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Viaggio Apostolico di Sua Santità Francesco in Lituania, Lettonia ed Estonia (22 – 25 settembre 2018) - Incontro Ecumenico con i Giovani nella Kaarli Lutheran Church a Tallinn, 25.09.2018


Incontro Ecumenico con i Giovani nella Kaarli Lutheran Church a Tallinn

Discorso del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Alle ore 11.40 locali (10.40 ora di Roma) ha avuto luogo l’Incontro Ecumenico con i giovani nella Kaarli Lutheran Church a Tallinn.

Al Suo arrivo, il Santo Padre è stato accolto dall’Arcivescovo luterano e dal Pastore della Chiesa. Nell’atrio un gruppo di bambini di diverse scuole cristiane ha offerto dei fiori al Papa mentre veniva eseguito un canto. Quindi Papa Francesco è entrato in processione insieme all’Arcivescovo luterano, Urmas Viilma, al Pastore della Chiesa di San Carlo e all’Amministratore Apostolico di Tallinn, S.E. Mons. Philippe Jourdan.

Dopo le parole di benvenuto di due ragazzi, uno cattolico e uno luterano, l’esecuzione di canti, un breve indirizzo di saluto dell’Arcivescovo luterano e alcune brevi testimonianze di un rappresentante luterano, di un ortodosso estone e di un cattolico, il Santo Padre ha pronunciato il Suo discorso.

Al termine dell’incontro, dopo il canto finale, il breve saluto del Presidente del Consiglio delle Chiese dell’Estonia, l’Arcivescovo Andres Põder e le parole di ringraziamento dell’Amministratore Apostolico di Tallinn, il Papa si è congedato dai 10 leader religiosi presenti, ha salutato i membri del comitato organizzatore e si è trasferito in auto al Convento delle Suore Brigidine a Pirita, dove ha pranzato con i membri del Seguito papale.

Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha pronunciato nel corso dell’incontro ecumenico con i giovani:

Discorso del Santo Padre

Cari giovani,

grazie per la vostra calorosa accoglienza, per i vostri canti e per le testimonianze di Lisbel, Tauri e Mirko. Sono grato per le gentili e fraterne parole dell’Arcivescovo della Chiesa Evangelica Luterana di Estonia, Urmas Viilma, come pure per la presenza del Presidente del Consiglio delle Chiese dell’Estonia, l’Arcivescovo Andres Põder, del Vescovo Philippe Jourdan, Amministratore Apostolico in Estonia, e degli altri rappresentanti delle diverse confessioni cristiane presenti nel Paese. Sono grato anche della presenza della Signora Presidente della Repubblica.

È sempre bello riunirci, condividere testimonianze di vita, esprimere quello che pensiamo e vogliamo; ed è molto bello stare insieme, noi che crediamo in Gesù Cristo. Questi incontri realizzano il sogno di Gesù nell’Ultima Cena: «Che tutti siano una sola cosa, […] perché il mondo creda» (Gv 17,21). Se ci sforziamo di vederci come pellegrini che fanno il cammino insieme, impareremo ad aprire il cuore con fiducia al compagno di strada senza sospetti, senza diffidenze, guardando solo a ciò che realmente cerchiamo: la pace davanti al volto dell’unico Dio. E siccome la pace è artigianale, aver fiducia negli altri è pure qualcosa di artigianale, ed è fonte di felicità: «Beati gli operatori di pace» (Mt 5,9). E questa strada, questo cammino non lo facciamo solo con i credenti, ma con tutti. Tutti hanno qualcosa da dirci. A tutti abbiamo qualcosa da dire.

Il grande dipinto che si trova nell’abside di questa chiesa contiene una frase del Vangelo di San Matteo: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro» (Mt 11,28). Voi, giovani cristiani, potete identificarvi con alcuni elementi di questo brano del Vangelo.

Nelle narrazioni che precedono, Matteo ci dice che Gesù sta accumulando delusioni. Prima si lamenta perché sembra che a quelli a cui si rivolge non vada bene niente (cfr Mt 11,16-19). A voi giovani capita spesso che gli adulti intorno a voi non sanno quello che vogliono o si aspettano da voi; o a volte, quando vi vedono molto felici, diffidano; e se vi vedono angosciati, relativizzano quello che vi succede. Nella consultazione prima del Sinodo, che celebreremo a breve e in cui rifletteremo sui giovani, molti di voi chiedono che qualcuno vi accompagni e vi capisca senza giudicare e sappia ascoltarvi, come pure rispondere ai vostri interrogativi (cfr Sinodo dedicato ai giovani, Instrumentum laboris, 132). Le nostre Chiese cristiane – e oserei dire ogni processo religioso strutturato istituzionalmente – a volte si portano dietro atteggiamenti nei quali è stato più facile per noi parlare, consigliare, proporre dalla nostra esperienza, piuttosto che ascoltare, piuttosto che lasciarsi interrogare e illuminare da ciò che voi vivete. Tante volte le comunità cristiane si chiudono, senza accorgersene, e non ascoltano le vostre inquietudini. Sappiamo che voi volete e vi aspettate «di essere accompagnati non da un giudice inflessibile, né da un genitore timoroso e iperprotettivo che genera dipendenza, ma da qualcuno che non ha timore della propria debolezza e sa far risplendere il tesoro che, come vaso di creta, custodisce al proprio interno (cfr 2 Cor 4,7)» (ibid., 142). Oggi qui voglio dirvi che vogliamo piangere con voi se state piangendo, accompagnare con i nostri applausi e le nostre risate le vostre gioie, aiutarvi a vivere la sequela del Signore. Voi, ragazzi e ragazze, giovani, sappiate questo: quando una comunità cristiana è veramente cristiana non fa proselitismo. Soltanto ascolta, accoglie, accompagna e cammina; ma non impone niente.

Gesù si lamenta anche delle città che ha visitato, compiendo in esse più miracoli e riservando ad esse maggiori gesti di tenerezza e vicinanza, e deplora la loro mancanza di fiuto nel rendersi conto che il cambiamento che era venuto a proporre loro era urgente, non poteva aspettare. Arriva perfino a dire che sono più testarde e accecate di Sodoma (cfr Mt 11,20-24). E quando noi adulti ci chiudiamo a una realtà che è già un fatto, ci dite con franchezza: “Non lo vedete?”. E alcuni più coraggiosi hanno il coraggio di dire: “Non vi accorgete che nessuno vi ascolta più, né vi crede?”. Abbiamo davvero bisogno di convertirci, di scoprire che per essere al vostro fianco dobbiamo rovesciare tante situazioni che sono, in definitiva, quelle che vi allontanano.

Sappiamo – come ci avete detto – che molti giovani non ci chiedono nulla perché non ci ritengono interlocutori significativi per la loro esistenza. È brutto questo, quando una Chiesa, una comunità, si comporta in modo tale che i giovani pensano: “Questi non mi diranno nulla che serva alla mia vita”. Alcuni, anzi, chiedono espressamente di essere lasciati in pace, perché sentono la presenza della Chiesa come fastidiosa e perfino irritante. E questo è vero. Li indignano gli scandali sessuali ed economici di fronte ai quali non vedono una condanna netta; il non saper interpretare adeguatamente la vita e la sensibilità dei giovani per mancanza di preparazione; o semplicemente il ruolo passivo che assegniamo loro (cfr Sinodo dedicato ai giovani, Instrumentum laboris, 66). Queste sono alcune delle vostre richieste. Vogliamo rispondere a loro, vogliamo, come voi stessi dite, essere una «comunità trasparente, accogliente, onesta, attraente, comunicativa, accessibile, gioiosa e interattiva» (ibid., 67), cioè una comunità senza paura. Le paure ci chiudono. Le paure ci spingono a essere proselitisti. E la fratellanza è un’altra cosa: il cuore aperto e l’abbraccio fraterno.

Prima di arrivare al testo evangelico che sovrasta questo tempio, Gesù inizia elevando una lode al Padre. Lo fa perché si rende conto che coloro che hanno compreso, quelli che capiscono il centro del suo messaggio e della sua persona, sono i piccoli, coloro che hanno l’anima semplice, aperta. E vedendovi così, riuniti, a cantare, mi unisco alla voce di Gesù e resto ammirato, perché voi, nonostante la nostra mancanza di testimonianza, continuate a scoprire Gesù in seno alle nostre comunità. Perché sappiamo che dove c’è Gesù c’è sempre rinnovamento, c’è sempre l’opportunità della conversione, di lasciarsi alle spalle tutto ciò che ci separa da Lui e dai nostri fratelli. Dove c’è Gesù, la vita ha sempre sapore di Spirito Santo. Voi, qui oggi, siete l’attualizzazione di quella meraviglia di Gesù.

Allora sì, diciamo di nuovo: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi ristorerò» (Mt 11,28). Ma lo diciamo convinti che, al di là dei nostri limiti, delle nostre divisioni, Gesù continua ad essere il motivo per essere qui. Sappiamo che non c’è sollievo più grande che lasciare che Gesù porti le nostre oppressioni. Sappiamo anche che ci sono molti che ancora non lo conoscono e vivono nella tristezza e nello smarrimento. Una vostra famosa cantante, circa dieci anni fa, diceva in una delle sue canzoni: «L’amore è morto, l’amore se n’è andato, l’amore non vive più qui» (Kerli Kõiv, L’amore è morto). No, per favore! Facciamo sì che l’amore sia vivo, e tutti noi dobbiamo fare questo! E sono tanti quelli che fanno questa esperienza: vedono che finisce l’amore dei loro genitori, che si dissolve l’amore di coppie appena sposate; sperimentano un intimo dolore quando a nessuno importa che debbano emigrare per cercare lavoro o quando li si guarda con sospetto perché sono stranieri. Sembrerebbe che l’amore sia morto, come diceva Kerli Kõiv, ma sappiamo che non è così, e abbiamo una parola da dire, qualcosa da annunciare, con pochi discorsi e molti gesti. Perché voi siete la generazione dell’immagine, la generazione dell’azione al di sopra della speculazione, della teoria.

E così piace a Gesù; perché Lui passò facendo il bene, e quando è morto ha preferito alle parole il gesto forte della croce. Noi siamo uniti dalla fede in Gesù, ed è Lui che attende che lo portiamo a tutti i giovani che hanno perso il senso della loro vita. E il rischio è, anche per noi credenti, di perdere il senso della vita. E questo succede quando noi credenti siamo incoerenti. Accogliamo insieme quella novità che Dio porta nella nostra vita; quella novità che ci spinge a partire sempre di nuovo, per andare là dove si trova l’umanità più ferita. Dove gli uomini, al di là dell’apparenza di superficialità e conformismo, continuano a cercare una risposta alla domanda sul senso della loro vita. Ma non andremo mai da soli: Dio viene con noi; Lui non ha paura, non ha paura delle periferie, anzi, Lui stesso si è fatto periferia (cfr Fil 2,6-8; Gv 1,14). Se abbiamo il coraggio di uscire da noi stessi, dai nostri egoismi, dalle nostre idee chiuse, e andare nelle periferie, là lo troveremo, perché Gesù ci precede nella vita del fratello che soffre ed è scartato. Egli è già là (cfr Esort. ap. Gaudete et exsultate, 135).

Ragazzi e ragazze, l’amore non è morto, ci chiama e ci invia. Chiede solo di aprire il cuore. Chiediamo la forza apostolica di portare il Vangelo agli altri – ma offrirlo, non imporlo – e di rinunciare a fare della nostra vita cristiana un museo di ricordi. La vita cristiana è vita, è futuro, è speranza! Non è un museo. Lasciamo che lo Spirito Santo ci faccia contemplare la storia nella prospettiva di Gesù risorto, così la Chiesa, così le nostre Chiese saranno in grado di andare avanti accogliendo in sé le sorprese del Signore (cfr ibid., 139), recuperando la propria giovinezza, la gioia e la bellezza della quale parlava Mirko, della sposa che va incontro al Signore. Le sorprese del Signore. Il Signore ci sorprende perché la vita ci sorprende sempre. Andiamo avanti, incontro a queste sorprese. Grazie!

[01444-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Chers jeunes,

merci pour votre accueil chaleureux, pour vos chants et les témoignages de Lisbel, Tauri et Mirko. Je suis reconnaissant pour les aimables et fraternelles paroles de l’évêque de l’Eglise luthérienne d’Estonie, Urmas Viilma, comme aussi pour la présence du Président du Conseil des Eglises d’Estonie, l’Archevêque Andrés Poder, celle de l’évêque, Monseigneur Philippe Jourdan, administrateur apostolique en Estonie, et des autres représentants des différentes confessions chrétiennes présentes dans le pays. Je remercie aussi pour la présence de Madame la Présidente de la République.

Il est toujours beau de se réunir, de partager des témoignages de vie, d’exprimer ce que nous pensons et voulons; et il est très beau de nous retrouver ensemble, nous qui croyons en Jésus Christ. Ces rencontres réalisent le rêve de Jésus dans la dernière Cène: «Que tous soient un, […] pour que le monde croie» (Jn 17, 21). Si nous nous efforçons de nous considérer comme des pèlerins qui font le chemin ensemble, nous apprendrons à ouvrir notre cœur avec confiance au compagnon de route, sans suspicions, sans méfiances, en regardant seulement ce que nous cherchons réellement: la paix devant le visage de l’unique Dieu. Et puisque la paix est artisanale, avoir confiance dans les autres est aussi quelque chose d’artisanal, c’est une source de bonheur: «Heureux les artisans de paix» (Mt 5, 9). Et cette route, ce chemin, nous ne le parcourons pas seulement avec les croyants, mais avec tous. Tous ont quelque chose à nous dire. A tous, nous avons quelque chose à dire.

La grande fresque qui se trouve dans l’abside de cette église contient une phrase de l’Evangile selon saint Matthieu: «Venez à moi vous tous qui peinez sous le poids du fardeau et moi je vous procurerai le repos» (Mt 11, 28). Vous, jeunes chrétiens, vous pouvez vous identifier avec certains éléments de ce verset de l’Evangile.

Dans les récits précédents, Matthieu nous dit que Jésus accumule des frustrations. D’abord, il se plaint parce qu’il semble que rien ne va plus pour ceux avec lesquels il échange (cf. Mt 11, 16-19). A vous les jeunes, il arrive souvent que les adultes autour de vous ne savent pas ce qu’ils veulent ou attendent de vous; ou parfois, quand ils vous voient très heureux, ils se méfient; et s’ils vous voient inquiets, ils relativisent ce qui vous arrive. Dans la consultation précédant le Synode que nous célébrerons bientôt et durant lequel nous réfléchirons sur les jeunes, beaucoup parmi vous demandent que quelqu’un vous accompagne et vous comprenne sans juger et qu’il sache vous écouter, comme aussi répondre à vos interrogations (cf. Synode dédié aux Jeunes Instrumentum laboris, n. 132). Nos Eglises chrétiennes – et j’oserai dire chaque processus religieux structuré institutionnellement – persistent parfois dans des attitudes dans lesquelles il a été plus facile pour nous de parler, de conseiller, de proposer à partir de notre expérience, plutôt que d’écouter, plutôt que de se laisser interroger et illuminer par ce que vous, vous vivez.Très souvent les communautés chrétiennes se ferment, sans s’en apercevoir, et elles n’écoutent pas vos préoccupations. Nous savons ce que vous voulez et attendez: «d’être accompagnés non par un juge inflexible ni par un parent craintif et hyper-protecteur qui maintiennent dans la dépendance, mais par quelqu’un qui n’a pas peur de sa propre faiblesse et sait mettre en valeur le trésor que, tel un vase d’argile, il conserve en son sein (cf. 2Co 4, 7)» (ibid. n. 142). Aujourd’hui, ici, je veux vous dire que nous voulons pleurer avec vous si vous pleurez, accompagner vos joies de nos applaudissements et de nos éclats de rire, vous aider à vivre à la suite du Seigneur. Vous, garçons et filles, jeunes, sachez cela: quand une communauté chrétienne est vraiment chrétienne elle ne fait pas de prosélytisme. Elle écoute seulement, accueille, accompagne et marche; mais elle n’impose rien.

Jésus se lamente aussi sur les villes qu’il a visitées, accomplissant en elles davantage de miracles et leur réservant les plus grands gestes de tendresse et de proximité; et il déplore leur manque de perspicacité pour percevoir que le changement qu’il était venu leur proposer était urgent, qu’il ne pouvait pas attendre. Il va même jusqu’à dire qu’elles sont plus têtues et aveuglées que Sodome et Gomorrhe (cf. Mt 11, 10-24). Et lorsque nous, les adultes, nous nous fermons à une réalité incontestable, vous nous dites avec franchise: “Vous ne voyez pas?”. Et certains plus audacieux ont le courage de dire: “Vous ne vous apercevez pas que personne ne vous écoute plus, ni ne vous croit? ”. Nous avons vraiment besoin de nous convertir, de découvrir que pour être à vos côtés, nous devons renverser tant de situations qui sont, en définitive, celles qui vous éloignent; nous savons – comme vous nous avez dit – que beaucoup de jeunes ne nous demandent rien par ce qu’ils ne nous considèrent pas comme un interlocuteur valable pour leur existence. C’est terrible, cela, quand une Eglise, une communauté se comporte de telle façon que les jeunes pensent: “Ceux-là ne me diront rien qui puisse me servir pour ma vie”. Certains demandent même expressément qu’on les laisse tranquilles, car ils trouvent la présence de l’Eglise pénible voire irritante. Et c’est vrai. Ils sont indignés par les scandales sexuels et économiques, en absence de tolérance zéro; le fait de ne pas savoir comprendre correctement la vie et la sensibilité des jeunes par manque de préparation ou bien simplement le rôle passif attribué aux jeunes au sein de la communauté chrétienne (cf. Synode dédié aux Jeunes Instrumentum laboris, n. 66). Ce ne sont que quelques-unes de vos demandes. Nous voulons leur répondre, nous voulons, comme vous le dites vous-mêmes, être une «communauté transparente, accueillante, honnête, attirante, accessible, joyeuse, une communauté qui communique et où chacun peut participer » (ibid. n. 67), c’est-à-dire une communauté sans peur. Les peurs nous ferment. Les peurs nous poussent à être prosélytes. Et la fraternité c’est autre chose: le cœur ouvert et l’accolade fraternelle.

Avant d’arriver au texte évangélique qui domine ce temple, Jésus commence en élevant une louange au Père. Il le fait parce qu’il se rend compte que ceux qui ont compris, ceux qui comprennent le centre de son message et de sa personne, ce sont les petits, ceux qui ont l’âme simple et ouverte. Et en vous voyant ainsi, réunis, et chantant, je m’unis à la voix de Jésus et je reste admiratif, parce que, malgré notre manque de témoignage, vous continuez à découvrir Jésus au sein de nos communautés. Parce que nous savons que là où il y a Jésus, il y a toujours le renouveau, il y a toujours l’opportunité de la conversion, de laisser derrière soi tout ce qui nous sépare de lui et de nos frères. Là où il y a Jésus, la vie a toujours la saveur de l’Esprit Saint. Vous, ici aujourd’hui, vous êtes l’actualisation de cette merveille de Jésus.

Alors oui, nous disons de nouveau: «Venez à moi vous tous qui peinez sous le poids du fardeau et moi je vous procurerai le repos» (Mt 11, 28). Mais nous le disons en étant convaincus que, au-delà de nos limites, de nos divisions, Jésus continue à être le motif pour être ici. Nous savons qu’il n’y a pas de réconfort plus grand que de laisser Jésus porter nos oppressions. Nous savons aussi qu’il y en a encore beaucoup qui ne le connaissent pas et vivent dans la tristesse et l’égarement. Une de vos célèbres chanteuses, il y a environ dix ans, disait dans une de ses chansons: “L’amour est mort, l’amour s’en est allé, l’amour ne vit plus ici” (Kerli Koiv, L’amour est mort). Non, s’il vous plait. Faisons en sorte que l’amour soit vivant, et tous nous devons le faire. Et ils sont nombreux ceux qui font cette expérience: ils voient que l’amour de leurs parents s’est épuisé, que l’amour des couples à peine mariés se dissout; ils expérimentent une douleur intime quand ils voient que cela n’importe à personne qu’ils doivent émigrer pour chercher du travail ou quand, là, on les regarde avec soupçon parce qu’ils sont des étrangers. Il semblerait que l’amour soit mort, comme le disait Kerli Koiv, mais nous savons qu’il n’en est pas ainsi, et nous avons une parole à dire, quelque chose à annoncer, avec peu de discours et beaucoup de gestes. Parce que vous êtes la génération de l’image, la génération de l’action plus que de la spéculation, de la théorie.

Et cela plaît à Jésus ainsi ; parce qu’il est passé en faisant le bien, et lorsqu’il est mort, il a préféré aux paroles le geste fort de la croix. Nous sommes unis par la foi en Jésus, et c’est Lui qui attend que nous le portions à tous les jeunes qui ont perdu le sens de leur vie. Et le risque est, pour nous aussi croyants, de perdre le sens de la vie. Et cela arrive quand nous, croyants, sommes incohérents. Accueillons ensemble cette nouveauté que porte Dieu dans notre vie; cette nouveauté qui nous pousse à partir toujours de nouveau pour aller là où se trouve l’humanité la plus blessée; là où les hommes, au-delà des apparences de la superficialité et du conformisme, continuent à chercher une réponse à la question du sens de leur vie. Mais nous n’irons jamais seuls: Dieu vient avec nous; il n’a pas peur, il n’a pas peur des périphéries, et même, Lui-même s’est fait périphérie (cf. Ph 2, 6-8; Jn 1, 14). Si nous avons le courage de sortir de nous-mêmes, de nos égoïsmes, de nos idées fermées, et d’aller aux périphéries, nous le trouverons là, parce que Jésus nous précède dans la vie du frère qui souffre et qui est rejeté. Il est déjà là (cf. Exhort. ap. Gaudete et exsultate, n. 135).

Garçons et filles, l’amour n’est pas mort, il nous appelle et nous envoie. Il nous demande seulement d’ouvrir le cœur. Demandons la force apostolique de porter l’Evangile aux autres – de l’offrir, non de l’imposer - et de renoncer à faire de notre vie chrétienne un musée de souvenirs. La vie chrétienne est vie, elle est avenir, elle est espérance! Elle n’est pas un musée. Permettons à l’Esprit Saint de nous faire contempler l’histoire dans la perspective de Jésus ressuscité, ainsi l’Eglise, ainsi nos Eglises, seront en mesure d’aller de l’avant en accueillant en elle les surprises du Seigneur (cf. ibid. n. 139), retrouvant sa jeunesse, la joie et la beauté dont a parlé Mirko, de l’épouse qui va à la rencontre du Seigneur. Les surprises du Seigneur. Le Seigneur nous surprend car la vie nous surprend toujours. Allons de l’avant, à la rencontre de ces surprises. Merci!

[01444-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

Dear Young Friends,

Thank you for your warm welcome, for your songs and for the testimonies of Lisbel, Tauri and Mirko. I am grateful to the Archbishop of the Estonian Evangelical Lutheran Church, Urmas Viilma, for his kind and fraternal words of welcome, and for the presence of Archbishop Andres Põder, President of the Estonian Council of Churches, of Bishop Philippe Jourdan, Apostolic Administrator in Estonia, and of representatives from the different Christian communities in the country. I am also grateful for the presence of Madam President of the Republic.

It is always good to meet, to share our life stories, and to share with one another our thoughts and hopes; it is wonderful, too, for us to come together as believers in Jesus Christ. These meetings bring to fulfilment that dream of Jesus at the Last Supper: “That they may all be one… so that the world may believe” (Jn 17:21). If we try to see ourselves as pilgrims journeying together, we will learn to entrust our heart to our travelling companions without fear and distrust, looking only to what we all truly seek: peace in the presence of the one God. Just as crafting peace is an art, so too, learning to trust one another is also an art and a source of happiness: “Blessed are the peacemakers” (Mt 5:9). And we do not make this path, this journey, with believers alone, but with everyone. Everyone has something to say to us. We have something to say to everyone.

The great painting in the apse of this church contains a phrase from the Gospel of Saint Matthew: “Come to me, all who labour and are heavy laden, and I will give you rest” (Mt 11:28). You, as young Christians, can identify with some of the things going on in this section of the Gospel.

Just before Jesus speaks those words, Matthew tells us that he was saddened because he felt that those who heard him simply did not understand what he was trying to say (cf. Mt 11:16-19). Frequently you too, as young people, can feel that the adults around you do not appreciate your hope and desires; sometimes, when they see you very happy, they get suspicious; and if they see you anxious about something, they downplay it. In the consultation prior to the forthcoming Synod on young people, many of you expressed the desire to have a companion along the way, someone who can understand you without judging and can listen and answer your questions (cf. Synod on Young People, Instrumentum Laboris, 132). Our Christian churches – and I would say this of every institutionally structured religious organization – at times bring attitudes that make it easier for us to talk, give advice, speak from our own experience, rather than listen, rather than be challenged and learn from what you are experiencing. Christian communities often close themselves off, without being aware of it, and do not listen to your concerns. We know that you want and expect “to be accompanied not by an unbending judge, or by a fearful and hyper-protective parent who generates dependence, but by someone who is not afraid of his weakness and is able to make the treasure it holds within, like an earthen vessel, shine (cf. 2 Cor 4:7)” (ibid., 142). Today, I am here to tell you that we want to mourn with you when you mourn, to accompany and support you, to share in your joys, and to help you to be followers of the Lord. You, young people, you should know this: when a Christian community is truly Christian, it does not proselytize. Only listening, welcoming, accompanying and moving forward; but imposing nothing.

Jesus goes on to complain about the cities he visited, where he worked great miracles and demonstrated signs of great tenderness and closeness, and was displeased at their inability to see that the change he came to bring was urgent and not to be delayed. He even says that they are more stubborn and obdurate than Sodom (cf. Mt 11:20-24). When we adults refuse to acknowledge some evident reality, you tell us frankly: “Can’t you see this?” Some of you who are a bit more forthright might even say to us: “Don’t you see that nobody is listening to you any more, or believes what you have to say?” We ourselves need to be converted; we have to realize that in order to stand by your side we need to change many situations that, in the end, put you off.

We know – and you have told us – that many young people do not turn to us for anything because they don’t feel we have anything meaningful to say to them. It is bad, when a Church, a community, behaves in such a way that young people think: “These ones have nothing to say to me that will be useful in my life”. In fact, some of them expressly ask us to leave them alone, because they feel the Church’s presence as bothersome or even irritating. This is true. They are upset by sexual and economic scandals that do not meet with clear condemnation, by our unpreparedness to really appreciate the lives and sensibilities of the young, and simply by the passive role we assign them (cf. Synod on Young People, Instrumentum Laboris, 66). These are just a few of your complaints. We want to respond to them; as you yourselves put it, we want to be a “transparent, welcoming, honest, inviting, communicative, accessible, joyful and interactive community” (ibid. 67), that is, a community without fear. Fear imprisons us. Fear drives us to proselytize. But fraternity is something else: an open heart and a fraternal embrace.

In the verses that immediately precede the words of the Gospel quoted in the painting above us, Jesus breaks out in praise of the Father. He does so because he realizes that those who did understand, who did grasp the meaning of his message and his person, are the little ones, the ones who have simple, open souls. Seeing all of you like this, gathered as one and singing together, I add my own voice to that of Jesus and I marvel that, for all our lack of witness, you continue to discover Jesus in our communities. Because we know that where Jesus is, there is always renewal; there are always new opportunities for conversion and for leaving behind everything that separates us from him and our brothers and sisters. Where Jesus is, life always has the flavour of the Holy Spirit. You, here today, reflect something of the marvel that Jesus felt.

So yes, let us repeat his words: “Come to me, all who labour and are heavy laden, and I will give you rest” (Mt 11:28). But let us say them in the conviction that, beyond all our limitations and divisions, Jesus is still the reason for our being here. We know no greater peace of mind can be found than by letting Jesus carry our burdens. We also know that many people still do not know him, and live in sadness and confusion. A famous singer of yours, about ten years ago said in one of her songs: “Love is dead, love is gone, love don’t live here anymore” (Kerli Kõiv, Love is Dead). No, please! Let us ensure that love is alive, and all of us must do this! Many people have that experience: they see that their parents no longer love one another, that the love of newlyweds soon fades. They see a lack of love in the fact that nobody cares that they have to migrate to look for work, or look askance at them because they are foreigners. It might seem that love is dead, as Kerli Kõiv said, but we know that it is not, and that we have a word to say, a message to bring, with few words and many actions. For you are a generation of images, a generation of action, more than speculation and theory.

And that is how Jesus likes it, because he went about doing good, and when dying he preferred the striking message of the cross over mere words. We are united by our faith in Jesus, and he is waiting for us to bring him to all those young people whose lives are no longer meaningful. And the risk, even for us believers, is that we lose the meaning of our lives. And this happens when we believers are inconsistent. Let us accept together that newness that God brings to our life, that newness that impels us to set out anew to all those places where humanity is most wounded. Wherever men and women, beneath the appearance of a shallow conformity, continue to seek an answer to the question of life’s meaning. Yet we will never go alone: God comes with us; he is unafraid, “unafraid of the fringes, he himself became a fringe (cf. Phil 2:6-8; Jn 1:14). So if we dare to leave ourselves behind – our selfishness, our narrow-minded ideas – and go to the fringes, we will find him there; indeed, he is already there. Jesus is already there, in the hearts of our brothers and sisters, in their wounded flesh, in their troubles and in their profound desolation. He is already there” (Gaudete et Exsultate, 135).

Dear young people, love is not dead. It calls us and sends us forth. It asks us only to open our hearts. Let us ask for the apostolic strength to bring the Gospel to others – but to offer it, not impose it – and to resist the tendency to see our Christian life as if it were a museum of memories. The Christian life is our life, our future, our hope! It is not a museum. May the Holy Spirit help us to contemplate history in the light of the risen Jesus, so that the Church, so that our Churches will be able to continue to welcome the Lord’s surprises (cf. ibid, 139), and the youthfulness, joy and beauty that Mirko was speaking about, of the Bride who goes forth to meet her Lord. The surprises of the Lord. The Lord surprises us because life always surprises us. Let us go forward, to meet these surprises. Thank you!

[01444-EN.02] [Original text: Italian]

 

Traduzione in lingua tedesca

Liebe junge Freunde,

danke für euren herzlichen Empfang, für euren Gesang und für die Zeugnisse von Lisbel, Tauri und Mirko. Ich danke dem Erzbischof der Estnischen Evangelisch-Lutherischen Kirche Urmas Viilma für seine freundlichen und brüderlichen Worte. Ebenso danke ich dem Vorsitzenden des Rates der Kirchen Estlands Erzbischof Andres Põder, dem Apostolischen Administrator von Estland Bischof Philippe Jourdan und den anderen Vertretern der verschiedenen christlichen Konfessionen des Landes für ihr Kommen. Desgleichen danke ich für die Anwesenheit der Frau Präsidentin der Republik.

            Es ist immer schön zusammenzukommen, Lebenszeugnisse auszutauschen, zum Ausdruck zu bringen, was wir denken und wollen; und es ist sehr schön, dass wir zusammen sind, die wir an Jesus Christus glauben. Diese Treffen verwirklichen den Traum Jesu beim Letzten Abendmahl: »Alle sollen eins sein […] damit die Welt glaubt« (Joh 17,21). Wenn wir uns bemühen, uns als Pilger zu sehen, die den Weg gemeinsam gehen, werden wir lernen, dem Weggefährten vertrauensvoll unser Herz zu öffnen, ohne Argwohn, ohne Misstrauen, indem wir nur auf das schauen, was wir wirklich suchen: Frieden vor dem Angesicht des einen Gottes. Und wie der Frieden eine handwerkliche Kunst ist, so ist das Vertrauen in die anderen auch etwas Handwerkliches, Quelle des Glücks: »Selig, die Frieden stiften« (Mt 5,9). Und diese Straße, diesen Weg gehen wir nicht nur mit den Glaubenden, sondern mit allen. Alle haben uns etwas zu sagen. Allen haben wir etwas zu sagen.

            Das große Gemälde in der Apsis dieser Kirche wird von einem Satz aus dem Matthäusevangelium umrahmt: »Kommt alle zu mir, die ihr mühselig und beladen seid! Ich will euch erquicken« (Mt 11,28). Ihr jungen Christen, ihr könnt euch mit einigen Elementen dieser Evangelienstelle identifizieren. In den Erzählungen davor sagt uns Matthäus, dass Jesus gerade enttäuschende Erfahrungen sammelt. Zuerst beklagt er sich, denn es scheint, dass denen, an die er sich wendet, nichts passt (vgl. Mt 11,16-19). Euch Jugendlichen passiert es oft, dass die Erwachsenen um euch herum nicht wissen, was sie von euch wollen oder sich von euch erwarten; oder manchmal, wenn sie euch ganz fröhlich sehen, sind sie argwöhnisch; und wenn sie euch traurig sehen, relativieren sie einfach, was euch geschieht. Bei der Konsultation im Vorfeld der Synode, die wir in Kürze feiern und bei der wir über die Jugendlichen nachdenken werden, haben viele von euch gebeten, dass euch jemand begleitet und versteht, ohne zu urteilen, und euch zuzuhören weiß als auch auf eure Fragen zu antworten (vgl. Jugendsynode, Instrumentum laboris, 132). Unsere christlichen Kirchen – und ich wage zu sagen alle institutionell gegliederten religiösen Gemeinschaften – legen in ihrem Tun zuweilen Haltungen an den Tag, denen zufolge es leichter fiel zu reden, zu raten, unsere Erfahrung anzubieten, als zuzuhören, als sich von dem, was ihr erlebt, anfragen und erleuchten zu lassen. Oftmals verschließen sich die christlichen Gemeinschaften, ohne es zu merken, und sie hören euren Sorgen nicht zu. Wir wissen, dass ihr »Begleitung« wollt und erwartet, und zwar »nicht durch einen unbeugsamen Richter und auch nicht durch ängstliche Eltern, deren übermäßiger Beschützerinstinkt nur Abhängigkeit schafft, sondern durch jemanden, der keine Angst vor der eigenen Schwäche hat und der den Schatz zum Leuchten bringt, den er, ein „zerbrechliches Tongefäß“ (vgl. 2 Kor 4,7), in sich trägt« (ebd., 142). Hier und heute möchte ich euch sagen: Wir wollen mit euch weinen, wenn ihr weint, eure Freuden mit unserem Applaus und Lachen begleiten und euch helfen, die Nachfolge des Herrn zu leben. Ihr, junge Leute, junge Menschen, ihr wisst das: Wenn eine christliche Gemeinschaft wirklich christlich ist, betreibt sie keinen Proselytismus. Sie hört nur zu, nimmt auf, begleitet und schreitet voran; sie zwingt nichts auf.

            Jesus klagt auch über die Städte, die er besucht hat, in denen er mehr Wunder gewirkt hat und denen er größere Gesten der Zuneigung und Nähe gezeigt hat; er beklagt ihr fehlendes Gespür zu bemerken, dass sein Angebot der Änderung dringend war und nicht warten konnte. Er geht sogar so weit zu sagen, sie seien starrsinniger und blinder als Sodom (vgl. Mt 11.20-24). Und wenn wir Erwachsene uns einer Realität verschließen, die bereits Fakt ist, sagt ihr uns freimütig: „Seht ihr es nicht?“ Und einige mutigere wagen es zu sagen: „Bemerkt ihr nicht, dass euch niemand mehr zuhört, noch euch glaubt?“ Es ist in der Tat notwendig, dass wir uns bekehren und entdecken, dass wir, um an eurer Seite zu sein, viele Situationen ändern müssen, die euch letztendlich entfernen. Wir wissen – wie ihr uns gesagt habt –, dass viele Jugendliche gar nichts von uns verlangen, weil sie die Kirche nicht als einen für ihr Leben bedeutsamen Gesprächspartner wahrnehmen. Das ist schlimm, wenn eine Kirche, wenn eine Gemeinschaft sich auf eine Weise verhält, dass die jungen Menschen denken: „Diese sagen mir nichts, was ich für mein Leben brauche.“ Ganz im Gegenteil, manche wollen ausdrücklich in Ruhe gelassen werden, denn sie empfinden die Präsenz der Kirche als lästig, ja unangenehm. Und das ist stimmt. Sie sind empört über die Skandale sexueller und finanzieller Art, denen gegenüber sie keine klare Verurteilung sehen; über das fehlende angemessene Gespür für das Leben und die Sensibilität der Jugendlichen aufgrund mangelnder Vorbereitung; oder einfach über die passive Rolle, die wir ihnen zuweisen (vgl. Jugendsynode, Instrumentum laboris, 66). Dies sind einige eurer Anliegen. Wir wollen ihnen entsprechen, wir wollen, wie ihr selbst sagt, »als Gemeinschaft transparent, offen, ehrlich, einladend, kommunikativ, zugänglich, freudig und interaktiv« sein (ebd., 67), also eine Gemeinschaft ohne Angst. Die Ängste verschließen uns. Die Ängste treiben uns an, Proselytenmacher zu sein. Und die Geschwisterlichkeit ist etwas anderes: ein offenes Herz und eine geschwisterliche Umarmung.  

            Bevor Jesus zu dem Wort im Evangelium kommt, dass über diesem Kirchenraum steht, setzt er mit einem Lobpreis an den Vater an. Er tut dies, weil er merkt, dass diejenigen, die es erfasst haben – die das Herz seiner Botschaft und seiner Person verstehen –, die Kleinen sind, die einfachen und offenen Seelen. Und wenn ich euch hier versammelt so singen sehe, vereine ich mich mit der Stimme Jesu und bin erstaunt, weil ihr trotz unseres mangelnden Zeugnisses Jesus weiter inmitten unserer Gemeinden entdeckt. Denn wir wissen: Wo Jesus ist, da gibt es immer Erneuerung, da gibt es immer Gelegenheit umzukehren, all das hinter sich zu lassen, was uns von ihm und von unseren Brüdern und Schwestern trennt. Wo Jesus ist, hat das Leben immer den Geschmack des Heiligen Geistes. Hier und heute seid ihr die Aktualisierung dieser Verwunderung Jesu.

            Also nun, sagen wir noch einmal: »Kommt alle zu mir, die ihr mühselig und beladen seid! Ich will euch erquicken« (Mt 11,28). Aber sagen wir es in der Überzeugung, dass über unsere Grenzen und Spaltungen hinaus Jesus weiter der Grund ist, warum wir hier sind. Wir wissen, nichts erleichtert so sehr als zuzulassen, dass Jesus trägt, was uns niederdrückt. Wir wissen auch, dass es viele gibt, die ihn noch nicht kennen und in Traurigkeit und Verwirrung leben. Eine eurer berühmten Sängerinnen sagte vor ungefähr zehn Jahren in einem ihrer Lieder: „Die Liebe ist tot, die Liebe ist dahin, die Liebe lebt hier nicht mehr“ (Kerli Kõiv, Love is dead). Nein, bitte! Sorgen wir dafür, dass die Liebe lebendig ist, und wir alle müssen dies tun! Und viele sind es, die diese Erfahrung machen: Sie sehen, wie die Liebe ihrer Eltern aufhört, wie die Liebe von eben erst verheirateten Paaren vergeht; sie spüren einen inneren Schmerz, wenn es niemanden interessiert, dass sie auswandern müssen auf der Suche nach Arbeit, oder wenn man argwöhnisch angeschaut wird, weil man fremd ist. Es scheint, die Liebe sei tot, wie Kerli Kõiv sagte, aber wir wissen, dass dem nicht so ist. Wir haben ein Wort zu sagen, etwas zu verkünden, und zwar mit wenigen Reden und vielen Taten. Denn ihr seid eine Generation der Bilder, eine Generation der Aktion, die über Spekulation und Theorie hinausgehen.

            Und so gefällt es Jesus; denn er kam, das Gute zu tun, und als er starb, hat er den Worten das starke Zeichen des Kreuzes vorgezogen. Uns eint der Glaube an Jesus, und er wartet darauf, dass wir ihn zu allen Jugendlichen bringen, die den Sinn ihres Lebens verloren haben. Und die Gefahr besteht darin, auch für uns Glaubende, den Sinn des Lebens zu verlieren. Und dies geschieht, wenn wir Glaubenden nicht konsequent sind. Nehmen wir gemeinsam diese Neuheit auf, die Gott in unser Leben trägt, jene Neuheit, die uns antreibt, immer wieder neu aufzubrechen, um dorthin zu gehen, wo die Menschheit am meisten verletzt ist. Dorthin, wo die Menschen jenseits des Anscheins der Oberflächlichkeit und des Konformismus weiter eine Antwort auf die Frage nach dem Sinn ihres Lebens suchen. Wir gehen jedoch nie allein: Gott geht mit uns; er hat keine Angst, er hat keine Angst vor den Rändern, im Gegenteil, er selbst hat sich zum „Rand“ gemacht (vgl. Phil 2,6-8; Joh 1,14). Wenn wir den Mut haben, aus uns selbst hinauszugehen – aus unseren Egoismen, aus unseren verschlossenen Ideen – und an die Ränder zu gehen, werden wir ihn dort antreffen, denn Jesus kommt uns zuvor im Leben der Brüder und Schwestern, die leiden und weggeworfen werden. Er ist schon dort (vgl. Apostolisches Schreiben Gaudete et exsultate, 135).

            Junge Leute, die Liebe ist nicht tot, sie ruft und sendet uns. Sie bittet nur darum, das Herz zu öffnen. Bitten wir um die apostolische Kraft, anderen das Evangelium zu bringen – es anzubieten, nicht aufzuzwingen – und es zu unterlassen, aus unserem christlichen Leben ein Museum voller Andenken zu machen. Das christliche Leben ist Leben, es ist Zukunft, es ist Hoffnung! Es ist nicht ein Museum. Lassen wir zu, dass der Heilige Geist bewirkt, dass wir die Geschichte unter dem Vorzeichen des auferstandenen Jesus betrachten. Auf diese Weise wird die Kirche, werden unsere Kirchen fähig sein, vorwärtszugehen und dabei die Überraschungen des Herrn bei sich aufzunehmen (vgl. ebd., 139). So wird sie ihre Jugendlichkeit wiedergewinnen, die Freude und die Schönheit, von der Mirko sprach, die Schönheit der Braut, die dem Herrn entgegengeht. Die Überraschungen des Herrn. Der Herr überrascht uns, weil uns das Leben immer überrascht. Gehen wir voran, diesen Überraschungen entgegen. Danke!

[01444-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

Queridos jóvenes:

Gracias por vuestra cálida bienvenida, por vuestros cantos y los testimonios de Lisbel, Tauri y Mirko. Agradezco las gentiles y fraternas palabras del arzobispo de la Iglesia evangélica luterana de Estonia, Urmas Viilma, como también la presencia del Presidente del Consejo de Iglesias de Estonia, arzobispo Andrés Põder, la del obispo Mons. Philippe Jourdan, administrador apostólico en Estonia, y la de los demás representantes de las distintas confesiones cristianas presentes en el país. También agradezco la presencia de la señora Presidenta de la República.

Siempre es bueno reunirnos, compartir testimonios de vida, expresar lo que pensamos y queremos; y es muy lindo estar juntos los que creemos en Jesucristo. Estos encuentros hacen realidad aquel sueño de Jesús en la última cena: «Que todos sean uno, […] para que el mundo crea» (Jn 17,21). Si nos esforzamos por vernos como peregrinos que hacen el camino juntos, aprenderemos a confiar el corazón al compañero de camino sin recelos, sin desconfianzas, mirando solamente lo que en realidad buscamos: la paz en el rostro del único Dios. Y como la paz es artesanal, confiarse al otro es también algo artesanal, es fuente de felicidad: «Bienaventurados los que trabajan por la paz» (Mt 5,9). Y este camino, este camino no lo hacemos solo con creyentes, sino con todos. Todos tienen algo que decirnos. A todos tenemos algo que decir.

La gran pintura que está en el ábside de esta iglesia contiene una frase del evangelio de san Mateo: «Venid a mí todos los que estáis cansados y agobiados, y yo os aliviaré» (Mt 11,28). Vosotros, jóvenes cristianos, os podéis identificar con algunos elementos de esta parte del evangelio.

En las narraciones anteriores, Mateo nos cuenta que Jesús viene acumulando desengaños. Primero se queja porque parece que a los que se dirige nada les cae bien (cf. Mt 11,16-19). A vosotros jóvenes os sucede a menudo que los adultos que tenéis cerca no saben lo que quieren o esperan de vosotros; o a veces, cuando os ven muy alegres, desconfían; y si os ven angustiados, relativizan lo que os pasa. En la consulta previa al Sínodo, que celebraremos dentro de poco y en el que reflexionaremos sobre los jóvenes, muchos de vosotros pedís que alguien os acompañe y os comprenda sin juzgar y que sepa escucharos, como también que responda a vuestros interrogantes (cf. Sínodo dedicado a los Jóvenes, Instrumentum laboris, 132). Nuestras iglesias cristianas —y me animo a decir que todo proceso religioso estructurado institucionalmente— a veces arrastra estilos donde nos ha sido más fácil hablar, aconsejar y proponer desde nuestra experiencia, que escuchar, que dejarnos interpelar e iluminar desde lo que vosotros vivís. Muchas veces la comunidad cristiana se cierra, sin darse cuenta, y no escucha vuestras inquietudes. Sabemos que vosotros queréis y «esperáis ser acompañados no por un juez inflexible o por un padre temeroso y sobreprotector que crea dependencia, sino por alguien que no tiene miedo de su propia debilidad y sabe hacer resplandecer el tesoro que, como recipiente de barro, protege dentro de sí (cf. 2 Co 4)» (ibíd., 142). Hoy aquí deseo deciros que queremos llorar con vosotros si estáis llorando, acompañar con nuestras palmas y nuestra risa vuestras alegrías, ayudaros a vivir el seguimiento del Señor. Vosotros, muchachos y muchachas, jóvenes, sabed esto: cuando una comunidad cristiana es verdaderamente cristiana, no hace proselitismo. Solo escucha, acoge, acompaña y camina; pero no impone nada.

También Jesús se queja de las ciudades que ha visitado haciendo en ellas más milagros y teniendo con ellas mayores gestos de ternura y cercanía; y se lamenta de la falta de tino que tienen para darse cuenta de que el cambio que les venía a proponer era urgente, no podía esperar. Hasta llega a decir que son más tercas y obcecadas que Sodoma (cf. Mt 20-24). Y cuando los adultos nos cerramos a una realidad que ya es un hecho, vosotros nos decís con franqueza: “¿Es que no lo veis?”. Y algunos más valientes os animáis a más: “¿No percibís que ya nadie os escucha, ni os cree?”. En verdad nos falta convertirnos, descubrir que para estar a vuestro lado debemos revertir tantas situaciones que son, en definitiva, las que os alejan.

Sabemos —así nos lo habéis dicho— que muchos jóvenes no nos piden nada porque no nos consideran interlocutores significativos para su existencia. Esto es feo, cuando una Iglesia, una comunidad se comporta de tal manera que los jóvenes piensan: “Estos no me dirán nada que me sirva para mi vida". Algunos incluso, piden que los dejemos en paz, sienten la presencia de la Iglesia como algo molesto y hasta irritante. Y esto es verdad. Les indignan los escándalos económicos y sexuales ante los que no ven una firme condena, el no saber interpretar adecuadamente la vida y la sensibilidad de los jóvenes por falta de preparación, o simplemente el rol pasivo que les asignamos (cf. Sínodo dedicado a los Jóvenes, Instrumentum laboris, 66); estos son algunos de sus reclamos. Queremos responder a ellos, queremos, como vosotros mismos lo expresáis, ser una «comunidad transparente, acogedora, honesta, atractiva, comunicativa, asequible, alegre e interactiva» (ibíd., 67), es decir, una comunidad sin miedo. Los temores hacen que nos encerremos. Los temores nos instan a ser proselitistas. Y ser hermanos es otra cosa: el corazón abierto y el abrazo fraterno.

Antes de llegar al escrito del Evangelio que preside este templo, Jesús comienza haciendo una alabanza al Padre. Lo hace porque se percata de que los que sí se han dado cuenta, los que entienden el centro de su mensaje y de su persona, son los pequeños, aquellos que tienen el alma sencilla, abierta. Y al veros así, reunidos, cantando, yo me uno a la voz de Jesús y me admiro, porque vosotros, a pesar de nuestras faltas de testimonio, seguís descubriendo a Jesús en el seno de nuestras comunidades. Porque sabemos que donde está Jesús siempre hay renovación, siempre hay oportunidad para la conversión, para dejar atrás todo lo que nos aparta de él y de nuestros hermanos. Donde está Jesús la vida siempre tiene sabor a Espíritu Santo. Vosotros, hoy aquí, sois la actualización de aquella admiración de Jesús.

Entonces sí, volvemos a decir: «Venid a mí todos los que estáis cansados y agobiados, y yo os aliviaré» (Mt 11,28). Pero lo decimos convencidos de que más allá de nuestros límites, de nuestras divisiones, Jesús sigue siendo la razón de ser para estar aquí. Sabemos que no hay alivio más grande que dejar que Jesús lleve nuestros agobios. También sabemos que hay muchos que todavía no lo conocen y viven en la tristeza y el desconcierto. Una famosa cantante vuestra, hace unos diez años decía en una de sus canciones: «El amor ha muerto, el amor se ha ido, el amor ya no vive aquí» (Kerli Kõiv, El amor ha muerto). ¡No, por favor! Hagamos que el amor esté vivo, y todos nosotros debemos hacer esto. Y son tantos los que hacen esa experiencia: ven que se termina el amor de sus padres, se disuelve el amor de pareja apenas casados, experimentan el desamor cuando a nadie le importa que tengan que emigrar a buscar trabajo o se los mire de reojo por ser extranjeros. Pareciera que el amor ha muerto, como decía Kerli Kõiv, pero nosotros sabemos que no, y tenemos una palabra que decir, algo que anunciar, con pocos discursos y muchos gestos. Porque vosotros sois la generación de la imagen, la generación de la acción sobre la especulación, la teoría.

Y así le gusta a Jesús; porque él pasó haciendo el bien, y al morir privilegió el gesto contundente de la cruz sobre las palabras. A nosotros nos une la fe en Jesús, y es él el que está esperando que lo llevemos a todos los jóvenes que han perdido el sentido de sus vidas. Y el riesgo es, incluso para nosotros, creyentes, perder el sentido de la vida. Y esto sucede cuando nosotros creyentes somos incoherentes. Aceptemos juntos esa novedad que trae Dios a nuestra vida; esa novedad que nos empuja a partir una y otra vez, para ir allí donde está la humanidad más herida. Allí donde los hombres, más allá de la apariencia de superficialidad y conformismo, siguen buscando una respuesta a la pregunta por el sentido de sus vidas. Pero nunca iremos solos: Dios viene con nosotros; él no tiene miedo, no tiene miedo a las periferias, es más, él mismo se hizo periferia (cf. Flp 2,6-8; Jn 1,14). Si nos atrevemos a salir de nosotros mismos, de nuestros egoísmos, de nuestras ideas cerradas, e ir a las periferias, allí lo encontraremos, porque Jesús nos primerea en la vida del hermano que sufre y está descartado. Él ya está allí (cf. Exhort. ap. Gaudete et exsultate, 135).

Jóvenes: El amor no está muerto, nos llama y nos envía. Pide solo que abramos el corazón. Pidamos el valor apostólico de llevar el Evangelio a los demás —pero ofrecerlo no imponerlo— y de renunciar a hacer de nuestra vida cristiana un museo de recuerdos. La vida cristiana es vida, es futuro, es esperanza. No es un museo. Dejemos que el Espíritu Santo nos haga contemplar la historia en la clave de Jesús resucitado, así la Iglesia, así nuestras Iglesias serán capaces de seguir adelante acogiendo en ellas las sorpresas del Señor (cf. ibíd., 139), recuperando su juventud, la alegría y la belleza, que hablaba Mirko, de la esposa que va al encuentro del Señor. Las sorpresas del Señor. El Señor nos sorprende, porque la vida siempre nos sorprende. Sigamos adelante, saliendo al encuentro de estas sorpresas. Gracias.

[01444-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

Queridos jovens!

Obrigado pela vossa calorosa receção, os vossos cânticos e os testemunhos de Lisbel, Tauri e Mirko. Agradeço as palavras amáveis e fraternas do Arcebispo da Igreja Evangélica Luterana da Estónia, Urmas Viilma, bem como a presença do Presidente do Conselho das Igrejas da Estónia, o Arcebispo Andres Põder, a do Bispo D. Philippe Jourdan, Administrador Apostólico da Estónia, e dos outros representantes das diversas confissões cristãs presentes no país. Agradeço também a presença da Senhora Presidente da República.

É sempre bom reunir-nos, partilhar testemunhos da vida, expressar o que pensamos e queremos; e é muito bom estarmos juntos, nós que cremos em Jesus Cristo. Estes encontros tornam realidade o sonho de Jesus na Última Ceia: «Que todos sejam um só (…) para que o mundo creia» (Jo 17, 21). Se fizermos esforço por nos vermos como peregrinos que fazem o caminho juntos, aprenderemos a abrir com confiança o coração ao companheiro de estrada, sem cultivar suspeitas nem difidências, olhando apenas para aquilo que realmente procuramos: a paz diante do rosto do único Deus. E, uma vez que a paz é artesanal, ter confiança nos outros é também algo de artesanal, constitui uma fonte de felicidade: «Felizes os pacificadores» (Mt 5, 9). E esta estrada, este caminho, não o fazemos só com os crentes, mas com todos. Todos têm qualquer coisa a dizer-nos; e nós, a todos, temos algo a dizer.

O grande quadro que se encontra na abside desta igreja contém uma frase do Evangelho de São Mateus: «Vinde a Mim, todos os que estais cansados e oprimidos, que Eu hei de aliviar-vos» (Mt 11, 28). Vós, jovens cristãos, podeis identificar-vos com alguns elementos deste texto do Evangelho.

Nas narrações anteriores, o evangelista mostra-nos que Jesus tem vindo a acumular deceções. Primeiro, lamenta-Se porque parece que, para aqueles a quem Se dirige, nada está bem (cf. Mt 11, 16-19). A vós, jovens, acontece muitas vezes que os adultos ao vosso redor não sabem o que querem ou esperam de vós; ou, quando vos veem muito felizes, ficam desconfiados; e, se vos veem angustiados, relativizam o sucedido. Na consultação preliminar do Sínodo, que está para se realizar e vai refletir sobre os jovens, muitos de vós pedem que alguém vos acompanhe e compreenda sem julgar e saiba escutar-vos bem como dar resposta às vossas questões (cf. Sínodo dedicado aos jovens, Instrumentum laboris, 132). Às vezes, as nossas Igrejas cristãs – e ousaria dizer todo o processo religioso estruturado institucionalmente – carregam consigo atitudes nas quais nos é mais fácil falar, aconselhar, propor a partir da nossa experiência, do que escutar, do que se deixar interpelar e iluminar por aquilo que vós viveis. Muitas vezes, sem dar por isso, as comunidades cristãs fecham-se e não escutam as vossas inquietações. Sabemos que vós quereis e esperais «ser acompanhados, não por um juiz inflexível nem por um pai receoso e superprotetor que gera dependência, mas por alguém que não tem medo da sua própria fraqueza e sabe fazer resplandecer o tesouro que guarda dentro de si, como num vaso de barro (cf. 2 Cor 4, 7)» (Ibid., 142). Aqui, hoje, quero-vos dizer que desejamos chorar convosco se estais a chorar, acompanhar com os nossos aplausos e nossos sorrisos as vossas alegrias, ajudar-vos a viver o seguimento do Senhor. Vós jovens, rapazes e moças, fixai isto: quando uma comunidade cristã é verdadeiramente cristã não faz proselitismo. Apenas escuta, acolhe, acompanha e caminha; mas não impõe nada.

Jesus queixa-Se também das cidades que visitou, nelas realizando mais milagres e reservando-lhes maiores gestos de ternura e proximidade, e lamenta a sua falta de perspicácia para perceber que a mudança que lhes viera propor era urgente, não podia esperar. Chega mesmo a dizer que são mais relutantes e cegos do que Sodoma (cf. Mt 11, 20-24). E quando nós, adultos, nos fechamos a uma realidade que é já um facto, dizeis-nos com ousadia: «Não o vedes?». E alguns mais decididos têm a coragem de dizer: «Não vos dais conta de que já ninguém vos escuta, nem crê em vós?». Verdadeiramente precisamos de nos converter, de descobrir que, para estar ao vosso lado, devemos derrubar muitas situações que, em última análise, são aquelas que vos afastam.

Sabemos – assim no-lo dissestes vós – que muitos jovens não nos pedem nada, porque não nos consideram interlocutores significativos na sua existência. É triste, quando uma Igreja, uma comunidade se comporta de tal maneira que os jovens pensem: «Estes não me dirão nada que sirva para a minha vida». Antes, alguns pedem expressamente para serem deixados em paz, sentem a presença da Igreja como algo molesto e até irritante. Isto é verdade! Indignam-lhes os escândalos económicos e sexuais contra os quais não veem uma clara condenação, o não saber interpretar adequadamente a vida e a sensibilidade dos jovens por falta de preparação, ou o papel simplesmente passivo que lhes atribuímos (cf. Sínodo para os jovens, Instrumentum laboris, 66). Estes são alguns dos vossos pedidos. Queremos dar-lhes resposta, queremos ser – como vós mesmos dizeis – uma «comunidade transparente, acolhedora, honesta, atraente, comunicativa, acessível, alegre e interativa» (Ibid., 67), isto é, uma comunidade sem medo. Os medos fecham-nos. Os medos impelem-nos a ser proselitistas. Mas a fraternidade é coisa diferente: o coração aberto e o abraço fraterno.

Antes de chegar ao texto evangélico gravado no cimo deste templo, Jesus começa por elevar um hino de louvor ao Pai. Fá-lo porque Se dá conta de que aqueles que compreenderam, aqueles que captam o centro da sua mensagem e da sua pessoa, são os pequeninos, aqueles que têm a alma simples, aberta. E ao ver-vos assim reunidos a cantar, maravilhado, uno-me à voz de Jesus, porque vós, apesar da nossa falta de testemunho, continuais a descobrir Jesus dentro das nossas comunidades. Pois sabemos que, onde está Jesus, há sempre renovação, existe sempre a oportunidade de conversão, de deixar para trás tudo o que nos separa d’Ele e dos nossos irmãos. Onde está Jesus, a vida tem sempre sabor de Espírito Santo. Aqui, hoje, vós sois a atualização daquela maravilha de Jesus.

Então digamos de novo «vinde a Mim, todos os que estais cansados e oprimidos, que Eu hei de aliviar-vos» (Mt 11, 28), mas digamo-lo convencidos de que, para além dos nossos limites, das nossas divisões, Jesus continua a ser o motivo para estarmos aqui. Sabemos que não há alívio maior do que deixar Jesus carregar as nossas opressões. E sabemos também que há muitos que ainda não O conhecem e vivem na tristeza e sem rumo. Há cerca de dez anos, uma vossa cantora famosa dizia numa de suas canções: «O amor está morto, o amor foi-se embora, o amor já não mora aqui» (Kerli Kõiv, O amor está morto). Isso não, por favor! Façamos com que o amor permaneça vivo, e todos nós devemos trabalhar por isso! E muitos são os que fazem esta experiência: veem que acaba o amor dos seus pais, que se dissolve o amor de casais recém-casados; sentem uma íntima tristeza, quando a ninguém importa que tenham de emigrar à procura de trabalho ou quando se olha para eles com desconfiança porque são estrangeiros. Dá a impressão que o amor esteja morto – como dizia Kerli Kõiv –, mas sabemos que não é assim; e temos uma palavra a dizer, algo para anunciar, com poucas palavras e muitos gestos: é que vós sois a geração mais da imagem, a geração mais da ação que da especulação, da teoria.

E isto é do agrado de Jesus, porque Ele passou fazendo o bem e, na sua morte, preferiu o gesto forte da cruz às palavras. Estamos unidos pela fé em Jesus, e Ele espera que O levemos a todos os jovens que perderam o sentido da sua vida. E existe também para nós, crentes, o risco de perder o sentido da vida. Isto acontece quando nós, crentes, somos incoerentes. Acolhamos juntos a novidade de que o próprio Deus traz Deus à nossa vida; uma novidade que incessantemente nos impele a partir, para ir aonde se encontra a humanidade mais ferida; aonde os homens, para além da aparência de superficialidade e conformismo, continuam a buscar uma resposta para a questão do sentido da sua vida. Mas nunca iremos sozinhos: Deus vem connosco; Ele não tem medo, não tem medo das periferias; antes, Ele mesmo Se tornou periferia (cf. Flp 2, 6-8, Jo 1, 14). Se tivermos a coragem de sair de nós mesmos, dos nossos egoísmos, das nossas ideias fechadas, e ir às periferias, encontrá-Lo-emos lá, porque Jesus nos precede na vida do irmão que sofre e é descartado. Ele já está lá (cf. Exort. ap. Gaudete et exsultate, 135).

Rapazes e moças, o amor não está morto; chama-nos e envia-nos. Pede apenas para abrirmos o coração. Peçamos a força apostólica de levar o Evangelho aos outros – mas oferecendo-o, não o impondo – e renunciar a fazer da nossa vida cristã um museu de recordações. A existência cristã é vida, é futuro, é esperança! Não é um museu. Deixemos que o Espírito Santo nos faça contemplar a história na perspetiva de Jesus ressuscitado; assim a Igreja, assim as nossas Igrejas serão capazes de continuar a acolher em si mesma as surpresas do Senhor (cf. ibid., 139), recuperando a sua própria juventude, a alegria e a beleza de que falava Mirko, da noiva que vai ao encontro do Senhor. As surpresas do Senhor. O Senhor surpreende-nos, porque a vida sempre nos surpreende. Continuemos para diante, ao encontro destas surpresas. Obrigado!

[01444-PO.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Drodzy Młodzi,

Dziękuję za wasze serdeczne przyjęcie, za wasze śpiewy i świadectwa Lisbel, Tauri i Mirko. Jestem wdzięczny za miłe i braterskie słowa arcybiskupa Estońskiego Kościoła Ewangelicko-Luterańskiego, Urmasa Viilmy, a także za obecność Przewodniczącego Rady Kościołów Estonii, arcybiskupa Andresa Põdera, jak i biskupa Philippe'a Jourdana, administratora apostolskiego w Estonii, oraz innych przedstawicieli różnych wyznań chrześcijańskich obecnych w tym kraju. Jestem również wdzięczny za obecność Pani Prezydent Republiki.

Jest zawsze czymś pięknym zgromadzić się, dzielić się świadectwami życia, wyrażać to, co myślimy i czego pragniemy. Bardzo dobrze, gdy jesteśmy razem my, którzy wierzymy w Jezusa Chrystusa. Spotkania te urzeczywistniają marzenie Jezusa podczas Ostatniej Wieczerzy: „aby wszyscy stanowili jedno (…) aby świat uwierzył” (J 17, 21). Jeśli spróbujemy spojrzeć na siebie jako na pielgrzymów idących razem, to nauczymy się otwierać nasze serca z ufnością na towarzysza drogi, bez podejrzeń, bez nieufności, patrząc tylko na to, czego naprawdę poszukujemy: pokoju przed obliczem jedynego Boga. A ponieważ pokój wymaga zaangażowania osobistego, to zaufanie jest także czymś budowanym osobiście, jest źródłem szczęścia: „Błogosławieni, którzy wprowadzają pokój” (Mt 5, 9). To jest droga, idziemy nią nie tylko z wierzącymi, ale ze wszystkimi. Wszyscy mają nam coś do powiedzenia. Mamy coś do powiedzenia wszystkim.

Wielki obraz znajdujący się w absydzie tego kościoła zawiera zdanie z Ewangelii św. Mateusza: „Przyjdźcie do Mnie wszyscy, którzy utrudzeni i obciążeni jesteście, a Ja was pokrzepię” (Mt 11, 28). Wy, młodzi chrześcijanie, możecie utożsamiać się z niektórymi elementami tego fragmentu Ewangelii.

Wcześniej św. Mateusz mówi nam, że Jezus kumuluje rozczarowania. Najpierw narzeka, ponieważ zdaje się, że tym, do których się zwraca, nic nie pasuje (por. Mt 11, 16-19). Wam młodym często się przytrafia, że otaczający was dorośli nie wiedzą, czego chcą lub czego po was się spodziewają. Czasami, gdy widzą, że jesteście bardzo szczęśliwi, są podejrzliwi, a jeśli widzą, że jesteście zrozpaczeni, relatywizują to, co wam się przydarza. W konsultacji poprzedzającej Synod, który wkrótce rozpocznie obrady i podczas którego podejmiemy refleksję na temat ludzi młodych, wielu z was prosiło, aby ktoś wam towarzyszył i rozumiał was, nie osądzając, oraz potrafił was wysłuchać, a także odpowiadać na pytania (por. Synod poświęcony młodzieży, Instrumentum laboris, 132). Nasze Kościoły chrześcijańskie - i śmiem powiedzieć, że wszelka działalność religijna zorganizowana instytucjonalnie – niosąc z sobą postawy, w których łatwiej było nam mówić, doradzać, proponować na podstawie naszego doświadczenia, niż słuchać, niż pozwolić, byśmy się zastanowili i poznali to, czym żyjecie. Często wspólnoty chrześcijańskie zamykają się, nie zdając sobie sprawy, i nie słuchają waszych niepokojów. Wiemy, iż chcecie i oczekujecie „że nie będzie wam towarzyszył nieustępliwy sędzia lub lękliwy i nadopiekuńczy rodzic, powodujący uzależnienie, ale ktoś, kto nie boi się własnej słabości i wie, jak sprawić, żeby jaśniał skarb, który nosi w sobie, jak w glinianym naczyniu (por. 2 Kor 4, 7)” (tamże, 142). Chcę wam dziś tutaj powiedzieć, że jeśli płaczecie, chcemy z wami płakać, towarzyszyć naszym aplauzem i śmiechem waszej radości, pomóc wam żyć naśladując Pana. Wy, chłopcy i dziewczęta, wiedzcie to: kiedy wspólnota chrześcijańska jest prawdziwie chrześcijańską, nie uprawia prozelityzmu. Jedynie słucha, przyjmuje, towarzyszy i wędruje; ale niczego nie narzuca.

Jezus narzeka także na miasta, które odwiedził, dokonując w nich więcej cudów i okazując im większych gestów czułości i bliskości, i ubolewa, że brakuje im instynktu i, że nie uświadamiają sobie, iż przemiana, jaką przyszedł im zaproponować, była pilna, nie cierpiąca zwłoki. Posunął się nawet do stwierdzenia, że są bardziej uparte i zaślepione niż Sodoma (por. Mt 11, 20-24). A kiedy my dorośli zamykamy się wobec rzeczywistości, która jest już faktem, mówicie szczerze: „Czyż tego nie widzicie?”. A niektórzy odważniejsi mają odwagę powiedzieć: „Czyż nie zauważacie, że nikt już was nie słucha, że nikt wam nie wierzy?”. Naprawdę musimy się nawrócić, aby odkryć, że aby być przy was, musimy skorygować wiele istniejących sytuacji, które w ostatecznym rozrachunku was odsuwają.

Wiemy - jak nam powiedzieliście - że wielu młodych ludzi o nic nas nie pyta, ponieważ nie uważa nas za partnera rozmowy znaczącego dla ich życia. Źle jest, gdy Kościół, wspólnota zachowuje się w taki sposób, że młodzi myślą: „Oni nie mają do powiedzenia nic, co by mi służyło w życiu”. Niektórzy, wręcz wyraźnie proszą, by zostawić ich samych, ponieważ odczuwają obecność Kościoła jako irytującą, a nawet denerwującą. I to jest prawdą. Są oburzeni skandalami seksualnymi i ekonomicznymi, nie widząc postawy zdecydowanego ich potępienia; nieumiejętnością odpowiedniego zrozumienia życia i wrażliwości młodzieży, spowodowanej brakiem przygotowania; czy też przypisywaniem jej tylko roli biernej (por. Synod poświęcony młodzieży, Instrumentum laboris, 66). Oto niektóre z waszych próśb. Chcemy na nie odpowiedzieć, chcemy, jak sami mówicie „wspólnoty transparentnej, gościnnej, uczciwej, atrakcyjnej, komunikatywnej, przystępnej, radosnej i interaktywnej” (tamże, 67), to znaczy wspólnoty bez lęku. Lęki popychają nas do prozelityzmu. A braterstwo jest czym innym: otwartym sercem i braterskim uściskiem.

Jezus, zanim wypowiedział zdanie, które jest wyeksponowane w tej świątyni, oddał chwałę Ojcu. Czyni to, ponieważ zdaje sobie sprawę, że tymi, którzy zrozumieli, którzy pojmują istotę Jego przesłania i Jego Osoby są maluczcy, ci, którzy mają prostą, otwartą duszę. I widząc was, że jesteście zgromadzeni, by śpiewać, łączę się z głosem Jezusa i trwam w podziwie, że wy, pomimo braku naszego świadectwa, stale odkrywacie Jezusa w naszych wspólnotach. Wiemy bowiem, że tam, gdzie jest Jezus, tam też jest zawsze odnowa, zawsze jest szansa na nawrócenie, pozostawienie za sobą wszystkiego, co oddziela nas od Niego i od naszych braci. Tam, gdzie jest Jezus, życie zawsze ma posmak Ducha Świętego. Wy, dzisiaj, jesteście tutaj aktualizacją tego cudu Jezusa.

Powtórzmy więc raz jeszcze: „Przyjdźcie do Mnie wszyscy, którzy utrudzeni i obciążeni jesteście, a Ja was pokrzepię” (Mt 11, 28). Ale powiedzmy to, będąc przekonanymi, że niezależnie od naszych ograniczeń, naszych podziałów, Jezus jest nadal powodem, dla którego tu jesteśmy. Wiemy, że nie ma większej ulgi niż pozwolić, by Jezus niósł nasze udręki. Wiemy również, że jest wielu, którzy wciąż Go nie znają i żyją w smutku i zagubieniu. Jedna z waszych znanych piosenkarek, mniej więcej dziesięć lat temu, w jednej ze swoich piosenek śpiewała: „Miłość umarła, miłość minęła, miłość już tu nie mieszka” (Kerli Kõiv, Love Is Dead). Nie, proszę! Sprawmy, żeby miłość była żywa, i my wszyscy musimy to zrobić! Wielu tego doświadczyło: widzą, że kończy się miłość ich rodziców, że rozpada się miłość nowożeńców, którzy dopiero co się pobrali. Doświadczają głębokiego żalu, gdy nikogo nie obchodzi, że muszą wyemigrować, aby szukać pracy, lub gdy patrzy się na nich podejrzliwie, ponieważ są obcokrajowcami. Mogłoby się zdawać, że miłość umarła, jak mówił Kerli Kõiv, ale wiemy, że tak nie jest, i mamy coś do powiedzenia, coś do ogłoszenia, z niewieloma słowami, a wieloma gestami. Jesteście bowiem pokoleniem obrazu, pokoleniem działania ponad spekulacjami, teoriami.

I tak podoba się Jezusowi; ponieważ przeszedł On czyniąc dobro, a kiedy umierał, wolał mocny gest krzyża od słów. Jesteśmy zjednoczeni wiarą w Jezusa i On czeka, abyśmy zanieśli Go wszystkim ludziom młodym, którzy utracili sens swego życia. Istnieje ryzyko, również dla nas wierzących, że utracimy sens życia. Staje się tak, gdy my wierzący jesteśmy niekonsekwentni. Powitajmy razem tę nowość, którą Bóg wprowadza do naszego życia; tę nowość, która nas pobudza, abyśmy zawsze wychodzili na nowo, aby udać się tam, gdzie jest najbardziej zranione człowieczeństwo. Gdzie ludzie, niezależnie od pozorów powierzchowności i konformizmu, wciąż szukają odpowiedzi na pytanie o sens swojego życia. Ale nigdy nie pójdziemy samotnie: Bóg idzie wraz z nami. On nie boi się, nie boi się obrzeży, raczej sam stał się peryferiami (por. Flp 2, 6-8; J 1, 14). Jeśli będziemy mieli odwagę wyjść ze swoich ograniczeń, z naszego egoizmu, naszych zamkniętych idei, i udać się na peryferie, znajdziemy Go tam, bo Jezus idzie przed nami w życiu brata, który cierpi i jest odrzucany. On już tam jest (por. Adhort. ap. Gaudete et exsultate, 135).

Chłopcy i dziewczęta, miłość nie jest martwa, wzywa nas i posyła. Prosi jedynie o otwarcie serca. Prośmy o moc apostolską, byśmy nieśli Ewangelię innym – byśmy ją oferowali, nie narzucali – i wyrzekli się czynienia z naszego chrześcijańskiego życia muzeum wspomnień. Życie chrześcijańskie jest życiem, jest przyszłością, jest nadzieją! Pozwólmy, by Duch Święty skłonił nas do kontemplowania dziejów w perspektywie Jezusa zmartwychwstałego. W ten sposób Kościół, nasze Kościoły będą mogły iść naprzód, przyjmując w sobie niespodzianki Pana (por. tamże, 139), odzyskując swoją młodość, radość i piękno, o którym mówił Mirko, oblubienicy, która idzie na spotkanie z Panem. Niespodzianki Pana. Pan nas zaskakuje, bo życie zaskakuje nas zawsze. Idźmy naprzód, naprzeciw tym niespodziankom. Dziękuję!

[01444-PL.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

أيها الشبيبة الأعزاء،

شكرًا على استقبالكم الحارّ، وعلى ترانيمكم وعلى شهادات ليسبل، وتاوري، وميركو. أنا ممتنّ لرئيس أساقفة الكنيسة الإنجيليّة اللوثرية، أورماس فيلمًا، على كلماته الرقيقة والأخويّة. أعبّر عن شكري أيضًا على حضور رئيس مجلس كنائس إستونيا، رئيس الأساقفة أندريس بودير، وحضور الأسقف فيليب جوردان، المدبّر الرسولي في إستونيا، وحضور ممثّلي مختلف المذاهب المسيحيّة الموجودة في البلاد. إني ممتنّ أيضًا لحضور فخامة رئيسة الجمهورية.

من الجميل دومًا أن نلتقي ونتشارك بشهادات الحياة ونعبّر عمّا نفكّر به ونريده؛ ومن الجميل جدّا أن نكون معًا، نحن الذين نؤمن بيسوع المسيح. إن هذه اللقاءات تحقّق حلم يسوع في العشاء الأخير: "َلْيكونوا بِأَجمَعِهم واحِداً [...] لِيُؤمِنَ العالَمُ" (يو 17، 21). إذا حاولنا أن ننظر بعضنا إلى بعض كأننا حجّاج يسيرون معًا، فسوف نتعلّم كيف نفتح القلب بثقة لرفيق الدرب دون ريبة ودون شكّ، ناظرين فقط إلى ما نبحث عنه حقّا: السلام أمام وجه الإله الأوحد. وبما أن السلام هو صنع الأيدي، فالثقة بالآخرين هي أيضًا صنع الأيدي، وهي مصدر سعادة: "طوبى لِلسَّاعينَ إِلى السَّلام" (متى 5، 9). وهذا الطريق، هذه المسيرة لا نقوم بها فقط مع المؤمنين، بل مع الجميع. كلّ شخص لديه ما يقوله لنا. لدينا جميعًا ما نقوله.

تحتوي اللوحة الكبيرة الموجودة في حنِيّة هذه الكنيسة على كلمة من إنجيل القدّيس متى: "تَعالَوا إِليَّ جَميعًا أَيُّها المُرهَقونَ المُثقَلون، وأَنا أُريحُكم" (متى 11، 28). أنتم أيها المسيحيّون الشبّان، يمكنكم أن تجدوا أنفسكم في بعض عناصر هذا المقطع الإنجيلي.

في الروايات السابقة، يخبرنا متى أن يسوع كان يحصّل خيبات الأمل. يشتكي أوّلًا من أن الذين يتوجّه إليهم لا يعجبهم شيئا (را. متى 11، 16- 19). غالبّا ما يَحدُث لكم أنتم الشبيبة ألّا يعرف الكبار الذين يحيطون بكم ما يريدونه منكم أو ما ينتظرونه منكم؛ أو أحيانًا، يرتابهم الشكّ عندما يرونكم سعداء للغاية؛ وإن رأوكم قلقين، يقلّلون من أهمّية ما يحدث لكم. وقد طلب الكثير منكم، أثناء أوّل مشاورة للسينودس، الذي سنحتفل به قريبًا وسوف نفكّر من خلاله حول الشبيبة، أن يكون هناك من يرافقكم ويفهمكم دون أن يحكم عليكم، ويعرف كيف يصغي إليكم، كما وأيضًا يجيب على تساؤلاتكم (را. السينودس المكرّس للشبيبة، أدوات العمل، عدد 132). إن كنائسنا المسيحيّة -وأجرؤ على القول: كلّ عمليّة دينيّة منظّمة في مؤسّسات- تأتي بمواقف كان فيها من الأسهل بالنسبة لنا التحدّث، وتقديم مشورات واقتراحات، انطلاقًا من تجربتنا، بدل أن نصغي، وبدل أن نتساءل حول ما تعيشونه أنتم ونستنير به. فالجماعات المسيحيّة غالبًا ما تنغلق على ذاتها، دون أن تتنبّه لذلك، ولا تصغي إلى مخاوفكم. ندرك أنكم تريدون وتنتظرون بأن "يرافقكم، لا قاض غير مرن، ولا أب خائف يبالغ بحمايتكم ويقود إلى الاتكالية، إنما شخص لا يخاف من ضعفه الشخصي ويعرف كي يجعل الكنز الذي يخبئه في قلبه يتألق -وإن كان من خزف (را. 2 قور 4، 7)" (ن. م.، 142). أريد اليوم وهنا أن أقول لكم أننا نريد أن نبكي معكم إن كنتم تبكون، وأن نرافق بتصفيقنا وضحكنا أفراحكم، وأن نساعدكم لتعيشوا التتلمذ للربّ. أنتم الشبّان والشابّات، اعرفوا هذا: عندما يكون المجتمع المسيحي مسيحيًا حقًا، فإنه لا يقوم بجمع أنصار له. يسمع، ويقبل، ويرافق، ويسير فقط. لكنه لا يفرض أيّ شيء.

يشكو يسوع أيضًا من المدن التي زارها، صانعًا فيها المزيد من المعجزات ومكرّسًا لها المزيد من أعمال الرقّة والقرب؛ يستنكر افتقارهم إلى الذوق في الإدراك أن التغيير الذي يقدّمه لهم هو أمر عاجل، لا يمكنه الانتظار. ويتوصّل لأن يقول بأنهم أكثر عنادًا وأكثر ضرارة ًمن سدوم (را. متى 11، 20- 24). عندما ننغلق نحن البالغون إزاء حقيقة هي بالفعل واقع، تقولون لنا بصراحة: "ألا ترونها؟". والأكثر شجاعة يقولون: "ألا تلاحظون أن لا أحد يستمع إليكم بعد الآن، ولا يصدّقكم؟". إننا بحاجة حقّا لأن نتوب، وأن نكتشف أنه إن أردنا أن نكون إلى جانبكم فعلينا أن نغيّر الكثير من الأوضاع التي هي في النهاية الأوضاع التي تبعدكم.

ندرك –كما قلتم لنا- أن الكثير من الشبّان لا يسألوننا شيئا لأنهم لا يعتبروننا "محادثين مهمّين في حياتهم". هذا أمر سيئ، عندما تتصرّف الكنيسة، أو جماعة، بطريقة تدفع الشبّان للتفكير: "هؤلاء لن يقولون لي أي شيء سيفيد حياتي". لا بل إن البعض يطلبون بوضوح أن ندعهم بسلام، لأنهم يشعرون أن حضور الكنيسة مزعج وحتى مغضب. وهذا صحيح. تغيظهم "الفضائح الجنسية والاقتصادية، والتي لا يرون إزاءها إدانة واضحة؛ عدم القدرة على فهم حياة الشبان ومشاعرهم بطريقة مناسبة لعدم وجود تحضير مسبق"؛ أو بكل بساطة "الدور السلبي الذي نوكله إليهم" (را. السينودس المكرس للشبيبة، أدوات العمل، عدد 66). هذه هي بعض من طلباتكم. نريد الإجابة عليها، ونريد، كما تقولون أنتم، أن نكون "جماعة تتحلّى بالشفافية، والضيافة، والصدق، والجاذبية، والقدرة على التواصل، وعلى السماح بالوصول إليها، تتحلّى بالفرح والتفاعلية" (ن.م.، عدد 67)، أيّ جماعة دون خوف. فالخوف يغلقنا على ذاتنا. الخوف يدفعنا لجمع أنصار لنا. أمّا الأخوّة فهي أمر آخر: القلب المفتوح والعناق الأخوي.

قبل أن يصل إلى النص الذي في أعلى هذه الكنيسة، يبدأ يسوع بتسبيح الآب. وهو يفعل ذلك لأنه يدرك أن الذين فهموا، والذين يفهمون محور رسالته وشخصه، فهم الصغار، ذوات الروح البسيطة والمفتوحة. وإذ أراكم هكذا، مجتمعين، تغنّون، أضمّ صوتي إلى صوت يسوع، وأنا لا أزال منذهل، لأنّكم، رغم افتقار شهادتنا، تواصلون اكتشاف يسوع في قلب جماعاتنا. لأننا نعرف أنّه، حيث يوجد يسوع، هناك دائمًا تجديد، هناك دائمًا فرصة لأن نتوب، ولأن نترك وراءنا كلّ ما يفصلنا عنه وعن إخوتنا. حيث يكون يسوع، تحمل الحياة دائماً نكهة الروح القدس. أنتم، هنا اليوم، تشكّلون تحقيق أعجوبة يسوع تلك.

بالتالي أجل، لنقل مجدّدا: "تَعالَوا إِليَّ جَميعاً أَيُّها المُرهَقونَ المُثقَلون، وأَنا أُريحُكم" (متى 11، 28). ولكننا نقوله ونحن على يقين أن يسوع، وبالرغم من محدوديتنا، ومن انقساماتنا، ما زال هو دافع وجودنا هنا. نحن نعلم أنه ما من راحة أكبر من أن نترك يسوع يحمل ظلمنا. ونعلم أيضًا أن هناك الكثيرين الذين ما زالوا يجهلونه ويحيون في الحزن والضياع. لقد قالت إحدى المطربات المشهورة لديكم في أغنية لها منذ حوالي عشر سنوات: "مات الحبّ، رحل الحبّ، الحبّ لا يعيش هنا بعد الآن" (كيرلي كويف، مات الحب). كلّا، من فضلكم! لنقم بما يستوجبه الأمر كي يبقى الحبّ حيّ، وهذا واجب علينا جميعًا! كثيرون يعيشون هذا الاختبار: يرون أن حبّ والديهم قد انتهى، وأن حبّ الأزواج الحديثين يتفكّك؛ يختبرون ألمًا عميقًا عندما لا يهمّ أحد إن اضطروا للهجرة كي يجدوا عملًا، أو عندما ينظر الناس إليهم بتشكّك لأنهم غرباء. يبدو وكأن الحبّ قد مات، كما قال كيرلي كوييف، ولكننا نعلم أن الأمر ليس هكذا، ولدينا ما نقوله، أمر نبشّر به، بقليل من الكلام والكثير من الأعمال. لأنكم جيل الصورة، جيل العمل، أكثر من التفكير والنظريّات.

وهذا يرضي يسوع؛ لأنه مَرَّ وهو يقوم بعمل الخير، وعندما مات، فضّل عمل الصليب القوي على الكلمات. ونحن متّحدون بالإيمان بيسوع، وهو الذي ينتظر أن نحمله إلى كلّ الشبّان الذين فقدوا معنى حياتهم. والخطر بالنسبة إلينا أيضًا نحن المؤمنين، هو أن نفقد معنى الحياة. وهذا يحدث عندما نكون نحن المؤمنون غير متّسقين. لنقبل معًا هذا الجديد الذي يدخله الله في حياتنا؛ ذاك الجديد الذي يدفعنا دومًا للانطلاق من جديد، لنذهب حيث توجد الإنسانية المجروحة. حيث ما زال البشر، أبعد من السطحيّة ومن التماثل، يبحثون عن إجابة للسؤال عن معنى حياتهم. ولكننا لن نذهب أبدًا لوحدنا: الله يأتي معنا؛ فهو لا يخاف، لا يخاف من الضواحي، لا بل قد جعل نفسه ضاحية (را. فل 2، 6- 8؛ يو 1، 14). إن كانت لنا الشجاعة للخروج من ذواتنا، من أنانيّتنا، ومن أفكارنا المنغلقة، والذهاب إلى الضواحي، فسوف نجده هناك، لأن يسوع يسبقنا في حياة الأخ الذي يتألّم وهو مهمّش. إنه هناك منذ الآن (را. الإرشاد الرسولي افرحوا وابتهجوا، عدد 135).

أيها الشبّان والشابّات، الحبّ لم يمت، وهو يدعونا. يطلب فقط أن نفتح قلبنا. لنطلب القوّة الرسوليّة لحمل الإنجيل للآخرين –أن نقدّمه، لا بالقوّة- وللتخلّي عن تحويل حياتنا إلى متحف ذكريات. الحياة المسيحيّة هي حياة، هي مستقبل ورجاء! ليست متحفًا. لندع الروح القدس يرينا التاريخ بمنظور يسوع القائم من الموت، فتكون الكنيسة، فتكون كنائسنا، بهذه الطريقة، قادرة على المضيّ قدمًا وهي تقبل مفاجآت الربّ (را. ن.م.، عدد 139)، وتستعيد شبابها، وفرح وجمال–الجمال الذي تكلّم عنه ميركو- جمال الزوجة التي تذهب للقاء الربّ. مفاجآت الربّ. الربّ يفاجئنا لأن الحياة تفاجئنا دومًا. لنمضِ قدمًا، للقاء هذه المفاجآت. شكرًا!

[01444-AR.02] [Testo originale: Italiano]

[B0689-XX.02]