist es, unabhängig und frei zu sein. Gehen wir hin zum heiligen Berg, zum Berg des Mose, zum Berg Jesu. Bitten wir Gott – wie das Motto dieses Besuchs sagt –, unsere Herzen aufzuwecken und uns die Gabe des Heiligen Geistes zu geben, damit wir in jedem Augenblick der Geschichte erkennen, wie wir frei sein, das Gute ergreifen und uns erwählt fühlen sollen; wie wir dazu beitragen können, dass Gott hier in Estland und in aller Welt seinen heiligen Stamm, sein priesterliches Volk wachsen lasse.
[01446-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]
Traduzione in lingua spagnola
Al escuchar, en la primera lectura, la llegada del pueblo hebreo —una vez liberado de la esclavitud en Egipto— al monte Sinaí (cf. Ex 19,1) es imposible no pensar en vosotros como pueblo; es imposible no pensar en toda la nación de Estonia y en todos los países Bálticos. ¿Cómo no recordaros en aquella “revolución cantada”, o en aquella fila de 2 millones de personas desde aquí hasta Vilna? Vosotros sabéis de luchas por la libertad, podéis identificaros con aquel pueblo. Nos hará bien, entonces, escuchar qué le dice Dios a Moisés, para discernir qué nos dice a nosotros como pueblo.
El pueblo que llega hasta el Sinaí es un pueblo que ya ha visto el amor de su Dios expresado en los milagros y portentos, es un pueblo que decide hacer un pacto de amor porque Dios ya lo amó primero y le expresó ese amor. No está obligado, Dios lo quiere libre. Cuando decimos que somos cristianos, cuando abrazamos un estilo de vida, lo hacemos sin presiones, sin que sea un intercambio donde cumplimos si Dios cumple. Pero, sobre todo, sabemos que la propuesta de Dios no nos quita nada, al contrario, lleva a la plenitud, potencia todas las aspiraciones del hombre. Algunos se consideran libres cuando viven sin Dios o al margen de él. No advierten que de ese modo transitan por esta vida como huérfanos, sin un hogar donde volver. «Dejan de ser peregrinos y se convierten en errantes, que giran siempre en torno a sí mismos sin llegar a ninguna parte» (Exhort. ap. Evangelii gaudium, 170).
Nos toca a nosotros, al igual que al pueblo salido de Egipto, escuchar y buscar. A veces algunos piensan que la fuerza de un pueblo se mide hoy desde otros parámetros. Hay quien habla con un tono más alto, quien al hablar parece más seguro —sin fisuras ni titubeos—, hay quien al gritar añade amenazas de armamento, despliegue de tropas, estrategias... Este es el que parece más “firme”. Pero eso no es “buscar” la voluntad de Dios; sino un acumular para imponerse desde el tener. Esta actitud esconde en sí un rechazo a la ética y, en ella, a Dios. Pues la ética nos pone en relación con un Dios que espera de nosotros una respuesta libre y comprometida con los demás y con nuestro entorno, que está fuera de las categorías del mercado (cf. ibíd., 57). Vosotros no habéis conquistado vuestra libertad para terminar esclavos del consumo, del individualismo, o del afán de poder o dominio.
Dios conoce lo que necesitamos, lo que a menudo escondemos detrás del afán de tener; también nuestras inseguridades resueltas desde el poder. Esa sed, que habita en todo corazón humano, Jesús, en el Evangelio que hemos escuchado, nos anima a resolverla yendo a su encuentro. Él es quien puede saciarnos, llenarnos de la plenitud que tiene la fecundidad de su agua, su pureza, su fuerza arrolladora. La fe es también caer en la cuenta de que él vive y nos ama; no nos abandona y, por eso, es capaz de intervenir misteriosamente en nuestra historia; él saca bien del mal con su poder y con su infinita creatividad (cf. ibíd., 278).
En el desierto, el pueblo de Israel va a caer en la tentación de buscarse otros dioses, de adorar el becerro de oro, de confiar en sus propias fuerzas. Pero Dios siempre lo atrae nuevamente, y ellos recordarán lo que escucharon y vieron en el monte. Como aquel pueblo, nosotros nos sabemos pueblo “elegido, sacerdotal y santo” (cf. Ex 19,6; 1 P 2,9), el Espíritu es el que nos recuerda todas estas cosas (cf. Jn 14,26).
Elegidos no significa exclusivos, ni sectarios; somos la pequeña porción que tiene que fermentar toda la masa, que no se esconde ni se aparta, que no se considera mejor ni más pura. El águila pone a resguardo sus polluelos, los lleva a lugares escarpados hasta que pueden valerse por sí mismos, pero tiene que empujarlos para que salgan de ese lugar de confort. Agita a su nidada, tira a los polluelos al vacío para que pongan en juego sus alas; y se pone debajo para protegerlos, para evitar que se hagan daño. Así es Dios con su pueblo elegido, lo quiere en “salida”, arriesgado en su vuelo y siempre protegido solo por él. Tenemos que perder el miedo y salir de los espacios blindados, porque hoy la mayoría de los estonios no se reconocen como creyentes.
Salir como sacerdotes; lo somos por el bautismo. Salir a promover la relación con Dios, a facilitarla, a favorecer un encuentro amoroso con aquel que está gritando «venid a mí» (Mt 11,28). Necesitamos crecer en una mirada cercana para contemplar, conmovernos y detenernos ante el otro, cuantas veces sea necesario. Este es el “arte del acompañamiento” que se realiza con el ritmo sanador de la “projimidad”, con una mirada respetuosa y llena de compasión que es capaz de sanar, desatar ataduras y hacer crecer en la vida cristiana (cf. Exhort. ap. Evangelii gaudium, 169).
Y dar testimonio de ser un pueblo santo. Podemos caer en la tentación de pensar que la santidad es solo para algunos. Sin embargo, «todos estamos llamados a ser santos viviendo con amor y ofreciendo el propio testimonio en las ocupaciones de cada día, allí donde cada uno se encuentra» (Exhort. ap. Gaudete et exsultate, 14). Pero, así como el agua en el desierto no era un bien personal sino comunitario, así como el maná no podía ser acumulado porque se echaba a perder, del mismo modo la santidad vivida se expande, fluye, fecunda todo lo que está a sus márgenes. Hoy elegimos ser santos saneando los márgenes y las periferias de nuestra sociedad, allí donde nuestro hermano yace y sufre el descarte. No dejemos que sea el que viene detrás de mí el que dé el paso para socorrerlo, ni tampoco que sea una cuestión para resolver desde las instituciones; que seamos nosotros mismos los que fijemos nuestra mirada en ese hermano y le tendamos la mano para levantarlo, pues en él está la imagen de Dios, es un hermano redimido por Jesucristo. Esto es ser cristianos y la santidad vivida en el día a día (cf. ibíd., 98).
Vosotros habéis manifestado en vuestra historia el orgullo de ser estonios, lo cantáis diciendo: “Soy estonio, me quedaré estonio, estonio es algo bueno, somos estonios”. Qué bueno es sentirse parte de un pueblo, qué bueno es ser independientes y libres. Vayamos a la montaña santa, a la de Moisés, a la de Jesús, y pidámosle —como dice el lema de esta visita—, que nos despierte el corazón, que nos regale el don del Espíritu para discernir en cada momento de la historia cómo ser libres, cómo abrazar el bien y sentirnos elegidos, cómo dejar que Dios haga crecer, aquí en Estonia y en el mundo entero, su nación santa, su pueblo sacerdotal.
[01446-ES.01] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua portoghese
Ao escutar, na primeira leitura, a chegada ao Monte Sinai do povo judeu, já livre da escravidão do Egito (cf. Ex 19, 1), é impossível não pensar em vós como povo; é impossível não pensar na nação inteira da Estónia e todos os países bálticos. Como não vos recordar naquela «revolução cantada» ou naquela corrente de dois milhões de pessoas daqui até Vilna? Vós conheceis as lutas pela liberdade, podeis identificar-vos com aquele povo. Por conseguinte, far-nos-á bem escutar aquilo que Deus diz a Moisés, para compreendermos o que nos diz a nós como povo.
O povo, que chega ao Sinai, é um povo que já viu o amor do seu Deus manifestar-se em milagres e prodígios; é um povo que decide estabelecer um pacto de amor, porque Deus já o amou primeiro e manifestou-lhe este amor. Não é obrigado, Deus quere-lo livre. Quando dizemos que somos cristãos, quando abraçamos um estilo de vida, fazemo-lo sem pressões, sem que isso seja uma troca na qual nós fazemos algo se Deus nos fizer qualquer coisa. Mas sobretudo sabemos que a proposta de Deus não nos tira nada; pelo contrário, leva à plenitude, potencializa todas as aspirações do homem. Alguns consideram-se livres, quando vivem sem Deus ou separados d’Ele. Não se dão conta de que, assim, percorrem esta vida como órfãos, sem um lar para onde voltar. «Deixam de ser peregrinos para se transformarem em errantes, que giram indefinidamente ao redor de si mesmos, sem chegar a lado nenhum» (Exort. ap. Evangelii gaudium, 170).
Cabe a nós, como ao povo que saiu do Egito, ouvir e buscar. Às vezes, alguns pensam que hoje a força dum povo se mede por outros parâmetros. Há quem fale com um tom mais alto e, quando fala, parece mais seguro, sem cedências nem hesitações; há quem junte, aos gritos, ameaças de armas, envio de tropas, estratégias... Esta é a pessoa que parece mais «firme». Mas isto não é «buscar» a vontade de Deus, mas um acumular para se impor com base no ter. Esta atitude esconde em si uma rejeição da ética e, com ela, de Deus; porque a ética coloca-nos em relação com Deus que espera de nós uma resposta livre e comprometida com os outros e com o nosso meio ambiente; uma resposta que está fora das categorias do mercado (cf. ibid., 57). Vós não conquistastes a vossa liberdade para acabar escravos do consumo, do individualismo ou da sede de poder e domínio.
Deus conhece as nossas necessidades, as mesmas que muitas vezes escondemos por detrás do desejo de possuir; e também as nossas inseguranças, superadas por meio do poder. A sede que habita em todo o coração humano, Jesus encoraja-nos – no Evangelho que escutamos – a superá-la no encontro com Ele. É Ele que nos pode saciar, cumular-nos com a plenitude própria da fecundidade da sua água, da sua pureza, da sua força arrebatadora. A fé é também dar-se conta de que Ele está vivo e nos ama; que não nos abandona e, por isso, é capaz de intervir misteriosamente na nossa história; tira o bem do mal com o seu poder e a sua infinita criatividade (cf. ibid., 278).
No deserto, o povo de Israel cairá na tentação de buscar outros deuses, adorar o bezerro de ouro, confiar nas suas próprias forças. Mas Deus não cessa de o atrair sempre de novo; e eles lembrar-se-ão do que escutaram e viram na montanha. Como aquele povo, também nós sabemos que somos um povo eleito, sacerdotal e santo (cf. Ex 19, 6; 1 Ped 2, 9). É o Espírito que nos recorda todas estas coisas (cf. Jo 14, 26).
Eleitos não significa exclusivos nem sectários; somos a pequena porção de fermento que deve levedar toda a massa, que não se esconde nem se separa, que não se considera melhor nem mais pura. A águia põe a seguro os seus filhotes, leva-os para lugares escarpados enquanto não conseguem sobreviver sozinhos, mas depois deve forçá-los a sair daquele lugar tranquilo. Sacode a sua ninhada, deixa os pequeninos suspensos no vazio para testarem as suas asas; mas permanece debaixo deles para os proteger, impedindo que se magoem. De igual modo procede Deus com o seu povo eleito, quere-lo «em saída», ousado no seu voo e sempre protegido apenas por Ele. Temos de vencer o medo e deixar os espaços blindados, porque hoje a maioria dos estonianos não se reconhece como crentes.
Sair como sacerdotes: somo-lo pelo Batismo. Sair para promover a relação com Deus, facilitá-la, favorecer um encontro amoroso com Aquele que não cessa de bradar: «Vinde a Mim» (Mt 11,28). Precisamos de crescer num olhar de proximidade para contemplar, comover-nos e deter-nos à vista do outro, sempre que for necessário. Esta é a «arte do acompanhamento», que se realiza com o ritmo salutar da «proximidade», com um olhar respeitoso e cheio de compaixão que é capaz de curar, desatar nós e fazer crescer na vida cristã (cf. Exort. ap. Evangelii gaudium, 169).
E dar testemunho de ser um povo santo. Podemos cair na tentação de pensar que a santidade seja apenas para alguns. Mas «não é assim. Todos somos chamados a ser santos, vivendo com amor e oferecendo o próprio testemunho nas ocupações de cada dia, onde cada um se encontra» (Exort. ap. Gaudete et exsultate, 14). Entretanto, como a água no deserto não era um bem privado, mas comunitário, como o maná não podia ser armazenado porque se estragava, assim a santidade vivida expande-se, comunica-se, fecunda tudo o que lhe está próximo. Hoje, escolhamos ser santos, sarando as margens e as periferias da nossa sociedade, onde o nosso irmão jaz e sofre a sua exclusão. Não deixemos, para aquele que vier depois de mim, a iniciativa de o socorrer, nem que seja uma questão a ser resolvida pelas instituições; mas nós próprios detenhamos o nosso olhar naquele irmão e estendamos-lhe a mão para o levantar, porque nele está a imagem de Deus, é um irmão redimido por Jesus Cristo. Isto significa ser cristão e a santidade vivida dia a dia (cf. ibid., 98).
Na vossa história, deixais transparecer o orgulho de ser estonianos; cantai-lo dizendo: «Sou estoniano, permanecerei estoniano, estoniano é uma realidade bela, somos estonianos». Como é bom sentir-se parte dum povo! Como é bom ser independentes e livres! Subamos à montanha sagrada (a de Moisés, a de Jesus) e peçamos ao Senhor – como reza o lema desta visita – que desperte os nossos corações e nos conceda o dom do Espírito para discernirmos, em cada momento da história, o modo como ser livres, como abraçar o bem e sentir-se eleitos, como deixar que Deus faça crescer, aqui na Estónia e no mundo inteiro, a sua nação santa, o seu povo sacerdotal.
[01446-PO.01] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua polacca
Słuchając, w pierwszym czytaniu, o przybyciu narodu żydowskiego - już wolnego od niewoli egipskiej - na górę Synaj (por. Wj 19, 1), nie sposób nie myśleć o was jako o narodzie; o całym narodzie estońskim i o wszystkich narodach krajów nadbałtyckich. Jakże nie przypomnieć was w tej „śpiewającej rewolucji”, czy w owym łańcuchu 2 milionów osób, stąd aż do Wilna? Wiecie, co to walka o wolność, możecie utożsamić się z tym ludem. Warto zatem, abyśmy posłuchali tego, co Bóg mówi do Mojżesza, aby zrozumieć, co mówi nam jako ludowi.
Lud, który przybywa na Synaj, już doświadczył miłości swego Boga objawionej w zjawiskach nadprzyrodzonych i cudach. Jest to lud, który postanawia zawrzeć przymierze miłości, ponieważ Bóg już go umiłował jako pierwszy i okazał tę miłość. Nie jest zmuszony. Bóg go miłuje bezinteresownie. Kiedy mówimy, że jesteśmy chrześcijanami, kiedy obieramy pewien styl życia, czynimy to bez nacisków, aby nie był to rodzaj wymiany, gdzie my coś czynimy, jeśli Bóg coś zrobi dla nas. Przede wszystkim jednak wiemy, że Boża propozycja niczego nam nie odbiera, przeciwnie, prowadzi do pełni, rozwija wszystkie aspiracje człowieka. Niektórzy uważają siebie za wolnych, kiedy żyją bez Boga lub są od Niego oddzieleni. Nie zdają sobie sprawy, że w ten sposób przechodzą przez to życie jak sieroty, bez domu, do którego mogliby powrócić. „Przestają być pielgrzymami i zamieniają się w błądzących, zawsze krążących wokół siebie, nigdzie nie dochodząc” (Adhort. ap. Evangelii gaudium, 170).
Do nas, podobnie jak do ludu, który wyszedł z Egiptu, należy słuchanie i poszukiwanie. Czasami niektórzy sądzą, że siłę narodu mierzy się dziś innymi parametrami. Są tacy, którzy mówią podniesionym tonem, którzy gdy przemawiają, sprawiają wrażenie bycia pewnymi siebie, bez ustępstw i wahań. Są tacy, którzy do krzyków dodają groźby użycia broni, rozmieszczenia wojsk, strategii... Tacy wydają się być „silniejszymi”. Ale to nie jest „poszukiwaniem” woli Bożej, ale gromadzeniem, aby dominować swoim stanem posiadania. Ta postawa kryje w sobie odrzucenie etyki, a wraz z nią Boga. Etyka bowiem wiąże nas z Bogiem, który oczekuje od nas reakcji wolnej i zaangażowanej wraz z innymi i z naszym środowiskiem, odpowiedzi wykraczającej poza kategorie rynku (por. tamże, 57). Nie zdobyliście waszej wolności po to, aby teraz stać się niewolnikami konsumpcjonizmu, indywidualizmu lub pragnienia władzy czy panowania.
Bóg zna nasze potrzeby i niepewności, które często ukrywamy za chęcią posiadania i dążenia do władzy. W usłyszanym przez nas fragmencie Ewangelii, Jezus zachęca nas, by w spotkaniu z Nim zaspokoić to pragnienie obecne w każdym ludzkim sercu. To On może nas zaspokoić, napełnić nas owocnością swej wody, jej czystością, jej przemożną siłą. Wiara to także zrozumienie, że On żyje i nas miłuje; że nas nie opuszcza i dlatego może tajemniczo wpływać na nasze dzieje. Wydobywa dobro ze zła swoją mocą i swoją nieskończoną kreatywnością (por. tamże, 278).
Lud Izraela popadnie na pustyni w pokusę szukania innych bogów, czczenia złotego cielca, pokładania ufności w swoich siłach. Ale Bóg pociąga go nieustannie na nowo, a oni przypomną sobie to, co słyszeli i widzieli na górze. Tak jak ów lud, wiemy, że jesteśmy narodem „wybranym, kapłańskim i świętym” (por. Wj 19, 6; 1 P 2, 9). Te wszystkie rzeczy przypomina nam Duch Święty (por. J 14, 26).
Wybrani nie oznacza ekskluzywności lub sekciarstwa. Jesteśmy małą częścią, która musi zakwasić całą masę, częścią, która się nie ukrywa, ani nie oddziela, która nie uważa się za lepszą lub czystszą. Orzeł chroni swoje orlęta, zanosi je na miejsca niedostępne, dopóki nie potrafią dostać się tam same, ale potem zmusza je do wylotu z tego spokojnego gniazda. Potrząsa on swoim potomstwem, zabiera swoje maleństwa nad przepaść, aby wypróbowały swoje skrzydła; i trwa pod nimi, aby je chronić, żeby nie zrobiły sobie krzywdy. Taki jest Bóg wobec swego ludu wybranego – chce, aby wychodził, był odważny w swoim locie i zawsze był chroniony tylko przez Niego. Musimy przezwyciężyć lęk i porzucić obwarowane przestrzenie, bo dziś większość Estończyków nie uznaje siebie za wierzących.
Wychodzić jako kapłani; jesteśmy nimi przez chrzest. Wychodzić, aby krzewić relację z Bogiem, aby ją ułatwić, zachęcić do spotkania miłości z tym, który woła: „Przyjdźcie do Mnie” (Mt 11, 28). Musimy wzrastać w spojrzeniu bliskości, aby kontemplować, wzruszyć się i zatrzymać przed drugim, za każdym razem, kiedy tylko zajdzie taka potrzeba. Jest to „sztuka towarzyszenia”, która dokonuje się poprzez zbawienny rytm „bliskości”, ze spojrzeniem okazującym szacunek i pełnym współczucia, które jednak będzie jednocześnie leczyło, wyzwalało i zachęcało do dojrzewania w życiu chrześcijańskim (por. Adhort. ap. Evangelii gaudium, 169).
I dawać świadectwo bycia ludem świętym. Możemy ulegać pokusie, by myśleć, że świętość jest tylko dla niektórych. Jednakże, „wszyscy jesteśmy powołani, by być świętymi, żyjąc z miłością i dając swe świadectwo w codziennych zajęciach, tam, gdzie każdy się znajduje” (Adhort. ap. Gaudete et exsultate, 14). Ale, tak jak woda na pustyni nie była dobrem osobistym, lecz wspólnotowym, tak jak manna nie mogła być przechowywana, ponieważ się psuła, tak też przeżywanie świętości rozprzestrzenia się, krąży, użyźnia to wszystko, co jest obok niej. Dzisiaj postanawiamy być świętymi, uzdrawiając marginesy i obrzeża naszego społeczeństwa, gdzie nasz brat leży i cierpi z powodu swego wykluczenia. To my sami skierujmy nasze spojrzenie na tego brata i podajmy mu rękę, aby go podnieść, bo jest w nim obraz Boga, jest bratem odkupionym przez Jezusa Chrystusa. Nie zostawiajmy tego innym, którzy nadejdą później, po nas, ani nawet aby była to kwestia, którą powinny rozwiązać instytucje. To właśnie znaczy być chrześcijaninem, to znaczy świętość przeżywana każdego dnia (por. tamże, 98).
Na przestrzeni swych dziejów okazaliście dumę, że jesteście Estończykami. Śpiewacie o tym: „Jestem Estończykiem i Estończykiem zostanę, Estonia to rzecz piękna, jesteśmy Estończykami”. Jakże wspaniale czuć się częścią narodu, jakże wspaniale być niezależnymi i wolnymi. Idziemy na górę świętą, górę Mojżesza, i na górę Jezusa i prosimy Go - jako mówi motto tej wizyty - aby obudził nasze serca, aby obdarzał nas darem Ducha Świętego, aby dostrzec w każdym momencie historii, jak być wolnymi, jak przyjąć dobro i czuć się wybranymi. Niech z Bożą pomocą rozwija się tu w Estonii i na całym świecie Jego naród święty, lud kapłański.
[01446-PL.01] [Testo originale: Italiano]
Traduzione di lavoro in lingua estone
Kuulates esimese lugemise sõnumit sellest, kuidas iisraeli rahvas, kes oli Egiptuse vangipõlvest juba vabanenud, Siinai mäe juurde jõudis (vrd 2Ms 19, 1), ei saa kuidagi jätta mõtlemata teile kui rahvale; ei saa jätta mõtlemata kogu eesti rahvale ja kõikidele Balti riikidele. Kuidas saakski unustada teie „laulvat revolutsiooni“ või kaht miljonit inimest ühendavat ketti siit Tallinnast Vilniuseni? Teie teate, mis on võitlus vabaduse eest; teie saate end tolles rahvas ära tunda. Seepärast peakski kuulama, mida Jumal ütleb Moosesele, et mõista, mida ta meile kui rahvale ütleb.
Rahvas, kes saabus Siinaisse, oli juba saanud näha Jumala armastust imetegude ja tunnustähtede kaudu. See oli rahvas, kes otsustas sõlmida Jumalaga armastuse lepingu, sest Jumal oli teda esimesena armastanud ja ka oma armastust ilmutanud. See polnud pealesunnitud armastus, sest Jumal tahab, et me oleksime armastuses vabad. Kui tunnnistame end kristlasteks, kui valime enesele eluviisi, siis teeme seda ilma surveta; me ei tee seda nii, nagu oleks see tehing, mis sunnib meid midagi tegema, juhul kui Jumal midagi teeb. Aga eelkõige me teame, et Jumala pakutu ei võta meilt midagi ära; vastupidi, see viib meid täiuse, kõigi meie inimlike püüdluste teostumise poole. On inimesi, kes peavad end vabaks, kui elavad oma elu ilma Jumalata või temast eemalduvad. Nad ei märka, et sellisena on nende elu otsekui elus ekslevatel orbudel, kellel pole kodu, kuhu tagasi minna. „Nii pole nad enam palverändurid, vaid neist saavad hulkurid, kes käivad ringi ümber iseenda, mitte kusagile jõudmata (Evangelii gaudium, 170).
Nii nagu Egiptusest välja rännanud rahval, nii on ka meil vaja kuulata ja otsida. Mõned ju võivad mõelda, et tänapäeval tuleb ühe rahva tugevust mõõta mingite teistsuguste mõõdupuudega. On neid, kes räägivad teistest valjemini, et niimoodi – ilma kahtlusi ja kõhklusi väljendamata – enesekindlam paista; mõni ähvardab lisaks kisale relvade, sõjalise võimsuse ja muude strateegiatega... Aga niimoodi nad vaid näivad tugevamad. See pole ometi viis, kuidas Jumalat otsida, vaid kuidas koondada jõudu teiste allutamiseks. Selliste hoiakute taga on eetikast loobumine, mis on ühtlasi lahtiütlemine Jumalast. Sest eetika kaudu oleme ühenduses Jumalaga, kes ootab meilt vaba ja kohusetundlikku seisukohavõttu teiste inimeste ja meid ümbritseva maailma ja keskkonna suhtes – niisugust seisukohavõttu, mis jääb väljapoole turukategooriaid (ibid.) Te pole ju oma vabadust kätte võidelnud selleks, et langeda tarbimise, individualismi, võimuiha või üleolekutunde orjusse.
Jumal teab meie vajadusi; neid vajadusi, mida me ise sageli omamiskire alla surume. Ta tunneb ka meie ebakindlust, mida me üritame ületada võimule pääsemise kaudu. Kuuldud evangeeliumis julgustab Jeesus meid sellisest, iga inimsüdant vaevavast janust üle saamiseks tema juurde tulema. Tema on see, kes suudab kustutada meie tegeliku janu ja oma elava veega, oma puhtusega, oma vastupandumatu väega meie soovid pilgeni täita. Uskuda tähendab mõista, et ta on elus ja et ta armastab meid; et ta ei jäta meid maha ja võib seetõttu mõistatuslikul viisil sekkuda meie ajalukku; tuua oma väe ja piiramatu loomisvõimega halvast välja selle, mis on hea (ibid., 278).
Kõrbes rännates langeb iisraeli rahvas kiusatusse otsida teisi jumalaid, kummardada kuldvasikat, jääda lootma omaenese jõule. Aga Jumal hüüab nad enda juurde tagasi ja neile meenub see, mida nad on mäe peal kuulnud ja näinud. Nagu iisraeli rahvas, nii teame ka meie, et oleme valitud ja püha rahvas, preestrite rahvas (vrd. 2Ms 19, 6; 1Pt 2,9); ning see on Püha Vaim, kes meile seda meelde tuletab (1Jh 14, 26).
Valitus ei tähenda eksklusiivsust ega sektantlikkust: me oleme see pisike osake pärmist, mis peab kergitama kogu taignat; kes ei poe peitu ega eraldu, kes ei pea end paremaks ega puhtamaks. Kotkas kasvatab oma poegi varjulises paigas, kõrgetel kaljudel, kuni nad suudavad enda eest ise seista. Aga ta peab nad ka turvapaigast välja ajama. Ta raputab pesa, tõukab nad vabasse õhku, et nad saaksid oma tiibu proovida; aga ta lendab kaitsvalt nende all ja hoiab neid haiget saamast. Sama moodi teeb Jumal oma valitud rahvaga: ta tahab, et see oma „pesast välja läheks“, julgelt lendaks ja teaks, et on alati vaid tema poolt kaitstud. Me peame oma hirmud ületama, oma mugavuse selja taha jätma ja tegutsema, sest tänasel päeval ei pea suurem osa eestlasi end usklikuks.
Mingem siis oma pesadest välja ja saagem preestriteks, sest need me ju ristimise kaudu oleme; mingem siit välja, et elavadada ja tugevdada oma sidet Jumalaga; et teha kõik selleks, et temaga, kes ta hüüab: „Tulge minu juurde“ (Mt 11, 28), armastuses kohtuda. Me peame kasvama oma võimes näha teist inimest, tema ees peatuma ja laskma tal igal vajalikul hetkel oma hinge puudutada. See on oma „kaasteelise märkamise kunst“, mis tagab ligimesearmastusele tema tegelikkuse ja annab talle tervendava rütmi; mis kingib meile lugupidava ja kaastundliku pilgu, mille puudutus ravib, vabastab ja aitab kasvada kristlikus vaimus (Evangelii gaudium, 169).
Ja viimasena, andkem enestest tunnistus kui pühast rahvast. Meid võib tabada kiusatus mõelda, et pühadus ei käi mitte kõikide kohta. Tegelikult „oleme kõik kutsutud olema pühad, elama oma elu armastuses ja andma sellest oma igapäevaste toimingute kaudu tunnistust igas paigas, kus me hetkel viibime“ (Gaudete et exsultate, 14). Aga nõnda nagu vesi polnud kõrbes mitte isiklik, vaid ühine hüve, nõnda nagu ei saanud varuda mannat, sest see oleks riknenud, nõnda on ka pühadusega, mis vaid vastastikku elatud elus kerkib, tulvab ja kogu ümbruse viljakaks muudab. Tehkem siis oma valik ja olgem pühad, tehes terveks oma ühiskonna unustatud nurgad ja ääremaad – kohad, kus meie vennad ja õed end hüljatuna tunnevad. Me ju ei saa arvata, et pärast meid tulevad teised, kes astuvad selle abistava sammu, või et jäetagu küsimus üksnes ametkondada lahendada; meie kohus on ise olla need, kes pööravad oma pilgu õdede ja vendade poole ja ulatavad abikäe neile, kelle näos näeme jälge Jumalast; neile, kelle Jeesus Kristus on lunastanud. Just see on see, mis näitab, et oleme kristlased ja elame oma igapäevast püha elu (ibid., 98).
Teie olete oma ajalooga näidanud, et tunnete uhkust olla eestlased. Ta lausa laulate sellest sõnadega „eestlane olen ja eestlaseks jään“ ning et „see on uhke ja hää“. Kui ilus on seda ühe rahva suust kuulda! Kui ilus on olla vaba ja iseseisev! Mingem siis koos pühale mäele, Moosese mäele, Jeesuse mäele, ja palugem teda – nii nagu ütleb ka selle külaskäigu moto –, et ta ärataks üles meie südamed, et ta annaks meile Püha Vaimu anni, et tunda oma ajaloo igal hetkel ära, kuidas olla vabad, kuidas saada osa headusest ja olla pühad; kuidas võimaldada Jumalal lasta kasvada – siin Eestis ja kogu maailmas – oma pühal rahval, oma preestrite rahval.
[01446-AA.01] [Testo originale: Italiano]
Parole di ringraziamento del Santo Padre
Testo in lingua italiana
Traduzione in lingua francese
Traduzione in lingua inglese
Traduzione in lingua tedesca
Traduzione in lingua spagnola
Traduzione in lingua portoghese
Traduzione in lingua polacca
Traduzione di lavoro in lingua estone
Testo in lingua italiana
Cari fratelli e sorelle,
prima della benedizione finale, e di concludere questo Viaggio Apostolico in Lituania, Lettonia ed Estonia, desidero esprimere la mia gratitudine a tutti voi, a partire dall’Amministratore Apostolico dell’Estonia. Grazie per la vostra accoglienza, espressione di un piccolo gregge con il cuore grande! Rinnovo la mia riconoscenza alla Signora Presidente della Repubblica e alle altre Autorità del Paese.
Uno speciale pensiero va a tutti i fratelli cristiani, in modo particolare ai Luterani, che, sia qui in Estonia sia in Lettonia, hanno ospitato gli incontri ecumenici. Il Signore continui a guidarci nella via della comunione.
Grazie a tutti!
[01447-IT.01] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
Chers frères et sœurs,
Avant la bénédiction finale, et avant de conclure ce Voyage apostolique en Lituanie, Lettonie et Estonie, je souhaite exprimer ma gratitude à vous tous, en commençant par l’Administrateur apostolique d’Estonie. Merci de votre accueil, expression d’un petit troupeau au grand cœur.
Je renouvelle ma reconnaissance à Madame le Président de la République et aux autres Autorités du Pays. Une pensée particulière à tous les frères chrétiens, particulièrement aux Luthériens, qui, ici en Estonie ou en Lettonie, ont accueilli les rencontres œcuméniques. Que le Seigneur continue de nous garder sur le chemin de la communion.
Merci à tous!
[01447-FR.01] [Texte original: Italien]
Traduzione in lingua inglese
Dear brothers and sisters,
Before the final blessing, and the conclusion of this Apostolic Journey in Lithuania, Latvia and Estonia, I wish to extend my gratitude to all of you, starting with the Apostolic Administrator of Estonia. Thank you for your welcome, expressed by a small flock with a large heart! I renew my appreciation to Her Excellency the President of the Republic and to all the other authorities of the country.
A special thought goes to all our Christian brothers and sisters, particularly the Lutherans, who here in Estonia and in Latvia have offered hospitality at the ecumenical meetings. May the Lord continue to guide us along the path of communion.
I thank you all!
[01447-EN.01] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua tedesca
Liebe Brüder und Schwestern,
vor dem Schlusssegen und vor dem Abschluss dieser Apostolischen Reise nach Litauen, Lettland und Estland möchte ich euch allen, angefangen beim Apostolischen Administrator von Estland, meinen Dank aussprechen. Danke für eure Aufnahme, Ausdruck einer kleinen Herde mit großem Herzen! Nochmals danke ich der Präsidentin der Republik und allen anderen Vertretern des öffentlichen Lebens des Landes. Ein besonderer Dank geht an alle christlichen Brüder und Schwestern, vor allem an die Lutheraner, die sowohl hier in Estland als auch in Lettland die ökumenischen Treffen zu Gast gehabt haben. Der Herr möge euch weiter auf dem Weg der Gemeinschaft führen.
Allen herzlichen Dank!
[01447-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]
Traduzione in lingua spagnola
Queridos hermanos y hermanas:
Antes de la bendición final, y de concluir este Viaje Apostólico en Lituania, Letonia y Estonia, deseo expresaros mi gratitud, comenzando por el administrador apostólico de Estonia. Gracias por vuestra acogida, expresión de un pequeño rebaño con un corazón grande. Renuevo mi gratitud a la señora Presidenta de la República y a las demás autoridades del país. Pienso de modo especial en todos los hermanos cristianos, en particular en los luteranos que, tanto aquí en Estonia como en Letonia, han acogido los encuentros ecuménicos. Que el Señor siga guiándonos por el camino de la comunión.
Gracias a todos.
[01447-ES.01] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua portoghese
Queridos irmãos e irmãs!
Antes da bênção final, e de concluir esta Viagem Apostólica à Lituânia, Letónia e Estónia, quero expressar a minha gratidão a todos vós, a começar pelo Administrador Apostólico da Estónia. Obrigado pela vossa receção, expressão dum pequeno rebanho com um grande coração! Renovo a minha gratidão à Senhora Presidente da República e restantes Autoridades do país. Um pensamento particular, reservo a todos os irmãos cristãos, de modo especial aos Luteranos que, tanto aqui na Estónia como na Letónia, hospedaram os encontros ecuménicos. Que o Senhor nos continue a guiar no caminho da comunhão.
Obrigado a todos!
[01447-PO.01] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua polacca
Na zakończenie Mszy św.
Drodzy Bracia i Siostry,
Przed końcowym błogosławieństwem i zakończeniem tej wizyty apostolskiej na Litwie, Łotwie i w Estonii, pragnę wyrazić moją wdzięczność wam wszystkim, począwszy od administratora apostolskiego w Estonii. Dziękuję za waszą gościnność, znaczący gest małej wspólnoty o wielkim sercu! Ponawiam moje wyrazy wdzięczności dla Pani Prezydent i innych władz kraju. Szczególną myśl kieruję do wszystkich braci chrześcijan, zwłaszcza do Luteranów, którzy zarówno w Estonii, jak i na Łotwie, przygotowali spotkania ekumeniczne. Niech Pan nadal prowadzi nas na drodze komunii.
Dziękuję wszystkim!
[01447-PL.01] [Testo originale: Italiano]
Traduzione di lavoro in lingua estone
Armsad vennad ja õed,
enne lõpuõnnistust, oma pastoraalreisi lõpetuseks Leedus, Lätis ja Eestis, tahan väljendada oma tänulikkust kõigile teile, alates Eesti Apostellikust Administraatorist. Suur tänu mulle osutatud külalislahkuse eest, mis väljendub väikese hulga inimeste suurtes südametes!
Tänan veelkord proua Vabariigi Presidenti ja teisi riigi esindajaid.
Minu mõtted on kõigi kristlastest vendadega, eriti luterlastega, kes nii siin Eestis kui ka Lätis, olid oikumeeniliste kohtumiste võõrustajad. Issand jätkab meie juhtimist ühtsuse teel.
Suur tänu kõigile!
[01447-AA.01] [Testo originale: Italiano]
[B0692-XX.02]